Milton Glaser

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Milton Glaser /Cinzia Bongino /2012-2013

introduzione

Milton Glaser nasce nel Bronx, quartiere malfamato della città di New York, il 26 giugno 1929, all’interno di una famiglia ebrea.

Perché Milton Glaser?

(graphic designer / illustratore / designer) Quando ho sfogliato per la prima volta il suo libro “Art is Work” sono rimasta immediatamente affascinata dai suoi disegni e dai suoi colori; ho capito subito che sarebbe stato il soggetto giusto per la mia tesina. L’immensa novità che ha portato nel design grafico e pubblicitario non ha eguali. E’ quindi questo aspetto che ho cercato di illustrare nella mia personale ricerca. Sarebbe impossibile analizzare tutti i suoi lavori: ho scelto perciò i più conosciuti ed importanti per la sua carriera, cercando di ricostruire il contesto storico e sociale, ma soprat2 tutto il suo pensiero.

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Introduzione “I primi anni” “Push Pin Studio” “I grandi progetti” “I Love NY” “Il design” “L’illustrazione” “Windows on the world” Conclusione, bibliografia

Egli decide di intraprendere il cammino artistico all’età di 5 anni, quando vede un disegno realizzato

da suo cugino. -…che aveva forse 10 o 15 anni più di me, entrò in casa con un sacchetto marrone e disse: -Vuoi vedere un piccione?-. Risposi sì, pensando che avesse un piccione nel sacchetto. Tirò fuori dalla tasca una matita e disegnò un piccione sul lato del sacchetto. Rimasi letteralmente senza parole. Vedere per la prima volta una persona che fa una riproduzione simile ad un oggetto reale mi sembrò un miracolo, la creazione della vita-.


Anche l’agricoltura ne è colpita: i raccolti vengono distrutti per non far cadere i prezzi dei prodotti alimentari, a loro volta gli animali da allevamento uccisi per i mangimi troppo costosi, il cotone non viene raccolto e le persone si ritrovano vestite di stracci e costrette a chiedere l’elemosina.

Un’immagine di un deposito ferroviario nel Bronx

contesto storico Siamo in piena crisi: nell’ottobre del 1929 la Borsa di New York crolla perché il valore dei titoli quotati non corrisponde alla realtà dei profitti delle aziende, decisamente in ribasso vista la

politica isolazionista proposta dal governo Harding negli anni ’20 e la conseguente sovrapproduzione. Il breve boom economico degli “anni ruggenti” è stato inesorabilmente sbalzato via dagli enormi prestiti e speculazioni, una spirale senza fine nella quale vengono coinvolte le banche e i cittadini qualunque, che, attirati dal denaro facile (prezzi vantaggiosi su cui investire), senza controllare il reale prezzo di mercato, affrontavano il rischioso gioco in Borsa, impiegando i propri risparmi in una continuo acquisto e richiesta di titoli, il cui prezzo cresceva pericolosamente ed era minacciato da una diminuzione del valore della moneta, una deflazione introdotta in seguito alla scarsità di domanda di prodotti. Dopo il terribile giovedì nero, il 24 ottobre del 1929, la produzione industriale si dimezza e la disoccupazione raddoppia (il 22% degli americani si ritrova senza lavoro).

In quegli anni il Bronx era popolato da ebrei provenienti dall’europa orientale, irlandesi ed italiani di origine siciliana o napoletana: il nido della mafia. La “famiglia” nasce dall’opportunità di speculare sulla distribuzione illegale dall‘alcol durante il proibizionismo. Lo stato, infatti, nel 1919 ne vieta il consumo. Il governo Wilson, razzista e conservatore accusa neri ed immigrati di essere assidui bevitori d’alcol, diffondendo quindi forme di degradazione fisica e morale. Limita perciò la distribuzione per evitare il coinvolgimento dei bianchi, ma soprattutto per mantenere produttiva la forza lavoro: l’abuso di alcol aumenta la delinquenza e rende inefficienti gli operai. Questo provvedimento ottenne l’effetto contrario: band criminali nascono come funghi, a capo di ogni quartiere viene istituita una “famiglia mafiosa” che non esita a scontrarsi con le altre; è il regno di Al Capone e del Padrino. Il proibizionismo sarà abolito nel 1933. Glaser racconta: -...i ragazzi italiani erano i più poveri ed i più attaccabrighe. Mi rincorrevano senza sosta e mi picchiavano regolarmente perchè dicevano che avevo ucciso Gesù, un crimine che sapevo di non aver commesso, ma che mi faceva inspiegabilmente sentire in colpa-.

i primi anni Inizia, dopo il ginnasio, gli studi artistici alla Scuola Superiore di Musica ed Arte (oggi Fiorello H.

LaGuardia), anni di studio e incontro con più culture (studenti negri, portoricani, ebrei, ricchi e poveri uniti dalla stessa passione per l’arte), e li prosegue, dopo l’intervallo di un anno sabbatico trascorso lavorando in una ditta di packaging, alla Cooper Union, un’università privata di Manhattan, che insegna arte, architettura, scienze sociali, ingegneria. Tutt’oggi è una delle più rinomate e selettive ( il tasso di ammissione è del solo 8%, e garantisce borse di studio di $30.000 all’anno per studente, le quali coprono l’intero anno scolastico). Glaser è molto grato agli studi compiuti all’interno: -...dove molti dei miei insegnanti nutrirono la mia mente e mi incoraggiarono ad accogliere i cambiamenti-.

Nel 1984, Glaser parteciperà al 125° anniversario della nascita della Cooper Union, inaugurando una mostra sui suoi lavori. A sinistra il manifesto, in alto il logo della scuola.

