FANTA-storie

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II A e III A della scuola secondaria - I.C. Cavour Catania

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Antologia di racconti di fantascienza e fantasy 2021/2022

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Fantastorie Antologia di racconti fantasy e fantascientifici

A.S. 2021-2022 I.C. “Cavour”, Catania Coordinatrice di progetto: Prof.ssa Cinzia Di Mauro. Autori: tutti gli alunni della II A e della III A.


Fantasy


Federica Barbirotto - Diksha Munohur - Safoan Hossain detto Ivan - Valerio Vizzinisi

I cinque laghi incantati


Un tempo viveva un elfo mago con incredibili poteri magici. Questo si chiamava Gwindan ed aveva le orecchie a punta, come altri elfi d’altronde, occhi abbastanza grandi di color grigio scuro, una carnagione rara tra tutti gli altri elfi, cioè il color porpora, ed infine aveva una statura bassa. Egli pur facendo parte di una delle più alte cariche degli elfi, sentiva che nella sua vita gli mancasse qualcosa che gli completasse la ragione della sua esistenza. Così si recò fino al Lago dei Sogni, di cui si narrava che, facendo un patto con la Fata Dei Sogni, si potesse ottenere qualsiasi cosa le si chiedeva. La Fata Dei Sogni era una Fata di statura bassa, piuttosto magra, con i capelli lisci setosi e di uno splendido color oro, aveva molte lentiggini diffuse su tutto il suo viso e indossava un vestito luccicante di colore celeste. La sua personalità era dolce, gentile e molto generosa con un sorriso sempre aperto sul volto. Ritornando all’elfo, egli quando arrivò vicino al Lago dei Sogni, vide la rinomata Fata del Lago. Dunque la raggiunse e le chiese: - Fata Dei Sogni, potrei sapere cosa mi manca per completare la ragione della mia esistenza? Però lei gli rispose con: - Oh caro elfo, certo che te lo posso rivelare, ma prima mi dovrai portare i quattro anelli dei Laghi sparsi per il mondo, ovvero nel Lago del Coraggio, della Pazienza, della Giustizia

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e delle Emozioni. Egli portò con sé una polverina magica che brillava, e attirò a sé le splendide fate. Andò per primo nel lago della Giustizia, dominata da coralli viola e vide che svolazzava la fata della Giustizia, così le si avvicinò e le chiese: - Posso avere un corallo viola, mia cara fatina? Lei rispose: - A cosa ti serve? Gwindan replicò: - Devo fare un ciondolo per una collana. Allora la fata rispose: - Prenderò il corallo più bello. Così nel frattempo che lei si chinò, il ragazzo le buttò la polvere magica addosso. Essa cadde in un lungo sonno e Gwindan prese il primo anello. Proseguì verso il lago della Pazienza per sottrarre l’altro anello alla fata della Pazienza. Per un attimo rimase incantato dal colore rosso del lago e dal magnifico canto degli uccelli. Poi vide da lontano l’altissima fata dai capelli verdi. La salutò e le disse: - Ti piacerebbe cambiare il colore dei tuoi capelli? La fata rispose: - Sì, con piacere, questo verde iniziava a stancarmi. Il ragazzo versò la polvere sui capelli e anch’essa si addormentò. Anche il secondo anello era nelle sue mani. Rapidamente si avviò verso il lago del Coraggio, ma era un posto macabro così lui procedette lentamente. Ad un tratto sentì una forza dietro sé che lo sollevò da terra, ed ecco la fata del Coraggio. Respirò un attimo e poi chiese: - Potrei avere il pesce migliore del tuo lago, così lo mangerò per cena? La fata rispose: - Non ti darò mai un pesce! Gwindan continuò: - Perché mai? Allora la fata s’intenerì, immerse la mano, e in quel preciso momento il ragazzo buttò la polvere nei suoi occhi e la fata precipitò nel lago. Lui s’impadronì del terzo anello e andò alla ricerca dell’ultimo.

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Arrivò nel lago delle Emozioni e fu inebriato dal profumo intenso dei fiori e dai vivaci colori. Qui vide la fata delle Emozioni, intenta a pettinarsi i suoi lunghi capelli rossi. Le si avvicinò e le chiese: - Posso raccogliere qualche fiore? La fata molto gentile rispose: - Certamente mio caro! Così Gwindan si fece aiutare, perché non voleva rovinare il suo prato. Mentre essa si chinò il ragazzo le versò la polvere sulle mani e così la fata cadde sui fiori. L’elfo prese l’ultimo anello e si precipitò dalla fata dei Sogni. La trovò in riva al lago dalle acque celesti, dove lei stava lavando i suoi capelli color oro. Appena lo vide disse: - Hai portato ciò che mi serve? Egli rispose: - Sì, ho qui i quattro anelli. Li porse alla fata ed essa li afferrò rapida e disse: - Sei uno sciocco, sei caduto nella mia trappola, adesso ucciderò le fate e dominerò il mondo! In quel momento la vera personalità della Fata dei Sogni si rivelò: una fata malvagia, manipolatrice, che non si faceva scrupoli ad ingannare chiunque pur di raggiungere il proprio scopo, L’intero pianeta era ora in pericolo. Sembrava tutto perduto e per Gwindan la fine, fin quando le quattro Fate lo raggiunsero per aiutarlo a vincere questa ultima battaglia: - Sapevamo che sarebbe accaduto, quindi siamo venute ad aiutarti ad uccidere una volta per tutte la Fata dei Sogni. Le ringraziò con tutto il cuore e così lui e le quattro Fate si prepararono ad un’ultima battaglia. - Credete davvero di potermi battere? Allora vediamo per quanto rimarrete in piedi! - disse la Fata dei Sogni. La Fata malvagia cominciò ad attaccare la Fata della Giustizia ma questa riuscì a schivare il colpo e volando con le sue ali la distrasse e nel mentre la Fata del Coraggio piombò sulla Fata malvagia e grazie alla sua potenza sovrumana le inflisse molto danno. Ma lei non cedette: usò un incantesimo contro la Fata del Coraggio e la immobilizzò

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per poi scagliare una magia micidiale contro la Fata della Giustizia che, ancora in volo, la scagliò verso un albero vicino e la scaraventò al terreno. La Fata della Pazienza e delle Emozioni partirono anche loro all’attacco. La prima grazie alla sua bacchetta creò un tifone che sradicò ogni albero nelle vicinanze di esso e insieme a un incantesimo usato dalla Fata delle Emozioni li incendiò per poi scagliarli contro la Fata malvagia, seriamente ferita dopo questo potente attacco. A quel punto Gwindan decise di utilizzare un incantesimo per darle il colpo di grazia: usando questa magia, avrebbe creato un gigantesco tuono che avrebbe sicuramente ucciso la Fata, ma in una manciata di secondi lei si rialzò e con un semplice gesto delle sue mani scaraventò Gwindan verso un tronco d’albero a una velocità così alta che lo fece quasi svenire dal dolore. Però Gwindan si rialzò dal colpo appena ricevuto e questa volta riuscì a usare l’incantesimo Divinum Tonitruum! Appena ebbe pronunciato quelle parole di colpo i cieli si fecero bui, come una notte senza luna, e dal nulla apparve un gigantesco tuono che si scagliò contro la Fata dei Sogni e che la uccise in meno di un secondo. Al momento della morte della Fata, l’incantesimo utilizzato contro la Fata del Coraggio si sciolse e la Fata della Pazienza curò la Fata della Giustizia e Gwindan stesso, tramite un incantesimo curativo. Quindi tutti erano vivi, la Fata dei Sogni fu uccisa e il pianeta venne salvo…Tuttavia un dubbio ancora non era risolto: Gwindan si chiedeva ancora cosa mancasse nella sua vita. Quindi, disse alle quattro Fate: - Mi sono fatto ingannare dalla Fata dei Sogni, vi ho provocato un problema gigantesco e tutto questo per sapere cosa manca nella mia vita, ma non lo so ancora: vi imploro, farò qualsiasi cosa, ma ditemelo! Vedendo la sua frustrazione, le Fate decisero di rivelargli cosa mancava: - Nella tua vita manca amore. Ti sei sempre concentrato fin troppo sullo studio della magia, ma non hai mai pensato a voler dare un po’ di amore, ma stai tranquillo, siamo sicure che se comincerai a dare amore a chi ti sta attorno, riuscirai a poter definire la tua vita

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finalmente completa! Con questa tanto meritata rivelazione, Gwindan finalmente sentì che la sua vita era completa e ciò a cui aveva aspirato tanto era finalmente avverato.

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Cristiano Colomba - Matteo Coppola - Caterina Magno - Aurelia Politi

Misteri

dell’oscurità


È scoppiata una grande esplosione nel cielo, lampi di luce arancioni e viola brillano nel cielo, ormai questa catastrofe continua da ore! I nani delle montagne di Geon, gli elfi della fantastica e magica foresta di Argaluv Settentrionale e gli gnomi del grande tronco sono venuti ad aggirarsi nel nostro villaggio nel grande crepaccio del mare di Eden. Ormai penso che non ci siano più speranze di salvarsi. Forse quando leggerete il mio diario io sarò già morto, ma vi rivelerò un segreto per porre fine a questa apocalisse. Io sono troppo anziano ma tu che stai leggendo, sarai puro di cuore e un abile avventuriero, Ebbene, è arrivato il momento di svelarti il mio segreto, è... Qui si interruppe il diario che Aden aveva trovato semi sepolto nella sabbia. Lui aveva i capelli blu come i lapislazzuli e gli occhi di un verde smeraldo, e portava pure gli occhiali, lui era un ragazzo molto curioso e voleva sapere sempre di più sui fatti della magia, per fare sì che diventi un grande stregone. Tornando al diario, lui era molto incuriosito ma dallo stesso tempo molto spaventato da colui al quale potesse appartenere. Inoltre era molto dubbioso e non aveva idea di quale segreto celasse l’autore di quel testo. Decise quindi di tornare di corsa a casa per analizzarlo in maniera più accurata. Una volta arrivato prese subito il suo grosso libro magico


e scagliò una potente magia “Ryvelum” per scoprire di più su questo diario. Si aprì all’improvviso e vorticosamente una scritta parlante enunciò ad alta voce la frase: “Se il segreto vuoi scoprire di un’altra mano avrai bisogno.” Per questo motivo Alden decise allora di rivolgersi alla sua amica maga Florem. Ella indossava come lui una veste, ma la sua era corta e di un bel colore rosa chiaro con delle lune stampate, un cappello e degli stivali neri. Portava con sé una vecchia scopa magica e, a farle compagnia, c’era il suo animaletto domestico: una fenice di fuoco. Coetanea di Alden, insieme riuscirono finalmente a decifrare la scritta. Era una strana frase in runico antico che diceva di recarsi alla montagna dei nani e da lassù li avrebbe guidati il destino. Quando arrivarono alle Alte Montagne dei nani incontrarono Gerald, il nano minatore che viveva in una caverna buia e fredda, decorata con vari arazzi e quadri che si muovevano, insieme ai suoi amici. Gerald si presentò e poi iniziò a raccontare una strana vicenda: Dopo la gigantesca esplosione i demoni che erano gli scagnozzi della Creatura Oscura, con occhi rossi assediarono le montagne, che tuttora sono sotto assedio, ma una spaventosa forza oscura controlla i demoni malvagi. Ma nessuno sa di che cosa si possa trattare. In quel momento una voce tonante risuonò nella testa di Alden e disse: - Alden, se vuoi salvare il mondo dovrai sconfiggere la forza oscura. E a quel punto capì qual era la loro missione, in seguito disse ai suoi amici: - Ragazzi… Una voce mi ha parlato, dicendomi che per salvare il mondo dobbiamo uccidere la forza oscura. Gerald iniziò ad andare nel panico dicendo: - E se falliamo, e se la creatura è troppo potente, e se non riuscissimo a tornare più a casa…? Florem ebbe più o meno la stessa reazione. A quel punto Alden disse: - Bisogna tentare, altrimenti il mondo potrebbe essere dominato dai demoni o peggio non potrebbero più esistere tutte le altre creature magiche del nostro pianeta!

