345 NUMERI DI INFORMAZIONE E FORMAZIONE!
“Pasticceria Internazionale” nasce nel 1978: 45 anni al fianco del settore artigianale, per valorizzare la cultura del dolce, del gelato, del cioccolato, del caffè e della cucina, ponendo attenzione anche al marketing e al confezionamento, con la forte volontà di diffondere conoscenza ed evoluzione, in un’ottica di collaborazione e comunicazione internazionale. Sosteniamo la crescita professionale anche attraverso volumi tecnici che hanno fatto e fanno la storia, iniziative e concorsi, sempre in sinergia con gli attori del comparto. Un percorso denso di soddisfazioni, confronti, successi (superando anche le difficoltà che si incontrano sul percorso di crescita), animati di ferrea volontà di sostenere, illustrare e difendere questo poliedrico settore artigianale, divulgando “informazione e formazione”, per aggiornare e approfondire, in maniera completa e seria, e super partes. Con un occhio di riguardo per i giovani e per i talentuosi, a prescindere dall’appellativo di “maestro”, in un viaggio costellato di conoscenze stupende, scoperte, emozioni, iniziative, confronti costruttivi. Internazionale di fatto e non solo di nome! 45 anni e 345 numeri di arricchimento professionale, in una circolazione di idee, di empowerment, di nuovi fermenti produttivi e imprenditoriali, sempre con la coscienza del valore della tradizione dolciaria.
Primavera 1978
Da una felice intuizione (ben miscelata alla determinazione) di Emilia Coccolo Chiriotti, in ascolto dei tanti artigiani che, all’epoca, non avevano una rivista di riferimento, esce “Pasticceria Internazionale”. Potete sfogliare e scaricare il primo numero da pasticceriainternazionale.it
Eventi
Concorsi
Il primo è la Coppa Italiana della Pasticceria Confetteria (dal 1980 al 1986), seguito dal grande successo di Sigep d’Oro, dal 1989 al 2001 fiore all’occhiello della fiera riminese. Nel 2001 siamo fra i fondatori del Club Italia - Coupe du Monde de la Pâtisserie per favorire e sostenere selezioni e allenamenti.
Tanti seminari, tanti forum, tante dimostrazioni, tanti format, come Futuri Talenti, e tanti premi per la formazione scolastica, oltre a mostre fotografiche e pittoriche e ad essere media e cultural partner di iniziative internazionali.
LA COSTANZA DEI SOGN I
È quella che non manca a Roberto Rinaldini che, assieme alla moglie Nicole, inventa e si reinventa da decenni, con un unico fulcro, Casa Rinaldini
Dobbiamo insegnare alle nuove generazioni a ragionare da manager, essere attenti sul fronte gestionale, per analizzare le distinte dei prodotti, le etichette, la tracciabilità, gli acquisti, gli inventari…
La resilienza di Roberto Rinaldini è già stata più volte evidenziata su queste pagine, considerando la carriera ultradecennale e sfaccettata, sempre a fianco della moglie Nicole. Con lei condivide la visione del loro brand nato dal color fucsia, che oggi conta 80 collaboratori, 7 locali e progetti in espansione, messi a punto a partire da Casa Rinaldini, il quartier generale inaugurato a Cerasolo di Coriano, Rn, nel 2018, per rendere reale il sogno di una vita: laboratori separati (pasticceria, cioccolateria, cucina, panificazione), ognuno con una squadra autonoma (in tutto 45 dipendenti) con a capo un responsabile per la parte dolce e uno per la cucina a gestire le varie brigate, con la direzione e supervisione di Roberto, per servire i punti vendita, l’online e l’offerta dedicata all’horeca, con il concetto di qualità artigianale. Ed è da questo che partiamo per intervistare il pasticciere riminese.
Come si onora l’artigianalità?
Rimango artigiano trattando il prodotto nel medesimo modo in cui lo facevo nel mio piccolo laboratorio, con macchine più adatte per affrontare 200 kg di impasto e, ad esempio, sfogliatrici semiautomatiche che aiutano a standardizzare i processi, riducendo l’errore nella stratificazione, perché la costanza è il
fattore più difficile nel nostro lavoro. E poi la flow pack aiuta, ma rimangono molti gli step manuali, specie perché diversifichiamo molto e questo ha suoi pro e i suoi contro. Quali consigli dare ai giovani imprenditori?
Dobbiamo insegnare alle nuove generazioni a ragionare da manager, essere attenti anche sul fronte gestionale, per analizzare le distinte dei prodotti, le etichette, la tracciabilità, gli acquisti, gli inventari (anche delle suppellettili, perché è incredibile quanti cucchiaini finiscono nei bidoni o vengono rubati!). Essere artigiani moderni vuole dire avere sotto controllo il più possibi-
le l’ambito gestionale, anche per evitare scarti, tracciando tutto, anche il conto economico. Per questo, ogni sera ci arriva il report dalle chiusure di cassa e del venduto di tutti i negozi, appunto per tracciare, prevedere e mantenere lo standard. Uno standard che richiede notevoli sforzi, vero?
Sforzi e competenza, necessaria in qualsiasi realtà artigianale, piccola o grande. In più sentiamo forte la responsabilità del gruppo, dei dipendenti, dei fornitori, dei clienti. Noi siamo una start-up come SpA, nonostante i 22 anni di lavoro e i 4 anni di Casa Rinaldini. E non è semplice gestire il costo del lavoro, il
purea di lampone, acqua, zucchero, glucosio. Versare tutto su cioccolato tritato, gelatina e colorante, mixare con un frullatore a immersione. Cristallizzare in frigorifero a 4°C per 24 ore prima di utilizzarlo.
FINITURA
Stendere il croccante su un disco di pan di Spagna al cioccolato all’interno dell’anello in acciaio, quindi lasciarlo cristallizzare in frigorifero per 15 minuti. Nell’altro anello, colare la crema leggera al mascarpone e farla cristallizzare per 30 minuti in congelatore -10°C. Versarvi sopra la purea di lampone e riporre in congelatore per 1 ora. Foderare internamente un anello da 22 cm, alto 4 cm, con acetato e versarvi per metà la
mousse al cioccolato. Sformare dall’anello l’interno di mascarpone e lampone e inserirlo al centro della mousse, chiudendo a filo con il fondo. Appoggiando il croccante aderente alla mousse, pressare con un disco, facendo attenzione che sia perfettamente in linea. Lasciare in congelatore fino a completa cristallizzazione. Temperare la glassa a 28°C. Sformare la torta e posizionarla su una gratella e glassare, avendo cura di coprire in modo omogeneo tutta la superficie e i bordi. Decorare con frutti rossi e ricci di cioccolato.
LA PASTICCERIA DA RISTORAZIONE SI RACCONTA
Rossella ContatoClassici o d’avanguardia, dall’aspetto semplice o complesso, in tutti i casi i dessert nei ristoranti di alto livello nascono da studi, riflessioni, tecniche, ricerca e dialogo con lo chef. Anche tenendo in considerazione temi oggi di grande attualità, come la sostenibilità ambientale e l’attenzione al benessere
CLASSICO RIVISITATO O FUFFA?
Lucilla CremoniProseguiamo nel mondo della pasticceria da ristorazione, prendendo spunto dalla ricetta della Zuppa Inglese di Marco Pinna per Cucina Dolce Giovani, per considerare il concetto di “rivisitazione”
Se l’espressione “classico rivisitato” ci fa alzare gli occhi al cielo, non è per via del fatto che siamo dei parrucconi oscurantisti, è che l’esperienza ci ha insegnato quanto sia labile il confine tra un approccio realmente innovativo e la fuffa, e quanto più frequente sia la seconda. I cantanti un po’ in ribasso finiscono sempre per fare dischi di cover o canzoni natalizie, gli stilisti periodicamente “ricreano” il tubino nero, gli chef continuamente reinventano di tutto, con risultati anche gradevoli ma non sempre significativi: allora dovremmo liquidare tutte le riletture come tentativi di camuffare la mancanza di idee o addirittura come tradimenti di una supposta “filologia”? Certo che no: senza revisioni, riletture, reinvenzioni e rivoluzioni non esisterebbero la cucina e la pasticceria quali le conosciamo (e la moda, e la musica…). Si tratta, piuttosto, di imparare a distinguere le rivisitazioni che hanno un senso e una coerenza da quelle che si risolvono in pura esteriorità o esibizione di virtuosismo. Anche questo è stato uno dei motivi per cui la seconda edizione in presenza di Cucina Dolce Giovani, che si è svolta a novembre 2022 a Torino, grazie ad Associazione Pièce, è stata focalizzata sul tema della rinascenza, riproponendo alcuni classici della pasticceria italiana interpretati da pastry chef di vertice.
