Poste Italiane Spa – Spedizione in Abbonamento Postale DL 353/2003 (Conv. In L. 27/02/04) Art. 1 Comma 1 - NO/ TORINO N. 06/2022 - IP - ISSN 392-4718
#cioccolateria #confetteria #gelateria #confezionamento #caffetteria #cucina
giugno - luglio - agosto 2022 | n° 338 | Anno 45
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FRESCHEZZA PER L’ESTATE
I dessert al piatto guardano alla stagionalità delle materie prime, in espressioni più fresche e leggere, capaci di donare il giusto equilibrio alla fine del pasto senza appesantire. Ma cosa si intende oggi per dessert al piatto estivo? Quali sono gli ingredienti in grado di conferirvi la giusta freschezza? Lo chiediamo a chef e pastry chef, in un viaggio tra pensieri e consistenze che ha un denominatore comune: l’utilizzo di frutta e verdura
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focus estate
CREMOSO AI FUNGHI PORCINI q.tà % peso acqua 375 g 26,39 2g sciroppo di glucosio 13 g 0,91 0g gelatina animale 8 g 0,56 0g copertura bianca 35% 425 g 29,91 2g mascarpone 500 g 35,19 2g liofilizzato di funghi 100 g 7,04 0g totale 1421 g 100 500 g Portare il latte con lo sciroppo di glucosio ad ebollizione, poi aggiungere la gelatina idratata. Versare il liquido sulla copertura fusa, emulsionare e completare con mascarpone e polvere di porcini. Chiudere l’emulsione, filtrare e conservare in frigo per 12 ore.
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COUSCOUS AI FUNGHI q.tà % peso brodo di funghi 100 g 52,6 95 g couscous 80 g 42,1 76 g zucchero a velo 5g 2,6 5g olio EVO 5g 2,6 5g totale 190 g 100,0 180 g Portare ad ebollizione il brodo di funghi, aggiungere il couscous ed attendere il totale assorbimento. Stendere su placca e far raffreddare, cercando di sgranare il più possibile. Quando ben freddo, condire con sale, olio e liofilizzato di funghi. Giuseppe Amato foto Giancarlo Bononi
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focus estate
fiori di sambuco essiccati In planetaria con lo scudo, lavorare il burro morbido con lo zucchero a velo e, mentre monta, frullare le farine con i fiori di sambuco. Setacciare la farina bianca con il lievito, unire la scorza di limone. Mentre l’impasto si amalgama, aggiungere farina gialla, semi della bacca di vaniglia e il 20% di uova. Incorporare ai tuorli le uova restanti e poi le polveri setacciate, alternandole al misto di uova/tuorli. Spolverare con
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abbondante zucchero a velo e cuocere in forno a 180°C per 15 minuti, con valvola aperta. Composizione Nel piatto disporre la cheesecake, al centro il pan de mei ed adagiarvi l’inserto fioccato. Disporre come da foto la brunoise di lampone, i frutti rossi e i fiori eduli. Paolo Griffa Foto Paolo Picciotto
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LA MERINGA ama il caldo
Con Leonardo Di Carlo riprendiamo un tema classico ma sempre centrale nella pratica quotidiana, ovvero la meringa, aggiungendovi una nota relativa all’applicazione nel freddo e ricette inedite
L’etimologia della parola “meringa” è un vero enigma. Si pensa che le prime fabbricazioni risalgano al 17° secolo. Un antico manoscritto di quell’epoca la nomina come una specie di pastiglia a forma di scudo, fatta con albumi sbattuti, zucchero, acqua di fiori d’arancio e altre sostanze aromatiche. In generale la meringa è una preparazione a base di albumi d’uovo montati a neve ferma con una quantità doppia di zucchero (a velo e/o semolato). Il composto leggero, spumoso, morbido o croccante, secondo il grado di cottura a fuoco estremamente dolce, viene utilizzato come base per prodotti di pasticceria più elaborati. Esistono tre preparazioni meringate. In base al metodo, assumono un nome e un utilizzo ben precisi: • meringa ordinaria (o francese o spumiglia meringa montata a freddo) a questa famiglia vengono aggiunte le preparazioni meringate per fondi per dolci a base di albume, zucchero e frutta secca, tipo biscuit successo, progresso, dacquoise, giapponese e russo • meringa svizzera consiste nel realizzare una meringa a caldo (60/62°C); • meringa all’italiana con zucchero cotto (121°C).
