Pasticceria Internazionale 333 gennaio 2022

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Poste Italiane Spa – Spedizione in Abbonamento Postale DL 353/2003 (Conv. In L. 27/02/04) Art. 1 Comma 1 - NO/ TORINO N.01 /2022 - IP - ISSN 392-4718

#cioccolateria #confetteria #gelateria #confezionamento #caffetteria #cucina

gennaio 2022 | n° 333 | Anno 45


per voi

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L’ECONOMIA

virtuosa e circolare L’economia circolare è un circolo virtuoso, specie quando a nutrirlo è la cultura. Un concetto che scriviamo con orgoglio perché il Sistema Italiano del Dolce e del Gelato tanto

osannato in questi ultimi anni è proprio il frutto di questo processo virtuoso, capace di favorire la crescita, economica

capace di favorire la crescita econom

e appunto culturale, del nostro comparto.

Un assunto che a volte pare e appare come un dato di fatto, ma che invece è il frutto di un lavorio incessante, pro-

prio come quello delle gocce d’acqua che formano stalagmiti e stalattiti, portato avanti da tante persone: artigiani, aziende, distributori, scuole, fiere, associazioni e ovviamente media, fra i quali ci siamo anche noi. E oggi, nel 2022, alla soglia dei 44 anni di “Pasticceria Internazionale” (e dei 71 della Chiriotti Editori), siamo fieri di poter affermare che se questo settore è così performante, se avvengono cose magnifiche, se il Made in Italy è così apprezzato a livello mondiale, se l’evoluzione del comparto è evidente, ciò accade ANCHE grazie al profondo lavoro condividendo le proprie competenze, le proprie esperienze e le proprie visioni portato avanti dalla nostra testata.

L’impegno quotidiano che sta dietro (davanti e di fianco) è incessante, certo veicolato dalla missione di

diffondere una cultura seria, approfondita e comprovata, ma con il chiaro desiderio di costruire e solidificare ponti, connessioni e coesione fra persone ed eventi, intessere relazioni internazionali potenziando l’immagine dell’Italia. Non ci tiriamo mai indietro e ci impegniamo su più fronti, visibili e non, promuovendo un’economia circolare che spazia dalla formazione giovanile al Club italiano della Coupe du Monde de la Pâtisserie, e ad eventi speciali. Così come anche all’interno della nostra stessa azienda, moltiplicando gli strumenti - con

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, Alimentiintellettuale Funzionali, i volumi tecnico-professionali e il monWorldWide Edition, TuttoGelato serietà, profondità, autonomia do on line – per nutrire e rispettare questo circolo virtuoso, andando oltre il mero ritorno personale o economico.

Pasticceria Internazionale

Lavorare con passione e responsabilità significa prendersi cura di ciò che si fa, delle persone e delle realtà con cui lo si compie, condividendo le proprie

competenze, le proprie esperienze e le proprie visioni, tutte dettate

da quell’amore per la cultura “ben fatta”, che genera ottimismo e fiducia nel futuro.

Perché la cultura è una palestra di libertà, che insegna a pensare, a usare la ragione, la logica, a confrontarsi con la memoria e la realtà, stimolando lo spirito critico in un mondo in cui i più parlano, tutti commentano, tutti dividono,

diffondere unacompulsivo culturadiseria amano/odiano, pensando di sapere tutto. Al bisogno click&post, offriamo la possibilità di coltivare il

profondità, autonomia intellettuale, larghezza di vedute e competenza tecnica prezioso valore della complessità e dell’approfondimento. La cultura che a noi piace diffondere è fatta di serietà, autonomia intellettuale, larghezza di vedute e competenza tecnica. Esercizi resi possibili da una diffusa conoscenza del comparto, ad una fruttuosa rete di collaboratori e professionisti sulla stessa lunghezza d’onda, ad uno stretto rapporto con le aziende e con tutti coloro che operano ogni giorno lungo tutte le filiere coinvolte.

Siamo orgogliosi di questo patrimonio ed è per questo che non smettiamo di valorizzarlo e diffon-

derlo. Ecco perché “Pasticceria Internazionale” continua ad evolversi, forte di una squadra di giornalisti e contributor sempre più transnazionale ed eterogenea, sempre più consapevole delle sue capacità, delle sue potenzialità e delle sue criticità, impegnandosi a soddisfare le plurime richieste del mercato e, ancora di più, dei lettori. Un’evoluzione che passa anche attraverso un necessario e leggero lifting, per essere al passo con i tempi e favorire la leggibilità e la fruibilità in maniera sostenibile (la nostra scelta green è da tempo focalizzata su carte FSC e packaging ad hoc, sintetizzati nel claim

Chiriotti Editori Loves the Planet). E, attenzione, perché la nostra so-

stenibilità si esprime anche da un punto di vista culturale: la nostra etica ci porta a pubblicare, quindi stampare, solo

fruttuosa rete di collaboratori e professionist

informazioni serie, ben consci che non possiamo “sprecare” carta, inchiostro… per contenuti che non siano utili ;)

Di tutti i beni, la cultura è l’unico che diviso tra tutti non diminuisce, ma diventa più grande H. G. Gadamer Pasticceria internazionale 333


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Pasqua

LA COLOMBA DI ANGELA Ore 6 Primo rinfresco lievito farina W360 . . . . . . . . . . . .g 800 lievito madre . . . . . . . . . . .g 800 acqua . . . . . . . . . . . . . . . .g 300/350 Ore 9 Secondo rinfresco lievito madre . . . . . . . . . . .g farina W360 . . . . . . . . . . . .g acqua . . . . . . . . . . . . . . . .g

1000 1000 400

Ore 12 Terzo rinfresco farina W360 . . . . . . . . . . . .g 1000 lievito madre . . . . . . . . . . .g 1000 acqua . . . . . . . . . . . . . . . .g 400/450 Ore 15 .30/16 Impasto serale acqua . . . . . . . . . . . . . . . l 1,200 zucchero semolato . . . . . . . .g 1800 Mettere in planetaria tuffante a girare a velocità lenta. Aggiungere tuorli . . . . . . . . . . . . . . . kg 1,300 lievito madre . . . . . . . . . . kg 1,800 Lasciare girare per poco tempo. Aggiungere farina panettone . . . . . . . . kg 4,000 Lasciare incordare bene. Aggiungere tuorli . . . . . . . . . . . . . . . kg 1,250 Aspettare che l’impasto si asciughi e unire acqua . . . . . . . . . . . . . . . .g 750 Far girare finché l’impasto risulta asciutto ed elastico, in seguito unire burro liquido . . . . . . . . . . .g 800 in ultimo burro . . . . . . . . . . . . . . . .g kg 1,600 Far lievitare a temperatura ambiente finché l’impasto risulta triplicato. Impasto del mattino Impasto serale + kg 1,800 farina panettone Fare incordare. Quindi aggiungere nell’ordine zucchero . . . . . . . . . . . . . .g 500 tuorli . . . . . . . . . . . . . . . .g 600/700 burro liquido . . . . . . . . . . .g 400 burro . . . . . . . . . . . . . . . .g 500 sale . . . . . . . . . . . . . . . . .g 130 cubetti d’arancia candita . . . . .g 600 semi di bacche varie . . . . . . .g 7 Lasciare puntare per circa 1 ora e dare la forma. Fare lievitare. Cuocere a 160°C per 50 minuti circa, per pezzature da kg 1. Angela Lombino Il Regno del Dolce - La Bottega del Caffè Villastellone, To foto Veronica Rissolo

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Pasqua

IN TENUTA

naturale

L’estro di Nicola Giotti si estende anche allo studio di opzioni ottimali di confezionamento: il nuovo packaging nasce dall’esigenza di creare un imballaggio di lusso per le uova aerografate, che assolva alla sicurezza in fase di trasporto. La scelta è caduta su un materiale vivo, che respira: il legno cher, a livello molecolare, interagisce in maniera positiva con il cioccolato. “È un po’ come pensare ad un buon vino che invecchia nella sua botte, il principio è lo stesso”, specifica il pasticciere di Giovinazzo, Ba. La scatola è studiata per garantire un appoggio sicuro del prodotto, attraverso un piedistallo ad incastro in un sistema di tenuta a quattro punti, fornito di micro-spugnette che assicurano la stabilità e, allo stesso tempo, salvaguardano la decorazione. In questo modo, l’uovo “viene abbracciato”, mentre la gommapiuma lo blocca con delicatezza, permettendo di giocare con il baricentro, spostandolo in avanti o indietro, in base alla raffigurazione in superficie. E la chiusura in plexiglass dà piena visibilità alle decorazioni eseguite da Giotti con la sua tecnica dell’Aerografia Indiretta Speculare Lucida, che regala al cioccolato, e non solo, particolare forza comunicativa e brillantezza, visto che viene impressa direttamente nello stampo, grazie all’utilizzo di colori film coprenti. Tutti i dettagli sono approfonditi nel suo libro “Metamorfosi” (Chiriotti Editori), che contempla le applicazioni pratiche anche su isomalto e semifreddi, con stampi per cioccolato in silicone e propilene, oltre all’utilizzo del polietilene per fiori dall’estrema lucentezza. Le uova illustrate in questa pagina sono opere a quattro mani, insieme a Damaride Russi. C.M. Foto Danilo Bragazzi

