III A e I A della scuola secondaria - I.C. Cavour Catania
Antologia della risata 2019-20
COMICA-MENTE Antologia della risata
A.S. 2019-2020 Coordinatrice di progetto: Prof.ssa Cinzia Di Mauro. Autori: tutti gli alunni della I A e della III A. Con la collaborazione della Prof.ssa Donatella Bruno.
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Fiabe tutte da ridere  
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Stefano BorzĂŹ - Greta Cosentino - Livia Frasca Francesco Merlo - Fabrizio Viola
Pollicino piccolino
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C'erano una volta due contadini poveri con sette figli. Il padre era basso e magro con i capelli neri e lisci, gli occhi verdi e le labbra grosse. Si vestiva sempre con i pantaloni strappati e la maglietta di paglia. La madre aveva i capelli castani e ricci, era alta e grossa, con gli occhi neri. Il suo abito era verde sgualcito e con le toppe. Le sue scarpe erano grosse e marroni. Indossava un paio di occhiali azzurri e gli orecchini di plastica arancione. I sette fratelli erano: Franco, Giampippo, Samuele, Fabrizio, Boncopino e Jack e per ultimo avevano un figlio molto alto e sgraziato nei movimenti. Era un po' sciocco, distratto e non capiva quello che gli veniva detto. Confondeva i racconti e mescolava le notizie, infatti quando doveva parlare di qualcosa non si capiva mai nÊ l'inizio nÊ la fine. Era cosi imbranato che riusciva a distruggere tutto quello che avevano in casa. Sembrava barcollare come se avesse i piedi tondi e per questo sbatteva di qua e di là senza fermarsi mai. La sua altezza esagerata non lo aiutava anzi se ne dimenticava e sbatteva contro il soffitto e contro l'architrave delle porte, avendo sempre qualche bernoccolo. Un giorno la sua famiglia per prenderlo in giro lo chiamò Pollicino. 4
La casa di Pollicino era piccola, vecchia, fatta in paglia e legno, piena di cianfrusaglie e legna da bruciare. Facevano luce con le candele e avevano pochi mobili. La madre di solito cucinava, stirava e svolgeva altre faccende di casa, il padre andava a cacciare e a prendere legna, i figli andavano a giocare di solito nel cortiletto davanti alla casa. I genitori non avendo cibo a sufficienza per sfamare tutti e sette i fratelli, decisero di abbandonarli nel bosco. Il padre inventò una scusa e disse ai suoi figli: - Perché non andiamo a raccogliere i mirtilli per fare una disgustosa crostata di farina di quercia che solo vostra madre riesce a cucinare? I ragazzi entusiasti si misero all’opera per andare a cercare i mirtilli. Pollicino, nonostante fosse un po’ sciocco capì che il padre li voleva fregare. Si diressero verso il bosco. Questo era formato da tanti alberi da frutto marci, molte paludi e piante pericolose per la salute. Pollicino ebbe un’idea: quella di spezzare dei rami lungo la strada per ritrovare la propria casa. Così mentre i suoi fratelli raccoglievano i mirtilli fischiettando, lui lasciava alle sue spalle una scia di rametti. Il padre, nel frattempo, si allontanò con la scusa di andare a fare i propri bisogni dietro a un cespuglio, lontano dai ragazzi. Quando i ragazzi si accorsero di essere soli si disperarono. Pollicino disse ai suoi fratelli: - Ragazzi, state tranquilli ho capito quello che vogliono fare i nostri genitori. I sei fratelli dissero in coro: - E allora dillo! Pollicino rispose: - I nostri genitori ci vogliono abbandonare nel bosco, ma per fortuna io ho avuto un’idea, quella di spezzare i rami e ritrovare casa. Ma Pollicino lungo il cammino non si era accorto di averne rotti altrettanti con i suoi goffi movimenti, infatti aveva quasi disboscato una foresta: quell’allampanato ne aveva combinata 5
una delle sue. Trovarono rametti in tutte le direzioni. Così non poté servirsi del suo stratagemma. Quando i fratelli iniziarono ad incamminarsi nel bosco trovarono una vecchia catapecchia che sembrava sul punto di crollare; nell’aria si sentiva un odore nauseante perché tutto intorno alla casa era pieno di escrementi. Samuele chiese: - Ma questa è puzza di cacca, non c’è un bagno? Vogliamo veramente stare qui? E Pollicino rispose: - O là dentro o fuori al freddo, scegli tu! Franco fu d’accordo con Pollicino e disse: - Ma, anche se c'è puzza, almeno dentro si sta al caldo. Con soggezione e un po’ di coraggio decisero di bussare e quando la porta si aprì, si trovarono davanti un’orchessa con i capelli biondi, unti e bisunti, con una treccia lunga e spelacchiata; i suoi occhi erano castani, tutti sporchi di moccio, portava dei vestiti logori e sudici e sopra un grembiule da chef in quanto, da giovane, aveva partecipato a Masterchef e, da allora, non se lo era più tolto. La casa era grande, illuminata con delle candele fatte di cerume delle orecchie e in un angolo c’era un forziere. Dietro l’orchessa sette orchettine incuriosite si avvicinarono per conoscere i ragazzi. L’orco, di cattive maniere, quando rientrò dopo cena sbattè la porta con un gran frastuono. Era grande, grosso, verde, puzzolente e tirchio. Indossava stivali e costume da bagno. Aprì le sue enormi narici urlando: - Ucci, ucci, sento odor di cristianucci! Finalmente un buon pasto anche per me. Ma Pollicino non lo comprese affatto e gli disse: - Vorrei aiutarvi a sparecchiare. L’orco rispose: - Sì, ma poss... Non ebbe finito neanche la frase che Pollicino ridusse le stoviglie in cocci. Questi sembrava dispiaciuto, allora si sedette sulle scale in ombra per pensare come rimediare. D’un tratto 6
anche l’orco arrivò, ma non vide il ragazzino. Così, mentre scendeva le scale inciampò su di lui, cadde e si ruppe un braccio. A questo punto Pollicino cominciò a cercare delle bende sopra e dentro i mobili. Si accorse della presenza di polvere e si offrì per pulire, cominciò da un armadio, ma con i suoi movimenti goffi lo fece cadere e, dato che i mobili, le sedie, i suppellettili erano tutti molto vicini caddero anch’essi con effetto domino. D’un tratto l’orco chiese a Pollicino: - Tu lo senti tutto questo freddo? Ora accendo il camino. Era una scusa per cucinarlo a puntino. Pollicino, però, fraintendendo ancora voleva rendersi utile e allora gli disse: Lo accendo io, stai tranquillo che ne sono capace. Prese la legna e accese il fuoco e, poiché gli sembrava sempre troppo piccolo, continuava ad aggiungere legna, fino a quando diventò così grande che bruciò mezza casa. L’orco ormai sull’orlo della disperazione voleva liberarsi dei bambini e pensò che l'unico metodo era cacciarli con uno spray emanato dalle puzzole. Spruzzando intorno alla casa i bambini sarebbero scappati. Quando fece questo, i bambini iniziarono a scappare qua e là e allora l’orco disturbato dal gran caos decise di regalare un forziere pieno d’oro pur di farli tornare dalla loro mamma. Così i bambini si incamminarono, ma era tarda sera e decisero di fare un falò per riscaldarsi. Intorno al falò cantarono canzoni di j-Ax e Fedez, insieme agli animali del bosco, perché erano felici di essere diventati ricchi. Il giorno dopo si misero in cammino. Non sapendo la strada, Fabrizio, fratello di Pollicino ebbe un’idea: - Proviamo ad urlare e vediamo se la mamma ci sente! Pollicino ne ebbe un’altra: - Proviamo ad arrampicarci su un albero e vediamo se riusciamo a vedere casa nostra. 7
I bambini erano indecisi e così Pollicino prese una moneta dal baule la tirarono a sorte: testa o croce? Vinse Pollicino così si arrampicò su un albero per scorgere qualcosa. All’improvviso si sentì la puzza tipica della farina di corteccia, che solo la loro mamma sapeva fare, che proveniva a est del bosco. Così proseguirono fino a che la loro fortuna volle che trovarono la casa. Quando entrarono la mamma li abbracciò con le mani rugose quanto la corteccia, felice per averli trovati e felice per aver visto il baule d’oro. Tutti erano felici anche se graffiati dalle carezze materne. Ma sarebbe bastato il denaro a riparare i danni che Pollicino ebbe combinato?
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Nicola Caponetto - Eleonora Chimenti - Giuliano Di Benedetto - Federica Di Giovanni - Claudiu Luchian Salvatore Mangiameli
I non innamorati nel bosco
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C’erano una volta una regina e un re. La regina vestiva in modo elegante, aveva i capelli neri e occhi azzurri. Il re Stefano si vestiva anche lui molto elegante con capelli corti e marroni e con occhi verdi. Erano belli e generosi con il proprio popolo. Si amavano molto, ma non riuscivano ad avere figli. Un giorno finalmente furono benedetti dall’arrivo di un bambino. Al battesimo di Aurora organizzarono una festa e invitarono le fate Fauna, Flora e Serena. La prima vestiva in modo leopardato con una giacca di pelle d’orso e con una collana di zanne d’elefante; la seconda aveva i capelli fucsia e gli occhi verdi e preferiva vestirsi con abiti verdi e indossava una collana di fiori. E la terza aveva i capelli biondi e gli occhi azzurri ed era molto solare. Fauna andò dalla bambina e le disse: - Principessina, il mio dono è quello dell’allegria. Poi si avvicinò Flora e le comunicò: - Principessina, il mio dono è quello della bellezza. Infine, si recò davanti a lei Serena e le parlò: - Principessina, il mio dono è quello della bontà. 10
Ad un tratto un fulmine attraversò la sala. Entrò Malefica, una fata che non era stata invitata, perché era cattiva. Lei aveva un aspetto oscuro e i capelli viola. A un certo punto sghignazzò: - Il mio dono è quello che a sedici anni Aurora si innamorerà di un principe e vivranno cento anni insieme e così anche il resto delle coppie del reame. Poi con un fulmine scomparve, con un fragore di porte, lasciando il gelo nella sala. Le fate si guardarono sbigottite tra loro. Possibile che Malefica si fosse rincitrullita? Beh, peggio per lei. Così parlarono quasi in coro: - Ma questa non è una maledizione! La festa si concluse, quindi, nel migliore dei modi tra baci e auguri per la fortunata Aurora e il suo regno. Come Malefica aveva predetto, Aurora a sedici anni si innamorò di un giovane principe e si sposarono con immensa felicità di tutto il regno. Trascorsi i primi dieci anni, ancora il principe e la principessa continuavano ad amarsi veramente. Erano felici di aver trovato l'amore, si promettevano di non litigare mai e di non tradirsi con nessun altro. La regina e il re si amavano anche se litigavano. E l'intero popolo era felice di aver trovato l'amore vero. Dopo vent'anni da quel matrimonio la principessa Aurora e il principe iniziarono a litigare e il loro amore si stava spegnendo. Il re e la regina ormai stanchi tentavano di aver amanti, ma non c'era verso di riuscire. Il popolo era stanco di stare con le stesse persone, così tutti provavano a tradirsi a vicenda, ma invano, così che avevano capito il vero senso della maledizione ed erano molto furiosi con il re e Aurora. 11
Passati i trenta anni, il re e la regina ormai vecchi si odiavano e volevano divorziare, ma la maledizione non lo permetteva, perché amore ci sarebbe dovuto essere. La regina decise di andare via dal regno per stare con un altro uomo, ma una forza oscura glielo impedì. Così fece anche il resto della popolazione. Tutti provarono a traslocare, a lasciare il regno deserto, ma si ritrovarono tutti, senza eccezioni, nelle loro case, insieme ai loro... amori. Già l'amore tra la coppia era svanito da un bel po' e la noia si era impossessata dei due, perciò provarono a divorziare per sempre e ad andare lontano l'uno dall'altra. A quel punto però, successe qualcosa di magico: attorno al castello cominciarono a crearsi delle fitte foreste di rose rosse che crescevano a dismisura. I boscaioli tentarono di tagliare quella foresta, ma appena tagliavano i rami le piante queste crescevano di nuovo. Continuarono a tagliare e tagliare ma era come una maledizione, e non riuscivano a estirpare le piante da terra. Anzi, i boscaioli notarono che la vegetazione cresceva di giorno in giorno e che era praticamente impossibile riuscire a tagliarla. Pian piano la fittissima foresta riuscì a ricoprire tutto il castello. I due provarono a tradirsi ancora e ancora. Ma ormai erano vecchi e stanchi. Aurora aveva le rughe che si riuscivano a vedere anche da lontano e che facevano impressione, i capelli ormai bianchi, la voce che pian piano diventava sempre più bassa. Invece il principe non si vestiva più elegante, ma in modo sportivo, perché voleva invecchiare dopo, con risultati ben miseri sembrando più anziano della principessa. E poi la maledizione era così forte che non riuscivano a spezzarla e allora incominciarono a insultarsi tra di loro. - Ti odio e sei bruttissimo!!! - diceva Aurora. 12
- Io non ti amo. - ribatteva il marito - Anche tu sei brutta, stupida, incapace e acida. Poi però Aurora capì che si stavano offendendo a sufficienza: - Mi sa che forse non dovevamo esagerare… e poi non ha funzionato per rompere l’incantesimo. - Hai ragione, non è servito a nulla insultarci. - diceva il principe - Facciamo pace? - Sì, io mi scuso. - Anch’io mi scuso per averti offeso. Allora fecero pace e annoiandosi a morte si rassegnarono a passare cent’anni insieme. Dopo il centesimo anno tutte le coppie affrontarono un lunghissimo viaggio in cui tutti, sposi e fidanzati, collaborarono per la prima volta nelle loro vita, per affrontare delle sfide difficilissime, come quando si procuravano da mangiare e poiché erano di cent’anni fare solo un chilometro a piedi era come farne cento da giovani. Una volta arrivati da Malefica le fecero un discorso lunghissimo, che sintetizzato suonava all'incirca: - Io con mia moglie/marito non ci voglio stare più perché non si lava, è povera/o, è antipatica/o… insomma ha esaurito tutta la mia pazienza. Tutti dissero la stessa cosa e in coro chiesero: - Meglio morire che stare con mia moglie/marito! La strega non ne poté più delle loro lagne e li uccise tutti con un solo incantesimo e morirono tutti felici e contenti.