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Con queste parole riuscì finalmente a convincere i suoi amici e si incamminarono verso l’interminabile viaggio forse senza ritorno. Viaggiarono per otto giorni e otto notti; a volte durante il viaggio facevano delle pause in molti villaggi per passare la notte. Si fermarono nel Villaggio Elfico di Estal, situato negli alberi della Contea della terra di frontiera dove vivevano negli alberi di legno di faggio pietroso molto resistenti e gli elfi erano soprattutto noti per la fabbricazione di armi e archi di legno, alcune tra le più potenti e pregiate. Nelle isole volanti dei Giganti dei Sogni videro isole che volavano grazie ai sogni di tutte le creature del mondo e i giganti portavano i sogni attraverso grandi sacche di vetro senza fondo per poi metterli in barattoli che in seguito prendevano per metterli in grossi corni d’oro per diffonderli. Nel Grande Tronco degli Gnomi delle Montagne Sotterranee loro vivevano in grandissimi tronchi al cui interno erano incastonate pietre e metalli preziosi, infatti loro raccoglievano dall’Albero Arcano le foglie arcane le più resistenti in assoluto con cui fabbricavano diversi arnesi. Nelle Caverne Sottomarine incontrarono dei grandi Draghi Marini che, anche se potevano sembrare aggressivi, in realtà erano molto generosi ed ospitali. Loro vivevano in caverne marine con depositi di scaglie per fabbricare le loro ambite armature. Essi essendo molto gentili regalarono ai tre amici molti oggetti e armature che sarebbero stati loro utili durante la battaglia, come le potenti armature di scaglie di Drago Marino, le leggendarie scure dei Giganti, i precisissimi archi in legno di quercia di metallo degli Elfi e i robusti scudi in foglie dell’Albero Arcano degli Gnomi. Alla fine proprio quando stavano per esaurire le loro forze Gerald gridò: -Eccola! - e dopo un breve consulto al suo libro sulle caverne magiche continuò - Secondo il mio libro dovremmo essere arrivati. E infatti non si sbagliava. Di fronte a loro vi era un’enorme caverna dall’aspetto buio, cupo e minaccioso. All’entrata scorsero in lontananza una creatura molto strana e quando si avvicinarono poterono notare che essa era un gufo, ma non un gufo qualsiasi solitamente con

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quattro ali e con piumaggio colorato, ma un gufo con uno scintillante becco di diamante, delle enormi e splendenti ali d’oro; ai lati del becco vi erano incastonati degli splendi e pregiatissimi rubini e nel becco reggeva la potentissima spada leggendaria della creatura madre che aveva donato la vita. Essa era forgiata nelle grandissime forge interstellari, in seguito bagnata nell’oro nanico e intarsiata con le stelle di polvere dell’albero divino. Un po’ timoroso Alden si avvicinò al gufo ed esso gli consegnò la spada come per indicare che lui e i suoi amici erano i prescelti della creatura madre: in quel momento il cuore si riempì di coraggio. Quando entrarono nella grotta essa era buia e fredda, decorata con arazzi con motivi malvagi, quadri che si muovevano. Erano tutti molto spaventati ma si fecero coraggio per proseguire, vi erano anche pipistrelli giganti che mangiavano tutto ciò che era vivo. Fu quando entrarono in una sala dai soffitti altissimi quasi di mille metri che la videro. Era lei, la Creatura Oscura, un serpente a cento teste ricoperto dalle fiamme e dalla lava degli Inferi, essa con il suo fiato ardente dava vita ai suoi demoni scagnozzi ed era intoccabile, poiché tutto ciò che la toccava moriva. La creatura malvagia sedeva su un immenso trono fatto d’oro nero circondato pipistrelli assassini. Era la prima volta che vedevano una creatura del genere, era mostruosa. Nonostante la paura provarono in ogni modo a sconfiggere la forza oscura. Cercarono di trovare un suo punto debole o un qualcosa capace di sconfiggerla. Continuarono ad affrontarla, ma senza risultato. Ormai stanchi e rassegnati si stavano per arrendere quando ad un tratto la spada si illuminò e apparve una scritta che diceva: “Un sacrificio sarà ben ripagato.” A quel punto Alven capì di dover compiere un sacrificio per il mondo e per i suoi amici. Con fermezza e convinzione si voltò verso di loro e insieme annuirono. Commossi gridarono insieme: - Gli amici rimangono per sempre!

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Alven salutando velocemente ma a malincuore i suoi amici venne improvvisamente assalito in modo brusco dalla creatura, ma con l’aiuto del drago che abbagliò la vista del nemico con un colore fluorescente, dopo aver lottato per un bel po’ di tempo, riuscì, impugnando rapidamente la spada, a sconfiggere l’oscurità. Alven dopo aver compiuto l’impossibile missione capì che il significato che l’autore del diario voleva dare era quello dell’amicizia, un legame capace di suscitare in ognuno di noi una tale forza da farci sembrare imbattibili. In seguito a questa riflessione si sentirono delle voci che si congratulavano con il protagonista… erano i suoi amici che lo aspettavano con una festa nel villaggio. Alven entusiasta corse verso di loro e li abbracciò. Ancora una volta l’amicizia era stata più forte della forza oscura!

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Sophia Giammona - Qifeng Liu - Marta Marino Bianca Scammacca

La scienza di Adèle


Alla periferia della città di Parigi, vi era una particolarissima casa antica. Era una villetta di campagna, sviluppata su due piani con una soffitta. All’ingresso c’era un portico con graziose colonne bianche che si affacciava su un grande giardino. Un imponente albero di mele le faceva ombra sul lato sinistro, mentre sulla destra c’era un chiostro. La circondava una staccionata di legno. Qui viveva Adèle Fontaine, una ragazza dai capelli rossi; lei aveva gli occhi verdi, il naso all’in su e leggermente a punta, e il suo viso era caratterizzato da lineamenti delicati e dalle sottili lentiggini sparse sulle sue guance. Viveva con sua nonna Rose, una donna ormai anziana, ma i cui occhi brillavano dello stesso colore della nipote. Lei aveva i capelli grigi, ma quando era giovane, era una bellissima donna, e il colore spento della sua attuale capigliatura era un castano rossiccio. Entrambe erano gentili e disponibili, ma soprattutto coraggiose e non temevano di essere giudicate dalle persone. Ma ciò che caratterizzava di più le due era una cosa fuori dal comune e quasi impossibile. Tutto iniziò centoventiquattro anni prima, quando il bisnonno di Adèle comprò la casa nella quale la famiglia Fontaine ha sempre risieduto. Lui si chiamava Jacques ed era una persona alta e magra, aveva capelli neri e occhi verdi, un uomo severo ma a volte dolce. Quando lui fece il suo acquisto, era giovane, infatti aveva all’incirca venticinque anni, e non si era reso subito conto del fatto che lui aveva


comprato la chiave per un mondo magico. Infatti, quando si trasferì, scoprì un portale che conduceva ad un altro universo. In quel momento, come ha sempre raccontato ai suoi figli e nipoti, non esitò di attraversarlo, e, appena lo fece, sentì una sensazione mai provata finora. In un primo momento girovagava in una sorta di spazio senza pareti, porte o gravità e si sentì più al sicuro e al caldo che mai. Poi però credette di essersi smaterializzato, e che il suo corpo non esistesse più, dunque, nella sua testa riecheggiava un’unica frase “sono stato un vero sciocco”. Poi questo pensiero svanì, e nell’arco di pochi secondi la gravità tornò e si trovò in una strana località. La prima cosa che fece fu chiedere al primo passante che vide, un’elegante signora: - Perdonatemi, sapreste dirmi dove mi trovo? La signora meravigliata rispose: - Mio caro, questo è il Corso dei Cinguettii. - poi aggiunse - Ragazzo, non sei della zona, vero? Ma appena ebbe pronunciato queste parole arrivò uno stormo di passerotti, che, come enunciava il nome della strada, cinguettavano felicemente. Lui rimase estasiato da questa magia, tanto da non pensare nemmeno a divincolarsi per schivarli, e per non dimenticare quell’emozione tanto intensa, conservò la piuma che gli era caduta sul lungo cappotto, che appariva strano agli occhi di tutti gli abitanti di quel mondo, dato che lì tutti indossavano i mantelli dai colori più stravaganti: viola scuro, come la signora con cui aveva avuto quella breve discussione, rosso porpora, lilla e verde smeraldo. Per non parlare degli strani copricapi che i passanti portavano, come i cappelli a punta, abbinati sempre alla tinta della propria veste. Decise di proseguire la sua camminata alla scoperta di quella nuova città, che dopo qualche minuto si rese conto fosse una Parigi magica, situata in un mondo parallelo, dato che le strade rispecchiavano alla perfezione la piantina proprio della sua città natale. Dopo una cinquantina di metri percorsi, il suo sguardo cadde su una piccola bottega in vendita, così vi entrò. Non era grandissima, ma qui vi era un corridoio che portava ad un altro locale, incantevole per-

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ché sul soffitto vi era una grandissima finestra, che si poteva aprire e dalla quale si poteva contemplare il cielo. Non poté non fare a meno di pensare a quanto sarebbe stato bello osservare il cielo stellato la notte, dunque la comprò. Inoltre, pensò anche di aprire un emporio di pozioni, così per un anno seguì svariati corsi di alchimia, dalle Piccole lezioni di pozioni per giovani alchimisti alla Pozionologia per i più esperti, senza dimenticare tutti i suoi studi di botanica, astronomia e astrologia. Dunque, dopo aver consolidato le sue conoscenze, aprì l’emporio Potions de Fontaine, che diventò celebre in poche settimane, anche grazie al suo retrobottega che permetteva osservazioni del cielo e delle stelle grazie a molti telescopi. Così Jacques, abitualmente, alle sette del mattino attraversava il portale e apriva l’emporio, la sera o il tardo pomeriggio rientrava a casa. Lui fu l’iniziatore di una stirpe di famosi alchimisti, infatti, la gestione dell’emporio, divenuto celebre, era stata presa dai suoi figli, e successivamente dai suoi nipoti. Questa era una storia che Adèle conosceva molto bene perché sua nonna gliela raccontava quasi ogni sera, quando erano sedute in salotto e chiacchieravano. Un giorno, mentre stava riordinando la cantina, trovò un antico diario, molto probabilmente segreto. La rilegatura era molto fragile e sulla copertina rovinata era scritto il nome di suo nonno in rilievo, Hugo Fontaine. Leggendo le prime pagine, la giovane scoprì una cosa di cui nonna Rose non le aveva mai parlato: molti anni prima, trenta per la precisione, gli universi avevano rischiato di scomparire, incluso il mondo magico. Sono arrivati i tempi bui, quelli che precedono le crisi. Una sola orbita, quella su cui gira Saturno, si è disallineata, portando ad una grande confusione nello spazio. Tutto ciò, molto probabilmente, comporterà la scomparsa delle galassie. Secondo alcuni, dopo circa un milione di anni da questa vicina catastrofe, si verificherà un nuovo

