Dietro la metropoli: Appunti per un nuovo entroterra Siciliano

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DIETRO LA METROPOLI

Agatino Rizzo, dottore di ricerca in pianificazione territorialeurbanistica, si e' laureato ed ha condotto attivita' di ricerca presso l'Universita' di Catania nelle facolta' di Ingegneria e di Architettura, quest'ultima con sede a Siracusa. L'autore oggi vive e lavora all'estero. web: www.cityleft.blogspot.com

DIETRO LA METROPOLI

Nel corso degli anni molti piani di indirizzo territoriale hanno provato in Sicilia a promuovere una qualche forma di armonizzazione fra l'eccessivo sviluppo dei territori costieri e lo storico sottosviluppo dei territori interni ma senza raggiungere risultati convincenti. L'entroterra è oggi più di ieri un problema sociale perché pone questioni come il riequilibrio territoriale fra aree ricche e povere del Paese, fra zone in continuo spopolamento e zone in continuo inurbamento, fra territori dove ci potrebbe essere sviluppo (locale e sostenibile) e non c'è e zone in cui c'è solo crescita connessa al consumo di suolo e allo sfruttamento di risorse non rinnovabili.

Appunti per un nuovo entroterra Siciliano

La necessità di riannodare le connessioni fra sistemi territoriali "veloci", "lenti" e "lunghi" sembra ormai improrogabile per tentare di invertire il declino ambientale, sociale ed economico che da qualche anno con più forza ha investito le regioni meridionali italiane. Attraverso una metodologia ibrida che utilizza descrizione, analisi quantitativa e rappresentazione cartografica si è voluto raccontare la storia dellentroterra nel Mezzogiorno d'Italia considerando la Sicilia come caso di studio ed avendo per obiettivo il tentativo di proporre nuove strade per lo sviluppo di questa parte del territorio italiano.

90000

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9 781470 952280

AGATINO RIZZO

ISBN 978-1-4709-5228-0

AGATINO RIZZO






Indice Sommario ............................................................................................... 7 Abstract................................................................................................... 8 Introduzione.......................................................................................... 11 1. Il caso di studio............................................................................. 17 2. La metodologia di studio .............................................................. 19 3. Leggere l’entroterra siciliano attraverso i piani di sviluppo dell’ultimo secolo........................................................... 21 3.1. Ante 1950: l’eversione del latifondo e la ripartizione in massa della terra ............................................. 23 3.2. 1950 – anni Settanta: dalla Riforma Agraria del latifondo ai piani dell’Ente Sviluppo Agricolo ...................... 29 3.3. Anni ottanta - metà anni novanta: il Piano Regionale di Sviluppo ............................................................ 33 3.4. Metà anni Novanta - oggi: il Piano Territoriale Paesistico Regionale............................................................... 37 4. Un viaggio dalla costa verso l’entroterra siciliano ....................... 39 4.1. Territori veloci....................................................................... 41 4.2. Territori lenti.......................................................................... 45 4.3. Territori lunghi ...................................................................... 47 5. Rappresentare la complessità del territorio siciliano .................... 51 5.1. Macro-ambito morfologico ed ambientale ............................ 53 5.2. Macro-ambito antropico e culturale....................................... 55 5.3. Macro-ambito economico e demografico .............................. 59 5.4. Intersezioni e prime conclusioni............................................ 63 6. Una nuova metodologia di studio per la formazione dei Piani di Area Vasta ....................................................................... 69 6.1. La fase analitica ..................................................................... 71 6.2. La fase progettuale................................................................. 73 7. Conclusioni: appunti per un nuovo entroterra siciliano................ 77 Bibliografia........................................................................................... 81


Appendice A L’analisi quantitativa dei fenomeni geografici ..................................... 87 I. Introduzione all’analisi quantitativa dei fenomeni geografici ............................................................................... 89 II. La Geographic Information Analysis....................................... 91 III. Patterns o studio della distribuzione di eventi in campo territoriale ................................................................... 97 IV. Sintetizzare la complessità: l’analisi delle componenti principali........................................................... 103 V. Indicatori utilizzati nel caso di studio .................................... 105 Appendice B Tecniche di visualizzazione delle informazioni geografiche.............. 107 I. Introduzione alle componenti caratteristiche di una carta...................................................................................... 109 II. Mapping o analisi dei metodi di rappresentazione cartografica........................................................................... 113 III L’editing di una mappa: il colore ed il testo come elementi problematici della rappresentazione cartografica........................................................................... 121 IV. Considerazioni finali sull’editing di una mappa................... 123 Appendice C Repertorio ragionato dei modi di rappresentazione del territorio siciliano ............................................................................... 125


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Sommario L’obiettivo di questa tesi è stato quello di capire in che termini l’entroterra del Mezzogiorno d’Italia può contribuire alla definizione di nuove politiche di sviluppo per le regioni a ritardo di sviluppo nell’UE. Da questo punto di vista la Sicilia è servita da caso di studio di una tematica che si estende a gran parte delle regioni italiane lungo l’Appennino d’Italia. La tesi sottesa da questo studio è che una corretta valutazione delle potenzialità/problematicità dell’entroterra siciliano rappresenta l’orizzonte di riferimento per un corretto sviluppo ambientale, economico e sociale dell’Isola. Questa tesi rappresenta soprattutto uno sforzo di produrre un pratico, fattibile ed originale studio su una parte del territorio italiano che è un importante caso di studio in seno la tematica dello sviluppo delle regioni europee affacciate sul Mediterraneo. La tesi inizia con una serie di “sezioni” storiche sulla politica di sviluppo regionale nell’entroterra siciliano. Successivamente sono state studiate le principali caratteristiche attuali del territorio siciliano attraverso tre strumenti: descrizione, analisi quantitativa e rappresentazione cartografica. Questi strumenti sono stati utilizzati in maniera complementare allo scopo di restituire una sorta di immagine “densa” del territorio siciliano. Il modello di lettura proposto in questa tesi si fonda sulla possibilità di “misurare” la velocità dei processi di trasformazione del territorio. Questo permette di distinguere territori veloci - le aree metropolitane costiere - da territori lenti - gli spazi proficuamente coltivati connessi alle principali aree urbane dell’Isola - e infine da territori lunghi - gli ampi spazi poco popolati che stanno nell’entroterra. Da questo punto di vista misurare la “velocità” di un territorio diventa metafora per un nuovo modello di pianificazione che, basandosi su nuove “geometrie territoriali” e strumenti di analisi, centralizza l’entroterra nelle nuove politiche di sviluppo territoriale.




«È di gran lunga questa la realtà agricola più vasta e caratteristica del Mezzogiorno. Appena vi distaccate dalla costa e dalle brevi pianure in cui essa talvolta s’allarga e salite le prime propaggini dell’Appennino, vi troverete di fronte, salvo qualche zona, allo stesso quadro: terre nude e franose, in gran parte seminate e in parte a pascolo più o meno degradato; solo qua e là, sui monti più alti, il bosco, un residuo del bosco che copriva un tempo estensioni ben maggiori; non una casa in campagna, se non qualche sperduta “masseria” o qualche capanna, e la popolazione tutta concentrata nei borghi, più o meno grossi, arroccati nei monti più impervi.» (Manlio Rossi Doria, Strutture e problemi dell’agricoltura meridionale, 1956)

«Intesa in tal modo però la scienza […] non è strutturabile, per Cattaneo, a mo’ di trattazione sistematica o istituzionale, ma consiste solo in problemi: e l’unica ragione del lavoro culturale sono i problemi che investono di volta in volta diverse aree di scienza. Ma quando una di queste aree vuole elevarsi a istituzione, diventa una astrazione. In sostanza ogni area denominata della scienza ha valore solo se riesce a indagare proficuamente – e quindi aiutare a risolvere – dei problemi singoli o integrati fra loro: poiché la scienza per Cattaneo, è utilità sociale. Invece essa non ha valore quando seziona o divide i problemi in tronchi […].» (Lucio Gambi, Uno schizzo di storia della geografia italiana, 1970)

«Quando tutta una zona diventa “scarto” ci troviamo di fronte a uno dei cambiamenti ambientali più dolorosi e che meno siamo preparati a risolvere: l’abbandono progressivo. È un cambiamento che pesa sulla popolazione in modo ineguale perché sul posto rimangono gruppi di persone con servizi degradati in una società sfasciata. I luoghi abbandonati creano un’immagine inquietante di morte e decadenza.» (Kevin Lynch, Il tempo dello spazio, 1977)


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Introduzione Per capire meglio l’oggetto del presente studio sarà forse più opportuno servirsi di alcune pagine delle lezioni di geografia di Franco Farinelli (2003) e più precisamente di quelle che raccontano il passaggio dal mondo dei luoghi, il medioevo, a quello dello spazio, l’epoca moderna, attraverso l’esperienza di due personaggi: Marco Polo, il grande viaggiatore di epoca medievale, e Cristoforo Colombo, il primo e forse il più importante dei viaggiatori moderni. Nella visione di Marco Polo il mondo è irriducibile ad una mappa ed il suo viaggio da Venezia alla Cina si può meglio spiegare con il rapporto fra le figure del luogo e della durata. Un luogo per Polo sarebbe potuto durare un arco temporale imprecisabile a seconda se si fosse viaggiato per percorsi montuosi o in piano, via acqua o a cavallo, in condizioni metereologiche severe o agevoli. Per Colombo invece le cose stavano in maniera radicalmente opposta. Egli doveva dimostrare che il viaggio da ovest verso le Indie sarebbe risultato conveniente in termini di tempo e di spazio, e quindi di velocità, rispetto alla canonica via da est, attraverso cioè i deserti dei paesi mediorientali. Spazio e tempo sono due costanti del pensiero colombiano rintracciabili nelle mappe e negli appunti, sugli spazi percorsi e sui tempi impiegati - peraltro tutti “diligentemente” errati -, del suo diario di bordo. Ma se spazio e tempo sono le basi della modernità, i “mattoni” del mondo così come oggi lo si concepisce e lo si riproduce, luogo e durata sembrano proprietà resistenti benché marginali nell’immaginario collettivo. Se la città, dove oggi vive il 60% della popolazione mondiale, sembra ancora oggi il meccanismo più efficiente per la produzione di surplus – economico, culturale – accanto ad essa è tuttavia ancora possibile riconoscere luoghi in cui la velocità, di spostamento e di comunicazione, sembra ancora un bene accessorio o comunque ne esce ridimensionata nei suoi risvolti più significativi. Questo è il caso dell’entroterra nel Mezzogiorno d’Italia: un territorio montuoso ed isolato, attraversato sporadicamente da importanti assi infrastrutturali, intessuto da un antico reticolo di strade e trazzere, giacimento di un importante patrimonio ambientale e culturale, interessato da un continuo saldo migratorio negativo. Sebbene oggi l’entroterra sembra riacquistare un nuovo peso scientifico, tale da renderlo oggetto di una grande quantità di studi riguardanti principalmente il patrimonio naturale ad esso pertinente, bisogna ancora registrare la sua posizione di marginalità rispetto ad un dibattito urbanistico che quasi sempre rimane circoscritto alle città, aree metropolitane e distretti industriali. Se infatti fino agli esordi del secondo conflitto mondiale lo sviluppo dei territori interni nel Mezzogiorno viene visto ancora come un


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problema di equità sociale e di lotta di classe, è solo dal secondo dopoguerra in poi che l’entroterra diventa oggetto di piani di settore che ne impoveriscono il suo significato territoriale, eliminando cioè i suoi contenuti sociali. Solo dalla metà degli anni ottanta si comincia a pensare all’entroterra in termini territoriali, sebbene con piani troppo farraginosi ed in parte poco attuabili, e bisognerà aspettare la metà degli anni novanta per pensare al loro sviluppo in termini di sostenibilità ambientale e poi culturale. Ad ogni modo la riforma delle politiche di sostegno al mercato agricolo comunitario hanno prodotto un continuo calo dei prezzi dei prodotti che hanno costretto molte aziende operanti nell’entroterra a chiudere. La liberalizzazione quindi del mercato agricolo ha quindi portato ad orientare la ricerca in campo agrario verso possibili strategie di ristrutturazione dei rapporti fra economia e territorio rurale. Fra queste le principali, quelle che fanno leva sullo sviluppo locale dei paesaggi rurali, sono «l’integrazione dell’agricoltura con l’agroindustria» e la «valorizzazione della plurifunzionalità» delle attività agricole (Giau 2000). Se la prima serve alla nascita di distretti in grado di catalizzare le «energie imprenditoriali diffuse» per la realizzazione di economie di scala soddisfacenti, la seconda mette in evidenza l’importante funzione dell’agricoltura di salvaguardare paesaggi, culture, tradizioni locali. Anche nel panorama urbanistico italiano, attraverso gli importanti contributi della scuola territorialista italiana guidata da personaggi quali Magnaghi e Dematteis, si comincia a pensare allo sviluppo «auto-centrato» ed «auto-sostenibile» dell’ecosistema territoriale. Una nuova teoria di termini, come patrimonio e risorsa territoriale, atlante e statuto dei luoghi, conoscenza diffusa ed esperta, cominciano così a costruire un rinnovato dizionario urbanistico, oggi ricco di strategie per la formazione dei piani di sviluppo territoriale. Da questo punto di vista l’Italia sembra essere fra i primi Paesi a porsi la problematica dello sviluppo sostenibile dei territori rurali in chiave sociale e culturale. Guardando infatti al dibattito europeo non sfugge che sebbene siano trascorsi dieci anni dall’approvazione dello Schema di Sviluppo dello Spazio Europeo (SSSE), unico strumento di sviluppo territoriale varato dall’Unione Europea e che ha tra i suoi obiettivi il riequilibrio territoriale delle risorse a vantaggio dei territori rurali, il fenomeno di polarizzazione di attività, popolazione, risorse economiche nella cosiddetta area del “Pentagono1”

1 Il “Pentagono” è la metafora per quell’area all’interno dell’UE il cui perimetro è individuato dalle città di Londra, Parigi, Milano, Monaco ed Amburgo. All’interno di questa zona, che rappresenta il 20% dell'intero territorio dell'Unione, viene prodotto il 50% del PIL totale dal 40% della popolazione EU15. Le aree periferiche (Portogallo, il sud della Spagna, il


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continua ad aumentare. Nonostante quindi l'Unione Europea sia una delle aree più ricche del pianeta, all'interno di essa si consumano disparità economiche, sociali ed ambientali che determinano l’abbandono di grandi porzioni di territorio a favore di processi di polarizzazione in zone già ricche. D’altra parte lo stesso documento denunciava già, in fase di stesura, l’esistenza di zone rurali soggette ad un costante spopolamento soggette a fenomeni di “implosione” sotto il peso crescente della domanda di alloggi, seppur stagionali, dalla città. Marsden (2005 e 2008) d’altra parte si era già qualche anno prima posto i problemi derivanti da una politica europea puramente settoriale per lo sviluppo dei territori rurali. Attraverso una metodologia di analisi in parte simile a quella che aveva consentito a Weaver di criticare il turismo di massa, Marsden mostra come ad un potenziamento della filiera agricola verso prodotti di massa, è possibile opporre altre strategie che vanno dalla produzione di prodotti di nicchia fino alla completa ristrutturazione del territorio rurale. I tentativi di favorire il ri-equilibro territoriale – attraverso lo sviluppo di colture agrarie efficienti e redditizie, il turismo diffuso, la produzione di energia da fonti rinnovabili diffuse, la diversificazione economica, la cooperazione fra aree urbane forti ed aree rurali deboli, lo sviluppo di rete di telecomunicazione che potrebbero favorire lo sviluppo di regioni a bassa densità (tele-lavoro, e-learning, tele-medicina), la responsabilizzazione della figura dell’agricoltore nella conservazione dei paesaggi culturali (SSSE 1999) – si sono purtroppo infranti contro la stessa metafora del territorio-rete supportato da una politica di sviluppo dell’Unione Europea settorializzata. In altre parole il rafforzamento della struttura reticolare del territorio, facendo leva su un pesante rimaneggiamento infrastrutturale allo scopo di costituire una rete di corridoi trans-nazionali2, ha di fatto vanificato il recupero diffuso dei paesaggi rurali. L’aver “agganciato” al network le sole città metropolitane senza porsi il problema degli effetti di una già precaria condizione dei paesaggi rurali ha di fatto de-territorializzato le politiche di sviluppo per l’entroterra contribuendo da una parte allo sfascio dei paesaggi rurali nelle vicinanze delle metropoli e dall’altra all’immobilizzazione di quelli lontani favorendone lo spopolamento. Se si aggiunge a questi gli effetti di una riforma della Politica Agricola Europea, che liberalizzando i mercati ha favorito l'abbandono degli usi agricoli per una forbice, stimata al 2000, del 30% - 80% delle attuali terre coltivate, il quadro attuale dei territori interni su scala europea pare allarmante. Il documento del 2003, relativo sud dell'Italia e la Grecia), per converso, non riescono a raggiungere nemmeno il 50% della media europea del PIL procapite. 2 Si fa riferimento alla rete Transport European Network.