Un manoscritto del 17° secolo nomina la meringa come una specie di pastiglia a forma di scudo, fatta con albumi sbattuti, zucchero, acqua di fiori d’arancio e altre sostanze aromatiche Pasticceria internazionale 338
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a spasso per Parigi
IL VOLTO
dell’eleganza
A 15 anni dalla creazione del proprio marchio, Claire Damon ci accoglie con generosità, per un’intervista colma di spunti che, ci auguriamo, possa sollecitare riflessioni preziose per la stagione estiva
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Alla base sta la relazione con la terra, con il prodotto, con i fornitori, che dettano l’agenda dell’attività e il calendario delle creazioni sui temi della natura e del rispetto della stagionalità. Sul fronte del personale, altro tasto dolente, la sfida consiste nel selezionare e fidelizzare persone in grado di capire e di abbracciare l’universo del marchio: «All’inizio abbiamo avuto molti stranieri, giapponesi in particolare, interessati ai prodotti di nicchia e a lavorare con noi. Abbiamo spiegato a lungo il nostro approccio, convincendoli che non bisognava vendere ad ogni costo, che non avremmo fornito alberghi, e ristoranti e che non avremmo fatto sconti». Alla base del progetto, elemento che lega Claire e David e che li motiva, sta la relazione con la terra, con il prodotto, con i fornitori, che dettano l’agenda dell’attività e il calendario delle creazioni. Di certo non le esigenze della stampa, che troppo spesso si interessa alla sequenza dell’uscita di novità, senza comprenderne a fondo la filosofia: «Per questo, malgrado abbia tentato, non ho voluto mantenere una persona addetta ai rapporti con stampa, che esigeva da me delle date, mentre io rispettavo l’imprevedibilità della natura e del lavoro dei fornitori». Una visione radicale e sincera, che affonda le origini nell’infanzia in Auvergne, dove viveva in campagna, e dove durante le vacanze si spostava dai bisnonni che avevano una proprietà tra i boschi. Da bambina, con sorella e cugini, andava a prendere l’acqua alla fonte; la nonna raccoglieva il necessario nell’orto per cucinarlo e le uova erano quelle
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delle loro galline; poi insieme andavano nei boschi a raccogliere funghi e castagne, che facevano essiccare... Uno stile di vita consapevole, che le fa capire da subito che la natura è fragile e le mostra le conseguenze dell’inquinamento. I genitori la sensibilizzano a proposito di questi fenomeni, le spiegano che l’uso di prodotti chimici inibisce la crescita dei funghi in primavera, in particolare a causa della presenza dell’azoto, oppure che il trattamento a monte dei campi con prodotti chimici svuota i ruscelli della presenza delle trote: «Il consumo di prodotti di qualità – dice con convinzione – è un atto di civiltà e noi pasticcieri dobbiamo valorizzare il lavoro di quanti rispettano la natura, i suoi cicli e le sue fragilità». Da qui deriva la volontà di legare idealmente la pasticceria alla panetteria di David. La forte simbologia del pane in Francia, il cui consumo è legato a tutti i pasti, dalla colazione alla cena e dai più semplici ai più sofisticati, stempera la visione contemporanea della pasticceria come oggetto prezioso e la ricollega alla terra e all’origine delle materie che la compongono. In primo luogo la frutta, l’ingrediente principe del lavoro di Claire, la materia per la quale è nota. Un elemento che le consente di variare il lavoro quotidiano, grazie all’offerta variegata e spesso imprevedibile delle stagioni e all’ispirazione che lei trae dalle caratteristiche ogni volta differenti conferite dalla stagionalità: «Nutro
interesse per tutte le materie che lavoro – confida – e mi piace declinare la frutta nelle viennoiserie, in pasticceria e in gelateria, cambiando le ricette e gli approcci. Non sono d’accordo con quanti amano paragonarci agli artisti e penso che siamo soprattutto degli artigiani, che lavorano con passione. Considero la pasticceria come un mezzo di espressione e così come sarebbe dura chiedere ad un musicista di suonare sempre il medesimo spartito, così non desidero produrre sempre lo spesso dolce partendo dal medesimo ingrediente. Il Bâton de rhubarbe, ad esempio, che ho immaginato 10 anni fa in un contesto e per clienti particolari, non sarebbe oggi ideato allo stesso modo, perché la mia sensibilità è mutata e ho il desiderio di assecondarla. Non penso di inventare qualcosa di nuovo e, senza per questo paragonarmi a lui, sono piuttosto d’accordo con Picasso, che affermava: ‘ci ho messo tutta una vita per imparare a dipingere come un bambino’. Questo per esprimere quanto nella nostra professione ci sia, come in tutti i campi dell’espressione umana, un aspetto di vanità, che ho cercato di ridurre per andare invece all’essenziale, il che richiede una grande tecnica. Senza trucco, un prodotto semplice deve essere perfettamente eseguito per avere valore». Per quanto concerne la provenienza delle materie prime, quelle classiche, come ad esempio la farina, derivano dalla ricca pro-
classici rivisti
COL LE ZIONE ESCLU SIVA
foto Maria Greco Naccarato
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Gaël Clavière
Nel ruolo di pasticciere del Primo Ministro francese da circa 16 anni, Gaël Clavière (si veda l’intervista sul numero di maggio) conosce bene l’arte di trasformare una creazione dolce in un vessillo del savoir faire nazionale e in un discreto quanto efficace strumento di seduzione degli ospiti del capo dell’esecutivo. Curioso ed aperto, ama mescolare la tradizione francese e le influenze straniere, come in questa ricetta che fa incontrare Italia e Francia intorno ad un prodotto faro: il cappuccino. Clavière propone una versione con polvere Kawa, una miscela di cannella, zenzero, pepe, cardamomo verde e altre spezie creata da Olivier Roellinger, il mago delle spezie di Cancale (epices-roellinger.com), che ne consiglia l’utilizzo per riscoprire il gusto del caffè, così come fu percepito dai primi che lo bevettero. Il biscotto friand è in realtà un analogo del più noto financier. L’appellazione usata da Clavière è diffusa in Normandia ed in genere nel nord della Francia. In Lorena, a Nancy, la preparazione a base di burro, albumi, zucchero, mandorle e farina di grano prese il nome di Visitandines, dal nome delle suore dell’Ordine della Visitazione di Santa Maria che la preparavano. In seguito, il pasticciere Paul Lasne, che possedeva alla fine del XIX una boutique nei pressi della Borsa a Parigi, vi attribuì il nome di financier per via della clientela, in buona parte costituita da esperti di finanza, che tanto la apprezzava. Domenico Biscardi
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nuove visioni
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Per la cucina d’autore
IL FUTURO È OGGI Spunti, idee, riflessioni, impressioni, nozioni e ricordi dall’ultima edizione di Identità Golose
“Il futuro è oggi” è il tema della 17ª edizione di Identità Golose, congresso di cucina e pasticceria d’autore organizzato da Magenta Bureau in aprile a Milano. In tutti questi anni, e in particolare dopo la pandemia, “quello che è cambiato è il tempo – scrive Paolo Marchi, creatore e curatore dell’evento –. Quello a nostra disposizione ci mette fretta. Ci impone di svolgere tutto al presente”. Ed è per lanciare uno sguardo al domani che alle sessioni, fra cui Dossier Dessert, se ne è aggiunta una battezzata Il Futuro è loro, dedicata alle giovani promesse della cucina internazionale. Come sempre vi proponiamo qualche passaggio degli interventi che ci hanno più colpito.