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Pasqua

UN UOVO

d’autore

La Pasqua è una festa ricca di vita e calore e indica l’arrivo della primavera, per tutti una rinascita, accogliendoci con i suoi profumi e colori. L’uovo pasquale rappresenta la vita, viene dipinto sin dall’antichità, con le finalità di comunicare sensazioni positive, di pace e felicità. Ciò è possibile utilizzando i colori che la primavera svela al suo arrivo, quelli della natura che rinasce, dalle nuance calde ma fresche. Le uova possono essere decorate utilizzando svariate tecniche, dalla ghiaccia reale (con tecnica a striscio, a filo, in rilievo, pittura...) all’effetto velluto, dal lucido, con burro di cacao colorato, alle applicazioni in cioccolato plastico, sino ai soggetti in marzapane. Il nostro è in fondente, con ghiaccia reale applicata sfruttando più tecniche, mentre i restanti soggetti e l’effetto pietra sono in cioccolato. Utilizzando la pittura, gli elementi vanno eseguiti per passi successivi (fiore, figura umana, casetta...) e la sovrapposizione dei colori ci consente di raggiungere il fine desiderato grazie alla specifica tecnica. Con la ghiaccia reale possiamo realizzare sia una pittura che effetti in rilievo. Inoltre, scegliendo questo tipo di decorazione, il pasticciere può considerare la possibilità (che a volte diventa necessità), di impiegare la pittura su una forma realizzata in anticipo. La ghiaccia va stesa come la tempera e con un pennello piatto e colori alimentari si eseguono motivi floreali di grande effetto, soprattutto su basi in cioccolato per uno sfondo scuro. Bisogna però ricordare che il cioccolato e la ghiaccia sono composti contrastanti – il primo è una sostanza grassa e il secondo no – e quando si decorano le uova è necessario laccare i gusci con gommalacca, che fa da aggrappante, in modo da conferire loro lucentezza e, soprattutto, per permettere alla ghiaccia, una volta indurita, di fare presa. Per chi volesse approfondire, vi invitiamo a consultare il nostro libro “Ispirazioni - Tecniche di decorazione in pasticceria” (shop.chiriottieditori.it). Buon 2022! Carmela Moffa e Antonio Capuano

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dinamismo prorompente

LA X CHE FA la differenza

La pasticceria italiana contemporanea di Fabrizio Fiorani trova la sua “casa” a Roma. Ed è lui a raccontarcelo In questi giorni sto riordinando i miei celebri biglietti da visita in metallo, con un piccolo cambiamento. Al posto del canonico chef pasticciere sotto il mio nome ci sarà un appellativo particolare: dreamer! VENITE A SCOPRIRE IL PERCHÉ Tornare a casa ed avere il proprio nome sulla porta è pazzesco! E non è un fattore di puro narcisismo, ma di responsabilità, come se fossi in debito con chi ha creduto in me. E mi riferisco alla mia famiglia, a Diletta e al nostro cane, e a tutti quelli che giorno dopo giorno mi fanno sentire speciale! Ho fatto lo straniero per 5 anni al Bulgari di Tokyo, per poi essere nomade altri due. E adesso, ritornare a Roma è una sensazione bellissima, specie perché duratura, io che vivo di tanti magnifici progetti a tempo. E questa opzione all’interno del nuovo W Rome - Marriott, con uno spazio circo-

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scritto, diventa importante, specie con le condizioni che piacciono a me. Zucchero X Fabrizio Fiorani è il nome della boutique dolce, con una doppia possibilità di entrata: un ingresso separato su via Liguria 22 e l’ingresso dall’interno dell’hotel. Mi piace questa doppia visione, così come mi piace questo luogo, perché mia madre ha lavorato per 40 anni a 500 m da qui e io sono cresciuto in questa zona: surreale! Credo molto in queste combinazioni che diventano destino! ENTRATE CON ME La boutique si trova nell’angolo più bello dell’hotel, con due vetrine e 40 m2 illuminati da una palette di colori tenui, fra rosa, tiffany e pesca, che connotano anche il packaging. Al centro, un tavolo gigante di marmo scuro con venature sabbia e rosse, boiserie sul verdone da contorno; a completare l’opera due macchine da caffè di design

incastonate in un marmo strepitoso color oliva tenue. In questo microcosmo seguo tutta la pasticceria del W Rome, dalla prima colazione all’ultimo biscotto servito al Ristorante Giano, dove il protagonista, il capitano della nave, è lo chef pasticciere Cesare Murzilli. La consulenza per la parte salata è affidata a Ciccio Sultano, che mi ha fortemente voluto al suo fianco anche in questo progetto straordinario. La gestione dell’hotel è nelle mani, e soprattutto nella testa, dell’excecutive chef Nicola Zamparetti, coadiuvato da Christian Zandonella, general manager che ci ha visto lungo nel sceglierlo per guidare questa straordinaria impresa. LA PASTICCERIA ITALIANA CONTEMPORANEA Sono fiero di Zucchero X Fabrizio Fiorani: è il primo ed unico caso in Italia dove un


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tutto in famiglia

IL TRIO

che fa faville Grazia, Aldo e Allegra Scaglia della Pasticceria Falicetto di Piacenza sono l’emblema dell’operosità nutrita da entusiasmo e voglia di andare sempre oltre, con buon senso Era il 2013 quando dedicavamo attenzione su queste pagine alla Pasticceria Falicetto di Piacenza. All’epoca il titolo era “Contornatevi di bello” e si parlava del sodalizio d’amore e di lavoro di Grazia ed Aldo Scaglia; 9 anni dopo il mantra da noi scelto è ancora tangibile, reso più brillante dall’ingresso della figlia Allegra, a formare un trio operoso e sorridente. Grazia Pellegrini e Aldo Scaglia si conoscono giovanissimi in Liguria, nei primi anni 80, ed è colpo di fulmine. Lui è un pasticciere piemontese alle prime armi, con tante ambizioni, lei studia ancora nella sua Piacenza. L’intesa è immediata, così come l’intuizione fortunata di aprire una pasticceria nella città di lei, chiamandola con il nome del paese

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di lui. Dal 1985 il loro punto vendita su via IV Novembre è un tripudio di artigianalità e originalità, sia a livello di ricette che di presentazione. Il tutto rinnovato negli ultimi anni grazie all’ingresso della vulcanica Allegra che, proprio in fase Covid, è riuscita a dare una sferzata di energia, non solo rinnovando l’arredamento del punto vendita, ma anche portando maggiore interesse sulla caffetteria, sua grande passione. Mentre prosegue gli studi universitari in Diritto Agroalimentare, continua infatti a frequentare corsi di specializzazione nel mondo del caffè, avvolgendo i clienti nei suoi discorsi e nei suoi consigli. E, in effetti, la caffetteria è molto apprezzata ed ha permesso all’attività di non arrestarsi mai nei vari lockdown. Con il nuovo look, poi, ci

sono anche dei tavolini, per assaporare con maggiore calma le bevande, ovviamente abbinate a lievitati e dolcetti della casa. E in più, negli anni, Grazia si è appassionata di tè e oggi anche questa carta è ben nutrita, andando a confermare quanto Falicetto sia come una bomboniera, ricca di sfaccettature e dettagli capaci di coccolare una clientela molto eterogenea. “Amo il tè e il rito che porta ad una pulizia mentale, ad un’armonia contagiosa – racconta Grazia –. Volevo conoscere come nasce il tè, la cultura, i coltivatori, la pianta, il rito e così ho letto molto, ho conosciuto persone e realtà asiatiche, per andare oltre l’ovvio. E ho imparato a berlo e ad amarlo, arrivando ad acquistarlo in micro


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tutto in famiglia

Pasta sablé farina debole . . . . . . . . . . .g 350 fecola . . . . . . . . . . . . . . . .g 100 burro fresco . . . . . . . . . . . .g 300 zucchero velo . . . . . . . . . . .g 150 albumi . . . . . . . . . . . . . . .g 60 bacca di vaniglia. . . . . . . . . .n 1/2 sale . . . . . . . . . . . . . . . . .g 3 Amalgamare il burro con la farina e aggiungere la fecola, poi unire lo zucchero a velo e i semi di vaniglia. Aggiungere il sale sciolto in poca acqua e gli albumi. Una volta ottenuto

un impasto liscio e omogeneo, riporre in frigo coperto con pellicola. Cuocere la pasta sablé a bassa temperatura, per non perdere croccantezza e non avere disomogeneità di colore. Gelé di lampone e yuzu purea di lampone . . . . . . . . .g 150 purea di yuzu . . . . . . . . . . .g 20 zucchero . . . . . . . . . . . . . .g 50 gelatina . . . . . . . . . . . . . .g 3 acqua . . . . . . . . . . . . . . . .g 15 Reidratare la gelatina, scaldare le puree di frutta

con lo zucchero, poi unire il tutto, creando un inserto di spessore e dimensioni desiderati. Montaggio Cuocere la frolla in un stampo quadrato, quindi disporre un inserimento di gelé al lampone e yuzu un po’ più piccolo dello strato di frolla. Proseguire con il morbido al pistacchio cotto e tagliato, montare il cremoso all’arancia e dressarlo in spuntoni sulla superficie. Terminare decorando con fiori eduli e pezzetti di gelé.

Il dolce è stato ideato per il format “Le delizie dell’arte”, lanciato da Jonathan Papamarenghi, assessore alla Cultura del Comune di Piacenza, in onda sull’emittente Telelibertà. Con la partecipazione di guide ed esperti d’arte, ristoratori, chef e pasticcieri locali, in ogni puntata, un quadro custodito in un museo o galleria della città veniva “trasformato” in piatto. Qui il soggetto ispiratore era l’opera “La colazione del mattino” del pittore Amedeo Bocchi, esposto presso la Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi di Piacenza.

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tutto in famiglia

SUPRÈME AL VIN SANTO DI VIGOLENO DOC omaggio ad un vino eccellente della Val d’Arda

Mousse alla pasta di mandorle latte intero fresco . . . . . . . . . . . . . . . . . g 500 pasta di mandorle (almeno al 60%) . . . . . . . g 200 panna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . g 480 gelatina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . g 10 acqua . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . g 50 Scaldare una parte del latte. Reidratare la gelatina e aggiungerla al latte caldo. In un robot diluire la pasta di mandorle con il latte caldo, aggiungere il latte restante e porre in frigorifero, lasciando agire la gelatina per una mezz’ora. Quindi unire la panna montata a becco d’uccello. Dacquoise albumi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . g 450 zucchero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . g 90 tpt mandorle . . . . . . . . . . . . . . . . . . . g 750 farina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . g 75 scorza di limone grattugiata . . . . . . . . . . . g 2 Montare gli albumi, aggiungere lo zucchero e, verso la fine, la scorza di limone. Unire il tpt mescolato alla farina, fare degli spuntoni su carta da forno e cospargere con un poco di granella di mandorle. Cuocere in forno a 180°C a valvola chiusa, aprendola alla fine.