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all’aggiornamento dello SSSE in vista dell’allargamento, non aggiunge molto altro ai contenuti iniziali del documento limitandosi a dichiarare la necessità di ottenere grandi investimenti per la ristrutturazione dell’economia rurale, ma senza poi chiarire le strategie per far questo. Richardson (2000) è fra quei ricercatori europei che mettono in guardia su due possibili minacce, l’una lo specchio dell’altra: da una parte la crescente competizione fra aree che sono ormai ridotte a pure “regioni funzionali” (GFOBRP 2000) e non più territori intrisi di qualche riferimento ai valori locali, dall’altra l’apparente assenza di un dibattito accademico su questo argomento. Anche Courtney e Errington (2003) mettono in evidenza l’estremo bisogno di mettere appunto meccanismi in grado di stimolare lo sviluppo dell’entroterra a scala europea sottolineando l’importanza di quel network – che gli stessi provano a misurarne la forza attraverso indicatori empirici - di medie e piccole città disseminate nei territori rurali. Ma è Marc Antrop (2004) a denunciare l’indifferenza di una politica di sviluppo dei territori rurali uguale, su scala europea, da Nord a Sud, mettendo correttamente in evidenza le diverse velocità di particolari tipi di territorio che permettono, da una parte, tassi di inurbamento nelle metropoli pari all’80%, e dall’altra, un saldo costantemente negativo della popolazione rurale (Antrop 2004 e 2005). È solo quindi studiando i territori interni sul piano regionale che si capiscono dinamiche altrimenti incomprensibili su scala locale3. È quindi in questi termini che, secondo Antrop, si può interpretare l’esigenza espressa dalla Convenzione Europea sul Paesaggio (2000) di costruire una tassonomia di paesaggi. Questo atlante del paesaggio europeo diventa così una condizione necessaria per sostenere, per dirla alla Magnaghi, lo sviluppo locale «auto-centrato» dei territori interni. Lavorando su queste ipotesi, Antrop e Van Eetvelde (2004), mettono appunto una metodologia di studio che fa leva sull’uso di tecnologie GIS per confrontare le dinamiche di occupazione del territorio e di trasformazione dei paesaggi agrari nel sud della Francia. I risultati mostrano contrastanti processi di intensificazione agricola e di abbandono del paesaggio rurale, ma anche denunciano la necessità di un approccio metodologico più completo alo scopo di indagare quelle dinamiche che sono invisibili agli strumenti informatici. La finalità del presente studio è stata quella di provare a mettere a punto un metodo di studio ed un modello di lettura in grado di registrare la velocità dei processi di appropriazione e di trasformazione del territorio siciliano e capaci di poter suggerire nuove scenari di sviluppo per bisogni sociali 3 Come peraltro aveva già denunciato Marsden nel 1999 in “Rural Futures: The Consumption Countryside and its Regulation” (cfr.).


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continuamente precari e conflittuali. Il caso di studio scelto è quello che fa riferimento all’entroterra siciliano, estromesso dai processi di industrializzazione dell’Isola nell’immediato secondo dopoguerra perché incapace di integrarsi nei modi che la produzione industriale di massa richiedeva. Per affrontare le problematiche anzi accennate, riassunte in maniera più sistematica al capitolo 1, è stato messo a punto, al capitolo 2, un apparato metodologico che usa descrizione, analisi quantitativa e rappresentazione cartografica per la definizione di una immagine “densa” del territorio siciliano. Partendo da una attenta analisi della pianificazione regionale siciliana dell’ultimo secolo, al capitolo 3, è stato elaborato un modello descrittivo del territorio siciliano, ai capitoli 4 e 5, che considera la velocità dei processi di trasformazione territoriale come aspetto determinante per la pianificazione di uno sviluppo locale durevole. Da questo modello sono poi scaturiti strumenti di misura delle velocità territoriali ed una possibile nuova geometria territoriale che si fonda sul mosaico di “pezzi” trovati. Tale approccio metodologico è stato poi preso a spunto, al capitolo 6, per elaborare una nuova procedura di analisi e formazione dei piani d’area vasta, oggi strumenti indispensabili per ripensare allo sviluppo territoriale dei territori interni. Nelle conclusioni, al capitolo 7, sono state tracciate le possibili applicazioni di questa ricerca e i futuri percorsi di sviluppo. La tesi inoltre si compone di tre appendici (A, B e C) di cui le prime due riguardano le tecniche di analisi e rappresentazione dei fenomeni territoriali mentre l’ultima raccoglie le mappe che sono state utilizzate nella trattazione del caso di studio. Attraverso questa sequenza ordinata di mappe è stato possibile leggere una evoluzione dei modi di rappresentazione del territorio che sono lo specchio dell’evoluzione dei paradigmi scientifici di riferimento che si sono succeduti nel corso degli anni. In definitiva questa ricerca si pone quindi come un tentativo, uno fra i tanti possibili, di ricomporre sulla tavola, o se si vuole sulla carta, quei pezzi dell’entroterra nel Mezzogiorno d’Italia che dalla storia ne è uscito fatto a pezzi.



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1. Il caso di studio In questa tesi si è scelto di considerare il territorio siciliano come caso di studio allo scopo di esemplificare una serie di problematiche connesse allo sviluppo dell’entroterra che di per sé stesse interessano la gran parte del Mezzogiorno d’Italia ed una parte importante del territorio sud-europeo. Osservando le specificità di un territorio complesso e variegato come quello siciliano è forse utile cominciare già da subito a mettere in evidenza quelle tipologie urbane che accompagneranno il lettore durante tutto il percorso analitico di questa tesi. Fra queste, le aree metropolitane sono una tipologia urbana ed un argomento di studio tutt’altro che definitivamente discusso nel meridione d’Italia. La dinamicità delle città capoluogo di provincia, specie quelle situate sulla costa, “innesca” un bacino d’utenza che prescinde i confini amministrativi puri delle città e si apre verso territori che acquisiscono, più o meno consapevolmente, vantaggio da questa condizione. Se si volesse utilizzare una definizione flessibile di area metropolitana, quindi ben lontana da quella di una normativa siciliana ormai obsoleta4, si potrebbe dire che in Sicilia esistono almeno nove agglomerati metropolitani: Palermo e la conca di comuni che convergono su di essa, il sistema urbano Trapani-MarsalaMazara del Vallo, Agrigento ed i comuni limitrofi, il sistema EnnaCaltanisetta, il sistema industriale Gela-Butera, il sistema agro-industriale e turistico centrato su Ragusa e Modica, il nastro urbanizzato che da Siracusa si estende al grande agglomerato industriale di Augusta-Priolo-Melilli, il ventaglio di comuni che convergono su Catania e che si allunga verso Messina, il sistema industriale che va da Messina a Milazzo. Ma guardando con più attenzione alle specificità economiche e relazionali dei sistemi urbani appena elencati risulta possibile discernere agglomerati urbani caratterizzati da una abbondante dotazione di servizi complessi (accentramenti statali, servizi alle imprese, centri di ricerca, università, aeroporti internazionali). Questo è il caso di Palermo, Catania e Messina - in parte di Siracusa, Ragusa e Trapani. Accanto a questi complessi sistemi urbani esistono delle ampie fasce di territorio dove le principali fonti di sviluppo sono l’agroindustria e il turismo diffuso. Questo è un territorio “orizzontale”, che mantiene cioè i connotati di territorio rurale produttivo - coltivazioni di tipo intensivo ed allevamenti finalizzati alle produzioni delle carni e/o alla trasformazione casearia – e dell’insediamento urbano diffuso ma strutturato all’interno di “poligoni” di città di media e piccola dimensione come nei casi riguardanti: l’entroterra 4 Legge Regionale n. 9 del 06-03-1986 - Istituzione della Provincia Regionale - Bollettino Ufficiale della Regione Sicilia n° 11 del 8 marzo 1986.


18 | Capitolo 1 | Il caso di studio

trapanese e di quelle fasce di territorio comprese fra Agrigento e Caltanissetta, Vittoria e Pachino, Bronte e Randazzo; il versante tirrenico dei Nebrodi (che fa centro su Capo d’Orlando); la parte del Val di Noto e del Calatino. È qui che appena il 21% della Superficie Agraria Utilizzata, interessata dai comparti agricoli competitivi (pianura: ortofloricolo, agrumicolo, viticolo, olivicolo irriguo, zootecnico industriale), assorbe qualcosa come il 67% delle giornate occupate, contribuendo a realizzare il 74% dell’intera Produzione Lorda Vendibile (PLV) regionale (Fardelli 2000). Categorie di lettura come “aree metropolitane” e “distretti agroindustriali” non sembrano sufficienti a chiarire cosa è l’interno dell’Isola: un territorio montuoso, isolato, attraversato sporadicamente da importanti assi infrastrutturali (l’autostrada, gli elettrodotti, gli oleodotti), intessuto da un antico reticolo di strade e trazzere. Ampie distese di coltivazioni di tipo estensivo, spesso asciutto, si alternano in questo entroterra a spazi aperti accidentati o coperti da boschi. Territorio in cui antichi reticoli di città risultano oggigiorno interrotti lasciando quello che rimane di questi borghi in balìa di un processo di spopolamento costante. Da un punto di vista economico sono fattori come la polverizzazione produttiva5, commerciale e dell’industria di trasformazione che contribuiscono a frenare lo sviluppo dei territori interni siciliani6. Anche i servizi pubblici all’impresa necessari sia per la evoluzione tecnologica, organizzativa e commerciale delle filiere, sia per la valorizzazione delle risorse naturali del territorio, sono carenti o addirittura assenti. L’andamento della Produzione lorda vendibile regionale è così negli ultimi quindici anni calata del 22% con pesanti ricadute nel settore occupazionale (Fardella 2000). Le energie dei sistemi ambientali posti nei territori interni sono fino ad oggi state utilissime per l’iper-sviluppo delle città costiere. Basti pensare alle falde acquifere, ai giacimenti di preziosi inerti, serviti per la costruzione del tessuto urbano, alle foreste e così via. È anche responsabilità di queste città più sviluppate quello di salvaguardare il patrimonio rurale e favorire la nascita di percorsi di sviluppo anche alternativi. Oggi è data la possibilità di guardare ai territori interni non più come «[…] “territori marginali”, non ancora sviluppati e da sottoporre a “sviluppo”, ma come veri e propri laboratori di una geografi alternativa dello sviluppo stesso» (Lo Piccolo e Schilleci 2005).

5 La superficie media delle aziende siciliane risulta pari a 4,6 Ha di Sau, rispetto ad una media nazionale di 5,9 Ha ed .europea di 17,5 Ha 6 REGIONE SICILIANA - ASSESSORATO AGRICOLTURA E FORESTE (2004) Il sistema agricolo nelle aree rurali della Sicilia, Palermo.


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2. La metodologia di studio La Teoria Generale dell’Urbanizzazione doveva essere, secondo l’autore che l’ha redatta, molto di più che il piano per la sola città di Barcellona, capoluogo della regione spagnola della Catalogna. Basterebbe fare caso, come spiega Lopez (1985), all’indice complessivo dell’opera per rendersi conto che una parte corposa del volume riguardava l’analisi del metodo proposto da Cerdà. La parte seconda, L’urbanizzazione come scienza, e quella terza, L’arte di applicare i principi teorici, dovevano probabilmente riguardare una più ampia trattazione sul metodo di quella che sarebbe stata la futura scienza urbanistica. L’Example, il progetto di ampliamento della città di Barcellona, non era altro che un caso di studio. Un rapido esame dell’opera (Lopez 1985) mette in evidenza la capacità di Cerdà di utilizzare descrizione, numero e rappresentazione in maniera complementare, senza apparenti conflitti: nel volume primo utilizza il testo per descrivere la città come oggetto astratto (descrizione), il secondo volume affronta il caso concreto di Barcellona evidenziandone dapprima le problematiche attraverso elaborazioni statistiche (il numero) e successivamente proponendo soluzioni attraverso il progetto (rappresentazione). A ben guardare quindi dalla Teoria emerge il primo nucleo di una analisi urbana che sarebbe stato poi ripreso ed ampliato da Geddes cinquanta anni dopo con l’invenzione, oggi più attuale che mai, delle Outlook Towers. Questi “laboratori multi-disciplinari”, nella mente di Geddes, dovevano funzionare come degli osservatori del territorio. In questi luoghi si sarebbe dovuta produrre - per mezzo di analisi scientifiche, valutazioni di scenario e partecipazione dei cittadini - la conoscenza del territorio come mezzo imprescindibile per la sua pianificazione (Geddes 1915). Nell’ambito di questa ricerca si tenterà di ripercorrere queste antiche “tracce” senza dimenticare i fondamentali contributi che la scoperta della complessità prima e la straordinaria diffusione di potenti strumenti di calcolo statistico e di rappresentazione poi hanno dato all’analisi urbana. Secondo Bateson (1972) «[…] nella ricerca scientifica si parte da due fattori iniziali, ciascuno dei quali ha un suo tipo di autorità: le osservazioni non possono essere confutate, e i principi fondamentali devono risultare verificati: si deve compiere una specie di manovra a tenaglia.» Da questo punto di vista descrizione, analisi e mappa si comportano come una «tenaglia» appunto, nel tentativo di mettere a fuoco la complessa realtà del mondo che ci circonda. Sebbene descrizione, analisi quantitativa e rappresentazione cartografica rappresentano degli efficaci strumenti di analisi, i risultati da questi prodotti sarebbero inutili senza una attenta analisi delle politiche di sviluppo dell’entroterra pregresse ed in via di definizione. Capire i limiti, ma anche le potenzialità inespresse, di vecchi impianti normativi rappresenta il primo


20 | Capitolo 2 | La metodologia di studio

passo per la definizione di una metodologia nuova per la pianificazione delle regioni a ritardo si sviluppo. È però il linguaggio descrittivo, che legge sinteticamente i risultati di dinamiche territoriali stratificatisi nel corso dei secoli, ad essere guida e al tempo stesso sistema di riferimento di un procedimento analitico quantitativo altrimenti inefficace. Se in un primo ed ampio momento quindi si è letto il territorio individuandone quelle caratteristiche che contribuiscono a riconoscere una situazione dall’altra, si è poi proceduto alla scomposizione in parti del territorio attraverso l’individuazione di tre macro-ambiti di riferimento e di un numero variabile di sub-componenti. Successivamente i contributi delle singole variabili sono stati ricomposti attraverso la tecnica dell’overlaying mapping, mediante il GIS, per arrivare alla definizione di un quadro di sintesi delle dinamiche territoriali. Grazie all’utilizzo del GIS, che attraverso le sue proprietà di trasparenza delle operazioni di rappresentazione e di riproducibilità e reversibilità delle stesse, è stato possibile definire una nuova metodologia per la formazione dei piani d’area vasta e avendo come primo obiettivo lo sviluppo dei territori interni a ritardo di sviluppo. La costruzione della conoscenza del territorio attraverso la formazione di atlanti territoriali, cioè di una casistica di dinamiche e di contesti territoriali, rende quindi possibile processi partecipativi che possano aggiungere le informazioni del sapere diffuso in uno strumento che è comunque tecnicooperativo. Questa efficacia «esterna» della rappresentazione cartografica (Magnaghi 2005), che si misura nella capacità di incidere sugli immaginari collettivi, fa da contraltare ad una efficacia «interna» intesa come capacità della rappresentazione di incidere sulla teoria e sulla disciplina urbanistica. Se si vuole descrizione, analisi e rappresentazione costituiscono quei tre stadi della conoscenza che per Humboldt, come per Pierce, sono i fondamenti della conoscenza scientifica (Farinelli 2000). Ed infatti l’olistica «suggestione» (Eindruck) che si ricava dalla descrizione della totalità si misura poi con le cesoie dell’«analisi» (Einsicht) volta ad indagare la natura del particolare. Tutto poi è ristabilito dalla «sintesi» (Zusammenhang) che restituisce non più la superficialità dell’oggetto iniziale ma la complessità fatta dalle interdipendenze degli elementi che la compongono.