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la tela. Anni dopo, quando avesse finito il quadro commissionato, avrebbe esaminato il retro per scoprire l’acquirente e spedirglielo. Questo accadeva quando i suoi quadri valevano 1015.000 dollari-. Nel 1986 avrà poi occasione di rendere omaggio al maestro realizzando, in collaborazione con il designer Adam Tihany, una serie di lampade per la Foscarini di Murano (azienda specializzata nel design dell’illuminazione). RealizLe lampade di Glaser zati gli schizzi ispirandosi alle ricorrenti brocche, bottiglie dei disegni di Morandi, inviò i bozzetti al mastro vetraio di Murano Luciano Vistosi, che realizzò le lampade in cristallo.

le ombre e la loro posizione (attentamente studiata). Nelle sue acqueforti si nota la grande padronanza del tratteggio, che via via si infittisce per creare l’ombra. La stessa precisione non riserverà invece alle sue pitture: dopo un avvicinamento alla metafisica per proseguire una ricerca personale sul volume, prosegue poi per conto proprio la rappresentazione delle cose, dipinte con colori tenui e neutri. Il colore infatti non apparirà nei suoi dipinti se non in poche campiture rosa pallido nei dipinti metafisici, o in leggere gradazioni di giallo e verde nei paesaggi. Il suo soggetto preferito restano gli oggetti inanimati, perché “eterni”. La natura morta (brocche, bottiglie, calici, vasi) acquista per la prima volta una solenne monumentalità; come nella “Natura morta” del 1929, i piccoli oggetti comuni della vita quotidiana assumono grande importanza nella quale Morandi riversa la propria personalità: essi sono banali o non hanno niente di particolare, ma avvicinandoli o cambiando di poco il loro posto, viene cambiata la loro percezione.

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Giorgio Morandi fotografato nel suo studio

giorgio morandi Alla fine dei corsi, nel 1951, all’età di 21 anni, Glaser ottiene una borsa di studio per studiare incisione all’Accademia di Belle Arti di Bologna con Gior-

gio Morandi. Lo descrive così: -Entrò nella stanza: alto elegante, un poco curvo, sulla sessantina, con i capelli bianchi pettinati sulla fronte, ... diffondeva un’aria di modestia e di calma che risultavano istantaneamente rassicuranti. Lucidità ed equilibrio sono le parole che mi vengono in mente quando penso a lui. Vivendo in silezio ha creato opere monumentali-; -A chi desiderava acquistare un suo quadro, Morandi chiedeva $200, poi scriveva il suo nome e indirizzo sul retro del-

Morandi nasce a Bologna (1890-1964) all’interno di una famiglia medio borghese.

Dopo gli studi in accademia insegna alle elementari ed al liceo, fino ad ottenere nel 1930 la cattedra di “Tecniche del’incisione” nella stessa accademia dove si formò, e che tenne fino alla pensione nel 1956. La sua carriera, come la sua vita privata, è riservata: compie pochissimi viaggi, senza impegni politici continua ad insegnare ed a dipingere nel suo studio, e vive assieme alle tre sorelle a Bologna (colpito dalla morte del padre, non riuscì mai a crearsi una famiglia propria, come Pascoli). Artista molto lontano dallo stereotipo dell’artista bohemièn, Morandi ha però diversi contatti ed amicizie con galleristi e critici, che gli valgono un’apprezzata fama all’estero. E proprio la sua “umiltà” ritroviamo nelle sue nature morte: egli infatti dipinge e ridipinge moltissimi oggetti, talvolta cambiandone solo la posizione, tralasciando il colore e analizzando soprattutto la forma ed il loro accostamento, dal quale nasce una vera e propria poesia per i chiaroscuri,

“Natura morta”. 1929, olio su tela, MART Rovereto


Dal pittore spagnolo (1881-1973) apprende un grande insegnamento.

Nel 1988 deve realizzare un murales che fungesse da immagine per la CFP, un’agenzia di pubblicità francese che si trovava nel Marais, il quartiere di Parigi dove è presente il museo dedicato a Picasso. Realizzare un minotauro nella facciata (il corpo sarebbe poi continuato lungo il soffitto e le pareti all’interno dell’edificio), sarebbe stata una perfetta soluzione per rendergli omaggio. Per studiare meglio la forma che avrebbe dato all’animale metà toro e metà uomo, Glaser studia attentamente delle tavole incise da Picasso per illustrare un racconto di Balzac: l’artista trasforma gradualmente l’animale partendo da un’illustrazione realistica fino ad arrivare ad una simbolista ed estremamente sintetica. Quale delle sei rappresentazioni del toro è la più bella? -Ognuna è meravigliosa e vedendo questa sequenza mi resi conto che non è necessario essere fedeli ad un unico stile. Ciò che importa è la qualità, indipendentemente dalle scelte stilistiche-

Pablo Picasso fotografato da Richard Avedon

pablo picasso Oltre a Morandi, sarà un importante modello anche Pablo Picasso: per Glaser, insieme, hanno rap-

presentato le possibilità artistiche umane. L’uno l’opposto dell’altro, di Morandi racconta di come fosse razionale, austero, riservato, ma che nei suoi dipinti la sua personalità diventi monumentale, mentre di Picasso racconta di come lo considera una persona egocentrica, narcisista, -come se in una stanza piena di persone lui solo aspirasse tutta l’aria-, ma che soprattutto non aveva paura di cambiare stile e pensiero artistico, anzi, abbandonando il successo in favore delle possibilità di una nuova ricerca. -Nessuna idea era al sicuro quando Picasso era presente-.

La facciata dell’agenzia CFP.

Pablo Picasso, Tori, 1945-1946

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Esempi di impaginazioni della corrente svizzero-germanica

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Hans Neuburg, frontespizio della rivista, (1958)

Una foto del Push Pin Studio al completo, stampata sul libretto della mostra organizzata al Louvre.

push pin studio Al ritorno dall’Italia, nel 1956, Milton Glaser fonda, con Seymour Chwast, Reynold Ruffins e Edward Sorel, conosciuti sui banchi di scuola, il Push

Pin Studio, un “consorzio” di grafici che vivrà per una ventina d’anni. All’inizio era un piccolo studio formato da designer, illustratori e copywriter, -...nessuno di noi sapeva come si organizzasse uno studio, nè aveva mai lavorato professionalmente: abbiamo cercato incarichi e li abbiamo trovati, perchè stavamo facendo qualcosa di diverso...-. La loro forza fu proprio questa: la produzione artistica era a metà strada tra graphic design e belle arti (illustrazione).

Privilegiando sempre l’idea, il messaggio, gli eterogenei componenti del gruppo (che aumentò fino a 20 associati) lavorarono collaborando su più progetti andando oltre l’impaginazione e ricerca di caratteri, ma inserendo elementi grafici figurativi attinti nella storia visiva del Rinascimento, Barocco, Modernismo, Art Nouveau,… Nella loro grafica il testo si integra con l’immagine, il visual, fino a diventarne parte integrante. La loro rivoluzione non è stata immediata: la corrente dell’epoca era infatti la Scuola svizzero-germanica, il Bauhaus, arrivato in America negli anni ’30, che sviluppava l’impiego di elementi tipografici secondo tre comandamenti: chiarezza, leggibilità, obiettività. Tralasciando decorazioni a favore del messaggio, il testo veniva perciò ingabbiato in griglie, schemi e moduli.