Zabaione leggero al Vin Santo di Vigoleno DOC Vin Santo di Vigoleno DOC . . . . . . . . . . . g 200 tuorli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . g 200 zucchero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . g 100 gelatina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . g 10 acqua . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . g 50 panna fresca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . g 600 Mescolare energicamente le uova con lo zucchero, aggiungere il Vin Santo e cuocere a bagnomaria sino a 82°C. Raffreddare montando in planetaria a media velocità. Nel frattempo reidratare la gelatina, montare la panna a becco d’uccello e aggiungervi prima la gelatina disciolta e poi la massa spumosa ottenuta. Albedo di limone in osmosi albedo di limone bio . . . . . . . . . . . . . . . g 200 Vin Santo di Vigoleno DOC. . . . . . . . . . . . g 30 zucchero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . g 20 Pulire i limoni, ricavare l’albedo (la parte bianca) e tagliarlo a cubetti regolari. Unirvi gli altri ingredienti ponendo il tutto in un sacchetto da sottovuoto, cuocere a bassa temperatura per 15/20 minut e lasciare riposare in frigo per una notte. Montaggio In un cerchio o stampo in silicone, stendere nell’ordine uno strato di zabaione leggero, una dadolata di albedo, la daquoise, la mousse e finire con altro strato di dacquoise. Abbattere e capovolgere, poi glassare e decorare a piacere. Aldo Scaglia Pasticceria Falicetto. Piacenza falicetto.it foto Giancarlo Bononi

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dragée

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INVERNO croccante

Nel segno del recupero intelligente, Francesco Boccia trasforma un tipico biscotto in croccanti dragée per allietare tutti i mesi invernali Finite le festività si ritorna inesorabilmente al quotidiano (e bisogna fare i conti anche con qualche chiletto in più...), ma mi accogo che, in dispensa, sono avanzati dei rococò, tipici dolci natalizi campani: un sacrilegio non recuperarli! Ed è così che li tosto leggermente al forno e li polverizzo con l’aiuto del cutter fino a farli diventare molto fini. Aggiungo poi la polvere alla copertura al latte da utilizzare nella prima fase di ricopertura in bassina. Ne risulta un dragée croccante, dai sentori tostati e dal gusto caratteristico di mandorla e nocciola.

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cioccolato

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MELO CAKE

un nuovo concetto di snack

Buongiorno e ben ritrovati. In questo numero andiamo ad approfondire la conoscenza di un prodotto legato al mondo della cioccolateria e confetteria, questa volta ispirati dal professionista belga Stephan Destrooper, titolare dell’omonima attività sita a Koksijde, sulla Costa del Mare del Nord, ed ideatore del Melo Cake. Di cosa si tratta? Nella realizzazione di questa specialità intervengono preparazioni di pasticceria, cioccolateria e confetteria allo scopo di ottenere uno snack di lunga durata, caratterizzato da un interessante gioco di consistenze. Alla base troviamo infatti una pasta frolla laminata, tagliata e cotta, sormontata da un filling cremoso, che può essere un ripieno anidro (quindi cremino o gianduia) oppure una ganache. Il tutto completato da una massa montata stile marshmallow. L’abbinamento dei tre elementi può creare combinazioni di gusto e struttura incredibili, che permettono all’operatore di spaziare in molteplici abbinamenti strutturali ed aromatici. Analizziamo qui di seguito gli elementi che lo compongono.

Per la pasta frolla di base non ci sono particolari regole o limitazioni sulla tipologia da utilizzare. Dovrà però assicurare un buon mantenimento della forma, così da poter dare definizione e struttura al prodotto. Tendenzialmente si prediligono frolle non troppo ricche di burro ma cariche di zuccheri, per un prodotto finito con buona croccantezza e taglio netto. Un dettaglio importante è la corretta cottura, che deve risultare in una perfetta “asciugatura” del prodotto, così da privarlo di residui di umidità che potrebbero comprometterne la conservazione. La farcitura si interpone solitamente tra due strati di massa montata collocata sopra la frolla di base e può essere di due tipi: anidra o ganache. Abbiamo approfondito più volte, in articoli precedenti, la composizione dei prodotti anidri e quindi sappiamo che la combinazione dei grassi al loro interno e la corretta cristallizzazione sono le chiavi per un risultato ottimale. In questo caso, la predisposizione alla lunga durata e l’isolamento del prodotto permettono una buona conservazione e il mantenimento di fragranza e consistenza. Per quanto riguarda invece la presenza di un’eventuale ganache di farcitura, dovremo essere molto accorti nella sua composizione, in quanto questa, particolarmente ricca di acqua libera, potrebbe ridurre la shelf life e compromettere la consistenza

della pasta frolla. Sarà compito dell’operatore costruire una ricetta in cui il quantitativo d’acqua sia il più ridotto possibile, pur nel rispetto dell’emulsione, e in cui la combinazione di zuccheri abbia proprietà utili a favorire la conservazione. La struttura della ganache dovrà avere una viscosità idonea al colaggio grazie ad una corretta emulsione. Ganache troppo liquide sarebbero di difficile gestione. La massa areata viene solitamente dressata in due strati: il primo direttamente sopra la frolla, a cui segue il filling cremoso che fa da farcitura, e poi un secondo. Solitamente la massa è marshmallow, la cui preparazione è relativamente semplice, tuttavia la gestione di un tale prodotto, perché abbia caratteristiche di dressaggio e gelificazione ideali, non è sempre così immediata. Esso combina al suo interno aria inglobata e una componente gelificata e, proprio per questo motivo, l’ingrediente fondamentale nella composizione è la gelatina animale. Essendo un idrocolloide di origine proteica, presenta adeguate capacità montanti in fase di lavorazione a caldo e ottimale capacità di gelificazione e di conseguente fissaggio della struttura della massa in fase di raffreddamento. Yuri Cestari

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cioccolato

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personaggi

DINAMISMO prorompente

Giovanissimo, caparbio e talentuoso, Maxence Barbot si sta imponendo sulla scena francese come uno dei volti più brillanti della sfera pasticcera contemporanea

Abituato sin da bambino a voler sempre superare i propri limiti, prima in ambito sportivo e poi in quello professionale, il giovane Maxence Barbot si è fatto largo in un settore e in una città quasi saturi di nomi celebri, mettendosi in gioco, cercando il giusto equilibrio tra ambizione e benessere nella vita privata, cogliendo le occasioni offerte dalla vita o provocate dal suo dinamismo prorompente. Messo alla prova, come i colleghi, dalla crisi sanitaria, si sta misurando con l’imprevedibilità della curva pandemica e con le trasformazioni economiche conseguenti, alle quali si aggiunge la gestione dell’offerta pasticcera di uno degli alberghi più lussuosi della capitale francese. Osserviamo come reagisce alla sfida, che ne sollecita inventività e resilienza.

GLI STUDI E LA FORMAZIONE Originario della Bretagna, dove nasce nel 1990, coltiva per 4 anni la passione per lo judo, prima che un incidente ne pregiudichi la pratica e lo orienti verso la cucina. Si iscrive, quindi, al liceo alberghiero Sainte Thérèse a La Guerche-de-Bretagne, dove ottiene il diploma di licenza Bac Pro, dopo il quale passa l’esame di CAP (Certificat d’Aptitude Professionnelle) in cucina.

I CONCORSI E LE ESPERIENZE PROFESSIONALI

©Stéphane de Bourgies

Dopo la maturità, partecipa tra il 2010 e il 2011 al Worldskills London, riservato a giovani sotto i 23 anni, ricevendo la medaglia per l’eccellenza nella categoria cucina alla finale, durata tre giorni e caratterizzata da un lungo susseguirsi di prove. È qui che incontra Alexis Bouillet, medaglia d’oro in pasticceria nella medesima competizione, che, dopo averlo notato, gli propone di raggiungerlo a Parigi per lavorare come pasticciere nelle cucine del Plaza Athénée. Fino al 2012 opera, quindi, in veste di commis nell’hotel dell’Avenue Montaigne all’epoca di Christophe Michalak, insieme a Jean-Marie Hiblot, con cui passa due anni fondamentali, grazie alla grande capacità dello chef executive del gruppo Ducasse di trasmettere gli insegnamenti e di accompagnare i giovani talenti. ”Ero felicissimo – ricorda Barbot –. L’atmosfera era talmente elettrizzante che non contavamo le ore di lavoro ed utilizzavo buona parte dei tre giorni di riposo per migliorare la mia formazione in pasticceria, dato che provenivo dalla cucina. Sono riuscito a colmare le lacune grazie al supporto di Hiblot, sempre attento a far primeggiare il lato umano dell’esperienza professionale”. Durante il periodo di chiusura dell’albergo per ristrutturazione nel 2013, Maxence partecipa allo Championnat de France du Dessert, nel quale si afferma come vice-campione nella categoria dessert al piatto. Lucien Gautier, allora pasticciere capo del George V e membro della giuria, lo invita ad unirsi alla sua squadra, in seno alla brigata di Eric