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3. Leggere l’entroterra siciliano attraverso i piani di sviluppo dell’ultimo secolo Lo sviluppo dell’entroterra siciliano, fino agli esordi del secondo conflitto mondiale, viene visto come un problema di equità sociale e di lotta di classe, sebbene già da tempo in molti mettano in evidenza tutte le sue contraddizioni di carattere economico e gestionale. È solo dal secondo dopoguerra in poi che l’entroterra diventa materia di sviluppo economico che si consuma in piani di settore indirizzati verso la massimizzazione della produzione lorda vendibile attraverso il potenziamento delle infrastrutture di scopo (strade di penetrazione, elettrificazione della campagne, etc.) e la riconversione colturale. Dalla metà degli anni ottanta, con la scoperta della complessità e l’indebolimento dell’apparato centrale dello stato, ci si accorge che lo sviluppo economico dei territori interni non può essere scisso da una strategia complessiva di riequilibrio a livello regionale - che affronti in maniera globale lo sviluppo ambientale, sociale ed economico. È questa volta l’approccio sistemico il modello verso cui tendono i piani e le politiche di sviluppo per l’entroterra siciliano, attuato attraverso l’utilizzo di modelli riduzionistici (di tipo econometrico) che guidano la scelta degli scenari più opportuni. Da questo punto di vista il piano diventa uno strumento complesso, con diversi gradi di interrelazione interna ed esterna, ed è suscettibile di essere gestito attraverso modelli matematici. Solo dopo aver assodato l’inattuabilità di piani troppo farraginosi, e per certi versi tendenti a semplificare oltre misura i reali bisogni del territorio, lo sviluppo delle aree interne, pur mantenendo i connotati di un problema complesso, viene teorizzato attraverso l’impiego di una strategia culturale mirata ad individuare quella forma di sviluppo sostenibile utile a contrastare il rapido depauperamento dei connotati storici degli insediamenti rurali. È la descrizione, in questo caso, il metodo che guida il processo di piano. Una descrizione che non è solo testuale ma anche iconografica attraverso l’utilizzo di «rappresentazioni dense», di immagini complesse in grado di costruire senso comune e capitale sociale, per trovare modalità alternative di panificazione che valorizzino la progettualità sociale. Il GIS diventa così lo strumento principe per lo studio del territorio e per la trasmissione del sistema di conoscenze. Il piano quindi assume i connotati di strumento pedagogico, di trasmissione del sistema di conoscenza diffuso – delle pratiche e dei saperi tradizionali – ed esperto – delle tecniche codificate nelle professioni intellettuali. L’obiettivo di questo capitolo è quindi «tracciare la rotta» delle politiche di sviluppo territoriale che negli ultimi cento anni hanno riguardato


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l’entroterra siciliano, cercando di riconoscerne le differenze e di esaltarne gli aspetti più significativi. Nel primo paragrafo è stata analizzata la politica di eversione della feudalità, avviata dal governo borbonico all’indomani della conversione del Regno di Napoli in Regno delle Due Sicilie, e la liquidazione, a seguito dell’ostilità fra Stato e Chiesa durante l’unificazione della penisola italiana, degli immensi beni della «manomorta» ecclesiastica. Nel secondo paragrafo sono state messe in evidenza le difficoltà di implementazione di una anacronistica Riforma Agraria siciliana, la acritica politica di industrializzazione pesante della Sicilia, e gli infruttuosi risultati dei piani dell’Ente Sviluppo Agricolo. Nel terzo paragrafo è stato descritto il passaggio, alla fine degli anni ottanta, dal concetto di piano a quello di programma attraverso l’occasione mancata del Piano Regionale di Sviluppo e le ipotesi del Progetto di Attuazione «Aree Interne». Infine, nel quarto paragrafo sono state riassunte le ipotesi di base del Piano Territoriale Paesaggistico Regionale che solo di recente sta avendo seguito con la redazione da parte delle Soprintendenze Provinciali ai Beni Culturali ed Ambientali di piani attuativi d’ambito.


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3.1. Ante 1950: l’eversione del latifondo e la ripartizione in massa della terra L’era moderna inizia in Sicilia anche con i primi tentativi di eversione del regime feudale di inizio ottocento. La conversione del Regno di Napoli in Regno delle Due Sicilie, voluta dal sovrano Ferdinando IV di Borbone nel 1816, accompagna il processo di quotizzazione del latifondo siciliano che ha come suo primo obiettivo la creazione di una classe piccolo borghese alternativa ad una nobiltà feudale che aveva accumulato nel frattempo un immenso potere. L’entroterra siciliano, a quel tempo, era un unico latifondo ripartito fra nobili e chiesa. Questi due “enti”, insieme alle risorse dei demani pubblici per gli usi civici, possedevano la quasi totalità delle terre, coltivabili e non, che venivano affidate a coloni attraverso contratti di mezzadria7 o istituti similari. Le leggi di eversione della feudalità più che risolvere il continuo indebolimento della corona indebolirono, con la svendita dei suoli del demanio pubblico, la povera gente e i contadini contribuendo a creare un terzo “parassita”: il gabellota. I gabelloti - professionisti, religiosi, membri delle università - contribuiscono a creare il primo nucleo di una nuova classe borghese che pian piano si sarebbe arricchita a spese dei nobili e dei contadini. Solo a seguito dell’unificazione della penisola italiana, attraverso il disegno di legge Corleo del 1862, il latifondo inizia a subire un vero e proprio smantellamento, attraverso la liquidazione dei beni della «manomorta» ecclesiastica che da soli rappresentavano un terzo della superficie agraria dell’Isola (De Stefano, Oddo 1963). Ancora una volta però questo processo si trasformò nell’opportunità di rafforzare la classe dei gabelloti, che nel frattempo avevano occupato le massime gerarchie del nuovo regno. L’ascesa di potenti famiglie borghesi sostituì la nobiltà feudale e contribuì a peggiore la condizione dei sempre più poveri contadini siciliani, schiacciati dal processo di accumulazione della rendita. È la rendita, infatti, il concetto chiave che spiega i meccanismi di «degradazione e disgregazione» del paesaggio agrario siciliano (Sereni 1972, Rossi-Doria 1956) contro cui nessuna riforma agraria, anche quella del secondo dopoguerra, saprà opporsi. Processi di degradazione e disgregazione innescati, come spiega Sereni, già a partire dal XV secolo, quando il sistema dei campi aperti ritorna in auge ed i fenomeni di disboscamento e di dissodamento dei suoli si fanno più esasperati. La forza della rendita si spiega 7 La mezzadria è sostanzialmente un istituto giuridico che impegna proprietario e colono nella gestione di un fondo agricolo e prevede alla fine del raccolto la ripartizione degli utili fra i due.


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con la facile accumulazione del capitale che deriva dall’affitto a prezzi esorbitanti di pochi ettari di terra. La «fame di terra» di migliaia di piccoli contadini mossi dalla «[…] coscienza incancellabile d’una spogliazione avvenuta e non dimenticata, d’un gran torto subito» e la «[…] coscienza che la terra, per diritto originario, primitivo, è della popolazione, è di tutti» (Rossi Doria 1956) alimentano quindi una speculazione sui canoni di affitto a prezzi che sicuramente non erano quelli di mercato (Giuseppe Medici 1947). La facile accumulazione di capitali rendeva fortemente sconveniente per qualsiasi proprietario l’ipotesi di avviare forme cooperative, così come nel nord Italia, che avrebbero reso il mercato delle terre più competitivo e quindi poco remunerativo. La rendita nasconde altri importanti aspetti in parte desumibili dallo studio che il geografo fiorentino Renato Biasutti pubblica nel 1931 col titolo di Ricerche sui tipi degli insediamenti rurali in Italia. La mappa allegata a questo sorta di “rapporto sullo stato del territorio” (§ C.1, C.1a e C.1b) permette di avere una chiara fotografia della struttura urbana della Sicilia di inizio novecento. Le aree tratteggiate in arancio, che coprono i tre quarti del territorio regionale, sono quelle in cui la popolazione si trovava accentrata in grossi centri compatti, ovvero in borghi di diverse migliaia di abitanti. Le rimanenti aree tratteggiate in rosso via via più scuro sono quelle in cui insisteva un sistema misto di borghi compatti ed edilizia sparsa. Solo nell’area di Patti, in provincia di Messina, si poteva parlare di una vera e propria popolazione sparsa. Dallo studio del Biasutti quindi si può trarre un importante interrogativo: perché il contributo della popolazione sparsa nelle campagne siciliane era praticamente nullo se comparato a quello che nello stesso periodo si aveva nelle regioni della pianura padana? Per rispondere a questa domanda risulta comodo fare riferimento ad un altro studio, di sette anni più vecchio, sul latifondo siciliano. Edoardo Coppola nel 1938 pubblica Aspetti principali della agricoltura ennese. In questo studio egli evidenzia il dramma di una struttura agraria siciliana profondamente in crisi e dimostra, con molti anni di anticipo rispetto a storici ed economisti, che fattori quali la parziale ripartizione in massa di quelle terre che prima erano destinate al pubblico pascolo, l’eccessivo sfruttamento delle terre e dei coloni, l’assoluta mancanza di mezzi economici, l’eccessivo peso delle imposte dello stato centrale, la coltivazione di qualità poco remunerative e soprattutto la «fame di terra» dei piccoli contadini erano tutti fattori che avevano permesso la diffusione del contratto agrario a «piccola metateria» in tutta la Sicilia. Ma perché e così importante mettere in evidenza la diffusione di questa forma contrattuale? La piccola metateria prevedeva sostanzialmente l’affitto di un fondo, di non più di 10 ha, per un periodo non superiore ai tre anni, che corrispondeva al regime di rotazione applicato sul fondo, quasi sempre senza la compartecipazione, fra proprietario e colono, di


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animali. Una forma contrattuale quindi che non legava il colono alla terra, impoveriva quest’ultima con rotazioni esasperate ed escludeva il miglioramento agrario che si poteva ricavare dalla potenza meccanica dei grossi animali da traino indispensabili per l’aratura del suolo. La piccola metateria era quindi povera di mezzi, poco remunerativa e permetteva a stento alla famiglia contadina di sopravvivere, che alla buona prestava la sua manodopera ad aziende agrarie un pò più organizzate. Poche erano quindi le ragioni per il colono di risiedere costantemente nei diversi appezzamenti di pochi ettari di terra, di cui aveva bisogno per sopravvivere, dislocati il più delle volte a diversi chilometri di distanza l’uno dall’altro e che assorbivano una parte considerevole del suo tempo in estenuanti viaggi a piedi. Il “centro” quindi di questa economia agricola non era quindi, come nel nord Italia, l’azienda agraria ma il contadino. Era questa figura che permetteva di tenere assieme, per mezzo di incredibili sacrifici, diversi piccoli pezzi di terra in affitto. Era quindi il grande borgo rurale il luogo da cui partivano ed arrivavano le sue fortune: dove poter comprare qualche giornata di manodopera (o vendere la propria), dove poter contrattare la vendita e l’acquisto dei prodotti, dove poter abitare in condizioni più umane rispetto a quelle a cui doveva sottostare in campagna. Da questo punto di vista, i modelli di appoderamento delle campagne che si succederanno nel corso di questo intervallo temporale appaiono interessanti, sebbene inutili a modificare una situazione che non risiedeva solamente nell’abitabilità del latifondo agrario ma, come è stato già detto, nei meccanismi di accumulazione della rendita. Il modello che Coppola propone, ad esempio, assumeva l’azienda agraria come «[…] la base fondamentale ed il necessario presupposto della possibilità di normale funzionamento del podere». Gli obiettivi del suo programma erano quindi: elevare la produzione dei terreni, migliorare le condizioni economiche dei proprietari, migliorare le condizioni di vita dei contadini, aumentare la fertilità delle terre. Per far ciò il progetto di appoderamento prevedeva una rotazione quinquennale del raccolto con l’utilizzo massiccio del prato artificiale che avrebbe permesso così l’alimentazione del bestiame “grosso”, utile a produrre la forza motrice di cui l’azienda agraria aveva bisogno per incrementare i suoi redditi. La casa colonica, inoltre, era concepita in maniera economica e funzionale incorporando al suo interno tutto quello di cui la colonia aveva bisogno: pensata per essere realizzate progressivamente, la sua costruzione veniva mano a mano ammortizzata dall’aumento di produttività dei fondi (figura 3.1). Del modello proposto - che con i suoi 25 ha di estensione avrebbe dovuto riguardare l’intera estensione del latifondo siciliano - un solo esemplare è stato realizzato, in contrada Celsi-Montagna in territorio di Enna.


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Un’altra proposta, coetanea a quella di Coppola ma forse più interessante per i suoi risvolti urbanistici, è quella di Edoardo Caracciolo, urbanista napoletano ma siciliano di adozione, che prende spunto dalle esperienze dei disurbanisti sovietici8. Il modello di Caracciolo suggeriva una griglia di 500 m di lato generalizzata a tutto il territorio9 sulla base di un primo dimensionamento della cellula-casa colonica di 25 ha (del tutto simile al dimensionamento di Coppola). Il modello quindi procedeva con l’individuazione, ogni 8-10 unità, di centri aziendali per il conferimento dei prodotti agricoli. Sulla base degli indici di frequenza e dei bacini di influenza, Caracciolo individuava altre due strutture (figura 3.2): il sottoborgo - con una popolazione media di 600 abitanti, percorsi massimi di 2 Km e alcuni servizi di base (una scuola, una chiesa)-, ed il borgo, con una popolazione massima di 2.500 abitanti, percorsi massimi inferiori ai 4 Km, e una gamma completa di servizi ed attività che avrebbero permesso l’autosufficienza della colonia (botteghe artigiane, poste, stazione forze dell’ordine, ambulatori, mulino, campo giochi, scuola, etc.). Sebbene, come si è già detto, la proposta di Caracciolo appaia la più organica sotto il profilo territoriale, la sua attuazione fu completamente distorta. La parte urbanizzata (edifici e strade) fu implementata senza il necessario appoderamento delle campagne, requisito essenziale da cui la proposta partiva10. Degli otto borghi realizzati in Sicilia a seguito della L. 1/1940 Bonsignore nell’agrigentino, Lupo nel catanese, Gattuso nel nisseno, Cascino nell’ennese, Giuliano nel messinese, Schirò nel palermitano, Rizza nel siracusano e Fazio nel trapanese - poco fu fatto sul piano del riordino fondiario, ma le circa 2.500 case coloniche realizzate costituirono la base per la successiva politica di alloggi popolari del secondo dopoguerra.