SOSTENIBILITÀ “Se siamo tutti sostenibili vuol dire che nessuno lo è realmente”, dichiara provocatoriamente il conduttore radio e TV Federico Quaranta, sottolineando quanto, nonostante se ne parli spesso con grande facilità, la sostenibilità sia un tema complesso, da affrontare con competenza. Per lui significa rispetto, cura, senso di comunità. Insomma, il contrario di narcisismo ed egoismo, oggi dilaganti. Nel mondo della ristorazione non mancano esempi virtuosi come il tristellato Azurmendi a Larrabetzu, nei Paesi Baschi spagnoli. Eneko Atka e Matteo Manzini, chef e sous chef, spiegano che l’edificio, costruito nel 2011, è dotato di pannelli fotovoltaici, impianto geotermico per la refrigerazione
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degli ambienti, sistema di raccolta dell’acqua piovana, impiegata per irrigare l’orto di proprietà del ristorante, dove si trova anche una serra per la preservazione delle piante in via di estinzione. Gli scarti di cucina diventano compost per fertilizzare i terreni, mentre le emissioni di CO2 sono compensate dagli 800 alberi piantumati ex novo e dai 100 ettari di foresta acquistata da Atka nei pressi del locale. È degno di nota anche il progetto, in collaborazione con la Nasa, finalizzato alla produzione di micelio fungino per sviluppare materiali edili. “Per quanto possa apparire piccolo, ogni gesto che facciamo al ristorante conta”, sottolinea lo chef.
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il pensiero pensante
RIFLETTORI
sulla cucina dolce DOMANDE, RISPOSTE, CONSIGLI
E
Eccoci alla 4a puntata di questo approfondimento sulla pasticceria da ristorazione. Dopo aver considerato la degustazione oggettiva, continuiamo ad avvalerci della competenza di due pastry chef del calibro di Manuel Ferrari e Domenico Di Clemente, per chiedere loro ulteriori consigli, prima della presentazione delle ricette, che troverete nel prossimo numero
A volte ci dicono ‘sì, ma voi siete professionisti, vi viene facile’. Nessuno ‘nasce imparato’: la costruzione di un piatto non viene dal nulla, ma è il risultato di un percorso che nasce dalla scuola e passa per tutte le esperienze e la crescita professionale, e che non sarebbe possibile senza un lavoro costante
EVOLUZIONE DEL DESSERT AL PIATTO Pur giovani anagraficamente, Manuel Ferrari e Domenico Di Clemente sono professionisti con oltre vent’anni di esperienza ai massimi livelli. Nessuno meglio di loro, quindi, può spiegarci come la pasticceria da ristorazione si sia evoluta nell’ultimo quarto di secolo. “In realtà ho avuto modo di osservarla meglio negli ultimi 10 anni – precisa Ferrari –, perché prima, essendo in cucina, la notavo meno e non le davo molta attenzione. A fine anni Novanta girava ancora la moda fusion, con dolci complicati anche nella presentazione, l’accostamento di sapori forti e diversi come cioccolato bianco e peperoni, e combinazioni stravaganti. La tendenza che ho visto negli anni è stata quella di togliere, semplificare, pulire i piatti da decorazioni e aggiunte che avevano solo funzioni estetiche e arrivare ad una sintesi: piatti dunque più puliti e sapori ben distinguibili che non mandano in confusione, sovraccaricandolo, il palato dei commensali”. E Di Clemente aggiunge che l’evoluzione si è manifestata anche sotto forma di “un maggiore dinamismo, espresso in modo elegante e concettuale. Anche le porzioni si sono ridotte: una ventina d’anni fa la pezzatura di un dessert al piatto era di 120-150 g, adesso siamo sui 70-80 g. L’evoluzione ha coinvolto anche gli ingredienti: l’inserimento di componenti aromatiche è diventato prassi comune anche da noi. In precedenza, l’uso di un’ampia varietà di spezie era prerogativa di Paesi di tradizione coloniale come Francia e Gran Bretagna, mentre qui ci si limitava agli agrumi e poco altro”. Se è vero che la Francia è sempre stata all’avanguardia per quanto riguarda l’eleganza e la presentazione, è dalla Spagna che negli anni Novanta è arrivata una rivoluzione copernicana, legata al nome dei fratelli Adrià e all’evoluzione della cucina molecolare, creando “esperienze degustative di 18-20 portate che non avevano nulla in comune con quanto si conosceva, sia per la parte dolce sia per quella
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gastronomica. E su quella dolce la ricerca è stata ancora maggiore in termini gustativi ed estetici, perché in pasticceria non ci sono ingredienti ‘finiti’ come frutta o verdura, ma prodotti primari (farina, uova, zucchero) coi quali si elaborano dolci e strutture. E naturalmente la ricerca ha coinvolto i supporti, passando dal piatto a strutture metalliche o altro. Da quella rivoluzione non si è potuto prescindere, e anche in Italia è stata colta e proposta”, prosegue Domenico. Tutto questo senza scordare che l’atto di nascita “ufficiale” della cucina molecolare fu redatto in Italia, con il convegno Molecular and Physical Gastronomy tenutosi a Erice nel 1992: in quell’occasione fu presentato al pubblico un approccio in corso già da tempo, i cui pionieri erano stati Nicholas Kurti ed Hervé This già negli anni Sessanta e i cui alfieri italiani sono stati il fisico Davide Cassi e lo chef Ettore Bocchia.
