Chiasso Letteraria 2017 "nel bosco"

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DODICESIMA EDIZIONE

FESTIVAL INTERNAZIONALE DI LETTERATURA

4—7 maggio 2017

www.chiassoletteraria.ch

nel bosco

⁄ CHIASSO


12° EDIZIONE FESTIVAL INTERNAZIONALE DI LETTERATURA

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nel bosco

In un’epoca di non luoghi e di tempi nervosi, a dismisura di essere umani, il bosco rimane oasi rigeneratrice, in cui le persone possono ancora riconnettersi con la natura e con il proprio intimo. Spazio aperto, dove sperimentare il proprio corpo non virtuale, il bosco è luogo letterario per eccellenza. Dante, Thoreau, London, Hesse e anche molti autori contemporanei ne hanno investigato il mistero, l’essenza o più semplicemente hanno amato o temuto attraversarlo, percorrendone sentieri discosti, ascoltandone il respiro silenzioso, smarrendosi per forse ritrovarsi. Interrogarsi sul senso che la natura riveste per l’uomo e sulla necessità per l’uomo di ripensare altrimenti il suo rapporto con la natura acquista un significato e un’urgenza a cui un Festival non può sottrarsi. Gli spazi del Festival saranno allora per alcuni giorni un bosco e un sottobosco al contempo metaforici e reali: una radura letteraria dove scoprire letture (e letterature) significative, assaporare il piacere della condivisione o semplicemente passeggiare e lasciare libera la mente. In un bosco cacofonico di rumori, immagini, sensazionalismi e concetti low cost come il mondo odierno non è poco.

David Grossman

Evento speciale ChiassoLetteraria Lunedì 24 aprile, ore 20.30, Cinema Teatro Chiasso In attesa della dodicesima edizione del Festival internazionale di letteratura di Chiasso, che avrà luogo dal 4 al 7 maggio 2017, ChiassoLetteraria organizza, in collaborazione con Arnoldo Mondadori editore, l’associazione degli Amici del Cinema Teatro e il Centro Culturale di Chiasso, un incontro speciale con un ospite d’eccezione: lo scrittore israeliano David Grossman. L’incontro, moderato dal giornalista e regista Matteo Bellinelli, sarà l’occasione per conoscere dal vivo uno dei grandi scrittori contemporanei. L’entrata è libera, sino all’esaurimento dei posti disponibili. Non è prevista la prenotazione dei posti (entrata aperta dalle 19.45). Nell’atrio del teatro sarà allestito uno spazio libreria con le opere dello scrittore. Grossman ha cominciato la sua carriera lavorando alla radio nazionale israeliana “Kol Israel” come giovanissimo reporter e ha poi proseguito come corrispondente e conduttore di programmi fino al 1988. Parallelamente inizia la sua attività di scrittore e negli anni Ottanta ottiene i primi importanti riconoscimenti per i suoi lavori, fra i quali si possono ricordare Il sorriso dell’agnello, Il vento giallo, Vedi alla voce: amore, Che tu sia per me il coltello, A un cerbiatto somiglia il mio amore, Le avventure di Itamar, Applausi a scena vuota, che spaziano dalla narrativa alla saggistica, ai libri per ragazzi. È uno degli autori israeliani più importanti e significativi e i suoi romanzi sono tradotti in moltissime lingue. Da sempre è impegnato in prima persona per sostenere fortemente il dialogo e la ricerca di una soluzione pacifica della questione israelo-palestinese, diventando anche in questo ambito una voce autorevole e un punto di riferimento nel suo Paese, ma non solo.

programma

Un programma all’insegna della scoperta e dell’approfondimento

Il tema ci ha portato a rivolgere uno sguardo particolare alla letteratura dell'Europa del Nord e fra la ventina di autori invitati, tre provengono dai paesi delle grandi foreste. Nel centenario dell’indipendenza finlandese avremo due esponenti di punta della sua letteratura: Sofi Oksanen, la principale scrittrice finlandese, portavoce critica del suo paese alla Fiera del libro di Francoforte di tre anni fa. Ha vinto il prestigioso Nordisk råds litteraturpris con La Purga, nonché il premio Femina 2010. Nel 2013 ha ricevuto, prima scrittrice finlandese, il cosiddetto Piccolo Nobel, ovvero il Premio Nordico dell’Accademia Svedese;

Kjell Westö, affermato scrittore e giornalista finlandese di lingua svedese, di cui, in collaborazione con la casa editrice Iperborea, presenteremo il romanzo Miraggio 1938, in prima assoluta in lingua italiana. Un giallo letterario sofisticato che parla di amicizia, redenzione e vendetta, ambientato a Helsinki negli anni Trenta, con i ricordi traumatici della guerra civile finlandese e l’ascesa del fascismo. È valso all’autore il Nordisk råds litteraturpris nel 2014. Viene dalla Norvegia, Maja Lunde, scrittrice, sceneggiatrice tv, che dopo numerosi libri per ragazzi si è affermata in tutto il mondo con il suo primo romanzo per adulti, La storia delle api. Per mesi ai vertici delle classifiche, ha vinto un importante riconoscimento letterario norvegese, il Premio dei librai, attribuito tradizionalmente alle opere che uniscono qualità letteraria a grandi vendite. Anche l’opera di questa autrice, in collaborazione con Marsilio, verrà presentata in prima assoluta in un festival di lingua italiana. In un anno vicino alla natura come tematica, ci è parso giusto prestare interesse alla letteratura nativo-americana, invitando una delle sue esponenti contemporanee più rappresentative: Joy Harjo. Nata a Tulsa nell’Oklahoma, appartiene alla Nazione Mvskoke (Creek) e ha scritto numerose raccolte di poesia che hanno avuto vasta eco. Ne citiamo due apparse in italiano: Lei aveva dei cavalli e Un cielo di mica. Con l’opera autobiografica Crazy Brave ha vinto il Premio del Pen Center Usa literary prize for creative nonfiction. Oltre che poeta, è musicista (nel 2009 ha vinto il Native American Music Award NAMMY for Best Female Artist of the Year) e attivista nella difesa dei diritti dei nativi americani. Fra gli autori di lingua italiana ci saranno: Paolo Cognetti, per la prima volta in Ticino, che con il recente Le otto montagne (Einaudi 2016) è stato uno dei casi letterari alla scorsa Fiera del libro di Francoforte. I diritti per il romanzo sono stati acquistati in oltre 30 paesi; Stefano Valenti, con La fabbrica del panico (Feltrinelli 2013) ha vinto il Premio Campiello Opera Prima 2014, il Premio Volponi Opera Prima 2014 e il Premio nazionale di narrativa Bergamo 2015. Sarà intervistato dalla classe opzionale di letterature italiane e internazionali del Liceo Lugano 1, a cura del docente e poeta Fabio Pusterla; Marco Martella, storico dei giardini, fondatore della rivista Jardins dedicata alla filosofia e alla poetica del giardino, pubblicista per Gardenia, Ha pubblicato con lo pseudonimo Jorn de Précy E il giardino creò l’uomo, e con quello di Teodor Cerić, Giardini in tempo di guerra. A suo nome ha pubblicato il pamphlet Tornare al giardino. Terrà una lectio dal titolo Lasciarsi al bosco: genio del luogo e giardino in un mondo disincantato. La consueta carta bianca al poeta Fabio Pusterla vedrà protagonisti i poeti della Svizzera italiana Pietro De Marchi (premio Gottfried Keller 2016) e Mattia Cavadini (Premio Pro Helvetia), nonché il poeta italiano Umberto Fiori, di cui Mondadori ha pubblicato Poesie 1986-2014, una raccolta di tutti i testi editi e inediti. Dal ‘73 all’83 è stato autore, voce e chitarrista della cult band degli Stormy Six.

Un’attenzione particolare è stata data alla giovane letteratura svizzera alla quale viene dedicato un appuntamento corale dal titolo “Tre voci nella natura. Perché la giovane letteratura svizzera si interessa al mondo rurale?” con giovani scrittrici provenienti dalle tre aree linguistiche: la romanda Anne-Sophie Subilia (Partir voir les bêtes), la svizzero-tedesca Noëmi Lerch (Die Pürin) e la ticinese Doris Femminis (Chiara cantante e altre capraie). L’incontro con letture e spuntino si svolgerà nella suggestiva Torre dei forni all’ingresso delle Gole della Breggia. Due personalità tra le più influenti della cultura retoromancia, e non solo, daranno vita a un incontro che si annuncia davvero imperdibile: Leo Tuor, scrittore di punta del nutrito panorama letterario grigionese contemporaneo, incontrerà il pubblicista e operatore culturale Chasper Pult. Per l’occasione appare in italiano un testo fondamentale di Tuor Settembrini, pubblicato dalla meritevole piccola casa editrice di Bellinzona, Sottoscala. Un ulteriore momento poetico dagli alti contenuti umani sarà il poema musicale Uno di nessuno. Io sono Antonelli, in prima assoluta, scritto dal poeta italiano, che vive in Svizzera, Massimo Gezzi (Premio internazionale di poesia Carducci 2015, Premio svizzero di letteratura 2016) e dal musicista Roberto Zechini, chitarrista, autore di diversi album a suo nome, che ha collaborato con musicisti come Mauro Pagani, Mike Stern, Lee Thompson, Daniele Di Bonaventura e molti altri. Il poema, basato sul libro di Massimo Gezzi Uno di nessuno. Storia di Giovanni Antonelli, poeta (Edizioni Casagrande 2016), narra le vicende di Giovanni Antonelli: poeta, vagabondo, “demente”, che è stato internato in molti manicomi o carceri delle Marche e di altre regioni d’Italia: “Era un anarchico, un anticlericale, un miserabile, e forse per questo il suo paese d’origine, che è anche il mio, ne ha completamente cancellato la memoria, come poeta e come uomo”. Inaugurazione del Festival, venerdì 5 maggio 2017 alle 18.30, alla presenza delle autorità e degli scrittori ospiti con un’intervista a uno dei grandi autori contemporanei, lo scrittore franco-congolese Alain Mabanckou. Primo autore francofono dell’Africa subsahariana a essere pubblicato nella prestigiosa collana Blanche di Gallimard, Mabanckou ha ricevuto numerosi riconoscimenti per i suoi romanzi, tra cui il premio Renaudot per Memorie di un porcospino e il premio Georges Brassens per Domani avrò vent’anni. Attualmente Mabanckou insegna alla UCLA a Los Angeles, guadagnandosi anche il soprannome di «Mabancool» quale professore più cool di tutta la California. Nel frattempo Black Bazar è diventato un disco, sono in preparazione due film tratti dai suoi libri e l’Académie française gli ha attribuito il Grand Prix de Littérature Henri Gal 2012 per l’insieme della sua opera. Nel 2010 è stato nominato Cavaliere dell’ordine della Legion d’onore per decreto del Presidente della Repubblica. Segue rinfresco aperto al pubblico.