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Big Bang, e dunque la creazione, non solo del Sistema Solare ma anche di molti altri universi, si ripeterà. Come se tutti gli esseri viventi fino ad ora non fossero mai esistiti. Questa teoria venne articolata da diversi astronomi del mondo magico, e tra questi il sottoscritto, Hugo Fontaine. Quando la gente mi chiedeva: “E voi che cosa ne pensate Monsieur Fontaine riguardo questa terribile situazione?” Io rispondevo sempre prontamente: “Io concordo con la teoria secondo la quale dopo la scomparsa di tutto, vi sarà un nuovo Big Bang, nuovi universi e nuovi esseri viventi, ma aggiungo che se ciò fosse vero, e probabile che prima di noi vi siano state altre creature, galassie e stelle, che ora non esistono più. Non nego neanche che gli alieni non esistano.” poi aggiungevo quasi in tono scherzoso “Insomma la Terra è un pianeta talmente piccolo, in confronto al Sole è una noce. Tenendo conto che questa stella non sia tra le più grandi, come mai gli unici esseri viventi in un’infinità di galassie dovremmo essere proprio noi?” Durante questi mesi, un certo Vincent Dubois ha approfondito la teoria del profitto durante i periodi di crisi, cimentandosi in essa. Lui è una persona alta e magra, ha gli occhi e i capelli castani e un pizzetto. Ha i modi molto freddi, ma anche poco cortesi. Inoltre aveva una risata talmente perfida da fare paura. Era, perché ora non lo è più, il proprietario di un negozietto, che vendeva cianfrusaglie e cose di poca importanza, destinato a fallire. Come suo ultimo tentativo, giocò la carta della truffa, iniziando a vendere dei normalissimi mantelli grigi, anche di scarsa qualità. A quei tempi, lui, tutte le mattine, urlava a squarciagola fuori dal suo negozio: “Amate la vita? Be’, se la risposta è sì, voi amerete anche questi fantastici mantelli! Se la riposta è no, li amerete lo stesso. Questi sono i mantelli Scacciamorte, vi salveranno dalla catastrofe. Oggi il prezzo della vita è solo sette magofranchi. Forza, fatevi avanti!”. E, nonostante il prezzo che aumentava di giorno in giorno, la gente non smise di comprare questi strani oggetti, così Dubois non dovette chiudere il suo negozio. Fortunatamente, io avevo capito il gioco di quell’uomo cattivo, dunque,


per incastrarlo, finsi di voler diventare un suo socio. Così una mattina andai nella sua bottega. “Buongiorno, Monsieur Dubois, vedo che vi state dando da fare!” esclamai. “Salve, Monsieur Fontaine. Cosa vi porta qui?” chiese con una nota di disprezzo. “Sapete, i nostri empori sono così vicini, e sono anche curioso di vedere da vicino questi nuovi mantelli. Davvero una trovata geniale” risposi. Allora, il proprietario, che non sopportava la mia presenza domandò irritato: “Quindi siete venuti qui solo per questo? Sapete non è un buon momento per chiacchierare, perciò vi chiedo cortesemente di andare via”. Allora, io, che stavo iniziando ad infastidirmi della sua maleducazione, aggiunsi: “Effettivamente no, le volevo proporre di diventare soci, ma forse sarebbe meglio parlarne di fronte ad una tazza di tè caldo, sempre se volete parlarne.” Gli occhi di Dubois brillarono, così disse: “Be’, se le circostanze erano queste me ne avrebbe dovuto parlare subito. Comunque, per me va bene. Incontriamoci stasera per chiarire alcune cose e poi invierò una lettera al mio notaio di fiducia.” A questo punto ci salutammo, e tornammo entrambi ai nostri lavori. Qualche ora dopo ci recammo in un piccolo e conosciuto locale, che in genere era affollato, ma quella sera vi erano molte poche persone. Prendemmo un tavolo, ordinammo qualcosa da mangiare e iniziammo a parlare. “Dato che creeremo una nostra società, credo che per me sarebbe molto importante conoscere il segreto del vostro successo, Monsieur Dubois” iniziai in tono forse leggermente inquisitorio. “Vedete, è molto semplice, ma prima vorrei che mi parlaste della storia del vostro emporio” rispose il malfattore. Allora chiacchierammo un po’, e ad un certo punto, l’uomo iniziò

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a parlare di sé: “Sapete, il mio successo è strettamente legato alla mia storia. Non ho mai vissuto nel benessere, e tutto ciò che guadagnava mio padre era grazie a qualcosa che lui chiamava arte: l’arte della truffa. Io ho ereditato questo dono, e modestamente, credo di essere abile. Che rimanga fra noi due, Fontaine, quei mantelli sono semplici pezzi di stoffa: non valgono un magofranco bucato! Ma mi stanno facendo guadagnare tantissimo, non oso immaginare quanto potrei diventare ricco se domani mettessi in vendita dei cappelli che tengono lontana la vecchiaia” e scoppiò in una perfida risata. “Siete davvero molto intelligente e mi piacerebbe restare qui, ma devo andare. Grazie dell’ottima serata, Dubois” risposi in tono soddisfatto. In quell’istante pensai: “Lo sapevo! Dopotutto, quel Dubois ha un’aria talmente losca.” Mentre camminavo verso il portale, per tornare nella mia città normale, e andare a dormire a casa, riflettei a lungo su cosa avrei dovuto fare: “Potrei ricattarlo, ma passerei nel torto, oppure potrei denunciarlo, ma non vorrei che la famiglia di quel lurido imbroglione mi metta i bastoni fra le ruote…”. Alla fine decisi di far intervenire la giustizia, così la mattina seguente, al truffatore arrivò una terribile lettera dal Tribunale di Magia. Era stato accusato di truffa, così l’indomani si sarebbe dovuto recare in tribunale per essere sentito dai giudici. Inoltre, avrebbe dovuto chiudere i battenti del suo negozio e avrebbe dovuto rimborsare tutti coloro che avevano speso una cifra superiore ai cinquanta magofranchi in questa truffa, che erano numerosi. Con questo gesto mi feci un avversario temibile, ma sapevo che il prezzo sarebbe stato questo… E con questa frase il diario finì. Adèle era seduta sul divano di casa sua, ancora un po’ scossa dalla scoperta fatta. Poi suo nonno Hugo attraversò il portale e si sedette accanto a lei, la salutò e le chiese come stava e lei fece altrettanto. Hugo prese poi un respiro e incominciò a spiegare che lui era troppo

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anziano per poter continuare a gestire la bottega e siccome Adèle aveva compiuto la maggiore età, secondo lui era pronta. Adèle ci pensò per un po’ e disse di sì, anche perché già da piccola sognava di essere dietro al bancone. Il nonno soddisfatto la informò che l’indomani avrebbe iniziato. Il giorno dopo Adèle si fece una doccia, si vestì e mise un grembiule di color marrone e finalmente attraversò il portale. Per la via dell’emporio tanti amici di suo nonno si congratulavano e questo le fece salir ancora di più la sua felicità, ma durò poco, perché l’aria del villaggio era abbastanza cupa quel giorno e c’erano pochissime persone fuori. Così quando una cliente regolare venne non ci pensò due volte a chiedere cosa stava succedendo. Lei incredula le rispose che avevano scoperto che qualcuno stava cercando di aprire il buco nero che avrebbe assorbito anche il mondo al di là del portale. La ragazza trafelata chiuse il negozio e tornò di casa per dirlo ai suoi nonni, ma già tutti e due lo sapevano. Adèle si era messa in mente di dover trovare una soluzione. Così andò nella biblioteca al di là del portale per saperne di più del buco nero. Dopo un po’ scoprì “il telescopio d’oro” un telescopio che riusciva a far vedere ogni posizione esatta di tutte le cose che si trovano nello spazio. Era necessario, perciò, trovare questo telescopio il cui complesso meccanismo, avrebbe invertito il processo di distruzione! Dopo che la protagonista finì di parlare a sé stessa, sentì una porta chiudersi. Qualcuno stava cercando di rubarle l’idea e già aveva in mente chi: il suo più grande rivale che da generazioni era contro la sua famiglia. Adèle corse verso il portale, fuori da casa sua. Ma prima di poter chiamare aiuto la sua vista si annebbiò percependo ancora una presenza alle sue spalle. Quando si risvegliò non era più a Parigi, ma in un mondo a lei sconosciuto. Fece finire la ragazza in una realtà in cui lei non era soggetta alla gravità. Per lei quindi stare lì era complicato: tutto il resto era

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normalmente poggiato al suolo mentre lei cercava di spostarsi aggrappandosi al terreno. In lontananza vide un’ombra oscura che si spostò velocemente alla vista della giovane; a quell’essere la gravità riusciva a fare effetto. Provò ad avvicinarsi e chiese: - Chi c’è là? - ma non ebbe risposta. Provò ad avanzare ancora di più, ma stavolta sì porto un bastone da usare come arma in caso di attacco. L’orma cominciò a camminare verso di lei e a sembrare minaccioso. Una volta riconosciuta l’entità, la ragazza scappò e il mostro essendo lento non riuscì a raggiungerla, nonostante lei non potesse camminare velocemente. Finalmente vide un bunker dove riuscì a rifugiarsi. Chiudendo la porta, si girò e vide dei grandissimi schermi. Questi erano loro salvezza di Adèle perché rivelavano l’uscita da questo mondo. Per uscire bisogna uccidere tre entità: quella della pietra, del legno, e dell’elettricità. Negli schermi era scritto come ucciderli e che una volta fatto, per ogni mostro bisognava prenderne un pezzo preciso che avrebbe fatto scappare Adèle. Iniziò con quello della pietra. Per impossessarsene bisognava raccogliere un ferro che l’avrebbe distrutto. Era il metallo della montagna Dubois; era particolare perché distruggeva qualsiasi tipo di pietra. Allora andò in cerca anche della pozione per far fare effetto alla forza di gravità su di lei. Riuscì a trovare un flacone che sarebbe durato solo un giorno, ma le sarebbe bastato. Tornò sulla strada per la montagna. Una volta trovato il ferro creò un piccone e corse subito verso il mostro cercando di non farsi prendere dagli altri mostri. Una volta visto il mostro di pietra diede un colpo alle spalle forte e lui crollò in pezzi che a poco a poco venivano risucchiati in cielo, tranne un piccolo rombo sempre di pietra che prese e portò con sé. Era il mostro in legno. Lui doveva essere distrutto con un tipo di fuoco diverso, perché avrebbe bruciato anche l’interno fino al “cuore” e perché era trasportabile. Una volta entrata nel cratere di un vulcano

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prese il fuoco e tornando verso il centro del pianeta, dopo essersi fatta inseguire dal mostro: gli gettò questa potenza disonore che bruciò dal basso all’alto la creatura, dall’uscire un pezzo di legno piccolo a forma di cannuccia. Anche questo lo portò con sé. Lo spirito elettrico doveva essere battuto con l’acqua, un’acqua “neutra” E perché non avrebbe danneggiato il circuito interno. Quindi scese fino alla riva di un fiume e prese l’acqua è un tipo di muschio che l’avrebbe neutralizzato, e andò verso il mostro. La bagnò e con una lampadina Adèle chiuse l’elettricità e la portò con sé. Dopo aver sconfitto il mostro di Pietra, viaggiando riuscì a trovare un portale che richiedeva i tre oggetti forniti dalle creature con cui creò una chiave che la fece passare. Arrivata sulla terra via attraversò il portale magico vide subito che tutti erano ancora terrorizzati perché il suo piano non era stato messo in atto dal rivale. Adèle aveva ancora la possibilità di salvare le galassie! Doveva trovare il telescopio d’oro. Lo cercò ovunque ma restava una leggenda. Così stanca tornò a casa, dalla nonna. Adèle da lei prese un ingrediente che le serviva per una ricetta e così scese in cantina e vide sotto un telo un telescopio, rimasto tra le poche cose non impolverato. Era dorato: sembrava proprio quello descritto e rappresentato! Ora doveva solo attivare il piano. Il meccanismo del telescopio era molto sviluppato e funzionava così: individuava il buco nero, una volta puntata veniva rilasciato un orto che lo realizzava e che avrebbe fatto chiudere il buco nero in pochi secondi. Ormai astronomo e maga di successo, per aver salvato l’umanità, Adèle riuscì dopo una lunga causa durata anni, grazie all’appoggio dei suoi seguaci, a far arrestare e imprigionare una volta per tutte Vincent Dubois. Aveva raggiunto tutti i suoi obiettivi che completò anche grazie alla forza di volontà data dalla voglia di rendere fiero di lei suo nonno.