8

Come ad esempio il piano di Ivan Leonidov per Magnitogorsk (Quilici 1991). Lo stesso Rodcenko, una delle figure più autorevoli fra i disurbanisti sovietici, affermava, in relazione ai modelli di colonizzazione del territorio che: «Essi dimostrano universalmente che con forme analoghe si può costruire di tutto […]. Il principio universale è semplificare, generalizzare» (Quilici 1991). 10 Fenomeno che precedette una prassi tutta attuale negli insediamenti di edilizia economica e popolare: la realizzazione posticipata delle opere di urbanizzazione necessarie alla riuscita degli insediamenti stessi. 9


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Figura 3.1. L’ipotesi di crescita graduale della casa colonica in funzione dei ricavi dell’azienda agricola (fonte: Coppola 1938).

Figura 3.2 e 3.3. Il modello di appoderamento di E. Caracciolo (fonte: Faro 1984). Ortofotopiano della colonia di Borgo Lupo (fonte: Regione Siciliana 2000).


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I limiti dei risultati conseguiti dalla L. 1/1940 sono in parte rintracciabili nel rapporto redatto da Carmelo Schifani nel 1958 intitolato Condizioni economiche e sociali delle famiglie coloniche in un appoderamento siciliano del 1940. Il rapporto, redatto per conto dell’Ente di Riforma Agraria Siciliana (ERAS), rende conto degli esiti dell’esperimento di Borgo Lupo, insediamento ancora tutt’oggi visibile nei pressi di Caltagirone, nelle vicinanze dell’asse stradale che collega Catania a Gela (figura 3.3). Schifani mette in evidenza col suo rapporto tutte le difficoltà con cui le famiglie coloniche cercavano di riconoscersi in un borgo creato dal nulla. La maggior parte dei contadini, già dopo pochi anni, abbandonava la colonia per tornare in un paese di origine che, sebbene in condizioni forse peggiori del borgo, rassicurava con le sue reti di conoscenza e di sopravvivenza. Persino le nascite venivano spostate al di fuori della colonia, in quanto si riteneva che qui non si avessero le stesse cure della città (il più delle volte un fienile e dell’acqua calda). I giovani, appena potevano, si recavano nel paese di provenienza con mulo o corriera per andare a cercare gli intrattenimenti (il cinema, le passeggiate con gli amici) che il borgo non riusciva a dare. La stessa parrocchia del borgo era disertata e snobbata da quelle famiglie coloniche che dopo quindici anni di attività a mala pena si conoscevano. La scuola del borgo, per concludere, era ovviamente deserta in quanto i genitori preferivano impegnare i bambini nella sorveglianza degli animali piuttosto che investire in costose scarpe o suppellettili didattici. Da lì a qualche anno i tempi sarebbero stati maturi per una tanto aspettata Riforma Agraria a vantaggio, stavolta, dei contadini. Pochi a quel tempo si resero conto che nel frattempo il centro della ricchezza si era spostato dalla agricoltura all’industria e che i poveri della campagna si sarebbero trasformati in poveri dei malfamati quartieri urbani delle nuove città moderne.


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3.2. 1950 – anni Settanta: dalla Riforma Agraria del latifondo ai piani dell’Ente Sviluppo Agricolo La legge di Riforma Agraria in Sicilia viene presentata all’Assemblea Regionale Siciliana il 5 ed il 6 ottobre del 1950. Il discorso di chiusura del progetto di legge, letto dall’allora Assessore all’Agricoltura e Foreste Silvio Milazzo11, dice tanto dell’orientamento politico della Sicilia in anni in cui la Democrazia Cristiana stava rapidamente prendendo il controllo dell’Isola preparandosi ad una azione di governo che si sarebbe interrotta soltanto in epoca recente. Dopo un patetico elenco dei presunti soprusi che la Chiesa aveva dovuto subire durante i primi anni dell’unificazione della penisola12, l’accusa ad una nuova borghesia rea di avere contribuito con l’acquisizione delle «sacre» terre ad affamare i contadini e la condanna ad un governo post-unitario che aveva solo saputo prendere dalla Sicilia senza avere mai dato nulla13, il discorso di Milazzo si concentra sui presunti vantaggi che questa nuova grande Riforma si preparava a dare alla gente siciliana. Una riforma che, a detta del relatore, «non sarà solo una mera distribuzione delle terre ai contadini ma una operazione di riassetto complessivo della struttura agraria della regione dove si vive la “tragedia” di una popolazione di quattro milioni e mezzo di abitanti rispetto ad una disponibilità di terra di due milioni e mezzo di ettari […]».

Tabella 3.1. Frammentazione della proprietà fondiaria al 1946 (fonte: Regione Siciliana 1951). Provincia

Proprietari (n°)

Agrigento Caltanissetta Catania Enna Messina Palermo Ragusa Siracusa Trapani

206 145 328 227 90 378 107 334 191 2.006

Superficie di proprietà (ha) 54.817 54.882 58.671 53.438 19.812 87.840 22.538 48.452 36.787 437.237

Indice di fraz. (ha/n°) 266,10 378,50 178,88 235,41 220,13 232,38 210,64 145,07 192,60 228,86

11 REGIONE SICILIANA (1951) “La legge sulla riforma agraria in Sicilia: la presentazione, la legge, l'ambiente”, Palermo. 12 Evidentemente il riferimento era rivolto al processo di quotizzazione dei beni della «manomorta» ecclesiastica innescato dal disegno di legge Corleo del 1862. 13 Una serie di politiche successive all’unificazione della penisola italiana contribuirono ad estinguere, per esempio, le pregiate coltivazioni di tabacco del palermitano e i campi di cotone sparsi per tutta la Sicilia (De Stefano, Oddo 1963).


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La tabella 3.1, estratta dalla relazione, presenta i dati sulla distribuzione delle terre aggiornata al 1946 (§ C.2) in cui figurano nelle colonne il numero di ditte catastali registrate e l’estensione delle particelle intestate per provincia. A queste due prime colonne è stata in questo studio aggiunta una terza che permette di ricavare l’indice di frazionamento della terra coltivata, cioè la superficie media per ditta catastale. I valori più alti di questo indice, come nelle province di Caltanissetta, Agrigento, Enna, Palermo e Messina, permettono di comprendere l’elevata estensione del latifondo siciliano posseduto da non più di 2.006 proprietari. Ma sebbene la terra appartenesse ad un ristretto numero di “privilegiati” essa risultava “spezzettata” in un numero elevato di piccoli appezzamenti affittati ai braccianti a prezzi esorbitanti. Una «disgregazione e degradazione» del paesaggio agrario, per dirla con Sereni, che si rifletteva nelle infinite sfumature di verde, percepibili in primavera, di un latifondo sempre più sterile (Rossi Doria 1956). Sebbene gli obiettivi della riforma fossero stati effettivamente concepiti in maniera organica - non solo quindi assegnare la terra ai contadini, circa 150.000 ha, ma anche14: puntare al miglioramento della terra e alla modernizzazione della struttura agraria per accogliervi nuovi più redditizi ordinamenti della produzione o per rendere più redditizi gli ordinamenti esistenti (trasformazione), costruire le condizioni di abitabilità del latifondo mediante opere civili e sociali (colonizzazione), organizzare la produzione, i mezzi e i servizi (industrializzazione) - i risultati finali furono ben differenti. Da un punto di vista quantitativo solo 93.000 ha furono assegnati – poco più della metà di quelli stimati – a 23.000 soggetti per un lotto medio di 4 ha, contribuendo così a peggiorare la frammentazione fondiaria già esistente. Dal punto di vista strettamente qualitativo solo i terreni peggiori furono quotizzati e quasi mai gli assegnatari furono dotati di mezzi economici per la conduzione dei fondi assegnati (Bacarella 2003). Nonostante il piano di Riforma Agraria in Sicilia fallì, non riuscendo a conseguire gli obiettivi dichiarati, essa contribuì ad innescare un discreto mercato di compravendita della terra, in uno scenario produttivo fortemente arretrato, che indebolì l’egemonia della borghesia agraria. A sancire la fine del latifondo però non fu tanto la Riforma ma i repentini assestamenti finanziari, successivi al secondo conflitto mondiale, che spostarono i capitali sull’industria, al nord, e sulla speculazione immobiliare, al sud (Santino 2003). Dal secondo dopoguerra in poi la politica di sviluppo dell’entroterra si articola per mezzo di enti che agiscono secondo politiche settoriali: l’Ente 14 ISTITUTO SUPERIORE DI GIORNALISMO – PALERMO (1960) “Primo consuntivo della riforma agraria in Sicilia”, Palermo


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Sviluppo Agricolo (ESA), l’Ente Minerario Siciliano (EMS), Ente Sviluppo Produzione Industriale (ESPI) sono tutti apparati che agiscono su binari separati, spesso incomunicanti. Doglio e Urbani (1972) sono fra coloro che mettono in evidenza le diseconomie derivanti da una politica di sviluppo frammentata. Questi sono gli anni della riforma sulle autonomie delle Regioni ma sono anche gli anni di un rapido sviluppo industriale al sud, sostenuto da una politica di incentivazione carente su diversi livelli (Graziani 1970). In primo luogo carente perché, sebbene in un primo periodo i tassi di interesse agevolati per gli investimenti strutturali nel campo dell’industria fossero stati concessi in via preferenziale al Mezzogiorno, questi poi vennero estesi all’intero territorio nazionale annullando di fatto il loro effetto di incentivo (inadeguatezza quantitativa). In secondo luogo perché la concessione delle agevolazioni copriva solamente l’acquisto di macchine pesanti per l’allestimento di catene di montaggio che poco valorizzano l’offerta di manodopera locale (inadeguatezza qualitativa), permettendo così l’apertura di grandi stabilimenti manifatturieri destinati a produrre beni per un mercato extra-territoriale (nazionale o internazionale e comunque non per il mercato interno siciliano) e indebolendo l’iniziativa privata servente il restante mercato locale. In terzo e ultimo luogo perché questa politica di incentivi per nulla considerava la rigidità del mercato creditizio in Sicilia, per nulla comparabile con l’efficienza e l’elasticità di quello del nord Italia (inadeguatezza amministrativa). Nel mondo accademico iniziarono a nascere metafore come quella di una Sicilia come un’«isola a lago interno» o di un’«isola assoluta», entrambi scenari estremi di due diverse configurazioni territoriale che l’Isola avrebbe potuto raggiungere. L’isola a lago interno, nell’idea di Urbani e Doglio, era il definitivo svuotamento di significato dell’entroterra, già perfettamente visibile in quegli anni. L’isola assoluta, invece, sarebbe potuta essere quella forma di sviluppo del territorio che avrebbe permesso la ri-centralizzazione dell’entroterra, assegnando invece alla costa il significato di «fascia di protezione» e di transizione verso gli scambi con i Paesi del bacino del Mediterraneo (§ C.3 – C.6). Altri invece (Graziani 1970) segnalarono come sembrasse che la spinta verso l’industrializzazione dell’Isola fosse avvenuta non per le potenzialità intrinseche del meridione d’Italia ma piuttosto per tracimazione di un sistema fortemente congestionato come quello del triangolo industriale Milano-Torino-Genova. Ma se le città settentrionali sembravano quindi avere accusato una battuta di arresto - attraverso l’incremento dei costi di vita per i cittadini e di attività per le industrie - con strutture urbane nettamente migliori rispetto a quelle delle città siciliane, come quest’ultime avrebbero potuto sostenere un processo di


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industrializzazione che nel frattempo si era dimostrato rapido, indiscriminato e non pianificato. Ritornando alla questione dell’entroterra ed esaminando i piani ESA degli ultimi anni settanta – ad esempio attraverso la lettura del Piano Generale di sviluppo agricolo del 1974 (§ C.7) - sembra chiaro come la mancanza di una visione unitaria del territorio siciliano si costituisce come il primo degli elementi che inficiano l’attuazione dei piani stessi. A differenza, come si vedrà successivamente, dei recenti piani territoriali, che si sforzano di costruire il piano attraverso una azione cosiddetta a “tenaglia” - dall’alto attraverso l’individuazione di una vision strategica da raggiungere e dal basso attraverso la conoscenza dettagliata dei bisogni - il piano ESA si genera invece dall’addizione aritmetica di 28 piani zonali redatti singolarmente. Inoltre i piani ESA, come tutti i piani di prima generazione, non si pone importanti interrogativi relativi ad un corretto sviluppo temporale del piano e sconosce le effettive risorse da cui potere attingere15. Ignora la sostenibilità ambientale del modello che propone e non si pone come obbiettivo una nuova politica di sviluppo delle campagne. Inoltre, non affronta il problema di una manodopera poco qualificata ed in eccesso e difficilmente suggerisce la sistematizzazione degli spazi aperti non coltivabili in parchi regionali. Eppure il bilancio non è solamente negativo. Alcuni piani zonali propongono interessanti soluzioni atte ad invertire da un lato il rapido abbandono delle campagne e dall’altro l’eccessiva frammentazione dell’impresa agraria: sono, il più delle volte, le forme di partecipazione cooperativistica, sul modello di quelle già operanti nell’Italia centrosettentrionale, a rappresentare il trade d’union di questi piani16. Questi documenti rappresentano oggi un importante archivio di conoscenza da cui è forse necessario ripartire per provare a progettare un nuovo avvenire per l’entroterra siciliano.

15 Generando così un fabbisogno spropositato, stimato intorno ai 1.403 miliardi di lire al 1970. Gli impegni di spesa prevedono la realizzazione di nuovi serbatoi di accumulo per aumentare la superficie irrigabile (da 180.000 ha a più di 300.000 ha), di nuove strade per rendere accessibile il latifondo siciliano e collegarlo agli importanti porti di scambio dell’Isola (7.000 Km di nuove strade), per l’approviggionamento idrico ed elettrico (3 di Km di nuove condotte e 7 milioni di linee elettrificate) e per finire rimboschimenti, sistemazioni idrauliche e miglioramento dei pascoli per un totale di più di 300 miliardi di lire. 16 Il piano d’ambito n°18, relativo alla Valle dell’Anapo, individua la fattoria cooperativa come la perfetta unità di gestione agricola del territorio dove ad una assoluta liberta dei soci nella coltivazione delle specie più produttive, si associa una compartecipazione nella quota di foraggiatura delle bestie gestite a livello centrale dalla cooperativa.


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3.3. Anni ottanta - metà anni novanta: il Piano Regionale di Sviluppo Gli anni ottanta segnano un momento di crisi della pianificazione settoriale in Italia. La frantumazione del quadro programmatico di sviluppo economico e territoriale in una serie di piani di settore ha già mostrato tutti i suoi limiti nell’essere efficace non solo per un problema di coerenza ma anche nel governare i processi economici e dissipativi del territorio innescatisi con l’indebolimento dell’apparato statale. Sebbene il governo dello sviluppo economico in Sicilia, di competenza esclusivamente regionale, dal secondo dopoguerra risulta segnato da una intensa fase di pianificazione attraverso i Piani Quinquennali di Sviluppo (PQS), difficilmente esso giunge ad una attuazione pratica e spesso subisce la scarsa conoscenza delle risorse a disposizione. Il PQS del 1956, ad esempio, aveva prevalentemente il compito di allocare le risorse statali, accumulate a livello centrale, in una serie di capitoli di spesa (Campione 1978). Nonostante quindi la limitatezza di orizzonte del PQS del 1956 nulla, o quasi nulla, di esso si tramutò in azione compiuta mentre bisognerà attendere gli studi per il PQS 1966-70, redatti da Paresce, per registrare una vera evoluzione in tal senso. Al fine di eliminare il divario fra la media dei redditi siciliani e la media dei redditi nazionali, diminuire gli squilibri tra le varie zone territoriali e i settori produttivi, conseguire la massima occupazione, il Paresce nel suo schema individua cinque sistemi urbani: Catania-Augusta-Siracusa, MessinaMilazzo-Nebrodi, Agrigento-Caltanissetta-Enna, il sistema di comuni che convergono su Palermo, l’area di sviluppo agricolo-industriale TrapaniMarsala-Mazzara del Vallo. Questi sistemi hanno lo scopo di “ancorare” le politiche di sviluppo economico al territorio tramite una azione di riequilibrio territoriale. Sebbene quindi lo schema del Paresce superi le difficoltà determinate da una assenza di una politica globale di programmazione a livello regionale poco della sua impostazione rimane nell’effettivo PQS 1966-70 e la sua eredità sarebbe stata raccolta solamente 25 anni dopo con la proposta di un Piano Regionale di Sviluppo. D’altra parte però uno degli aspetti più critici, la copertura finanziaria del piano, comincia, verso la meta degli anni ottanta, ad interessare anche gli strumenti legislativi attraverso l’introduzione, con la L.R. 6/88, dell’istituto della programmazione che aggiunge la dimensione temporale alla politica di bilancio della regione determinando così le priorità ed ottimizzando la spesa statale17.