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Altri eventi Il cassetto delle parole nuove

4-7 MAGGIO 2017 / CHIASSO

Deerstand - A CENA Stagestand NEL BOSCO

Installazione di Florian Hauswirth e Katia Ritz Giovedì 4 maggio, 18.00 Spazio Lampo, Via Livio 16, Chiasso Inaugurazione con intervento musicale a sorpresa Dal 4 maggio al 4 giugno 2017

Il bosco è un luogo dove da sempre l’essere umano non è mai riuscito a imporre il proprio controllo. Gli alberi e la vegetazione sono grandi. Gli animali, loro, sono a casa propria. Non c’è un limite spaziale definito. Da questa immensità l’uomo ha sempre saputo che la natura è più grande e importante di lui. Da sempre. Da queste riflessioni è nata l’idea di Florian Hauswirth e Katia Ritz di intervenire all’interno dello Spazio Lampo di Chiasso Mercoledì 26 aprile, 10.00–12.00 costruendo una capanna di osservazione, dove l’essere Foyer del Cinema Teatro umano guarda, osserva la natura a sé stante, come il bosco del Penz che si trova esattamente di fronte. Dalla ferLe ragazze e i ragazzi della 4. Media di Chiasso che nei mesi rovia o dalla strada, al contrario, sarà possibile osservare scorsi hanno letto e analizzato il romanzo Grünschnabel – la vetrina e la capanna. Siamo quindi tutti osservatori e Il cassetto delle parole nuove, incontrano l’autrice Monica osservati, la capanna di osservazione diventa una metaCantieni. Partecipa la traduttrice Irene Abigail Piccinini fora della nostra vita quotidiana e, se vogliamo, la metae il tema della traduzione sarà una parte importante della fora della Svizzera e, ancora più in particolare, di Chiasso. discussione. Si tratta del terzo appuntamento di questo Durante il vernissage lo spettatore sarà invitato a salire tipo, dopo quelli del 2015 e 2016 animati e pieni di entusia- nella capanna d’osservazione e a osservare, cambiando smo, con Pedro Lenz e Arno Camenisch. Promosso dalla così punto di vista. Alle 18.30 ci sarà un intervento muFondazione CH. sicale a sorpresa. L’intervento “Deerstand - Stagestand” di Florian Hauswirth e Katia Ritz all’interno dello Spazio Lampo è parte del progetto Vetrina, proposta culturale dell’associazione Grande Velocità. Katia Ritz, architetto, e Florian Hauswirth, designer, realizzano insieme da diversi anni delle installazioni. Il loro interesse è sempre stato quello dell’intervento in situ in un dato ambiente, Di Mehdi Sahebi che sia in un contesto urbano (“Les Urbaines”, Lausanne, Mercoledì 26 aprile, 20.45 2009 e “Membrane”, Bienne, 2012) o in reazione agli ediTeatro Mignon e Ciak, Mendrisio fici e alla loro funzione (come “3 sounds of 317 5th streCineclub del Mendrisiotto et”, NY 2010, “Aircraft”, Basel, 2013), o direttamente nella natura (“Bex Art”, 2014). Vincitori del premio “Swiss art Alla presenza del regista. Prima visione ticinese nell’amaward” di Basilea nel 2011, riscuotono un interesse crebito della rassegna “Un po’ di cinema svizzero” scente da parte del pubblico e della critica.

MIRR

Regia: Mehdi Sahebi; sceneggiatura e fotografia: Mehdi Sahebi; montaggio: Mehdi Sahebi, Aya Domenig; suono: Neth Prak, Tetsch Cherr; produzione: Cinéma Copain, Zürich, Svizzera 2016, v.o. bunong/khmer, st. francese/ tedesco, colore, 91' Binchey e la sua famiglia sono scacciati con la violenza dal campo dove vivono e lavorano. Per loro la questione più urgente è sapere di che cosa potranno vivere d’ora in poi. L’incertezza del futuro tocca Binchey nel profondo e lo sottopone a una dura prova. Nonostante tutto, non abbandona la speranza e parte alla ricerca di un nuovo campo da coltivare. Nel nord-est della Cambogia, il regista mette in scena, con Binchey e altri abitanti del villaggio, la dolorosa storia dell’espropriazione delle terre imposta dai proprietari delle piantagioni di caucciù, le sue conseguenze sulla vita delle famiglie e la frantumazione dei rapporti sociali e interpersonali. Una storia esemplare, tragica e toccante raccontata con immagini e suoni profondamente autentici. Mehdi Sahebi, nato in Iran nel 1963, ha studiato etnologia e storia all’Università di Zurigo. Dal 2006 lavora su diversi progetti come regista, cameraman e montatore e ha anche insegnato alla Hochschule Luzern, sezione video. Ha tra l’altro realizzato i documentari Un étranger me regarde (2001), Zeit des Abschieds (2006; Premio come miglior documentario al Festival di Locarno) e Bestattungskultur im Wandel (2007). (Entrata: Fr. 10.-, 8.- , 6.- / www.cinemendrisiotto.org )

TICINO POETRY SLAM

Giovedì 4 maggio, 21.00 Murrayfield Pub, Chiasso Avanspettacolo di poesia orale e prestante con vincitore a cura di Marko Miladinovic Format: 6 poeti tra Svizzera e Italia, 5 giurati estratti a sorte dal pubblico, 1 superospite, 1 condottiero serale, 1 stacchiere musicale originale, 0 niet

OPERAZIONE VEGA di Friedrich Dürrenmatt. Performance teatrale Venerdì 5 maggio, 16.00 (per la stampa) Sabato 6 maggio, 10.00, 14.00 e 16.00 Domenica 7 maggio, 14.00 e 16.00 Gallerie ex-cementificio Parco Gole della Breggia

Regia: Alan Alpenfelt Con: Ulisse Romanò, Adalgisa Vavassori, Gabriele Ciavarra, Nello Provenzano, Massimiliano Zampetti, Federico Dilirio In un futuro distopico in cui esistono gli Stati confederati d’America e d'Europa e in cui le persone disprezzate dai governi vengono spedite su Venere, sembra che si stia per realizzare l’incubo della Terza guerra mondiale. A fronteggiarsi, come nella Guerra fredda, l’Ovest e l’Est della Terra. Ecco che allora il ministro degli esteri Horace Wood si trova a dover fare un viaggio verso Venere per chiedere un alleato nella lotta contro i russi. Possiamo ascoltare l’intero viaggio grazie al funzionario dei servizi segreti Mannerheim, incaricato di fare in modo che Wood non abbandoni la missione per rimanere su Venere, come hanno fatto misteriosamente tutti i ministri degli esteri suoi predecessori. Qui Wood e i suoi accompagnatori trovano un paese ostile, arretrato, in cui ognuno vive per sé e in cui nessuno desidera il potere, un mondo tanto utopico quanto difficile da comprendere, che rifiuterà sia Wood sia le sue proposte, nonostante le oscure conseguenze da loro preannunciate. Operazione Vega è il secondo capitolo di un’antologia sui radiodrammi di Friedrich Dürrenmatt a cura della compagnia chiassese V XX ZWEETZ e in collaborazione con Teatro d’Emergenza.

Sabato 6 maggio, 20.00 Ristorante Moevenpick, Chiasso

Cena alla presenza degli scrittori e delle scrittrici ospiti con letture dalle loro opere a cura dell’attore Gabriele Ciavarra. Prenotazione direttamente al ristorante: tel. +41 (0)91 682 53 31; hotel.touring@moevenpick.com

The Sherwood’s Night Clubbin'

Venerdì 6 maggio e sabato 7 maggio, 21.00–4.00 Murrayfield Pub, Chiasso

Il Murrayfield pub di Chiasso verrà appositamente trasformato nel The Sherwood’s Night Clubbin’, spazio culturale e musicale temporaneo, con concerti, dj-set, incontri, proiezioni, vivande e bibite d’autore. Seguici su facebook o vai al sito del festival. Entrata libera.

Speciale Chiasso 3

Vicende storiche, letterarie, calcistiche e altro ancora Domenica 7 maggio, 9.00 –13.00 Diversi luoghi urbani e pranzo in comune

A ChiassoLetteraria sono giunti, in questi undici anni, autori da tutto il mondo che hanno incontrato un pubblico interessato, aperto, disponibile all’incontro e alla scoperta. In molti si sono chiesti e ci hanno chiesto come ciò fosse possibile in una cittadina con poche migliaia di abitanti. Forse un genius loci? O forse il fatto di essere un luogo di passaggi, di frontiera ma anche di apertura. Dopo il successo delle prime due edizioni, ecco ora lo “Speciale Chiasso 3”, passeggiata che attraverserà la cittadina di frontiera per giungere alle falde del suo bosco, il Penz, trovando sul cammino spunti poetici, letterari e aneddoti. Dai ricordi di quando a Chiasso c’era il lago (o meglio "ul laghett") alle "ramine" contorte e insanguinate, dagli scomparsi e già gloriosi campi di calcio alle antiche segherie. Un borgo percorso un tempo anche dalle speranze di sovversivi raminghi. A cura di Tiziana Mona e Rolando Schärer. Gli animatori culturali delle varie tappe del percorso saranno: Adriano Bazzocco, storico; Maurizio Binaghi, docente liceale e storico; Tarcisio Casari, collaboratore del Centro di dialettologia e di etnografia; Giancarlo Dionisio, giornalista sportivo e narratore; Wilma Gilardi Bontognali, lettrice e già “Signorina Buonasera della TSI”; Georg Kreis insigne storico svizzero; Stefano Marelli, scrittore; Alberto Nessi, poeta e scrittore; Luca Ortelli, docente liceale e massimo esperto di storia calcistica chiassese che ricorderà il primo derby calcistico tra Inter e Milan svoltosi proprio a Chiasso (per l’occasione sul terreno che ospitò quel mitico incontro verrà collocata una targa commemorativa).

Numero massimo: 70 partecipanti. Costo: Fr. 25.-(Fr. 15.- per i soci di ChiassoLetteraria) che comprende la gita guidata, caffé e cornetto in biblioteca, penne al ragù o vegetariane (bevande non incluse) al Grotto Linet. Iscrizione a specialechiasso@gmail.com o direttamente alla Biblioteca comunale di Chiasso, via Turconi 3, dalle 8.30 alle 9.30 di domenica 7 maggio. Pagamento del biglietto direttaLo spettacolo avrà luogo all’interno di uno scenario sugge- mente alla biblioteca. stivo: le vecchie gallerie dell’ex-cementificio nel Parco delle Gole della Breggia. Lo spettacolo verrà replicato in cinque occasioni con visite guidate e un massimo di 25 spettatori per volta. L’entrata è gratuita, ma su prenotazione. Ritrovo al piazzale della Torre dell’ex-cementificio, 15 minuti prima dello spettacolo. Contatti e prenotazioni: info@vxxzweetz. com / Mobile: +41 (0)79 560 47 96, dalle 9.00 alle 17.00


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4-7 MAGGIO 2017 / CHIASSO

la Finlandia indipendente compie cento anni

...dove i boschi cantano e piangono

...migliaia di laghi e isole, boschi, foreste subartiche, taighe coprono gran parte del territorio. 1’269 km di frontiera con la Russia. Tre lingue: due ufficiali, finlandese e svedese, e varie declinazioni delle lingue dei circa 7'000 Sami nel nord del Paese.

La Finlandia è il miglior paese al mondo, scriveva alcuni anni fa Newsweek, e si prendeva cosi il primo posto davanti alla Svizzera. Per quanto possano valere questi sondaggi, resta che il Paese lassù nell’angolo nord-orientale dell’Europa occidentale in mezzo alle foreste e ai ghiacci riesce sempre a piazzarsi ai primi posti sia in positivo sia in negativo, da quello per il tasso di suicidi alle competenze scolastiche, dove i giovani finlandesi sono da anni i primi della classe. Una cosa accomuna primo e secondo classificato, come disse il geniale regista Aki Kaurismäki, alcuni anni fa a Locarno: “Noi tacciamo in tre lingue ma voi svizzeri ci battete, riuscite a tacere in quattro lingue”. Ben diverso invece da quello della “pacifica” Svizzera il percorso tragico e durissimo della Finlandia per giungere a tali traguardi. Per secoli fino al 1809 il paese fece parte del regno di Svezia, da qui la presenza della lingua svedese fortemente minoritaria ma espressione per secoli dell’élite. Poi un secolo di appartenenza all’Impero russo fino all’indipendenza nel 1917 ottenuta nel contesto della Rivoluzione bolscevica. Segue una guerra civile

SOFi OKSANEN: Babbo Natale parla finlandese «Nell’anno della mia nascita esce un disco del gruppo rock finlandese Sleepy Sleepers. Il titolo originale della registrazione doveva essere Anarchia in Carelia, ma per ragioni di politica estera il nome fu sostituito con Ritorno in Carelia. La Finlandia aveva dovuto cedere la Carelia all’Unione Sovietica dopo la Guerra d’inverno, nel 1940 – e poi di nuovo, dopo la Guerra di continuazione, nel 1944 – per cui la questione era spinosa. La pubblicazione andò a incrinare i rapporti tra Finlandia e Unione Sovietica, così il disco fu tolto dai juke-box e fu imposto l’annullamento dei concerti. La band, tuttavia, non accettò di finlandizzarsi e diventò uno dei gruppi rock finlandesi più popolari di sempre. La Carelia è sempre stata per noi una regione importante dal punto di vista artistico, basti dire che è il luogo di nascita del Kalevala. Alla Carelia sono legate opere molto famose sia nella musica, sia nelle arti visive e letterarie ma, dopo la perdita del territorio, a queste si è aggiunta la letteratura dei rifugiati. Dalla Carelia migrarono in

terminata con la sconfitta dei Rossi filo-bolscevichi da parte dei filo-conservatori Bianchi sostenuti dall’Impero tedesco. Questo traumatico periodo è la chiave di volta del romanzo “Miraggio 38” dell’autore di lingua svedese Kjell Westö, che scopriremo a ChiassoLetteraria domenica 7 maggio. Diventare un finlandese libero non è stato facile e di fronte all’incombente e minacciosa presenza dell’Unione Sovietica restarlo lo è stato ancora di più. Dopo la fine della Seconda guerra mondiale, la Finlandia deve cedere all’URSS parte dell’amata Carelia, vera culla dell’anima nazionale, e subire imposizioni e restrizioni. È la cosiddetta “finlandizzazione”, un complesso sistema di sopravvivenza che permette comunque alla Finlandia, diversamente dalle Repubbliche baltiche, di mantenere la sua indipendenza. La lingua e la letteratura sono fra le armi più efficaci in questa lunga battaglia di resistenza come ben disse la scrittrice Sofi Oksanen (a ChiassoLetteraria sabato 6 maggio), ambasciatrice del suo paese ospite d’onore alla Fiera del Libro di Francoforte nel 2014 e di cui pubblichiamo due passaggi salienti.