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Alice Damigella - Danilo Digiacomo - Anthony Distefano Elena Greco - Pietro Moncada
La torta guastafeste
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C’era una volta una povera famiglia di contadini, che viveva di stenti in una piccola casa di legno, in mezzo alla campagna. Questa era tutta su un piano, con tanti spifferi dalle finestre, due stanzette ed una camera più grande dove si cucinava e si facevano tutte le attività del giorno. Le pareti erano scrostate e c’erano poche candele per illuminare quando faceva buio. I genitori litigavano spesso perché le figlie non andavano d’accordo e, per mancanza di soldi, si separarono, lasciando le tre figlie da sole. Le figlie per mantenersi vendevano degli ortaggi piantati da loro nel giardino della casetta. Le tre ragazze si chiamavano Genoveffa, Anastasia e Cenerentola. Genoveffa era la più piccola tra le tre sorelle, era magra, ma golosa, bassa e simpatica, sempre pronta a dare una mano agli altri. Anastasia era la figlia di mezzo, di corporatura normale e molto alta, vedeva sempre il lato positivo delle situazioni. Cenerentola era grassoccia, con i capelli grassi ed i piedi a pagnotta. Quest'ultima era la più grande delle sorelle, era molto sgarbata e maleducata a differenza delle altre; le trattava molto male, perciò litigavano spesso, anche per le cose più semplici. Genoveffa diceva: - Cenerentola, potresti passarmi il sale per favore? E lei rispondeva: - Se lo vuoi, ti alzi e te lo prendi da sola! 15
Genoveffa ed Anastasia provavano a sopportare tutte le offese di Cenerentola, ma a volte, quando si esasperavano, proprio non riuscivano a tollerarla. Un giorno, il bel principe Giampaolino Verdeacqua Ambrogio organizzò una serata in discoteca, aperta a tutti, durante la quale avrebbe scelto la sua futura moglie. Scelse il locale più bello e popolare di tutta la città: anni ottanta, multicolore e festoso; molto grande, affacciato sul mare attraverso una terrazza meravigliosa. All’interno aveva un pavimento variopinti, una parete dorata, ed una pista da ballo rotonda di fronte ad una sopraelevazione dove c’era la strumentazione del DJ. Secondo Cenerentola, il principe non era un granché, anche perché lei aveva gusti molto, ma molto, difficili. Tuttavia, la ragazza voleva ugualmente partecipare alla festa perché la discoteca scelta era il suo locale preferito. Genoveffa ed Anastasia, invece, non volevano andarci. Infatti, benché innamorate del principe, pensavano che fosse troppo per loro. Cenerentola, entrando in stanza delle sorelle, vedendole ancora in pigiama che si autocommiseravano, disse loro in tono gentile ma deciso: - Che ci fate ancora così? Andate a prepararvi immediatamente. Le due le spiegarono: - Il principe è troppo bello. Non ci guarderebbe nemmeno. Anziché perdere tempo, preferiamo rimanere a casa. - Anche se fosse, è sempre meglio che passare un altro sabato sera sul divano davanti alla televisione. In realtà, a me non interessa diventare la moglie del principe. Esco solo per divertirmi un po’. Fatelo anche voi!… Quindi?... Vi ho convinto?- disse Cenerentola. 16
Le due sorelle, risposero in coro: - Come sempre! - e poi, tutte e tre scoppiarono a ridere. Anastasia si rivolse divertita a Cenerentola, sfidandola: - Io vengo solo se mi presti il tuo vestito viola e blu. Cenerentola, benché avesse voluto indossarlo, lo consegnò a sua sorella, avvertendola con mala grazia: - Trattalo bene, goffa che non sei altro! È il mio vestito preferito…- poi aggiunse Ma tanto neanche con questo conquisterai il principe. - pensò. Genoveffa intervenne immediatamente: - Allora anche io voglio un tuo vestito… Che dici di quello rosso che è appeso sull’anta dell’armadio? Cenerentola disse ironicamente tra sé e sé: - Perché dovevo proprio avere delle sorelle così? Meglio smettere di pensare a cosa vorrei indossare stasera, sennò mi rubano tutto il mio guardaroba! Poi prese il bel vestito rosso e lo diede all’altra sorella. Questa però, trafficando al forno, dimenticò di cambiarsi le scarpe e rimase con le galosce che usava per uscire in giardino. Poi tutte e tre iniziarono a prepararsi. Ma Cenerentola non sapeva più cosa indossare: era ingrassata ancora e qualunque cosa si infilasse la faceva apparire un salamino straripante. Finalmente trovò un abito largo a sufficienza. Cilindrica, ma soddisfatta e compiaciuta, lo indossò immediatamente, lanciando sguardi di livida invidia verso le belle sorelle. All'ingresso in discoteca il principe non ebbe occhi che per Genoveffa. Era bellissima e molto originale con quelle calzature insolite, informali galosce… doveva essere l'ultima moda. La invitò immediatamente a ballare e non smisero finché la giovane non ebbe il fiatone e perciò, mentre il suo cavaliere andava a prenderle da bere, lei rimase a riposare un attimo. 17
Ad un certo punto ebbe un languorino ed in contemporanea passò un cameriere con un piatto enorme e dorato con delle fragole ed accanto una torta. Genoveffa, guardando quel piatto, si ricordò della sua torta rimasta in forno acceso. Così si mise a gridare la frase: - La mia torta, la mia torta!! Tutti si misero a guardarla, ma lei a questo non fece caso. Si precipitò per la scalinata, perdendo una galoscia ma non si fermò, nonostante fosse con un piede nudo. Arrivata a casa corse in cucina e scoprì che era tutto inutile perché la torta si era bruciata. Il principe disperato cercò Genoveffa dappertutto e, appena gli riferirono che era corsa via, come una furia andò all'ingresso dove ritrovò la sua galoscia. In essa c’era scritto: "io amo gli unicorni", "pace e amore" e "viva il cioccolato e le fragole". C’era disegnato anche un arcobaleno e una torta con vari cuori. Quindi il principe decise di farla provare ad ogni donna del regno con la sua scorta e dal suo assistente personale. Arrivato a casa di una signora il suo segretario iniziò a dire canticchiando: - Buon dì ed ecco arrivato il vostro principe. La signora rispose: - Non voglio visite. Adesso mangerò la mia panna in scatola, guardando gli uccelli sugli alberi che dormono e cinguettano. Allora il principe se ne andò in cerca della sua amata. Il suo segretario ripeté per almeno cento volte buon dì ed ecco a voi il vostro principe e insieme al principe e alla sua scorta camminò per cinquanta chilometri. Arrivato all’ultima casa che era proprio quella di Genoveffa, l’assistente stremato ripeté: - Io sono Lollo il pollo… - dopo di che svenne. Nel frattempo in casa Cenerentola gridava sguaiata: - Apri tu, Genoveffa, mi sto lavando la faccia. 18
Allora Genoveffa aprì e il principe le fece provare la galoscia, ma d'un tratto, prima di mettersela, si sentirono dei versi dal bagno. Genoveffa salì e vide che sua sorella Cenerentola era rimasta intrappolata a testa in giù nel water. Tutti scoppiarono a ridere e dopo un minuto Cenerentola riuscì a liberarsi. Faceva puzza ed era tutta sporca e malconcia. Nonostante ciò, notò che la galoscia era quella di Genoveffa e che dunque era lei l’amata del principe. Così per ripicca la ruppe e se ne andò nella sua stanza furibonda. Al principe rimase in mano l'inutile galoscia rotta. Non gli restò che rassegnarsi, ma la mise in una vetrina in ricordo della sua bella. Genoveffa, dal canto suo si consolò. Era ora di cena, aprì il forno e per fortuna Anastasia lo aveva spento prima che si bruciasse la torta di nuovo! Infine Genoveffa, Anastasia e Cenerentola si gustarono la torta di fragole. A Genoveffa e Anastasia piacque, ma Cenerentola, come al solito, iniziò a brontolare, infelice e scontenta.
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Paolo Carpinato - Marta Gresta - Salvo Politano Cesare Samperi - Blasco Scammacca
Hansel e Gretel ovvero le case della strega
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C’era una volta, nel continente di Amerasia, una città bella, moderna e spettacolare come New York e come Tokyo. Il suo nome era New Torkyo. In questa enorme città si trovavano grandi palazzi, molti centri commerciali, monumenti vari, tantissimi negozi lussuosi e parecchi musei, ma il colore prevalente era il grigio, perché non c’erano né prati né parchi, tranne uno: Central Parkoi. In questa città, in una casa esageratamente grande e lussuosa, molto moderna, piena di tutte le comodità e con tanti servi, viveva una famiglia ricchissima, composta dai genitori e da due figli, di nome Hansel e Gretel. Questa famiglia era così ricca perché il padre in precedenza aveva vinto il concorso della “persona più stupida al mondo”, e in palio c’erano dieci miliardi di dollyen. Ovviamente, stupido com’era, il padre stava per usare l’assegno come fazzoletto per soffiarsi il naso; si era messo a piangere infatti per l’emozione. A salvare quei miliardi fu il conduttore dello show che un attimo prima della pazza e disastrosa azione lo tirò dalle sue mani, dicendo: - Ma che cosa stai facendo? Ma sei davvero la persona più stupida della terra! Anzi, direi dell’universo. Dopo quella stagione, quel biglietto, che prima era di carta, lo fecero di ferro, per evitare altre sventure. 21
Questo signore così stolto si era poi sposato con una donna ignorante come lui, ma anche molto furba e frivola, che era interessata solo alle sue ricchezze, e avevano avuto due figli, che si chiamavano appunto Hansel e Gretel. I due bambini non avevano uno sguardo molto intelligente, erano bassi e anche piuttosto cicciottelli e pieni di brufoli, perché chiedevano continuamente da mangiare e siccome i genitori li viziavano, li accontentavano sempre. Avevano tutti e due i capelli biondi, Hansel crespi e arruffati, Gretel portava sempre le trecce. Indossavano vestiti molto costosi, ma volgari e ridicoli, perché avevano sempre la marca in evidenza. Infatti volevano mostrare ciò che avevano, non riuscivano proprio a farne a meno. I due fratelli erano inoltre molto maleducati e monelli, perché i genitori non insegnavano loro le buone maniere e non erano sicuramente un buon esempio per i bambini. Non si lavavano mai le mani prima di mangiare, per dispetto sputavano dal balcone alle persone che stavano loro antipatiche e le insultavano pesantemente. Inoltre erano molto viziati dai genitori, che compravano loro sempre e solo vestiti firmati, telefoni all’ultima moda, computer, tablet, videogiochi, televisori, console appena uscite. Anche giochi che per la loro piattaforma non andavano bene, oppure quelli che già avevano… Insomma, tutto ciò che desideravano lo ottenevano, anche se avevano pessimi risultati scolastici. Ai loro genitori ciò non importava e consideravano la scuola come un optional, così ogni anno i figli superavano il limite di assenze. I due bambini inoltre erano molto antipatici, perché si vantavano continuamente delle loro ricchezze, quindi gli altri compagni e amici non volevano più stare con loro. Erano pure loro molto stupidi, non solo perché anche i genitori lo erano, ma anche a causa dell’uso improprio che 22
questa famiglia faceva del denaro: certo, tutto quel buttare soldi non poteva farli crescere bene! Così i due bambini facevano sempre cose strane: cambiavano discorso quando si affrontava una discussione, oppure nel bel mezzo di una partita di calcio prendevano la palla con le mani dicendo “ È così che si gioca, un po’ con i piedi e un po’ con le mani!”; o ancora in un’interrogazione parlavano di un altro argomento completamente, ad esempio, mentre erano interrogati in storia, parlavano di scienze: “ Gretel, elencami i sette re di Roma” , “ Lo so, lo so, sono: idrosfera, atmosfera, litosfera, biosfera e geosfera!”, “Gretel, andiamo male, per te, è due!”. Si potrebbero fare ancora milioni di esempi. La loro villa super lussuosa e gigante era interamente placcata d’oro, la loro stanza era fatta di lapislazzuli, diamanti e cristallo, avevano inoltre cinquantasei yacht, venti elicotteri, diecimila jacuzzi, cinquecento tv da mille pollici e anche maggiordomi in quantità; c’era anche una cascata d’oro fuso, vista mare, montagne e valle, cinque cinema, cinquecento milioni di piscine, garage con Bugatti, Lamborghini, Ferrari, Range Rover, tante biblioteche di video giochi, armadi con dentro abiti costosissimi, si erano persino fatti scolpire i loro nomi sulla luna, avevano un Kentuky Fried Chichen in casa, un milione cinquecentomilaseicento stanze, avevano comprato la Casa Bianca, diecimila lampadari di diamante, un milione di pc. Loro non uscivano di casa se non avevano collane di diamante, tutto di marca e doveva costare più di cinquecento euro. Hansel disse a Gretel: - Abbandoniamo i nostri genitori al Central Parkoi, così avremo tutto l’oro per noi! E Gretel rispose: - Va bene! 23
Quindi una sera i bambini presero i genitori e li buttarono in quel parco, dando loro un pezzo di pane. Nessuno vi si sarebbe perso, tranne loro che erano troppo stupidi. Mangiarono tutto e si guardarono l'un l'altro affranti. I genitori di Hansel e Gretel dopo tantissimo girare in Central Parkoi, morti di fame decisero di cercare qualcosa da mangiare nelle paludi, ma non trovarono niente e si misero a gridare per chiedere aiuto. Una povera vecchietta li sentì. Questa era piena di nei in faccia, quasi tutti su un occhio, gobba e aveva verruche sulla mano, pochissimi capelli e quelli che aveva non li curava. Ma almeno sembrava gentile e li portò a casa sua. La casa della signora era piena zeppa di dolci e quindi molto invitante, con tutti i rubinetti che emettevano cioccolato e le cascate di nutella e decorate con i nutella biscuits comprati su Amazon. Il letto era di caramello, il pavimento di pan di zenzero, i cuscini erano di zucchero filato quindi non si poteva morire di fame. Ma tutto questo era per ingannarli. Quella signora buona e gentile si dimostrò essere una strega cattiva che voleva mettere all'ingrasso i suoi ospiti per poi mangiarli. Questo piano era perfetto o quasi… L’unico problema che non aveva considerato era che si trattava di adulti e gli adulti trovano sempre difetti in tutto. La casa in effetti era molto invitante e alla strega non restò che dire: - Salve, vi vedo molto affamati. Vorreste mangiare la mia casa? Vedete, è fatta di dolci. All’inizio dall’espressione di grande stanchezza dei genitori sembrava stessero per accettare, ma poi incominciarono. - Ma, ma i piedi sporchi sul pavimento! Bla che schifo!! mugugnò la donna. - È vero, ma anche i peli delle ascelle attaccati alle caramelle gommose! È una vergogna!!! - ribatté l’uomo. 24
Oppure: - Le coperte di caramello che rovinano tutti i vestiti. Questa casa proprio non si può mangiare. - dissero in coro con tono poco garbato, intanto girando ad osservare la casa. Allora pensarono e decisero: - No, ci dispiace, ma noi, anche se morti di fame non accettiamo. - sempre con lo stesso tono schifiltoso. A quel punto la strega iniziò a costruire molte case. Una più bella dell’altra: una a quattro piani con la piscina da 400 metri e il tetto tutto d’oro, un’altra fatta di nutella con la SPA al primo piano e uno scivolo di quasi un chilometro e poi una fatta di plastica e per finire una fatta di escrementi e l’ultima era multicolor. I genitori di Hansel e Gretel discutevano dicendo che una era alta, un’altra bassa, grande, piccola, media, brutta, bella, pessima, buona, orrenda… I due al terzo scarto, dato che l’unica cosa che sapevano fare era accumulare soldi, iniziarono a vendere le case costruite dalla strega e a guadagnare moltissimo. La strega non se ne accorse e continuò a costruire fabbricati come: appartamenti, ville, fattorie antiche… E i genitori, dopo tanti commenti negativi, li vendevano tutti. Arrivati alla millesima costruzione, i genitori avevano messo su un impero economico enorme, il più grande di tutti. Nel frattempo la strega, per il quantitativo di case costruito, visse povera, ossessiva ed esaurita.