COSA VUOL DIRE RIVISITARE UN CLASSICO?
Vuol dire infinite cose e si può fare in infiniti modi: tutto si può cambiare e anche stravolgere, a patto che ci sia dietro un progetto coerente, e che al centro vi sia la preparazione e non l’ego dell’artefice. Una rivisitazione riuscita è quella che analizza, scompone, ricompone, cerca nuove prospettive, scopre o mette in evidenza aspetti inediti, cambia gli approcci, le relazioni fra gli ingredienti, le consistenze, le temperature, le modalità di servizio. Ma sa comunque trasmettere l’essenza, i profumi, le suggestioni della preparazione. È esattamente quello che ha fatto Marco Pinna, pastry chef del ristorante
Seta e del Mandarin Oriental Hotel, Milano**. Il suo curriculum inizia con ristoranti della sua Sardegna per portarlo a perfezionarsi da Alma, poi nel laboratorio di Ernst Knam e quindi in tutta Italia coi massimi chef: da Cracco a Cannavacciuolo, da Niko Romito a Perbellini a Oliver Glowig, fino a entrare nella brigata di Antonio Guida e diventare, nel 2021, responsabile di tutta la proposta dolci, lievitati, banchettistica e dessert della struttura milanese. Per Cucina Dolce Giovani, Pinna ha ripensato la zuppa inglese, un dolce al cucchiaio antico (alcune fonti lo fanno risalire all’Ottocento, altre addirittura alla corte estense rinascimentale) che è una vera icona della pasticceria italiana, professionale e domestica.
Assieme alla sua brigata – composta da
Alessio Barolo dell’IIS G. Ferraris di Trino (VC), Aurora Cappelli di Torino Immaginazione e Lavoro, Claudia Chiappini dell’IIS Einstein-Nebbia di Loreto (AN), Maria Fradella dell’Ipseoa P. Piazza di Palermo, Alessandro Polverino dell’Ipseoa P. Artusi di Roma, Aurora Tittarelli dell’IIS P. Panzini di Senigallia (AN) – lo chef ha elaborato un’interpretazione che comincia dalla sua collocazione nel contesto del dessert. Il dolce non ne è infatti protagonista assoluto, ma è parte di una proposta più ampia, e svolge un importante ruolo di passaggio e mediazione fra il predessert e il dessert. La sua golosità avvolgente segna il passaggio definitivo alla fase dolce, ma la porzione più contenuta non interferisce con l’apprezzamento del dolce successivo.
La zuppa inglese secondo Marco Pinna è
Tutto si può cambiare e anche stravolgere, a patto che ci sia dietro un progetto coerente, e che al centro vi sia la preparazione e non l’ego dell’arteficeMarco Pinna, pastry chef del Seta e del Mandarin Oriental Hotel di Milano, insieme agli allievi provenienti da tutta Italia per Cucina Dolce Giovani, svoltosi lo scorso novembre a Torino.
PAROLA D’ORDINE DISCREZIONE
In armonia con i codici della parigina rue de la Paix che lo ospita, l’hotel Park Hyatt Vendôme è il luogo in cui opera Naraé Kim, riverberando in soavità ed eleganza tecnica francese ed ascendenza coreana
Domenico BiscardiCon un decreto imperiale del 19 febbraio 1806, firmato dallo stesso Napoleone I, si stipulava la creazione di rue de la Paix, il nastro elegante posto tra Place Vendôme e il Boulevard des Capucines, che oggi rappresenta una delle mete commerciali più prestigiose di Parigi. Se fosse un colore e un tessuto questa via, ormai entrata nel mito urbano, sarebbe un sofisticato tappeto di velluto rosso, capace di isolare dal chiasso del quartiere dell’Opéra e di introdurre gradualmente gli avventori verso l’atmosfera rarefatta di Place Vendôme e delle arcate di rue de Castiglione, che sfociano nello scrigno verde del Jardin des Tuileries. Un rettilineo che è un catalogo di alta gioielleria, in un crescendo di pregio, la cui parola d’ordine è discrezione.
Il Park Hyatt Vendôme, inaugurato nel 2002, ha saputo sposare tali codici, concependo un’entrata appena percettibile dall’esterno e creando uno spazio che protegge dalla
città, tutto rivolto all’interno, quasi un invito alla contemplazione. Contraddistinto dal 2011 dal titolo di Palace, l’hotel è dotato di un’identità stilistica minimalista, che l’architetto Edward Tuttle ha messo al servizio della preminente mineralità della pietra, e alla quale il naso Blaise Mautin ha sposato un commento olfattivo a base di fragranze di Patchouli, Cuir de Russie e arancia di Florida. In questo contesto, l’arrivo di Naraé Kim, nell’ottobre 2021, ha impresso all’offerta pasticcera del Palace i caratteri dell’eleganza e della soavità. Ad una manciata di metri dallo storico negozio del gioielliere Cartier e dall’altera Place Vendôme, la pasticcera coreana da un paio di anni introduce nuovi vocaboli nel linguaggio sucré, grazie ad un bagaglio gustativo ed estetico frutto della sua cultura d’origine e dell’incontro con la tecnicità. Come la moda d’Oltralpe, che da decenni integra l’apporto di creatori stranieri che regalano al Made in France nuovo slancio
creativo, così la pasticceria francese si apre timidamente, ma con consapevolezza, a preziosi contributi che la arricchiscono. Naraé Kim rappresenta oggi una giovanissima generazione di professionisti pronti a rinnovare, attraverso un lavoro minuzioso e discreto, capace di proporre una vera sorpresa di sapori e consistenze, nel cuore finanziario e del lusso della capitale.
Sorbetto alla pera
succo di pera g 320
manioca g 35
vaniglia g 5
Cuocere la manioca all’inglese. Riscaldare il succo di pera con la vaniglia e aggiungere la manioca; mescolare il tutto ed emulsionare prima dell’uso.
Pera al caramello
succo di pera g 500
Ridurre il succo di pera fino a una consistenza caramellata.
Pancarrè
farina di grano tenero tipo 1 g 500
burro g 50
zucchero semolato g 50
sale g 8
lievito di birra g 20
latte g 125
acqua g 104
latte in polvere g 10
Mixare tutti gli ingredienti (25°C a fine impasto). Rimuovere dalla ciotola senza scaldare l’impasto. Formare una sfera, far lievitare per 1,30/2 ore e riporre in frigorifero a 5°C, fino al giorno dopo. Stendere in uno stampo e cuocere a 170°C per 40/60 minuti. Lasciare raffreddare, poi abbattere.
Tagliare a fette spesse 2 mm. Coprire con uno strato sottile di burro ammorbidito e cospargere di zucchero. Tagliare a strisce da 20x2 cm e dischi di 6 cm di diametro. Disporre in uno stampo tondo imburrato e cuocere a 160°C per 8 minuti.
Crema pasticcera
latte intero g 120
tuorli g 30
zucchero semolato g 24
baccelli di vaniglia g 4
maizena g 12
burro g 12
Portare ad ebollizione il latte e mettere in infusione la vaniglia per 10 minuti. Riportare ad ebollizione con lo zucchero semolato. Versare sopra il composto di tuorli e amido, e cuocere fino a ebollizione. Aggiungere il burro e mettere da parte.