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trend internazionali

DALL’ESAGONO per lo Stivale

Il cioccolato di

RIVOIRE E ALLÉNO Il 16 dicembre scorso, Aurélien Rivoire, ex pasticciere del Pavillon Ledoyen, e Yannick Alléno hanno inaugurato al n. 9 della rue du Champ-de-Mars Alleno & Rivoire. Qui si esplica la loro visione del cioccolato, basata sulle esperienze negli ultimi anni, grazie al lavoro sulle salse in cucina, sulla canditura della frutta e sulla trasformazione di prodotti di pasticceria. Il nuovo approccio riduce l’uso dello zucchero, grazie alla linfa di betulla al posto dello zucchero di canna, il cui tenore di saccarosio imprigiona gli aromi di frutta e ganache, saturando il palato. Il dialogo con la cucina influenza i metodi di lavorazione attraverso l’importanza data alle estrazioni a freddo e alle cotture dedicate, lunghe e a bassa temperatura. La volontà di offrire una nuova sensazione gustativa, in grado di portare un cambiamento in un settore, quello del cioccolato, saturo di offerta e di filosofie, ha spinto i due a lavorare proprio sulla frutta e sulle estrazioni attraverso la cottura, a ridurre l’aggiunta di alcuni ingredienti e a candire la frutta stessa svuotandola dell’acqua, invece di aggiungervi lo zucchero. Ne consegue la proposta di un prodotto da consumare fresco, conservabile al massimo per una decina di giorni, con ganache di frutta raccolta al massimo stadio di maturazione. In catalogo, tre collezioni: Créatifs, Héritages e Tablettes, a cui si affiancano le creazioni signature come L’Unique, bacca di vaniglia al cioccolato guarnita con crema di caviale di vaniglia, o L’Orfèvre, guscio al cacao rivestito di uno strato di cioccolato al latte, ricoperto di granella di nocciola dorata. A questi prodotti, si aggiunge una selezione di tavolette Terroirs de France, grazie alle quali si celebra l’accordo ideale con i grandi vini francesi ed i distillati. Il negozio, nell’elegante 7° arrondisement, è stato disegnato da Laurence Bonnel, scultrice, che si è ispirata all’atmosfera di un’antica confetteria, seppur riletta in chiave contemporanea, mentre la direzione della prima boutique, è affidata a Marine Picard, collaboratrice di Alléno nello sviluppo del suo marchio da circa 5 anni e testimone degli esperimenti in laboratorio di Rivoire. chocolat-allenorivoire.com

Il Salon des Manufactures di

DUCASSE

Un luogo unico, a due passi dal Louvre e dal Palais Royal, in cui immergersi nelle tre collezioni delle Manufactures. Nel cuore storico di Parigi, di fronte alla Bibliothèque Nationale, il Salon des Manufactures è il nuovo nato della galassia di Alain Ducasse, un’immersione nello stile francese del 18° secolo, riletto in chiave moderna da Marie Deroudhile con fogliame esotico e tessuti Rubelli, nel quale poter scoprire cioccolato, caffè e gelato declinati secondo lo stile del più dinamico degli chef transalpini. Aperto dalle 12 alle 19 dal mercoledì alla domenica, il Salon propone una carta disegnata dallo chef italiano Alessandro Lucassino, con un’offerta per il pranzo che vede l’abbinamento del salato e gelato, come la melanzana cotta e affumicata all’aglio nero e melograno, accompagnata da sorbetto di melograno e menta. Per la merenda si avvicendano piatti dolci e gelati che valorizzano i savoir-faire delle tre maison. Ducasse, sempre attento ad ottimizzare l’uso dei prodotti del marchio, ha infatti voluto esplorare nuove possibilità di consumo delle creazioni attraverso l’ampliamento dell’offerta e l’incontro tra dolce e salato, proposto in piccoli piatti da degustazione, senza carne, nello spirito del concetto della naturalité, a base di pesce, cereali e verdure, tutti accompagnati da gelato e sorbetto a pranzo. Lo schema si ripete per il goûter, con il soufflé al cioccolato a base di cacao Perù 75% o l’aerea mousse con cacao Madagascar al 75%, o, ancora, la tarte citron destrutturata. Lucassino, originario di Follonica, in Toscana, dopo gli studi presso l’istituto alberghiero della sua città, ha dapprima collaborato con Ducasse alla Trattoria Toscana, per poi raggiungere il Jules Verne, dove in 5 anni è passato da commis a sous chef, e poi al Plaza Athénée. In qualità di chef del Salon, ha concepito due carte, la prima per il pranzo, la seconda per la merenda a partire dalle 15, nella quale ha inserito anche una formula di degustazione per l’afternoon tea. La domenica, lo spazio è aperto per il brunch su prenotazione. lechocolat-alainducasse.com Domenico Biscardi

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COL LE ZIONE ESCLU SIVA La tartelletta lime e basilico di Jordan Talbot

Lo chef pâtissier del Lucas Carton, il ristorante con una stella Michelin Parigi in Place de la Madeleine, si cimenta con uno dei 4 dolci preferiti dei francesi, la tartelletta al limone, qui nella versione al lime e basilico. Una creazione antica, nella sua forma originaria inventata nel 18° secolo dai Quaccheri in Inghilterra, amatissima negli Stati Uniti nella versione della Key Lime Pie, popolare durante i lunghi viaggi ai marinai contro lo scorbuto, grazie alla dose massiccia di vitamina C contenuta, e poi diffusasi in Europa continentale attraverso la Svizzera, dove il pasticciere di origine italiana Gasparini avrebbe inventato nel 1720 la celebre meringa. Ma è stata la statunitense Elizabeth Goodwell che, nel 1806 avrebbe per prima codificato la ricetta della torta al limone come noi oggi la conosciamo, a base di pochi elementi: pasta frolla, uova, burro, farina e zucchero a velo. Jordan Talbot ce ne consegna una lettura raffinata e dal gusto fine ma deciso, più fresca, meno grassa e più vegetale. Domenico Biscardi

TARTELLETTA AL LIME E BASILICO Per 4 tartellette singole Pasta frolla alle mandorle panetto di burro freddo g 130 zucchero a velo g 82 farina grezza di mandorle g 32 sale fino g 2,5 farina T55 g 211 uova intere g 41 massa totale g 500 Impasto e laminazione Sabbiare il burro freddo con farina, zucchero e sale. Aggiungere le farine setacciate e poi le uova. Conservare per 12 ore a 4°C. Taglio e modellatura Stendere l’impasto a 2 mm alla sfogliatrice.

Tagliare delle strisce di 24 cm di lunghezza e 2,5 cm di altezza. Tagliare un disco di 7 cm di diametro. Rivestire gli stampi con i tagli preparati e rimettere in frigo. Cottura Cuocere a 150°C su Silpain (tappetino in silicone antiaderente e perforato) e griglia fino ad una colorazione omogenea; quindi far raffreddare. Crema lime e basilico succo di lime basilico fresco uova intere zucchero semolato scorze di lime tuorli

g 170 g 6 g 165 g 165 n 3 pezzi g 25

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il pensiero pesante

LA CULTURA

come materia prima Le parole sono fondamentali. Curare il modo in cui si parla del proprio lavoro dovrebbe essere una priorità

Mettereste le vostre perfette mignon in pirottini frusti? Infilereste una sontuosa meringata in un sacchetto del supermercato? Fareste servire dessert impeccabili da camerieri scortesi con l’uniforme stazzonata? Non credo proprio. Allora perché ne parlate usando frasi fatte, anglicismi inutili, periodi sgangherati? Non sono vere domande: è solo l’irrazionale moto di sconcerto che mi prende quando ascolto alcune esternazioni o le leggo sui social media. Professionisti di primordine, che curano ogni minimo dettaglio del lavoro… tranne il modo in cui lo descrivono. Non si generalizza, ovviamente, ma è impossibile ignorarlo. So bene che queste parole possono apparire indelicate, se non addirittura offensive, nei confronti di professionisti che non hanno potuto o voluto interessarsi a italiano e storia per focalizzarsi sull’affinamento del talento, sulla padronanza tecnica, sulla conoscenza delle materie prime e su quanto connesso alla produzione. Ci tengo quindi a premettere che non mi sogno neppure lontanamente di bacchettare o deridere. La mia intenzione, piuttosto, è fotografare una situazione, partendo dai fatti come fa uno storico con le fonti. E magari trarne qualche riflessione costruttiva. DAL LABORATORIO AI SOCIAL Fin dagli anni Novanta, col dilagare della cucina e della pasticceria in televisione e sul web, e l’assurgere a status divistico di cuochi e pasticcieri, i mestieri di bocca sono usciti dal laboratorio (o dalla cucina). Per pasticcieri, gelatieri e pastry chef di alto livello il fare dimostrazioni e parlare in pubblico è parte sempre più integrante dell’attività. A

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La comunicazione social ha ridotto ai minimi termini l’uso dell’articolazione verbale a favore di frasi lapidarie, emoticon e immagini, ma le parole restano fondamentali: a loro è affidata la delicata missione di codificare e trasmettere il pensiero, l’approccio, la personalità di chi parla tutti, i social media hanno offerto un mezzo promozionale efficace ed economico. L’apertura – neanche troppo metaforica – del laboratorio ha portato a lavorare sull’immagine non solo dei prodotti ma di tutto il contesto. Negli innumerevoli video postati quotidianamente, il laboratorio si vede o intuisce impeccabile e tecnologicamente avanzato, il gesto professionale è elegante, le glasse luccicano, il cioccolato scorre sensuale, i colori si inseguono e mescolano in infinite combinazioni. Anche i pasticcieri e le pasticcere sono diventati più belli e videogenici: trucco perfetto, capelli e sopracciglia curatissimi, barbe scolpite, mani e braccia glabre (alleluia!), tatuaggi di tendenza, occhiali in tinta... Di pari passo è si è evoluta la dimestichezza col mezzo: disinvoltura e piglio sono da consumati comunicatori a proprio agio di fronte a un pubblico virtuale. I lunghi mesi di confinamento pandemico, poi, in cui i social media sono stati un’ancora di salvezza, hanno portato in video anche gli artigiani “vecchio stile”, e persino i boomer più schivi parevano presentatori di lungo corso. I prodotti, non serve ma fa piacere ribadirlo, sono quasi sempre spettacolari, perché il talento e la competenza sono fuori discussione.