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Giulia Ferrante - Malindu Liyauluge - Iole Paladino - Maria Giulia Vassallo

The jungle game


La vicenda della nostra storia comincia in un piccolo borgo medievale nell’Italia meridionale, più precisamente nella scuola Hogworset, un istituto a quattro piani, meraviglioso, uno dei più importanti della regione. Provvisto di due laboratori di chimica, due di informatica, una palestra al chiuso e un campo da basket all’aperto, dove quasi sempre però si giocava a calcio. Tutti i ragazzi della scuola si trovavano bene, erano felici e spensierati, nessuno mai si annoiava, tranne tre amici. Luca, che era un ragazzo abbastanza alto e muscoloso con i capelli molto ricci e castani, amava i videogiochi e lo sport. Giorgia, che era l’unica ragazza del terzetto, era molto intelligente, introversa, di piccola statura, con i capelli castani, mèche viola e occhi verdi. Francesco era un ragazzo anche lui alto, curioso, estroverso e soprattutto goloso. I suoi capelli erano biondi e i suoi occhi verdi. Tutti e tre si ritrovarono senza far nulla dopo la lezione di matematica. Così decisero di andare nell’aula informatica al terzo piano, dove avrebbero potuto giocare al computer. Arrivati a destinazione Luca disse: - Prendete posto, ma dovete giurare che non direte mai niente, perché se ci beccano è finita. - Giorgia e Francesco annuirono. Ad un certo punto a Francesco cadde la chiavetta USB e Luca e Giorgia dissero all’unisono: - Shhhh, che fai?? - in tono di rimprovero.

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Quest’ultimo, nel chinarsi per riprendere l’oggetto trovò sotto il tavolo una scatola. L’aprì senza farlo vedere ai compagni e trovò un qualcosa simile ad uno schermo e vicino erano appoggiati due joystick. Incuriosito esclamò ad alta voce: - Wow! Che forza!!! I due amici si alzarono di scatto e lo raggiunsero e provarono ad indovinare cosa fosse. - Secondo te cos’è? - Secondo me è una piccola televisione. - Con i Joystick, sei sicura? - Hai ragione, vuoi dire che è un videogioco? - Mhh…sì! - discutevano Giorgia e Francesco. Videro pure molti cavi e con molta difficoltà provarono ad attaccarli ad una presa. - Secondo te questo va qua? - esclamò Luca indicando una presa abbastanza piccola. - No, secondo me va qui. - disse Francesco inserendo il cavo dentro un’altra presa. Alla fine ci riuscirono. Accesero quello che pensavano essere un “gioco” e incominciarono a giocare (sembrava ambientato nella giungla) fino a quando una luce quasi accecante li risucchiò lì dentro. Una volta risucchiati all’interno del gioco i tre ragazzi si ritrovarono in una paurosa grotta buia con all’interno dei pipistrelli con degli occhiali. Giorgia lanciò un urlo e un gruppo di volatili iniziò a spaventare i ragazzini. Dopo la grande paura i tre uscirono dalla grotta e trovarono un uomo strano e basso, era un elfo, che comunicò che il loro viaggio era appena cominciato. E disse: - Ragazzi, per riuscire a ritornare alla realtà sarà lungo il percorso, vi aspettano vari ostacoli complicati, ma la cosa più difficile per voi sarà trovare una splendida pietra verde che vi porterà alla libertà! Inoltre avrete solo tre possibilità, se fallirete anche solo una volta in più resterete qua per sempre!

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I ragazzi increduli e impauriti si guardarono, e trattenendo le lacrime, si promisero che non si sarebbero arresi fino alla vittoria. Per riuscire a venir fuori dal videogioco dovevano dunque trovare una bellissima pietra magica verde smeraldo che li avrebbe salvati. Cercarono subito di giocare al meglio. Il primo ostacolo consisteva nel non essere morsi dai serpenti velenosi. Giorgia, essendo molto intelligente, ebbe subito l’ingegnosa idea di arrampicarsi sugli alberi per evitare di essere morsi, ma Luca, imbranato come sempre, cadde mentre cercava di salire sull’albero. Fortunatamente il ragazzo indossava una felpa militare e così pensò di mettere il cappuccio in maniera tale che si mimetizzasse perfettamente con la giungla. Sorprendentemente i serpenti non lo videro e così Luca, di tutta fretta, si arrampicò di nuovo e riuscì a superare il traguardo insieme ai suoi amici. Passarono subito al secondo livello che chiedeva ai ragazzi di attraversare un piccolo fiume su una barca senza venire colpiti dai coccodrilli. Questa sfida era praticamente impossibile e inoltre i tre erano già molto stanchi, perciò dopo pochi minuti vennero colpiti da un coccodrillo e la barca affondò, così persero una vita. Nelle sfide seguenti combatterono contro tre leoni e tantissimi ragni velenosi e riuscirono a superare entrambi i livelli, ma ora dovevano superare quelli più complicati: infatti dovevano scontrarsi contro un elefante e poi avrebbero dovuto immergersi in un lago ghiacciato per ben venti minuti. Iniziarono con la sfida dell’elefante, ma questa volta l’intelligenza di Giorgia non li aiutò, perché l’elefante calpestò prima Francesco, poi Giorgia e Luca. Adesso avevano solo una vita a disposizione e speravano vivamente di superare l’ultimo livello, ovvero il tuffo nell’acqua ghiacciata. Dopo essersi fatti coraggio, i ragazzi si immersero ma Francesco si sentì subito male e svenne. Purtroppo Giorgia non sapeva nuotare e tra il freddo dell’acqua e la sua difficoltà nel rimanere a galla affondò.

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Rimaneva solo Luca che dopo diciannove minuti e quaranta secondi, vicinissimo alla vittoria, si sentì oltremodo stremato. E così comunicò ai compagni: - No, basta non ce la faccio più devo uscire! Ma Giorgia ribatté: - Dai Luca, ce la puoi fare! Ma Luca non ce la fece e uscì. Francesco esclamò: - Ah! C’eravamo quasi! I ragazzi erano consapevoli del fatto che avevano finito le vite, Giorgia ormai senza speranze iniziò a piangere istericamente, mentre Francesco, come al solito, sentì il bisogno di sgranocchiare qualcosa, anche se di certo quello non era il momento più appropriato. Così giustamente Luca disse: - Ma ti sembra la nostra priorità? - E Francesco scherzosamente rispose: - Scusami, ma sai come sono fatto! Anche Luca scoppiò in un pianto di disperazione e quando ormai sembrava tutto finito videro un nido di un avvoltoio. Francesco aveva una vera e propria passione per gli uccelli, così corse subito a osservarlo e per puro caso trovò una strana scatola che diede a Giorgia, che senza pensarci due volte la aprì e vide la luce accecante e stupenda della pietra magica che tanto stavano cercando. I ragazzi pieni di gioia andarono subito a cercare l’elfo, che spuntò improvvisamente davanti a loro, congratulandosi dell’impegno. L’elfo allora con un semplice schiocco di dita aprì un portale magico verde con i margini neri, e all’improvviso scomparve senza neanche salutarli. - Cosa facciamo? Ci entriamo? - disse Luca quando riprese il fiato dopo tutta quella fatica. Francesco non aveva nessuna intenzione di entrarci, aveva troppa paura, e lui era conosciuto proprio per essere fifone, invece Giorgia non vedeva l’ora perché sapeva che quello strano e pauroso portale magico li avrebbe riportati magicamente a casa. Provarono in tutti i modi a convincere Francesco ad entrare lì dentro.

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Giorgia lo pregò perfino in ginocchio: - Dai Francesco vale la pena provarci! Ti prego! Francesco finalmente cedette, un po’ incerto e con tanta paura riuscì ad entrare. Attraversarono un passaggio molto strano: mondi fantastici, boschi incantati e intravidero nani, elfi, e piccole strane creature selvatiche, dopo videro il buio totale, caddero dal cielo, e si ritrovarono di nuovo in aula informatica. - Ragazzi, ce l’abbiamo fatta! - disse Francesco. - Sììì! Te l’avevamo detto che ti dovevi fidare. - disse Luca mentre Giorgia saltellava dalla gioia. Appena usciti dalla scuola andarono a festeggiare insieme come loro sapevano fare bene, e per dimenticarsi questa brutta esperienza presero il gioco e lo gettarono in mare in modo da non averci più a che a fare. Si tolsero un peso di dosso.

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Fantascienza


Gabriele Caruso - Danilo Digiacomo - Livia Frasca - Salvatore Mangiameli - Riccardo Raffone

Cyber attack


Nel 2021 vi fu un uomo di nome Johnny che lottò contro la criminalità organizzata di Los Angeles. A quei tempi i vari gruppi criminali riuscirono a prendere vari quartieri importanti di Los Angeles, che da lì a poco diventò una città molto malfamata. Un giorno durante una sparatoria Johnny venne colpito da un proiettile al midollo, nel tentativo di recuperare South La, quartiere molto malfamato di Los Angeles. Dopo qualche instante arrivò un’ambulanza e tutti i delinquenti scapparono in cerca di un nascondiglio. Una volta tornati nel loro quartier generale, uno di loro si mise a parlare con il capo e gli disse: - Cavolo boss! Quel tizio era davvero tosto e anche tanto sicuro di sé, era da solo contro dieci di noi! Non mi spiego come non abbia avuto nemmeno un po’ di paura nell’affrontarci… purtroppo però devo darle una cattiva notizia. Nonostante siamo riusciti a mandarlo al tappeto, beh, ecco… è riuscito a neutralizzare due di noi. Il capo, molto infuriato, chiese: - Ma siete sicuri che sia morto? E il criminale rispose: - Ma certo! Lo abbiamo colpito alla schiena, non ci sarà nessuna probabilità che sopravviva. Allora il boss gli diede una pacca sulla spalla e lo ringraziò del lavoro fatto. Nel frattempo il povero uomo ferito arrivò al Southern California Hospital di Los Angeles, dove, viste le scarse attrezzature presenti, i

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medici decisero di ibernarlo. Nel 2321 i medici Johnson ed Andrew, entrambi molto esperti nel loro lavoro, tra i pochi umani rimasti in quell’ospedale, riuscirono a guarirlo trasformandolo in un cyborg, grazie all’amputazione degli arti e alla loro sostituzione con varie parti meccaniche. Gli lasciarono un biglietto con una doppia spirale e la scritta “cercalo”. ll giorno del suo risveglio, Johnny era molto confuso e smarrito, visto che gli ospedali erano molto moderni rispetto al passato. I medici, poi, erano quasi tutti robot! Com’era possibile? Tentò di mantenere tutto il suo sangue freddo, ma si sentiva ansioso: - Dove mi trovo? Cos’è successo? Ricordo solo una sparatoria e la mia caduta. - Stia calmo, per favore, comprendiamo che per lei sarà difficile da accettare, ma… lei è stato ibernato molto a lungo. Siamo nel 2321... - Lei è pazzo! Di che sta parlando? I suoi monitor segnalarono una forte fibrillazione cardiaca e fu sedato. Gli occorsero mesi per accettare la realtà e un corpo non suo. Alla fine comprese che c’erano state altre tre guerre mondiali, l’ultima contro i robot che alla fine avevano preso il potere. Lui era stato “salvato” perché aveva molte più parti meccaniche che umane e quindi era accettato come uno di loro. Si guardò intorno e si ritrovò in un’era molto diversa, palazzi antichi e storici rimpiazzati da enormi grattacieli, campetti da calcio e da basket fluttuanti, macchine volanti… Rigirò tra le mani le foto della sua famiglia, che nei suoi ricordi aveva lasciato solo da pochi mesi, ma che invece erano scomparsi da secoli. Maria, com’era bella ferma per sempre a trent’anni, il suo sorriso solare, l’amore della sua vita e Ugo di dodici anni, sfrontato a volte, ma un simpaticone! Il suo cuore umano sentì una stretta fitta, ma i suoi sensori oculari non gli permisero di piangere. Non era fatto per i sentimentalismi, comunque, così decise di girare la città e notò degli slogan riflessi sui vetri dei grandi grattacieli: “I robot sono superiori”, “Sottomettiti ai robot”, “Gli umani sono una