17 In Sicilia l’istituto della programmazione è introdotto con la L.R. 6/88 intitolata «Attuazione della programmazione in Sicilia ed istituzione del Consiglio regionale dell' economia e del lavoro.» L’articolo primo definisce in questi termini gli obiettivi della legge:


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Il Piano regionale di Sviluppo (PRS) 1992-94 è quindi il primo piano ad ispirarsi all’istituto della programmazione: esso è un piano di tipo “sistemico”, ovvero disarticola il territorio in una serie di sistemi economico, sociale, ambientale - per poi ri-assemblarli attraverso le mutue interdipendenze (figura 3.4). Le tre grandi priorità che il piano individua sono la riqualificazione delle aree metropolitane, la riqualificazione delle aree interne e il potenziamento della rete dei trasporti e comunicazioni attraverso la predisposizione di specifici Progetti di Attuazione (PA). I PA agiscono in un territorio regionale articolato in Sistemi Metropolitani (SM) ed UniTà di Recupero Ambientale e Storico-culturale (UTRAS). Il modello logico dei SM viene declinato in una complessa struttura territoriale orientata da assi di sviluppo e direttrici di supporto per lo sviluppo economico. Per attuare il recupero delle aree interne il piano forza l’estensione dei SM di progetto includendo al loro interno città intermedie dell’entroterra18 (§ C.8 – C.10). Ritornando alla questione dell’entroterra siciliano, il PA «aree interne» ha come finalità la «protezione ambientale» degli ecosistemi esistenti, la «valorizzazione e modernizzazione delle attività tradizionali» per fini agroturistici, l’innesto di nuove attività produttive» nei settori del terziario e del tempo libero. Il territorio interno, nella visione del PRS, si disarticola in UTRAS alcune delle quali combinano al turismo attività di tipo industriale (la UTRAS Valli del Mazaro) o enologico (l’UTRAS dello Stagnone e delle «La programmazione regionale tende alla razionale valorizzazione delle risorse materiali, ambientali ed umane dell' Isola ed alla trasformazione e al miglioramento delle strutture socio economiche, al fine di conseguire la massima occupazione, la piena valorizzazione del lavoro siciliano ed equilibrati incrementi di reddito, nonché il superamento degli squilibri economici settoriali e territoriali all'interno della Regione e nei confronti della comunità nazionale.» Ma non solo, un altro criterio indispensabile diventa quello della sostenibilità economica tramite una apposita politica di bilancio che indirizzi la spesa pubblica su progetti verificati finanziariamente. Infatti: «[…] Il piano considera tutte le risorse finanziarie di cui la Regione può disporre, coordinando quelle proprie e quelle derivanti da interventi ordinari e straordinari dello Stato, delle comunità sovranazionali e di altri enti […]. Il piano destina altresì le risorse finanziarie necessarie al raggiungimento degli obiettivi proposti attraverso i progetti di attuazione […]». I «Progetti di Attuazione» assumono quindi le fattezze di piani integrati che, sebbene centrati su un particolare ambito tematico, tengono conto delle interdipendenze reciproche fra di essi. 18 I SM di progetto sono: Sistema Sicilia Tirrenica, con la finalità strategica di «depolarizzare il sistema palermitano per integrarlo a quello Trapani-marsala-Mazara»; Sistema Sicilia Ionica, con la finalità strategica di «decongestionare e riordinare il sistema catanese e integrarlo con quello siracusano per raggiungere una soglia metropolitana»; Sistema dello Stretto, con la finalità strategica di «raggiungere una soglia metropolitana evitando la saldatura con il sistema catanese»; Sistema Sicilia Centro Meridionale, con la finalità strategica di «polarizzare in un unico sistema urbano l’insieme diffuso dei centri medi e piccoli non compresi nei tre precedenti».


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Egadi), mentre altre invece sono orientate allo sviluppo nel comparto agricolo (le UTRAS Nebrodi e Contea di Modica ad esempio). Sebbene il sistema ad UTRAS sembra il contributo più originale di tale piano e fertile in seguito di studi più approfonditi, esso si pone però più come alternativa ai SM che in sinergia con questi ultimi. Anche la metodologia con cui le UTRAS vengono individuate appare debole perché si concentra più sui soli aspetti paesaggistici e storici, di certo determinanti, sembrando tralasciare, a studi successivi, l’importanza dei processi demografici ed economici che sul paesaggio agiscono in maniera determinate. Un altro aspetto che desta non poco interesse riguarda l’invenzione di un sistema metropolitano della Sicilia Centro Meridionale che mettendo assieme un grappolo di città medie già fortemente relazionate – Agrigento, Caltanissetta ed Enna – porta ad una riqualificazione di una ampia porzione dell’entroterra isolano. Anche qui però la definizione di questo sistema appare compromessa da una metodologia di studio che conduce all’inglobamento di Gela e Ragusa in una realtà così diversa come quella della Sicilia centro-meridionale. Sebbene il PRS costituisse, aldilà di una serie di errori metodologici derivabili anche dal contesto storico in cui si metteva mano a tale ipotesi, una buona alternativa allo sviluppo incontrollato del territorio esso non riuscì a superare la fase di progetto e la crescita di potere contrattuale degli enti locali19 ne determinarono il definitivo abbandono.

19 Dovuta in parte alla L.R. 9/86, che istituì le Province Regionali e assegnò a quest’ultime il compito di pianificare il territorio di competenza (seppur con evidenti limiti di impostazione), all’elezione diretta dei Sindaci e dei presidenti di Provincia, all’esaurimento delle risorse provenienti dal livello centrale dello Stato attraverso l’intervento speciale per il Mezzogiorno ed il fondo di solidarietà e alla crescente competizione territoriale innescata fra gli enti locali al fine di attrarre investimenti e finanziamenti dall’UE.


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Figura 3.4. L’approccio sistemico nel Piano Regionale di Sviluppo (fonte: Regione Siciliana Direzione Regionale della Programmazione 1992).


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3.4. Metà anni Novanta - oggi: il Piano Territoriale Paesistico Regionale Il 1985 è l’anno che vede l’entrata in vigore di una legge innovativa per la pianificazione del territorio italiano: la legge Galasso. Scopo di questa legge è la tutela del territorio attraverso l’introduzione di una serie di vincoli paesaggistici da applicarsi ai territori costieri, laghi, fiumi, montagne, ghiacciai, parchi, foreste, zone umide, vulcani e zone di interesse archeologico20. Questi vincoli sono intesi nella legge come strumenti di natura temporanea, allo scopo di dare alle Regioni il tempo di redigere Piani Paesistici atti a sottoporre a specifica normativa d'uso e di valorizzazione ambientale l’intero territorio regionale. Sebbene la legge Galasso indichi il 31 dicembre 1986 come data limite in cui tali piani devono essere approvati dalla Regioni, è solo nel 1996 che in Sicilia le Linee Guida per il Piano Territoriale Paesaggistico Regionale (PTPR) vengono approvate. Da questo momento in poi sono le Soprintendenze ai BB. CC. AA. dell’Isola ad avere voce in capitolo per la redazione dei Piani Paesaggistici Territoriali d’Ambito (PTPA). Nonostante risulti ancora troppo presto analizzare PTPA ancora in fase di redazione e approvazione, le Linee Guida per il PTPR risultano un utile documento da cui partire per provare a fare alcune considerazioni sulla pianificazione dell’entroterra regionale. È infatti nella metà degli anni novanta che matura l’idea di territorio come palinsesto culturale e che determina il sorpasso dell’approccio sistemico (quello del PRS) a vantaggio di quello descrittivo. Sono le recenti tecnologie 20 "Sono sottoposti a vincolo paesaggistico ai sensi della legge 29-6-1939, n. 1497: - i territori costieri compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i terreni elevati sul mare; - i territori contermini ai laghi compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i territori elevati sui laghi; - i fiumi, i torrenti ed i corsi d'acqua iscritti negli elenchi di cui al testo unico delle disposizioni di legge sulle acque ed impianti elettrici, approvato con Regio decreto 11-121933, n. 1775, e le relative sponde o piede degli argini per una fascia di 150 metri ciascuna; - le montagne per la parte eccedente 1.600 metri sul livello del mare per la catena alpina e 1.200 metri sul livello del mare per la catena appenninica e per le isole; - i ghiacciai e i circhi glaciali; - i parchi e le riserve nazionali o regionali, nonché i territori di protezione esterna dei parchi; - i territori coperti da foreste e da boschi, ancorché percorsi o danneggiati dal fuoco, e quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento; - le aree assegnate alle università agrarie e le zone gravate da usi civici; - le zone umide incluse nell'elenco di cui al decreto del Presidente della Repubblica 13-31976, n. 448 (1); - i vulcani; - le zone di interesse archeologico.


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GIS che vengono impiegate per la costruzione di atlanti territoriali che hanno come primo obiettivo la descrizione analitica del territorio. Da questo punto di vista i GIS promettono un processo di piano aperto attraverso la riproducibilità e reversibilità delle decisioni di piano (Lucchesi 2005). In altri termini la definizione di normative sugli usi ammessi in una determinata porzione del territorio risulta, per mezzo dei GIS, verificabile ed eventualmente riproducibile in altre parti. Da questo punto di vista il PTPR individua per l’entroterra regionale una serie di strategie21 che mirano al consolidamento dell’armatura urbana storica, «[…] colmando le carenze di servizi e di qualità urbana, riassorbendo il più possibile i processi distorsivi del recente passato e contrastando i processi di abbandono delle aree interne.» Nel PTPR matura l’importante concetto di mantenimento dell’agricoltura tradizionale di nicchia come elemento di qualità del territorio siciliano. Il territorio, quindi, da puro supporto per lo sviluppo economico regionale diventa, da questo momento in poi, determinate per la costruzione di una nuova identità regionale che si pone in continuità con la sua storia. Il tema dello sviluppo sostenibile viene declinato, in questo primo abbozzo di piano, per il recupero di colture, prodotti tipici e manufatti tradizionali scomparsi dalle città metropolitane dell’Isola ma ancora in vita negli ampi spazi dell’entroterra regionale. È quindi la salvaguardia e la valorizzazione dei territori interni l’oggetto principale del PTPR. Questo principio ispira l’odierna redazione dei PTPA che si caratterizzano per una paziente catalogazione degli elementi minuti del paesaggio siciliano. In questi strumenti lo sforzo è quello di costruire semplici regole di valutazione dell’istanza storico-culturale di una fitta trama di oggetti che definiscono questo paesaggio. Queste regole sono in tali piani intese per orientare gli instabili processi di sviluppo del territorio ed evitare il saccheggio di “valori” e di identità svoltosi in un ancora troppo recente passato.

21 Gli assi strategici del PTPR per le aree interne sono: - il consolidamento del patrimonio e delle attività agroforestali, in funzione economica, socioculturale e paesistica attraverso il sostegno dell’agricoltura tradizionale, gestione dei processi di abbandono delle campagne; - la qualificazione del patrimonio naturalistico in funzione di riequilibrio ecologico; - conservazione e qualificazione del patrimonio archeologico, storico, artistico, culturale; - riorganizzazione urbanistica attraverso il decentramento di servizi sull’armatura dei centri storici (anche interni) al fine di ridurne la povertà urbana e bilanciare il congestionamento dei centri maggiori.


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4. Un viaggio dalla costa verso l’entroterra siciliano Esistono luoghi che sebbene progettati per una condizione d’uso poco personalizzata – strade, ospedali, servizi ed attrezzature metropolitane, etc. – possono poi diventare luoghi di aggregazione riconosciuti dagli abitanti. Sebbene il progetto influisca pesantemente sulle variabili fisiche ed ambientali dei luoghi, configurando lo spazio e forzando le relazioni fra le parti, difficilmente esso riesce a condizionare l’uso quotidiano determinato dalle pratiche dell’abitare contemporaneo. Questa proposizione, in parte, vale anche per porzioni più vaste di territorio qui però le variabili ambientali – il capitale fisso sociale – assumono un peso rilevante. La costruzione di un’autostrada, ad esempio, influisce in maniera rilevante, in termini di accessibilità, sullo sviluppo economico di un territorio. Allo stesso modo la rete ferroviaria influisce sull’efficienza dei sistemi metropolitani. Le reti infrastrutturali disegnano dei mosaici territoriali in cui ogni tessera è differente dalle altre. A sua volta queste reti si relazionano con quelle ambientali dei reticoli idrografici che «[…] disegnano l’identità paesistica del territorio, ma nello stesso tempo sono essi stessi mezzi infrastrutturali: per l’irrigazione, l’approvvigionamento idrico, i cicli produttivi delle industrie, l’energia idroelettrica» (Pavia 2003). Ognuna di queste reti ha una propria razionalità interna – l’acquedotto, il viadotto, la strada ferrata, la fiumara, l’elettrodotto, il metanodotto – che difficilmente tiene conto delle razionalità altre. All’interno di questi «grovigli» porzioni rilevanti di territorio possono rimanere intrappolate. Questo è forse il caso dell’entroterra, che sebbene attraversato da importanti assi infrastrutturali difficilmente da questi ultimi ne ricava un vantaggio. Un oleodotto su una carta è una linea retta che attraversa i mosaici territoriali senza avere con questi una relazione diretta. Ma se una linea diventa un percorso, un «itinerario» che si inserisce all’interno di un «palinsesto di eventi», allora il progetto delle reti assume un significato: costruire una «ossatura» di servizi diffusi nel territorio. Se si parla di reti di trasporto veloce – che servono vaste aree metropolitane o che connettono importanti città – queste generalmente si associano a territori che possiamo provare a chiamare «veloci». Queste reti veloci sono generalmente il risultato di grandi investimenti pubblici mirati in specifiche aree del Paese per sostenere l’economia di città in continuo sviluppo (le città metropolitane). Accanto alle reti veloci esiste però tutta una trama di strade secondarie che si innestano su un tessuto di città intermedie – laterali alle grandi conurbazioni metropolitane – che si contraddistinguono, quest’ultime, per un modello di sviluppo che possiamo provare a chiamare «lento» (Lanzani e Lanciarini 2005, Lanzani 2006). Qui il reticolo infrastrutturale è gestito da


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enti locali e da enti terzi (consorzi di bonifica ad esempio), che sulla base di forme associative sempre variabili, costruiscono un sistema di accessibilità diffusa del territorio. Stato, enti locali, «terzo settore» e privati agiscono quindi su porzioni assai vaste di territorio spesso nell’assoluta mancanza di un dialogo «verticale» e di un progetto di territorio condiviso (Calace 2003). Quando queste alleanze fra Stato, enti locali, «terzo settore» e privati sono deboli, o non esistono, allora le trasformazioni territoriali si allungano, diluendosi in archi temporali spesso ampi. È questo il caso dell’entroterra, in cui la metafora delle reti difficilmente si presta all’interpretazione di processi che avvengono su territori che abbiamo provato a chiamare «lunghi». Questo capitolo quindi si propone di tratteggiare, attraverso una sintetica descrizione, la natura del territorio siciliano attraverso la “lente” dei territori veloci, lenti e lunghi provando a capire le relazioni, reali o potenziali, fra essi. Da questo punto di vista l’esperienza che forse in maniera più intuitiva permette di cogliere la complessità del paesaggio che ci circonda è il viaggio in automobile. Si potrebbe quindi immaginare questo racconto come frutto di un viaggio seduti a bordo di una automobile condotta lungo un tracciato e verso una meta non stabilita a priori, come in una improvvisata gita domenicale. Un attimo dopo aver lasciato alle spalle il quartiere o la piccola città in cui si abita si potrà, ad esempio, interrompere il viaggio nella città successiva a quella da cui siamo partiti - per andare a trovare un amico o semplicemente per leggere il giornale - oppure, ed è questo il caso che si vuole raccontare, si potrà decidere di continuare il tragitto che si è intrapresi allo scopo di abbandonare, per un giorno, la monotonia del vivere quotidiano. Durante quindi questo tragitto il paesaggio potrà cambiare rapidamente, se ad esempio si è scelto una strada radiale che allontana il flusso automobilistico dalla città verso la campagna, o potrà non cambiare affatto, se invece si è scelto come tragitto una tangenziale urbana che tiene assieme diverse città, come in uno strano collage fatto sempre dagli stessi elementi che si ripetono ad intervalli pressoché costanti.