ALLORA DOV’È IL PROBLEMA? Il problema è che, appena gli interventi si fanno più articolati, può registrarsi una vistosa discrasia. Da una parte, la qualità evidente dei prodotti, la cura maniacale del lavoro, la valentìa dell’artefice; dall’altra, un’esposizione segnata da errori/orrori ortografici e grammaticali che la scuola dell’obbligo dovrebbe aver debellato, povertà lessicale, anglicismi a spaglio e sproposito, difficoltà nell’organizzare e strutturare il discorso in modo coerente... Non si tratta di una questione marginale o di un puntiglio arido da grammar police, perché l’effetto concreto è evidente: se l’artigiano è naturalmente dotato di parlantina sciolta, carisma e capacità di coinvolgere il pubblico, insomma se oltre ad essere un bravo professionista è anche un buon intrattenitore, allora gli strafalcioni e la sintassi barcollante passano in secondo piano, magari fanno anche simpatia. Se invece non è particolarmente loquace, istrionico o dotato di comunicativa naturale (del resto, non è tenuto ad essere attore o cabarettista) allora, a parità di talento, rischierà di sembrare insicuro, noioso o addirittura meno bravo. E questo può essere o diventare un problema.


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tecnologie alimentari

ATTIVITÀ DELL’ACQUA negli alimenti

Sapere quanta acqua c’è in un un alimento è importante per prevedere i possibili rischi microbiologici e/o degradativi. Ma non è sufficiente. Occorre anche conoscerne il comportamento in quell’alimento Tutti gli alimenti, persino quelli più secchi (farina, zucchero…) contengono acqua, la cui presenza impatta in modo determinante sugli aspetti collegati alla sicurezza e alla shelf life. Infatti l’acqua, sia quella costitutiva intrinseca negli ingredienti, sia quella aggiunta nel corso del processo produttivo, svolge un ruolo funzionale e primario, in quanto agisce da solvente, reagente, lubrificante e strutturante, e influenza sicurezza, stabilità, qualità e proprietà fisiche del prodotto alimentare. Ecco perché è cruciale andare a vedere come si comporta nell’alimento. Le molecole d’acqua sono polari e interagiscono tra loro e con le altre molecole attraverso legami che si possono formare e disfare con estrema facilità. Più l’acqua è impegnata in queste interazioni e meno è disponibile per supportare la crescita dei microrganismi (batteri, lieviti e muffe) e favorire reazioni chimiche e biochimiche, a vantaggio della shelf life degli alimenti.

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PRECISAZIONI TRA SCIENZA E PRATICA Una volta si usava il termine acqua legata per indicarne la porzione non disponibile alla crescita dei microrganismi, ma ora si preferisce non ricorrere a questo termine perché, in realtà, i legami che si instaurano sono caratterizzati da instabilità. È stato osservato che anche nei prodotti solidi a bassa umidità, infatti, le molecole d’acqua hanno una libertà di movimento relativamente elevata. Viceversa, risulta impossibile separare completamente la porzione di acqua libera, cioè quella che non interagisce con gli altri componenti della matrice alimentare. Secondo un approccio più recente, l’acqua agirebbe come plasticizzante della materia, determinando lo stato fisico delle fasi dei sistemi multifase quali sono le matrici alimentari. In base a questa teoria, la dinamica dei cambiamenti che avvengono nell’alimento può essere predetta dalla temperatura di transizione vetrosa, più che dall’attività

dell’acqua. È un concetto complesso sul quale non ci soffermiamo, ma diciamo solo che è collegato alla mobilità molecolare. A livello pratico, comunque, l’idea di acqua libera rappresenta un criterio utile per modellare e predire il comportamento dei prodotti alimentari durante il processo produttivo e lo stoccaggio. COS’È E COME SI MISURA aw La presenza di acqua libera in un prodotto è espressa attraverso il concetto di attività dell’acqua, in sigla aw (water activity), definita come pressione relativa di vapore. Si tratta del rapporto fra la pressione esercitata dal vapore (cioè dall’umidità dell’ambiente a contatto) nello spazio di testa sopra il campione del prodotto (P) e la pressione del vapore nello spazio di testa sopra l’acqua alla stessa temperatura (P0): aw = P/P0 Essendo un rapporto tra grandezze che hanno la stessa unità di misura, aw è


tuttogelato

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QUALITÀ NATURALITÀ SEMPLICITÀ l’etichetta pulita in gelateria Secondo la visione attuale, l’adozione dell’etichetta pulita (clean label) è una delle più grandi conquiste in fatto di cibo, anche se il concetto non è nuovo. Anni fa l’Unesco aveva lanciato il programma “Decennio dell’Educazione allo Sviluppo Sostenibile” (DESS) 2005-2014, campagna promossa dalle Nazioni Unite per sensibilizzare giovani e adulti di tutto il mondo verso la necessità di un futuro più equo ed armonioso, rispettoso del prossimo e delle risorse del pianeta. Avendo ovvie ricadute anche in ambito alimentare, ricollegandoci a tale programma che prevede un impegno che continuerà sino al 2030, con i miei collaboratori dell’epoca, a Sydney, avevamo realizzato una serie di interventi mirati. A questo link cnesagenda2030.it/uploads/1/2/0/9/12092833/programma_nazionale_delle_iniziative_unesco_sess_2012. pdf trovate il programma di allora, per vedere esempi di iniziative e quali organizzazioni avessero già lavorato nel 2012. Ma ritorniamo al concetto di partenza: cosa significa etichetta pulita? Ed è sempre garanzia di cibo “pulito”? L’indicazione si riferisce a prodotti alimentari o bevande realizzati con un numero limitato di ingredienti naturali, genuini e riconoscibili. Oggi i consumatori sono sempre più alla ricerca di prodotti di questo tipo, privi di sostanze trasformate, e in un mondo ideale potrebbero prendere alla lettera le etichette senza troppi problemi. In realtà esse non garantiscono che un gelato (o qualsiasi altro cibo) sia più sano di altri. Questo perché ci sono produttori che si limitano a “giocare” sull’etichettatura per accordare i loro prodotti alle preferenze dei consumatori. Per esempio utilizzando nomi di ingredienti

alternativi, per creare aspettative positive sulla salute, o addirittura manipolando le liste della materie prime. Quindi, per guadagnare, piuttosto che riformulare un prodotto per renderlo “più pulito” (rimuovendo gli additivi artificiali per sostituirli con un’alternativa naturale), si sceglie di essere “intelligenti” con l’etichettatura, in modo che sappia attirare sfruttando il desiderio di cibi naturali. Per anni, il consiglio dato a coloro che volevano scegliere alimenti più sani e meno elaborati è stato quello di cercare prodotti che elencassero materie prime integrali come primi ingredienti della lista, oltre ad essere scettici nei confronti di alimenti con lunghe liste di ingredienti, specie se non riconoscibili. Oggi dobbiamo imparare ad individuare le etichette meno pulite di quanto sembrano prendendo confidenza con quelli che, a volte, sono solo trucchi di marketing. Cosa fare dunque per non essere tratti in inganno? Ecco cinque punti da valutare quando si ordinano semilavorati e articoli di supporto alla produzione.

mo di aver acquistato il meglio della panna fresca (a lunga conservazione) o vegetale senza leggerne i contenuti. L’alone salutistico creato da queste affermazioni può anche indurre a pagare di più. Quindi consiglio di affrontare queste affermazioni con il dovuto scetticismo.

UTILIZZO DI PAROLE CON “ALONE SALUTISTICO” I termini “naturale”, “biologico” e “a base vegetale” sono considerati attributi positivi. Quindi non sorprende che queste indicazioni siano utilizzate dai produttori anche per il loro “effetto alone”, cioè per persuadere che un prodotto così definito sia più sano o migliore di altri simili. Tuttavia, lo zucchero “biologico” da un punto di vista nutrizionale è ancora solo zucchero. E gli hamburger “a base vegetale” possono essere salati e avere poco in comune con le piante da cui derivano. Il discorso è simile quando pensia-

IL NOME PIÙ “NATURALE” Alcuni ingredienti possono essere etichettati in modi differenti, quindi è vantaggioso per i produttori utilizzare il nome che suona più naturale o, almeno, innocuo. Gli additivi alimentari sono un esempio calzante. Se si vuole acquistare pasta di frutta o confettura di fragole è più probabile che venga scelta quella con pectina o quella che contiene agente gelificante (E440)? In realtà sono lo stesso ingrediente, ma a molti la pectina può sembrare più familiare e naturale. Lo stesso vale per l’acido ascorbico, altrimenti noto come vitamina C, per arricchire sorbetti o

AFFERMAZIONI SU CIÒ CHE NON C’È “Senza grassi”, “senza zuccheri aggiunti”, “senza coloranti e aromi artificiali”… Tutti abbiamo letto affermazioni di questo tipo su una confezione e lo scopo può essere quello di dirigere l’attenzione su ciò che non c’è, al fine di distrarre da ciò che vi è contenuto. Se un prodotto non contiene zucchero, grassi, OGM o additivi artificiali, ciò non significa che sia naturale o benefico. Lo yogurt, per esempio, può non avere “zuccheri aggiunti”, ma contenere una lunga lista di altri ingredienti – tra cui polidestrosio, addensanti, gelatina, dolcificanti artificiali, acesulfame di potassio, sucralosio… – oltre al latte e ai fermenti lattici vivi, che ne costituiscono la base.