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minaccia per il pianeta”… Finalmente, inoltrandosi in un vicolo buio e fatiscente Johnny trovò una povera donna. Quella tentò di scappare alla sua vista, ma lui le spiegò la sua storia, le mostrò le foto della sua famiglia e le chiese di fargli cosa stesse succedendo. - Il pianeta non è più uguale da quando è stato invaso. Io ho perso tutto. - quindi si mise a piangere. Nei giorni seguenti Johnny si sistemò alla periferia della città, in una baracca abbandonata. Si ripeté la stessa domanda: - Io cosa posso fare per aiutare il mondo? Se non riuscirò a salvare gli uomini, lo sforzo che i medici hanno compiuto per ridarmi la vita sarà stato inutile. Alla fine si mise alla ricerca dei bunker sotterranei, scoprendo tutti gli enigmi che venivano lasciati dai Rebels, cioè gli umani ribelli che si opponevano ai robot e si nascondevano da loro, avendo come simbolo proprio la doppia spirale lasciata dai medici umani che lo avevano salvato. Si dichiarò loro alleato e si fece tatuare un ritratto della sua famiglia nella parte umana del corpo. Nel frattempo decise di imparare ad utilizzare i suoi poteri. L’allenamento che fece durò molti mesi. Con l’aiuto dei suoi amici umani comprese di poter sparare raggi laser dalle braccia robotiche, di poter compiere salti fino a cento metri grazie alle sue gambe robotiche e ai propulsori che aveva sotto i piedi. La vita presso i Rebels era veramente dura. I cunicoli sotterranei, dove si erano rifugiati, erano stretti e molto sporchi, dove potevano proliferare le malattie. Tutti si lamentarono di queste condizioni: - Non respiro aria pulita da giorni, ma sempre meglio di stare là sopra. Proprio dai medici Johnson ed Andrew, che Johnny scoprì lavorare per la resistenza, gli umani si erano fatti installare arti robotici, ottenendo così molta più resistenza e forza. Innesti cerebrali, inoltre, facevano loro utilizzare un’altissima percentuale del cervello, migliorando tutti e cinque i sensi, ma nulla era abbastanza per scontrarsi col

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capo dei robot. CP1CP3, infatti, era un personaggio dispotico, assetato di potere, che riusciva ad esercitare un controllo psichico sugli umani. Nonostante ciò, Johnny e i suoi compagni cominciarono una guerriglia spietata. All’inizio i robot dominarono la situazione e gli umani dovettero interrompere le loro azioni, ma pian piano i poteri di Johnny aumentarono. Finalmente giunse lo scontro finale in un’area deserta nei pressi dell’Arizona tra Johnny e il capo dei robot, CP1CP3. Erano faccia a faccia e si guardarono attentamente negli occhi meccanici prima di iniziare il combattimento con le pistole laser e laser da polso. Johnny disse con voce sicura: - Sei pronto? E il robot rispose con la sua voce metallica: - Sono sempre pronto. Iniziarono a scontrarsi, Johnny afferrò il braccio del robot facendolo roteare e poi lo schiantò a terra. Il robot prese Johnny e con i suoi poteri lo fece fluttuare nell’aria lasciandolo cadere, ma Johnny gli diede un pugno nel petto di acciaio attutendo la caduta e rotolando sul suolo. Fu una battaglia dolorosa. Johnny sofferente per le ferite sanguinanti che si era procurato disse: - Arrenditi, non vedi che stai perdendo? CP1CP3, che aveva perso metà arto in quel lasso di tempo rispose: - Non mi arrenderò così facilmente. Il capo dei robot cercò in tutti i modi di togliergli le armi, anche se così facendo sprecò tutte le sue energie finendo per essere debole. Infatti, dopo qualche minuto Johnny si accorse della sua debolezza e prese l’arma che aveva nascosto nella tasca dei suoi pantaloni e pose fine all’esistenza dell’androide. Poche settimane dopo, la popolazione grata delle azioni coraggiose di Johnny decise di eleggerlo come nuovo Presidente d’America. Egli onorato dell’incarico fece un discorso d’inaugurazione dicendo: - Grazie di questa opportunità, in cambio io creerò una nuova generazione di robot pacifici che collaboreranno con gli umani, per la

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nostra rinascita. Una volta finito di parlare una folla oceanica applaudì in segno di approvazione del discorso.

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Laura Carpinato - Eleonora Chimenti - Elena Greco - Pietro Moncada - Blasco Scammacca

L’invasione degli androidi


In un universo parallelo, chiamato Panti, sulla grande, circolare e bianca navicella BX83 ci fu uno scontro tra uomini e androidi, dopo la morte del cyborg John Mendovi, il capo della spedizione di questa capsula spaziale che poi diventò il capo di una popolazione di robot e umani. Lui fu generato da una madre umana e un padre alieno, aveva occhi rettangolari ma a parte questo la sua testa era simile a quella di un uomo, il possente busto era pure esso rettangolare e munito di pulsanti colorati per adempiere alle varie funzioni vitali. Gli arti erano allungabili e ornati da archi che avevano il solo scopo di decorare il corpo, quasi come se fossero dei tatuaggi. Era molto carismatico, entusiasta, intelligente, generoso, amabile e gentile; sapeva ascoltare molto bene ed era un fantastico oratore, sempre pronto a far valere i suoi ideali. Per tutte queste sue qualità fu una figura di riferimento per la popolazione spaziale degli Immatti e, forse, fu proprio per queste che la sua scomparsa fu devastante per gli abitanti di BX83, in quanto solo la sua presenza aveva permesso la pace tra i due popoli contrastanti. E proprio per questo motivo il contrasto, che passò alla storia col nome “Conflitto di Titani” fu la più duratura e sanguinosa della storia dell’universo Panti. Questa guerra la dominarono i robot dato che avevano progettato dei macchinari avanzati, capaci di distruggere metà degli umani rin-

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chiusi nella navicella spaziale. Questo “Conflitto di Titani” finì il 29 ottobre 3400, dopo cento anni di guerra. I robot ebbero la meglio. Dopo questo scontro decisivo la navicella atterrò su Imai, un pianeta in cui nacquero delle tecnologie molto avanzate e principalmente costituito da dune di sabbia. L’obiettivo principale degli androidi non era la vittoria della guerra ma utilizzare tutti gli esseri umani come fonte energetica per la loro stessa sopravvivenza. Per cui li addormentarono con delle iniezioni narcotizzanti, poi li ammanettarono e li portarono in celle dentro il loro castello. Questo era molto grande e spazioso. Costituito da quattro piani: nel primo piano c’era una sala di accoglienza con un ingresso molto grande pieno di piante e di arredi vari, così da farlo sembrare un posto sicuro. Mentre nel secondo, per agevolare il piano dei robot, si situava un laboratorio per costruire i vari macchinari. Salendo al terzo piano si trovava un magazzino in cui c’erano tutti gli apparecchi per costruirli. Nel quarto piano c’era l’impianto di ricarica di energia per tenere attivi i robot. In questo castello c’era anche un sotterraneo segreto: era proprio lì che venivano rinchiusi gli umani in queste gabbie molto cupe, vecchie e piene di polvere. Qui a turni venivano attaccati ad estrattori di energia, che li riducevano quasi in fin di vita, privandoli di sangue e parte del midollo. Le celle erano di un metro quadrato e ognuna conteneva sette persone. Le condizioni di vita erano pessime all’interno, il cibo e l’acqua veniva portato solo una volta al giorno e in poche quantità. Se gli umani si ribellavano venivano uccisi. Uno dei carcerieri, la guardia Ermes 773 un robot alto di acciaio e di colore celeste, stando a contatto con gli uomini, dato il suo lavoro, si rese conto che gli uomini erano molto più legati tra loro anche perché gli esseri umani avendo un cuore e dei sentimenti provavano più affetto nei confronti dei loro simili, mentre gli androidi non avendo queste emozioni trovavano più difficile relazionarsi con gli altri. La guardia 773 chiese ad un umano: - Ma voi umani che strategia usate per essere così affettuosi?

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Ed egli gli rispose: - Non esistono strategie, bisogna usare solo il cuore. Ma si accorse che trovavano tanti modi per farsi compagnia. Ad esempio notò che riuscivano ad aprire tante conversazioni e inventarsi tanti giochi per passare il tempo divertendosi. Nuovamente la guardia chiese: - Non avete più nulla e siete al limite delle vostre forze. Come fate a divertirvi con così poco? Gli rispose: - No, noi ci divertiamo anche con questi giochi banali. Uno di questi era giocare a calcio. Infatti, nell’ora d’aria che veniva concessa loro per non farli deperire troppo in fretta, i prigionieri erano soliti intrattenersi col pallone in un campo di cemento con porte create da loro utilizzando resti di ferraglia in disuso. Fu così, che dopo alcuni giorni trascorsi a guardarli giocare, 773, incuriosito, durante una pausa chiese loro se potesse unirsi anche lui. I prigionieri avevano fondato due squadre: la Inenon e la Ineos. In breve 773 divenne uno dei calciatori titolari di quest’ultima; infatti, grazie al suo corpo robotico era riuscito ad imparare a giocare molto velocemente e bene. Dopo aver preso parte a molte partite, 773 si appassionò al gioco, instaurando con i suoi compagni un rapporto di amicizia molto profondo, soprattutto con tre di loro: Kareno, Pentauris e Maractus. Kareno era il meno portato per questo sport ma il più amato dai compagni; la sua grande simpatia e la sua giovane età portavano i più grandi del gruppo a trattarlo quasi come un fratello minore. Era molto carismatico e bello, alto, magro, capelli biondi lisci che si sposavano perfettamente con i suoi con occhi verde scuro, come tutti gli abitanti di quel pianeta. Pentauris, quello con cui aveva legato di più 773, era il capitano della squadra Ineos, era una persona molto alta e atletica, aveva capelli lunghi e castani. Era molto riflessivo e fraterno ma a volte aveva degli scatti d’ira che lo rendevano intrattabile. Maractus, ara un altro dei giocatori della squadra, era abbastanza basso nonostante


un collo molto lungo, e aveva i capelli biondi e ricci. Al primo impatto poteva sembrare cattivo e prepotente, ma nascondeva, in realtà, un animo molto gentile. I tre giovani calciatori, dopo aver accolto 773 tra loro, presero a volergli bene non considerandolo più un robot loro aguzzino. Durante le notti precedenti Ermes con molto impegno si mise a cercare un metodo per fare uscire i suoi amici umani, cercando però di non essere scoperto. Dopo lunghe riflessioni trovò un metodo che per lui era infallibile, ovvero inscenare suicidi di uomini e successivamente travestire da robot i suoi amici calciatori e infine farli scappare per le due uscite di emergenza che davano sul mare. Lì avrebbero dovuto cavarsela da soli, ma rappresentava pur sempre un inizio e un’opportunità. Ermes iniziò, perciò, a procurarsi i travestimenti per gli umani, rischiando pero di essere colto in flagrante da un’altra guardia: - Ermes, cosa cerchi qua nel magazzino? - Nulla, cercavo solo del metallo. La sera, durante la distribuzione dei viveri, prese contatto con i suoi amici, per avvisarli che il piano si stava per attuare. - Ermes, è tutto pronto per stasera? - Sì, tutto sotto controllo. In piena notte Ermes aprì le porte di emergenza. Gli umani, così, uscirono dalla cella e fecero in tempo a scappare senza essere scoperti dalle altre guardie. Essendo il turno proprio per Kareno, Pentauris e Maractus di essere prelevati per l’estrazione della loro energia, fu notata la loro mancanza e subito tutti i robot si misero alla ricerca di tracce per risalire all’accaduto. Ermes ebbe paura di essere scoperto e quindi si mise a collaborare nella ricerca facendo finta di nulla e rinnegando la sua presenza davanti alle loro celle nella serata della fuga. Parte della scena era stata ripresa dalle telecamere, ma la visione era di un’ombra di spalle, simile a quella di qualunque altro robot. Poco fuori dal castello,

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però, fu ritrovato un pezzo che tutti i robot avevano sotto la testa che però mancava a Ermes. A quel punto dichiararono Ermes il colpevole della fuga ed egli fu giustiziato. Nel frattempo, Pentauris riuscì a decriptare la rete informatica dei robot e ad introdurvisi. Fu una corsa contro il tempo: il suo accesso era stato scoperto e stavano per venire ad uccidere lui e gli altri fuggitivi, quando trovò la CPU Mather e lanciò il comando di spegnimento. I robot crollarono tutti nello stesso momento. Non restava che liberare gli altri esseri umani e ricominciare un’esistenza finalmente libera.