altre prospettive
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VARIANTE vegan
Esperto di cucina wellness, Emanuele Giorgione è docente del master dedicato alla pasticceria 100% vegetale Classe 1984, Emanuele Giorgione si diploma presso la scuola alberghiera Cesar Ritz nel 2003 ed approda alle cucine di strutture a 5 stelle a soli 17 anni. Pur essendo appassionato di pasticceria, nel 2002 si specializza in cucina dietetica, comprendendo le potenzialità di un’alimentazione che ascolta i dettami della nutrizione e li fa suoi, attraverso portate belle a vedersi e buone a gustarsi. Nel 2016 diventa corporate chef e poi consulente di cucina wellness, sviluppando format e prodotti, e collaborando con realtà ristorative italiane ed estere. Comprendendo l’importanza della formazione e della promozione di uno stile di cucina sano e vegetale, diventa docente, dà alle stampe “Cucinare per tutti. Intolleranze e menu wellness” (Italian Gourmet) e opera presso FunnyVeg Academy, laboratorio di cucina vegetale a Milano dal 2016. “Gusto, salute, rispetto per il prossimo e per l’ambiente” sono i temi cardine dell’operato della scuola, che prevede più percorsi volti a trasmettere nozioni pratiche e teoriche per creare piatti 100% vegetali, in grado di accostarsi alle migliori ricette tradizionali, innovandole. L’Academy è anche centro di ricerca nel quale gli chef sono a disposizione di aziende per studiare nuovi prodotti senza derivati animali e per offrire consulenze e team building. academy.funnyveg.com
Panna cotta
di cocco, salsa al cioccolato, biscotto alla nocciola e fragole Per 4 porzioni Per la panna cotta di cocco latte di cocco g 300 amido di tapioca g 9 agar agar g 3 sciroppo d’agave g 45 scorza d’arancia g 1 vaniglia g 0,2 Bollire gli ingredienti dopo averli frullati insieme. L’operazione può essere fatta anche con un Thermomixer, ma è fondamentale raggiungere 100°C. Versare il composto filtrato negli stampi scelti e lasciare raffreddare in abbattitore negativo. Per la salsa al cioccolato acqua g 100 cacao amaro g 20 cioccolato fondente min 72% g 15 sciroppo d’acero g 10 Bollire l’acqua con sciroppo e cacao. Passare al colino o frullare. Unire il fondente una volta raggiunti i 50°C circa. Amalgamare con un frullatore a immersione e lasciare raffreddare. Per il biscotto farina di nocciole farina di riso integrale sciroppo d’acero burro di cacao
g g g g
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visual marketing
ESTATE
chiama autunno
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È importante tenere desta l’attenzione anche nei mesi caldi con vetrine d’impatto, colmando il vuoto di ricorrenze con idee d’arredo nel segno di capacità attrattiva e funzionalità I mesi estivi sono ricchi di spunti per allestire con brio gli spazi espositivi, come indica Maria Teresa Pelosi, scenografa di interni ed esperta di packaging creativo. Ecco quindi un alternarsi di oggetti e torte e mono fresche, di confetture e gelatine, a cui fa da completamento, se previsto, un banco gelati dai colori pastello a quelli più accesi. Nello show room di Monaco l’esperta seleziona proposte estive accattivanti per capacità di arredo e funzionalità, così da trasformare vetrine e ripiani e conferire loro una speciale capacità di attrazione. Questo anche per colmare un vuoto di ricorrenze e conquistare i clienti con scenografie originali.
Funzionalità che piace e arreda I criteri di scelta dell’oggettistica si basano non solo sulle tendenze di moda quanto a stili, materiali e colori, ma anche sulla ricerca di temi conduttori che, per la bellezza dell’oggetto, solleticano le corde della memoria, facendo desiderare di regalare o di avere per sé quanto si vede in vetrina. Ecco perché spesso troviamo, esposti insieme a dolci e bonbon, vasi di varie fogge, oggetti antici e modernissimi, semplici o ricercati, trasparenti o colorati. Le proposte sono molteplici, a partire da quelle enigmatiche che richiamano le ampolle da alchimista, utili come vasi monofiore o come oggetti d’arredo che portano con sé il senso della trasformazione delle cose. Più funzionali sono i vasi cilindrici dal fondo bianco e decoro a quadrettoni bicolori, anche nella variante “con il collo” e pratici come portafiori. Per risvegliare le reminiscenze del passato e un rinnovato senso dell’ospitalità, o solo per la loro forma originale, ecco i vasi a bocche multiple In foto, vasi scultura e alambicco monofiore in terracotta, vasi in ceramica anni ’60, bottiglia sagomata e bicchieri in vetro colorato. In apertura, colori agrumati e rosarancio e vasi a bocche multiple, che rimandano ad esemplari preistorici e alle valdostane grolle dell’amicizia.