Crema diplomatica
crema pasticcera g 200
panna montata g 100
Amalgamare bene la crema pasticcera e incorporavi delicatamente la panna montata.
Dressage
pere Doyenné du Comice tagliate a brunoise pere Nashi tagliate a fettine sottili cioccolato bianco tartufo nero
Farcire sino a metà altezza la base di pancarrè con la crema diplomatica, aggiungere la brunoise di pera, uno strato di sorbetto alla pera, uno di gelato al tartufo e uno di crema al tartufo sifonata, lasciandola sbordare un poco. Collocare in cima le fettine sottili di pera Nashi. Infine, cospargere la superficie con cioccolato bianco grattugiato e terminare con scaglie di tartufo nero fresco.
DALLA COSTA DI AMALFI ALL’ARGENTO DI LIONE
Simona BuonauraSul podio del Championnat Européen du Sucre d’Art è salito Raimondo Esposito, unico concorrente italiano in gara
Il regolamento richiedeva di “sfidare la gravità e l’originalità di un’opera, lavorando con un solo ingrediente: lo zucchero”. Da qui i concorrenti del Championnat Européen du Sucre d’Art, svoltosi lo scorso gennaio al Sirha di Lione, hanno dovuto realizzare un’opera artistica in zucchero tirato, zucchero soffiato, nastro e altre tecniche sul tema di Salvator Dalì. La giuria, presieduta da Stéphane Glacier, ha decretato quale vincitore Thomas Mahou, seguito dal nostro connazionale Raimondo Esposito e, con il bronzo, Maël Touvenin Unico italiano in gara, il 41enne pasticciere, nato a Maiori e residente a Tramonti, Sa,
dove lavora nel laboratorio centrale di Sal De Riso, ha stupito giudici e pubblico con tecniche innovative. Otto i partecipanti che hanno avuto 8 ore di tempo per la realizzazione in diretta delle proprie opere: “Per me è stata una grande e impegnativa esperienza – afferma Esposito –. Sapevo che la Francia è molto all’avanguardia in questo settore e ce l’ho messa tutta. Mi sono ispirato al galeone di Amalfi, che ha un leone alato sulla prua, sostituendolo con un suggestivo elefante di Dalì, dalle orecchie a forma di farfalle e sulla cui proboscide c’è il celebre pianoforte e due pennelli. La barca era in zucchero e pastigliaggio. Il punto vincente è stata l’origina-
lità del pezzo, grazie a fiori bicolore, nastri e, sulla base, il richiamo del mare con esagoni che ricordavano il miele per la forma degli alveari”. Questo particolare è un omaggio al dipinto di Dalì “Il miele è più dolce del sangue”. E la medaglia d’argento prosegue nel racconto: “Riguardo le tecniche, a parte quelle imposte, per la base dell’opera ho puntato sulla trasparenza, prendendo spunto dai maestri di Murano, poi ho creato dei pennelli completamente vuoti con la tecnica
FORMA DI FARFALLE E SULLA CUI PROBOSCIDE CI SONO IL PIANOFORTE E DUE PENNELLI. LA BARCA, IN ZUCCHERO E PASTIGLIAGGIO, ERA IMPREZIOSITA DA FIORI BICOLORE, NASTRI E, SULLA BASE, IL RICHIAMO DEL MARE CON ESAGONI CHE RICORDANO IL MIELE PER LA FORMA DEGLI ALVEARI, IN OMAGGIO AL DIPINTO DI DALÌ “IL MIELE È PIÙ DOLCE DEL SANGUE”. LA TRASPARENZA DELLA BASE DELL’OPERA PRENDE SPUNTO DALLE TECNICHE USATE DAI MAESTRI DI MURANO; I PENNELLI SONO COMPLETAMENTE VUOTI GRAZIE ALLA TECNICA DEI NASTRI, MENTRE LO STELO DEL PENNELLO È OTTENUTO CON LA TECNICA DELLO SUCRE PAILLE CHE DÀ LEGGEREZZA E SPAZIO ALL’OGGETTO.
PER IL SUO LAVORO, RAIMONDO ESPOSITO SI È ISPIRATO AL GALEONE DI AMALFI, SOSTITUENDO IL LEONE ALATO SULLA PRUA CON L’ELEFANTE DI DALÌ, DALLE ORECCHIE A
RIPRENDIAMO LE FILA
Le ricette della 27a edizione del Gran Premio Luxardo
È dai suoi esordi che seguiamo il Gran Premio Luxardo, il concorso che l’azienda indice annualmente dal 1994, in Giappone. E, sin da allora, il successivo percorso del vincitore, ogni volta decretato in patria in un’intensa finale a 5, prevede una tappa per cui viene invitato in qualità di ospite di Luxardo a Sigep, per ricevere la medaglia d’oro e offrire al pubblico un saggio delle proprie abilità. Già a seguito della prima edizione vinta allora da Koich Yamaura, e della sua presenza a Sigep 1995, indicando il risvolto positivo tra due culture dolciarie, due visioni, due tradizioni, così scrivevamo su queste pagine: “Grazie a questo viaggio e all’esperienza trasmessa, si è posto il primo mattone per costruire un ponte fra l’artigianato dolciario italiano e quello giapponese” (l’articolo appare sul n. 104).
Anno dopo anno abbiamo seguito l’avvicendarsi dei professionisti nipponici vincitori del Gran Premio – che sovente hanno trasforma-
Filo
e ricette. Purtroppo, ma inevitabilmente, l’abitudine è stata sospesa negli ultimi anni, causa Covid, e da quest’anno si ricomincia con una formula diversa.
Per riprendere quindi le fila, diamo spazio ai lavori dei vincitori delle più recenti edizioni, che si sono tenute a Tokyo, presso il distribu-
da una pièce artistica. Tema e prodotti cambiano ad ogni tornata e su questo e su prossimi numeri pubblichiamo le ricette dei recenti lavori. Partiamo dalla prima classificata della 27a edizione nel 2020, Nana Iioka, e dai suoi elaborati ispirati all’eccellenza dell’artigianalità italiana.
Maraschino Luxardo g 20 Mescolare.
Composto all’ananas e arancia
ananas essiccati g 45
concentrato d’arancia g 15
succo d’arancia g 5
0,5
Amalgamare mandorle in polvere, zucchero semolato e parte delle uova, poi aggiungere le restanti uova e quindi farina e lievito. A parte, mescolare buccia d’arancia con burro fuso, incorporare nel composto precedente. Stendere in una cornice da 37x27 cm e cuocere in forno per 25 minuti a 160°C.
Bagna all’arancia e Maraschino Luxardo succo d’arancia g 20
glucosio g 8
zucchero semolato g 7
Maraschino Luxardo g 8
Mixare insieme tutti gli ingredienti.
Gelée all’arancia e ananas
arance
ananas
succo d’arancia
g 120
g 44
g 38
WAFER PAPER dal foglio al fiore
Francesca SperanzaUna risma candida di fogli che sembrano chiamarmi, lì sul tavolo del mio atelier creativo: si tratta di wafer paper, in italiano ostia, ovvero carta bianca commestibile. Materiale creativo allo stato puro!
E da disegnatrice quale sono, con quella voglia a volte incontenibile e a volte smaniosa, prendo subito un pennarello alimentare , un paio di forbici e ZAC!
I fogli di questo materiale edibile sono comunemente usati per il torrone, con le stampanti alimentari per decorare torte con panna, o premodellati e confezionati a livello industriale, per roselline color rosa e celeste, con foglie verde acceso. Un evergreen un po’ retrò, ma che ancora oggi è di largo uso come decorazione, pronta e veloce. Ma, a guardarlo bene, quel foglio può dare molto di più. Bastano un coppa pasta tondo, il fondo di un bicchiere, un pennarello, un paio di forbici e un po’ di acqua e… Abracadabra! Come per magia ecco prendere forma rose, magnolie, bacche, piume, nastri e tutto quello che con la fantasia possiamo immaginare!