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4.1. Territori veloci Da un gruppetto minuto di case si passa ad un tessuto edilizio più compatto, poi di nuovo ad un tessuto più sfrangiato, spesso confuso e ridondante, e quindi ad una serie di “scatoloni” industriali e commerciali. A volte si passa vicino un cimitero, una discarica o frammentati spazi aperti che durano appena pochi minuti giusto il tempo di re-iniziare una sequenza mai uguale a sé stessa ma ridondante. Se si verificano alcune di queste condizioni allora ci si trova all’interno di una città, o di un insieme di città, che formano un’area metropolitana, più o meno grande, in cui un numero limitato di centri, spesso uno solo nei contesti meno “maturi”, domina un bacino di comuni ampio. Questa è la tipologia di organismo urbano che a partire dagli anni sessanta ha cominciato a diffondersi prima nei territori più sviluppati (Stati Uniti, Gran Bretagna e nord Europa) e dal secondo dopoguerra in poi nel resto d’Europa. Oggi interessa drammaticamente i Paesi in Via di Sviluppo. Sebbene la città a partire dal settecento abbia cercato di intrappolare lo spazio all’interno delle triangolazioni barocche - un esempio per tutti è la Parigi di Haussmann o la Washington de l’Enfant - costruendo materialmente gli attuali Stati Nazionali (Soderstorm 1995, Farinelli 2003), e successivamente, dall’ottocento fino alla prima metà del novecento, abbia cominciato ad imitare la macchina codificando stili di vita, funzioni e spostamenti22 - è solo dalla fine degli anni ottanta che essa comincia ad “esplodere” - con la definitiva affermazione del modello liberista – assumendo i connotati di città metropolitana prima e città globale23 poi. Questi territori che si sta cominciando a descrivere li si è provati a chiamare veloci, dove appunto lo spazio, piuttosto che subire gli aspetti geografici del mondo, ha creato un mondo nuovo attraverso lo strumento del progetto. La città non subisce passivamente la velocità dei processi di trasformazione ma al tempo stesso crea movimento attraverso la sua capacità di organizzare indirettamente relazioni e transazioni a distanza (Bagnasco 1999). Si diceva che la città ha sempre più cominciato a imitare, specie in epoca moderna, una macchina. Ma quest’ultima, per funzionare, necessita di collegamenti - di “pezzi” si potrebbe dire in linguaggio meccanico - tali da 22 In argomento confronta con i classici dell’urbanistica da Le Corbusier a Mumford, da Jacobs a Lynch. Emblematici sono anche gli esperimenti di Ginzburg sulla codificazione delle abitudini umane – pasti, socializzazione, attività sessuale, esercizio fisico, etc. – nella Russia sovietica, che hanno condotto a prototipi di cellule abitative standard (cellula F). 23 In argomento confronta con le ricerche di Castells, Martinotti, Sassen, Dematteis, Friedman, Balbo.


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rendere efficaci le comunicazioni fra tutti gli elementi che ne costituiscono il corpo (aree residenziali, agglomerati industriali, centri di comando, aree destinate allo shopping, ai servizi ed all’intrattenimento). Nel caso della città questi collegamenti sono strade, tram, reti ferroviarie e poi ancora autostrade. Ma per assicurare collegamenti veloci le reti devono essere quanto più dritte è possibile preferendo perciò territori pianeggianti a quelli montuosi. La città moderna è quindi la città che si sviluppa in pianura, su di una superficie levigata e sub-orizzontale. Questo quindi spiega il declino di quelle città che dal loro essere situate in territori montuosi avevano tratto la maggiore garanzia di sicurezza nel passato e che nell’epoca moderna vedono trovarsi in una posizione debole a causa della limitata possibilità di veicolare una risorsa preziosa come le informazioni. La città-regione metropolitana crea quindi, per suo statuto, polarità, cioè dei differenziali economici, e gerarchie: fra la città polo e le successive “cinture” di comuni contermini, fra queste “cinture” e lo spazio retrostante e, di nuovo, fra lo spazio retrostante e la città polo. Gerarchie che, come la biologia insegna, implicano la specializzazione delle parti rispetto al tutto: aree deputate alla residenza, aree industriali e commerciali, centri terziari di comando, servizi rari e attrezzature speciali (università, aeroporti, città della scienza, e via dicendo). I differenziali innescati, derivanti dalla specializzazione delle parti, creano movimento sistematico, giornaliero e settimanale, e «campi gravitazionali»: le aree residenziali - spesso localizzate in città distanti - gravitano sui luoghi del lavoro, questi a sua volta gravitano sulle aree dello shopping e dello svago - spesso localizzate in centro o lungo le infrastrutture viarie più importanti- ed infine queste ultime a sua volta gravitano sui centri di comando e sui servizi rari. Ma la struttura della città metropolitana è ancora più complessa perché all’interno di questa sorta di “catena di montaggio” è possibile riconoscere regioni che sono “scarto” da regioni che non lo sono affatto, ma anzi. Le regioni dello “scarto” sono quelle abitate dagli emarginati della società civile – ma in generale da tutte quelle cose che il cittadino medio che paga le tasse non vuole vedere. Sono le periferie delle case popolari, degli slum si direbbe in gergo anglosassone, in cui la violenza trova spesso “fertile humus” e da cui è impossibile uscire per l’assenza dei più essenziali servizi pubblici (trasporti, strade, illuminazione). Sono i campi rom in continua emergenza sanitaria, così come gli spazi aperti pubblici in cui è impossibile passeggiare senza correre il rischio di essere scippati o picchiati. Sono le discariche (legali e non) a forte rischio ambientale. Accanto a queste stanno le regioni che scarto non sono, o almeno non sembrano: la «città diffusa» che, in una accezione tutta italiana, può essere anche parzialmente abusiva. Una sub-urbanizzazione residenziale che ha determinato, con la sua indefinita ripetizione, il nascere di vasti territori urbanizzati del tutto estranei al tessuto della città consolidata.


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In questa prospettiva le tre aree metropolitane di Palermo, Catania e Messina – ma anche in parte i sistemi Trapani-Marsala-Mazara del Vallo, Agrigento-Caltanissetta-Enna, Ragusa-Modica - si possono considerare dei particolari tipi di territori veloci. Con estensioni territoriali notevoli ed un numero di comuni coinvolti non piccolo, anche se diverse per la natura dei servizi territoriali e il loro ruolo rispetto al contesto locale e poi globale, le tre aree metropolitane isolane sono collegate a grandi distretti industriali – Pantano d’Arci ed Augusta per la metropoli ionica di Catania-Siracusa, la piana di Milazzo per la metropoli dello stretto di Messina, Termini Imerese e Carini per la metropoli tirrenica di Palermo. Agglomerati metropolitani, forse ancora lontani da consapevoli regioni metropolitane, che hanno caratteristiche complesse e una dotazione di funzioni terziarie e quaternarie, legate all’informazione, considerevoli (Rizzo 2004). La città metropolitana è infatti anche parte di una grande piattaforma ICT24 (Rizzo e Zancan 2006) da cui ricava la possibilità di essere legata ad una rete (network) di città centrali all’attuale assetto economico globale (Sassen 1997, Friedman 2006) e che di fatto regolano l’economia mondiale. Il network si struttura in nodi, le città appunto, e collegamenti, ancora una volta, materiali (stradali, ferroviari, aeroportuali) ma oggi sempre di più virtuali: un paradigma potentissimo che ha aperto nuovi scenari e nuove problematiche. La strada su cui si è iniziati a viaggiare, all’inizio di questo capitolo, è probabilmente veicolo di una rete sotterranea di cavi a fibra ottica che strutturano a livello locale il nodo e lo collegano alla rete globale.

24 Information and Comunication Technology e cioè la convergenza, all’interno della piattaforma-città, di informatica e telematica al fine di trasmettere in nuovi modi l’informazione.


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Figura 4.1. Territori veloci: Palermo e la sua Area Metropolitana.

Figura 4.2. Territori lenti: i campi coltivati, i laghi artificiali ed i capannoni industriali fra Floridia e Solarino.


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4.2. Territori lenti Si potrebbe dare il caso che lungo il tragitto su cui si viaggia si passi gradualmente da un territorio densamente urbanizzato a squarci di spazi aperti, che via via si allargano fino a costituirsi come un ambito prevalentemente rurale, dove l’ampiezza degli spazi aperti naturali e la presenza di territori coltivati caratterizza di gran lunga il paesaggio. In questo territorio “orizzontale”, ovvero non densamente costruito, si innesta un reticolo di città, non molti distanti reciprocamente e spesso laterali alle città prima descritte (§ 3.1), all’interno di un territorio rurale a vocazione intensiva, irriguo o con coltivazioni in serra, con aziende zootecniche finalizzate alle produzione delle carni e dei prodotti caseari. Una economia prevalentemente rurale che si “appoggia” su di un’agro-industria “leggera”, ad alti contenuti tecnologici, che completa la filiera produttiva in loco ed esporta i suoi prodotti sui mercati mondiali25. Questi sono ambiti che qualcuno ha provato a chiamare territori lenti (Lanzani e Lanciarini 2005, Lanzani 2006), intendendo con questo aggettivo non l’esistenza di fenomeni patologici ma invece un diverso modo di posizionarsi nel mercato, diverso appunto da quello delle città e delle regioni metropolitane. In questi territori il paesaggio crea valore aggiunto ed esso stesso contribuisce alle politiche di marketing territoriale, alcune volte in modo inconsapevole altre volte con una consapevole banalizzazione del milieu territoriale. Sotto questa prospettiva possono essere visti come territori lenti il versante tirrenico delle catene dei Nebrodi e dei Peloritani, specializzati nel turismo così come nella manifattura di prodotti tradizionali. La falda ovestnord-est del cono vulcanico etneo (Adrano, Bronte, Randazzo, Linguaglossa e Piedimonte Etneo) specializzati in colture di pregio. L’arco formato dai Caltanissetta, Enna e il Dittaino, denotato da un sistema di piccolo distretti industriali collegati all’agro-industria. Il sistema di territori retrostanti le aree industriali di Augusta e Gela che fa centro nell’area del calatino e del netino, specializzati nel turismo diffuso così come nella manifattura di prodotti tradizionali. Il vertice sud dell’Isola (Pachino e Scicli) che si estende fino a Vittoria, caratterizzato anche questo da una dinamica agro-industria legata alla produzione di colture di pregio. Il sistema retrostante Trapani, e in parte Palermo, delimitato dai monti di Gibellina, i territori del pregiatissimo

25 Si consideri ad esempio il ricchissimo settore delle produzioni tipiche di origine controllata che, valorizzate su scala globale con opportune campagne pubblicitarie, si situano sui mercati di mezzo mondo. Alcuni esempi sono il mercato dei vini, dei prodotti caseari, delle produzioni artigianali e dei piccoli manufatti tradizionali.


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Marsala. Quelle fasce del territorio agrigentino (Sciacca, Ribera), specializzate nel turismo e nella coltivazione di agrumi di qualità. Le forme urbane nei territori lenti sono quelle dell’insediamento sparso che però si struttura all’interno di “poligoni” di città di media e piccola dimensione. Nonostante, per ragioni storiche, la popolazione abiti in piccoli borghi accentrati (§ 1.1) una ripresa dell’urbanizzazione di tipo sparso - che fa leva su un diffuso patrimonio abitativo abbandonato (le masserie riconvertite in agriturismo e residenze private, le sdemanializzate case cantoniere e le piccole stazioni ferroviarie anch’esse ri-arrangiante come case per civile abitazione), su una industria agro-alimentare, principale motore economico, che per sua ragione costitutiva non può che essere disseminata sul territorio, e su una sempre più distorta interpretazione dei regolamenti urbanistici che trasformano le zone E, zone a verde agricolo appunto, in sempre più estesi quartieri residenziali26 - sembra uno dei connotati più pervasivi di questi ambiti. Sebbene questi territori lenti sembrano costituirsi come una forma alternativa alla città metropolitana, la loro autonomia appare limitata e spesso è proprio qui che si svolgono importanti processi di trasformazione che partono dalle aree metropolitane. Modi dell’abitare e stili di vita che per quanto sensibili alle istanze del paesaggio e ad un rinnovato interesse per la qualità della vita sembrano comunque implicare una articolata domanda di mobilità paradossalmente più pericolosa in termini ambientali rispetto a quella della città metropolitana. Al desiderio di vivere in un mondo poco inquinato si sovrappone un estremo desiderio di mobilità privata. Ad una apparente semplificazione dello stile di vita si contrappone una continua complessificazione dei consumi.

26 La normativa urbanistica per le zone E prevede la possibilità di edificare edifici residenziali per la famiglia colonica nella misura di 0,03 mc di volume costruito “vuoto per pieno” per ogni mq di superficie fondiaria. Inoltre la normativa prevede un incremento di cubatura, fino a 0.10 mc su mq, per edifici aventi destinazione d’uso produttiva a servizio dell’azienda agraria. Questo consistente “bonus” ha però determinato in queste zone un notevole rilascio di concessioni edilizie per fabbricati rurali che di produttivo hanno ben poco e che spesso vengono abusivamente utilizzati per civile abitazione.