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tecnologie alimentari
ORGANOGEL
strategia innovativa per sostituire i grassi saturi Cosa sono, a cosa servono, come si producono e quali sono i possibili utilizzi dei gel lipidici in pasticceria I gel sono materiali simili ai solidi dal punto di vista reologico (cioè del loro comportamento se sottoposti a una forza), ma costituiti da una fase liquida incorporata in una rete tridimensionale. In virtù delle loro proprietà uniche possono essere utilizzati in svariati settori, dal biomedico al farmaceutico, dal cosmetico all’alimentare. I gel alimentari giocano un ruolo importante nel food design, svolgendo un’ampia gamma di funzioni che hanno ricadute sul piano tecnico, estetico e nutrizionale: conferiscono ai cibi la texture desiderata, stabilizzano sistemi che altrimenti tenderebbero a separarsi, sostituiscono i grassi nei prodotti light, aumentano il senso di sazietà, contribuendo a controllare l’introito calorico, e permettono di realizzare forme complesse mediante stampa 3D. Il processo di trasformazione di una miscela liquida di partenza in gel prende il nome di gelificazione ed è una delle strategie che consentono di modificare lo stato fisico di una sostanza da liquido a solido. LA STRUTTURA Generalmente i gel alimentari sono costituiti da proteine (come la gelatina di origine animale) o polisaccaridi (agar-agar, farina di semi
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di carrube, pectine...) che, dispersi in una fase acquosa e sottoposti a specifiche condizioni (riscaldamento e raffreddamento, pH, presenza di determinati sali), interagiscono fra loro attraverso legami deboli, generando una trama strutturata in grado di trattenere la fase acquosa tra le sue maglie. Nello specifico, quelli appena descritti sono gli idrogel. Se la fase liquida intrappolata nella rete 3D è olio anziché acqua, abbiamo un organogel o oleogel (sono sinonimi). Si possono anche realizzare gel a base d’acqua in cui sono emulsionati degli oli, però non si tratta di organogel, perché la fase continua liquida è acquosa e non lipidica. LE PREMESSE Per comprendere l’idea alla base degli organogel occorre partire dalla premessa che la palatabilità dei grassi dipende dal loro stato fisico piuttosto che dalla struttura chimica. I grassi che a temperatura ambiente sono solidi svolgono una funzione tecnologica fondamentale in quanto, grazie alla loro plasticità, conferiscono struttura e sapore ai prodotti. La struttura chimica comunque c’entra: i grassi solidi naturali (come burro e grassi tropicali) oppure idrogenati
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andando per territori
PER ASPERA AD ASTRA
«Attraverso le asperità sino alle stelle» recita il detto latino, che ben si addice alle storie calabresi raccontate. Nonostante asprezze e cliché, la regione sa attirare culture di stampo diverso che, grazie all’accesso privilegiato ai due mari, Tirreno e Ionio, ne fecondano ed arricchiscono il territorio, sviluppando attività di pregio
I viaggiatori del Grand Tour, ad eccezione di pochi avventurosi come l’archeologo francese Aubin-Louis Millin, accompagnato dal pittore tedesco Franz Ludwig Catel, la trascuravano dietro il pretesto dell’asperità del tragitto e della pericolosità dei luoghi, così in nave da Napoli raggiungevano il porto di Palermo. Più di recente, alcune carte dei vini di ottimi ristoranti italiani non la citavano come terroir, saltando a pié pari dalla Campania alla Sicilia. La Calabria, terra dai forti contrasti, è oggetto di un persistente cliché che fa torto ed ombra alle numerose realtà creative, dinamiche e d’eccellenza della regione. La pasticceria calabrese, dotata di un catalogo ricchissimo di eredità delle colonizzazioni e delle conquiste del passato, oltre alla bravura di folte generazioni di artigiani, viene considerata come un archivio a cielo aperto del saper fare ancestrale, ma non come terra d’accoglienza dell’innovazione. E se questo luogo comune, che pure suggerisce una certa propensione alla cautela, celasse un’autentica vivacità, sebbene ancora poco visibile e valorizzata? Più segnali di effervescenza sono emersi negli ultimi anni e testimoniano la vocazione dei luoghi ad esprimere una gamma ampia di talenti e contenuti, che spaziano dalla preservazione e attualizzazione della tradizione alla sperimentazione. Con l’aiuto di Francesco Saliceti, sentinella dei fermenti nella terra dei Bruzi ed egli stesso attore della loro promozione, incontriamo alcune realtà che dipingono la diversità del panorama sucré calabrese.
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spazio ai giovani
FUTURO (IN)CERTO Data la bella stagione ci spostiamo verso il mare incontrando Anna Carle, 29 anni, ed il suo PAnna Pastry Lab, aperto l’anno scorso a Dego, in provincia di Savona, nell’entroterra ligure, “grazie” alla pandemia
Anna, raccontaci di te. Sono nata e cresciuta in una famiglia di farmacisti e la mia strada ha per un po’ preso la forma di qualcosa che c’era già, come fa l’acqua che si adatta al suo contenitore. Il mio non è quindi il classico percorso che ci si aspetterebbe da una pasticcera: non ho frequentato la scuola alberghiera ma, come da tradizione famigliare, ho preso il diploma di liceo scientifico e mi sono laureata in farmacia nel 2016. È stato proprio nel periodo degli studi universitari che, per via di un problema di salute, segnato da disturbi alimentari e paradossalmente opposto
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alla pasticceria, mi sono avvicinata a questo mondo. Come hai coltivato il tuo nuovo interesse? Terminato il percorso di studi, ho iniziato subito ad esercitare la professione di farmacista, ma la pasticceria ha sempre fatto da contorno. Tornavo da lavoro e mi perdevo sui libri… cucinavo ogni volta che potevo! Quando mi sono resa conto che stava diventando molto più di un hobby appassionante, mi sono licenziata e mi sono iscritta ad un’accademia professionale. Fondamentale è stata quindi la formazione? Senza dubbio. Ho osservato, ascoltato e imparato dai migliori. Ho compreso che la manualità non basta: la conoscenza degli ingredienti, con tutto ciò che viene “prima”, è fondamentale. Capire la chimica, come funzionano, come si comportano, abbinati tra di loro e rispetto all’ambiente circostante, è ciò che rende un professionista capace di padroneggiare la materia, in qualunque circostanza. Come hai proseguito? All’indomani del mio percorso formativo, ho compiuto una breve esperienza nel laboratorio di pasticceria di un ristorante stellato. Ma è durata sì e no 15 giorni, perché insieme a questa opportunità è arrivato il Covid e sono sopraggiunti la paura e l’incertezza sul futuro. Dopo il periodo di fermo imposto e vissuto da ciascuno di noi, ho preso la decisione che mi ha fatta svoltare. Quale? In un periodo storico senza precedenti, in cui i locali erano vuoti, le serrande si abbassavano e nessuno cercava collaboratori, ho deciso di “prendere in mano la mia vita”. Con non poche difficoltà, nel maggio 2021 ho aperto il mio laboratorio: il Covid era minaccia, ma nel mio caso si è rivelato la mia opportunità. Ce lo descrivi? La mia attività si chiama PAnna Pastry Lab, non ho un punto vendita con accesso diretto, lavoro su ordinazione e le mia vetrina sono i social. Il cliente che passa a ordinare può scegliere ciò che vuole: dalle torte più classiche alle più moderne e, in alcuni periodi dell’anno, pralineria e cioccolateria sono il mio punto forte. Ho scelto di non avere un catalogo predefinito in modo da andare incontro alle esigenze del cliente, che sceglie con me come sarà la sua torta, a partire dalla tipologia e dai gusti fino alle decorazioni.
fronte bar
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Caldo, mancanza di energie…
COLD BREW COFFEE!