Il vantaggio strepitoso della wafer paper è la rapidità di “incollaggio”, a cui si aggiunge la sua estrema leggerezza. Immaginate quanto tempo bisogna attendere affinché i petali di un fiore si stabilizzino sui wires, cioè i ferretti che si inseriscono nella flower paste (ma questo sarà l’oggetto un altro articolo
). Con la wafer paper è invece tutto rapido e, se fuori piove, umidità non ti temo!
#tips&tricks artist una passata d’aria calda a bassa velocità e intensità con un asciugacapelli, e voilà: asciugatura perfetta!
L’aspetto che più mi affascina è l’unicità dei pezzi che si possono realizzare. Risultano sempre diversi l’uno dall’altro, anche quando si scelgono, per esempio, un diametro identico per un petalo o la stessa tecnica di assemblaggio per un fiore. Tutto sarà inevitabilmente soggetto a pochi impercettibili cambiamenti nell’esecuzione e, come in natura, niente verrà replicato in modo esatto.
30 + 2
ANNI DI SODDISFAZIONI
Ritorno entusiasmante per l’evento dedicato al futuro, con 13 scuole a festeggiare, confrontarsi e vivere un’esperienza immersiva
Il gioco del 30+2 ha connotato la cinque giorni di SigepGiovani nel contesto dello scorso Sigep, svoltosi a Rimini in gennaio. Un gioco per sancire la ripartenza di questo evento, fortemente voluto da “Pasticceria Internazionale”, insieme ad Italian Exhibition Group, egregiamente coordinato da Samuele Calzari. Ideato da noi nel 1991, con il supporto dei compianti Luciano Pennati e Fulvio Scolari, SigepGiovani è oggi l’iniziativa più longeva della fiera, ponendosi quale punto di incontro tra docenti e allievi, per valorizzare il percorso di crescita che le giovani leve compiono prima di accedere alla professione. Un impegno coltivato negli anni e reso ancora più costruttivo dal concorso a squadre che vede gli allievi sfidarsi e mettersi alla prova. Quest’anno gli istituti presenti erano 13 e passiamo il testimone al direttore tecnico Calzari per raccontare le emozionanti giornate.
L’ARTISTA PRESTATO ALLA PASTICCERIA
Milena NovarinoSulla scia di SigepGiovani, ecco un ricordo del mitico coordinatore nonchè credenziere.
Luciano Pennati seppe coinvolgere ragazzi e docenti trasportandoli nell’arte della decorazione, e fu un punto di riferimento per la sua umanità e le capacità artistiche e un mentore per tanti pasticcieri
Come tanti pasticcieri nati nella prima metà del secolo scorso, Luciano Pennati amava fare più che apparire, puntare all’essenza e collaborare, investendo molto del suo tempo libero a favore della categoria e stimolando le espressioni creative attraverso momenti di confronto, sia tra i giovani che tra i colleghi. Egli amava definirsi credenziere e infatti era un ottimo confettiere e decoratore. Aveva studiato all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano e lavorato molti anni per l’industria dolciaria Motta, proprio durante la sua grande espansione economica. Arrivato alla pensione, però, Luciano non smise di interessarsi all’arte dolce, decidendo di aiutare i colleghi, soprattutto durante i periodi
di lavoro intenso, e dedicandosi a decorare panettoni, colombe, uova di Pasqua, torte da cerimonia e opere monumentali. “Era il migliore – ricordava con nostalgia Teresio Busnelli, pasticciere in Arluno, Mi, e formatore, anche attraverso più volumi firmati con noi –, le sue decorazioni erano le più belle ed era molto veloce a realizzarle”.
Nel 1992 iniziò a collaborare con “Pasticceria Internazionale”, affiancando Fulvio Scolari nell’organizzazione della seconda edizione di SigepGiovani, per poi assumerne il ruolo di direttore tecnico. Fu un vulcano di idee e di proposte e il suo obiettivo di unione e collaborazione era splendidamente espresso dall’ideazione di iniziative artistiche, amando
la bellezza in tutte le sue forme. Non solo fu un abile coordinatore, ma seppe coinvolgere i docenti affinché l’evento lasciasse un segno sui giovani partecipanti: “Dobbiamo far capire ai nostri ragazzi le bellezze di un mestiere mai monotono e sempre creativo” era il suo motto.
Nel suo ruolo Pennati contattava le scuole, dialogava con presidi e docenti per far comprendere l’opportunità offerta: partecipare a Sigep per far conoscere il proprio istituto e dialogare con i colleghi sui programmi, sulla didattica e su come formare giovani ad un mestiere che in passato si imparava soprattutto con l’apprendistato. E poi lavorava dietro le quinte, con Scolari, per la buona riusci-
Con il suo volto sempre radioso e la sua avvolgente propositività, Pennati ci ha regalato fantastiche e dolci emozioni, contribuendo a dare solide radici alla pasticceria italiana contemporaneaLuciano Pennati, Nereo Cambrosio, Emilia Chiriotti e Fulvio Scolari a Lugano nel 2007, per celebrare il 122º Congresso Nazionale Pasticcieri Svizzeri e festeggiare i 90 anni dell’Associazione Ticinese.
FRESCHEZA ELEGANZA TRASPARENZA
Emanuela BalestrinoTre concetti tradotti in consigli per valorizzare dolci di stagione e confetti. Ci racconta come la nostra esperta Maria Teresa Pelosi
Ci siamo. Dopo averne cercato le tracce sui rami degli alberi, nelle fioriere dei dehors, nell’intensità della luce e in quell’energia speciale che si diffonde dai primi giorni di aprile, eccone la certezza. Siamo dentro la primavera, nel suo verde tenue ma convinto, nei suoi sentori tanto attesi e nel suo cielo azzurro che ogni anno rappresentano la svolta del clima e il desiderio di rinascita. Concetti così belli da proporre in negozio per attrarre clienti e passanti in questa onda di ripartenza che, dai profumi del laboratorio fino alle specialità esposte, coinvolge tutti. Con la mano felice di Maria Teresa Pelosi, scenografa di interni ed esperta di packaging creativo, ecco che i vari spazi si riempiono di atmosfera grazie a confetti, gelatine e biscotti. Seguiamola in questo tour di immagini e consigli, per suscitare nuove idee e personalizzarle.
FANTASIE DI CAFFÈ
Fabio VeronaQuali offerte di caffetteria si addicono maggiormente ad una pasticceria?
I suggerimenti del nostro esperto
La pasticceria è per antonomasia un regno di prelibatezze, il luogo nel quale ci si reca per dare soddisfazione alla gola e piacere agli occhi. Oggi, più che mai, i prodotti dolci sono considerati comfort food (che può sfociare in alcuni casi nel food porn), ma la caffetteria non può e non deve essere da meno!
Partiamo dalla miscela principale: deve fornire un espresso dolce ed equilibrato, ma non ci si può fermare ad una sola proposta. Occorre inserire come minimo un secondo macinino con un’altra monorigine o un caffè specialty dalle caratteristiche qualitativamente elevate, le cui note prevalenti possono essere quelle del cacao e del fondente, come ad esempio quelle fornite da un ottimo caffè brasiliano naturale.