“Il Film” Josef Muller-Broakmann, manifesto, (1960)


I modelli di riferimento del Push Pin Studio erano Saul Steinberg e George Grosz, illustrato-

ri completamente opposti a quelli in voga negli anni ’50: nel pieno “sogno americano” (ieri potevi vendere il giornale all’angolo di una strada, domani potresti diventarne direttore), il nuovo mondo si rifletteva nelle grandi tavole realistiche e rassicuranti di Norman Rockwell, che raffiguravano grandi praterie e giorni del Ringraziamento con tacchini fumanti appena sfornati. Il paese della Grande Mela inizierà ad accorgersi di Glaser, Chwast & Co. negli anni ’60, mentre il mondo ne verrà a conoscenza solo negli anni ’70, grazie, tra l’altro, anche alla mostra organizzata al Louvre dall’Olivetti.

La vetrina del lavoro del Push Pin Studio sarà un mensile curato da Seymour Chwast e Milton Glaser, il “Push Pin Monthly Graphic”,

che continuò ad uscire anche dopo la chiusura dello studio. Nato come almanacco nel 1953 (ad imitazione del Farmers’ Almanac , pubblicazione di quegli anni che conteneva oroscopi e consigli quotidiani), all’inizio era un veicolo di auto-promozione per i tre primi associati (Sorel, Chwast e Ruffins), all’epoca designer freelance (Glaser giunse un anno dopo), in cui venivano sviluppate illustrazioni ed impaginazioni realizzate per storie, ricette, giochi. Diventò in seguito un chiaro esempio della ventata di freschezza che portavano, tanto da essere trasformato in periodico nel 1956. Saul Steinberg, (1945)

George Grosz, (1959)

Push Pin Monthly Graphic, copertine ed interni

Push Pin Almanack,settembre 1954

Il formato più grande del Monthly Graphic permise agli autori maggiore libertà per la sperimentazione: in totale furono pubblicati 86 numeri (dal 1956 al 1980) che presentarono la ricerca di stili e tecniche dei giovani talenti del gruppo. La pubblicazione non si interessò esclusivamente di grafica ed illustrazione, ma lasciò largo spazio ad importanti tematiche sociali, politiche, ambientali e culturali.

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Villaggio di trang Brang bombardato, di Huynh Cong «Nick» Ut (Pulitzer 1972) 8

di colore, ottenendo l’appoggio dei pacifisti, neri e nonviolenti che già seguivano il pastore protestante). Il movimento di contestazione giovanile esplode nello stesso anno: migliaia di giovani sfilano per manifestare il proprio dissenso alla guerra, ostilità che ha caratterizzato tutto il primo novecento, per far valere i propri diritti (femminismo), per demolire le istituzioni conservatorie e per una maggiore democratizzazione del potere, opponendosi alla leva obbligatoria e più in generale al governo capitalistico americano. L’esercito statunitense si ritirerà dal conflitto nel 1973, mentre la guerra terminerà nel 1976 con la caduta del sud, dove verrà instaurata una Repubblica Socialista

guerra del vietnam Il conflitto nasce nel 1962, durante il governo del presidente Kennedy. Il Vietnam è un’ex colonia

francese divisa in due dal 1954: al nord è stata istituita un Repubblica Popolare sotto il controllo di URSS e Cina, mentre al sud c’è una dittatura che dovrebbe obbedire agli Stati Uniti. Il governo del dittatore Ngo Dihn Diem si rivela invece corrotto ed inadeguato, dando origine ad una forte opposizione nel paese portata avanti dai Vietcong (comunisti del sud) e sostenuta dal Vietnam del nord. Il governo Kennedy interviene perciò inviando aiuti politici e militari a Saigon (la capitale). La guerriglia fra Vietcong e sud-vietnamiti si trasforma in guerra civile, che obbliga gli americani ad aumentare le forze militari. Nel 1968 vengono assassinati Marthin Luther King e Robert Kennedy, candidato alla Casa Bianca che aveva basato la sua candidatura sulla forte opposizione alla guerra ed alla lotta per i diritti civili (dopo la morte di King, infatti, si fece portavoce della battaglia alle discriminazioni verso le persone

bob dylan Bob Dylan was born in 1941 in Duluth (Minnesota). He’s a songwriter and an american composer. He is also a writer, poet, painter, actor and a

radio speaker. He became famous in the ‘60s, with the young protest movement: with Joan Baez (his girlfriend from 1963 to 1965), he song during a lot of gatherings (but he wasn’t in Woodstock Festival of 1969: he rejected the call because the village was too close to his house), and also in the walk of Washington, when Marthin Luther King spoke about his speech “I have a dream”. The main themes of his song were: politics, social problems, philosophy. He song about civil rights and the stop to the war. He played a lot of music styles: country, gospel, rock and roll, jazz, swing, … The most famous songs are “Blowin’ in the wind”, that speaks about the possibilities that a man can be called with this word when all the men be like equal, and “The times are changing”, that became a hymn of changes. He sing: pay attention, because times are changin’ and sons of today are ready to rebel against their fathers for change way of thinking and judgements. Today Dylan plays piano and guitar with his band around the world. In 2012 he was in Italy, in Barolo, for Collisioni’ Festival.

Bob Dylan Un manifestante infila dei fiori nelle canne dei fucili di soldati della Guardia Nazionale durante una manifestazione contro la guerra in Vietnam a Washington, 1967 (foto di Bernie Boston)


Alla base di tutto c’è Duchamp: il profilo nero di Dylan è una chiara citazione della “Silhouette” del 1957 (un autoritratto del pittore di profilo). “Silhouette”, olio su tela, 1957

-forse la loro voglia di libertà soffia nel vento, e ne scompiglia i capelli-. Il profilo nero potrebbe essere quello di chiunque, perchè in chiunque potrebbero nascere le idee di pace e fratellanza che muovono gli anni ’60. Dylan però si fa voce ed immagine dei milioni di giovani che gridano per un futuro migliore. Ragazzi e ragazze di qualsiasi nazionalità e religione, perché gli Stati Uniti raccolgono culture diverse nella stessa nazione. Il manifesto oggi fa parte della collezione del MOMA di New York.