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Saverio Balsamo - Salvo Politano - Cesare Samperi - Beatrice Scravaglieri - Fabrizio Viola

Emergenza api:

soluzione finale


Nel 2036, il mondo si trovò in una situazione della quale prima si ignorava il pericolo: le api si estinsero totalmente a causa di diversi fattori tra cui il riscaldamento globale, l’uso di pesticidi e la progressiva urbanizzazione. Solo dopo la loro scomparsa gli uomini ne capirono la loro importanza effettiva: questi insetti grazie all’impollinazione facevano nascere le piante che permettevano agli esseri viventi di respirare, inoltre aumentavano la possibilità di un albero di fare più frutti, nutrimento per l’uomo. In quel momento invece la maggior parte delle specie vegetali non c’era più, e di conseguenza anche la produzione di cibo si ridusse completamente al minimo. Allo scoppio di questa situazione si arricchì immediatamente il mercato nero di generi alimentari, perciò tante persone che non avevano i soldi per comprare illegalmente il cibo morivano per la fame: più di un miliardo di persone non ce la fece. Bisognava trovare una soluzione per risolvere questo problema, perciò ci si lanciò al reperimento dei migliori scienziati che avrebbero preso come sede Buenos Aires, in Argentina, uno dei posti più colpiti dall’emergenza. Lì ricercatori di tutto il mondo avrebbero iniziato a lavorare duro come un sol uomo. Coloro che presentavano i curricula più prestigiosi nei campi scientifici richiesti furono sottoposti ad ulteriori test, che i media avevano definito le supermenti. Il loro progetto era quello, in effetti, di ricreare le api in laboratorio, partendo da esemplari morti in loro

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possesso. Quel processo, ammesso che avesse successo, sarebbe stato lungo e dispendioso. Aprirono, perciò, una raccolta fondi libera per i cittadini, attraverso tutte le banche più prestigiose di New York, Roma, Londra, Parigi, Berlino, Tokyo, Pechino, in modo da raccogliere miliardi di dollari. Sarebbero stati destinati all’acquisto di materie prime radioattive quali: uranio, radio, radon, plutonio, tecnezio, americio, torio, cesio 137. Riuscire a trovare il giusto dosaggio per il bombardamento a cui sottoporre il loro DNA era la sfida che si presentava loro. Finalmente raccolti fondi sufficienti ai loro scopi, la squadra di scienziati fu pronta ad iniziare con gli esperimenti, tuffandosi nell’ignoto. Così, il 23 marzo 2036 i cinque scienziati più prestigiosi del mondo con i loro aiutanti, ovviamente, si riunirono al laboratorio di Buenos Aires, impazienti di iniziare questa battaglia contro gli stessi sbagli dell’umanità. Alla giovane scienziata cinese Hua Zhao, massima esperta di biologia molecolare, celebre per studi sulla clonazione, venne assegnato il compito di costruire la gabbia di vetro anti-pungiglione dalla capienza di cento api per la loro liberazione nel proprio habitat, per la sua attenzione nei dettagli. Intanto l’entomologo inglese Mason Mount, massima autorità nel campo, aveva suddiviso gli esemplari morti in una dozzina di specie da bombardare con le sostanze radioattive. Mentre Manuele Gamberini, Direttore genetista dell’EMBL, Laboratorio europeo di biologia molecolare di Heidelberg, preparava i primi dosaggi, Mount si sistemò gli occhiali e cercò di motivare la squadra: - Coraggio compagni, ho riportato in vita il matrimonio con mia moglie, cosa sarà mai far resuscitare la specie delle api? In realtà nessuno rise alla battuta eccetto l’argentino Tiziano González, in sedia a rotelle data l’età avanzata, di ben novantacinque anni, ma uomo di grande intelletto, Premio Nobel per la medicina, così come d’esperienza, così ribatté: - Beato te amico mio, il mio è morto e sepolto, come mia moglie d’altronde.

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Dopo una serie di battutine particolari, la microbiologa Olga Shevchenka intervenne: - Molto divertente, colleghi, ma adesso cerchiamo di concentrarci sul salvare l’umanità. - accennando un sorriso e spostando i lunghi capelli biondi, si mise alla sua postazione. Così Gamberini mise in chiaro alcune cose, in particolare alla sua équipe e spiegò: - Ok ragazzi, quando troveremo le giuste quantità di isotopo procederemo con la clonazione. I giorni passarono e gli scienziati, al corrente del pericolo, si aspettavano che gli esperimenti non avrebbero dato fin da subito i risultati sperati, ma fu comunque sorprendente vedere le mutazioni. La prima cavia prese la forma di un granchietto peloso con le ali al posto delle chele. Il secondo invece, assomigliava più ad un pipistrello rosa, poi il terzo dalle sembianze di una mosca dal pelo violaceo. Tentavano di scherzare sul lancio di scommesse riguardo ai tentativi successivi, ma ogni insuccesso sapevano che significava milioni di perdite umane: la tensione era altissima. Nonostante tutte le precauzioni e i protocolli di sicurezza, ci fu una fuga di radiazioni. González e la Shevchenka furono investiti direttamente dall’ondata: i loro organi interni degenerarono nel giro di un’ora e consapevoli del loro destino si chiusero all’interno della prima paratia. Ma non abbastanza in fretta da evitare che un quantitativo di sostanza radioattiva investisse anche Mount. Nel giro di una settimana la sua pelle aveva cominciato a ispessirsi, aveva perso tutta la dentatura, e stavano per spuntare organi simili ad ali. Prima che perdesse del tutto la sua umanità, prelevò un quantitativo del suo sangue per estrarne il genoma mutante, evidentemente simile a quello delle api. Poi si diede la morte. Il genetista Gamberini e la biologa Zhao si presero un po’ di tempo e fecero tanti esperimenti su vari animali: una cosa molto crudele, ma in questo modo scoprirono le conseguenze di queste radiazioni. Infine, arrivò il giorno dell’esperimento decisivo. Tutta Buenos Aires fu evacuata, per la sicurezza di tutti i cittadini. Tutta la popolazione mondiale rimase col fiato sospeso, sperando

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che i nostri scienziati riuscissero a ricreare le api perché senza loro il conto alla rovescia per la vita umana sulla Terra era avviato. Dieci spirali di DNA modificato da Mount furono mescolate a quelle delle api. Occorreva solo bombardarlo con le radiazioni per avviare il processo di clonazione. Vi fu, però, l’esplosione di una capsula e prima che Gamberini se ne rendesse conto la Zhao era già entrata nel laboratorio esponendosi a morte certa. La biologa, tuttavia, inserì con le ultime forze le api nel nuklonatore e Gamberini, dandole l’ultimo saluto, assisté al miracolo: ben nove api su dieci avevano iniziato la loro fase larvale. Il mondo era salvo!

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Giulio Arena - Greta Cosentino - Giuliano Di Benedetto - Francesco Merlo - Giorgia Messina

Tramonto sulle Torri


L’autobus si era appena fermato alla stazione di Times Square e già si respirava l’atmosfera cosmopolita di New York. I ragazzini afghani dell’Erasmus della scuola media di Kabul nell’anno scolastico 2013/2014 scesero dal veicolo e rimasero scioccati, era un ambiente che non conoscevano, contornato da rumori urbani e traffico intenso, che emanava odore di metropoli, i palazzi toccavano il cielo… In Afghanistan non avevano mai visto niente di simile! Erano accompagnati dall’insegnante Almas Rahimi che già non riusciva a contenerli tra grida e schiamazzi: - Ragazzi in fila indiana, tutti in silenzio, dai che abbiamo fretta. Si diressero verso l’albergo situato nella Torre Sud al World Trade Center, per sistemare i bagagli. L’emozione tra loro era alle stelle con i “e noi alloggeremo qui?”, “questo è meglio di un castello”, “secondo me stiamo ancora sognando”. Arrivati scelsero le stanze da dividere con i compagni e posarono le valigie, alla scolaresca era stato affidato il quarantesimo piano e fortunatamente nessuno soffriva di vertigini, ma erano tutti increduli; da lì potevano il panorama di una delle città più belle della terra. - Ragazzi ma vi immaginate vivere qui? - Io starei tutto il giorno alla finestra. - Da qui possiamo salutare gli aerei. Il primo giorno era dedicato alla visita della città e l’indomani

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si sarebbero trasferiti al college che li avrebbe ospitati. Si diressero direttamente al MoMA il più celebre museo di arte contemporanea al mondo che affascinava ragazzi di quell’età e successivamente al polmone verde di New York, Central Park, in cui avrebbero avuto modo di svagarsi scordandosi di trovarsi in una metropoli. Prima di tornare in albergo visitarono Brooklyn uno dei quartieri più importanti della città e di ritorno, quando attraversarono il ponte, il sole si stava nascondendo tra le due Torri Gemelle. I ragazzi non stavano nella pelle, sapevano di trovarsi nella città più bella del mondo e ammiravano un tramonto mozzafiato che si poteva ammirare solo a New York. Arrivata la sera, tornarono nell’albergo e si riunirono per cenare. 11 settembre 2001 Sui voli American Airlines 11 e United Airlines 175, partiti da Boston, l’American Airlines 77 da Washington e United Airlines 93 da New York vennero rilevati dei segnali di pericolo che nessuno si sarebbe mai aspettato. Infatti, venticinque minuti prima, i passeggeri del volo Airlines 11 erano tranquillissimi, come accadeva normalmente su un volo qualunque. C’erano però due passeggeri Mohamed Atta e Abdulaziz Al-Omari che in maniera circospetta parlavano tra loro. Abdulaziz, ricordati perché lo facciamo. E Abdulaziz gli rispose: - Certo che me lo ricordo, lo facciamo per Allah, per la nostra gente, per i nostri fratelli e sorelle e per tutti quelli che verranno. Durante il volo continuarono a confabulare, ripassando il piano. Mohamed disse: - Ascoltami bene, non appena nessuno ci noterà, ci alzeremo fingendo di andare in bagno, invece andremo in cabina di pilotaggio e uccideremo il pilota. Abdulaziz gli rispose: - Va bene, fratello, prima di morire ci tengo


a dirti che è stato un onore immenso averti conosciuto; so che ci rivedremo in paradiso e che le nostre gesta eroiche verranno ricordate da ora in poi. Gli altri passeggeri, intanto, ignari continuavano nelle loro attività, qualcuno mangiava, altri dormivano, c’era chi leggeva o ascoltava musica. Tra le tante famiglie c’erano una mamma e suo figlio di tre anni. Il piccolo, terribilmente spaventato dagli aerei, chiese a sua madre: - Mamma, ma sei sicula che l’aeleo non si chiantelà? E la mamma gli rispose: - Ma certo, amore, che sono sicura che l’aereo non si schianterà, stai tranquillo, perché anche se dovesse succedere qualcosa siamo accompagnati da due bravissimi piloti che sapranno sempre cosa fare. - il bambino così si tranquillizzò. Intanto, nella cabina di pilotaggio, il comandante e il suo vice stavano mettendo a punto gli ultimi dettagli tecnici sul volo e parlando sulle condizioni meteo. Per fortuna non erano previste turbolenze: da lì in poi il comandante e il suo vice parlarono del più e del meno, delle loro famiglie, si conoscevano da tanti anni ed erano sempre stati in ottimi rapporti. Negli altri tre aerei l’atmosfera era così pacifica e tranquilla che i passeggeri pensavano ognuno agli affari propri, senza preoccuparsi di sapere chi avessero a fianco a loro. Nel volo American 77 c’erano due neo sposi che parlavano dicendosi: - Amore, sei felice che andiamo alle Maldive come abbiamo sempre sognato da quando avevamo sedici e diciassette anni? E lei gli rispose felicissima: - Certo, abbiamo risparmiato da quel momento per dodici anni, ma ora possiamo finalmente fare questo viaggio e finalmente possiamo costruire la nostra famiglia. Sullo stesso aereo c’era un’anziana signora che era diretta alle Maldive per operarsi al cervello, dato che le avevano trovato un tumore, per fortuna benigno, ma in una posizione molto delicata, che quindi doveva essere asportato con estrema urgenza e anche il minimo ritardo