Facile a dirsi e ancora più facile a farsi: al bar come a casa, un caffè estratto a freddo vi rimette in forma e amplia il ventaglio di fresche offerte
Ideato, così pare, verso il 1700 ad opera di un giapponese, il sistema di estrarre le proprietà dalla polvere di caffè tramite l’utilizzo di acqua fredda consente di ottenere una bevanda ricca di sapore ma poverissima di oli, con un equilibrato tenore di caffeina, inferiore ad un caffè filtro, ma con un’ampiezza aromatica superiore ed una versatilità incredibile. Per la preparazione del cold brew coffee, gli strumenti di estrazione vanno dai più appariscenti alambicchi di origine asiatica fino al toddy americano (toddycafe. com). Vi occorrono un ottimo caffè, meglio se non tostato troppo scuro, e acqua fredda: si prende il caffè macinato grossolanamente (come per un caffè filtro) e la dose oscilla dagli 80 ai 100 g per ogni litro d’acqua, sempre di bottiglia o filtrata, attraverso una caraffa tipo Brita. Se non avete un toddy (ce ne sono fino alla capacità di 20 litri), si pone il caffè in un grande recipiente, si mescola per bene e lo si conserva in frigo, coperto, per un
tempo variabile dalle 12 alle 24 ore. Il tutto tenendo conto che la dose ed il tempo di infusione variano in funzione del tipo di caffè utilizzato, del suo profilo di tostatura e della concentrazione finale che si desidera ottenere. Una volta terminata l’infusione, lo si filtra prima con un colino a maglie grosse e dopo con un filtro in carta o in stoffa, per renderlo limpido. La conservazione può avvenire in bottiglie chiuse, per più giorni, in modo da averlo pronto all’occorrenza. Ricordatevi sempre, se lo state preparando per la vostra attività, di etichettare i contenitori indicando il tipo di prodotto, la data di produzione ed una data di scadenza non superiore ad una settimana. PER SEDURRE LA CLIENTELA Se volete suscitare ulteriore interesse nei vostri avventori, la soluzione del cold drip coffee è la più appariscente. Si tratta di un gocciolatore che, facendo scendere all’incirca una o
due gocce al secondo sul pannello del caffè, nel giro di 8/10 ore vi consente di ottenere un ottimo concentrato di caffè freddo. Il caffè può essere bevuto “puro” oppure aromatizzato a piacere, creando drink personalizzati. Le più comuni e semplici aromatizzazioni consistono nel porre insieme al caffè scorze d’arancia fresca, pezzetti di zenzero, semi di cardamomo o qualche rametto di menta. Questi conferiranno un aroma di base che potrà essere completato con i vostri prodotti preferiti, dallo sciroppo di menta alla bevanda alle mandorle (o alle nocciole o al cocco), dal rum all’ouzo greco, oppure con altri liquori e distillati in commercio, a vostro piacimento. Ricordatevi che, per preparare un buon estratto di caffè freddo, non è necessario impiegare degli alambicchi da alchimista e voglio insegnarvi un metodo casalingo. Prendete 100 g di ottimo caffè macinato
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in ascolto
Noi Voi per
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Brillante direttore di SigepGiovani, formatore e divulgatore, Samuele Calzari risponde ai vostri dubbi e quesiti.
Buongiorno, vorrei realizzare delle praline al lampone tagliate alla chitarra o al coltello. Per la loro buona riuscita devo prevedere una classica ganache? Ha una ricetta da darmi? Luca, Modena Buongiorno a lei Luca, iniziamo con un pochino di teoria circa la definizione di ganache. Un sinonimo potrebbe essere “crema parigina”, anche se usiamo normalmente il termine francese, e si tratta di una un’emulsione di panna (o latte) e cioccolato. La struttura della miscela è garantita dal grasso contenuto nel cioccolato, cioè il burro di cacao, e la si può utilizzare sia come farcitura per torte, sia come ripieno per praline. Le percentuali di parte liquida rispetto al cioccolato variano in funzione dell’uso e ad una ganache classica è possibile aggiungere altri ingredienti, per poterla impiegare, per esempio, per truffle o cake pops. Il procedimento per preparare una ganache classica consiste nel versare la panna o il latte caldo (a circa 90°C) sulla copertura tagliata a pezzi piccoli. Si deve quindi mescolare ed emulsionare fino a completo scioglimento del cioccolato, ottenendo un composto lucido ed omogeneo. Per quanto riguarda la ganache per il taglio a filo (chitarra), le dosi standard prevedono: • cioccolato fondente 2 volte la panna • cioccolato al latte 2 volte e mezzo la panna • cioccolato bianco 3 volte la panna. In questo caso facciamo riferimento ad un cioccolato con contenuto di burro di cacao a circa il 30%, ricordando che il dosaggio dipende appunto dalla quantità di burro di cacao. A volte potrebbe risultare utile aggiungere una percentuale di grasso in più, ma sconsiglio di superare il 10%. Inutile e rischioso è invece realizzare una ganache partendo dal cioccolato fuso. Per
quanto riguarda la durata, ricordiamoci che meno acqua libera abbiamo all’interno, più lunga sarà la shelf life. A questo scopo si può aggiungere dello zucchero, aumentando però, ovviamente, anche la dolcezza. Per chiudere, oltre a fornirle la ricetta richiesta, la rimando anche alla rubrica Ganache Solution che da tempo appare sulle pagine di questa rivista, a cura di Yuri Cestari e Alexandre Bourdeaux, in cui l’argomento ganache viene approfondito in tutti i suoi aspetti.