Una volta con decorazioni arabe

Blowin’ in the wind (1963)

L’insegna del sarto vista in Messico

Il lavoro che consacrerà la fama di Milton Glaser è un poster realizzato nel 1966, per Bob Dylan. Come trascrivere in immagine il cantautore, scrit-

tore, poeta, attore, conduttore radiofonico di allora? Come far trasparire la voglia di libertà, ribellione, di protesta, della quale si fa capostipite e simbolo? Glaser crea un manifesto che diventerà a sua volta il “manifesto” della grafica americana, esempio del graphic design statunitense.

I capelli invece, rimandano all’arte psichedelica, sono stati disegnati prendendo ispirazione anche dall’arte islamica. Il carattere che compone il cognome del cantante è composto dallo stesso Glaser, a sua volta influenzato da un viaggio compiuto a New Mexico qualche anno prima, dove ha notato il lettering di un insegna di un sarto, da cui ha ricavato un intero alfabeto, il “Babyteeth”. Ecco come l’unione di tre stili completamente differenti dà vita ad un quarto stile, riconosciuto come “americano”. Il volto dell’artista è reso grazie al contrasto fra nero e bianco dello sfondo e il colore è dato solo ad alcune ciocche di capelli: è una mente dal quale scaturiscono parole e suoni che raccontano il tempo dei giovani e delle loro speranze,

How many roads must a man walk down Before you call him a man? Yes, ‘n’ how many seas must a white dove sail Before she sleeps in the sand? Yes, ‘n’ how many times must the cannon balls fly Before they’re forever banned? The answer, my friend, is blowin’ in the wind, The answer is blowin’ in the wind. How many times must a man look up Before he can see the sky? Yes, ‘n’ how many ears must one man have Before he can hear people cry? Yes, ‘n’ how many deaths will it take till he knows That too many people have died? The answer, my friend, is blowin’ in the wind, The answer is blowin’ in the wind. How many years can a mountain exist Before it’s washed to the sea? Yes, ‘n’ how many years can some people exist Before they’re allowed to be free? Yes, ‘n’ how many times can a man turn his head, Pretending he just doesn’t see? The answer, my friend, is blowin’ in the wind, The answer is blowin’ in the wind.

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All’interno del New York Magazine Glaser e Jerome Snyder, anche lui illu-

La copertina del libro Copertine del New York Magazine 10

new york magazine Nel 1968 Milton Glaser e Clay Felker (reporter per il New York Herald Tribune, uno dei fondato-

ri del New Journalism, ovvero l’uso di tecniche di scrittura non convenzionali) fondarono il New York Magazine, un periodico di costume e società di cui Glaser è stato presidente ed art director fino al 1977. Il rotocalco fa la sua prima apparizione come supplemento della domenica del New York Herald Tribune. Un anno dopo viene alla luce un vero e proprio settimanale, di formato più piccolo; serviranno però due anni per capire come trasferire le caratteristiche che decretarono il successo del supplemento domenicale al nuovo giornale indipendente. In questo arco di tempo vengono impostate una serie di modifiche per rendere la lettura più immediata e comprensibile: titoli grandi nella prima pagina per catturare l’attenzione del lettore fra le tante testate presenti in edicola (l’appendice domenicale poteva permettersi il lusso di avere bellissime immagini in copertina e titoli relativamente piccoli perché veniva direttamente acquistata con l’Herald Tribune),

e di conseguenza avere uno stile di scrittura più compatto e “drammatico”; il logo viene boldizzato e diventa più aggressivo (per facilitare il riconoscimento viene rielaborato il riquadro che conteneva la vecchia versione in una linea più sintetica); l’impaginazione diventa semplice e chiara perché un settimanale deve avere una griglia rigida per il testo, visto i soventi cambiamenti dell’ultimo minuto. In alcuni casi più un giornale diventa bello, meno diventa leggibile: la qualità che contraddistingue il New York Magazine ancora oggi, e che è stata da esempio per tutti le altre pubblicazioni di quegli anni, proviene dalla sua capacità nell’esporre le notizie in modo credibile, -… dando l’illusione di una presentazione non manipolata-.

Interno del giornale con in basso la rubrica dell’Underground Gourmet

stratore e grafico americano, inserirono una rubrica dedicata ai ristoranti più economici della città. Diventò una della colonne più importanti e seguite del giornale, tanto da diventare un libro nel 1968. Il New York magazine venne, infine, poi acquistato nel 1977 da Ruperth Murdoch, entrando a far parte del suo impero mediatico.


“Morte di Procri”, olio su tavola, Piero di Cosimo 1495

-Olivetti è l’unica compagnia al mondo che avrebbe accettato questo tipo di pubblicità per una macchina da scrivere. Il clima dell’Olivetti rendeva difficile realizzare un lavoro mediocre-.

Valentine Typewriter, design di Ettore Sottsass Jr. 1959

La fabbrica di Ivrea è stata un modello di responsabilità aziendale: non solo fu una delle migliori al mondo nel campo elettronico, non solo co-

olivetti

struì il primo computer, non solo garantì lavoro, case, visite mediche, asili, scuole per gli operai e per i loro figli, ma organizzò l’azienda come se fosse una piccola città, con tanto di giornale, biblioteca, personale addetto ai reclami degli operai, mensa, corsi per i gli studenti dell’ITIS, che venivano per un apprendistato che istruiva eccellenze ambite non solo dalla stessa Olivetti, ma anche oltreoceano, raccogliendo nella sua struttura i migliori intellettuali, artisti, designer italiani e stranieri, diventando molto più di un semplice stabilimento.

Sempre nel 1968 Milton Glaser riceve un’inaspettata telefonata. -Sono Giorgio Soavi, della Olivetti.