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Giulio Arena - Saverio Balsamo - Laura Carpinato Riccardo Raffone - Beatrice Scravaglieri
Sirebrutta
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Molto tempo fa nel mar più profondo degli abissi, c’era un reame acquatico, molto bello e pieno di case colorate di grandezza media a parte il palazzo reale. Le strade erano molto larghe: gialle per i merluzzi pinna gialla, rosse nella zona dei pesci rossi, blu in quella del pesce chirurgo blu, arancioni e bianche in quella del pesce pagliaccio e così via. Nelle botteghe si vendevano cose terrestri e marine. E tutt'intorno un'immensa barriera corallina. E proprio nel palazzo reale viveva una sirenetta, la figlia del re Tritone, il vero nome era Ariel ma da tutti era soprannominata ‘’Sirebrutta’’ proprio perché era brutta, pur essendo anche molto intelligente. Aveva i capelli rossi e spettinati, la coda di color azzurro, naso a patata, ciglia rosse, sopracciglia rosse, una bocca sottile ed era bianca come il latte. Questi tratti sgraziati uniti alla sua straordinaria intelligenza, che la rendevano diversa da tutti, facevano sì che tutti la prendessero in giro, quindi lei era sempre triste. La sirenetta cercò conforto nel padre chiedendogli se la trovava carina. 27
Ariel chiedeva: - Papà secondo te sono carina? Il padre le faceva tanti complimenti, per esempio “sei la più bella sirena di sedici anni di questa casa!” (perché non vi erano altre sirene di sedici anni) oppure “certo, tu hai una bellezza rara!”. La sirenetta non ci credeva e avrebbe voluto guardarsi allo specchio, ma suo padre trovava sempre una scusa per non darglierlo; una volta le diceva che si era perduto, un’altra che non lo trovava, che si era rotto, che era sporco… Finalmente la sirenetta si convinse davvero di essere una bellezza rara e voleva sapere il parere dei suoi coetanei. Peccato però che suo padre non la facesse uscire, perché pensava che potesse scoprire la verità. Quando lui si allontanava dal palazzo, rinchiudeva Ariel dentro la sua stanza con un pesce palla da guardia o con i tentacoli di un polpo che bloccavano la serratura. La sirenetta non sapeva che fare, allora si affacciò dalla finestra e vide delle briciole di pane cadere sopra la sua testa. Si mise a raccoglierle tutte, mettendole in tasca, facendone suoi oggetti da collezione. Ora, in ogni storia c’è un birbantello e in questa è proprio Ursulino, un mezzo polpo. Non era molto affascinante (diciamo che era il più brutto dei mari) ed è proprio per questo che voleva acquistare dignità in qualche modo… Un giorno, mentre nuotava in cerca d’ispirazione, notò Ariel, la principessa dei mari, e si accorse subito della sua bruttezza, ma del resto era pur sempre una principessa (di sicuro più bella di lui). Pensò che sposare la principessa sarebbe stato un buon piano per la sua scalata sociale, così se ne innamorò. Il problema però era fare innamorare anche lei. Ursulino iniziò a seguirla ovunque, prendeva appunto di qualsiasi cosa e scoprì che il suo hobby preferito era raccogliere le briciole di pane, che uno sconosciuto lanciava ai pesci. 28
Un giorno decise, però, di comportarsi da stolker e di spiarla ventiquattr'ore su ventiquattro. Quel giorno prese i suoi dolcetti di alghe preferiti e 2 l di succo alle vongole, prese sgabellino rosa con i brillantini e bucò la sua casa per avere la visione migliore del suo obiettivo. Purtroppo però, per preparare tutto questo ci mise un giorno intero e la sua maratona fu rimandata. Si addormentò, infatti, sullo sgabello, così all’indomani si svegliò già in posizione. Quando si alzò sbatté la testa sulla montagna di scarti per il buco della casa, ma si tirò su energicamente (anche se un po’ stordito), bevve un sorso del suo succo e diede inizio alla maratona! Osservò la sirenetta alzarsi dal suo bel lettino, cantare la sua canzoncina stonata e vantarsi di quanto fosse bella con i suoi pupazzetti. Lo gridò cosi forte, che ad un certo punto cinque dei dieci peluche caddero a terra. Ursulino la guardava affascinato e ad ogni sua singola azione dava un morsetto ad un pasticcino. Poi un granchietto con cui la principessa stava ballando la morse ed Ursulino si spaventò così tanto da urlare. Per fortuna Ariel non si accorse di essere spiata, ma si incavolò con il granchio e per calmarsi decise di uscire a cercare briciole di pane. Eluse il controllo delle guardie paterne Mentre usciva, i servi bisbigliavano: - Oh quanto è brutta! E un altro: - È uno sgorbio totale! Ma lei non ci fece caso e nuotò ancora più in fretta. Ursulino, mangiando un altro pasticcino si rese conto che se fosse uscita avrebbe notato la sua postazione da stolker, così nell’agitazione rovesciò il succo di alghe e finì sulla montagna degli scarti. Tutto quel trambusto attirò l’attenzione della sirenetta, che si diresse subito verso quella direzione. Ursulino, ancora più impaurito, le andò incontro e i due sbatterono la testa, ma la ciccia di Ursulino attutì il colpo e lui cominciò a scappare. Ariel, però, si riprese un attimo e dopo riuscì a 29
riprendere vantaggio prendendo una scorciatoia fra i coralli (era molto intelligente). I due alla fine si ritrovarono paralleli l’uno all’altro e Ariel si avvicinò per prenderlo… quando vide una specie di ombra ovale e accanto ad una scia a mo’ di pioggerellina, sembrava dorata. No, era qualcosa di meglio erano le briciole di pane! La sirenetta abbagliata salì in superficie e vide il tizio delle briciole! Lui, essendo molto stupido ed ingenuo, le parlò come se niente fosse e le raccontò che era un principe di nome Moziniac. Ariel rimase ad ascoltare e si accorse della sua bellezza, ma anche della sua ingenuità e decise che non era il suo tipo. Lui invece se ne innamorò. Intanto Ursulino passò il suo tempo a pensare a come rimediare con Ariel e quando si avvicinò un po' di più a lei e la vide con quel tizio bellissimo, pensò potesse essere un rivale, senza comprendere l’assoluto disinteresse della sirenetta. Ormai era guerra fra lui e il tizio delle briciole! Tra il principe e la sirenetta ci fu un dialogo infastidito. - Non ti sembra una giornata piena di sole? - le chiese il principe. E lei rispose: - No, credo che pioverà. - per poi girarsi scontrosa. Dunque cercò di fare in modo di allontanarli e cominciò a seguire la principessa. Questa appena vide che Ursulino la seguiva scappò. Cominciò, dunque, un inseguimento, in cui Ariel nuotando più veloce che poteva cercò di ricordarsi tutti i nascondigli che conosceva per far perdere le sue tracce. Passò dentro il relitto, ma si accorse che lui le stava dietro, allora pensò di entrare in una grande conchiglia, ma anche lì se lo ritrovò dietro. Allora le venne in mente di entrare dentro un banco di pesci per confondersi tra loro. Purtroppo, tuttavia, successe qualcosa: un 30
pesce palla le si infilò in gola. Ariel non riuscendo a respirare salì in superficie e arrivò sulla riva dove vi era il principe. Questi, benché molto ma molto imbranato, fece di tutto per aiutare la sirena. Dapprima, chiamò aiuto per tanto tempo, ma non rispose nessuno, perché i servitori si trovavano al castello. Poi udirono le grida di aiuto due nanerottoli, ma non gli diedero retta, perché stavano giocando a nascondino. Allora il principe disperato, si abbassò un secondino e all’improvviso i suoi pantaloni azzurri si spaccarono, perché lui era parecchio sovrappeso. Si vedevano le mutande e pure il sedere. La principessa, vedendo il suo sedere peloso, si piegò in due dalle risate, le venne una tosse tremenda e un mal di gola pazzesco. Così, dopo un po’ di secondi, sputò il pesce. E da lì la principessa ritornò in salute. Si sposarono e trovarono a Ursulino un bruttissimo scorfano da amare.
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Rido alla Rabelais, Benni, Calvino e‌ Elizabeth Bennet  
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Alberto Anastasi - Jacopo Cristaldi - Roberta Dell'Erba Gaetano Ferrara - Michela Fichera
ChicchirichĂŹ bau boom!