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spazio ai giovani

FUTURO (IN)CERTO in tour

Da nord a sud, da est a ovest, in questi due anni non ci sono stati solo Covid e crisi, ma anche l’intraprendenza di giovani che hanno avuto coraggio e lungimiranza di mettersi in gioco e dare vita alla propria attività

Per questo numero abbiamo deciso di fare una versione estesa della rubrica “Futuro Incerto”, intervistando in simultanea più protagonisti per una fotografia “di gruppo” e di come, ciascuno di loro, abbia affrontato questo periodo per comprendere motivazioni e stimoli che li hanno condotti al dar vita al loro nuovo mondo, tanto sognato e immaginato. Cominciamo il viaggio al caldo, nella Calabria di PIERPAOLO CONTE, oggi proprietario della pasticceria The Relish a Marina di Catanzaro. Come si evince già dal nome, letteralmente “il gusto”, il focus del locale è l’attenzione alla qualità e agli ingredienti, nella forma e nella sostanza. Qual è stato il tuo percorso? Da 12 anni sono nel settore, avendo lavorato per un anno nella pasticceria di uno zio di mia moglie. Nel 2012 la svolta: lo stage in CAST Alimenti mi ha fatto comprendere quanto volessi dedicarmi in tutto e per tutto alla pasticceria moderna. La formazione è proseguita per altri 2 anni a San Giorgio delle Pertiche, Pd, al fianco della persona che ritengo decisiva per la mia crescita: Luc-

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ca Cantarin. I successivi 5 anni sono stato nomade, in giro per l’Italia e all’estero, per accumulare esperienza. Infine ho preso la decisione di tornare nella mia città, a Catanzaro, per ricongiungermi con mia moglie e i miei figli. Quando è nata l’idea di aprire una tua attività? L’idea di avviare un’attività nella quale sperimentare ed esprimere le mie passioni è sempre stato un sogno. Durante il lockdown ho deciso di investire per realizzarlo: da un’idea è diventata prima una bozza su carta, poi un progetto, fino ad essere reale. Oggi condivido il sogno con un gruppo di persone ugualmente ambiziose, per proporre nuove idee e vivere nuove esperienze, ma soprattutto con mia moglie, Heléna, che da sempre mi sostiene e mi accompagna. Questi 2 anni sono stati complessi per tutti, ma hai avuto il coraggio di intraprendere una nuova strada: come hai vissuto tutto ciò? Tutto il settore della ristorazione è stato messo a dura prova. Le incertezze e le paure hanno

modificato il modo di vivere. Io ho scelto di interpretare i cambiamenti concentrandomi sui lati positivi: la maggiore attenzione verso ingredienti e prodotti di qualità, la nuova voglia di momenti conviviali, le opportunità di business finora non sfruttate né considerate. Il Covid è stata solo una minaccia o anche un’opportunità? Né l’una, né l’altra. È stato e continua ad essere un momento storico che dobbiamo affrontare e vivere con serietà ed attenzione. Come credi abbia cambiato il settore e cosa hai fatto per adeguarti già in partenza? Ne ha sofferto, ma con metodo rigoroso, un’ottima organizzazione interna e l’attenzione verso processi produttivi e tecnologici sostenibili, oggi si può esser pronti a guardare con ottimismo al futuro. Lo rifaresti o cambieresti qualcosa? Certamente sì, siamo solo all’inizio! FB facebook.com/relishpasticceria/ IG @relish.pasticceria therelish.it


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sapere il sapore

THINK taste Con entusiasmo e tecnica, Gian Luca Forino continua il suo viaggio reale e culturale intorno al globo, alla ricerca di materie prime inedite e abbinamenti evolutivi Creare nuovi dolci è una sfida con noi stessi. Dobbiamo immaginare non solo la tipologia del prodotto, ma anche la sua struttura, la temperatura di degustazione e l’abbinamento dei gusti. Quest’ultimo aspetto è forse il punto più complesso perché è legato ai sensi – gusto, olfatto, tatto -– ed è, per sua stessa natura, molto soggettivo. Ciò può spaventare, impedendoci di osare nuovi accostamenti. Ma oggi, nel pieno della globalizzazione dove ogni ingrediente è reperibile quasi ovunque, la possibilità di ideare abbinamenti inediti è enorme, perché possiamo attingere dalle tradizioni e dalla cultura di Paesi sparsi in tutto il mondo. Sarebbe quindi un peccato privarci di queste opportunità, senza considerare che inserire proposte più audaci nel nostro assortimento ci distingue, incuriosendo e fidelizzando la clientela. Questa nuova rubrica nasce dunque dall’esigenza di comprendere al meglio alcuni ingredienti (anche esotici) ed imparare ad abbinarli, così da creare nuovi prodotti che stupiscano già dal primo assaggio. Per capire come arrivare a questo risultato, analizziamo insieme il processo che porta alla realizzazione di un dolce dal gusto “complesso”. Banana & cioccolato L’abbinamento è classico, ma poco utilizzato in pasticceria. Nel mio Caramel&Bananut, a banane e cioccolato si uniscono caramello, frutta secca e spezie. Ingredienti dalle note molto riconoscibili e facilmente abbinabili tra di loro: miscelandoli insieme otteniamo caratteristiche di dolcezza, amarezza, grassezza, corpo ed intensità che creano equilibrio nel prodotto finale. Da un lato abbiamo la banana, un frutto acidulo, pastoso, esotico e speziato, e dall’altro il cioccolato tostato, con il suo carattere forte ed il bouquet aromatico caratterizzato a seconda della provenienza delle fave di cacao. I due si amalgamano bene, pur suscitando sensazioni gustative differenti, perché si completano a vicenda. Tale binomio di partenza, a prima vista semplice, diventa più complesso e goloso andando a sfruttare le note leggermente speziate della banana e quelle tostate del cioccolato, con l’aggiunta di alcuni elementi. Quando componiamo la ricetta con ingredienti che possono sembrare lontani tra loro, dobbiamo sempre avere cura che questi convivano in armonia, addizionando le note mancanti, così da rendere completa l’esperienza gustativa.

Uno dei metodi da seguire è quello degli abbinamenti per similitudine. Nella nostra ricetta inseriamo anice stellato e macis, due spezie che possono essere splendidamente integrate (la ditta mia fornitrice ufficiale è emporiodellespezie.it). La prima ha un profilo aromatico dolce, che ricorda la liquirizia, balsamico, agrumato, pepato e caldo; la seconda possiede note legnose, d’incenso, vellutate, calde, ed intense. Sono quindi spezie complementari che, aromatizzando il caramello, conferiscono gusto più profondo e rotondo. Un altro elemento fondamentale è la selezione della tipologia di cioccolato che, attraverso le sue note tostate, deve abbinarsi bene alle spezie, esaltando così i sentori di frutta matura. Per questo motivo opto per un monorigine della Repubblica Dominicana, che mi permette di supportare la banana, le spezie ed il caramello. Le noci pecan hanno invece sapore amaricante, legnoso e di melassa: una volta caramellate, sono trasformate in un pralinato à l’ancienne. Unendo gli elementi descritti si ha un dolce complesso e profondo, ma manca un’ultima nota gustativa caratterizzante. Ci serve infatti qualcosa di agrumato, che aiuti a rinfrescare una degustazione carica di sapori intensi. Per il pralinato di noci di pecan, vado quindi ad inserire del pepe di Sichuan, con note di pompelmo e di cedro, in modo che il dolce si completi in tutte le sue sfaccettature. Qui trovate una descrizione schematica del mio elaborato, con alcune informazioni sul macis e, ovviamente, la ricetta. Vi invito a provare il dolce: se vi fa piacere, contattatemi attraverso i miei canali social e raccontatemi come è andata!

Quando componiamo la ricetta con ingredienti che possono sembrare lontani tra loro, dobbiamo sempre avere cura che questi convivano in armonia, addizionando le note mancanti, così da rendere completa l’esperienza gustativa Pasticceria internazionale 333

Gian Luca Forino


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sapere sapereil ilsapore sapore

CARAMEL & BANANANUT Pasta frolla farina g 1000 zucchero a velo g 250 sale g 4 bacca di vaniglia n 1/2 burro g 500 uova g 120 Impastare la farina con il burro a cubetti. Aggiungere zucchero, uova,

i semi della bacca di vaniglia e il sale. Ricavare dei panetti e lasciare riposare per 12 ore. Stendere a 3 mm, formare delle tartellette e cuocere a 150°C per 20 minuti. Caramello mou speziato zucchero macis in polvere anice stellato

g g g

400 1,2 1,2

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aziende

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STORIA DI FAMIGLIA in evoluzione

I 20.000 m2 che ti accolgono appena parcheggi davanti al nuovo mondo di Selmi Chocolate Machinery raccontano sin dal primo colpo d’occhio una storia, un percorso e una visione. Quelle della famiglia Selmi, ovvero del padre Renato e del figlio Paolo. Da gennaio 2021, l’azienda che produce macchine per la lavorazione del cioccolato, e tostatrici per caffè, fave di cacao e frutta secca, si è trasferita da Santa Vittoria d’Alba a Pollenzo, Bra, fiorendo in uno stabilimento nuovo, sognato, disegnato e realizzato dai titolari per contenere una crescente produzione e raccontare in ogni dettaglio la missione di divulgare conoscenza e applicabilità, in Italia e nel mondo. Il tutto partendo da una hall centrale dal grande respiro, con un gioco geometrico e materico dato dallo scalone laterale e da due passerelle sospese. “Ci sono voluti tre anni di lavoro, partendo dall’acquisizione del terreno, con mio padre e l’architetto Diego Cane”, esordisce il CEO Paolo Selmi, accogliendoci all’ultimo piano dello stabilimento, abbracciati da un panorama a 360 gradi sulle colline delle Langhe, le Alpi. E, riflettendo sul periodo in cui tutto ciò ha preso forma, sottolinea: “Penso di esser stato fortunato nell’aver azzeccato il momento, perché oggi i prezzi di costruzione sono molto meno abbordabili. Gli ultimi due anni a causa dell’emergenza sanitaria sono stati impegnativi, anche considerando lo stress psicologico e l’incertezza costante. Nel complesso, non posso che ritenermi molto soddisfatto perché la nostra nuova realtà risponde alle crescenti richieste di mercato: il 2020 è andato bene, il 2021 sta volgendo al termine con risultati e fatturati interessanti, che auspico di poter riconfermare e ovviamente incrementare anche per il 2022”. Una crescita favorita proprio dalla maggiore capacità produttiva dettata dagli spazi aziendali quintuplicati che consente una maggior produttività e organizzazione, permettendoci di trasformarci e rispondere in tempi rapidi alle numerose richieste ed esigenze di mercato a livello mondiale”. L’organico aziendale si compone ad oggi di circa 80 dipendenti, la maggior parte dei quali opera nella grande zona produttiva.