Le piacerebbe venire a Milano? Ho un progetto che penso potrebbe interessarla-. Ha così inizio una delle più interessanti collaborazioni, che influenzerà il grafico per tutta la vita. L’incontro con Soavi è promettente: all’epoca lavorava al giornale interno dell’azienda e contemporaneamente si occupava della sua immagine, ma era anche poeta, romanziere, critico, biografo. L’incarico consisteva nel preparare il materiale promozionale dell’Olivetti in vista delle Olimpiadi di Città del Messico, di cui era sponsor. Questo fu solo il primo di una lunga serie compiti affidatigli: mostre d’arte e design, illustrazioni, libri, oggettistica da regalare a clienti, soci ed operai, ma soprattutto manifesti, interpretazioni dei capolavori dell’arte italiana. Il manifesto con il cane è un dettaglio del dipinto “Morte di Procri” di Piero di Cosimo, pittore italiano del Rinascimento, in cui l’animale piange la morte della sua padrona uccisa

Valentine Typewriter, Olivetti, 1976

per errore da una delle frecce scagliate dal marito. La tecnica utilizzata nel manifesto di Glaser è quella del tratteggio incrociato, (tecnica appresa durante gli studi in Accademia per realizzare le incisioni con l’acquaforte), che sarà una delle caratteristiche più riconoscibili di questa fase del suo lavoro, che crea un’atmosfera surreale

E fu proprio grazie all’Olivetti che il mondo conobbe il Push Pin Studio, grazie ad una mostra promossa dalla stessa al Louvre nel 1970, che creò uno spartiacque in quegli anni tra la vecchia grafica e la nuova. Chiamata “The Push Pin Style”, la rassegna, (arrivata anche in Italia), espone manifesti, copertine, pagine pubblicitarie, impaginazione di tutti i componenti del gruppo. Inoltre l’Olivetti realizzerà anche una mostra su Glaser e Morandi nel 1989, avuta luogo a Bologna.

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Negli anni ‘70 la Grande Mela era percepita come una città ostile e piena di delinquenza.

Il logo dello studio e il motto riportato sull’entrata.

art is work 12

Nel 1974 Glaser si mette in proprio, fondando un proprio studio al numero 207 della 32a strada a New York. Le attività sono molteplici: grafica,

design, illustrazione, pubblicità, design di interni ed esterni, editoria, organizzazione mostre, segnaletica,... Il motto “Art is Work” è ideato dal grafico: -Applicando l’aggettivo “bello” alle arti e distinguendole da quelle cosiddette “applicate” si è inteso anche significare che le prime sono “buone”, “pure” ma io mi chiedo cosa ci sia di “cattivo”, di “impuro” nelle seconde. Io propongo di sostituire il termine arte e sostituirlo con “lavoro”. Gli oggetti realizzati con attenzione e talento li potremo chiamare fantastici, bellissimi lavori, quelli a cui riserviamo una speciale attenzione, ma che non ci mozzano il fiato, li potremo identificare come buoni, i manufatti che non contengono una speciale caratteristica saranno semplicemente dei lavori, mentre quelli restanti dei brutti lavori. D’altronde lo stupefacente sviluppo dell’arte non è altro che la storia di persone che hanno eseguito opere commissionate con intenti specifici (affreschi realizzati da Giotto, Michelangelo,..). L’idea che l’arte sia anche un mezzo risale solo a circa

duecento anni fa. L’arte però non è solo un tramite per esprimere sé stessi, ciò mi irrita molto sentirlo dire, o per assolvere intenti spirituali. Perciò potremmo valutare un buon schizzo, un bellissimo libro, un buon poster come decisamente migliori rispetto ad un brutto dipinto. Per me l’arte è qualsiasi cosa che vada oltre la soglia di categoria in cui viene inserita. Un tappeto persiano o una porcellana cinese possono essere più coinvolgenti di un dipinto ad olio. Non è importante la classe di appartenenza, ciò che conta è l’effetto che produce su di noi-.

C’è da aggiungere che soli due anni prima si scopre che il petrolio è una risorsa a rischio: i paesi produttori di petrolio (OPEC: cartello nato nel 1960, formato da Arabia Saudita, Iraq, Iran, Kuwait, Venezuela, a cui si aggiunsero in seguito Algeria, Qatar, Emirati Arabi, Indonesia, Ecuador, Gabon) decidono di aumentare il prezzo di vendita del 70%, bloccando la produzione in occidente. Gli Stati Uniti sono perciò costretti ad estrarre in Alaska, mentre gli altri paesi europei precipitano in una forte crisi. La crescita economica statunitense rallenta, i prezzi aumentano, lo Stato interviene con sussidi di disoccupazione. In quegli anni il presidente americano Ronald Reagan (come Margareth Thatcher in Inghilterra) addotta una politica neoliberista: “meno stato più mercato”. Ciò significa la diminuzione del fisco sulle imprese e meno tasse, ma anche salari ridotti e tagli all’assistenza pubblica. Il PIL cresce, ma non si raggiunge un pareggio di bilancio per colpa delle spese militari: questa politica infatti favorisce i più benestanti e gli investitori, mettendo in crisi le industrie, senza aiuti statali e senza previdenza sociale per i lavoratori. Un discorso le cui conseguenze si faranno sentire negli anni successivi. Negli USA, ma anche in Inghilterra. C’è bisogno perciò di ridare fiducia nella metropoli sia da parte dei turisti che dagli stessi cittadini.

La sua scrivania


Declinazione del logo su gadget

Nel 1975 gli viene commissionato un incarico da parte di Bill Doyle, l’assistente alla Commissione per il Commercio della città: realizzare un’im-

magine per la campagna di promozione turistica della città che rappresenti lo slogan “I love New York”. Glaser realizzò inizialmente una semplice soluzione tipografica (forse anche perché l’incarico non comprendeva un compenso, ma un semplice riconosci- Lo schizzo esposto al MOMA mento), subito approvata. Una settimana dopo, però, durante un viaggio in taxi lungo Park Avenue ebbe un’illuminazione: un semplice scarabocchio con una matita rossa su carta a quadretti di un notes (oggi conservato al MOMA) che lo avrebbe reso famoso per sempre. -Chiamai Doyle per dirgli che avevo un’idea migliore, ma lui replicò: -Se la scordi. Sa cosa vorrebbe dire riunire di nuovo tutti per ottenere un’altra volta l’approvazione?- lo pregai di guardarla almeno lui. Venne nel mio studio, portò con sé lo schizzo, convocò nuovamente la riunione e la nuova idea fu subito accettata-. Questi tre caratteri dell’American Typewriter con un cuore in mezzo diventano il logo più diffuso e più copiato al mondo, un’icona stampata su gadget, magliette, poster, un uso comune ormai. L’associazione della parola “love” al cuore è facile da comprendere e ricordare perchè quando vediamo il logo appli-

chiamo una tecnica di memorizzazione: la visualizzazione. Le immagini (memoria iconica) sono più memorizzabili delle parole (memoria ecoica), perciò viene successivamente spontaneo utilizzare questa forma iconica nel linguaggio comune. Ecco perchè: -…è stato definito l’artefatto comunicativo più replicato del XX secolo. E’ tuttavia vero che questa immagine è entrata a far parte del lessico comune,al punto che è difficile credere che ci sia stato bisogno di inventarla, ma che invece sia sempre esistita. Come e perché sia accaduto rimane un mistero per me-.