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Abbarbicato sulle montagne del Piemonte, si trovava un piccolo paesino di nome Domodossola, conosciuto esclusivamente per riempire le colonne del gioco “NOMI, CITTÀ E COSE”, quando veniva estratta la lettera “D”. I suoi palazzi erano tutti bassi come sassi, e fuori dalla città ardeva un rogo nel frutteto mentre molti topi si rotolavano sul proprio tappeto. Esso era totalmente privo di qualunque attrazione turistica a causa del numero esiguo dei suoi residenti, i domodossoloni. Nel centro storico dominava Palazzo Caporale Municipale, la Parrocchia Santocchia e l'unico bar, il Bar Privé, colmo di gente ansiosa e pensosa per via del caffè che ingurgitava. Era un posto di lusso e tutti i clienti avevano gusto! Nonostante si potesse ordinare il caviale anche i poveri potevano entrare: se facevi il cameriere per una giornata, una porzione di aragosta ti spettava e ti veniva razionata. L'ingresso del bar era caratterizzato da una singolare porta di colore verde, e le pareti all'interno erano decorate con pois viola con una caffettiera che fischiava da sola! Era così riconoscibile che nessuno si poteva sbagliare. Via Bossola 27 in quel di Domodossola. Qui viveva, proprio in questo paesino bizzarro, 34
la famiglia Giannini, amante dei panini. Il padre, Gianni era basso come un materasso, grasso come un ammasso di lardo e pelato come un pomodoro sbucciato, con gli occhi da patato, interrato, colorato, spaventosamente grigi come il Tamigi. Lavorava al Bar Privé e faceva un caffè troppo maciné. La moglie, Gianna, detta Olivia, famosa per la sua squisita panna, era alta e smilza con gli occhi verdi come dei cervi e i capelli rossi come le bacche dei bossi. Svolgeva anche lei la mansione di barista e di prima banconista. I due figliuoli, gran porcelloni, Giangiacomo e Giangirolamo imitavano l'ippopotamo. Giangiacomo, detto Poldo, era grosso come un barilotto e mai pronto ad affrontare l'ostacolo del cavolo. Abboccava sempre all'amo e finiva poi su di un ramo. Aveva i capelli verdi come i gioielli, sciolti e folti e gli occhi bruni come funi. Aveva un gatto pazzo con gli occhi blu, che giocava sempre a Taboo. Giangirolamo, essendo il più alto della famiglia, mangiava vaniglia e triglia, aveva gli occhi gialli come marescialli ed i capelli rizzuti, viola, lunghi come dei funghi. In famiglia, erano tutti molto golosi e mangiavano ogni giorno panini farciti con parmigianni, una qualità di formaggianni. E indovinate qual era il dolce preferito della simpatica famigliuola? Il gianduia. Donna Gianna, e … "chi dice donna dice danno" si prendeva cura di una donnola di nome Donata, donatagli da Don Gesualdo, il curato del paese sempre sulle spese, un omone alto come un santo, con gli occhi cobalto ed i capelli uniformi come gli stormi e vestiva sempre di nero come Calimero. La donnola Donata aveva un manto peloso ed appiccicoso ed occhi neri come bracieri. A quest'ultima era stato donato uno spazio ristretto come un vecchietto, nell'aia del pollaio di famiglia, che condivideva con altri amichetti. Il pollaio aveva i muri bianchi con disegnati sopra dei banchi, era pieno di paglia qua e là come il palazzo del Maharaja. L'intera area era recintata, ma 35
molto frequentata, con assi marroni e foto di ladroni. Il pollaio era animato da Linda la mucca, sempre brilla di candeggina, pulita dentro, ma sporca fuori. Il suo hobby era rotolarsi nel fango come i maiali, tanto che la scambiavano per una di loro. Era talmente macchiata da sembrare lo schizzo di un pittore, per le sue macchie d'autore. Per di più era cieca come una bacheca piena di vasche di sapone di origine greca. E che dire di Molly, la coniglietta perfetta, vivace ed audace. Era la più carina della fattoria e tutti i conigli non volevano farsela scappare via. Era sempre truccata ed indossava un parrucchino biondo, con una chioma lucente e profumata. La sua coda era pucciosa e delicata ed aveva occhi celesti come dei quadri campestri. Una tipa moto “social”, una vera influencer, che postava foto sul suo profilo Twitter twittando con #conigliettaperfettatop. Certo non potevamo dimenticarci di lui, Rocky il cavallo, soprannominato Balboa, forte come una canoa. Aveva occhi color prato come il posto che aveva pestato; era pieno di sé e beveva una quantità industriale di caffè, rubato al Bar Privé. La sua criniera era verde come una pera e la sua pelle nera come una chimera. Il suo sorriso era ammaliante e Rocky lo donava a tutti, ma “A caval donato non si guarda in bocca!” Guardarlo, però, era un evento più raro di un'allucinazione, come il riso a colazione. Si allevavano, infine a terra, galline brutte come piscine asciutte e polli palla, bianchi come i calanchi e belli come i fringuelli. Era una bella mattina di sole nel pollaio “Chicchi Ricchi meglio che poveri” e il pollo Chicchiricchì, per gli amici Chicchi, gironzolava come al suo solito con quell’aria di furbacchione nell’aia con le sue cuffiette e il suo skate, mentre ascoltava “Per colpa di chi-chi-chi-chi-chichichichi” del suo cantante preferito Zucchero. Incontrò Gina la tartarughina e le disse: “Ehi bella tipa come va a casa?? Ahahah”, e quella 36
rispose stando al gioco: “Tutto bene, sto traslocando Chicchi, ahahaha! Bussò alla finestrella di Dolores Quack, la papera spagnola, e quella gli mandò un “beso”. Infine andò incontro a chi-chi-chi? Il coniglio Funny Bunny con il suo solito sorriso smagliante e gli fece l’occhiolino. Salutò pure l’amico Funky Gallo, il galletto ruspante, noto latin lover, e gli disse: “Ma cosa ci fai tu alle pollastre?” E quello ringalluzzito, gonfiando il petto e alzando la cresta: "Uso per profumare il barbiglio eau de coque." E Chicchi rispose: "Lo userò pure io, è da un mese che cerco di uscire con Rosina la gallina, ma quella mi fa rosicare le ossa di pollo." E il gallo gli fece: "Non conosci Teorema? Prendi una pollastra, trattala male e lascia che ti aspetti per ore. Dai retta a me, tutte uguali le galline." Ma Chicchi gli disse: "Ma per me Rosina è speciale...buona giornata." Arrivato alla cuccia del cane Bausette, chiamato così perché amava nascondersi per poi saltare fuori di colpo, Chicchi fece un fischio in attesa che l’amico rispondesse. Niente. Nessun segno di vita. Si tolse le cuffiette e si mise in ascolto per sentire se stava dormendo, ma Bausette non si mosse, si avvicinò, lo scosse, lo chiamò più volte e poi capì. Il vecchio Bausette era morto. Si era addormentato al sole e adesso non c’era più. Sconvolto Chicchi voleva avvisare il padrone e salì sul suo skate e corse il più veloce che poteva, ma gli tagliarono la strada i piccoli anatroccoli dell’anatra Giuliva e per scansarli, andò a sbattere con la testa contro un'asse del recinto. Perse i sensi poverino. Lo soccorsero, lo portarono nel pollaio, gli misero una benda in testa dove era cresciuto un bernoccolo gigante. Dopo qualche ora si risvegliò, ma non era più il polletto di prima. Cominciò a fare strani versi, sembrava abbaiare!!! Bauchicci, Chicchibauuuu. Gli altri animali rimasero increduli, 37
non sapevano se ridere o piangere, povero Chicchi era andato fuori di testa e si era trasferito nella cuccia che era stata di Bausette. Era pure diventato aggressivo, un giorno per poco non aveva fatto venire un coccolone a Mrs Quack, mamma anatra, le aveva ringhiato…. o qualcosa del genere, quella gli aveva starnazzato in faccia e lui le aveva morso la zampa, poverina le provocò un’abrasione e una vistosa fasciatura. Un altro giorno poi si era messo a scavare buche, ma aveva commesso l’errore di farne una nel roseto della padrona ed era stato rincorso per tutto il cortile dal padrone che lo voleva colpire con un bastone, qualcuno sostenne che guaiva, in realtà faceva un verso incomprensibile. Eravamo al delirio! Così gli animali decisero di riunirsi in consiglio animalesco per stabilire come farlo rinsavire. La riunione fu molto intensa, e i partecipanti erano già in astinenza. Dietro una grigia e lunga sbarra di ferro ed un cesto, vi erano tutti i membri del consiglio funesto: Molly la coniglietta aveva una voglia matta di struccarsi, per via della sua voglia di riposarsi; Rocky era andato al bar Privé per offrire a tutti un caffè, ma quando vide il cane di un signore, si mise a gridare e a piangere come un frignone; Linda volle sottoporsi alla nuova terapia della Sangria: un ballo di fango caldo con un buffet che preparava sempre Don Gesualdo. Tutti furono in ansia per via del cane e del caffè, ma nel frattempo chiuse il bar Privé. La fattoria non potè avere più caffè fino al giorno seguente, quindi iniziò il dibattito per sbrigare subito la faccenda. Funky Gallo, un gregario tutt’altro che bello con le penne bianche di un fringuello. Aveva gli occhi neri come dei peri e un brutto viso come un gambo di fiordaliso. La Civetta Civettuola era una civetta saggia, con un piumaggio grigio e folto. Occhi gialli che illuminano la notte come un lampadario rotto, era oscena come una falena ma dava consigli utili e belli come gigli. Quack 38
l’anatra era un’anatra strana con gli occhiali di una nana. Aveva gli occhi pieni di vita e un collo verde da eremita. Prese la parola Funky Gallo, anche lui ebbe a che fare con il pollo impazzito come un accanito; l'altra mattina mentre quello suonava la sveglia, lo assalì e volarono piume. Funky non sapeva cosa fare, e chiamò il rinforzo animale. Dopo tre ore, la “rivolta” fu sedata e Funky provò una gioia innata e cantò: "Ah chi bell’u cafè, ah chi bell’u cafè” e sulle note di De Andrè se ne andò al bar Privé per gustare un bel caffè. Era stata davvero una lunga giornata. Molly era anche lei stanca della faccenda: un giorno stava facendo una passeggiata sul bordo di una grata, quando fu spinta con una forza mai vista dentro una stalla puzzosa e insidiosa. Non sapeva cosa fare e quindi si nascose nel fieno osceno e nel terreno per non farsi trovare. All’assemblea, la coniglietta si lamentava: "Sono stanca di questa paranza! Non voglio più avere a che fare con quell’impazzito animale!" Il “fringuello” propose all'assemblea un'ingegnosa soluzione al fine di trovare la cura miracolosa per il pollo deviato. Così esordì: "La civetta Civettuola ha uno zio che vive nel vigneto, sopra un albero, nella stessa tana del criceto Arrampicato. Costui era un rinomato luminare, il dottor Civetta De Civettis. Un Civetto grosso come un fosso con un piumaggio rosso; molto ligio al dovere e sempre pronto a imparare e sapere. Aveva occhi rossi come il sole, e i suoi consigli hanno sempre dato calore. Dopo essere stato colpito da un meteorite che lo aveva portato dalle stelle alle stalle, decise di indossare dei pantaloni a forma di spuntoni, di sposare una donna che eseguiva la danza della paranza e di andare a vivere appunto su quell'albero sul quale era stato morso dal muscoloso roditore. Il suo motto è: chi non risica non rosica. Ciò nonostante sarebbe comunque in grado di visitarlo". 39
Tutti i membri dell'assemblea approvarono la proposta: Rocky festeggiava ballando e sgranocchiando una fava; Linda prenotò una “vasca” spa per tutti gli animali nel fango; Molly beveva e faceva festa, ma Chicchi dormiva ancora in Santa pace, in attesa della fine della sua montatura di testa. Il pollo che credeva di essere un cane non era disponibile a sottoporsi alla visita, infatti costantemente e vivacemente strillava come una gallina: “Vi farò vedere di che pasta sono fatto, sono un possente cane da guardia mica un ridicolo pollo!” Allora astutamente il Dott. De Civettis gli si avvicinò, in punta di piedi, anzi in punta di zampe, mentre l’altro schiacciava un pisolino davanti alla sua cuccia, un po’ babbuccia, ma caruccia, con attorno dell’erbuccia e persino una gruccia, e con uno stecchino, un po’ troppo magrolino, gli sollevò le palpebre. “Eh sì”, esclamò “aveva proprio gli occhi stralunati, un po’ fatati ed abbagliati, gli avevo misurato la temperatura, accidercivetta!!! Era bollente, anche veramente puzzolente; sembrava di aver appena toccato una pentola rovente. Gli avevo tastato l’ala dispiegata, un po’ spiegazzata, gli avevo contato le pulsazioni, piuttosto regolari, ed infine gli avevo rilevato un bernoccolo, quasi più grande di un broccolo.” Il suo responso: “Il pollo è affetto da amnesia psicosomatica infrastrutturale senza memoria del giorno prima, né del giorno dopo”. E sarebbe? Il pollo non si ricordava più chi era, ma rimembrava il suo amico Bausette, che era passato a miglior vita e che era il cane dell’aia e di questo ne era onorato. Era un cane povero e umile con tanti pregi, aveva una peluria grigia e occhi neri. Il trauma della perdita dell’amico associato alla botta in testa aveva creato in lui una dissociazione personale, non proprio banale, per cui Chicchiricchi si credeva la sua reincarnazione e non sapeva che tutto questo era solo un’allucinazione. Per riportarlo a com’era prima bisognava 40
intervenire con un’azione uguale e contraria, un’altra botta in testa. Così venne incaricato il possente gallo Kid… e chi altri se non lui? Era un gallo di otto anni , parente del Signor Gianni, molto muscoloso e peloso. Le sue piume erano di colori sgargianti ed indossava sempre dei guanti neri. Bello, ruspante, picchiava duro ed era peggio del cianuro. Arrivò il fatidico giorno e fra lo spavento iniziò il combattimento. Era un mezzogiorno di fuoco e Gallo Kid era pronto. Giunse pollo Chicchi, vide lo sfidante ed esclamò con sicurezza: “Sono un cane, mica ho paura di uno stupido gallo ruspante e rampante!”. Incominciò il match. Chicchi caricò l’avversario come un toro da corrida, ma Gallo Kid si scansò e pollo Chicchi andò a rischiantarsi sulla recinzione. Tutti accorsero, incluso il dottor De Civettis, il quale tastò il collo del pollo Chicchi e sentenziò: “È ancora vivo!”. Tutti applaudirono e lo portarono nel pollaio per bendargli i bernoccoli color calamaio. Al suo risveglio il pollo era guarito e rizzandosi sulle gambe esclamò: “Che ci fate tutti qui!” e lanciò un sonoro Chicchirichii. Il dottor De Civettis aveva visto giusto. Come sempre aveva avuto gusto.