Finlandia mezzo milione di persone di nazionalità finlandese. Mentre il Paese si finlandizzava, grazie alle scrittrici donne con un passato da rifugiate, si stava costruendo nella cultura finlandese una Carelia dal forte valore letterario. Il mondo dei critici non apprezzava molto queste tematiche durante gli anni della finlandizzazione, ma i lettori le amavano. Per esempio, i romanzi storici sullo sfollamento, scritti da Laila Hirvisaari, hanno venduto in Finlandia oltre quattro milioni di copie. I nostri abitanti sono oltre cinque milioni, per cui si può ben capire il suo grado di popolarità. Benché la discussione pubblica fosse difficile, la Carelia era diventata il centro del rock e della letteratura, dove era possibile affrontare i punti dolenti della storia della Finlandia, ed è proprio in situazioni come queste che si ha necessità dell’arte. Se la realtà esterna e la posizione ufficiale del Paese non corrispondono alle esperienze e al senso di giustizia dell’individuo, il risultato è sempre insicurezza, sfiducia nella oggettività e nella legittimità delle proprie esperienze. Questo indebolisce l’autostima, indebolisce un individuo, indebolisce un popolo. Una persona ha bisogno di uno specchio che rifletta le proprie esperienze ed è a questo che serve una letteratura nazionale, che si possa leggere nella propria lingua. Per la Finlandia questo non è stato sempre evidente». Solo le lingue libere volano «I rappresentanti di aree linguistiche estese talvolta mi hanno chiesto perché mai io scriva in finlandese, benché io parli anche l’inglese. Scrivo in finlandese perché è la mia lingua madre e, grazie ai traduttori, il fatto che io rappresenti un’area linguistica ristretta e un piccolo popolo, non è stato un ostacolo per raggiungere la comunità mondiale dei lettori. Per uno scrittore, la lingua finlandese non ha rivali con le sue allitterazioni e con le sue infinite possibilità di flessione. Inoltre, se noi finlandesi avessimo interrotto lo sviluppo

della nostra lingua e della nostra letteratura, forse adesso non avreste Il signore degli anelli di J. R. R. Tolkien, perché Tolkien amava questa “lingua comica” che divenne la base per la lingua degli elfi. E se non ci fosse una tale varietà di lingue, nessuno metterebbe in questione ad esempio il fatto che i pronomi debbano avere un genere o meno. Il finlandese e l’estone se la sono sempre cavata benissimo senza pronomi che specificassero il genere e forse anche questo ha a che fare con la nostra condizione di parità tra i sessi, poiché è sempre la lingua a creare la realtà. E forse i finlandesi sono noti per la loro puntualità perché il tempo presente e futuro dei verbi coincidono. Soprattutto è il caso di ricordare che la lingua madre di Babbo Natale è probabilmente il finlandese o il sami, anch’essa una lingua ugro-finnica. Babbo Natale, dunque, abita dalle nostre parti, su una collina situata sull’odierno confine tra Finlandia e Russia, ma fortunatamente per i vostri bambini, da nordico molto istruito, capisce molte lingue. Nel 2014, le organizzazioni internazionali per la libertà di parola e di stampa hanno messo la Finlandia al primo posto per quanto riguarda la libertà di parola e di stampa. L’Estonia ha raggiunto l’undicesimo posto e la situazione dei diritti umani in queste due democrazie risulta, in confronto alla situazione internazionale, eccellente. Il cambiamento avvenuto in soli vent’anni è enorme. Quando la Finlandia nel 1917 e l’Estonia nel 1918 ottennero l’indipendenza, si dubitò della loro capacità di funzionare come stati autonomi – così come si dubita ora dell’Ucraina. Sia la Finlandia sia l’Estonia sono esempi di quanto immensamente i popoli, le lingue e l’arte possano svilupparsi in breve tempo, se se ne dà loro la possibilità. Fredrika Runeberg credeva, come John Stuart Mills, che le donne e gli schiavi potessero raggiungere la consapevolezza di sé soltanto una volta ottenuta la libertà. Questo riguarda anche la lingua. Solo la parola libera vola».

Sofi Oksanen

Kjell Westö

Sabato 6 maggio, 18.00, Spazio Officina incontro con Fabio Zucchella, in inglese con traduzione in italiano

Domenica 7 maggio, 15.30, Spazio Officina incontro con Marta Morazzoni, in inglese con traduzione in italiano


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Giardini in tempo di guerra

Teodor Cerić

a cura di Marco Martella

Nel 1992, quando scoppia la guerra in Bosnia, Teodor Cerić, studente di Lettere e poeta, lascia Sarajevo, per sette anni cerca rifugio sulle strade d’Europa, lavorando dove capita e visitando giardini, spesso sconosciuti, marginali, nati dai sogni e dai desideri più intimi dei loro creatori. Durante questa lunga erranza, elaborerà un pensiero sul giardino fondato su una concezione romantica della natura che sorge dalla visita di questi luoghi di cui coglie la dimensione poetica ed esistenziale, e soprattutto la capacità di sfuggire al disastro della Storia, alla perversione della civiltà. Dal giardino-cimitero di Derek Jarman passando per il voluttuoso Monte Caprino nascosto tra i colli di Roma e molti altri, Marco Martella, dopo aver rivestito i panni di Jorn de Précy nel E il giardino creò l’uomo, si cala ora nel personaggio di Teodor Cerić con Giardini in tempo di guerra. E con Cerić/ Martella entriamo in uno di questi giardini.

Monte Caprino «La mia iniziazione all’ombra e ai suoi tanti piaceri ha avuto luogo in un giardino italiano, chiamato Monte Caprino. In quel periodo abitavo a Roma, in un angusto bilocale non lontano da Via dei Giubbonari, in centro. Quella città, da principio, non smetteva di disorientarmi. Col suo caos di rovine, non sembrava che celebrasse in modo ostentato la decadenza, anziché nasconderla? Se la memoria non m’inganna, James Joyce, quando vi ha abitato in gioventù, l’ha paragonata a un uomo che si guadagna da vivere esibendo il cadavere della nonna ai turisti. Ma s’ingannava. Questa è soltanto la facciata. Finii col capire che il cuore di Roma è molto più cupo e segreto di quanto il giovane Joyce potesse sospettare. Infatti, l’essenziale della vita di questa città costruita su grotte, vestigia per sempre inaccessibili, catacombe piene di ossame, non si svolge alla luce del sole ma nella penombra. Quella dei vicoli più appartati, quella dei siti archeologici minori, invasi dalle erbacce e a cui le guide turistiche accennano appena; anche quella dei vecchi giardini, spesso maltenuti e quasi abbandonati a loro stessi. Là dove non c’è più niente da “esibire”, o quasi. Una sera del mese di luglio, mentre il cielo cominciava

appena a scurirsi e io passeggiavo per le vie del centro, sfaccendato, “povero come un gatto del Colosseo” 1, mi ritrovai per caso davanti all’ingresso di Monte Caprino, seminascosto dalle fronde degli alberi. Il giardino occupa la parte poco frequentata del colle del Campidoglio. È, per così dire, la faccia oscura della collina. Gli stranieri non ci vanno mai, attratti come sono dall’altro versante, quello in cui si trovano i palazzi e la sontuosa piazza progettata da Michelangelo, dalla quale si contempla tutta la città. In quell’ora fra il lusco e il brusco, Monte Caprino sembrava assolutamente deserto, tolto qualche micio furtivo che, vedendomi, sgattaiolava dietro i cespugli. Nessun rumore, a parte il canto delle ultime cicale, turbava la pace che regnava in mezzo ai lecci, agli allori e ai vecchi cipressi. Entrai, affascinato ma un tantino inquieto. C’era profumo di mirto, dolce e sensuale, e di terra che, dopo una giornata sotto il sole ardente, comincia appena a rinfrescarsi. Il giardino della maga Circe, pensai, deve aver avuto un effetto simile su Ulisse e i suoi compagni! Per non parlare dell’isola stregata in cui Armida, la bella maga musulmana, aveva creato un giardino ingannevole in cui attirava gli uomini come in una trappola. Mi misi a esplorare il luogo. Sembrava trascurato da molto tempo. Sotto gli alberi, gli acanti classicheggianti lasciati a loro stessi formavano una massa scura e lucente, mentre l’erba giallastra cresceva liberamente dappertutto. Seguii sentieri che serpeggiavano sui fianchi della collina. Illuminati da rari lampioni, si biforcavano e poi si ricongiungevano per sparire dietro grovigli di arbusti. Un labirinto. E, pian piano, mi resi conto che il giardino aveva cominciato a popolarsi di ombre. Erano uomini, giovani e vecchi, soli o in coppia, silenziosi o assorti in conversazioni inaudibili, seduti sulle ringhiere di legno che costeggiavano i sentieri. Non tardai a capire. Monte Caprino era un luogo d’appuntamento. Seguendo uno dei viottoli, mi ritrovai in fondo al giardino, nel posto più singolare che esista al mondo. Ero ai piedi di una rupe altissima e quasi liscia. Davanti a me, alla base della parete, si aprivano grandi grotte di cui non si vedeva il fondo. Proprio in cima, debolmente rischiarati dalla luna, vidi due ragazzi seduti con noncuranza sul bordo del precipizio. Fumando, lasciavano oscillare nel vuoto le gambe, come se niente fosse. Più tardi, studiando la storia di Monte Caprino nella biblioteca del mio quartiere, scoprii che si trattava della famosa Rupe Tarpea: la cresta rocciosa dalla quale i romani facevano precipitare i traditori della patria e chi era affetto da qualche tara fisica o mentale. I maledetti dagli dèi, insomma. I superflui.

Presi l’abitudine di recarmi a Monte Caprino ogni tanto, di notte, dopo una passeggiata in città o una serata con i miei rari amici, quasi tutti immigrati dell’Europa dell’Est che lavoravano come me ai mercati generali, o nei ristoranti del centro. Al termine delle giornate canicolari di quell’estate, le tenebre del giardino erano un balsamo rinfrescante. Andavo a sedermi sul bordo di una fontana muscosa sormontata da rocaille dove l’acqua colava a goccia a goccia. Per passare il tempo, studiavo le leggi complesse, vero e proprio codice, che parevano regolare la vita dei frequentatori di Monte Caprino, il modo in cui si scambiavano occhiate, si rivolgevano la parola, si seguivano l’uno con l’altro dietro i cespugli. Oppure mi appoggiavo alle balaustre delle terrazze per contemplare la città, immersa nella luce lunare, attraverso i varchi nelle fronde degli alberi. Come diventava bella, di notte, la cupola di San Pietro, così greve sotto il sole! Come aleggiava, pallida, leggera anche se gigantesca, sul caos dei tetti, antenne televisive e campanili! Quando guardavo dall’altra parte della collina, laddove si trovavano i Fori, vedevo le colonne di marmo e gli archi di trionfo, la massa del colle Palatino proprio di fronte, immersa nel buio, le silhouette dei pini, posti sulla cresta dei colli dalla mano abile del caso. L’occhiata ardente che mi lanciava un ragazzo passandomi vicinissimo, quasi sfiorandomi, o un gatto che veniva a strusciarsi contro il mio polpaccio mi strappavano alle fantasticherie. Ricordavo che a Monte Caprino ero soltanto un intruso. Un turista. Ma com’era piacevole esserlo, in quel giardino notturno! A volte, seduto su una panchina, pensavo al mio Paese. Non era lontanissimo. Giusto al di là degli Appennini, di cui mi pareva di indovinare la massa scura a est, e, ancora più oltre, del mar Adriatico. Cercavo d’immaginare cos’era stato della mia città che le bombe, a sentire i racconti dei miei compatrioti espatriati, avevano sfigurato. E l’orto di mio padre? Aveva resistito? Visto dal giardino, tutto ciò mi sembrava irreale. La realtà, la sola possibile, era quella del luogo in cui mi trovavo. L’oscurità di Monte Caprino, che mi avvolgeva da ogni parte. Sapevo che non aveva niente di pericoloso. Al contrario, offriva un rifugio alla mia nostalgia, ai miei desideri più inconfessati. Ci si sente sempre così, mi domandavo, quando ci si ritrova soli, di notte, in un antico giardino? O è soltanto qui, nel recinto magico di Monte Caprino, che la penombra fa così bene?» Cosa importa? Avevo trovato il mio piccolo paradiso. Un luogo in grado di offrire a profusione ore di quiete trasognata. E l’alba arrivava in fretta, sempre troppo in fretta.