Con queste basi potremmo realizzare diverse ricette a cominciare dal cappuccino, il quale deve essere declinato non solo nella versione classica, ma anche in quella arricchita di panna, non montata ma liquida, aggiunta al latte per rendere l’insieme più setoso ed intenso. Le ricette di caffetteria dovrebbero armonizzarsi con i prodotti di pasticceria: se, ad esempio, offriamo degli elaborati per i quali utilizziamo un selezionato pistacchio di Bronte, non potrà mancare un cappuccino al pistacchio. Metteremo della crema di pistacchi sul fondo, poi creeremo un’ottima crema di latte versata sul caffè, che decoreremo con granella di pistacchi. Siamo forti sul cioccolato? Qui la fantasia non si deve fermare, a cominciare da una base di cioccolata calda realizzata con il vostro cacao selezionato, fino a foderare un bicchiere (magari in pasta wafer) con diverse creme di cioccolato, cominciando dall’alto con la più delicata, arricchita di nocciole, per terminare sul fondo con una fondente intensa. All’interno realizzeremo un cappuccino, che termineremo con panna montata e una spolverata di trucioli di cioccolato o granella di fava di cacao. Mangiando e bevendo questa preparazione, il cliente si avvicinerà sempre di più all’intensità del cioccolato, man mano che gli strati si susseguono, in un crescendo di felicità! Non dimentichiamo poi la frutta fresca o, se siete specializzati nella sua preparazione, quella candita. L’espresso all’arancia candita e il marocchino ai marron glacé sono tra i miei preferiti, così come è davvero prelibato l’infuso di caffè filtro con i frutti di bosco all’interno. E non scordiamo le creme. Uno zabaione arricchito di due espressi, emulsionati al momento o semplicemente versati sopra, sul quale aggiungere una spruzzata di panna con una spolverata di cacao ed
una lingua di gatto a fianco, renderà felice la giornata anche al più depresso dei vostri avventori!
Consiglio
Vi raccomando solo di non cadere nella tentazione di scimmiottare le bevande delle grandi catene americane: si deve mantenere alta l’identità di categoria, con prodotti di qualità presentati come si conviene in una pasticceria. E, per servirli, si possono utilizzare eleganti tazze o tazzoni, bicchieri old fashioned, coppette in vetro decorato, mug in vetro borosilicato a doppia camera… e ogni altro contenitore che ritenete adatto a valorizzare al massimo le vostre preparazioni.
Fabio Verona arabica100per100@yahoo.comUn espresso all’arancia candita, un marocchino ai marron glacé, uno zabaglione arricchito di due espressi, un cappuccino con panna liquida…
CULTURA DEL GUSTO E PROFESSIONALITÀ attraverso l’analisi sensoriale
Per analisi sensoriale si intende l’insieme delle tecniche che, attraverso l’utilizzo dei sensi umani, permette di delineare un profilo gustativo. Conosciamo meglio l’argomento con Gian Luca Forino, docente CAST Alimenti ed esperto dell’argomento
La competenza e la passione di Gian Luca Forino sono note ai lettori di “Pasticceria Internazionale”, in particolare grazie alla sua capacità di portare attenzione verso la relazione tra professionalità, utilizzo sapiente di determinati ingredienti, spezie e aromi in particolare, e corretti abbinamenti. Sempre di questi temi parla il libro “In viaggio. Diario di un pasticciere” (shop.chiriottieditori.it), con il quale egli ha messo nero su bianco le esperienze maturate durante numerosi viaggi di scoperta del gusto in più parti del mondo. Vediamo di approfondire alcuni aspetti fondamentali dell’argomento, chiedendo a Gian Luca di portarci all’interno di quel meraviglioso mondo che sono le nostre capacità gustative, quelle di base, fisiologiche, e quelle che possiamo affinare nel tempo con l’esperienza e l’applicazione di un metodo. Stiamo parlando di analisi sensoriale, realtà affascinante e ricca di piacevoli sorprese, alla quale egli dedica anche un corso specifico nell’offerta formativa di CAST Alimenti: “Il gusto nella pasticceria contemporanea”, dal 22 al 23 maggio.
A livello pratico, come si svolge un’analisi sensoriale?
Si tratta dell’insieme di tecniche che, attraverso l’utilizzo dei nostri sensi, ci permette di delineare il profilo gustativo di ciò che stiamo considerando. Osserviamo il prodotto, lo annusiamo, sentiamo il suono che produce al taglio oppure durante la masticazione, e poi percepiamo gusto, consistenza in bocca e aroma, che risale per via retro-nasale.
È importante imparare a distinguere i vari ingredienti e le caratteristiche di un prodotto, e ciò richiede uno sforzo di consapevolezza, un allenamento costante. Nell’approcciarsi a nuovi alimenti, è necessario identificarli e nominarli per creare la memoria di un determinato ingrediente o prodotto. Così facendo si va creando e implementando una propria libreria gustativa. Il modo in cui interpretiamo i diversi prodotti è determinato in parte dalle nostre esperienze pregresse. Per questo motivo è essenziale avvicinarsi alla degustazione senza preconcetti e assaggiare consapevolmente, proprio con l’intento di ampliare e organizzare tale libreria. Per esempio, non esiste una sola molecola aromatica che identifica il sapore del cioccolato, ma ce ne sono ben 1.500! Ecco perché avere un palato allenato, e quindi una libreria ordinata, ci consente di percepire sfumature importanti, che possono ispirare nuovi affascinanti abbinamenti a cui non avremmo altrimenti pensato, e anche di evitare di creare sinergie di gusto troppo ardite o stridenti. Un abbinamento classico come cioccolato e lampone può cambiare molto se utilizziamo un cioccolato con una determinata matrice gustativa rispetto ad un altro con matrice profondamente diversa. Ecco perché l’analisi sensoriale deve fare parte del bagaglio di ogni professionista del gusto.
Per rendere più efficace, precisa e coerente la memorizzazione nell’ambito dell’analisi sensoriale, disponiamo di apposite schede di valutazione, nelle quali riportiamo i valori riferiti ad una serie di parametri di ordine visivo,
Essere creativi nel nostro lavoro non basta.
Bisogna plasmare le proprie intenzioni e ambizioni in soluzioni praticabili e spendibili, gradite al mercato
percettivo-gustativo, di sapore e di bilanciamento, vale a dire di equilibrio. I valori sono espressi con un punteggio numerico da 1 a 5, al quale aggiungiamo spesso note personali, utili a creare un giudizio più completo e particolareggiato. Ogni scheda diventa parte della nostra libreria gustativa, un libro con un titolo e una sua personalità, che possiamo riprendere, riconsultare e utilizzare per le nostre creazioni.
Quanto è stata importante l’analisi sensoriale per raggiungere i traguardi che hai già ottenuto, fra cui un oro al Campionato Mondiale di Pasticceria Juniores 2013? Più passa il tempo e più mi accorgo che questa capacità di unire cultura del gusto e creatività è stata determinante per farmi crescere e raggiungere risultati significativi. Ho avuto eccellenti maestri e mi sono formato in CAST Alimenti. Qui ho potuto trasformare la mia passione e la mia fantasia creativa in un metodo di lavoro efficace e imprenditoriale. Perché essere creativi nel nostro lavoro non basta. Bisogna plasmare le proprie intenzioni e ambizioni in soluzioni praticabili e spendibili, vale a dire gradite al mercato. Quando ho fatto il salto verso l’attività in proprio, aprendo la mia pasticceria a Roma, questa matrice di ordine imprenditoriale è stata essenziale per farmi conoscere e apprezzare rapidamente. Lo stesso è avvenuto nei concorsi. La cultura del gusto, con i vantaggi dell’applicazione dell’analisi sensoriale e dell’utilizzo di determinati ingredienti, ha contribuito quasi spontaneamente e armonicamente a costruire una solida base a vantaggio della mia professionalità. Le scoperte vengono poi con l’esperienza e la voglia di sperimentare: ad esempio, ho capito in seguito l’importanza che riveste in pasticceria un altro senso, che non è il gusto, ma la vista. È fondamentale catturare l’emozione prima di tutto con la
AMIDO RESISTENTE
Rossella ContatoUna strategia relativamente nuova per aumentare il contenuto di fibre alimentari negli alimenti è rappresentata dall’amido resistente. Di cosa si tratta e come si può utilizzare?