Praline ai lamponi purea di lamponi g 200 panna g 200 cioccolato al latte g 300 cioccolato fondente g 300 kirsch g 50 Fare bollire la panna ed aggiungervi la purea di lamponi precedentemente passata al colino. Tritare finemente i due cioccolati ed unirli a panna e lampone ancora caldi. Emulsionare con un mixer a immersione. Portare la crema a circa 40°C ed aggiungervi anche il liquore. Versare la ganache ottenuta in una cornice e lasciare cristallizzare per 12 ore a circa 10°C. Tagliare con la chitarra e ricoprire con cioccolato fondente temperato. Samuele Calzari samuelecalzari.com
Manilia sale in cattedra
Tra gli appuntamenti di Rosemary Giovani condotti da Giuseppe Manilia, quello tenutosi presso l’Istituto Professionale di Stato per l’Enogastronomia e l’Ospitalità Alberghiera dell’IIS A. Sacco di Sant’Arsenio, Sa, guidato dalla dirigente scolastica Rosaria Murno, con Michele Armano, docente in gastronomia e giornalista.
C’è l’anima di Rosemary, figlia di Giuseppe Manilia e Rosita Costa, scomparsa nel 2020, nel nuovo progetto a lei intitolato, Rosemary Giovani. Impegnata nel sociale, lei rivive in una serie di progetti che i genitori portano avanti, nel segno dell’esempio e della condivisione. A partire dalla pubblicazione del diario I Sogni di Rosemary, che racconta la sua vita da una prospettiva diversa rispetto a quella dei coetanei, pervasa da commovente ottimismo, fino all’istituzione di un omonimo premio nazionale, passando per iniziative di solidarietà destinate all’Ospedale Santobono di Napoli. Con Rosemary Giovani, inauguratosi presso l’Academy del Gambero Rosso a Roma, l’esempio della ricerca della perfezione estetica e degustativa condotta in pasticceria diventa ‘lezione di vita’ per gli studenti. A salire in cattedra è proprio Giuseppe, artigiano talentuoso che mette a disposizione degli allievi la sua esperienza. L’idea del suo Percorso di degustazione in pasticceria è frutto di 2 anni di studi e sperimentazioni per individuare un modello da trasmettere, quale standard di riferimento di qualità.
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Guardando alla seconda vita L’AMPI si è riunita a Pompei, in occasione del 26° Simposio Pubblico, per una riflessione su sfide e opportunità della transizione ecologica, tra tecnologia, uso democratico del cibo e nuove modalità d’investimento e preparazione del personale
Una seconda vita da interpretare secondo più accezioni e una ferma volontà di allargare gli orizzonti, in una visione inclusiva e costruttiva, così da rafforzare il percorso che, da 29 anni, vede l’Accademia Maestri Pasticceri Italiani coinvolta nella valorizzazione dell’eccellenza dolciaria nostrana. Un percorso che, dopo una fase burrascosa e con una scissione interna nota ai più, ha condotto al 26° Simposio Pubblico di Pompei, Na, celebrato con notevole successo in maggio, alla presenza di pressoché tutti i membri, tantissime aziende partner, giornalisti, colleghi e appassionati. Una festa corale che ha voluto concentrarsi sul tema della sostenibilità in pasticceria, perché “AMPI è anche questo: confrontarsi su problematiche e trovare soluzioni”, come ha affermato Salvatore De Riso, nel direttivo in qualità di presidente, accanto ai
Diffondere e potenziare Con un nuovo logo, che ritrae una toque alta e stilizzata a simbolo dell’alta pasticceria e dell’alta ristorazione, con una nuova giacca ed un manifesto della sostenibilità, Accademia raccoglie in sé pasticcieri e pastry chef di tutta Italia e non solo, considerando Armando Palmieri attivo in Canada, Gary Rulli e Biagio Settepani negli Stati Uniti. Otto le commissioni, tra controllo ed esame candidati, revisore conti e amministrazione, media ed eventi, social media e aziende partner, oltre a pastry chef e simposi, impegnate ad assolvere gli obiettivi istituzionali: studiare e adottare i mezzi più idonei per perfezionare i processi di lavorazione, diffondere l’immagine dell’alta qualità nella pasticceria italiana, facendo uso di materie prime d’elevato valore qualitativo e nutrizionale. accademia-maestri-pasticceri-italiani.it
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I RELAIS DESSERTS A PADOVA Dopo 14 anni, in maggio sono tornati in Italia i Relais Desserts International, oltre 80 pasticcieri tra i più blasonati, che si sono riuniti a Padova e confrontati su tematiche d’attualità. Il primo momento clou si è svolto presso il Palazzo della Ragione, inserito tra i siti Patrimonio Mondiale dell’Umanità Unesco. Per il Goûter des chefs i partecipanti, suddivisi in 10 squadre in base alle aree geografiche di provenienza, hanno allestito le loro composizioni in altrettanti buffet, incentrati sul tema “Erbe e Frutta”. La squadra italiana era composta da Iginio Massari, il “padrone di casa” Luigi Biasetto, Andreas Acherer, Fabrizio Galla, Luca Mannori e Roberto Rinaldini. “Per noi questi incontri rappresentano un’importante occasione di confronto e un momento di approfondimento relativo alle eccellenze locali – ha dichiarato lo stesso Biasetto –. È durante i seminari internazionali che si definiscono tendenze a livello internazionale. Quest’anno abbiamo focalizzato l’attenzione sull’ecosostenibilità, sui nuovi paradigmi del mercato e sull’e-commerce. Si intravede inoltre un ritorno al classico e alla tradizione, seppur arricchito da contaminazioni che arrivano da lontano, dal Perù come dal Giappone”. Biasetto ha infatti sottolineato come l’innovazione passi spesso attraverso associazioni nuove di gusti e aromi: “La globalizzazione ci porta a innestare ingredienti che arrivano dall’altro capo del mondo, come lo yuzu o i fagioli cinesi, su tecniche tradizionali. E molto spesso questo ci consente di assistere a contaminazioni sorprendenti”. Da segnalare anche la preferenza sempre più diffusa per formati più contenuti e per una pasticceria con meno zuccheri. Membro di Relais Desserts sin dal 1987, Massari ha a sua volta indicato alcuni temi centrali: “Nelle ricette non ci sono segreti; ci sono competenze e progetti. Le materie prime di qualità sono essenziali ma rischiano di perdere valore se non supportate dalla conoscenza. Deve quindi emergere sempre di più la professionalità degli operatori”. E qui gli italiani hanno lanciato un appello illustrando l’esempio francese, che conta numerose scuole di specializzazione e la selezione rigorosa a cui ci si deve sottoporre per acquisire, in nome dell’eccellenza, il titolo di MOF artigiano pasticciere. A tornare sul tema della qualità è stato anche il Presidente, il francese Vincent Guerlais, che ha ribadito come la cura per i dettagli e la ricerca dell’eccellenza siano condizioni imprescindibili. Foto Lonati Fotografia
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Luigi Biasetto e Iginio Massari. Sotto, è rappresentata la pienezza della primavera nel trionfo di frutti, fiori ed erbe aromatiche proposto nelle vetrine della Pasticceria Biasetto a Padova, ideato da Maria Teresa Pelosi, esperta di packaging creativo. Lo speciale allestimento, comprendente vasi da giardino ricolmi e Teste di Moro siciliane in versione “brasiliana”, rappresenta un omaggio a Piazza delle Erbe e Piazza della Frutta, e al tema “Erbe e Frutta”.