Marco Martella 1

È un verso tratto da “Il pianto della scavatrice”, in Le ceneri di Gramsci (1954) di Pier Paolo Pasolini.

Sabato 6 maggio, 16.30 Spazio Officina lectio magistralis Lasciarsi al bosco. Genio del luogo e giardino in un mondo disincantato


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La forza della Letteratura Dall’intervento di David Grossman alla Conferenza di Monaco di Baviera sulla sicurezza del 16 febbraio 2017

«Grazie a un particolare racconto, o a un personaggio letterario, possiamo cogliere appieno il miracolo, il terrore, la gioia, la compassione, il senso di appartenenza e di isolamento insiti nella nostra esistenza, la meraviglia di essere umani. Possiamo avvertire qualità che regimi deleteri, arbitrari, dispotici cercano di cancellare quando trasformano il singolo in massa, e talvolta in orda. E questo mi porta a un’altra dimensione della letteratura che, mi auguro, i leader politici possano adottare: la prospettiva individuale, il punto di vista del singolo che, in letteratura, rappresenta immancabilmente il punto di partenza e quello di arrivo. Stalin, con il tatto e la delicatezza che lo contraddistinguevano, una volta ha detto che una morte è una tragedia, un milione di morti è statistica. Anche se questa frase fa indignare sarebbe difficile affermare che è del tutto infondata nel mondo in cui viviamo. Ma in che modo una tragedia diventa statistica? Nel breve tempo a disposizione mi sarebbe difficile rispondere a questa domanda. Pensate solo alla reazione di molti paesi europei alle recenti ondate di profughi. Pensate a quanto in fretta una tragedia si è trasformata in statistica (e quanto inusuale e degna di nota è stato la strada scelta dalla cancelliera Angela Merkel. Quanto umano e generoso è stato il suo approccio al problema, per il quale sta pagando un pesante prezzo politico. Ma io, che appartengo a un popolo di rifugiati, che sono figlio e nipote di profughi fuggiti dall’Europa, non posso che complimentarmi con lei!). La letteratura è uno dei modi più significativi per estrapolare la tragedia della vita di un singolo dalla terribile statistica stalinista. La letteratura suscita nel lettore l’impulso di osservare un

individuo, di cercare di capirlo dentro, di studiare il suo lessico interiore, i suoi valori, i suoi errori, le sue paure, i suoi momenti di grandezza. La letteratura è l’inizio di una coscienza politica senza la quale sarebbe impossibile cambiare in meglio. Tragedie personali o assassinii di massa che si trasformano in statistica possono infatti avvenire solo in un mondo in cui gran parte della vita degli individui è asservita a una dimensione di “massa”. Solo “un’esistenza di massa” ci permette di mostrarci indifferenti ai genocidi. E questo potrebbe essere il grande interrogativo dell’uomo moderno: in quale situazione, in quale momento, divento parte di una massa? Una risposta plausibile potrebbe essere: quando smetto di definire me stesso e di chiarire le mie scelte con parole che mi appartengono, nuove, fresche, non ancora logore. Parole dalle quali non posso difendermi e che non posso ignorare. Parole che sono alla stregua di una condanna che infliggo a me stesso. Non è questa una definizione abbastanza accettabile di ciò che la buona letteratura può risvegliare in noi? Se infatti diecimila persone leggono lo stesso libro nello stesso momento quel libro leggerà ognuna di quelle persone in modo diverso, aiutandole a chiarirsi con sé stesse in maniera unica. Particelle diverse della nostra vita esteriore e interiore, dei nostri ricordi, della nostra identità “svolazzeranno” allora verso la potente calamita del libro e, in quei momenti, ognuno di noi avvertirà la propria unicità, la propria individualità, la propria appartenenza al genere umano, senza tuttavia essere parte di una massa». Traduzione di Alessandra Shomroni

A ChiassoLetteraria David Grossman sarà intervistato da Matteo Bellinelli, che nel 1999 realizzò la prima intervista televisiva mai concessa dallo scrittore (che a lungo non ha amato né le interviste né, tantomeno, le televisioni). Il suo intenso ritratto faceva parte di un'eccezionale serie prodotta dalla RSI, che comprendeva lunghi incontri con altri tre grandi autori israeliani, Amos Oz, Abraham Yehoshua e Yoram Kaniuk, da anni tra i maggiori protagonisti della scena letteraria internazionale. Le interviste sono poi state raccolte in piccoli volumi pubblicati da Casagrande (2000). Nelle dichiarazioni iniziali di Grossman, qui riportate, ritroviamo la sua profonda convizione di quella che è, o dovrebbe essere, la forza della Letteratura. «Fondamentalmente, scrivo per gli israeliani. In segreto, le dirò che scrivo soprattutto per me stesso. Ma scrivo per i lettori israeliani, perché l’ebraico è il mio “luogo” preferito. È la sola lingua che mi fa davvero sentire a casa. Scrivere è un’attività tremendamente esigente, sia per lo scrittore che per il lettore. Io mi aspetto che ogni libro che leggo mi cambi: sono molto antiquato e tradizionalista in quello che pretendo e mi aspetto dalla letteratura. I libri facili non mi piacciono: voglio emergere diverso e cambiato dall’ultima pagina di ogni libro che leggo. E ovviamente quando scrivo mi aspetto che

il libro in primo luogo cambi me: se un libro non mi cambia radicalmente, se non scuote la mia vita fino alle radici, per me non è un vero libro. Io penso che scrivere sia un’azione molto sovversiva. Una delle grandi difficoltà che essa comporta è quella di smembrarsi, di sovvertire completamente le prospettive e i confini della propria vita; e nello stesso tempo mantenerli vivi, perpetuarli, perché sono importanti per ognuno di noi. Bisogna quindi essere coscienti di tutte le incrinature della propria identità, superarle e trarne gli indispensabili insegnamenti».

David Grossman Lunedì 24 aprile, 20.30, Cinema Teatro incontro con Matteo Bellinelli, in inglese con traduzione in italiano

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Joy Harjo è nata a Tulsa, in Oklahoma nel 1951 e fa parte della nazione Mvskoke/Creek. È fra le più importanti voci della poesia contemporanea statunitense e ha ricevuto numerosi premi a livello nazionale. Le sue raccolte di poesia comprendono Conflict Resolution for Holy Beings (W. W. Norton, 2015); How We Became Human: New and Selected Poems (W. W. Norton, 2002); A Map to the Next World: Poems (W. W. Norton, 2000); The Woman Who Fell From the Sky (W. W. Norton, 1994); In Mad Love and War (Wesleyan University Press, 1990); Secrets from the Center of the World (University of Arizona Press, 1989); She Had Some Horses / Lei aveva dei cavalli, a cura di Laura Coltelli (S. Sciascia, 2001). Ha anche scritto un libro di memorie, Crazy Brave / Guerriera folle di coraggio: memoir (Ibis, 2014), a cura di Laura Coltelli, che descrive il suo percorso nel divenire poeta e grazie al quale nel 2013 ha vinto il premio letterario Pen Center USA per la narrativa creativa non-fiction. È anche performer. Suona il sassofono in solo o con la sua band The Arrow Dynamics, con la quale ha realizzato diversi album che uniscono jazz, blues e musica tradizionale. Nel 2009 ha vinto il Native American Music Award (NAMMY) come migliore artista femminile. Nel 2016 ha assunto la Cattedra d’eccellenza in scrittura creativa all’Università del Tennessee. Joy Harjo è stata influenzata dalle zie paterne, artiste e donne indipendenti, che le hanno trasmesso il sentimento di profondo rispetto per l’eredità culturale Creek. Ha seguito gli studi al prestigioso Istituto delle arti amerindiane di Santa Fe nel Nuovo Messico. Destinata a una carriera di pittrice e artista, sceglie invece la via della poesia, diplomandosi in scrittura creativa. L’inizio degli anni Settanta negli Stati Uniti è l’epoca delle lotte per i diritti civili. L’American Indian Movement è molto attivo e Joy accompagnerà con i suoi testi questo slancio di rinascita e rinnovamento delle culture native americane. L’influenza di Leslie Marmon Silko e di Simon Ortiz si rivela decisiva per Joy Harjo, che comincia a profilarsi come una delle autrici più talentuose della sua generazione. Nel frattempo diventa madre due volte e deve lavorare per mantenersi agli studi. Fa l’insegnante in Colorado, Nuovo Messico e Arizona, dove sviluppa un forte legame di appartenenza con il paesaggio, legame che traspare con potenza nella sua poesia. Ritorna sovente in Oklahoma - dove i Creek furono deportati lungo quella che fu chiamata “la pista delle

lacrime”, perdendo le loro terre ancestrali - per partecipare ai rituali della sua nazione. Incontri come lei li definisce di “stolen people on a stolen land”. Il primo libro che scrive The Last Song è apparso nel 1975 e mostra la situazione alienante dei giovani indiani, giovani spezzati, che vivono ai margini. Un universo dove sono le donne a essere chiamate a conservare la coesione tribale e a essere portatrici di un possibile riscatto. Nel 1983 appare She Had Some Horses, una raccolta dove cerca di fare i conti con le conseguenze dolorose della sua storia. Partendo da frammenti di storie personali e tribali, da uno spazio lacerato dai confini e dal filo spinato, da un luogo isolato e desolato come la riserva, trova la forza salvifica nella figura del cavallo, archetipo e metafora del mondo dei nativi americani. È fare i conti con la condizione di molti nativi delle riserve, relegati in un mondo a parte, sorta di No man’s land, e con i traumatismi iscritti nell’inconscio collettivo che sfociano in un’angoscia esistenziale. Ma la sua poesia contiene anche un germe di speranza nell’alleanza creatrice e rigeneratrice tra linguaggio, terra e l’essere donna. Joy Harjo sceglie di conservare la struttura tradizionale di canti e racconti indiani. Le sue poesie, dietro una semplicità apparente, contengono una forza evocativa che trascende i contenuti del testo. Nel 1990, esce un’altra raccolta In Mad Love and War, dove la ricerca di un equilibrio interiore e collettivo si alterna a una denuncia senza compromessi dei conflitti sul pianeta. La vera rivoluzione è l’amore e la furia si trasforma in creazione grazie al linguaggio poetico. Un linguaggio che con il passare degli anni sa unire una visione consapevole del mondo reale e lo spazio del mito andando al cuore della cultura natia. Per Harjo la poesia non deve essere relegata solo tra le pagine di un libro, ma sviluppa tutto il suo potenziale se recupera la sua dimensione originaria: la dimensione vocale. Joy Harjo dà un ruolo centrale al potere delle parole che incarnano la memoria del mondo amerindiano. La sua scrittura è testimonianza dell’identità indiana. Niente di pomposo, niente slogan, lontano dal folklore, Harjo riesce a far dialogare i miti e i paesaggi ancestrali con il mondo urbano contemporaneo, il sentimento del presente e la memoria del passato non risultano mai disgiunti. La dimensione storica nella sua opera diventa essa stessa vita tracciando un cammino lungo “the beautiful red road”. E per finire con le sue parole: “The poet’s road is a journey for truth, for justice”. (Il cammino del poeta è un viaggio per la verità, per la giustizia).