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fronte bar

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ANALISI di un espresso Siamo abituati a riconoscere le reazioni chimiche che avvengono quando rinfreschiamo il lievito, quando temperiamo il cioccolato o quando candiamo i marroni. Ma sappiamo cosa accade quando prepariamo un espresso?

BREW RATIO L’espresso è una soluzione di sostanze estratte dal caffè macinato disciolte in acqua. Ricordandoci di quanto spiegato nell’ultimo numero, ovvero che dalla polvere di caffè dobbiamo trarre e sciogliere in acqua circa il 20% di sostanze gradevoli, se manteniamo un rapporto indicativo di 1:2 tra polvere ed espresso, quest’ultimo si presenterà, in termini percentuali, come una soluzione composta da un 10% di sostanze disciolte in 90% d’acqua. Ma quanta polvere di caffè macinato dobbiamo utilizzare per avere, ad esempio, 2 buone tazzine di espresso? Per spiegarvi l’importanza del rapporto che intercorre tra il quantitativo di polvere di caffè utilizzato e la quantità di bevanda finale/espresso desiderata, quello che tecnicamente definiamo brew ratio, è come se vi dicessi che, per preparare l’impasto di 1 kg di farina, vi servono 6 g di lievito. Questo è un dato indicativo, sapendo che magari in estate ne potrete mettere magari solo 5 g, che se fate un impasto a lunga lievitazione ve ne basteranno 4 g, che invece ne serviranno fino a 8-10 g per un impasto pronto in poche ore. Per l’espresso, ragionando su un’estrazione per due tazzine, utilizzeremo 15 g di caffè macinato per 30 g di calda bevanda finale. Se risultasse troppo leggera e noi la volessimo più corposa, potremmo variare il rapporto, utilizzando 16 g di caffè e lasciando invariato il quantitativo finale in tazza, con una brew ratio di 1:1,8. L’importante è mantenere inalterato il tempo di contatto con l’acqua, per non incorrere in sovraestrazione o sottoestrazione.

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marketing

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IL CIOCCOLATO GOURMET massima espressione dell’artigianalità Il cioccolato è un raffinato prodotto gourmet o una banale commodity? In altri termini: è cosa da “intenditori”, paragonabile al vino, dove è possibile apprezzarne la qualità e le varie sfumature di gusto, oppure è un prodotto standardizzato, dove una marca vale l’altra? Molti consumatori, quelli poco attenti e scarsamente informati, propenderanno per la seconda ipotesi, che in effetti non è lontana dal vero: la gran parte del cioccolato in commercio nella grande distribuzione è prodotto con lo stesso cacao di qualità medio-bassa, con i medesimi ingredienti e tecnica di produzione. Però esiste anche un cioccolato “diverso”, dove in etichetta è specificata l’origine del cacao con una lista degli ingredienti minimale (a volte solo massa di cacao e zucchero), reperibile in negozi specializzati o presso laboratori artigianali, ad un costo anche dieci volte superiore alla norma. Purtroppo, in Italia, la maggior parte dei foodies (appassionati di cibo) non gli riservano l’attenzione e l’interesse che merita, come farebbero per un vino o una birra artigianale. Qui si innesta una considerazione sul che cosa sia il “prodotto cioccolato” in generale, su come lo si debba intendere. In estrema sintesi esistono due modi di interpretarlo: quello dove il cacao è solo uno dei molti possibili ingredienti, l’altro invece dove la materia prima risulta protagonista assoluta. Da una parte stanno torte e gelati al cioccolato, praline o tavolette al latte. Dall’altra c’è il cioccolato fondente, la cui qualità è strettamente legata a quella della materia prima, anche perché c’è lo zucchero a bilanciare amarezza e astringenza naturali del cacao, ed eventualmente vi si aggiungono burro di cacao e lecitina per una texture ottimale, ma alla fin fine il buono o il cattivo presenti sono dovuti solo alla qualità delle fave di cacao impiegate. Non ho dimenticato la vaniglia, ma questa è la mia opinione in proposito: se un cacao è di grande qualità e, a maggior ragione, se ha aromi particolari, perché aggiungere vaniglia col rischio di coprirli e di standardizzare il suo profilo sensoriale? LA QUALITÀ DEL CIOCCOLATO Chiediamoci ora in cosa consiste la qualità del cioccolato. Esiste un fattore che la può esprimere meglio di altri, ad esempio l’artigianalità? In parte sì, nel senso che dietro un cioccolato di qualità ci devono essere per forza una mentalità e un approccio artigianali, volti

a creare un prodotto non banale e con uno stile personale. Ma “artigianale” a volte non è abbastanza. Ci sono tanti artigiani in Italia che si cimentano solo ed esclusivamente con la pasticceria del cioccolato (praline & c.): in questo caso la qualità del prodotto finito dipende sia dagli ingredienti utilizzati, sia dall’abilità e dalla creatività del pasticciere, ma non è il cacao che fa la differenza. Per chi fa tavolette di fondente, invece, l’artigianalità va intesa come il seguire l’intero processo di trasformazione, dalle fave alla tavoletta, ciò che in inglese viene definito bean to bar: nel nostro Paese sono pochi gli artigiani di questo tipo. Negli Stati Uniti, dove il fenomeno del cioccolato artigianale ha assunto proporzioni notevoli, il primo requisito per poter diventare membro dell’associazione Craft Chocolate Makers of America è stato proprio quello di essere un produttore bean to bar. Il secondo requisito riguarda la “taglia”, ovvero la dimensione produttiva, che deve rimanere entro certi limiti, per rispettare il concetto di artigianalità. Solo chi lavora piccoli lotti può adattare i parametri di processo alle caratteristiche peculiari del cacao, cercando di valorizzarli al meglio, diversamente da chi trasforma grandi quantità in modo necessariamente standardizzato. In effetti i produttori industriali di cioccolato sono tutti bean to bar, ma la loro mentalità non è certo artigianale. Se la qualità di una tavoletta fondente dipende soprattutto del cacao, possiamo usare un comodo parallelismo con il mondo del vino, dove si dice che “la qualità del vino si fa in vigneto”: parafrasando, “la qualità del cioccolato si fa in piantagione” e il grande artigiano è “solo” quello che sa tirare fuori il meglio delle caratteristiche intrinseche delle fave di cacao. Attività che comporta pazienza, sensibilità, passione, notti insonni e infinite prove di tostatura e concaggio, dove qualche grado centigrado o qualche minuto in più o in meno possono fare la differenza. Sfruttando sempre il parallelismo col vino, possiamo prendere a prestito anche il concetto di terroir, che è quello che meglio esprime le preroga-

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finché c’è dolce c’è speranza

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GOLOSO SÌ ma con furore! Chiacchierando con Alessandro Greco, non solo conduttore televisivo, radiofonico e imitatore italiano, ma anche nipote e figlio di pasticcieri in quel di Taranto

Alessandro Greco ha un rapporto molto particolare con il mondo dolce: il nonno paterno Alfredo era infatti pasticciere ed aveva una rinomata pasticceria a Taranto, nella quale per 30 anni ha lavorato anche suo padre Franco. Ecco perché è lui il personaggio giusto per inaugurare questa rubrica che, attraverso i gusti dell’intervistato, indaga anche sulle sue emozioni. Prima di raccontarci qualche episodio legato al nonno, Cavaliere del Lavoro, ci tiene a sottolineare che “rispondere per una rivista specializzata mi fa quasi sentire come il cioccolatiere Ernst Knam, numero 1 nel settore!”. Quali ricordi conservi del laboratorio di famiglia? Anche se avevo circa 7 anni quando l’attività chiuse, ho memorie molto nitide. Forse mi sembrava tutto più grande perché ero piccolo, ma ricordo un ambiente molto ampio, pieno di attrezzature e forni, e un ripiano grandissimo ricoperto di marmo, che andava dal grigio scuro al bianco… Ricordo anche le brandine, perché nei momenti di maggior lavoro, durante le feste comandate, la richiesta era così alta che non riuscivano a tornare a casa e riposavano in laboratorio. Ricordo mio nonno col pennellino, che crea-

va capolavori con la pasta martorana. Con un sistema che prevedeva lo zucchero a velo, riusciva a ricreare i minimi particolari di un frutto, come la peluria delle pesche. Ogni tanto mi staccava un pezzettino di pasta che stava modellando e me la offriva: era buonissima! E mi faceva assaggiare anche le granite o mi preparava un gelato con panna sotto e sopra, che era il massimo della bontà. Niente ci descrive meglio dei dolci che mangiamo. Qual è il tuo preferito? In realtà mi piacciono tutti! È un peccato disdegnarne qualcuno, devo dire però che i dolci “molto dolci” li mangio volentieri, ma a piccole dosi: un pezzettino di Sacher mi basta, così come la cassata, ma se mi viene offerta una millefoglie è bene che me la tolgano da davanti, altrimenti la finisco! Inoltre adoro il gelato alle creme in tutte le sue declinazioni. Quando abbiamo ospiti ed offriamo il gelato, alla fatidica domanda “ne volete ancora?” io li guardo con apprensione, osservando il livello della vaschetta che si abbassa… E quando non ci sono più reazioni, mi sento autorizzato a finirmi la vaschetta! Come è cambiato il mestiere di pasticciere oggi? È più agevolato secondo te? Entriamo in un ambito in cui non ho una

preparazione tale da poterlo giudicare, però sappiamo bene che tutti i mestieri artigianali oggi, per fortuna, sono agevolati rispetto a quando li facevano i nostri nonni e bisnonni. Quindi, a mio parere, è sempre un lavoro molto duro, di grandi risultati e di grandi gratificazioni ma che, grazie alle tecnologie, oggi è in parte facilitato. Non ci si improvvisa però in questo mestiere, ci vogliono preparazione ed abnegazione, altrimenti il cliente se ne accorge. Dolce Quiz, la trasmissione che ha visto il tuo ritorno su Rai Due, è andata bene in termini di gradimento. Pensi che ci sarà una seconda edizione? Ci tengo prima di tutto a ringraziare il pubblico che ci ha seguiti, perché ancora una volta, nei miei confronti e di tutti coloro che hanno reso possibile questo successo – come Ernst Knam e sua moglie Alessandra Mion, che lui chiama Frau Knam, il sommelier Filippo Bartolotta e tutta la produzione –, è stato presente, entusiasta e generoso. Detto questo, devo dire che siamo subordinati a decisioni che prescindono la nostra volontà, quindi non posso dare notizie in merito a nuove puntate. Le premesse però ci sono tutte e noi saremmo entusiasti di proseguirle.