L’applicazione del logo sui manifesti della campagna turistica

Imitazioni

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Quali sono le innovazioni introdotte? La fascia gialla per la informazioni utili per i consumatori, il logo stampato sulle confezioni per riconoscere le specialità del supermercato, una nuova disposizione degli scaffali e punti vendita formando più corridoi per permettere alle persone maggiore libertà nella scelta del percorso per fare la spesa, cambiamento di illuminazione a seconda dei reparti, realizzato centinaia di packaging diversi per i vari prodotti Grand Union, eliminati i cartelloni promozionali che impedivano ai passanti di vedere l’interno del supermercato, posizionare un indice all’entrata per trovare velocemente i prodotti negli scaffali,e molte altre ancora… Una foto del supermercato Grand Union 14

design

Frutta e verdura sono posizionate a seconda dello stadio di maturazione

Dal 1978 al 1998 Glaser porta avanti un grande progetto: l’interior design dei supermercati della catena Grand Union.

La proposta arrivò da Sir James Goldsmith, già proprietario dell’ ”Express”, rivista francese ridisegnata dallo stesso Glaser, che 4 mesi dopo aver terminato il restyling ricevette una sua telefonata, in cui lo “reclutava” per reinventare la catena di 500 supermercati, per la maggior parte dislocati lungo la East Coast, ormai antiquata. Aiutato da un team di architetti, grafici ed industrial designer, iniziò subito a lavorarci sopra, e dopo aver presentato il primo progetto per il complesso nella cittadina di Wykoff (New Jersey) partirono subito i lavori di costruzione. La prima inaugurazione fu un successo. Il grafico entrò nel consiglio di amministrazione e diventò azionista della compagnia.

Scatoletta di mangime per cani realizzata con metà animale per lato per completare la figura una volta impilate.

Insomma, la Grand Union fu la prima catena di supermercati fortemente innovativa rispetto alla concorrenza.

Nel 1980, in concomitanza con lo studio del restyling della catena di supermercati, lavora su un parco a tema: il “Sesame Place”, un proget-

to nato da “Sesame street” una popolare serie televisiva inventata da Jim Hensen negli anni ’70, popolata da pupazzi che faranno conoscere le basi della letture e dell’aritmetica ai bambini. L’ obiettivo era quello di costruire una struttura che avesse soprattutto finalità educative, perciò integrando nel gioco il momento di apprendimento, crescita e relazione con altri bambini. Il “Sesame Place” avrà sede ac Langhorne, in Pennsylvania. Glaser si occuperà della segnaletica, degli interni dei ristoranti, dei colori e dell’arredo ambientale. Per l’insegna all’ingresso posizionò uno dei pupazzi protagonisti rielaborato in 2 dimensioni, mentre per il nome utilizzò il carattere Houdini, da lui precedentemente disegnato. Oggi il parco esiste ancora, ma ha perso le iniziali intenzioni educative: si è ingrandito ampiamente, ma le nuove attrazioni come le montagne russe, gli scivoli d’acqua, l’ottovolante lo hanno fatto diventare un parco divertimenti disneyano con tanto di parata dei pupazzi. Una delle attrazioni all’entrata


nile di S. Marco diventa un razzo, e quelli che a prima vista sembrano stelle filanti, sono in realtà tante firme del grafico che si rispecchiano a loro volta nella laguna.

Glaser si occupò inoltre di rilanciare l’immagine di varie altre città italiane, fra cui Rimini e Napoli.

“La Vanguardia” prima e dopo

Nel 1984 fonda uno studio di design specializzato in giornali e riviste insieme a Walter Bernard, art

director del Time Magazine, conosciuto durante gli anni al New York Magazine. Lo studio WBMG, acronimo dei nomi dei due componenti, si occupò oltre 50 pubblicazioni, riviste e periodici, in tutto il mondo. Washington Post, Los Angeles Time, New York Daily News, National Post (Canada), Time, L’Espresso, Business Tokyo, sono solo alcune delle grandi testate giornalistiche a cui Glaser e Bernard hanno rinnovato il “look”. Ecco il restyling di “La Vanguardia”, il quotidiano più importante della Catalogna. Il progetto richiese diverso tempo, e diversi spostamenti da New York a Barcellona: la nuova prima pagina, apparsa nel 1989, è talmente moderna da sembrare attuale. Il formato più ridotto (tabloid) e l’utilizzo dello stesso carattere (esaltato però dallo sfondo blu) del titolo rias sumono i cambiamenti del giornale: l’intento era infatti quello di mantenere l’autorevolezza e la serietà della vecchia impaginazione, ma rendere l’impostazione più drammatica ed immediata, inserendo caratteri più boldizzati e filetti per rendere maggiormente visibili gli articoli. “La Vanguardia” è tutt’oggi uno dei più noti giornali europei.

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I manifesti per Venezia

manifesti italiani Nello stesso anno realizza il manifesto per la Biennale del cinema di Venezia.

Il soggetto è il Leone di San Marco, noto simbolo della città, e ne viene esaltata la silhouette, interrotta in alcuni punti da schizzi di colore. La tecnica dell’action painting è un chiaro omaggio a Jackson Pollock, che stava notevolmente influenzando la cultura visiva di quegli anni.In totale ne realizzò otto, utilizzando lo stesso stile, ma cambiando del leone ed esaltando in ognuno arti visive, letteratura e musica. Nel manifesto per il carnevale diVenezia nel 2000, il campaIl manifesto per Napoli, 1986 La biennale oggi, ed il logo della mostra del cinema rielaborati dal progetto di Glaser


Il disegno per Glaser è sempre stato il punto di partenza, parte essenziale del processo creativo:

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Elvis Presley giovane visto da Glaser

illustrazione Questo ritratto di Elvis Presley del 1979, per la rivista “Rolling Stone”, è molto intenso e malinconico. Cerca di sottolineare -Il fascino androgino e

l’innocenza che sembravano caratterizzarlo ai suoi esordi...-, utilizzando la tecnica del tratteggio incrociato, già usato per l’Olivetti.