Una mappa per il prossimo mondo Joy Harjo

Joy Harjo Domenica 7 maggio, 18.00, Spazio Officina, reading incontro con Laura Coltelli, in inglese con traduzione in italiano

per Desiray Kierra Chee

Negli ultimi giorni del quarto mondo desideravo tracciare una mappa per chi avesse voluto salire e scappare dal buco nel cielo. Unici miei strumenti i desideri degli umani che emergevano dai campi dell’eccidio, dalle camere da letto e dalle cucine. Poiché è girovaga l’anima e molteplici sono le mani e i piedi bisogna costruirla di sabbia e non si può leggere con una luce ordinaria. Deve farsi carico del fuoco da portare al prossimo villaggio tribale, per rinnovare lo spirito. Nella legenda ci sono le istruzioni sulla lingua della terra, come fu che dimenticammo di riconoscere il dono, come non ci fossimo dentro e non le appartenessimo. Prendi nota della proliferazione di supermercati e centri commerciali, altari al denaro. Sono loro a descrivere meglio la deviazione dalla grazia. Che non ti sfuggano gli errori della nostra dimenticanza; la nebbia ci rapisce i figli mentre sonnecchiamo. Dalla depressione sbocciano fiori di rabbia. Dall’ira nucleare nascono mostri. Alberi di cenere ci salutano con la mano e appare e scompare la mappa. Non conosciamo più i nomi degli uccelli che qui dimorano, non sappiamo apostrofarli chiamandoli per nome.

Un tempo in questa promessa lussureggiante sapevamo tutto. Ciò che dico è verità ed è stampato come avvertenza sulla mappa. Siamo perseguitati dalla nostra dimenticanza, si aggira sulla terra dietro di noi, lasciando una scia di pannolini usa e getta, siringhe e sangue sprecato. Dovrai accontentarti di una mappa imperfetta, piccola. Il punto d’ingresso è il mare del sangue di tua madre, la piccola morte di tuo padre mentre anela conoscere se stesso dentro l’altra. Non c’è via d’uscita. Leggila attraverso le pareti dell’intestino– una spirale sulla via della conoscenza. Viaggerai attraverso la membrana della morte, sentirai l’odore di cervo arrostito che emana dall’accampamento dei nostri parenti mentre preparano la zuppa di mais, nella Via Lattea. Non ci hanno mai lasciato, siamo stati noi ad abbandonarli per seguire la scienza. Ed entrando nel quinto mondo mentre ti prepari a esalare il prossimo respiro non vi sarà una X a indicarci la destinazione, nessuna guida con parole trasportabili. Dovrai navigare seguendo la voce di tua madre, rinnovare la canzone da lei cantata. Dai pianeti, il baluginio di un fresco coraggio. E illumina la mappa stampata con il sangue della storia, una mappa che dovrai conoscere tramite le tue intenzioni, dalla lingua di altri soli.

Quando emergi annotati le orme degli uccisori di mostri, il punto in cui sono entrati nelle città di luci artificiali e hanno ucciso ciò che stava uccidendo noi. Vedrai scogliere rosse. Sono il cuore, contengono la scala. Un cervo bianco ti accoglierà quando l’ultimo umano si sarà arrampicato lasciandosi dietro le rovine. Ricordati il buco della vergogna che marchia l’abbandono delle nostre terre tribali. Non siamo mai stati perfetti. Eppure, perfetto è il viaggio che insieme compiamo su questa terra, che un tempo era una stella e commise gli stessi errori di noi umani. Potremmo commetterli di nuovo, disse lei. Fondamentale per trovare la strada è questo: non c’è inizio o fine. La tua mappa devi disegnartela tu. Versione originale in inglese tratta dal sito: www.poetryfoundation.org Da A Map to the Next World from How We Became Human: New and Selected Poems: 1975-2001 by Joy Harjo. Copyright © 2002 by Joy Harjo. Traduzione di Pina Piccolo (www.lamacchinasognante.com)


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Di boschi, alberi, segherie e taglialegna Ritorna Speciale Chiasso, la passeggiata della domenica mattina alla scoperta di luoghi, aneddoti, racconti e poesie, che per questa terza edizione raggiungerà il luogo deputato a evocare il tema “nel bosco”: le falde del Penz. Qui una tappa sarà dedicata al patrimonio boschivo, il suo sfruttamento e alle segherie idrauliche. Farà da guida Tarcisio Casari, autore di un vero e proprio compendio minuzioso e nel contempo affascinante sul tema: L’odore del legno tagliato. Rèssegh e ressegatt, trentìn e boratt in Ticino. Una ricerca spinta dalla passione che parte dal Medioevo e abbraccia un periodo di oltre seicento anni e che si estende su tutto il territorio ticinese. Per entrare nell'atmosfera vi proponiamo un bellissimo e commovente testo nel quale il grande scrittore romancio Andri Peer descrive l’attività del padre taglialegna.

Speciale Chiasso 3 Vicende storiche, letterarie, calcistiche e altro ancora Domenica 7 Maggio, 09.00 -13.00 Percorso letterario in diversi luoghi urbani e pranzo in comune

Da nossas varts — Raquints di Andri Peer (1961) traduzione di Giorgio Orelli

«Mio padre lavorava con metodo. Egli non pigliava le piante così come gli capitavano, ma considerava prima l’andamento del lavoro, e per ogni albero si domandava in che modo sarebbe dovuto cadere, affinché cadesse bene e non scorticasse alberi non segnati. Ah, come mi piaceva veder un albero abbattersi! Un tal gigante che si schianta e rovina, mentre tu per un attimo gratti ancora una nocca e qualche scheggia vola: par quasi una stregoneria. Ammiravo mio padre, la sicurezza con la quale sceglieva la pianta, e quando alzava il mento per guardare com’era cresciuta. S’avvicinava alla pianta, continuava a girarle intorno, sempre adocchiando, e le palpava e accarezzava il tronco con le sue grosse mani piene di calli e screpolature. Prima di rovesciarla le parlava con voce morbida e piccoli gorgoglii, quasi volesse scongiurarne lo spirito per vincerla meglio. “Tu vecchio larice, cresciuto come sei, mi fai una bella smorfia da questa parte; lo so che ti piacerebbe scivolar qua giù, così che ti devo tirar fuori con le mie braccia. Ma aspetta, caro mio, te, ti prendiamo da sinistra e la tacca dall’alto, poi uno strattone di corda e tu cadi bell’e sospeso in alto, vedrai”. Mi piaceva segare insieme a mio padre col troncone, l’avevo imparato abbastanza bene. Forza non ce ne voleva molta; tirava lui stesso avanti e indietro, ma tener giusto con la mano a accompagnare senza forzare, questo era il mio compito, così il taglio veniva regolare. Quando con stridori e spruzzi di segatura s’era penetrati nella parte più grossa del tronco, la sega veniva messa da parte. Adesso era il momento dell’intaccatura1. M’impressionava come mio padre afferrava l’ascia con le due mani e in arcostretto sopra la spalla la vibrava sul fresco dell’albero, talché le schegge saltavan via come piccole scatole gialle.

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In realtà, come visto sopra, normalmente prima viene praticata una tacca con la scure e in un secondo tempo si procede con la sega dal lato opposto. Fatto su: espressione di matrice dialettale che significa ‘preparato’. Andri Peer, “Ricordo di mio padre taglialegna”, in Giovanni Bonalumi, Vincenzo Snider, Situazioni e testimonianze: antologia per il grado medio degli studi, Bellinzona, Casagrande, 1976, p. 191-193 (traduzione di Giorgio Orelli).

Ad ogni colpo d’ascia ansimava, cacciando fuori l’aria dalla bocca con un suono incerto, “häch, häch”, come se faticasse. E invece non era che il suo modo di cantare lavorando. L’ascia tagliava meglio, se accompagnata da quei ritmici colpi di respiro. Di tanto in tanto gettava una rapida occhiata verso la cima. E quando la tacca gli pareva abbastanza profonda, mi mandava in un posto sicuro, prendeva la sega piccola e ci dava dentro ancora un paio di volte con la lama allegra. Qualche volta ci picchiava anche un cuneo, per aprire un taglio. È allora che d’improvviso l’albero trema tutto; comincia giù giù e va avanti fino in cima, fino alle estreme punte dei rami. Si sente un breve crepitìo nelle radici; uccelli fuggono dalla corona; il taglio s’apre adagio come una bocca larga, cadon fuori i cunei. L’albero rabbrividisce. Poi comincia a gemere e lamentarsi con rumorii sommessi e schianti sempre più spessi. Si piega a vista d’occhio sempre più in fretta e presto quella voce del legno viene soverchiata dal rumore dei rami che l’albero, cadendo, abbatte. Già rimbalza sul suolo con sordo rimbombo che scuote intorno la terra, mentre si leva una ventata di resina. Mio padre, non appena il tronco cominciava a piegarsi, stava ancora lì a due passi. Lo teneva sempre d’occhio e, come cadeva secondo le sue previsioni, non si muoveva. Ma se ballava sul ceppo e inclinava fuori della direzione, allora sì che saltava svelto da una parte e aspettava finché non era a terra. Anche durante questo tempo breve e insidioso non cessava di parlare con l’albero, di calmarlo, di tenerlo a bada: “Sta attento, che se non vuoi cadere bene ti faccio andar io dove si deve”. Oppure, se cadeva bene: “Bravo, bravo, proprio così ti volevo, proprio così. E adesso qua, figlio mio, fammi un po’ vedere cosa ci ha fatto su2 la mamma3».


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Tre voci nella natura Perché la giovane letteratura svizzera si interessa al mondo rurale? Sabato 6 maggio, 11.00, Parco delle Gole della Breggia, Torre dei forni (area ex-Saceba), Morbio Inferiore. Incontro con Anne-Sophie Subilia, Noëmi Lerch, Doris Femminis. A cura di Sebastiano Marvin, in italiano e francese In collaborazione con la Literaturhaus di Zurigo

Sebastiano Marvin

Se doveste un giorno fare l'esercizio di figurarvi chi fosse Edsger Wybe Dijkstra, uno dei pionieri dell'informatica, il mio consiglio è di immaginarlo con indosso un completo da esploratore, piuttosto che davanti allo schermo di un computer. Un po' perché, in realtà, alla tastiera ha sempre preferito la sua penna stilografica Mont Blanc. Ma soprattutto, perché non gli è mai veramente importato un granché di ciò che si potesse fare con un computer; da vero pioniere, l'unica cosa che lo interessava era ciò che ancora non si poteva fare. Secondo Krzysztof Apt, professore del Centro per la Matematica e le Scienze Computazionali dell'università di Amsterdam, Dijkstra aveva poi questa grande qualità: «sapeva formulare le proprie opinioni con una chiarezza tanto sconcertante e con una precisione così chirurgica, che queste si prestavano naturalmente a essere usate come massime, da citare in articoli o capitoli di libro, o come giustificazione per inaugurare un nuovo filone di ricerca.» Se vi parlo di un oscuro ricercatore olandese, è quindi per via di una di queste sue opinioni cesellata con il bisturi. Siamo nel 1984. Dijkstra tiene una conferenza a Austin, in Texas, il luogo che lo ha visto portare avanti gran parte della propria carriera. E mentre parla di tutt'altro, se ne esce con questa frase a proposito di una delle grandi questioni dell'intelligenza artificiale: «sapere se le macchine possono pensare […] è rilevante quanto sapere se i sottomarini possono nuotare». Ovvero, non molto. Un'altra questione di rilevanza A pensarci adesso, è anche vero che un sottomarino è piuttosto lontano da ciò che noi intendiamo per “nuotare”. Ma che dire di una salamandra robot, come quella sviluppata al Politecnico federale di Losanna, che per spostarsi nell'acqua imita effettivamente il movimento di una vera salamandra? Sta nuotando o sta facendo qualcosa di diverso? Ma soprattutto, è rilevante saperlo? L'uomo ha sempre provato a capire, descrivere e imitare la natura. Un po' per pura sete di conoscenza, un po' per carpirne i segreti, e sfruttarli a proprio vantaggio. La robotica e l'ingegneria genetica non sono che le ultime arrivate. Non è quindi un caso, se molta letteratura – dalla fantascienza alla narrativa più generalista – si sia interrogata e tutt'ora si interroghi sul nostro rapporto con la natura, in Svizzera