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in ascolto

Noi Voi per

4.0

Samuele Calzari Brillante direttore di SigepGiovani, formatore e divulgatore, Samuele Calzari risponde ai vostri dubbi e quesiti.

Buongiorno, sono titolare di una pasticceria a Treviso e in produzione ho messo, da poco, anche i macaron. Come posso standardizzarli per far sì che risultino di forma e aspetto costanti? Luigi • troppo ruvidi tempo di riposo dalla formatura alla cottura eccessivamenBuongiorno Luigi, te ridotto possiamo mettere a punto una ricetta di macaron da considerare standard, • troppo “sgonfi” impasto smontato innanzitutto evitando alcuni errori in fase di lavorazione. Se risultano: • pigmentati colorante mal miscelato • troppo gonfi impasto è troppo montato perché l’azione di “macaronag• con la superficie spaccata temperatura di cottura troppo alta gio” non è stata sufficiente a smontarlo il giusto • con la base rovinata teglia o tappetino eccessivamente unto. • si “allargano” alla base in questo caso probabilmente l’impasto è stato Le lascio anche la mia ricetta che, spero, possa esserle utile. smontato troppo

MACARON Per l’impasto acqua ml coloranti alimentari farina di mandorle g albumi g zucchero a velo g zucchero semolato g Miscelare insieme la farina di mandorle e lo zucchero a velo, poi setacciare per togliere

50 qb 200 150 200 200

eventuali residui grossi. In un padellino portare zucchero semolato e acqua a 118°C. Nel frattempo, montare a neve la metà degli albumi (75 g) e, quando ben fermi, incorporare a filo lo sciroppo di zucchero appena realizzato. Inserire il colorante alimentare che si desidera e continuare a montare a neve fino a completo raffreddamento. Lavorare con un cucchiaio farina di mandorle,

zucchero e restanti albumi, sino ad una pasta di mandorle abbastanza solida. Amalgamare i due composti, mescolando dal basso verso l’alto, facendo smontare leggermente la crema. Formare i macaron con un sac à poche e fare riposare circa 20 minuti a temperatura ambiente. Infornare a 170°C per circa 10 minuti. Lasciarli nel forno semiaperto per altri due minuti.

Buongiorno, sono responsabile pasticciere in provincia di Latina e vorrei sapere in che modo ottenere dei bignè più vuoti all’interno Francesco Buongiorno Francesco, approfitto della sua domanda per approfondire l’argomento bignè, che è alla base di diverse preparazioni. Gli ingredienti dell’impasto sono un liquido (principalmente acqua), materia grassa (normalmente burro), uova e farina. Il principio alla base della corretta esecuzione è la creazione di una barriera, data dall’ingrediente grasso, che non permetta al vapore di uscire durante la fase di cottura e consenta loro di gonfiarsi. Quando si unisce la farina, la gelatinizzazione dell’amido “intrappola” l’acqua. Durante la cottura, sotto l’azione del calore, l’acqua trattenuta dagli amidi si trasforma in vapore che deve restare all’interno dell’impasto, grazie alla “barriera vapore”, per permettere al bignè di svilupparsi. Ogni ingrediente inserito ha una precisa funzione: amido che gelatinizzerà intrappolando l’acqua glutine e proteine dell’uovo che creeranno una struttura che si espanderà sotto la pressione del vapore

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grasso che sarà responsabile della barriera al vapore. Rispondendo alla sua domanda, quindi, se si desidera un bignè più vuoto, bisogna aggiungere del grasso all’impasto, così da aumentare la barriera al vapore che permette al bignè di gonfiarsi ulteriormente. Lascio una ricetta standard che potrà personalizzare in funzione del suo obiettivo finale.

BIGNÈ

acqua uova intere farina burro sale

g g g g

1000 800 600 400 1 pizzico Samuele Calzari


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ricerca scientifica

DAL MONDO

della ricerca scientifica SALE NEI BISCOTTI: POSSIBILE RIDURLO? In Europa mediamente consumiamo più del doppio della quantità massima di sale raccomandata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità di 5 g al giorno. I biscotti sono tra gli alimenti che più contribuiscono all’assunzione di “sale nascosto”, di cui cioè il consumatore non ha consapevolezza. Attualmente l’industria dolciaria sta cercando di ridurlo, ma fino a che percentuale è possibile scendere la limitazione senza compromettere l’accettabilità del prodotto? Lo studio condotto nel Regno Unito dall’Università di Nottingham su biscotti del tipo shortbread mira a fornire una base scientifica, valutando l’impatto del sale su aspetto, sapore e consistenza. Analisi sensoriali e strumentali sono state effettuate su campioni di biscotti preparati con la stessa quantità di sale prevista dalla ricetta originale (1 g/ 100 g) e con riduzioni del 33%, 67% e 100% (senza sale aggiunto). I test sensoriali hanno rilevato differenze significative di sapore e consistenza già con una riduzione del 33%, mentre l’analisi colorimetrica e quella al gascromatografo (per valutare i composti volatili) non hanno dato risultati differenti tra i campioni. L’analisi della texture e la microtomografia a raggi X computerizzata (X-ray-μCT) hanno evidenziato una riduzione della durezza e la presenza di alveoli più grandi e numerosi n ei biscotti a ridotto contenuto di sale, i quali infatti risultavano più facili da rompere. Il fenomeno probabilmente è dovuto alla tendenza delle proteine della farina ad aggregarsi all’interfaccia delle bolle d’aria, in modo tanto più marcato quanto meno sale è presente; una possibile soluzione suggerita dagli autori consiste nell’impiego di emulsionanti. In conclusione, la riduzione di sale non passa inosservata: la strategia più semplice è optare per una graduale riduzione, per fare sì che il consumatore si abitui pian piano al cambiamento. (Rif. Fisk I.D. et al., The role of sodium chloride in the sensory and physico-chemical properties of sweet biscuits, Food Chem X. 2021 Jan 7;9:100115)

COMBATTERE CON LA LUCE L’inattivazione fotodinamica è una strategia green per eliminare i batteri patogeni negli alimenti. È un trattamento non termico basato su reazioni chimiche e fisiche che si innescano quando la luce colpisce talune molecole (fotosensibilizzatori) in presenza di ossigeno. Ne consegue la formazione di specie reattive all’ossigeno (ROS) in grado di inattivare i microrganismi. La tecnica è impiegata in campo medico, dentistico e ambientale per la disinfezione dei materiali, ma negli ultimi anni è allo studio anche in ambito alimentare. Come fotosensibilizzatori negli alimenti sono prese in esame diverse molecole, fra le quali riboflavina, che è una vitamina idrosolubile (B2) autorizzata come colorante (E101), vitamina K, clorofilla (il pigmento verde dei vegetali), curcumina (colorante estratto dalle radici di curcuma), ipericina (sostanza estratta dalla pianta dell’iperico). Le sorgenti di luce con il maggiore effetto battericida su alcuni patogeni sono quelle a UVB, ma anche le luci a LED hanno dimostrato efficacia. Gli alimenti da trattare vengono immersi in una soluzione contenente la sostanza a effetto fotosensibilizzante, oppure spruzzati con essa. In alternativa, la sostanza può essere inclusa nel materiale di imballaggio o impiegata per realizzare film edibili con cui ricoprire i prodotti. La tecnica non impiega né calore né conservanti per scongiurare il rischio microbiologico, tuttavia presenta alcuni limiti dovuti all’impatto sulle proprietà sensoriali, dovuto all’aggiunta delle sostanze fotosensibili. Rif. Chen L. et al., The application of photodynamic inactivation to microorganisms in food, Food Chemistry: X 12 (2021) 100150

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Crema di latte di capra alla cannella latte di capra UHT . . . . . . . . . . . . . . . . l 1 zucchero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . g 220 stecca di cannella . . . . . . . . . . . . . . . . n . ½ farina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . g 80 amido di grano . . . . . . . . . . . . . . . . . g 40 Cuocere 2/3 di latte di capra con la 1/2 stecca di cannella e la metà dello zucchero. Al primo bollore, unire una miscela preparata con 1/3 di latte di capra, l’altra metà dello zucchero, l’amido di grano e la farina setacciata. Raffreddare e passare a setaccio. Salsa al pistacchio profumata al burro di arachidi panna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . g 215 cioccolato bianco (min 32% max 34% burro cacao) . . . . . . . g 525 glucosio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . g 90 pasta di pistacchio (senza zucchero) . . . . . . g 42 burro di arachidi semisalato . . . . . . . . . . g 28 Riscaldare panna, glucosio e pasta di pistacchio, unire il cioccolato bianco ed emulsionare; per ultimo inserire il burro di arachidi semisalato. Salsa al cioccolato cacao . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . g 125 zucchero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . g 20 acqua . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . g 80 pasta di nocciola . . . . . . . . . . . . . . . . g 5 pasta di arachidi . . . . . . . . . . . . . . . . g 5 gelatina neutra . . . . . . . . . . . . . . . . . g 75 Miscelare zucchero, cacao ed acqua, evitando di formare grumi; cuocere al microonde, unire ed emulsionare con le paste. Prima di servire, aggiungere la gelatina neutra fino a densità voluta.

Definizione Disporre sul piatto degli spuntoni di crema di latte di capra alla cannella. Posizionarvi sopra i pezzetti di scorza di cannolo e guarnire con ciliegie, scorze d’arancia e zucca candite. Salsare e servire, se si desidera, con una spolverata di zucchero a velo e cannella. Giuseppe Giuliano giuseppegiuliano .org foto Giovanni Vernengo

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