L’amido è una sostanza che le piante immagazzinano come riserva di energia, sotto forma di granuli, particolarmente abbondante in cereali e tuberi come le patate. Chimicamente è un polisaccaride, cioè formato da tante unità di zucchero, in questo caso il glucosio. Entrando più in dettaglio, due sono le tipologie di polisaccaridi che costituiscono l’amido: amilosio, che costituisce il 10-30% dell’amido, e amilopectina, 70-90%. L’amilosio è una catena lineare di unità di glucosio legate fra loro con una sola tipologia di legame, mentre l’amilopectina è una struttura altamente ramificata e ad alto peso molecolare composta da una catena “portante” (10-60 unità di glucosio), da cui dipartono catene laterali (15-45 unità di glucosio) organizzate in doppie eliche. L’amilopectina può avere fino a 100 mila unità di glucosio ed è la più grande bio-macromolecola conosciuta.
Nei granuli di amido l’amilosio e l’amilopectina sono disposti radialmente formando anelli concentrici di regioni amorfe (disordinate) lternate a regioni cristalline (ordinate). L’amilosio e i punti di ramificazione dell’amilopectina formano le regioni amorfe, mentre le doppie eliche dell’amilopectina formano la regione cristallina.
La struttura molecolare dell’amido è piuttosto complessa ma è importante conoscerla perché strettamente correlata non solo alle proprietà fisiche di questa macromolecola
Frazione di amido che resiste alla digestione nell’intestino tenue degli individui in salute e giunge al colon dove fa da substrato per la fermentazione batterica
nei sistemi alimentari, ma anche alla sua attitudine a essere digerita.
IL PROCESSO DIGESTIVO
L’amido è l’unica fonte di polisaccaridi naturali digerita dagli enzimi umani. La sua digestione inizia in bocca a opera dell’alfa-amilasi salivare, che spezza le catene di amido liberando maltosio (disaccaride composto da glucosio+glucosio) e oligosaccaridi.
L’azione di questo enzima è inattivata dal pH acido dello stomaco, ma quando il cibo raggiunge l’intestino tenue l’amido subisce un secondo attacco enzimatico, questa volta da parte dell’alfa-amilasi pancreatica, con liberazione di glucosio e maltosio. L’idrolisi enzimatica dell’amido nel processo digestivo è influenzata da diversi fattori: dimensione dei granuli, rapporto amilosio/ amilopectina e processo di trasformazione. A seconda della sua digeribilità l’amido viene classificato come amido rapidamente digeribile (RDS = Rapidly Digestible Starch), amido lentamente digeribile (SDS = Slowly Digestible Starch) e amido resistente (RS =
Resistant Starch). Le frazioni RDS e SDS sono idrolizzate rispettivamente in 20 e 120 minuti dall’ingestione, mentre l’RS non subisce idrolisi enzimatica e arriva integro fino al colon dove viene fermentato dal microbiota intestinale. Si comporta, dunque, come fibra alimentare, con tutti i benefici per la salute che conosciamo: equilibrio del microbiota intestinale, produzione di acidi grassi a corta catena utili per il benessere delle cellule dell’intestino, controllo della glicemia e della colesterolemia.
DEFINIZIONE E APPLICAZIONI
Il termine “amido resistente” è stato coniato per la prima volta nel 1982 e qualche anno dopo definito formalmente dalla European Flair Concerted Action on Resistant Starch (EURESTA) come “la frazione di amido che resiste alla digestione nell’intestino tenue degli individui in salute e giunge al colon dove fa da substrato per la fermentazione batterica”. Svolgendo le stesse funzioni benefiche della fibra alimentare solubile (fermentabile), l’amido resistente attira da tempo l’interesse della ricerca come ingrediente per sviluppare prodotti alimentari salutistici dalle caratteristiche sensoriali (consistenza, colore, sapore) più simili ai prodotti convenzionali che non a quelli integrali. Infatti, la dimensione fine delle sue particelle, il sapore relativamente blando e la colorazione neutra lo rendono una fonte di fibre alternativa adatta ai palati “occidentali” abituati a cereali ad alto livello di raffinazione.
LE TIPOLOGIE DI AMIDO RESISTENTE
Struttura molecolare di amilosio e amilopectina e loro organizzazione nel granulo d’amido (fonte: Environmental Properties and Applications of Biodegradable Starch-Based Nanocomposites, Gamage A. et al., Polymers 2022, 14(21), 4578).
t RS1 amido fisicamente inaccessibile. Si trova in semi, cereali o legumi integri oppure solo parzialmente macinati. È difficile da isolare e purificare, pertanto non esiste
DAL PENSIERO ALL’ESECUZIONE La Visione Di Leonardo Di Carlo
Sull’approccio a 360 gradi di Leonardo Di Carlo non ci sono dubbi, raccontando noi il suo percorso dai primi passi, anche attraverso i suoi volumi che hanno rivoluzionato il modo di vivere il laboratorio e non solo. La sua prospettiva allargata e in continua evoluzione si sofferma ora su una serie di argomenti cruciali, che meritano di essere approfonditi e aggiornati, insieme a Debic
attraverso
Diamo il via a questa rubrica, iniziando con il re di tutte le colazioni
CROISSANT: SONO DAVVERO FRANCESI?
La leggenda vuole che il croissant sia nato per celebrare un’impresa furbesca ed eroica. Ci troviamo nella Vienna del 1683, assediata dai turchi, quando la capitale austriaca resisteva strenuamente, asserragliata dentro le mura. Per eludere il dispiegamento di forze, le truppe ottomane scavarono dei tunnel per sbucare nel cuore della città e conquistarla. Non avevano però fatto i conti con i fornai che, svegli in piena notte per lavorare, si accorsero dei movimenti “sospetti” e diedero l’allarme. Sconfitti i turchi e conquistata la libertà, quale modo migliore di ricordare la vittoria che inventare un dolce dalla forma della mezzaluna, simbolo dell’impero turco?
In occasione dello stesso episodio, i turchi in fuga abbandonarono grandi scorte di caffè. I chicchi bruciavano negli incendi della ritirata, spargendo nelle campagne il tipico aroma, un profumo nuovo per Jerzy Franciszek Kulczycki, ufficiale polacco di origine ungherese, che ne trasse un’idea innovativa: aprire una caffetteria, dando vita a quella che, nell’Ottocento, divenne una moda europea.
PERCHÉ SI CHIAMA CROISSANT?
Ancora non è chiaro come dall’Austria si sia diffuso in tutta Europa e non soltanto. I pasticcieri viennesi chiamarono la loro invenzione kipferl, da cui deriva l’italiano cornetto, ancora lontano dal croissant. Il nome francese sembra essere nato da un matrimonio non molto fortunato: quello tra il delfino di Francia Luigi XVI e Maria Antonietta d’Austria. Forse non sarà vero che la
regina di Francia, informata delle proteste dei francesi che preparavano la Rivoluzione del 1789, abbia affermato “Non hanno il pane? Che mangino croissant!”, ma è risaputo che non sapesse rinunciare alla sua colazione preferita.
Al punto che dalla “sua” Austria portò con sé anche la ricetta del kipferl, che piacque così tanto ai pasticcieri di Versailles da adottarlo, non prima di aver aumentato la dose di burro prevista.
Un’altra tradizione, forse meno romanzata, attribuisce il merito della migrazione verso la Francia ad un ufficiale austriaco, August de Zong, che aprì la Boulangerie Viennoise in rue de Richelieu, a Parigi. La specialità del piccolo locale era la cucina austriaca, tra cui il kipferl. E così i clienti, facendosi ispirare dalla forma a mezzaluna, lo battezzano crescente, come la luna e come la pasta che, durante la lievitazione, cresce a vista d’occhio.
DALLA FRANCIA
AI PALATI DI TUTTO IL MONDO
Oggi la ricetta del croissant universalmente riconosciuta è quella francese, menzionata per la prima volta ne la Nouvelle Encyclopédie Culinaire, 1906, e inserita nel 1938 nel Larousse Gastronomique.