come altrove; o forse, in Svizzera più che altrove. Già, perché se c'è un'altra questione che forse è rilevante quanto chiedersi se una macchina possa pensare, questa è chiedersi se esista o meno una letteratura svizzera, e come sia fatta. In fondo, ciò che conta è che esiste una letteratura in Svizzera. O, detto in altri termini, che esistano delle autrici e degli autori che vivono nel nostro Paese, e che con il nostro Paese, la sua società e il suo territorio inevitabilmente si confrontano. In questo senso, credo sia importante notare come il contrasto implicito fra due miti – quello del progresso e quello di un'origine rurale e alpestre della nostra nazione, in cui l'uomo viveva in armonia idilliaca con il Creato – sia qualcosa che ritroviamo nella letteratura di tutte e quattro le regioni linguistiche. Peter Von Matt ha d'altronde trattato questo tema in modo approfondito nel suo libro La Svizzera tra origini e progresso (Armando Dadò Editore, 2016), concentrandosi però nel suo caso quasi esclusivamente sulla letteratura di espressione tedesca, dimostrando una volta in più quanto sia radicata l'idea di quattro letterature distinte. E distinte forse lo sono davvero. Ma non si può negare che siano anche radicate in un territorio e una Storia comuni. Il mondo rurale nella letteratura svizzera Certo è inutile cercare un'omogeneità dove non c'è. Per una Johanna Spyri tradotta in tutto il mondo, c'è una Catherine Colomb che ha dovuto scrivere e pubblicare quasi di nascosto per raccontare del suo Lavaux, oggi patrimonio mondiale dell'UNESCO. Per un figlio di contadini che parla dell'incombere di una valanga sugli uomini e sulle donne di un'intera valle, c'è un ex-apprendista macellaio che racconta del destino di una singola mucca. La vita alpestre è stata alle volte idealizzata – è il caso del naturalista bernese del Settecento Albrecht Von Haller, ma anche del valmaggese Giuseppe Zoppi – mentre in altri casi è stata restituita con un realismo senza fronzoli – pensiamo a Blaise Hofmann, ospitato a ChiassoLetteraria nel 2011, che con il suo Estive racconta fra le altre cose di come la lana delle pecore venga ormai bruciata, perché meno costoso che venderla. Eppure, trasversalmente e in tutte le epoche, si ritrova più e più volte la necessità dei nostri autori di confron-

tarsi con la realtà rurale, non solo per quanto attiene agli aspetti sociali, ma anche a quelli linguistici. Pensiamo a Charles-Ferdinand Ramuz, conosciuto a Parigi per aver dato alla campagna vodese una sua lingua letteraria. Dai semi del suo lavoro, sono peraltro nate altre opere, come l'eccellente Cuore di bestia della vallesana Noëlle Revaz, ospite a ChiassoLetteraria nel 2015. Ma anche il tedesco e il romancio dei romanzi di Arno Camenisch, da noi lo scorso anno e sempre più apprezzato anche al di fuori dei confini nazionali, prendono molta della loro forza dalle montagne e dai villaggi della Surselva. Insomma, se in Svizzera come all'estero si ha una certa immagine del nostro Paese, è anche grazie alla sua letteratura. O, se preferite, alla letteratura che qui da noi viene prodotta, poco importa in quale lingua. Una questione che continua a interrogare Le alpi e i bei paesaggi, i laghi e i fiumi delle nostre montagne, da far conoscere ai turisti di tutto il mondo oppure da proteggere proprio dalla loro invasione, come crede si debba fare Giacumbert Nau, il protagonista del libro omonimo scritto da Leo Tuor. Per anni pastore sulla Greina e poi cacciatore, l'autore grigionese sarà quest'anno a ChiassoLetteraria in compagnia di Chasper Pult, per presentare il suo Settembrini, di cui uscirà a breve la traduzione italiana per le Edizioni Sottoscala. Ma in un'epoca in cui il rapporto con il mondo rurale è sempre più un rapporto con le nostre origini e con il nostro passato, abbiamo ritenuto interessante andare a vedere come ne scrivono le nuove generazioni, quelle cresciute in un contesto fortemente urbanizzato, in cui il settore primario rappresenta ormai solo una piccola percentuale dell'economia. Sabato mattina, in un luogo speciale come la Torre dei Forni dell'ex-cementificio Saceba, nel Parco delle Gole della Breggia, inviteremo quindi il nostro pubblico a incontrare e conoscere tre giovani scrittrici, ognuna proveniente da una regione linguistica diversa, le quali hanno recentemente affrontato questo tema in un loro romanzo. Si tratta di Doris Femminis, di Noëmi Lerch e di Anne-Sophie Subilia, di cui vi invitiamo a scoprire i profili fra queste pagine e sul nostro rinnovato sito internet, che trovate sempre al solito indirizzo: chiassoletteraria.ch.


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12° EDIZIONE FESTIVAL INTERNAZIONALE DI LETTERATURA

ME 26.4 10.30

Monica Cantieni (Thalwil, Canton Zurigo, 1965), autrice svizzera di lingua tedesca. Vive a Wettingen e lavora come redattrice culturale alla Radio e televisione della Svizzera tedesca (SRF). Ha scritto parecchi racconti ospitati in riviste e raccolte antologiche. Dopo Hieronymus’ Kinder : eine Erzählung (Rotpunktverlag, 1996), ha pubblicato nel 2011 il suo secondo romanzo Grünschnabel (Schöffling Verlag; Schweizer Buchpreis 2011), tradotto in sei lingue; la versione italiana reca il titolo Il cassetto delle parole nuove (Longanesi, 2013). Si tratta di un’opera ambientata nella Svizzera degli anni Settanta, ai tempi delle iniziative xenofobe, in cui la voce narrante è quella di una bambina affidata a una coppia che desidera adottarla.

DO 7.5 14.00

Mattia Cavadini (Sorengo, 1970) scrittore svizzero di lingua italiana, critico letterario e giornalista radiofonico. È autore di tre testi narrativi Inganno turrito (Casagrande, 1995), Un cielo blu genziana (Capelli, 2014), un racconto di fantasia ispirato alla figura dell’architetto Tita Carloni e Ritorno dal bosco (Tipografia Helvetica, 2016). Per l’editore Manni di Lecce ha scritto due testi sperimentali, a metà strada fra prosa e poesia, Sullo sfondo (2002) e L’ultimo giorno (2005). Sul fronte della critica letteraria ha pubblicato una monografia dedicata all’opera di Giorgio Manganelli e intitolata La luce nera (Bompiani, 1997) e un saggio sulla poesia contemporanea, Il poeta ammutolito. Letteratura senza io (Marcos y Marcos, 2004).

DO 7.5 16.45

Paolo Cognetti (Milano, 1978) scrittore italiano. Ha pubblicato per la casa editrice minimum fax Manuale per ragazze di successo (2004), Una cosa piccola che sta per esplodere (2007), Sofia si veste sempre di nero (2012) e A pesca nelle pozze più profonde. Meditazioni sull’arte di scrivere racconti (2014). Sul tema della montagna ha pubblicato Il ragazzo selvatico (Terre di mezzo, 2013) e il recente Le otto montagne (Einaudi, 2016), un celebrato caso internazionale, attualmente in traduzione in tutto il mondo. È curatore dell’antologia di racconti New York Stories (Einaudi, 2015). La sua passione per New York è sfociata anche nella stesura di due guide: New York è una finestra senza tende (Laterza, 2010) e Tutte le mie preghiere guardano verso ovest (EDT, 2014).

DO 7.5 14.00

Pietro De Marchi (Seregno, 1958), saggista, poeta e professore universitario italiano. Vive a Zurigo dal 1984, dove insegna all’università. Oltre a un volume di racconti, Ritratti levati dall’ombra (Casagrande, 2013), ha pubblicato alcune plaquettes e tre raccolte poetiche, tutte edite da Casagrande: Parabole smorzate e altri versi (19901999), con prefazione di Giorgio Orelli (1999); Replica (2006; Premio Schiller 2007) e recentemente La carta delle arance (2016; Premio Gottfried Keller, 2016). Un’ampia antologia delle sue poesie, con traduzione in tedesco, è stata curata da Christoph Ferber: Der Schwan und die Schaukel / Il cigno e l’altalena. Gedichte und Prosastücke 1990-2008, con postfazione di Fabio Pusterla (Limmat Verlag, 2009). Un’altra antologia, con traduzione in inglese, è stata curata da Marco Sonzogni: Here and not Elsewhere. Selected Poems 1990-2010 (Toronto, Guernica Editions, 2012). Ha pubblicato inoltre vari studi di carattere filologico e critico, tra cui l’edizione delle Poesie milanesi di Francesco Bellati (All’insegna del Pesce d’Oro, 1996), i due volumi Dove portano le parole. Sulla poesia di Giorgio Orelli e altro Novecento (Manni, 2002) e Uno specchio di parole scritte. Da Parini a Pusterla, da Gozzi a Meneghello (Cesati, 2003). Più recentemente ha curato l’edizione dei racconti inediti di Silvio Guarnieri, Lavori d’autunno (Manni, 2012) e il volume di Giorgio Orelli Tutte le poesie (Oscar Mondadori, 2015).

SA 6.5 11.00

Doris Femminis (Cavergno, 1972) infermiera e scrittrice svizzera di lingua italiana. È cresciuta a Cavergno (Vallemaggia). Accanto alla professione di infermiera psichiatrica, per otto anni ha allevato capre in Val Bavona, poi è partita alla scoperta della civiltà urbana e, nel 2014, si è infine trasferita in una località adagiata sull’altopiano del Giura vodese, dove, con una piccola automobile blu, lavora come infermiera a domicilio. Il suo primo romanzo, Chiara cantante e altre capraie (Pentàgora, 2016), narra la vicenda - nella Cavergno d’inizio Novecento - di una giovane sposa che partorisce una bambina deforme, suscitando le paure dei compaesani che temono le forze del Male. Sullo sfondo della transumanza e dell’allevamento, tra storie di contrabbando, di internati e partigiani di passaggio, quattro bambine diventano donne, in un mondo di rigidi codici, ma in rapida trasformazione.

DO 7.5 14.00

Umberto Fiori (Sarzana, 1949), poeta italiano. Vive a Milano dal 1954. Negli anni Settanta ha fatto parte degli Stormy Six, storico gruppo del rock italiano. In seguito ha continuato a occuparsi di musica come autore di testi e come critico (Scrivere con la voce; UNICOPLI, 2003). In prosa ha pubblicato la raccolta di saggi, La poesia è un fischio (Marcos y Marcos, 2007), il romanzo La vera storia di Boy Bantàm (Le Lettere, 2007) e il Dialogo della creanza (LietoColle, 2007). I suoi libri di poesia sono: Case (S. Marco dei Giustiniani, 1986), Esempi (Marcos y Marcos, 1992), Chiarimenti (Marcos y Marcos, 1995), Parlare al muro (con immagini del pittore Marco Petrus; Marcos y Marcos, 1996), Tutti (Marcos y Marcos, 1998), La bella vista (Marcos y Marcos, 2002) e Voi (Mondadori, 2009).

SA 6.5 16.30

Massimo Gezzi (Sant’Elpidio a Mare, 1976) poeta e saggista italiano, radicato nel Canton Ticino. Ha pubblicato i libri di poesia: Il mare a destra (Atelier, 2004), L’attimo dopo : 2004-2009 (Sossella, 2009; Premi Metauro e Marazza Giovani), Il numero dei vivi (Donzelli, 2015; Premi Carducci e Tirinnanzi, Premio svizzero di letteratura) e recentemente Uno di nessuno. Storia di Giovanni Antonelli, poeta (Casagrande, 2016), un personaggio che Gezzi così ci descrive: «era un anarchico, un anticlericale, un miserabile e forse per questo il suo paese d’origine, che è anche il mio, ne ha completamente cancellato la memoria, come poeta e come uomo». In ambito poetico vi è inoltre da segnalare la plaquette trilingue In altre forme/En d'autres formes/ In andere Formen. Dieci poesie in tre lingue (Transeuropa, 2011) e alcune poesie incluse nell’antologia Poesia contemporanea. Nono quaderno italiano, a cura di Franco Buffoni (Marcos y Marcos, 2007). Ha curato con Thomas Stein il volume L'autocommento nella poesia del Novecento. Italia e Svizzera italiana (Pacini, 2010), l’edizione commentata del Diario del ’71 e del ‘72 di Eugenio Montale (Mondadori, 2010) e l’Oscar Poesie 1975-2012 di Franco Buffoni (Mondadori, 2012). La sua produzione saggistica è riunita nel volume Tra le pagine e il mondo. Dieci anni di incontri, dialoghi, letture (Italic, 2015). Vive a Lugano dove insegna italiano presso il Liceo cantonale 1.