come spiega anche in un suo libro, “Drawing is Thinking”, - è importantissimo, perché è l’unico strumento a nostra disposizione che ci permette di capire veramente la realtà davanti a noi: per esempio, quando conosco una persona e la trovo interessante, voglio disegnarla, perché solo cercando di riprodurla cerco veramente di comprendere come è fatta. Disegnare ci permette di vedere, fare attenzione a cosa si trova di fronte a noi. Ciò è molto importante nel graphic design: prima di comunicare un messaggio è necessario averlo prima compreso. Non mi considero un illustratore, malgrado ami molto questo campo: ho sempre pensato di dovere al disegno il senso della misura e delle proporzioni. Non ho mai visto differenza fra design ed illustrazione: in un certo senso alcuni designer mi ritengono un illustratore, e viceversa. Se non si sa disegnare bisogna partire dalle immagini degli altri; con ciò non intendo riferirmi al “collage” che si può assemblare sullo schermo del pc, distorcere, trasformare, ridimensionare o colorare immagini scaricate da internet. Si deve iniziare con un’idea personale. Se inizi un lavoro subito col computer ne sei subito sopraffatto: cambia la tua scala di valori ed ostacola certi meccanismi del pensiero. Un esempio? Quando tu schizzi, il tuo cervello esamina quello che stai disegnando, lo rielabora e lo modifica e magari pensa ad un’altra idea migliore; il computer invece fa qualunque cosa tu gli chieda fin troppo velocemente, e non si pone alternative. Io non sto dicendo che la tecnologia sia negativa, anzi, è un’estensione del braccio umano, uno strumento, non un sostituto del talento. Si può benissimo insegnare ad usare un pc, ma non ad esercitarsi per avere uno stile ed una propria espressività-.

Monet visto da Glaser

“La vita immaginaria di Claude Monet” è stata una mostra esposta alla Nuages Gallery di Milano nel 1992, e successivamente in Giappone alla Crea-

tion Gallery di Tokyo nel 1995. L’esibizione era a cura di Glaser e sua moglie Shirley: grazie al suo racconto inventato di una giornata tipo del pittore impressionista nella sua casa di Giverny, attorniato dal suo giardino e dai suoi fiori, il grafico disegna una serie di illustrazioni basate sulle fotografie scattate da Nadar, immaginandolo immerso nel verde a dipingere. Racconta: -… ho lavorato su una serie di disegni basati più o meno sulla sua vita. Ho detto più o meno perché alcuni degli eventi che ho rappresentato sono basati su fotografie del tuo giardino, di Monet e delle persone a lui vicine. Altre scene sono completamente inventate. Ciò mi ha dato la possibilità di creare la sua vita, e di muovermi in una nuova direzione nel disegno … -


Illustrazioni della poesia “Semper Eadem”

La stessa logica progettuale verrà infatti riutilizzata nelle illustrazioni per “I fiori del male” di Baudelaire nel 1994, per le edizioni Nuages.

Dedica particolare attenzione a questo lavoro perché cerca di disegnare immagini in cui il poeta francese si potrebbe riconoscere, non limitandosi quindi ad un semplice interpretazione delle parole. -Nello stesso tempo ho sperimentato un modo diverso di porre i disegni, che continuano nella pagina retrostante, costringendo in questo modo il lettore a ricordarsi la parte del disegno rimasta nella pagina precedente-.

Le copertina dell’edizione Nuages della Divina Commedia illustrata, e più a destra due esempi di monotipi

Nel 1999 realizza illustrazioni sul “Purgatorio” di Dante per l’edizione Nuages (il paradiso sarà

affidato a Moebius, mentre l’inferno a Lorenzo Mattotti). Dopo un attento studio delle precedenti illustrazioni della Divina Commedia ad opera di Botticelli, William Blake, Gustave Dorè ed altri artisti, Glaser decise di: -… illustrare i versi con una serie di montotipi, forse la forma più antica di immagini a stampa, ritagliando forme di carta, intingen-

dole in vari colori ad olio e sovrapponendole ad una lastra di plexiglas. Poi impressi su un foglio umido, color crema. Il risultato mi spinse a stampare in serie. In questo modo ottenni più versioni della stessa immagine, che decisi di inserire affiancate in modo da incoraggiare il lettore a creare un’im- 17 magine intermedia di sua fantasia-


L’immensa sala da pranzo, grazie ad ampie vetrate, permetteva ai clienti di godere dell’infinita vista di Manhattan. I prezzi ovviamente erano solo per tasche ricche, ed anche l’abbigliamento era rigoroso: l’entrata era vietata Un esempio del servizio del ristorante

Glaser alla sua scrivania

insegnamento

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Dal 1961 insegna per più di 50 anni alla School of Visual Art di New York. Durante il suo “manda-

to” l’istituto multidisciplinare (i corsi riguardano pubblicità, grafica, animazione, fumetto, moda, architettura, design, cinema, fotografia, editoria,…) cresce ed aumenta la propria reputazione, diventando una delle migliori nel mondo. Glaser collabora creandone il logo, realizzando poster informativi e curando mostre all’interno dell’istituto. - Quando ho iniziato ad insegnare, spiegavo dal mio punto di vista, sviluppando la padronanza della tecnica da parte degli studenti e la loro conoscenza degli stili. La mia idea era che se lo studente sviluppa capacità e comprensione, può applicare queste competenze e riuscire ad esprimersi. Ora insegno da un’altra prospettiva: vedo la classe come un viaggio del professore e degli studenti verso una meta indefinita. Il percorso è molto utile come crescita personale. In altre parole, i problemi della classe sono strutturati esattamente al’opposto del modo in cui formalmente insegno. La classe apprende seguendo le personalità e le ossessioni degli studenti. Le capacità tecniche emergono magicamente come un risultato di auto interesse e pratica-.

Il logo del ristorante è ampio e dilatato, ideato appositamente per trasmettere una sensazione di ospitalità e rilassamento.