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la avrebbe portata a un passo più vicino alla morte. Sull’aereo nessuno faceva il minimo rumore e lì dentro era come se non ci fosse nessuno fino a quando non suonò un terribile e lunghissimo allarme, udibile solo nella cabina di pilotaggio. A partire dagli anni ’50 gli scienziati americani stavano lavorando a un nuovo progetto innovativo per l’umanità. Il progetto era stato iniziato dal brillante matematico Alan Turing, ma bruscamente interrotto a causa della sua tragica morte per avvelenamento. Si trattava di un caso irrisolto: omicidio o suicidio? Poco importava. Ora toccava tenere alto il suo nome. Avevano ripreso un prototipo di un suo rilevatore di emozioni. Alcuni volontari che si sottoponevano ad esperimenti, venivano messi in stanze buie con monitor davanti dove mostrava immagini divertenti, tristi ecc. Indossavano un casco con dei sensori per rivelare come il cervello rispondesse alle immagini. Trascrizione di un dialogo tra una volontaria (D) e due scienziati dell’équipe di Turing (S1-S2): D: - Sicuro che è un esperimento indolore? S1: - Ellen, se posso permettermi di chiamarla per nome, deve stare tranquilla non sentirà nulla. S2: - Via con la prima immagine. Proiezione di un’immagine divertente. D: registrazione di una risata. S1: Vedi Alfred, guarda l’amigdala come reagisce bene.

Negli anni ’80 questo apparecchio, ormai perfettamente testato ma rimasto segreto, era diventato dotazione standard dell’aviazione britannica e americana per sventare eventuali attentati. I sensori erano collegati alla cabina di pilotaggio per avvertire il comandante dell’attacco.

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11 settembre 2001 Appena quella mattina si attivarono gli allarmi sui due aerei partiti da Boston, nelle rispettive cabine di pilotaggio brividi percorsero le schiene degli occupanti. Il comandante John Odonowsky del volo American Airlines 11 cercava di concentrarsi sul fatto che erano stati lungamente addestrati a far fronte a tale possibilità, ma si sapeva, quando arrivava il momento, il tempo per recuperare il sangue freddo sembrava un’eternità! E durante le prove non avevi quasi un centinaio di persone da salvare con le tue sole risorse. Mentre aspettava che gli assistenti di volo, che non poteva richiamare per non destare sospetti, rientrassero dal giro con i drink, si rimise in contatto con Victor Saracini del volo United Airlines 175 per passare alla seconda parte del protocollo: individuare i posti che trasmettevano un alto livello di inquietudine grazie ai sensori posizionati in ogni sedile e collegati alla cabina di comando. Scorse velocemente i vari monitor attivati dal sistema di allarme, bisognava però trovare quale, tra gli stati d’animo dei passeggeri aveva innescato il segnale, questa macchina fenomenale trasformava in tempo reale i pensieri in immagini. Una ragazza era terrorizzata, trasmetteva immagini contrastanti di disastri aerei e nel contempo di vincita di una prestigiosa borsa di studio, ecco perché alla fine si era convinta a salire! Un altro ragazzo che ripassava le scene di un film per un’audizione. E finanche chi sognava che si liberasse il bagno in fretta! - Victor, amico, tu hai trovato? Io sto vedendo di tutto, ma… centro!! Nella fila 7 sedile B, Mohammed Atta stava ripassando le coordinate da seguire una volta tolti di mezzo pilota e copilota. Stava arrivando il momento per virare dalla rotta a destinazione Los Angeles e dirigersi invece su New York e puntare sulla Torre Sud. Intanto pregava

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come era suo solito e trovava la forza per portare a termine la missione più importante della sua vita, quella che permetteva di conquistare il paradiso con tutte le sue bellezze. E non solo, nella fila 21, Abdulaziz al-Omari accarezzava nervosamente il manico del coltellino immaginando di sfiorare per l’ultima volta il ventre della moglie e di cui non avrebbe mai conosciuto il secondo frutto. Ma la sua piccola Aisha, il suo angelo dai riccioli nocciola, lo avrebbe ricordato come un eroe. Per il comandante poteva bastare, tutto il resto era ordinario. Azionò il comando per attivare la fuoriuscita delle maschere antigas e le fece indossare immediatamente al resto dell’equipaggio. - Adesso tutti faranno un bel sonnellino e al risveglio altro che paradiso! Quei due marciranno nell’inferno delle nostre carceri. Il gas inodore narcotizzante cominciò a fuoriuscire dai bocchettoni dell’aria condizionata e ciò che i monitor cominciarono a trasmettere fece capire loro che iniziavano ad annebbiarsi le coscienze. Mentre erano addormentati gli attentatori vennero legati, incappucciati, disarmati e allontanati dagli altri passeggeri, ai quali al risveglio venne detto che a causa di forti turbolenze avevano aggiunto al drink qualche goccina di sostanza rilassante per evitare paure e malesseri. I due voli quindi atterrarono al primo scalo all’aeroporto di Hartford e i terroristi afghani furono consegnati all’FBI e fatti confessare. I comandanti ancora increduli si raccontarono a vicenda le immagini di distruzione delle due Torri Gemelle che avevano visto sui monitor e che erano riusciti ad evitare nella realtà, sventando il più grande attacco terroristico di tutti i tempi. Ma la storia, per ragioni di sicurezza e di ordine pubblico, restò fra i segreti di Stato. I ragazzi andarono presto a dormire, vista la partenza prevista per le 7:00 dell’indomani mattina. Hamid-al Omari, ragazzino della scolaresca, prima di addormentarsi chiamò la madre e la sorella scambiandosi la buonanotte. Lui tuttavia non poteva sapere ciò che lo aspettava quella notte.

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Aprì gli occhi e si ritrovò in quello stesso edificio, travolto da una folla immensa di gente impaurita, che scappava dalle scale e addirittura si buttava dalle finestre per cercare in qualche modo di salvarsi e sopravvivere da fiamme e macerie che crollavano, e che stavano già mietendo centinaia di vittime. Per lui però era diverso, si sentì infatti immerso in una strana sostanza che gli fungeva da scudo, come se fosse una magia che gli impediva di morire e lo facesse sentire sempre al sicuro. Per fortuna poi si svegliò, era sudato fradicio, non aveva mai provato una paura così grande. Si alzò dal letto e notò che si era fatta ora di prepararsi per il viaggio, e cominciò a lavarsi, vestirsi e fare colazione. Si erano ormai fatte le 7:00, e Almas, l’insegnante di Hamid, lo chiamò per dirgli che il bus era arrivato e che doveva scendere. Prese il telefono che poggiava davanti alla finestra, e prima di rigirarsi e uscire restò a contemplare la Statua della Libertà che si poteva osservare dalla sua camera, pensando: - Sarebbe bello se ogni città avesse un artefatto che simboleggi la pace e l’amicizia. Queste sono le cose di cui abbiamo maggiormente bisogno.

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Nicola Caponetto - Paolo Carpinato - Alice Damigella - Federica Di Giovanni - Anthony Di Stefano - Marta Gresta

L’ultima speranza


Nel 2122 il mondo era al collasso. Molteplici inondazioni avevano danneggiato piccole e grandi città portando un forte scompiglio tra gli abitanti che si trovarono senza casa, con poco cibo e in condizioni strazianti. Il governo cercò di mandare aiuti a tali persone con scarsi risultati poiché le strade non erano agibili. Ci furono degli innalzamenti di temperatura che diedero conseguenze catastrofiche, l’aria era diventata quasi del tutto irrespirabile e il caldo si propagò sulla popolazione ormai al limite. Nel frattempo si stava cercando una soluzione, del tutto inesistente. Pertanto l’agenzia spaziale propose di mandare alcuni astronauti alla ricerca di un nuovo pianeta abitabile. Quest’idea non era molto sicura e alcuni scienziati non erano molto convinti, ma era l’unica possibilità per cercare di far sopravvivere la specie umana. La popolazione sembrava d’accordo nell’eseguire questa spedizione. Ci furono vari volontari ma solo sette furono gli addetti inviati, tutti specializzati in un ambito ben preciso. Gianluca Parmitano fu il primo scelto, era il vice comandante della navicella insieme al pilota Théo Cristoforetti di nazionalità francese. Questi avevano rispettivamente trentacinque e trentasette anni. Era la mattina prima del decollo e l’equipaggio fu convocato prima della partenza in una grande sala. I primi ad arrivare furono

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Gianluca e Théo, entrati in sintonia fin da subito grazie alla simpatia di Gianluca. I successivi a fare il loro ingresso in sala furono Pablo Nespoli, ingegnere tecnico di bassa statura il più anziano e all’apparenza scherzoso, Gaetano Vittori comandante di origini italiane, caratterizzato da uno sguardo serio e autoritario, Hannah Guyon, medico di bordo, americana e ambiziosa, Olga Cheli biologa di bordo, russa e molto solare, Harry Male copilota della navicella di nazionalità inglese, il più giovane dell’equipaggio con soli venticinque anni. Almeno questo era quanto era stato detto loro sui compagni che li avrebbero attesi in sala e accompagnati in missione. All’arrivo in sala di tutti i sette membri il clima era molto freddo e serio, tutti erano abbastanza preoccupati per ciò che li avrebbe attesi il giorno seguente sulla navicella Eligius IV. Dopo la partenza, la navicella subì un guasto al motore. Il primo che notò questo malfunzionamento fu Théo, il pilota, che si precipitò dal comandante Gaetano. Egli inquieto per l’accaduto, non si fece, tuttavia, prendere dalla paura e ordinò a Pablo, l’ingegnere tecnico, di controllare il motore. Nel frattempo la navicella, pilotata da Théo ed Harry, continuò a vagare nello spazio. Gianluca, il vicecomandante aiutò Pablo a sistemare il guasto, ma si ferì ad una mano, cadendogli un tubo di metallo. Chiamò allora Hannah, il medico di bordo, che lo medicò e gli spiegò che non era nulla di grave: si era fratturato il polso. Nel mentre la nave si avvicinò ad una specie di buco nero. Théo molto spaventato chiamò Gianluca che non seppe cosa fare, ma riuscì a mantenere la calma e provò a usare il secondo motore invano perché non fu abbastanza potente da deviare la navicella. Gaetano chiamò con urgenza tutto l’equipaggio nella sala guida per evitare di causare feriti e cercò di rassicurarli tutti. La navicella però venne risucchiata dal buco nero. Sembrò non esserci più nulla, ma la nave riuscì a resistere. Il comandate, sorpreso di ciò, ordinò al pilota di cercare una via d’uscita da quel buco nero. Quando l’astronave, con i poveri viaggiatori spaziali, finì in un