LU 24.4 20.30

David Grossman David Grossman è nato nel 1954 a Gerusalemme, dove ha studiato Filosofia e Teatro alla Hebrew University laureandosi nel 1979. Ha cominciato la sua carriera lavorando fin da bambino alla radio nazionale israeliana “Kol Israel” come giovanissimo reporter e ha poi proseguito come corrispondente e conduttore di programmi fino al 1988. Parallelamente inizia la sua attività come scrittore e negli anni Ottanta ottiene i primi importanti riconoscimenti per i suoi lavori fra i quali si possono ricordare Il sorriso dell’a-

gnello, Il vento giallo, Vedi alla voce: amore, Che tu sia per me il coltello, A un cerbiatto somiglia il mio amore, Le avventure di Itamar, che spaziano dalla narrativa alla saggistica e ai libri per ragazzi. Da sempre è impegnato in prima persona per sostenere fortemente il dialogo e la ricerca di una soluzione pacifica della questione israelo-palestinese diventando anche in questo ambito una voce autorevole e un punto di riferimento nel suo Paese, ma non solo. È considerato uno degli autori israeliani più importanti e significativi ed è noto in tutto il mondo per i suoi romanzi tradotti in moltissime lingue.

DO 7.5 18.00

Joy Harjo (Tulsa, Oklahoma USA, 1951) poeta, performer, musicista e attivista statunitense, appartenente alla nazione dei Mvskoke/Creek. La più importante poeta nativa americana contemporanea, dopo aver frequentato l’Institute of American Indian Arts di Santa Fe, ha conseguito il BA all’Università del New Mexico e il VMFA all’Università dello Iowa. Considerata una delle scrittrici di maggior talento della sua generazione, ha insegnato in numerose università corsi di letteratura e diretto seminari di “creative writing”. Attualmente insegna inglese e studi nativi americani presso l’Università dell’Illinois e abita a Tulsa, Okahoma. Nel 2016, le è stata attribuita la Cattedra d’eccellenza in scrittura creativa all’Università del Tennessee. In questi ultimi anni si è dedicata anche al sassofono e insieme al suo gruppo, “The Arrow Dynamics”, ha inciso diversi album, in cui jazz, blues, ritmi tribali, versi delle sue poesie si fondono creando una musica di grande forza e suggestione (vincendo il Native American Music Award NAMMY 2009) . Le sue raccolte poetiche She Had Some Horses (1983), Secrets from the Center of the World (1989), In Mad Love and War (1990), The Woman Who Fell from the Sky (1995), A Map to the Next World (2000), How We Became Human (2002), Conflict Resolution for Holy Beings (2015), tutte pubblicate da prestigiose case editrici, hanno ricevuto numerosi premi letterari tra cui il William Carlos Williams Award, il Delmore Schwartz Award, l'American Indian Distinguished Achievement in the Arts Award. Più recentemente si segnala un altro importante riconoscimento ricevuto a New York: il Penn Award. Traduzioni italiane, tutte a cura di Laura Coltelli: Segreti dal centro del mondo (Quattroventi, 1992; tit. orig.: Secrets from the Center of the World, 1989 ), Con furia d’amore e in guerra (Quattroventi, 1996; tit. orig.: In Mad Love and War, 1990), Lei aveva dei cavalli (Sciascia, 2001; tit. orig.: She Had Some Horses, 1983). Con la sua opera autobiografica, Crazy Brave. Guerriera folle di coraggio : memoir (Ibsis, 2014; tit. orig.: Crazy Brave, 2012) ha ottenuto diversi prestigiosi premi tra cui il Pen Usa Literary Award for Creative Non-Fiction e il Wallace Stevens Award from the Academy of American Poets.

SA 6.5 11.00

Noëmi Lerch (Baden, 1987) scrittrice svizzera di lingua tedesca. Nel 2008 ha iniziato gli studi presso l'Istituto letterario svizzero a Bienne, proseguiti all'Università di Losanna, dove nel 2015 ha concluso il Master of Arts. È stata redattrice della rivista culturale Transhelvetica. Dal 2014 propone performances con Cellistin Sara Käser, (Duo Käser & Lerch) e collabora inoltre con il Schreibkollektiv del Literaturbüro di Olten. Nel 2015 è uscito il suo primo libro Die Pürin (Verlag die Brotsuppe), incentrato sulla vita in fattoria ed insignito nel 2016 del Premio Terra nova della Fondazione Schiller. Nel corso della primavera 2017 uscirà il suo secondo libro, Grit. Da diversi anni lavora, durante la stagione estiva, in un alpeggio della valle dell’Albula. Recentemente ha ottenuto il riconoscimento “Pro Argovia Artist 2017/18“. Vive ad Aquila, in Valle di Blenio.

SA 6.5 15.15

Maja Lunde (Oslo, 1975) scrittrice e sceneggiatrice norvegese. Vive a Oslo con il marito e i tre figli. Scrittrice e sceneggiatrice per la tv, dopo numerosi libri per ragazzi si è affermata in tutto il mondo con il suo primo romanzo per adulti, La storia delle api (Marsilio, 2017). Per mesi ai vertici delle classifiche, il libro ha vinto il più prestigioso riconoscimento letterario norvegese, il Premio dei librai, attribuito tradizionalmente alle opere che uniscono qualità letteraria a grandi vendite. Tre storie, tutte ambientate nel mondo delle api, si intrecciano in questo libro: la prima si svolge nell’Inghilterra del 1852, la seconda nell’Ohio del 2007 e la terza - in un triste mondo senza api - nella Cina del 2098. Un romanzo globale in cui, accanto al tema cardine dell'equilibrio ambientale, il motore dell'azione sono i sentimenti. Soprattutto l'amore: per il coniuge, i figli, la scienza e la propria passione.

VE 5.5 18.30

Alain Mabanckou (Pointe-Noire, Repubblica del Congo, 1966) scrittore e poeta congolese di lingua francese o, se si vuole, autore franco-congolese. Figlio unico, è cresciuto nella caotica Pointe-Noire, capitale economica del paese, insieme all’amatissima madre, figura centrale della sua vita che lo ha spinto a trasferirsi in Francia per completare gli studi. Vi approderà infatti nel 1989, dopo aver studiato legge all’università di Brazzaville. Laureatosi in diritto presso l'Université de ParisDauphine, lavora durante dodici anni per la compagnia Suez-Lyonnaise des Eaux. In Francia è diventato famoso con storie di goffi aspiranti assassini e di scapestrati outsider della città congolese dove è nato. I suoi romanzi, ricchi di parodie e riferimenti letterari, si caratterizzano per un humour incisivo e brioso. Poeta e romanziere prolifico, ha debuttato nel 1989 con il romanzo Bleu-Blanc-Rouge (Présence africaine; Grand prix littéraire de l'Afrique noire 1999). Ha pubblicato una decina di romanzi, tra cui Africa Psycho (Morellini, 2007), Memorie di un porcospino (Morellini, 2009; Prix Renaudot), Black bazar (66thand2nd, 2010), Domani avrò vent’anni (66thand2nd, 2011; Premio Georges Brassens), Le Luci di Pointe-Noire (66thand2nd , 2014), Pezzi di vetro, clamoroso caso letterario nella Francia del 2005 (66thand2nd, 2015; Le Prix des Cinq Continents de la Francophonie) e Peperoncino (66thand2nd, 2016; finalista del Prix Goncourt). Scrittore di fama internazionale, nel 2010 è stato nominato Cavaliere dell'ordine della Legion d'onore per decreto del Presidente della Repubblica e nel 2012 gli è stato conferito, dall’Académie française, il Grand Prix de Littérature Henri Gal per l’insieme della sua opera. Recentemente ha coordinato un’antologia di racconti africani sul calcio dal titolo La felicità degli uomini semplici (66thand2nd , 2016). Attualmente si divide tra Los Angeles, dove insegna letteratura francofona alla Ucla, e Parigi, dove è titolare di una cattedra di creazione artistica presso il prestigioso Collège de France.

SA 6.5 16.30

Marco Martella (Roma, 1962) storico dei giardini e responsabile della valorizzazione del verde storico del Département des Hauts-de-Seine (Francia). Figura di riferimento nel suo campo e internazionalmente noto a una comunità di cultori per le sue conferenze, vive e lavora a Parigi, dove ha fondato nel 2009 la rivista Jardins, pubblicazione annuale che si prefigge di esplorare il giardino da un punto di vista poetico e filosofico. Martella vede il giardino come ultimo rifugio della spiritualità e della poesia; ultima frontiera al di qua della barbarie e dell'alienazione; e, forse, ultima utopia - ma un'utopia pratica, tangibile. Ha pubblicato con l’eteronimo Jorn de Précy E il giardino creò l’uomo (Ponte alle Grazie 2012), e con quello di Teodor Cerić, Giardini in tempo di guerra (Ponte alle Grazie, 2015). Nella sua opera più recente Tornare al giardino (Ponte alle Grazie, 2016), stavolta firmata in prima persona, analizza l’essenza dello spazio verde, tra mito, poesia e meditazioni, per esplorarne il ruolo e i significati nel loro impatto sulla vita del singolo e della comunità.


4-7 MAGGIO 2017 / CHIASSO

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DO 7.5 15.30

Marta Morazzoni (Milano, 1950), narratrice italiana. Vive a Gallarate dove insegna lettere in una scuola superiore. Il suo primo libro, La ragazza col turbante (Longanesi, 1986), ha avuto uno straordinario successo critico in Italia e all’estero, dove è stato tradotto in nove lingue. L'invenzione della verità (Longanesi) è stato Premio Selezione Campiello nel 1988, Casa materna (Longanesi) nel 1992, e Il caso Courrier (Longanesi) premio Campiello nel 1997 nonché Independent Foreign Fiction Award nel 2001. Fra i suoi libri successivi: Una lezione di stile (Longanesi, 2002), Un incontro inatteso per il consigliere Goethe (Longanesi, 2005), La città del desiderio. Amsterdam (Guanda, 2006), 37 libri e un cane (Filema, 2008), La nota segreta (Longanesi, 2010) e Il fuoco di Jeanne (Guanda 2014). Un suo racconto I fuochi sulla montagna figura nell’antologia curata da Luca Crovi, Il cuore nero delle donne. Otto storie di assassine (Guanda, 2015).

SA 6.5 18.00

Sofi Oksanen (Jyväskylä, 1977) scrittrice e drammaturga finlandese. Figlia di un elettricista finlandese e di una madre estone, laureata in ingegneria in epoca sovietica e quindi trasferitasi in Finlandia negli anni Settanta. Ha esordito nel 2003 con Le vacche di Stalin (Guanda, 2012), romanzo che narra le vicende di una madre che ha rinunciato a successo e ambizioni nell’Estonia sovietica per seguire oltre frontiera il suo amore finlandese. In quell’agognata terra cerca di cancellare qualsiasi indizio del suo passato. Mentre la figlia scivola nel vortice di disturbi alimentari, nello sforzo di autoimporsi l’obiettivo della perfezione fisica. Il suo secondo romanzo Baby Jane (non tradotto in italiano) tematizza le vicissitudini di una donna lesbica. La purga (Guanda, 2010), suo terzo romanzo uscito in Finlandia nel 2008, inizialmente un’opera teatrale, ha venduto più di un milione di copie nel mondo. È incentrato su due parallele vicende femminili sullo sfondo storico dell'occupazione sovietica dell'Estonia dagli oscuri anni delle purghe staliniane fino alla dissoluzione dell’URSS. Quest’ultimo libro le ha procurato rinomanza internazionale e il conferimento di importanti riconoscimenti quali il Nordic Council Literature Prize, il Finlandia Award, il Runeberg Award, il Prix Femina e l’European Book Prize. Il suo quarto romanzo, Quando i colombi scomparvero (Feltrinelli, 2014), offre un potente affresco ambientato in un’Estonia invasa a turno dai sovietici, dai nazisti e poi ancora dai sovietici. Una pregnante storia di occupazione, resistenza e collaborazionismo durante e dopo la Seconda guerra mondiale che inizia nel 1941, quando due cugini, che hanno disertato le file dell’Armata rossa, si uniscono alle brigate partigiane dei Fratelli della foresta. Bestseller in patria, il libro è stato tradotto in numerose lingue e nel 2015 è stato tra i vincitori del Premio Salerno Libro d'Europa. Sofi Oksanen ha inoltre vinto nel 2013 il cosiddetto Piccolo Nobel, ovvero il Premio Nordico dell'Accademia Svedese, prima donna finlandese ad ottenere l’importante riconoscimento.

