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Arte - Il tempo senza tempo

IL TEMPO SENZA TEMPO

Il confronto tra passato e presente non basta più: con un titolo che sa di matematica, «Espressioni con frazioni», una mostra al Castello di Rivoli s ’interroga sulle contraddizioni dell’ oggi, tra l’ obsolescenza del soggetto umano visto come individuo e la vanità di massa veicolata dai social media.

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DI MARTINA CORGNATI

N ASTRONAUTA, Hu-U man One, in perpetuo movimento fra lo spazio fisico e quello digitale progettato da Beeple, il più celebre artista digitale del mondo, a confronto con un drammatico ritratto di Francis Bacon, Study for Portrait IX (1956-7); una vibrante composizione astratta di Julie Mehretu, Orient (after D. Cherry, post Irma and Summer), faccia a faccia con Velocità astratta di Giacomo Balla (1913). Sembra che l’incontro fra immagini e installazioni contemporanee e altre pienamente storicizzate sia diventata prassi quasi inevitabile dei curatori di oggi. Ma la mostra, Espressioni con frazioni, allestita in questi mesi al Castello di Rivoli e altre sedi del complesso museale (fino al 17 luglio) fa ancora di più: il dialogo non è solo binario e non riguarda soltanto il nostro tempo e il recente passato ma tutto il tempo possibile e l’intera esperienza dell’ arte in quanto forma di espressione antropologica, essenzialmente umana. Che si confronta oggi con la crisi più grave degli ultimi 70 anni, cioè il tempo di oltre due generazioni cresciute, almeno in occidente, al riparo dalle esperienze più dure attraversate invece da padri e nonni.

«QUESTA MOSTRA prova a indagare le contraddizioni del presente attraverso una prospettiva globale» spiega Carolyn Christov-Bakargiev, direttrice del Castello di Rivoli-Museo d’Arte Contemporanea e co-curatrice della rassegna insieme a Marcella Beccaria, Marianna Vecellio e Fabio Cafagna, con il coordinamento di Anna Musini. «Da una parte abbiamo l’ evidente obsolescenza del soggetto umano “individuale” , dovuta alle esigenze di una complessa co-evoluzione multispecie capace di incidere sull’antropocene per giungere a forme di giustizia climatica e sociale; dall’altra invece le forme di vanità di massa veicolate dai social media e amplificate nella nostra epoca dei selfie e dell’iper-rappresentazione del sé, due aspetti uniti alla celebrazione della tecnologia». L’ arte ha sempre, a suo modo, apprezzato la tecnologia, come ci insegnano i futuristi ma anche gli impressionisti, e ha sempre denunciato gli abusi, la violenza e le crisi; per questo è indispensabile interrogarla oggi che la nostra civiltà è posta di fronte a sfide multiple, in parte dimenticate e in parte inedite: la pandemia, la guerra e, meno osservato ma non meno pericoloso, il cambio climatico che rischia ormai di trasformare molto velocemente le possibilità di vita biologica sul nostro pianeta. Di fronte a tutto questo la curatela ha spalancato le porte nel tempo e nello spazio, raccogliendo opere fra le più innovative, come il fantasmagorico Human One di Beeple (2021), la video scultura cinetica che funziona sia nel mondo fisico sia in NFT, e le più tradizionali, quali immagini delle pitture rupestri preistoriche realizzate da Cla-

Nella pagina accanto, Human One, 2021, video scultura dell’artista digitale Beeple (Mike Winkelmann) che funziona sia nel mondo fisico sia in quello digitale NFT.

L E CT OR C OL THE AND AR TIS T THE COUR TESY

U Can’t Touch This, 2021, dell’artista aborigeno australiano e attivista politico Richard Bell, uno dei fondatori di proppaNOW, collettivo artistico di Brisbane.

SBANE BRI E R Y, GALL AN I L MI AN D AR TIS T THE COUR TESY , W ARNER CARL F O T O:

La rassegna riunisce molte visioni su che cosa vuol dire essere umani oggi e mette insieme artisti del mondo tradizionale e quelli del digitale NFT

rence Bicknell (Herne Hill, 1842; Casterino, 1918); opere di denuncia sociale, fra cui la videoinstallazione inedita del grande artista e attivista politico aborigeno Richard Bell, Bulldozer Scene No Tin Shack (2022), che rievoca la demolizione della baracca in cui viveva avvenuta quando aveva 14 anni, e di consapevolezza ecologica ed ecologista: Uýra Sodoma, ad esempio, intreccia la saggezza ancestrale degli indigeni brasiliani alle canoniche conoscenze scientifiche e biologiche della modernità, evocando memorie perdute relative alla vegetazione e presentandosi come «un albero che cammina», un ’entità ibrida di un umano e una pianta il cui aspetto è in continua evoluzione.

UN’INTERA SEZIONE della rassegna, Una lettera dal fronte, il cui titolo richiama il celebre quadro del realismo sovietico di Aleksandr Laktionov (1947), è dedicata al tempo presente degli artisti e artiste ucraine, rappresentate da una dozzina di autori fra cui Dana Kavelina, Lesia Khomenk, Yuri Leiderman, Lada Nakonechna, R.E.P., Daniil Revkovsky & Andriy Rachinsky e Oleksiy Sai. Il loro lavoro è documentato da film e immagini in movimento, sottratte in qualche modo ai bombardamenti e agli assedi, talvolta soltanto nel cloud e su piattaforme digitali. Gli artisti ucraini, che sono attualmente bloccati nelle città sotto assedio oppure sono riusciti a rifugiarsi nelle zone di frontiera o nei Paesi confinanti, si stanno mobilitando all’interno o all’ esterno dei confini del loro Paese lacerato dalla guerra. Una situazione che ci riporta quasi bruscamente alle pagine più buie della storia del Novecento, quando individualità e creatività finiscono schiacciate nella macchina impersonale della violenza. Invece, nella soggettività più intima ci immerge il lavoro dell’ artista e psicanalista franco-israeliana Bracha L. Ettinger, Bracha’ s Notebooks, dipinti e quaderni che modulano insieme disegno e parola scritta in tre lingue (francese, inglese ed ebraico), lingue del lavoro e della memoria autobiografica dei genitori sopravvissuti alla Shoah, per intervenire con grazia e intensità sugli spazi dell’inconscio, del visibile e dell’invisibile, ed enfatizzando la capacità terapeutica dell’ arte. Ne abbiamo bisogno perché i due anni di ristrettezze e silenzi imposti dalla pandemia hanno esasperato il disagio sociale e fatto esplodere non poche latenze. Ne sa qualcosa l’ artista britannico Ed Atkins, che ha lavorato nella «Camera della Mamma» di Villa Cerruti, la preziosa dimora del grande collezionista Francesco Federico Cerruti situata a Rivoli proprio nei pressi del Castello e divenuta da poco parte del polo museale con tutto il suo inestimabile contenuto. La sua video-installazione, The Worm, girata durante i mesi del lockdown, documenta una telefonata tra l’ artista e sua madre, forzosamente separati dall’ emergenza Covid, in una situazione struggente e umoristica al tempo stesso. Lasciando risuonare innumerevoli precedenti, compresa La voix humaine di Jean Cocteau (1930), e il rapporto simbiotico che pare riguardasse lo stesso Cerruti e sua madre, Ines Castagneto, l’intervento tocca problemi e bisogni molto concreti legati alla socializzazione ma anche all’alienazione data dalle tecnologie: infatti, l’unica presenza visibile è l’ avatar dell’ artista.

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