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Vittorio Carrano - Maria Lucia Mangiameli - Sergio Motta Giuseppe Vitale
Willy Sottuttoio
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Antefatto Giuseppe: Fissiamo le regole! Come sapete, sono stato nominato “moderatore” del gruppo. In sostanza, dovete considerarmi il capo, il duce, il führer, quello che comanda. Vittorio: Sì, la danza, la briscola… Sergio: Sì, arrivau! Maria Lucia: Al massimo sei il coordinatore, ed è già troppo! Giuseppe: Va bene, come non detto! Siamo tutti d'accordo che siamo in piena emergenza Coronavirus? Che… Maria Lucia: Attento alle ripetizioni! Giuseppe: Stavo dicendo che la nostra città è diventata pericolosa? Ricordate il precedente illustre studiato l'anno scorso? Maria Lucia: Ti riferisci al Decamerone? Sergio: Di Dante Alighieri! Maria Lucia: Sì, il famoso Divino Decamerone! Vittorio: Ma chi ‘ncucchi, Sergio, di Ludovico Ariosto! Maria Lucia: SÌ, il famoso Decamerone furioso! Ammazza che ignoranti! Di Giovanni Boccaccio, Boccaccio! Abbiamo la stessa “cornice”. Giuseppe: Quale cornice? Io non ho nessuna cornice. Ma conosco Orazio, il corniciaio di via Enrico Pantano, basta dargli le misure. Maria Lucia: Ma per “cornice” s’intende il contenitore comune, il filo che lega le storie: il Covid-19, appunto. 43
Giuseppe: Brava! Tu sì che hai studiato. Riprendo in mano la situazione. Ci resta da trovare il luogo in cui rifugiarci, il tema e le storie da raccontare. Per il luogo avevo pensato alla vecchia “Panda” di mio papà: ma non potremmo tenere le distanze. Ci vorrebbe, semmai, la “Limousine” del papà di Guglielmo dell’Aria. Ma forse il luogo più giusto è la casa di campagna di Manlio Centamore, a Trecastagni. Per le storie… Maria Lucia: Ci sto pensando… Sergio, Vittorio: Ci sta pensando, la regina… anche noi siamo in grado di pensare. Maria Lucia: Sempre spiritosi! Allora? Sergio: Potremmo raccontare storie che riguardano l'Inter, la squadra più forte del mondo, del “Triplete”, di Lucaku, di Lautaro… Vittorio: Sì, domani! Semmai di CR7, di Dybala… Giuseppe: Stop! Niente calcio, troppo divisivo, forse del Catania Calcio… Scherzo! In qualità di cap… volevo dire di moderatore, suggerisco un possibile tema: tutti noi conosciamo almeno una persona presuntuosa, che si dà l’aria di essere speciale, di sapere tutto, di saper fare tutto. Ci potremmo divertire a prenderli in giro. Noi che lo sappiamo fare!? Maria Lucia, Vittorio, Sergio: Si lo conosco! Si chiama… Giuseppe: No, conserviamo la privacy. Assegno a Sergio il compito di parlare della persona che, in generale, “sa tutto”; a Maria Lucia il compito di parlare della persona che “sa tutto” sul viaggio, su come viaggiare; a Vittorio il compito di parlare 44
della persona che ”sa tutto” sul cibo, su come mangiare; e a me stesso il compito di parlare della persona che sa mille modi per morire. Maria Lucia: Dovremmo inserire nelle nostre storie qualche elemento musicale, fare riferimento ad un paio di canzoni appropriate… non so. Giuseppe: Ok. Ma non pensate a Mozart o Debussy… solo a qualche canzone moderna che rispetti il tema. Buon lavoro a tutti noi. Ci vediamo in campagna. Distanti ma uniti. P.S.: canzoni consigliate: 1) “Sapere di sale”; 2) “Funiculì, funiculà”; 3) “Il cuore è uno zingaro e va”; 4) “E tu vulivi a pizza”; 5) “A me piace a' Nutella”; 6) “E muoio disperato” (una licenza); 7) “Dimme na volta sola te voglio bene e poi famme murì”. P.P.S.: è evidente che ognuno di noi è pienamente libero di correggere, ridurre, approfondire, ampliare, cambiare la parte che ci è stata assegnata. P.P.P.S.: speriamo di uscire presto da questa prigione: le professoresse ci aspettano a braccia e a libri aperti.
Avete mai conosciuto qualcuno che sa (o dice di sapere) tutto? Be', io sì. Si chiamava Willy Sottuttoio, un professore universitario di bassa statura, piccoli baffi arrotolati all’insù e un viso talmente arcigno da sembrare cattivo. Il prof. Sottuttoio aveva in testa un cappello a cilindro, che unito ai baffetti da 45
sparviero e alla “r moscia” lo faceva sembrare un ometto francese dell’800. Indossava la sua solita camicia a quadri e pantaloni beige con bretelle… ma aveva solo quei vestiti nell’armadio? Insegnava in una Università tra le più serie e noiose, che vantava una lunga storia, così lunga, ma così lunga che l’incisione su roccia all’ingresso del maestoso edificio recitava un laconico: Università del Molise. Le diverse materie che gli studenti dovevano sostenere erano paragonate ai gironi dell’inferno dantesco e Willy Sottuttoio era, indubbiamente, Lucifero. Con lui non si poteva discutere, né gli studenti, né i suoi colleghi, aveva il brutto vizio di interrompere sempre tutti e dire lui, dire lui, sempre lui… insopportabile. Sapeva tutto di filosofia, fisiologia, filologia, filodrammatica, filo per cucire, fare la fila, filare la lana, filo di Arianna, filo d’aria… Una volta, per esempio, interrogò uno studente (Ben) e andò più o meno così: Sottuttoio: Allora Ben, dimmi di filosofia filologica e non sbagliare eh, non consento a nessuno di sbagliare, perché la filosofia filologica e filoromanza è il centro dell’universo, spiega la creazione, la sparizione, la morte, l’intelligenza, la stupidità (tua), la vita, le malattie, le pandemie, il cognito e l’incognito, insomma dimmi. Studente Ben: È mia opinione che la filosof….. Sottuttoio: È tua opinione? Hai un’opinione? Quale sarebbe? Ma sicuramente non attiene a quello di cui ti chiedo. È molto improbabile che tu possa avere un’opinione tua e non mia, un’idea propria e non impropria, un balzo di ingegno e non un salto nel vuoto, un’illuminazione e non una esplosione di stupidità. Bene Ben, il voto è 3! Studente Ben: Ma, come prof., non sono riuscit… 46
Sottuttoio: E non dovevi riuscire, non sempre si riesce o meglio i più non riescono e i meglio (Io) invece sì. Non tutti sono capaci, molti sono incapaci, la capacità è un’arte, l’incapacità uno scudo, un baluardo dei pigri (come voi), idiozia, idiosincrasia, ideologia, idiopatia, idiovirologia, idiotologia. Basta dico Basta, la lezione è FINITA. Sono stanco delle vostre inutili parole!! Willy Sottuttoio oltre a sapere tutto quello che esisteva e non esisteva, diceva di conoscere come andare in giro: con la macchina, con la bici, con la funivia, con i pattini a rotelle, con il bus, con il camion, con la vecchia Panda di vostro padre, con il pensiero, con i baffi… Ma il problema di tutto questo era: quale mezzo doveva utilizzare? Infatti lui, sapendo tutto questo, o meglio tutto, nella discettazione tra sé e sé su i vari trasporti: “ Come posso decidere quale mezzo utilizzare? Abbiamo la macchina: essa ha molti vantaggi come quello di pagare, saldare, retribuire, dare, liquidare, sborsare, indennizzare, elargire, erogare meno soldi. Ma l’aereo ci dà una sicurezza maggiore a causa dei super, eccellenti, eccezionali, straordinari, superiori, fantastici, extra e anche agenti scadenti di controlli e poi l’aereo inquina e quindi… utilizzerò la bici che è ecosostenibile, ambientale, naturale, naturalistica, verde però la bicicletta è molto lenta ed è pure sfiancante… e allora che mezzo utilizzerò? Potrei servirmi della macchina elettrica, no si scarica molto facilmente, la nave, no mi verrà il mal di mare…” Se avesse continuato ancora ci avrebbe perso un anno intero. E quindi lui, alla fine, decideva di passare tutto il suo tempo tappato a casa sua, nel salotto, con il programma di Alberto Angela. Il suo salotto era tappezzato da una carta da parati vecchissima che a stento stava attaccata alla parete poi al centro di questa stanza c’erano un divano tutto rotto con le molle che vi uscivano e un 47
tavolo con delle sedie aggiustate con dello scotch (sì, perché Willy Sottuttoio sapendo tutto sul mobilio, arredamento, mobilia, mobili, suppellettili, arredo, soprammobili, oggetti per la casa, ninnoli, gingilli… nell'indecisione rimaneva con quello che possedeva già). Infine aveva una TV anni ’80, dove lui guardava i servizi di Alberto Angela, e per farla funzionare doveva darle sempre dei colpetti di sopra (e più gliene dava, più si guastava, quindi oramai le rimaneva a fianco per picchiettare l'apparecchio a più non posso). Quindi, dicevo, che lui passava tutto il suo tempo a guardare questi documentari di Alberto Angela (la seconda persona più intelligente al mondo dopo lui, certamente). Ma il problema è il come: lui impersonava lo scienziato e quello di cui si parlava in quel programma lo rifaceva a casa. Una volta l'argomento era stato la guerra di Troia e allora Willy Sottuttoio con quello che aveva a casa, riprodusse la guerra di Troia. Utilizzò le sedie come soldati di Troia, il divano come mura di Troia, una coperta come cavallo… indovinate? Sì, di Troia e posate e bastoni di scope come armi di Troia, le pentole come scudi di Troia, le coperte come mantelli di Troia, delle lucine come fuochi di Troia, la frutta come granate di Troia, le spade laser come pistole di Troia e per finire le penne come super, mega, ultra, eccellenti, eccezionali, fantastiche, extra, superiori cerbottane di Troia. Quando questo era successo, dopo un giorno silenzioso e calmo, allo scoccare della mezzanotte (dopo che gli abitanti… di Troia avevano accettato il “dono” dai greci, venuti a…? Troia!) scoppiò il finimondo a causa dell’inizio della guerra… ma certo, di Troia! Ed ecco che in prima fila vediamo il condottiero Willy Sottuttoio che accompagnava i suoi compagni alla guerra… non lo ripeto più. È chiaro, no? Alla 48
fine di tutta questa apocalisse l’unico che sopravvisse fu il nostro caro Willy Sottuttoio . Ed ecco il perché delle sedie rotte e del divano, che si sacrificarono per il bene del popolo greco! Certo era un tipo davvero strano, Willy Sottuttoio! Figuratevi, era eccentrico anche per il cibo. Ma io dico: il cibo? Ci saranno delle cose che non ci piacciono, come a me che non piacciono i broccoletti e tutte quelle cosette verdognole che sono solo sciape e, nelle migliori occasioni, come quando ti trovi davanti ad una bella ragazza e sfoderi il tuo migliore sorriso per fare colpo, lei ti dice con voce suadente: “Scusa, hai qualcosa tra i denti!”. Ma lui (Willy intendo!) amava e odiava tutto quello che il suo stomaco (o quel poco che ne rimaneva) richiamava, sollecitato anche dagli occhi (eh sì, si mangia anche con quelli!) o dalle sue papille gustative. Ancora. Diceva di conoscere la cucina e tutti i trucchi per preparare mille e più vivande: lessare, bollire, arrostire, rosolare, friggere, abbrustolire, bardare (lardo o pancetta?), decantare (vino rosso o bianco?), deglassare (brodo o vino?), dressare, parare (come Buffon o Donnarumma forse?). Poiché era indeciso su quale tecnica utilizzare non ne praticava nessuna, vantandosi, tuttavia, di essere migliore di Cannavacciuolo, Barberi, Massari, Cracco (o sgracco?). Ancora. Diceva di sapere mille modi per mangiare e che cosa: con i denti davanti, con quelli di dietro, con quelli di sotto e quelli di sopra, con i molari di destra e di sinistra, con i canini laterali (Chihuahua), senza appetito e con ingordigia e ghiottoneria, vegetariano, vegano, carnivoro, onnivoro, solo un boccone o tutto intero, a quattro ganasce (per auto, fiscali, di cioccolato e per profitterol), la foglia, il pane raffermo (fritto, per le polpette, per i dolci), il pesce spada (ma anche sega e martello), i topi vivi (come i cinesi?) e anche morti, la 49
toponomastica, il topocompleanno, topo Gigio, Topolino (ma anche Minnie), i cani randagi, le gatte da pelare, le gattemorte, le oche del Campidoglio, il foie gras, il cervello di gallina, le Sardine bolognesi, le sarde a beccafico, le sarde tout court, le sartine (basta cambiare la “d”), le sorde (basta cambiare la “a”), lo stummo (sgombrare!!!!) con un occhio (vivo, mi raccomando!) durante il giorno (ma anche a notte inoltrata), o di pomeriggio davanti alla TV (o dietro la TV, per punizione), a vedere telenovelas, soap opera, fiction, film, telefilm, documentari, docufilm, cartoni animati, dibattiti politici, Tiggì “ancora un quarto d’ora ci rifletto”, a letto, sul divano, sulla poltrona o sullo sgabello, sul pouf, sulla tazza del cesso o sul bidet, con una tazza di caffè in mano, cantando “O sole mio” e “Andiamo a comandare”, o con una tazza di tè cantando “God save the Queen”, a occhi chiusi, con le orecchie ben aperte, con il naso otturato, con la bocca spalancata, a braccia conserte, in ginocchio da te... Problema: “non” sapendo scegliere il modo e che cosa, non mangiava più e s'era ridotto uno scheletro, una larva, un’ombra, un fantasma, un ectoplasma, un osso di seppia, un relitto in un mare di guai! Il signor Willy Sottuttoio si aggirava per il centro storico (era storico anche lui) camminando faticosamente, reggendosi su tre bastoni (è un mistero come usasse il terzo) e ansimando come un cavaliere antico. Probabilmente lo era. Vestiva alla maniera romantica, avvolto da grandi mantelli e grandi sciarpe (avete certamente visto qualche ritratto di Gericault e di Friedrich: ecco, forse uno di essi era proprio il ritratto del signor Willy Sottuttoio). Vi sembra incredibile? No: egli aveva, incredibilmente, 170 anni suonati (vedremo come). Era certamente un signore interessante ma un po' strano: un po' vecchio (appunto), un po' mucchio, un po' macchia, un po' occhio, un po' abbacchio, un 50
po' nicchia, un po' pacchia (ah, Salvini!), un po' racchia, un po' secchio, un po' cacchio, insomma un po' tutto. Non ne poteva più della sua vecchiezza, avrebbe voluto morire, sia pure di morte lenta. Ma era afflitto (sapeva anche questo) da due "maledizioni". La prima, la meno grave, era costituita dai troppi medici bravi che aveva avuto la sfortuna di incontrare nella sua vita, se ne trovavano dappertutto: anche oggi ti tirano per i capelli, per il naso, per le orecchie, ti cambiano il cuore, il fegato, l’aria, la prospettiva… Era giunto alla conclusione che se voleva morire in pace non doveva avere bravi medici intorno (ma quelli scarsi non si trovavano più), doveva essere sano come un pesce, avere una salute di ferro. La seconda maledizione era più grave: era la sua conoscenza (pressoché infinita) dei modi di morire. Si compiaceva di fare qualche esempio: si poteva morire d’infarto, di colesterolo, di tosse, di tasse (troppo alte!), di crepacuore, di anemia, di anima in pena, di all’animaccia sua, di claustrofobia, di morte naturale (come la “San Benedetto”), di noia, di ansia, di ansiolitici, di diarrea, di rabbia, di maggio (come le rose), ma anche Di Maio, di luglio, di aglio, nel sonno, col senno di poi e, ancora, in via E. Pantano (dove sta ancora il corniciaio Orazio, che può essere sempre utile), in piazza Carlo Alberto presso la bancarella di carote di zio Enzo (controllare per credere), al Largo Rosolino Pilo tra la cacca dei cani, mentre fai la cacca a casa tua (o in casa degli amici più cari) o, anche, mentre suoni il flauto traverso (vero, prof. Gerardi?), mentre canti “E muoio disperato” (se sei sano come un pesce! Così, si dice, morì Giuseppe Verdi mentre la accennava al pianoforte), “Dimme na vota sola te voglio bene e poi famme murì”. Doveva continuare? Aveva 170 anni suonati (da Verdi?) e non sapeva scegliere… non sapeva scegliere… Forse poteva “lasciarsi 51
morire”… Ma, come? A cuor contento, senza cercare scuse all’ultimo momento, facendo attenzione a non inciampare sul gatto che dormiva, mangiando una carota di zio Enzo, fingendo solo di morire (per tranquillizzare i parenti afflitti (“era il migliore di tutti”), leggendo l’Ulisse di James Joyce in inglese, guardando “Il grande fratello vip”, mentre ammazzavano cumpari Turiddu, mentre cantano “e se muoio da partigiano tu mi devi seppellir”, mentre qui si fa l’Italia o si moriva, ascoltando la voce della prof.ssa Di Mauro (troppo sexy, dice il papà di Giuseppe), il vento tra le foglie, le onde tra gli scogli, le api sopra i tigli… Era proprio disperato: aveva 170 anni suonati (dal flauto traverso?). Diceva che avrebbe fatto mille volte cambio con il personaggio dell'antiquario Childan che conosceva, senza averne alcun pregiudizio ma solo vantaggi, tutte le forme per approcciare il prossimo (educatamente, senza riguardo…) Il signor Willy Sottuttoio era un accanito lettore di P. K. Dick, conosceva a memoria la sua Svastica sul sole. Ma tant'è, così va ancora il mondo (ma anche il treno, la nave, a finire…).