Mentre Austria e Francia si contendevano l’egemonia sull’Europa, il croissant è approdato in Italia. Infatti, grazie ai floridi rapporti con Vienna, gli italiani iniziarono a mangiarsi i cornetti già nel 1738, dopo la pace di Acquisgrana. In particolare, si racconta che Maria Amalia d’Asburgo Lorena, data in sposa al duca di Parma Ferdinando I, portò con
sé il suo pasticciere di fiducia, Francesco Mimlich
BRIOCHE, CORNETTO E CROISSANT
La è un dolce lievitato a base di burro, farina, zucchero, uova, lievito, acqua e sale. Presenta una maggiore quantità di burro e zucchero ed è più soffice e sviluppata. Dalla forma tondeggiante, spesso presenta una pallina di impasto sulla superficie, simile alla brioche col tuppo. La versione alla francese può essere vuota oppure farcita con creme, cioccolato, marmellate e confetture, mentre quella siciliana viene inzuppata o farcita con granita e gelato.
Il cornetto all’italiana deriva dal viennese Kipferl, sia dolce che salato; si prepara con farina, latte, uova, zucchero, sale, burro e lievito, e può essere vuoto o farcito. Quale variante regionale, la polacca anconitana è più grande, ripiena con un sottile strato di marzapane e ricoperta da glassa fatta con albume e zucchero.
Il croissant non è un cornetto: nasce con l’apertura della Boulangerie Viennoise a Parigi nel 1838. Gli ingredienti sono gli stessi, tranne uno: le uova (ogni tanto l’albume viene spennellato sulla superficie per una maggiore doratura). Tale assenza fa sì che l’aroma del burro prevalga, ottenendo l’inconfondibile gusto del croissant e la consistenza più sfogliata e leggera. La ricetta prevede meno zucchero, rendendolo più neutro e adatto ad essere farcito con salumi e formaggi.
LA LAMINAZIONE
Parlando di pasta sfoglia e di pasta brioche sfogliata, il primo passo è l’incasso della
FUTURO (IN)C ERTO
Silvia Federica BoldettiIl nostro viaggio prosegue e approda in Puglia, dove incontriamo Roberto Clemente, 36 anni, nato e sempre vissuto in provincia di Taranto. Oggi è attivo presso la Pasticceria Gelateria Ideal a Crispiano, Ta, affiancato dalla madre Concetta da due pasticcieri, Mimmo e Daniele, e da una banconista, Anna. Ma il suo percorso prende il via in tutt’altro ambito. Dopo il diploma come perito capotecnico industriale in costruzioni aeronautiche, inizia a lavorare immediatamente, prima in un’azienda di macchinari per sale operatorie di oculistica, poi nel settore eolico. Dal 2010 ricopre anche il ruolo di rappresentante sindacale e di responsabile provinciale per la Fiom-Cgil di Taranto del settore aerospazio, ma il 2022 è l’anno della svolta. “Ad inizio marzo ho deciso di licenziarmi e di abbandonare la carriera precedente per dedicarmi all’attività di famiglia”, spiega. Da parte materna Roberto proviene infatti da una famiglia di ristoratori e ha sempre vissuto il settore di riflesso, ma “provarlo sulla propria pelle è tutta un’altra cosa! – afferma – Mi aspettavo che fosse difficoltoso, impegnativo e che assorbisse gran parte del tempo, ma sapevo anche che dal tempo dedicatovi avrei tratto tante soddisfazioni”.
Quando nasce l’attività di famiglia?
L’apertura del locale risale al 1947, anno in cui nonno Cenzino, originario di Martina Franca, Ta, dove aveva appreso l’arte pasticcera, insieme a nonna Maria rilevano un bar
nella piazza principale del paese. Negli anni i nonni ampliano l’attività nell’ambito della ristorazione, fino a farla diventare un punto riferimento per l’intera zona.
Cosa ti ha spinto a ritornarvi, cambiando
vita di punto in bianco, e a prenderne le redini in mano?
I fattori sono tanti. C’è senz’altro una base affettiva e di prosecuzione della tradizione di famiglia. Poi c’è un forte legame con il territorio, il quale, senza scelte di questo tipo, rischia di perdere forza e identità. Infine, ho la piena consapevolezza di cosa significa lavorare come dipendente, in un’azienda solida, in un posto “sicuro”, con i vantaggi che ne comporta, ma con l’appiattimento personale che ne consegue. C’è quindi la voglia di essere protagonista del cambiamento e di puntare ad essere un esempio positivo. Qual è il focus della vostra attività?
Essere in costante ricerca dell’innovazione, con attenzione alle materie prime e alla cura dei dettagli, per produrre pasticceria di qualità attraverso un processo di rinnovamento tecnologico e di etica sostenibile. Altro punto fondamentale è la volontà di custodire la memoria, rendendola attuale. La nostra specialità è senza dubbio la pasta di mandorla, di cui ogni giorno articoliamo una varietà di offerta difficile da trovare altrove. Nel 2012 abbiamo impiantato un nostro mandorleto e lo stiamo ampliando, per garantire una filiera cortissima e di altissima qualità, a Crispiano.
Essere in costante ricerca dell’innovazione, con attenzione alle materie prime e alla cura dei dettagli, attraverso un processo di rinnovamento tecnologico e di etica sostenibile
PANE, AMICIZIA E CIOCCOLATO
Continuando ad incrociare la pasticceria con la panificazione, per lo sviluppo della ricetta della ciambella lievitata abbiamo immaginato un dolce da condivisione, a base di pasta lievitata farcita post cottura, che permetta ai commensali di tagliare porzioni singole e in ciascuna di queste trovare il giusto ripieno. L’estetica e la forma devono richiamare quelle di una ciambella composta da più porzioni assemblate, mentre per il profilo aromatico si è scelto di combinare latte e caffè, con l’idea di un elaborato da colazione.
L’IMPASTO
La nostra ciambella fa parte della famiglia degli impasti senza sfogliatura e abbiamo quindi optato per un insieme abbastanza ricco, dove la combinazione di zucchero e burro in miscelazione consente di avere un prodotto con buona morbidezza a temperatura ambiente. Proprio in funzione di questi due ingredienti in elevate quantità, nelle fasi di impastamento è necessario rispettare le corrette fasi per la formazione della maglia glutinica. Essa va infatti formata nella prima fase dell’impastamento di farina e liquidi, per poi aggiungere zucchero e burro in step successivi. Il miele, in quanto zucchero invertito, oltre a dare aromaticità aiuta a mantenerne la sofficità, così come uova e latte, che vanno a rimpiazzare l’acqua, in modo da mantenere il prodotto molto morbido durante tutto il tempo di esposizione e vendita. Il metodo prevede un impasto gestito con la modalità del riposo notturno (diretto lungo). Una volta formato e pezzato, al fine di ottimizzare al meglio la produzione, possiamo abbattere le sfere di pasta lievitata e utilizzarle secondo necessità.
LE CREME
Per arricchire la ciambella impieghiamo delle creme da farciture post cottura, che permettono un ampio margine di gioco e di sviluppo in termini di consistenza e gusto. La cottura, che in questo caso è preceduta da una lievitazione, cambia inesorabilmente struttura e forma del prodotto e risulterebbe stressante per le creme che abbiamo scelto. Solitamente nelle creme da farcitura pre-forno la struttura deriva dalla presenza di amidi, a loro volta con strutture molto rigide (fecola, tapioca…) che resistono bene alla cottura, ma con le creme da farcitura post forno possiamo lavorare con strutturanti meno invasivi come consistenza finale. La doppia farcitura per la nostra ciambella lievitata prevede due creme, rispettivamente al caffè e al latte, strutturate con pectina, un idrocolloide che dona un gel morbido e pastoso, simile a quello che si forma con la cristallizzazione dei grassi
Dedicata alla Milano-Sanremo 2023
Per festeggiare la 114a edizione della Milano-Sanremo lo scorso 18 marzo, la “classicissima” del ciclismo italiano che quest’anno non ha preso il via dal velodromo milanese del Vigorelli, ma da Abbiategrasso, Mi, è stato lanciato un dolce speciale. La Monoporzione Riviera è firrnata da Andrea Besuschio, pasticciere e cioccolatiere di 5a generazione, alla guida dell’omonimo locale storico di famiglia, proprio nella centrale piazza Marconi del paese. Posto in vendita a partire dalla vigilia della gara, come spiega Giacomo Besuschio – figlio di Andrea, tecnologo alimentare e creativo pasticciere –, per la decorazione del dolce a base di mandorla e arancia (di cui pubblichiamo la ricetta) sono utilizzati “i petali colorati di fiori eduli in omaggio a Sanremo, destinazione d’arrivo della corsa e Città dei Fiori per eccellenza”. E.B.