Nel 1975 iniziò a lavorare ad un progetto all’interno del World Trade Center, insieme a Joe Baum, restauratore e designer: la creazione di un complesso di sale private (ai piani 106 e 107 della Torre Nord) per circoli e club, più un bar ed un ristorante, il Windows On The World. Glaser si occupò dei menù, della decorazione dei piatti, dei loghi, ma soprattutto di un immenso murale (ultimato nel 1995) posizionato all’entrata del ristorante, smantellato dopo pochi anni per un problema all’illuminazione: utilizzò varie tende di perle per creare due immagini sovrapposte, che a seconda della gradazione di luce si sarebbero illuminate in modo diverso, dando vita a milioni di sfumature.

Una foto della prima installazione del murale di perle colorate

Nel 26 febbraio del 1993 il World Trade Center fu gravemente danneggiato in seguito all’esplosione (un atto terroristico) di 650 kg di esplosivo conte-

nuti in un furgone. Dopo una ristrutturazione costata 25 milioni di dollari, il ristorante è stato riaperto nel 1996. Nel 2000 registrò un fatturato di 37 milioni di dollari, diventando così il maggiore incasso di un ristorante americano.

Vista dalle grandi finestre del Windows On The World


Diverse persone si buttarono dalle finestre per sfuggire al fumo dell’incendio. Nessuno dei presenti nel ristorante al momento dell’attentato sopravvisse. Le ultime persone a lasciarlo due minuti prima dell’ impatto (08:44) furono Michael Nestor, Liz Thompson e Geoffrey Wharton.

Per ricordare i morti dell’11 settembre 2001, Glaser realizza un’altra versione del logo I Love NY, un’immagine realizzata in collaborazione con la School of Visual Art, apparsa su poster e giornali, con una macchia nera sul cuore che simboleggia il disastro accaduto al World Trade Center

Una delle ultime immagini delle torri ancora in piedi

Il suo immenso lavoro viene riconosciuto da diverse mostre. Eccone un accenno:

• nel 1975 tiene la sua prima mostra al MOMA: il manifesto di Dylan, Mahalia Jackson, un quadro della serie sui nudi, litografie per una stazione radio ed un concerto di musica classica sono tutt’oggi conservati all’interno del famoso museo, compreso lo schizzo del logo I Love NY; • due anni dopo è al Centre Pompidou di Parigi, poi di nuovo a New York, alla Lincoln Center Gallery nel 1981; • nel 1989 arriva a farsi conoscere anche in Italia, con una rassegna dedicata ai suoi manifesti a Vicenza e a Bologna, dove viene presentata con i lavori di Morandi; • nel ’91 celebra il cinque centenario della nascita di Piero della Francesca ad Arezzo, un anno dopo presenta la mostra “La vita immaginaria di Claude Monet” a Milano ed infine la retrospettiva del Push Pin Studio con il confronto dei lavori passati e presenti dei migliori grafici del gruppo a Venezia nel 2000 (dopo che è stata inaugurata 19 in Giappone). Gli ultimi lavori curati da lui risalgono ai primi anni del nuovo millennio: continua infatti ad occuparsi della comunicazione della School of Visual Art, oltre a proseguire l’insegnamento e la collaborazione con le case editrici per le copertine dei libri. Lo studio oggi è portato avanti da tre assistenti di Glaser.

11 settembre 2001 La storia del rinomato ristorante extra-lusso finì con l’attentato alle Torri Gemelle: al momento

della caduta del Boeing 767 dell’American Airlines, alle 8.46 (seguito 16 minuti e 29 secondi dopo dallo United Airlines 167 precipitato nella Torre Sud), nel bar si trovavano numerosi impiegati che facevano colazione, all’incirca 146 persone, fra staff e clienti. Dopo l’attacco, la direttrice del personale provò diverse volte a chiamare la polizia, ma i soccorsi non arrivarono: primo perché era impossibile per gli elicotteri atterrare sul tetto a causa dell’enorme quantità di fumo fuoriuscito dall’impatto del Boeing, e secondo perché a differenza della Torre Sud, le vie di fuga erano completamente bloccate dalle macerie. La torre crollò 102 minuti dopo l’impatto.

riconoscimenti

Il nuovo “I Love NY”

Nel 2009 Barack Obama lo insigne della National Medal Of Art, la più alta onorificenza artistica americana data per il suo supporto nel promuovere l’arte. Glaser è stato il primo grafico a riceverla.


bibliografia

conclusione Penso che sia enormemente utile per noi studenti approfondire la storia ed i lavori dei più importanti grafici che hanno “scritto” la storia del de20

Oggi vive con la moglie Shirley, un gatto ed un coniglio, tra le due case a New York e Woodstock.

sign grafico. Il tempo trascorso a studiare l’imponente figura del grafico statunitense mi ha aiutato ed arricchito moltissimo: attingere alla moltitudine di immagini prodotte nei secoli dall’uomo, non fermarsi alla semplice impaginazione del testo, ma proseguire e studiare soluzioni alternative non necessariamente più facili o veloci, capire a fondo qual è il messaggio che vuole dare il cliente, ma soprattutto provare ad osservare più attentamente per “vedere” realmente com’ è il mondo che ci circonda, sono solo alcuni dei suoi insegnamenti che cercherò di seguire ed applicare. Di grande spunto e conoscenza.

• Milton Glaser “Graphic Design” edz. Overlook Duckwor th, NY 1973 • Milton Glaser “Art is Work” edz. Italiana Leonardo Arte, Milano 2000 • Cristina Taverna “I manifesti di Milton Glaser” edz. Nuages, Milano 1988 • Daniele Baroni, Maurizio Vitta “Storia del design grafico” edz. Longanesi, Bergamo 2003 • Charles Baudelaire “I fiori del male”, illustrazioni di Milton Glaser edz. Nuages, Milano 1994 • Jerome Charity “New York: cronache dalla città selvaggia” edz. Electa/Gallimard 1993 • “Epoca: che anni quegli anni ’60!” supplemento a Panorama 27/07/2011 • www.sitographics.it • www.miltonglaser.com • www.containerlist.com • ww.AIGA.it • Libro di testo scolastico Antonio Brancati, Trebi Pagliarani “Il nuovo dialogo con la storia 3” edz. RCS, Milano 2007 • Libro di testo scolastico Cricco di Teodoro “Itinerario nell’arte: dall’età dei lumi ai giorni nostri” edz. Zanichelli Bologna 2009 •Documentario Michele Fasano “In me non c’è che futuro: ritratto di Adriano Olivetti” Sattva Films, 2011 • Film Emilio Estevez “Bobby”, film sull’assassinio del senatore Robert Kennedy, 2006


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