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Manlio Centamore - Anita Coco - Taira De Castro Almeida - Ilenia Ferro - Edoardo Menghini - Bianca Moncada Paternò Castello - Aurora Padellato - Carlotta Terrizzi - Francesco Zuccarello
Ciccioni alla riscossa
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Era una tranquilla giornata di settembre, Cecilia una bellissima ragazza dai capelli lunghi castani, con occhi così scuri da potersi quasi specchiare camminava lungo un viale alberato a braccetto del suo fidanzato, Gianmarco, alto moro riccio e dal fisco invidiabile con un carattere dolce e con un ottimo senso dell’umorismo. Questa era una coppia di ragazzi appena laureati che stavano tornando a casa dal primo giorno di università, un grande istituto agrario fuori dal centro città di Badcity, un piccolo paesino in provincia di Washington d.c., composta principalmente da giovani, che frequentavano il campus. Entrambi erano sfiancati dalla giornata, ma allo stesso tempo molto felici perché erano insieme. Mentre passeggiavano, Gianmarco raccontò una barzelletta a Cecilia, poiché voleva farla ridere un po': - Un alunno chiede alla professoressa: “Prof, posso essere punito per qualcosa che non ho fatto?” E l’insegnante dice: “Certo che no! Perché me lo chiedi?” Allora l’alunno risponde: “Perché non ho fatto i compiti!” Entrambi iniziarono a ridere ma, ad un certo punto, sentirono dei rumori di passi, con un lieve brusio di scoregge, 54
come se qualcuno li stesse spiando, ma si resero conto che non c’era nessuno per tutto il quartiere, quindi non diedero peso all’accaduto. La casa dei ragazzi era una grande villa con giardino, aveva una cucina spaziosa con l'isola, con tanti scaffali sulle pareti e un frigo di ultima generazione (come tutta la cucina d'altronde). Appena entrati, Cecilia andò a preparare il pranzo, mentre Gianmarco a guardare la TV. La sala aveva due divani, un grande mobile con sopra un televisore di 52 pollici e una grande libreria dietro i divani. Ad un certo punto il ragazzo, facendo zapping tra i canali trovò uno strano servizio televisivo che raccontava di un fenomeno alquanto inusuale che si stava propagando dalla loro cittadina a tutte quelle vicine: - ...questo fenomeno tratta di creature ciccione che mordendo gli umani si impossessano di essi e li rendono uguali a loro... - dicevano in tv. - Cecilia, vieni subito! - Sì, che c'è? - Guarda che sta succedendo. Con una faccia sorpresa Cecilia disse: - Oh mio dio! Ma, cosa sono? - Hanno detto che sono creature ciccione che mordendo gli umani li rendono uguali a loro. - Che cosa orribile! - disse lei. - Sinceramente io non ci credo molto... ma sta tranquilla, se dovessero arrivare qui, noi ci metteremo a dieta... - risero entrambi. La cosa che lasciava perplesso era che in sottofondo c’era una musichetta tipica dei cartoni animati, cioè comica, come se l’avviso fosse uscito fuori da una barzelletta. Gianmarco, una volta essersi cambiato i pantaloni, fatto la doccia e vestito con una camicia bianca e pantaloni neri, uscì 55
dal bagno tutto profumato, pronto per andare alla festa di inizio anno insieme alla sua amata, che, come da classica ragazza, doveva ancora rifinire il suo trucco e il ragazzo fu costretto ad aspettarla. Dopo ben dieci minuti d’attesa, il ragazzo, infastidito dalla lentezza della sua compagna, iniziò a farle fretta: - Cecilia, è da ormai ben quindici minuti che ti aspetto e ancora non hai finito di truccarti! Ti ricordo che se arriviamo troppo in ritardo i nostri colleghi si faranno una brutta reputazione su di noi! E la ragazza, con un tono sereno rispose: - Amore, devi stare tranquillo, prendo la borsa e partiamo. Pronti entrambi e ben sistemati, Cecilia mise il GPS sul proprio cellulare, mentre Gianmarco mise in moto la macchina e partirono. Ormai in ritardo, dovuto al traffico urbano, arrivarono finalmente a destinazione. Scesero dalla macchina, nelle loro facce si vedeva chiaramente la voglia di divertirsi e di fare festa, incoscienti però di quello che si sarebbero aspettati una volta entrati dentro. Prima di entrare, nonostante il loro ritardo, i due decisero di fumare una sigaretta sull’uscio della porta d’ingresso. I due iniziarono ad osservare l’esterno della casa, che, date le sue dimensioni, sembrava assomigliare di più ad una villa che ad una semplice abitazione, ed iniziarono a farsi una brutta immagine della ragazza. - Guarda, ma secondo me Sara è una di quelle ragazze figlie di papà e super viziata. -affermò Cecilia con un tono scherzoso. E il compagno la assecondò: - Secondo me avrà un telefono di ultima generazione e non oso immaginare quanti vestiti di marca si troveranno nel suo armadio! Proprio in quel momento li accolse la proprietaria, la Sara in questione, la tipica ragazza di Badcity: media statura, 56
intelligente, sempre ben vestita, capelli mori, corti e lisci. Aveva un'espressione acida. Li aveva sentiti?La coppia, comunque, tra una risata e l’altra lasciata in sospeso, entrò, mentre l'ospite scompariva dietro una porta. Da un’occhiata veloce alla casa sembrava avere un aspetto buio e macabro ed inoltre non si riusciva a sentire alcun rumore proveniente dall’interno, neanche la solita musica che si mette alle feste e questo mise loro un po’ di angoscia. Quella casa non aveva per niente “l’atmosfera di festa”, perciò la coppia si convinse che il navigatore li avesse portati nel posto sbagliato e quindi era meglio affrettarsi di andare via da quella casa. Mentre stavano per andare, all’improvviso il pavimento dell’ingresso su cui si trovarono iniziò a tremare come quando vi è una scossa di terremoto e si aprì in due di botto, quasi come se fosse una porta. I giovani impauriti iniziarono ad urlare e a chiamare aiuto, fin quando non caddero giù per un dirupo molto ma molto, molto, molto profondo. Infatti rimasero almeno venti minuti sospesi in aria. Durante il loro sprofondare lungo questo tunnel, si guardarono intorno e notarono che nelle buie pareti si trovavano appesi probabilmente con dello scotch e della colla super resistente degli strani quadri con delle altrettante strane cornici nere con bassorilievi a forma di testa di Obelix. Essi raffiguravano animali che imitavano i dipinti di personaggi grassi. Ad un certo punto finirono di gridare per la paura e iniziarono a porsi delle domande. - Ma hai visto i bassorilievi a forma di Obelix? - chiese Gianmarco a Cecilia. - Vero! Che strani! Rispose la ragazza... Ma allora, guarda questo quadro gigante… - aggiunse - sbaglio o vi è raffigurato, ehm, aspetta non mi ricordo come si chiami, ehm. A sì, certo è Omer Simpson!!! 57
- Non so davvero di chi tu stia parlando, Gianmarco, ma so solo che il tuo Omer sta prendendo a martellate la Televisione. E continuando a scendere vorticosamente: - Sì, quella è una rappresentazione reale ma è un personaggio di un cartone animato. - Sai invece chi è quel ciccione barbuto lì vicino a quello magro? Cecilia mi deludi. - lei era a testa in giù, ma nella posa del pensatore di Rodin - Quella è una strana caricatura del conosciutissimo Bud Spencer che da come puoi vedere dal quadro non si limita a solo un primo e un secondo piatto! - Mah, io ti giuro, tutti questi personaggi di una certa taglia non li conosco e non li ho mai sentiti nominare. - Quando torneremo a casa ti illustrerò un po' il mondo della Tv perché mi sa che non sei molto al passo con i tempi. Continuarono la discesa. Videro molti quadri, uno più bizzarro dell’altro. Uno in particolare colpì i ragazzi: era un dipinto rotondo, molto luminoso il quale raffigurava Sara vestita con un abito bianco principesco che cavalcava un grosso rinoceronte grigio con in mano una gallina rossiccia e spennacchiata. - Gianmarco, secondo te quella rappresentata lì è Sara? - Non saprei, è obesa, lei non è così. - Invece è parecchio imbolsita ultimamente, è proprio lei, ma lasciamo stare… tu basta che sono ragazze! Dietro di lei vi erano dipinte delle creature mostruose e sconosciute o forse già estinte le quali la inseguivano con un passo veloce lungo una foresta. Durante la corsa con i loro muscoli facciali facevano delle espressioni molto buffe. Dopo la lunga caduta nel nulla, atterrarono su un soffice letto gonfiabile grande circa due metri e a forma di hamburger che emanava un bizzarro odore di salse pasticciate, come senape e tomato insieme. 58
Avendo passato tutto quel tempo sospesi, i ragazzi, quando si trovarono sul materasso dalla forma bizzarra ebbero dei sintomi di vomito e nausea e, curiosi di capire cosa fosse successo loro, scesero dal cuscinone con difficoltà e preoccupazione. Inoltre non stavano capendo più nulla… il posto dove si ritrovavano era così cupo e inquietante da mettere loro una grande paura. Ad un certo punto i ragazzi sentirono alle loro spalle un passo, probabilmente di una donna dato che si sentiva il rumore di un tacco a spillo. Si girarono e videro Sara e quasi non la riconobbero, per quanto era ingrassata. Era letteralmente il doppio di come la avevano lasciata, insomma era diventata quasi obesa in pochi minuti! I due ragazzi si guardarono un po’ sconvolti per ciò che vedevano e Cecilia sbuffò: - Ma cosa le è successo? Sembra una palla! Mentre Gianmarco minimizzò accomodante: - Va beh, avrà preso solo qualche chilo… Ma Cecilia stizzita aggiunse: - Qualche chilo? Ma come, a me dici che dovrei perderne… Apri gli occhi Gianmy! O forse ti piacciono le ciccione? La guardarono bene e videro inoltre che indossava un vestito molto ambiguo. Lei, infatti, portava adesso un abito nero su cui era stampata una figura di Botero ovvero “Pepe Leo” solo che la faccia era quella di Gianmarco anziché quella dell’originale. Cecilia, indispettita, si ingelosì particolarmente nel vedere la faccia del suo fidanzato su una ragazza che conoscevano da pochissimi giorni. Gesticolandole davanti teatralmente, chiese a Sara: - Ti dispiacerebbe spiegarmi il perché di quel vestito, e soprattutto come mai con la faccia del mio ragazzo? 59
Soprattutto si infastidì nel vedere il suo fidanzato, che normalmente aveva un bel fisico, rappresentato invece in un corpo obeso. Nel frattempo Gianmarco, divertito dalla situazione si mise a ridere lievemente, senza farsi notare, ma anche lui curioso di scoprire perché la sua faccia fosse stampata sul vestito della loro conoscente. Sara rispose: - Tranquilla, Cecilia, è solo un modo per accogliere meglio voi e gli altri ospiti; infatti tutti gli uomini di servizio hanno un completo con stampata la tua faccia, mentre tutte le donne un vestito con il viso di Gianmarco. E poi non è molto più carino con quel bel fisico che gli ho attribuito? Questa spiegazione lasciò i due ragazzi ancora più perplessi. Non stavano capendo più perché quella che doveva essere una festa con tutti i loro colleghi di università si stava trasformando lentamente in un incubo. Anche il posto in cui la festa aveva luogo pian piano assumeva ai loro occhi un aspetto spettrale: si ritrovavano in una caverna molto lussuosa, ma al contempo molto ambigua e spaventosa. Così Cecilia e Gianmarco si sussurrarono qualcosa, ma nessuno dei due riuscì a capire cosa stesse dicendo l’altro, dato che in quel preciso momento Sara intervenne a gran voce. - Che vi state dicendo? Non avrete mica l’intenzione di scappare? I due ragazzi spaventati si affrettarono ognuno a dare una spiegazione e Cecilia disse: - Ci stavamo solo chiedendo il perché dell’inaspettata forma del cuscino. Mentre Gianmarco aggiunse: - Ci stavamo solo chiedendo dove fosse il bagno. E ancora Cecilia: - No, non il bagno, ma il bagno turco. Sara insospettita dalle assurdità dei due rimase in silenzio. Subito dopo furono accompagnati nella spaziosissima sala da pranzo le cui pareti bordeaux coi riflessi neri accecarono la 60