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4.3. Territori lunghi Territori veloci e lenti non esauriscono la casistica di forme territoriali riscontrabili in un caso di studio siciliano notevolmente complesso. Ci si può quindi trovare, lungo il viaggio immaginario che si è iniziati al capitolo 3, all’interno di vasti territori interni e montuosi, che si possono articolare in estesi ed ondulati altipiani o in catene montuose di ragguardevole entità eredi di quell’assetto latifondistico impresso, nel Mezzogiorno, prima dai Normanni e poi dalle successive dominazioni spagnole (Sereni 1972). Luoghi, interessati da un continuo saldo migratorio negativo, in cui il reticolo di città che si innestano sul territorio si fa sempre più largo e a tratti si interrompe. Un paesaggio dell’entroterra che sebbene attraversato da importanti assi infrastrutturali (oleodotti, elettrodotti, metanodotti, autostrade, etc.) è l’esito di processi di trasformazioni lunghi. L’aggettivo “lungo” sta qui a significare non solo gli aspetti dimensionali di questi grandi spazi ma allude allo stesso tempo ad orizzonti temporali di lunga durata. Una estensione di questi territori lunghi che si ramifica quindi nel tempo e nello spazio e che si contrappone alla «violenza ed alla velocità» dei processi che si consumano a valle, o sulla costa, nelle città o nei territori periurbani. I territori lunghi sono quel dominio del paesaggio dove entrambe le componenti del landscape, materiali e percettive, o in altre parole naturalistico-ambientali e del paesaggio come oggetto pensato (Zancan 2005), si “allineano” evitando quelle contraddizioni proprie delle regioni metropolitane. I segni dell’uomo scalfiscono questo contesto occasionalmente ma non per questo in maniera meno esaltante di quanto avvenga a valle. I manufatti qui trovano il tempo di sedimentare, di adattarsi e far sì che la natura si adatti ad essi, disegnando un reticolo di relazioni labili fra città questa volta distanti reciprocamente ed in continuo spopolamento. Le città che si innestano nei territori lunghi funzionavano anticamente, ma neanche troppo tempo fa in Sicilia, come avamposti agricoli, sedi di scambi e di contrattazioni che valorizzavano, nel significato economico del termine, i prodotti della terra e gli allevamenti che su questa si impiantavano. Questi borghi, estremamente popolati, erano duali di un frazionamento fino all’inverosimile del latifondo dato in gestione a coloni e mezzadri per canoni di affitto esorbitanti (Rossi Doria 1956, Medici 1947). L’abitare sparso, tipico della pianura padana (vedi la carta del Biasutti in appendice C), è qui inesistente a causa dei rapporti economici e sociali che si consolidavano nel latifondo e che facevano del contadino l’unico centro dell’attività agricola (§ 1.1). Quest’ultimo, il contadino-colono, costretto a viaggiare diverse ore, durante la notte, per raggiungere piccoli appezzamenti di terreno (dai 2 ai 5 ha) lontani diversi chilometri gli uni rispetto agli altri. Era quindi il borgo popolato l’unico centro possibile delle sue attività di


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agricoltore: da cui partire al mattino presto per arrivare dopo molte ore al campo, in cui vendere all’occorrenza i pochi prodotti che la sua attività produceva ed acquistare quelli che non riusciva a coltivare. Se il latifondo rimaneva quello che era, e cioè una immensa distesa di terra scarsamente utilizzata, è perché il sistema di questi rapporti non lo rendeva conveniente. Ma quando il processo di unificazione della penisola spostò il baricentro politico ed economico a nord, questi borghi furono i primi a soffrire di una latitanza dello Stato che si sarebbe prolungata fino ai giorni nostri. Un periodo di stagnazione nel quale i piccoli centri si videro “catapultare” dall’alto, in maniera casuale, poche opere pubbliche (giardini, nuovi viali, etc.) e che nel frattempo già raccoglievano i risultati della speculazione immobiliare di una nuova classe borghese che si apprestava a convertire le rendite del latifondo in rendite urbane (Sanfilippo 1983). Interventi urbani che in queste piccole città si realizzavano con rudimentali piani di espansione impostati su indefinite griglie ortogonali - che permettevano l’ottimizzazione dello spazio – e con poche attrezzature pubbliche e qualche anonima piazza. Diversi sono gli scritti, le pellicole, i racconti orali, le tele pittoriche che hanno fotografato l’apparente immobilità di questi territori. I viaggi di Goethe e di Houel del settecento restituiscono, nelle loro incisioni e nei quaderni di appunti, la grandiosità e la misteriosità di un paesaggio sconosciuto ed incontaminato. Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa racconta di una Sicilia in transizione, dal dominio borbonico a quello piemontese, dove principi, proprietari di immensi territori, potevano fondare dal nulla avamposti agricoli che col tempo si sarebbero consolidati in vere e proprie città feudali (Ferla, Buscemi, Caccamo, Prizzi per fare alcuni nomi). Rosso Malpelo, la novella di Verga, racconta di una Sicilia pre-industriale che basava la sua economia sull’estrazione dello zolfo dalle miniere dell’entroterra. Uno zolfo che poi confluiva, attraverso una rete ferroviaria appena realizzata, alle principali città costiere dove veniva raffinato e poi esportato per mezzo di navi. Ne L'Avventura di Michelangelo Antonioni un complicato intreccio amoroso viene ritratto anche in quei borghi rurali già disabitati (fra Francavilla di Sicilia e Novara di Sicilia) realizzati dal nulla negli anni cinquanta, per favorire la colonizzazione del latifondo siciliano. Infine gli scritti di Rossi Doria e Gambi, solo per fare alcuni nomi, mettono alla luce la miseria generalizzata di un popolo che progressivamente abbandonava il cosiddetto “Centro di Sicilia” per cercar fortuna in pianura, sulla costa, dove i politici si stavano preparando a svendere l’Isola con la complicità dei poteri forti dell’economia nazionale. È quest’ultimo aspetto, cioè la progressiva marginalizzazione di intere parti del territorio interno dell’Isola, ma più in generale dell’Appennino d’Italia, che pare più interessante e quello che più di tutti contribuisce a


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spiegare la strana parabola del territorio siciliano e per estensione del Mezzogiorno italiano . Dopo un primo massiccio fenomeno migratorio, nei primi venti anni dello scorso secolo, verso soprattutto il continente americano, una intensa fase di bonifica delle pianure siciliane, portata avanti durante il periodo fascista, dimostrò subito i suoi limiti nel trasformare gli ordinamenti produttivi estensivi in altri più redditizi e fu ben lungi dal migliorare le condizioni di vita delle popolazioni rurali (Rossi Doria 1938). Dopo la fine del secondo conflitto mondiale una economia locale ai limiti del baratro e una disoccupazione dilagante contribuirono ad alimentare pesantemente il copioso fenomeno migratorio dall’Isola verso le più industrializzate città del nord Italia. Sono gli anni in cui si pongono le basi per la politica di intervento speciale nel Mezzogiorno che avrebbe sostenuto l’industrializzazione della Sicilia favorendo alcune importanti realtà imprenditoriali del settentrione d’Italia. I vantaggi fiscali e un contesto geografico favorevole – la Sicilia si trova in coincidenza dell’importantissima rotta commerciale Suez-Gibilterra che attraversa il Mediterraneo da est ad ovest – e sociale – l’assenza di conflitti di classe e di sindacati forti – indussero a creare distretti industriali di ragguardevoli dimensioni27 che, come da prassi per tutte le città moderne (territorio pianeggiante e presenza di ampi porti navali), furono localizzati lungo la costa. A partire dagli anni settanta un imponente fenomeno emigratorio verso le nuove città industriali siciliane contribuì a svuotare ulteriormente il “Centro” dell’Isola. Un processo di industrializzazione che già dall’inizio dimostrò tutta la sua debolezza: una politica di agevolazione a pioggia che non privilegiava il basso costo della manodopera meridionale ma bensì le grandi attività industriali meccanizzate28, una politica settoriale che non contrastò il disordinato modo di crescere delle conurbazioni meridionali anche sulla scorta dei problemi urbani che già si evidenziavano nei contesti maturi delle città del «triangolo industriale» (§1.2). Più tardi questo gap si sarebbe fatto sempre più grande nei confronti di nuovi scenari di sviluppo che contemporaneamente si andavano delineando in Asia - specie in Paesi quali Taiwan, Bangladesh, Vietnam, Corea del Sud e Cina. Dopo la breve vampata della new economy, nei primi anni novanta, che fece sperare inutilmente in una auspicata re-distribuzione del terziario verso quei luoghi interni che più di tutti avevano subito il fenomeno emigratorio 27 Basti pensare che l’ASI (Area Sviluppo industriale) della piana di Milazzo ha una superficie complessiva di 352 ha, quella di Termini Imerese di quasi 450 ha, quella di Gela di 1.200 ha, quella di Catania di quasi 1.800 ha, quella di Augusta-melilli-Siracusa di 4.500 ha. 28 AA.VV. (1970) Annali del Mezzogiorno, Università di Catania - Istituto di storia economica, Catania


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(Martinotti 1993), oggi, al tempo di una società cablata e connessa alla rete mondiale, i processi di decentralizzazione registrano ancora una volta il primato delle città capoluogo di provincia e delle regioni metropolitane sul resto dei comuni dell’entroterra. La frammentazione imprenditoriale visibile nella polverizzazione in micro-unità del territorio produttivo, un alto tasso di vecchiaia della forza lavoro tutta maschile, un basso tasso di scolarizzazione, una scarsa liquidità economica, la de-civilizzazione29 delle comunità insediate data dal costante processo di abbandono sottolineano, con una tenacia tutta meridionale, l’imponente fragilità di un “osso”, secondo la nota metafora di Rossi Doria, ancora troppo lungo.

Figura 4.3. Territori lunghi: il borgo, i carrubi ed i muretti in pietra calcarea nel versante ragusano dei monti Iblei.

29 Per de-civilizzazione si intende il processo di abbandono e di forzata cancellazione dalla memoria di quel sistema di valori che provengono dal passato, che si scontra con la frustrazione degli abitanti di non potere essere al centro di quei nuovi valori dati dalla contemporaneità che stanno nella città. L’entroterra è sotto certi aspetti più a rischio delle città per quel che riguarda il disagio sociale. La condizione di iniquità in cui vive la popolazione che rimane nei territori interni trasformano questi ultimi in periferie, straordinariamente estese, del disagio sociale.


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5. Rappresentare la complessità del territorio siciliano Una delle ragioni più importanti che spinge urbanisti ed esperti di altre discipline (sociologi ad esempio) ad occuparsi di città, cioè di aree densamente popolate, invece che di entroterra, cioè di aree debolmente popolate ed in via di spopolamento, sta nel fatto che è qui che si concentra il 60% della popolazione mondiale. Con riguardo al caso di studio esaminato in questa tesi, si vuole capire dove si trova il restante 40% di popolazione e in che modo si distribuisce sul territorio (tabelle 5.1 e 5.2). La popolazione siciliana, infatti, al 2005, è di 5.017.212 abitanti (tabella 4.1) e, nell’ultimo quinquennio, la crescita media è stata di circa 9.700 persone all’anno con un salto netto dal 2002 al 2003 di 31.138 abitanti. I due terzi della popolazione totale sta in città fino a 200 m s.l.m.; poco meno di un quarto del totale sta tra i 201 e i 500 m s.l.m.; il 17% sta tra i 501 e 1000 m s.l.m.; ed infine solo l’1% sta in comuni al di sopra dei 1000 m.s.l.m (tabella 4.2). Inoltre è possibile notare che tale proporzione si mantiene stabile su un arco temporale che va dal 1991 al 2005. Se poi, disponendo di dati geografici quali la superficie dei comuni, si va a vedere la densità territoriale di abitanti, cioè il numero di abitanti che risiede in un dato comune diviso la superficie territoriale di quest’ultimo, si nota che anche quest’ultima rimane stabile nel medesimo intervallo temporale (tabella 4.2). Infatti le città fra 0 e 200 m s.l.m. avanzano passando, dal 1991 al 2005, da 428 a 436 abitanti per chilometro quadro mentre i comuni fra 201 e i 500 m s.l.m. passano da 153 a 157 abitanti per chilometro quadro. Infine i comuni sopra i 501 m s.l.m. arretrano passando rispettivamente 84 a 81 e da 38 a 37 abitanti per chilometro quadro. Una densità pari a 435 abitanti per chilometro quadro è equivalente a quella di San Marino (una delle città più dense d’Europa), mentre una densità di 37 abitanti per chilometro quadro è simile, pressappoco, a quella dell’Eritrea, ex colonia italiana per gran parte coperta da deserti permanenti. L’obiettivo di questo capitolo è quindi quello di argomentare il modello descrittivo-interpretativo costruito per mezzo delle figure dei territori veloci, lenti e lunghi (§ 4) attraverso un procedimento di analisi quantitativocartografico (§ 2). I tre macro-ambiti individuati sono quelli morfologico e ambientale (§ 5.1), antropico e culturale (§ 5.2), economico e demografico (§5.3) che contengono a loro volta un numero variabile di sub-componenti30. Ogni sub30 Per il macro-ambito morfologico e ambientale l’ambiente abiotico e biotico. Per il macro-ambito antropico e culturale l’uso del suolo, il territorio urbanizzato, le infrastrutture per la mobilità, il patrimonio storico-culturale. Per il macro-ambito economico e demografico il reddito e i consumi, lo stato occupazionale, la diffusione dei servizi, la demografia.


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componente si articola in una serie di indicatori che permettono di misurare le dimensioni della complessità dei fenomeni territoriali. Gli indicatori sviluppati si basano su un apparato di conoscenze riassunto in appendice A. Ognuna delle mappe prodotte in ambiente GIS è stata costruita coerentemente alle indicazione contenute nell’appendice B. Successivamente si è proceduto ad un assemblaggio per parti delle varie sub-componenti attraverso operazioni di sovrapposizione ed intersezione degli “strati” informativi che hanno permesso di rendere più efficace l’interpretazione dei fenomeni territoriali (§5.4). Questa modalità di analisi è stata possibile anche grazie all’utilizzo di tecnologie GIS che, attraverso raffinate tecniche di analisi geografica, hanno permesso l’elaborazione dei vari dati “grezzi”, forniti dagli enti di raccolta ed elaborazioni dati a livello nazionale, interfacciandoli con la Cartografia Tecnica Regionale. Le carte prodotte sono raccolte, per comodità di stampa, in appendice C.

Tabella 5.1. Popolazione nel periodo 1991-2005 suddivisa per fasce di altitudine (fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT ). m s.l.m.

POP1991

POP2001

POP2002

POP2003

POP2004

POP2005

0 - 200

2.929.951

2.957.984

2.954.937

2.974.537

2.980.709

2.982.883

201-500

1.102.412

1.106.852

1.113.605

1.122.912

1.127.757

1.131.146

501-1000

895.756

868.754

868.574

871.069

870.094

868.954

> 1000

38.267

35.401

35.008

34.744

34.521

34.229

tot.

4.966.386

4.968.991

4.972.124

5.003.262

5.013.081

5.017.212

ab

ab

ab

ab

ab

ab

Tabella 5.2. Percentuale di abitanti per fascia di altitudine e densità di popolazione nel periodo 19912005 (fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT ). Fasce

Distribuzione 1991

2005

Densità 1991

Area 2005

0 - 200

59

59

428

436

6.847

201-500

22

23

153

157

7.225

501-1000

18

17

84

81

10.710

> 1000

1

1

41

37

930

tot.

100

100

193

195

25.714

m s.l.m.

%

%

ab/Kmq

ab/Kmq

Kmq


Dietro la metropoli. Appunti per un nuovo entroterra siciliano | 53

5.1. Macro-ambito morfologico ed ambientale Il macro-ambito morfologico ed ambientale si articola in due sub-sistemi: abiotico e biotico. La carta del sub-sistema abiotico (§ C.12) permette di descrivere il sistema morfologico attraverso i seguenti tematismi: curve di livello, linee di crinale, spartiacque, classificazione dei comuni sulla base dell’altitudine sopra il livello del mare. Da questa mappa è quindi facile estrapolare tre sistemi concentrici: territori che si sviluppano lungo la costa (in giallo chiaro) dove si concentrano i due terzi della popolazione totale dell’Isola, territori collinari (in arancio chiaro), immediatamente retrostanti a quelli costieri, dove abita il 23% della popolazione complessiva, territori montuosi interni (in marrone chiaro e scuro), quelli delle principali catene montuose dei Peloritani, dei Nebrodi, delle Madonie, degli Iblei, degli Erei, dei Sicani, dei monti di Gibellina e del cono vulcanico etneo, in cui abita il 18% della popolazione totale. La carta del sub-sistema biotico (§ C.13) facilita la lettura delle caratteristiche del patrimonio naturale e delle aree di protezione dei bacini fluviali individuati a seguito della legge Galasso (oggi D.lgs. 42/2004). Da questa mappa è possibile ricavare le seguenti informazioni: - gli attuali parchi regionali, quattro in tutto (Madonie, Nebrodi, Etna, Alcantara), sono tutti vicini al “vertice” nord-est dell’Isola e si articolano in diverse aree di protezione in ragione dell’azzonamento previsto dagli specifici strumenti di piano dei vari Parchi; - esistono vasti comprensori naturalistici che si articolano in riserve, Zone di Protezione Speciale (ZPS) e Siti di Importanza Comunitaria (SIC) - in particolare in corrispondenza dei comprensori dei monti Sicani, Erei, Iblei e dei Peloritani – che gareggiano per estensione con i parchi regionali; - la presenza di un reticolo di biotopi principalmente diffusi lungo la costa e che si addensano in corrispondenza di specifici punti. In questo caso elaborando i dati con la Kernel Analysis (§ A.III) risulta possibile individuare quattro regioni di addensamento: in corrispondenza dei monti Sicani, nelle due estremità nord-ovest (riserva dello Zingaro) e nord-est (parco delle Madonie) della provincia di Palermo, tra le città di Enna e quella di Caltanissetta (i laghetti del Pasquasia, il fiume Imera) ed infine in corrispondenza del vertice meridionale dell’Isola in provincia di Siracusa; - un complesso sistema di vincoli legati al reticolo fluviale esteso a tutta l’Isola ad eccezione del cono vulcanico etneo e della parte meridionale del vertice occidentale dell’Isola.