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buco nero, gli abitanti della Terra li dichiararono oramai dispersi nello spazio. In quel esatto momento c’era nel veicolo una grande tensione: Gianluca cercava di far mantenere la calma in tutti modi al resto dell’equipaggio, Théo non sapeva davvero cosa fare, ed essendo il pilota non poteva neanche muoversi dalla postazione. Pablo era il più agitato di tutti e lanciava imprecazioni di tanto in tanto. Hannah stava per svenire, Gaetano, il comandante, rimaneva da parte cauto e silenzioso pensando ad una strategia per comprendere la loro posizione e provare a comunicare con la Terra. Harry e Olga pregavano con la mente sperando che la loro missione, e con essa la Terra, non fosse compromessa. Nel momento della più totale confusione la navicella compiendo tre giri su se stessa, colta da un terribile sussulto, venne fuori dal buco nero. L’universo che videro era per loro totalmente sconosciuto, forse si trattava di un’altra, incredibile e imprevedibile dimensione. Questa sembrava avere un sistema gemello alla Via Lattea. Dopo aver girato per settimane in quella dimensione parallela al sistema Solare, la navicella iniziò ad avvicinarsi ad uno dei pianeti davanti ad essa. Da fuori era di un color violetto, con presenze di molteplici forme di vita, nonostante non arrivasse molto la luce della stella centrale. Infatti gli astronauti non capivano come le piante crescessero e quindi come producessero ossigeno per far sopravvivere il pianeta. Si poteva guardare dalla cupola esagonale, nel modulo 3 e in effetti sembrava molto simile alla Terra. Il tempo passò e l’astronave Eligius IV andò sempre più vicina al pianeta fino a quando non entrò nell’atmosfera. Il pilota Theo Cristoforetti, insieme al copilota, dopo essere scesi nel modulo di controllo della navicella, si accorsero che i comandi non funzionavano più. Questo perché prima che potessero aggiustare la situazione, si ruppe uno dei pannelli solari, provocando un esaurimento dell’energia accelerato. Il pilota, in preda al panico, pur essendo di solito freddo e controllato, iniziò a testare tutti i comandi, senza alcun risultato.


Così Harry, il copilota, che invece solitamente si affidava al pilota, decise di prendere in mano la situazione, afferrò l’interfono, avviò il protocollo di salvataggio e disse: - A tutto l’equipaggio: la navicella Eligius IV non è più sotto controllo. Protocollo d’emergenza!! A quel punto, tutto l’equipaggio si avviò con ansia a prendere le tute spaziali, fino ad arrivare al modulo 2, per utilizzare le navicelle d’emergenza. Stavano per entrare nelle navicelle, quando una si staccò dal razzo. Non c’era spazio per Olga, Gaetano e Pablo. Per fortuna la navicella era fuori dal razzo, quindi non fu risucchiato nulla dal vuoto. Il tempo passò veloce, e gli astronauti, non sapendo che fare, arrivarono alla conclusione che non c’era altro modo che far mettere i tre in altre navicelle. I sette partirono il prima possibile e atterrarono su un campo di frutti del pianeta Clover, lasciando cadere e rompere l’astronave. Solo allora, sani e salvi, notarono le stranezze di quel pianeta. La biologa Olga vide e analizzò i frutti, accorgendosi che erano privi di succo, così disse: - Guardate qui! Questi frutti sono molto più nutrienti rispetto a quelli della Terra, pur essendo senza succo. Questo pianeta è un miracolo della biologia! In tutta questa situazione, Gaetano, il capitano, guidò l’equipaggio e disse: - Signori, dobbiamo avviarci, e cercare informazioni su questo strano pianeta. Non possiamo stare qui con le mani in mano! A questo punto, senza alcuna obiezione, gli astronauti iniziarono ad incamminarsi fino ad arrivare a quella che sembrava una città. Pablo, alzò gli occhi e vide delle macchine volare: rimase esterrefatto. Inoltre, senza farsi vedere, scorse dei veri e propri teletrasporti e disse: - Wow! È assurdo, noi proviamo a costruire questi marchingegni da secoli e questi esseri ce l’hanno già fatta, devono essere davvero intelligenti! Il gruppo iniziò a girare per le città, ma senza farsi vedere e notarono che la maggior parte degli abitanti erano almeno due metri e

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novanta (il che era normale, dato che il pianeta aveva una gravità inferiore rispetto alla Terra), con occhi neri e piccoli e un colorito della pelle sul grigio. Sembravano portare al fianco degli strumenti simili a laser, da quel che poterono constatare dal loro uso, avendo notato uno di loro “tagliare” un albero con estrema facilità. Finalmente il comandante Vittori e il suo vice, constatata la vita pacifica degli abitanti, cercarono con vari dispositivi tecnologici dello stesso pianeta, di comunicare con la gente che viveva là. Però all’inizio l’equipaggio terrestre non capiva quale messaggio stessero loro trasmettendo. Erano suoni gutturali che al loro orecchio apparivano nulla di più di un picchiettio. Prima ancora che Pablo Nespoli riuscisse a mettere a punto un decodificatore di quelle frequenze, il suo omologo di Clover risolse il problema grazie ad un circuito elettrico potentissimo. I Cloveriani davano loro il benvenuto e si offrivano di aiutarli ad aprire una comunicazione con il loro pianeta d’origine. Dopo essersi ambientati, il capitano Vittori chiese ai Cloveriani di poter costruire una torre di comunicazione per tentare di raggiungere Terra. Il loro pensiero non cessava di andare ai loro concittadini in pericolo di vita. Non solo quel popolo ospitale acconsentì, ma si offrì di aiutarli. Grazie alla loro tecnologia aliena si misero alacremente al lavoro. Non sarebbe stato facile, ma si riaccese la speranza per tutti loro. Dopo mesi che sembravano infiniti riuscirono a creare questa grande torre: erano molto soddisfatti del lavoro ottenuto. Gaetano, il comandante della navicella, chiese a Pablo, ingegnere tecnico, di mettere in funzione lo strumento di comunicazione e di captare e analizzare qualunque informazione. Le trasmissioni finalmente si attivarono. Milioni di dati li raggiunsero: una valanga difficile da analizzare e discernere. Di tanto in tanto, trovavano video con la notizia del loro successo, talaltra in cui li davano definitivamente per dispersi, lo scoramento di sapersi un pianeta morente…

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Occorsero entusiasmanti mesi di lavoro, dove la speranza volava alta, finché Olga e Hannah, facendo alcuni riscontri, si accorsero che nel pianeta in cui si trovavano gli anni trascorrevano in maniera molto più lenta rispetto a quella della Terra. Infatti, quello che per loro erano stati pochi mesi, sulla Terra corrispondeva a miliardi di anni! Quindi, era tutto perduto, non c’era più nulla da fare: il Sole era entrato nella fase di gigante rossa e si era raffreddato, quindi i pianeti di quel sistema, compreso la Terra, erano freddi e sterili! Sperarono di trovare informazioni sul trasferimento dei terrestri in altri pianeti, su altre missioni più fortunate della loro, ma non sembrano essercene. Gli astronauti si resero conto che erano gli ultimi della loro specie e che per loro ormai non c’era più via d’uscita: erano quindi costretti a rimanere lì fino alla fine dei loro giorni.

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Ringraziamenti Ringrazio tutti i giovanissimi autori, che hanno messo tutta la loro creatività e passione nel lavoro.

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Postfazione

È bello festeggiare insieme il sesto anno di questa collana scolastica di scrittura collettiva. Al di là di antecedenti letterari di fama da cui trarre ispirazione, il mio obiettivo era ed è rimasto quello di far scrivere, anche ai più giovani e inesperti, dei racconti lunghi, ispirando loro la passione per la letteratura. La scelta è ricaduta sulla fantascienza e sul fantasy, argomenti per eccellenza amati dagli adolescenti ed erroneamente relegati a letteratura di genere. Siamo partiti, perciò, dalla lettura e analisi, da un lato de La Svastica sul Sole di Philip Dick, capolavoro ucronico su una realtà in cui i nazisti hanno vinto la Seconda Guerra Mondiale e dall’altro di Harry Potter e la pietra filosofale, la famosa saga del maghetto di Hogwarts. In particolare, la prima parte, destinata alla seconda, raccoglie racconti sui mondi fantasy, toccando le corde dell’epica, intrise di magia, con personaggi provenienti dalle leggende celtiche. Tra portali, maghi, fate e animali ircocervi navighiamo nell’universo della pura fantasia. La seconda parte è, invece, dedicata alla terza, a cui ho reso il percorso un po’ più complesso, perché scrive insieme a me da più di due anni. A loro ho chiesto di proporre cinque tipologie, precedentemente spiegate, di fantascienza: la sociologica, la cyberpunck, dei robot, dei viaggi spaziali e l’ucronia.

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Detto ciò, le fasi di elaborazione sono state quelle dell’edizione precedente. Ovvero, per prima cosa ho lanciato un concorsino di idee, sui temi e le tecniche stabilite. A seguire i partecipanti hanno elaborato una sceneggiatura dettagliata, suddivisa in tanti episodi quanti erano gli scrittori. Successivamente i ragazzi hanno lavorato insieme per le descrizioni delle ambientazioni e dei personaggi comuni. Quindi, ho assegnato a ciascuno un episodio da redigere per una lunghezza media di una facciata A4 in times new roman 12, con scelta narratologica della terza persona onnisciente al passato remoto. I ragazzi sono stati guidati nell’autocorrezione formale o di incoerenze contenutistiche. Non ultima hanno affrontato anche l’ardua prova della ricerca di un titolo: evocativo, ma non rivelatore. Infine, i loro lavori limati sono stati corredati anche di copertine, da loro stessi progettate e realizzate. Quindi, che dire? Questi ragazzi si sono impegnati davvero tanto e si meritano un grande plauso tanto da me quanto da voi lettori ☺ Cinzia Di Mauro

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INDICE Fantastorie 1 Antologia di racconti fantasy e fantascientifici

Fantasy 2 I cinque laghi incantati 3 Misteri dell’oscurità 9 La scienza di Adèle 15 The jungle game 25 Fantascienza 31 Cyber attack 32 L’invasione degli androidi 38 Emergenza api: soluzione finale 44 Tramonto sulle Torri 49 L’ultima speranza 57 Ringraziamenti 64 Postfazione 65

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La capacità di raccontare storie e di creare mondi fantastici è ciò che contraddistingue da sempre l’umanità ed è un meraviglioso dono. Ci dà, infatti, la possibilità di fuggire dal reale e dalla stancante quotidianità toccando le corde del sovrumano, dell’eccezionale, del lontano da noi. Ed ecco che il fantasy ci fornisce quella magia che tanto ci manca per condire al meglio la nostra esistenza, con quest di oggetti misteriosi, contro fate malvagie, attraversando portali verso altri universi. Ma saremo sempre e comunque protagonisti di avventure epiche, in compagnia degli amici più fedeli, fino alla vittoria del Bene. Dall’altro lato la fantascienza ci farà affrontare scontri tra gli uomini e le macchine, sfide scientifiche per ridare vita alle api salvifiche, per cercare una nuova Terra o malinconiche prospettive di mondi pacificati con le Torri Gemelle ancora intatte. Sempre e comunque si tratterà di lottare per la salvezza dell’intero pianeta. Ce la faremo? Scopritelo con questa lettura. Lasciatevi conquistare dal quinto potere: l’immaginazione!

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