vista. Si presentò davanti ai loro occhi un’immensa tavolata composta da quattro posti laterali e due a capotavola in cui era già pronto un ricco pranzetto: code di tigri, pancia di gatti, sederi di scimmie, linguine agli escrementi di topo, zampe di coniglio aromatizzate alla carota, denti di squali farciti di sangue, per dessert un budino di viscere di cane ricoperto di una glassa alla bava di lumaca e per bevanda pipì di cammello e veleno di serpente. Cecilia per educazione assaggiò le zampe di coniglio aromatizzate alla carota, ma ne rimase talmente disgustata e inorridita, oltre al resto dei piatti presenti a tavola, che trovò una scusa per alzarsi. La ragazza, con atteggiamento da civettuola, disse: - Scusate, devo andare in bagno a incipriarmi il naso. Tutti rimasero sbalorditi, ma soprattutto il suo ragazzo che le disse: - Cecilia, che hai? Ma lei non rispose e si diresse verso il bagno a vomitare. Questo si presentava sporco, umido e nell’aria circolava essenza di sudore umano e quando la ragazza alzò la tavoletta del water per rigurgitare vi trovò dentro nasi di maiale che qualche altro invitato aveva rimesso precedentemente. Gianmarco invece rimase a trangugiare le abominevoli portate con aria particolarmente sopraffatta, ma dopo un paio di minuti decise di andare a vedere come stesse l’amata. Arrivato davanti la porta le disse: - Tutto ok, tesoro? Aspettò un po’ ma la ragazza non rispose. Lui, preoccupato attese qualche minuto prima che la donna uscisse dal bagno, ma una volta fuori notò che Cecilia sembrava cicciona, una donnina Michelin, emanando un fetore infernale, quasi un maiale umano, aveva delle gambe e delle braccia piccole con la pancia penzolante, ma allo stesso tempo presentava una faccia 61
sexy quasi da modella e da qui, Gianmarco si rese conto che il morbo di cui si parlava al telegiornale, non solo esisteva davvero ma aveva contagiato anche la povera Cecilia. A quel punto il ragazzo cominciò a piangere e a disperarsi impaurito poiché la ragazza che aveva davanti non era la sua amata Cecilia, ma un mostro enorme puzzolente. E proprio in quel momento anche la sua trasformazione cominciò. Pian piano diventavano dei ciccioni simili a maiali. Cecilia allora, volendo un po’ di conforto, chiese: -Sono brutta così, vero? - Sì abbastanza, ma tranquilla, rimedieremo. - rispose Gianmarco sorprendendo Cecilia che, al contrario, si aspettava almeno una menzogna compassionevole. Ancora in fase iniziale, però, la coppia non sapeva come reagire. - Che facciamo adesso?! - chiese la ragazza. - Non lo so! - rispose Gianmarco pensando ad un modo per uscire. Ma dopo un paio di minuti Cecilia, guardandosi intorno, notò una bomboletta con su scritto sopra “antidoto fetido”.In quel momento la ragazza realizzando a cosa servisse l’oggetto corse ad afferrarlo e lo spruzzò su entrambi, pensando che sarebbe stato il rimedio tanto atteso. E…cominciarono a puzzare orribilmente e a fare scoregge. Cecilia schifata disse: - Che orrore,sembra di stare in un porcile! I due un po’ impauriti se ne andarono cercando di non farsi notare, nonostante i loro rumoreggiamenti. Mentre loro si aggiravano guardinghi per l’enorme villa, Gianmarco disse a Cecilia: - Cecì, ma ti sei vista allo specchio? Mi sembri ancora più grassa. - e rise. 62
A questo punto, Cecilia un po’ sconcertata e stranita dall’affermazione del fidanzato rispose:- Gianmarco, stavo proprio per dirti la stessa cosa, ma tu stai assumendo le sembianze di un maiale. Allora, l’espressione dei ragazzi cambiò, il sorriso cominciò a trasformarsi in viso serio e preoccupato. I due trovarono uno specchio, si guardarono, e cominciarono ad urlare. - Cecilia, siamo diventati degli orrendi mostri. E Cecilia rispose: - È inspiegabile, alla fine abbiamo solo bevuto quei cocktail verdi e … Gianmarco ebbe un’illuminazione: - Ma certo! Ecco cosa ha causato la nostra trasformazione e quella di tutti gli altri ragazzi, sono stati quei cocktail verdi dal gusto pungente, io avevo già avvertito qualcosa bevendo, ma pensavo fosse il piccante della “menta” che c’era in quelle bevande! Cecilia, ci pensò su, e dopo confermò: - È vero, hai ragione Gianmarco, anch’io ho avvertito quella sottospecie di bruciore, ma non ho dato peso ne anch’io, è colpa di Sara! Io vado a parlarle. Gianmarco cercò di farla ragionare: - No, Cecilia, Sara sa che ci siamo trasformati in obesi o in maiali come tutti gli altri alla festa. Inoltre Sara crede che nessuno di noi riesca a parlare, credo che noi siamo gli unici a saperlo ancora fare, guarda tutti gli altri invitati, fanno solo grugniti e rutti, dobbiamo seguire la massa senza farci notare, credo che il suo intento fosse proprio quello di avvelenarci, per diventare mostri. Ma ecco che Sara li invitò tutti a trasferirsi in piscina. Era piena di fango. Ormai tutti puzzavano, scoreggiavano, grugnivano e potevano divertirsi a sguazzarvi dentro. La festa era cominciata! 63
Martina Calogero - Clelia Crisafulli - Andrea DavĂŹ Guglielmo Dell'Aria - Isabella Lombardo - Carmen Messina Maria Lidia Noto - Matilde Ortoleva - Costanza Rosso
Le tragicomiche avventure di Petro 64
Petro era un ragazzo buono, anzi buonissimo, ma con un’intelligenza non troppo sviluppata. Il suo umore cambiava in base al tempo e alle stagioni e anche in base alle festività. Petro indossava sempre dei jeans strappati, una maglietta a maniche corte, di colore grigio, e delle scarpe Nike. Quando si vestiva, doveva sempre controllare di aver messo i sandali dal lato giusto, perché scambiava sempre il destro col sinistro. Ogni mattina si recava a scuola, mentre il pomeriggio passeggiava per Patrasso, la città greca dove viveva, che era piena di villette, palazzi ed un ponte. Petro cercava di scoprire i segreti dei suoi concittadini, appostandosi dietro i pali della luce o dietro alberelli dal tronco esile, che non nasconderebbero nemmeno una mosca. Ovviamente, gli altri si accorgevano di lui e allora gli raccontavano falsi segreti, a cui lui credeva e che raccontava a tutti. Alcuni lo fermavano per scherzare con lui e farsi raccontare qualcuno dei suoi aneddoti. Un giorno raccontò ad un signore di quella volta in cui durante una lezione di scienze il professore, un uomo basso, robusto, dai capelli castani e gli occhi neri, dall'aspetto trasandato, spiegava i volatili: come vivono, di cosa si nutrono e la loro anatomia, infatti possono 65
volare grazie alla loro struttura corporea e per l'avere le ali piumate. Sbuffando e stantuffando il buon uomo aggiunse: - Tutti, persino uno come me, potrebbe volare con i dovuti accorgimenti… Petro ascoltando con attenzione non lo fece neppure finire che ebbe una delle sue brillanti idee; pensò che anche gli umani potevano volare, credeva che le braccia fossero uguali a quelle degli uccelli e se si sbattevano con forza e velocità avrebbe spiccato il volo. Così salito sul davanzale, aperta la finestra, si gettò giù, cadendo come un Giufà. Per fortuna la sua classe era situata al pianterreno e sentendo il botto tutta la scuola si affacciò, vedendolo steso al suolo dolorante, si misero tutti a ridere. L'insegnante preoccupato e sbalordito della situazione lo aiutò ad alzarsi e recandosi in infermeria gli trovò un grosso bernoccolo sulla testa. - Petro Petro, ma che mi combini, benedetto figliolo?! - Professore, lei ha detto che persino lei poteva volare, allora io ho pensato: "Il professore è un po' grosso" con permesso parlando "se può farlo lui, io che sono magro andrò in alto in alto…" Scoppiarono tutti a ridere, l'insegnante, l'infermiere e infine anche Petro, a cui tutti volevano bene. Un giorno d'estate, mentre il padre caricava sulla sua station-wagon i numerosi bagagli, il ragazzo pensava al meraviglioso viaggio in Italia che stava per intraprendere: non vedeva l’ora di visitare Matera, Napoli, Pompei, Bari, Alberobello, tutti posti che aveva visto solo nei libri. Il padre un po’ preoccupato per il lungo tragitto in auto che li avrebbe condotti fino in Sicilia, ricordò a Petro di portare la piantina che si trovava in cucina sul davanzale. Petro rimase un 66
po’ perplesso da quella richiesta. Rientrò in casa e trovò sul davanzale un vaso di salvia. Restò a pensare a cosa suo padre potesse farsene di una pianta. - Ecco! Vorrà sicuramente cucinarmi i famosi gnocchi burro e salvia. - pensò. Convinto del suo ragionamento prese la pianta e la sistemò nel portabagagli dell’auto insieme alle valigie. Appena arrivarono a Bari, scesi dal traghetto, il padre un po’ confuso sulla strada da percorrere tra le numerose indicazioni in uscita dal porto, chiese al figlio di prendere la piantina. Questi scese dall’auto, aprì il bagagliaio, prese il vaso di salvia e lo diede al padre dicendogli che però non gli sembrava ancora il momento di cucinare. Il papà scosse la testa perplesso: - Petro, perché ti sei portato dappresso questo vaso? - Ma papà, se non lo sai tu che me l'hai chiesto? Mi hai detto di prendere la piantina, ricordi? - Petro Petro, sei il solito pasticcione! Intendevo una piantina stradale… Petro si illuminò in volto: - Potevi dirlo subito. - e corse a strappare un'erbetta dal ciglio della strada - Ecco una piantina stradale. Il padre non si trattenne e scoppiò a ridere, accarezzandogli la testa teneramente. Una mattina, come tante altre, Petro era in classe seduto a chiacchierare con i suoi amici, quando in aula arrivò la professoressa di matematica, e come al suo solito era giunta con un elegante tailleur grigio. L’insegnante di Petro, era alta e magra, dai capelli ricci e bianchi ed era di mezza età, e quel giorno era molto nervosa, forse perché qualcuno, quella 67
mattina, le aveva fatto notare che non era poi così giovane come credeva di essere. Durante la sua ora, al seguito di una spiegazione, assegnò alla classe degli esercizi da svolgere riguardanti la lezione del giorno, ovvero le operazioni in colonna. La professoressa disse: - Ragazzi, eseguite queste operazioni in colonna. Petro, che come sempre capì fischi per fiaschi, si mise in piedi, andò sotto una colonna portante dell’aula e iniziò a scrivere su di essa. Tutti i compagni lo guardarono sbalorditi, ma non troppo, poiché da lui si aspettavano sempre una trovata delle sue. La professoressa non si accorse di niente, finché Petro aprì la porta che dava sul cortile, si mise a correre in modo impacciato e andò sotto un pilastro del loggiato scrivendoci sopra. A quel punto l'insegnante lo vide e si mise le mani tra i capelli, ma non poteva abbandonare il resto della classe così lasciò Petro nel giardino chiamando il bidello. Dopo un paio di minuti arrivò il bidello della scuola e non capì cosa ci facesse uno studente in cortile da solo, allora decise di portarlo in classe ma Petro all'inizio non volle seguirlo perché prima doveva finire le operazioni. Dopo un po' di tempo il bidello lo trascinò in classe e quando arrivò, la professoressa pretese delle spiegazioni urlando: - Petro che stavi facendo lì?! A quel punto, il ragazzo rispose: - Professoressa, ha detto lei di eseguire le operazioni in colonna, così sono andato a farle sotto tutte le colonne che sono riuscito a trovare. L’insegnante, davanti a questa risposta, alzò gli occhi al cielo e non seppe cosa dire. Ma poi si unì fragorosamente al resto della classe che rideva. Sapeva che Petro era solo Petro! 68
In un'altra occasione a scuola durante l’ora di scienze l’insegnante spiegò la cellula e per accattivarsi l’attenzione della classe, portò l’esempio di un uovo. Aveva assegnato per l’indomani una ricerca proprio su questo argomento. Era l’ultima ora di scuola e Petro si era proprio stancato. Cercava di stare attento ma ogni tanto gli si chiudevano gli occhi, tanto che non aveva segnato sul diario la consegna per casa. Aveva scritto in fronte “a me non me ne importa nulla”. L’indomani l’insegnante di scienze appena arrivò in classe, prima ancora di spiegare la nuova lezione, disse: Interroghiamo. Poi dopo un minuto interminabile di silenzio si sentì nell’aula la sua voce che diceva: Innanzitutto vorrei interrogare Petro. I compagni di classe si voltarono tutti verso di lui. Il ragazzino era raggiante: aveva tutto pronto, ne era certo. L’insegnante gli disse espressamente: - Vieni con la ricerca e disegnami una cellula alla lavagna. Tutti alzarono la mano perché l’argomento era stato spiegato molto chiaramente ed avevano realizzato delle bellissime ricerche. Ma anche Petro, fierò di sé, tirò fuori dalla tasca un uovo di gallina fresco di giornata. - Per fortuna che non si è rotta la tua "cellula", così potrai fartici una frittata! - commentò la professoressa abbracciandolo e sorridendo. Il giorno seguente, mentre Petro andava in giro per il villaggio in sandali e calze, si accorse di averle un po' consumate, ma continuò a camminarci per tutta la giornata, fino a quando la punta del piede non gli uscì fuori. Petro si sedette e cominciò a parlare con il suo alluce: Che fai? Perché sei uscito fuori dalla calza? - ma all'assenza di 69