Monoporzione Riviera
panna UHT 35% mg g 300 gelatina g 6 acqua g 30 acqua di fiori di arancio qb fiori eduli qb
In una impastatrice inserire burro ammorbidito, zucchero, sale, farina di mandorle e una parte di uova. Ottenuto un composto omogeneo, aggiungere la prima parte di farina e la seconda parte di uova, quindi la seconda parte di farina e lavorare fino alla giusta struttura. Dopo una notte di riposo, foderare gli stampi e pre-cuocere la frolla 10 minuti a 175°C, valvola aperta.
Miscelare la fecola con una parte di latte freddo. Portare a bollore una parte del latte e versarlo sul composto. Riportare il tutto a bollore. Idratare la gelatina con l’acqua e versarla nel composto caldo. Realizzare un’emulsione sul cioccolato. Concluso il processo, aggiungere panna e acqua di fiori di arancio e mixare. Lasciare riposare una notte prima di montare la ganache e dressarla sulla tartelletta. Decorare con fiori eduli.
Andrea Besuschio
Pasticceria Besuschio - Abbiategrasso, Mi
Fb: Pasticceria Besuschio 1845 @pasticceriabesuschio1845 pasticceriabesuschio it
In una planetaria munita di foglia, inserire burro morbido, zucchero, farina mandorle e fecola e montare. Raggiunta la struttura corretta, aggiungere le uova poco alla volta e montare fino a sbiancamento. Unire l’arancia candita e mescolare a mano. Versare nella frolla pre-cotta e cuocere per 20 minuti a 175°C, valvola aperta. Marmellata di arancia Ribera
le arance con una forchetta. Inserirle in acqua fredda e portare a bollore. Eseguire il processo 5 volte al fine di sbiancarle. Tagliare a pezzi le arance e tritarle fino alla consistenza desiderata. In una pentola cuocerle con zucchero e pectina. Portare a bollore per pochi minuti e aggiungere il succo di limone. Raffreddare e dressare sulla tartelletta.
Ricordare e guardare al futuro
Nasce il Museo Luxardo a Torreglia, aperto gratuitamente a tutti
In marzo abbiamo avuto il privilegio di visitare il nuovissimo Museo Luxardo, a pochi passi dalla sede dell’azienda a Torreglia, Pd. Un’esperienza immersiva – resa ancora più coinvolgente grazie alla consueta calda accoglienza della Famiglia – che permette di conoscere meglio i 200 anni di storia aziendale e di storia collettiva, attraverso un suggestivo viaggio dalle origini a Zara, in Dalmazia, fino ai Colli Euganei, dove dal 1947 ha sede l’azienda, fondata nel 1821 da Girolamo Luxardo, ed ancora controllata dalla stessa famiglia fondatrice, considerando che oggi tre diverse generazioni lavorano assieme per continuare l’eredità del fondatore, spaziando in una produzione che, per il mondo della pasticceria e della ristorazione, contempla aromi, infusi e distillati; bagne zuccherate; semilavorati analcolici; confetture e marasche; bagne. Fra alambicchi di rame a ciclo discontinuo, tinaie di affinamento, marascheti, magazzini di stoccaggio e moderni impianti di imbottigliamento, che costituiscono i pilastri sui quali si fonda l’azienda, operano più di sessanta persone, oltre ad una rete vendita che copre tutti i continenti.
Aperto gratuitamente al pubblico (su prenotazione dal mercoledì al sabato), il Museo d’impresa è una nuova e nobile fase di sviluppo per lo storico marchio, grazie ad una struttura di grande impatto visivo, ideata e realizzata dallo Studio Architetti Mar di Venezia, che ha dedicato grande rispetto al contesto ambientale in cui è inserita, ovvero il Parco Regionale dei Colli Euganei. Il progetto vede una parte esterna in lame ritorte d’acciaio COR-TEN, versatile, dalle proprietà strutturali ed estetiche, e di estrema resistenza. Il susseguirsi delle lame restituisce una sensazione tridimensionale di vibrazione sull’intera facciata frontale e, giocando con la luce, la fa sembrare quasi in movimento. Il percorso si snoda in più sale, ripercorrendo con andamento circolare le tappe fondamentali della lunga storia di famiglia, in un allestimento dove non mancano postazioni digitali e video, che al contempo dà spazio anche alle fasi di produzione dei liquori che hanno reso celebre nel mondo il nome Luxardo. Adiacente al Museo si trova l’accogliente negozio aziendale, che per l’occasione è stato completamente ristrutturato, dove è possibile acquistare l’intera gamma di liquori, amari, distillati e confetture Luxardo.
“È una forte emozione, non solo per me ma per tutta la famiglia – ha commentato Franco Luxardo, senior partner nel corso dell’inaugurazione ufficiale – poter vedere finalmente compiuto uno dei nostri più grandi sogni. La storia che è stata scritta da chi ci ha preceduto è il patrimonio di valori e insegnamenti su cui abbiamo costruito ciò che siamo oggi e ci dà la forza, ogni giorno, per camminare verso il futuro”. museoluxardo.it
lato latosa Ad alta quota
Per esaltare i prodotti della montagna, l’inedito pane che propongo prevede la “canditura” dello speck con cirmolo e abete, che conferiscono profumi ineguagliabili e abbracciano l’affumicatura. Essa va eseguita a temperatura controllata per evitare sbalzi termici. I fiori, edibili certificati, assieme al fieno greco o trigonella, assicurano la profumazione erbacea, a tendenza acidula, anche per il migliore accompagnamento alle farine di farro e segale. Le patate sono inserite calde per migliorare l’estensibilità delle farine.
necessarie tre fasi.
La prima avviene con un processo di osmosi, da eseguire a 6°C: in un contenitore di vetro, unire il miele alla grappa e allo speck tagliato a cubetti di 5 mm per lato, chiudere con un tappo e attendere circa 7 giorni. Effet
tuata questa fase, procedere con la seconda, realizzando la biga: lavorare farina, acqua e lievito, mantenendo il pre impasto a 18°C per circa 18 ore, con un pH finale di 5,5.
Quindi, passare alla terza fase: lessare le patate e schiacciarle da calde. Impastare l’acqua con la biga, unire tutte le farine con fiori, fieno greco e semi di cumino, e le patate a circa 45°C; a metà impastamento, inserire burro e sale impastati insieme, da ultimo lo speck. Formare l’impasto in un tempo di circa 15 minuti, in 1a velocità 9 minuti, e in 2a velocità 6 minuti. Puntate l’impasto per 1 ora e mezza, formare delle pagnottine quadrate e far nuovamente lievitare, cuocendo il pane di montagna a 230°C.
Docente di Alta Formazione Enogastronomia presso I P S E O A P Artusi, Roma e presso Università Roma 3
pane a 2.000 metri
(*****) Cod. Fugar 41763 – Gran Cacao 22/24 scuro
Portare ad ebollizione l’acqua con zuccheri e cacao. Aggiungere latte condensato e gelatina, poi versare sul cioccolato. Emulsionare con minipimer e lasciare riposare una notte. Utilizzare a 33/34°C.
MONTAGGIO
Utilizzare degli stampi in silicone dal diametro di 16 cm e montare in modo inverso. Colare prima la spuma e spennellare i bordi per evitare la formazione di bolle sui lati. Colarvi un altro poco di spuma, alla base, deporvi l’inserto al pralinato, di nuovo un poco di spuma e finire con il disco di biscuit e croccantino per chiudere. Congelare, capovolgere, glassare e rifinire a piacere.