trend internazionali
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DALL’ESAGONO per lo Stivale (e oltre) VERO DODAT A PARIGI In uno dei passage più eleganti di Parigi, a due passi dal Louvre e dal Palais Royal, la Galerie Véro-Dodat accoglie da metà maggio l’omonima pâtisserie e salone da tè, accanto alle vetrine di Christian Louboutin e Marc-Antoine Barrois. Bertrand Cazenave, proprietario della nuova insegna, insieme all’architetto Régis Botta, hanno ridisegnato il concetto visivo per trasformare gli spazi in un luogo elegante, basandosi sulla cifra stilistica di Giò Ponti, architetto amato da entrambi, inserendo ottone, specchi invecchiati, marmi verde imperiale e blu profondo. Alla creazione pasticcera è stato chiamato Filipe Domingues, autore, con la proprietà, della selezione delle materie prime e dei prodotti, dai tè della Maison Nunshen allo Champagne Drappier, dalle spezie di Roellinger al cioccolato di Nicolas Berger, sino ai limoni di Mentone, che accompagnano anche l’offerta salata.
INAUGURATO TOURBILLON
A PARIGI
Dopo l’apertura nel 2018 del suo primo negozio a Saulx les Chartreux, nella periferia parigina, sede del laboratorio principale, Yann Brys ha inaugurato ad aprile la sua prima insegna nella capitale sull’Ile Saint-Louis. MOF dal 2011, propone una scelta di dolci creati per valorizzare la frutta di stagione, tra i quali spiccano la torta al limone e meringa ed il Tourbillon all’albicocca, limone e basilico. Una gamma che spazia tra le 6 e le 12 di proposte ogni settimana, alle quali si affiancano elaborati temporanei e dolci da viaggio, lievitati, confetteria, cioccolato e gelato. Per l’autunno è prevista l’apertura di uno spazio di degustazione. patisserietourbillon.com
NUOVA SEDE PER L’ECOLE Valrhona ha inaugurato il 2 maggio la sede parigina della propria École nel quartiere del Marais, al 47 della rue des Archives, a seguito delle aperture di New York e Tokyo, aggiuntesi a quella della sede storica di Tain l’Hermitage, creata nel 1989 da Frédéric Bau. A Parigi la scuola è capitanata da Thierry Bridon, coadiuvato dai formatori Baptiste Moreau, Jérémy Aspa e Samuel Ducrotoy, e si estende su 340 m2 su due piani, con un laboratorio di 78 m2 per 30 stage all’anno. Oltre ai pasticcieri della maison intervengono docenti esterni come Pierre Hermé, Florence Lesage, Au-
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ricette
caraibiche e del sud degli USA, in Europa si decise di intensificare la presenza sui propri mercati di prodotti come caffè, cacao e canna da zucchero e si diede quindi il via alla deportazione di schiavi africani in quelle terre rigogliose, per far coltivare loro i campi e trarne tutti i profitti. Fu proprio nelle piantagioni di caffè e di cacao che uomini e donne, per allietare un poco le loro dure giornate, iniziarono a muoversi al ritmo della clave (strumento a percussione composto da due legnetti), dando così origine ai primi balli caraibici. In questo dessert trovate il tipico sigaro cubano di marca Cohiba in versione dolce. Ha “crosta” in cioccolato fondente proveniente dalla Tanzania, per rappresentare le terre africane con il suo gusto intenso di cacao e spezie e una nota finale molto fruttata. All’interno si scoprono
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la cremosità e dolcezza della crema aromatizzata con chicchi di caffè 100% Arabica, che richiamano le piantagioni caraibiche, mentre nel cuore del sigaro c’è una gelée di rum cubano Matusalem invecchiato 15 anni, prodotto dalla storica distilleria fondata a Santiago de Cuba nel 1872. In netta contrapposizione e volutamente separata, ho voluto rappresentare l’Europa in un bicchiere attraverso uno dei suoi “frutti” migliori, il vino. Ne ho scelto uno di casa mia, il Canavese, dal sapore di frutta matura e di fiori: il Caluso Erbaluce passito. Infine, il nome che ho scelto per l’elaborato è quello una linea immaginaria, il 20° parallelo nord che unisce l’Africa ai Caraibi, in modo da congiungere ancora una volta queste terre. Samantha Rigotti studentessa IFSE foto Saverio Pisano ifse .it
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