risposta da parte del dito - Perché non rispondi? - gli urlò - Sei stupido? Dalla porta del negozio, dove si era seduto, uscì il signor Sebastianos, il proprietario del negozio di calze, un signore grassoccio con il naso enorme che sembrava quello di un elefante, vestito in modo ridicolo con pantaloncini e sandali con le calze. - Che fai? - disse a Petro. Il ragazzo rispose indicando il piede: - Parlo con lui ma non mi risponde mai, uffa! Il signor Sebastianos ribattè: - Non può rispondere, è un dito del piede. E Petro allora: - Ah, giusto, proverò solo con quelle della mano. Il signor Sebastianos, sorrise, scosse la testa e lo invitò a passare al negozio per comprare un paio di calze nuove. Petro si convinse ed entrò. Subito chiese alla commessa un paio di calze nuove. La signorina premurosa allora si mise a sua disposizione: - Di che colore le vuoi? Petro rispose: - Possibilmente dello stesso colore. Come sempre li aveva messi di buon umore. Petro era sempre stato attirato dal carisma e dalla cultura del signor medico. Lo avrebbe seguito ovunque per imparare tutti quei "trucchi" che conosceva e che gli consentivano di guarire la gente ed indovinare tutto, anche quando sarebbero nati i bambini. Un giorno andò a trovare un amico che stava molto male. Preoccupato dalla cattiva salute dell’amico, decise di chiamare il medico, l’unico che avrebbe potuto risolvere quell’animoso problema. Andava dal letto alla finestra, dalla finestra al letto, in attesa che il signor medico arrivasse. Il signor medico, giunto nella casa, si levò il cappotto, aprì la sua borsa e cominciò a riempire di domande il povero 70
malato. Dopo averlo visitato da cima a fondo, chiese al malato di tirare fuori la lingua e disse: - Hai mangiato troppi cannoli alla ricotta, e questo ti ha infiammato l'intestino. Non devi farlo più. ̏ Petro rimase stupito dalla diagnosi e con gli occhi pieni di meraviglia e di curiosità, guardando il medico gli chiese: Come ha fatto a capire tutto in breve tempo? ̏ Il medico rispose: - La medicina è una scienza esatta. Se sai che gli faceva male la pancia e vedi briciole di cannolo ovunque, uno più uno fa due. Tornando a casa Petro ebbe modo di riflettere sulla bravura e sulla semplicità con cui il medico era arrivato alla diagnosi e, alla fine si convinse che fare il medico alla fine non era così difficile. Così un giorno andò a trovare un altro amico: era triste perché suo padre era malato. Vedendolo stare sempre peggio, voleva andare a chiamare il medico. A quel punto l’orgoglio di Petro gli fece pronunciare la fatidica frase: - Non c'è bisogno del medico, ci penso io! Dopo parecchio tempo riuscì a convincere l'amico delle sue capacità curative e dopo aver indossato un lenzuolo bianco a mo' di camice, entrò nella stanza del padre dell'amico e si mise a visitare il malato. Dopo decine di domande del tutto sconclusionate e con nessuna attinenza medica, incominciò a girare per la casa e poi per la stanza. Ai piedi del letto, vide un paio di scarpe. Aveva trovato la soluzione a tutto. Si mise in piedi davanti all'ammalato e con fare autoritario disse al povero sventurato: - Non si preoccupi, lei guarirà in pochi giorni, ma deve smettere di mangiare scarpe. Un giorno il papà di Petro, in seguito ad un incidente verificatosi durante una battuta di pesca, chiese al figlio di andargli a prendere una boa nuova. Il ragazzo passò tutto il 71
giorno a cercarla. Verso sera finalmente tornò a casa: i suoi genitori erano molto preoccupati per la sua prolungata assenza. Petro subito disse: - Papà, ho trovato ciò che cercavi… una boa. Ma ora mi spieghi cosa devi farci con un serpente femmina? Il padre gli disse che per fortuna aveva preso una biscia e Petro non capendo rispose: - Va be', è sempre un serpente femmina. E il padre rispose incredulo: - Ma io volevo solo una boa nuova per la mia barca. Domani avevo in programma di uscire e prendere alici. Petro così, stanco e deluso liberò il serpente in giardino e andò a dormire. La mattina dopo sua mamma uscendo di casa la ritrovò fuori dalla porta e dallo spavento urlò e svenne. Poco dopo si riprese e con un filo di voce chiamò in soccorso i familiari. Subito Petro si difese: -Tutta colpa di papà che non è mai contento. Per prendere delle alici ha bisogno di una boa… poteva tenersi la mia biscia! Il marito replicò: - Io volevo solo un galleggiante, non un serpente! La moglie a questo punto comprese il malinteso avvenuto e guardandosi negli occhi scoppiarono a ridere. Petro continuò così imperterrito con le sue numerose avventure e i suoi fraintendimenti, facendo sempre ridere tutto il villaggio e per tutti rimaneva sempre lo stesso Petro confusionario e divertente.
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Una storia speciale
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Marco Marotta
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Ringraziamenti Ringrazio tutti gli autori, anche giovanissimi, che, persino in questa difficile situazione, hanno creduto in loro stessi e nella forza e piacere della scrittura. Come novelli fanciulli e fanciulle del Decameron, isolati e protetti nelle proprie case, sono riusciti ad incontrarsi virtualmente mettendo insieme delle storie e personaggi coinvolgenti e divertenti. Proprio quando l’oscurità rischia di attanagliarci, la letteratura è ancora e sempre una risposta per eternare la nostra umanità, perché è bello doppo il morire vivere anchora!
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Postfazione
Parodiando il nostro Venditti, covid o non covid noi arriveremo alla pubblicazione… anzi ci siamo già arrivati! Ed è un traguardo d’inizio per i più piccini e di arrivo per la terza, segnale imperituro di cosa possa realizzare l’ottimismo della volontà. Come ogni anno ho scelto la scrittura collettiva per far cimentare i miei ragazzi con la creatività letteraria, naturalmente perché è più facile raggiungere l’obiettivo del racconto lungo, ma anche perché uniti si impara lo spirito di squadra, la capacità di collaborare “cedendo” le proprie idee per un fine superiore ed accettando quelle altrui. Inoltre, un ulteriore scoglio ha rappresentato il fil rouge del comico, scelto per quest'anno. È più facile, infatti, toccare le corde del tragico che comprendere e riprodurre le tecniche che muovono al riso. Eppure con qualche astuzia di buon artigianato ci siamo riusciti. In particolare, la classe prima, che padroneggiava il genere della fiaba, è stata guidata al suo capovolgimento parodico. Suddivisa in gruppi, ognuno di questi ha scelto una delle celeberrime storie dei Grimm, Andersen o Perrault rendendola niente affatto edificante e tutta da ridere, che ha dato origine alla prima parte di questa antologia. La seconda parte è, invece, dedicata alla terza, a cui ho reso il percorso un po' più complesso. Si tratta per l'appunto di alunni che da un lato scrivono insieme a me da più di due anni e che, inoltre, quest'anno hanno affrontato proprio il genere comico leggendo e analizzando Baol di Stefano Benni. Proprio a tre di loro ho chiesto un racconto alla Benni (diventato Chicchirichì bau boom!), usando la tecnica dei neologismi e della paronomasia. Ho tratto spunto dal personaggio Gurdulù, del Cavaliere inesistente di Calvino, nel lanciare il soggetto dello "stupido del villaggio" (Le tragicomiche 79
avventure di Petro). L'ampollosità di Rabelais è presente in Willy Sottuttoio, in cui quattro alunni hanno lavorato sulle figure retoriche dell'iperbole e dell'accumulazione. Infine, sono tornata un po' all'inizio del progetto con la parodia horror di Ciccioni alla riscossa, già fatta comporre da Jane Austen a Elizabeth Bennet nel suo Orgoglio e pregiudizio. Detto ciò, le fasi di elaborazione sono state quelle di ogni edizione. Ovvero, per prima cosa ho lanciato un concorso di idee, sui temi e le tecniche stabilite. A seguire i partecipanti hanno elaborato una sceneggiatura dettagliata, suddivisa in tanti episodi quanti erano gli scrittori. Successivamente i ragazzi hanno lavorato insieme per le descrizioni delle ambientazioni e dei personaggi comuni. Questa fase è stata relativamente semplice e consolidata nella prima parte dell’anno con i ragazzini in ingresso, quando ancora nelle classi potevamo avvicinare un gruppo di banchi e stare vicini per accapigliarci su occhi azzurri, nasi adunchi, esseri metà pesci metà polpi… Dalla quarantena in poi, invece, i ragazzi di tredici anni hanno lavorato proprio come in un team di adulti, con un moderatore, che mi avrebbe relazionato sulla loro riunione e altri due referenti che avrebbero verbalizzato il frutto del loro brainstorming. E sono stati davvero brillanti, trovando anche un’occasione ludica di incontro, sebbene in video conferenza, e spunti migliorativi (come l’antefatto sulla cornice di Boccaccio di Willy Sottuttoio). Quindi, ho assegnato a ciascuno un episodio da redigere per una lunghezza media di una facciata A4 in times new roman 12, con scelta narratologica della terza persona onnisciente al passato remoto (in Willy Sottuttoio fa capolino anche un io narrante). I ragazzi sono stati guidati nell'autocorrezione formale o di incoerenze contenutistiche. Non ultima hanno affrontato anche l'ardua prova della ricerca di un titolo: evocativo, ma non rivelatore. Infine, i loro lavori limati sono stati corredati anche di copertine, da loro stessi progettate e realizzate. Un discorso a parte merita la terza parte contenente un fumetto di un ragazzo speciale che, attraverso un strumento differente è riuscito ugualmente a narrare la sua divertente versione dei Tre porcellini. L’insegnante di sostegno, prof.ssa Donatella Bruno e la mamma dell’alunno hanno scelto immagini di Walt Disney mescolate con naturalezza a collage e disegno. Marco è riuscito così a trovare 80
un modo semplice per raccontare, comprendendo le sequenze di una fiaba. Sono davvero immensamente orgogliosa di tutti loro. Li avrei sicuramente stretti a me ad uno ad uno consegnando loro le copie cartacee che abitualmente stampavamo con l’ausilio della scuola, ma quest’anno il destino ha deciso diversamente rubandoci un po’ di calore umano. Lo conservo tutto in me e non appena sarà tornata la normalità avranno un forte abbraccio dalla loro prof. :)
Cinzia Di Mauro
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INDICE
COMICA-MENTE Antologia della risata Fiabe tutte da ridere Pollicino piccolino I non innamorati nel bosco La torta guastafeste Hansel e Gretel ovvero le case della strega Sirebrutta
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Rido alla Rabelais, Benni, Calvino e‌ Elisabeth Bennet ChicchirichÏ bau boom! Willy Sottuttoio Ciccioni alla riscossa Le tragicomiche avventure di Petro Una storia speciale Balla sul lupo Ringraziamenti Postfazione INDICE
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Provate a mettervi a testa in giù e a guardare il mondo che si muove a rovescio: divertente, vero? Ma sempre meno del Pollicino gigante, della Sirenetta brutta come uno scorfano, della strega di Hansel e Gretel soffocata dai debiti, per non parlare di un gallo che si crede un cane, di un Petro redivivo Giufà, di un Sottuttoio che non riesce a morire… protagonisti di questi racconti. Ebbene sì, la risata è il gesto più naturale per l’uomo, eppure le tecniche che la scatenano non sono affatto semplici da comprendere né tantomeno da padroneggiare. Tuttavia, dei ragazzi dai dieci ai tredici anni ci sono riusciti, attraverso il capovolgimento di fiabe e storie horror, l’uso sapiente di neologismi, paronomasie, accumulazioni, di ingenuità fino al no sense. L’ironia e il riso sono armi imbattibili contro le difficoltà e mai come in questo momento ne abbiamo bisogno. Come? Che dici? Hai già cominciato a leggere? L’hai sentita quella delle operazioni in colonna? E Genoveffa è proprio una macchietta! Sì, ah, ah, ah, oh, oh, oh… aspetta aspetta… ah, ah, ah, oh, oh, oh!