DO 7.5 14.00

Fabio Pusterla (Mendrisio, 1957) poeta, saggista e traduttore svizzero di lingua italiana. Vive tra Lugano e la Valsolda e insegna letteratura italiana presso il Liceo di Lugano e l’Università della Svizzera italiana. Collabora a giornali e riviste in Italia, in Svizzera e in Francia e dirige la collana poetica Le Ali dell’editore milanese Marcos y Marcos. Attivo come saggista e traduttore (soprattutto di Philippe Jaccottet e di altri poeti francesi contemporanei), è autore di sette principali raccolte poetiche parzialmente riassunte nell’antologia Le terre emerse. Poesie 1985-2008 (Einaudi, 2009). Il suo ultimo libro si intitola Argéman (Marcos y Marcos, 2014). Tra i principali riconoscimenti, il Premio Montale, il Premio Schiller, il Premio Gottfried Keller, il Premio Svizzero di Letteratura, il Premio Napoli, il Premio Stephen Dedalus e il Premio Vittorio Bodini.

SA 6.5 11.00

Anne-Sophie Subilia (Losanna, 1982), scrittrice svizzera di lingua francese. Anne-Sophie Subilia, di origine svizzero-belga, è nata a Losanna nel 1982. Ha studiato Lettere all’università di Ginevra. Insegnante di francese come lingua straniera, ha prima vissuto a Berlino e Strasburgo, e, dal 2009 al 2011, è emigrata a Montreal dove ha conseguito il diploma di gestione di organizzazioni culturali. È membro del gruppo “La Traversée, Atelier québécois de géopoétique”. In Svizzera, ha partecipato a vari progetti di scrittura-performance in seno all’AJAR - Collectif littéraire. Anne-Sophie si è interessata soprattutto al nomadismo e alle figure dei “flâneurs”, così come a una sorta di poetica dell’elementare che realizza con frammenti di prose poetiche, quaderni di annotazioni varie e haïku (brevi componimenti poetici giapponesi). Ha pubblicato Jours d'agrumes (L'Aire, 2013; Prix ADELF-AMOPA, 2014), Parti voir les bêtes (Zoé, 2016) un romanzo dove, con una scrittura fortemente intrisa di oralità, si dispiega un amore senza limiti per una terra condannata a scomparire e infine Que-vive (Paulette, 2016).

Do 7.5

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15.30

Kjell Westö (Helsinki, 1961) scrittore e giornalista finlandese di lingua svedese. Ha esordito nel 1986, e da allora ha pubblicato poesie, racconti e romanzi. La sua serie di cinque grandi romanzi ambientati nella Helsinki del ventesimo secolo lo hanno consacrato come uno dei più noti scrittori nordici, interprete dei grandi temi della storia recente di quell’area geografica e del loro impatto sulla vita e i pensieri della gente comune. Miraggio 1938 (Iperborea, 2017) è in corso di traduzione in 22 paesi e nel 2014 ha vinto il Premio del Consiglio nordico, il più importante riconoscimento letterario dell’ Europa scandinava. Si tratta di un sofisticato giallo letterario che narra di amicizia, redenzione e vendetta, ambientato nella Helsinki degli anni '30, mentre l'Europa si avviava verso una nuova grande guerra. Nel 2006 aveva già vinto il Finlandiapalkinto ("Premio Finlandia") per un altro romanzo storico, Där vi en gång gått, libro non tradotto in italiano e in parte ambientato durante la Guerra civile finlandese combattuta nel 1918 tra i finlandesi "rossi" (punaiset) e i "bianchi" (valkoiset) guidati dal Senato conservatore.

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SA 6.5 14.00

Leo Tuor (Rabius, Canton Grigioni, 1959) scrittore svizzero di lingua reto-romancia. Ha passato la sua infanzia a Rabius e a Disentis. Ha frequentato il liceo nella scuola abbaziale. Ha studiato, fra l’altro, filosofia e letteratura a Zurigo, Friburgo, Berlino. Ha conseguito il diploma di insegnante secondario, ed è stato per molti anni pastore di greggi sulla Greina. In inverno, Leo Tuor lavorava come documentalista presso la Radiotelevisione romancia, a Coira, e all’edizione critica delle opere di Giacun Hasper Muoth. Nell’estate 2000 ha viaggiato come rappresentante della Svizzera assieme agli autori del Literatur Express Europa 2000, da Lisbona a Mosca. Accanto a diverse traduzioni ha pubblicato anche adattamenti musicali di singole opere sue. L’attività di scrittore di Leo Tuor comprende racconti, parecchi saggi e articoli come pure adattamenti teatrali e traduzioni tratte dalla letteratura mondiale per le Edizioni svizzere per la gioventù ESG. In lingua italiana ha pubblicato Giacumbert Nau. Libro e appunti dalla sua vita vissuta (Casagrande, 2008) e Caccia allo stambecco con Wittgenstein (Casagrande, 2014). Leo Tuor è stato insignito di diverse distinzioni, fra cui il Premio Schiller e il Premio di Letteratura dei Grigioni, il premio della Fondazione UBS per la cultura per l’insieme delle sue opere e il Prix du Conseil International de la Chasse CIC, in Sudafrica. Vive con la teologa Christina Tuor-Kurth e i loro tre figli a Val, nella Val Sumvitg.

DO 7.5 11.00

Stefano Valenti (Valtellina, 1964) scrittore e traduttore letterario italiano. Di origine valtellinese, vive a Milano. Ultimati gli studi artistici, si è dedicato alla traduzione letteraria. Il suo romanzo d’esordio, La fabbrica del panico (Feltrinelli, 2013), ha vinto il Premio Campiello Opera Prima 2014, il Premio Volponi Opera Prima 2014 e il Premio Nazionale di Narrativa Bergamo 2015. Vi si narrano storie di vita operaia in fabbrica, ma anche malsane condizioni di lavoro, sottovalutate dagli stessi lavoratori, con conseguenze letali per la loro salute. Ha quindi pubblicato un secondo romanzo Rosso nella notte bianca (Feltrinelli, 2016), che segue la vicenda di un uomo, Ulisse Bonfanti, traumatizzato dalla morte violenta della giovane sorella Nerina ad opera delle brigate fasciste attive nella Valtellina alla fine della Seconda guerra mondiale, una tragica fine che Ulisse troverà la forza di vendicare ormai settantenne, trascorso quasi mezzo secolo dall’atroce episodio. Con una scrittura febbrile e incalzante Valenti evoca un trauma individuale, ma anche quello di tutta una stagione civile dell’Italia contemporanea. Tra gli autori “classici” ha tradotto Germinale di Émile Zola (Feltrinelli, 2013) e Il giro del mondo in ottanta giorni di Jules Verne (Feltrinelli, 2014).

Il festival è organizzato a titolo di volontariato dall’omonima associazione ChiassoLetteraria supportata da un apposito comitato scientifico e il sostegno del Comune e del Centro culturale di Chiasso, del Cantone Ticino, di Pro Helvetia, dell’Hupac S.A., dell’AGE S.A e di diversi sponsor privati e pubblici nonché media-partenariato di RSI Rete Due, di Extra e del Corriere del Ticino. Quello che avete tra le mani è un appassionato viaggio attorno al titolo Nel Bosco, quale avvicinamento emozionale al festival e alle sue atmosfere. È un progetto ideato da ChiassoLetteraria con lo studio grafico CCRZ nato con l’intento di valorizzare l‘interazione creativa tra testi e immagini, tra informazione e impatto visivo. Si ringraziano gli autori e gli editori per la gentile concessione dei testi. La rete culturale della Radiotelevisione svizzera, Rete Due, torna anche quest’anno a ChiassoLetteraria. Ogni giorno, da venerdì 5 a domenica 7 maggio, in diretta dalla hall del m.a.x. museo, i temi e i libri del giorno saranno discussi con i protagonisti della manifestazione. Sabato mattina spazio al dibattito e al confronto con Moby Dick, magazine di approfondimento della rete. Ci sarà, come sempre, il tradizionale concorso con in palio libri dei protagonisti di ChiassoLetteraria 2017. L’entrata al festival è gratuita ad eccezione della proiezione cinematografica, dell’itinerario letterario “Speciale Chiasso 3” di domenica 7 maggio e della cena con gli scrittori. Tutti gli appuntamenti, compreso l’evento speciale con David Grossman, saranno filmati dal Centro di risorse didattiche e digitali e trasmessi in streaming dal sito: www.chiassoletteraria.ch

Partner organizzativi ABi Associazione Biennale dell’immagine ASSI Associazione Scrittori Svizzera Italiana Associazione Archivi riuniti Donne Ticino Biblioteca cantonale e del Liceo di Mendrisio Centro di risorse didattiche e digitali Centro Giovani comunale, Chiasso Chiasso, culture in movimento Murrayfield Pub, Chiasso Spazio Lampo, Chiasso Media partner

Manifestazioni e enti partner


12° EDIZIONE FESTIVAL INTERNAZIONALE DI LETTERATURA

LUNEDÌ 24.4 20.30 David Grossman

mercoledÌ 26.4 10.00 Monica Cantieni

venerdÌ 5.5 18.30 Inagurazione Festival Alain Mabanckou

SAbato 6.5 11.00 14.00 15.15 16.30 18.00

Doris Femminis, Noëmi Lerch, Anna-Sophie Subilia Leo Tuor Maja Lunde Massimo Gezzi Marco Martella Sofi Oksanen

domenica 7.5 09.00 11.00 14.00 15.30 16.45 18.00

Speciale Chiasso 3 Stefano Valenti con Fabio Pusterla Carta Bianca a Fabio Pusterla: Mattia Cavadini , Pietro De Marchi, Umberto Fiori Kjell Westö con Marta Morazzoni Paolo Cognetti Joy Harjo

Programma completo e aggiornato: www.chiassoletteraria.ch

ORGANIZZAZIONE COORDINAMENTO E PROGRAMMAZIONE LETTERARIA Marco Galli coordinatore Franco Ghielmetti immagine Rolando Schärer redazione

CONSULENZA SCIENTIFICA

Prisca Agustoni poeta e docente universitaria Renate Amuat formatrice e mediatrice Museo Nazionale Svizzero Zurigo Goffredo Fofi saggista, critico letterario, cinematografico e teatrale Chiara Macconi giornalista Archivi riuniti donne Ticino Christian Marazzi economista

Sebastiano Marvin operatore culturale e giornalista Tiziana Mona giornalista Liaty Pisani scrittrice Fabio Pusterla poeta Nina Pusterla docente Fabio Zucchella traduttore, consulente editoriale

AMMINISTRAZIONE

Nicoletta De Carli

SEGRETERIA

Bianca Coltro Bizzotto

LOGISTICA

Guido de Angeli

UFFICIO STAMPA PER LA SVIZZERA E PER L’ITALIA

Laboratorio delle parole, Francesca Rossini e Silvia Montanari

RELAZIONI PUBBLICHE Maurizia Magni

REVISORE

Alice Snozzi

SONORIZZAZIONE E ILLUMINAZIONE Luminaudio

GRAFICA

Studio CCRZ

INTERVISTE STREAMING

Françoise Gehring caporedattrice Tatjana Boehm Galli redattrice

BLOG LETTERARIO

Manuela Fulga coordinatrice

LIBRERIA

Libreria del Corso Chiasso

DOCUMENTAZIONE FOTOGRAFICA Omar Cartulano responsabile Michela Di Savino Marta Panzeri

CATERING

FOTOGRAFIE

Daniele Walker —Studio 9010

Luisito Coltamai Casa anziani Chiasso

WEB MASTER

BAR

Vanessa Viganò

RIPRESE VIDEO E STREAMING

Centro di risorse didattiche e digitali CERDD

Cristian Bizzotto Antoine Casabianca Andrea Gianinazzi Angelo Tomada

COLLABORATORI ALL’ORGANIZZAZIONE Anna Allenbach Alessia Antonini Rudy Bächtold Valérie Barattolo Bex Bedulli Manuela Bobbià Fernando Buzzi Roberta Canonico Federica Chiesa Selvini Silvia Colombo Silvia Coltro Fera Serena Giudicetti Arianna Imberti Dosi Antonia Lepori Loris Ostini Daniele Stival Monica Thaler Giuseppe Valli

IN COLLABORAZIONE CON GLI UFFICI CULTURA E SERVIZI E ATTIVITÀ SOCIALI DEL COMUNE DI CHIASSO

Nicoletta Ossanna Cavadini, direttrice m.a.x. Museo Armando Calvia direttore Cinema Teatro Andrea Banfi responsabile Servizi e attività sociali Lucia Ceccato coordinatrice Chiasso_culture in movimento Davide Onesti Cinema Teatro

facebook.com/chiassoletteraria twitter@chiassolett


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