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Figura 5.1. L’orografia della provincia di Messina vista da nord in una elaborazione digitale. A sinistra si scorge la presenza del vulcano Etna (nostra elaborazione su dati PTPR 1996).

Figura 5.2. L’orografia della provincia di Palermo vista da ovest in una elaborazione digitale. Al centro si scorge la presenza del vulcano Etna (nostra elaborazione su dati PTPR 1996).


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5.2. Macro-ambito antropico e culturale Il macro-ambito antropico e culturale è stato scomposto in quattro subcomponenti: uso del suolo, territorio urbanizzato, infrastrutture per la mobilità, patrimonio storico-culturale. La carta dell’uso del suolo (§ C.14) è articolata nelle seguenti categorie: - territorio urbanizzato o comunque modellato artificialmente che occupa il 4% del territorio complessivo, - territorio agricolo, che a sua volta si suddivide nelle seguenti categorie: agrumeti, seminativo (arborato e non), coltivazioni in serra e vigneto che occupa il 70% del territorio complessivo; - sistema naturale, che a sua volta si articola in boschi, praterie e pascoli, deserti lavici o territori con vegetazione ridotta o assente, arbusti d’alta quota, saline, macchia mediterranea che occupano complessivamente il 25,7% del territorio complessivo; - zone umide e corpi idrici che occupano complessivamente lo 0,3 % del territorio complessivo. Alla luce di questa carta risulta possibile individuare cinque grandi sistemi territoriali: - il sistema del cono vulcanico etneo; - il sistema prevalentemente a vocazione boschiva che dai Peloritani (a nord-est) si estende verso ovest seguendo le creste dei Nebrodi e delle Madonie e che comprende il territorio di ben due parchi regionali (parco regionale dei Nebrodi e parco regionale delle Madonie appunto); - un terzo ed ampio sistema della coltivazione della vite che si estende sulla quasi totalità della provincia di Trapani, in parte di quella Agrigento e Palermo (il vertice ovest dell’Isola) compresi altri piccoli cluster in provincia di Agrigento e Ragusa; - un quarto sistema delle coltivazioni in serra che interessa la porzione di costa che da Ragusa va ad Acate passando per Vittoria; - un quinto ed ultimo sistema della coltivazione degli agrumi principalmente concentrato nella Piana di Catania e nella costa ionicoetnea, ma anche a valle della conca che cinge la città di Palermo ed i comuni ad essa limitrofi. La restante parte del territorio siciliano, specie nel suo entroterra, è coltivato a seminativo prevalentemente asciutto. L’altra sub-componente è quella relativa al territorio urbanizzato che si articola a sua volta in: stadi temporali di urbanizzazione del territorio (nel nostro caso il PTPR individuava il territorio urbanizzato al 1860, 1955, 1975 e 1994), patrimonio residenziale, individuazione degli agglomerati industriali ASI, densità di popolazione e sua evoluzione storica, tasso di urbanizzazione del territorio. Per motivi di spazio si è scelto di evidenziare le ultime due


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variabili che esprimono rispettivamente il numero di abitanti per unità di territorio effettivamente urbanizzata e la quota parte di territorio urbanizzato sul totale della superficie territoriale comunale. Iniziando dall’ultima di queste variabili è possibile dedurre che (§ C.15): - una larga quantità di territorio “consumato” si ha nei comuni costieri; - le maggiori concentrazioni di territorio urbanizzato si hanno in corrispondenza dei tre maggiori complessi metropolitani dell’Isola (Palermo, Catania e Messina); - in aree metropolitane mature, come quella catanese, il maggior consumo di territorio si ha nei comuni di cintura che vivono in simbiosi con la città capoluogo. Negli agglomerati palermitano e messinese la concentrazione diminuisce con l’aumentare della distanza dal centro31; - porzioni estese di territorio consumato si hanno tuttavia nella provincia di Trapani, nella porzione di territorio compresa fra Agrigento e Caltanissetta, nella provincia di Ragusa e nella porzione di costa che da Avola va ad Augusta; - le aree interne dell’Isola, con un andamento che segue gli spartiacque delle principali catene montuose, presentano un tasso di urbanizzazione del territorio basso. La carta della densità effettiva di popolazione (§ C.16) permette di notare la maggiore concentrazione di abitanti lungo la costa, specialmente in corrispondenza delle tre maggiori agglomerazioni metropolitane (Palermo, Catania e Messina). Una ampia fascia di territorio densamente abitato, da sud verso nord, interessa la provincia di Ragusa, il Val d’Anapo, il calatino, parte dell’ennese e la falda ovest del vulcano etneo. In misura minore anche fra Agrigento e Caltanissetta è possibile distinguere una serie di comuni più densi; un fenomeno simile lo si trova anche fra la città di Trapani e quella di Palermo. Altro dato interessante è l’evoluzione della densità di popolazione dell’Isola dal 1861 fino ad oggi (§ C.17). Individuando quattro istanti temporali significativi – il 1861, data di unificazione della penisola italiana, il 1951, il secondo dopoguerra, il 1971, periodo forte di industrializzazione dell’Isola, 2001, giorni nostri – è stato possibile mappare il processo di spopolamento dell’entroterra siciliano. Se la prima preoccupazione, negli anni successivi all’unificazione della penisola italiana, fu la colonizzazione del latifondo siciliano, individuata da un incremento di densità di popolazione dei territori interni, dal secondo dopoguerra in poi il fenomeno si smorza a causa di un forte flusso migratorio verso il nord Italia e le industrializzate 31 Cfr. RIZZO A. (2004) Le "architetture" della metropoli. Analisi e strategie per il governo dei sistemi metropolitani: il caso catanese, Tesi di laurea, Catania.


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città costiere dell’Isola. Oggi più che mai l’entroterra siciliano risulta un territorio desolato in cui la mancanza di abitanti fa si che da una parte quest’ultimo risulti automaticamente salvaguardato da azioni che possano mettere a repentaglio il prezioso patrimonio naturalistico e culturale in esso contenuto e dall’altra fenomeni di degrado e di abbandono producano la distruzione dei borghi storici e del sistema costruito diffuso. La sub-componente che descrive la mobilità e sue infrastrutture si articola a sua volta in: grandi reti di distribuzione dell’energia, strade ferrate, viabilità su gomma, numero di automobili pro capite relativo all’anno 2001. Anche in questo, per motivi di spazio, si è deciso di evidenziare la struttura del sistema del trasporto terrestre dell’Isola. Il complesso sistema della mobilità dell’Isola (§ C.18) si articola in una rete diffusa di strade secondarie che disegna un reticolo stradale, più o meno omogeneo, con un passo medio di 20 Km. Il reticolo si infittisce, diventando radiale rispetto ad alcuni centri, in corrispondenza delle principali città costiere (Catania, Agrigento e Palermo) e del nodo centrale CaltanissettaEnna. Attraverso questo ultimo nodo passa l’unica arteria autostradale interna, la Palermo-Catania. L’anello autostradale costiero si interrompe nel tratto che va da Mazara del Vallo a Gela, penalizzando principalmente la città di Agrigento. La rete ferroviaria, a differenza di quella autostradale, interessa vaste porzioni dell’entroterra siciliano32. Il numero di automobili pro capite è sensibilmente più elevato la dove è più densa la rete stradale e autostradale: nell’area metropolitana che da Catania si allunga verso la provincia di Messina e quella di Siracusa, l’asse Agrigento-Caltanissetta, la parte della provincia di Ragusa fra Modica e Vittoria. Valori ragguardevoli del numero di automobili pro capite riguardano anche il vertice sud – le province di Ragusa e Siracusa – ovest – la provincia di Trapani – e nord – specie il versante tirrenico della provincia di Messina - dell’Isola. I valori sono bassi nell’entroterra. L’ultima sub-componente è quella che fa riferimento al sistema culturale e al patrimonio storico regionale e si articola in (§ C.19): - sedi di atenei, consorzi e in generale sedi didattiche e decentramenti di queste ultime; - aree archeologiche, beni sparsi e rete museale; - numero di eventi e feste popolari per unità comunale. La maggiore concentrazione di atenei e consorzi universitari si ha nella porzione orientale dell’Isola. Per quanto riguarda la distribuzione dei beni storici ed archeologici - sintetizzata con una analisi di densità (§ A.III) allo scopo di individuare delle concentrazioni (cluster) sul territorio – risulta 32

Queste ultime ricche di giacimenti di zolfo sfruttati fino all’inizio del secolo scorso.


58 | Capitolo 5 | Rappresentare la complessità del territorio siciliano

possibile individuare cinque aree a forte concentrazione intorno alle città di Palermo, Trapani e Marsala, Siracusa, Catania e Messina. A queste bisogna aggiungere un insieme di aree interne montuose vantaggiose in passato per la migliore possibilità di difesa dagli attacchi dei predoni provenienti dalla costa. Infine la variabile relativa alla distribuzione degli eventi e delle feste popolari permette di notare tre aree di maggiore concentrazione all’interno del “triangolo” compreso fra le città di Palermo-Agrigento-Caltanissetta, nel vertice nord dell’Isola e nel Val di Noto.

Figura 5.3. L’orografia delle province di Siracusa e Ragusa vista da sud-est in una elaborazione digitale. Sullo sfondo si scorgono la catena montuosa dei Nebrodi e delle Madonie (nostra elaborazione su dati PTPR 1996).


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5.3. Macro-ambito economico e demografico Il macro-ambito economico e demografico è stato disarticolato in due subcomponenti: reddito e i consumi, diffusione dei servizi e demografia. La sub-componente relativa al reddito e i consumi è a sua volta descritta per mezzo delle tre variabili del reddito, dei consumi totali e dei consumi per trasporti e comunicazioni pesati per numero di famiglie. La sub-componente relativa alla diffusione di servizi è invece stata descritta per mezzo dei seguenti indicatori: superficie pro capite per supermercati, superficie della media e grande distribuzione pro capite, numero degli sportelli bancari pro capite. Tramite la carta relativa alla superficie della media e grande distribuzione (§ C.20) è possibile individuare 6 aree di concentrazione: una modesta intorno la città di Palermo, un’altra altrettanto modesta intorno la città di Messina, una media che va da Trapani fino ad Agrigento, una massiccia intorno le due città di Enna, Caltanissetta e Caltagirone, una estesa che ingloba l’area metropolitana di Catania ed i comuni della falda nord del cono vulcanico etneo, un’altra altrettanto vasta che interessa la porzione sud della provincia di Siracusa e quella di Ragusa. I valori di questo indicatore sono molto bassi, o nulli, in tutto l’entroterra e nella porzione di comuni costieri isolati rispetto i grandi complessi metropolitani (costa tirrenica). La sub-componente relativa alla demografia è stata modellata attraverso sei indicatori: popolazione complessiva al 2005 divisa per classi di ampiezza, tasso di analfabetismo, tasso di vecchiaia della popolazione, tasso di istruzione superiore ed universitaria, tasso di scolarizzazione, movimento migratorio. Di questi, per motivi di spazio, si è scelto di evidenziare la popolazione complessiva, il tasso di vecchiaia e il pannello dei movimenti migratori. La carta della popolazione totale per comune all’anno 2005 (§ C.21), suddivisa per cinque classi di ampiezza, permette di delineare le seguenti strutture: - altamente popolate: una fascia continua nell’area metropolitana di Catania, una altrettanto continua fra Siracusa, Ragusa e Gela, l’allineamento Enna-Caltanissetta-Agrigento, una fascia di comuni che da Trapani va a Sciacca, l’area metropolitana di Palermo, una fascia di comuni che va da Messina a Milazzo; - mediamente popolate: un sistema diffuso retrostante Trapani e Palermo, un esteso sistema diffuso, che si interseca con territori altamente popolati, interessa le porzioni centro-meridionale e sud-orientale dell’Isola; - poco popolate: i territori degli spartiacque Peloritani-Nebrodi-MadonieSicani e di parte dei monti di Gibellina.


60 | Capitolo 5 | Rappresentare la complessità del territorio siciliano

Attraverso la carta sul tasso di vecchiaia della popolazione insediata (§ C.22) è possibile notare come le maggiori aree metropolitane dell’Isola – Catania e Palermo – presentano una struttura demografica molto giovane. Questo in parte risulta vero anche per Siracusa, Ragusa, Trapani e città limitrofe. Altri comuni – in corrispondenza dei monti Peloritani-NebrodiMadonie-Sicani e dei monti Erei-Iblei - sono invece connotati da un elevato tasso di vecchiaia con valori che arrivano a sfiorare i 35 abitanti su 100 con età superiore a 65 anni (popolazione non attiva). Il “pannello” del movimento migratorio (§ C.23) nel quadrennio 20022005 permette di concludere con le seguenti considerazioni: - rimane pressoché costante la perdita di popolazione nel “triangolo” interno dell’Isola; - le maggiori città metropolitane siciliane continuano ad espellere abitanti verso i territori circostanti33; - i vertici sud (Ragusa e Modica) ed ovest (Trapani-Marsala) dell’Isola, i sottili nastri urbanizzati tirrenici - da Palermo a Messina - e ionici - da Messina a Siracusa - guadagnano costantemente nuova popolazione; - il sistema costiero sud sembra quello più instabile ma in generale in quest’ultimo si nota una certa tendenza allo spopolamento - che non risparmia neppure il popoloso centro di Gela - a cui fanno eccezione le città di Vittoria e Agrigento.

33 Cfr. RIZZO A. (2004) Le "architetture" della metropoli. Analisi e strategie per il governo dei sistemi metropolitani: il caso catanese, Tesi di laurea, Catania.


Dietro la metropoli. Appunti per un nuovo entroterra siciliano | 61

Figura 5.4. Grafo delle frequenze delle categorie ATECO per Sistema Locale del Lavoro siciliano (fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT 2001).


62 | Capitolo 5 | Rappresentare la complessitĂ del territorio siciliano

Figura 5.5. Grafo della frequenza di alcune macro-categorie ATECO per Sistema Locale del Lavoro siciliano (fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT 2001).


Dietro la metropoli. Appunti per un nuovo entroterra siciliano | 63

5.4. Intersezioni e prime conclusioni La seconda parte della metodologia di studio (vedi tabella 2.4) prevede un parziale ri-assemblaggio delle variabili relative ai macro-ambiti allo scopo di potere ricavare ulteriori informazioni relative alla dipendenza reciproca delle variabili. Si procederà quindi alla intersezione dei tre macro-ambiti nel seguente modo: - morfologico e ambientale con antropico e culturale, sovrapponendo la carta del sistema biotico con quella del sistema delle infrastrutture; - morfologico e ambientale con economico e sociale, sovrapponendo la carta del sistema abiotico-morfologico con quella del reddito medio per famiglia insediata; - economico e sociale con antropico e culturale, sovrapponendo la carta della sub-componente territorio urbanizzato con quella del tasso di addetti al settore secondario. 4.4.1 Morfologico e ambientale Vs antropico e culturale Dalla prima intersezione (§ C.24), quella cioè relativa al sistema biotico ed alle principali reti di distribuzione energetica, è possibile ricavare una importante informazione: i grandi assi infrastrutturali, energia e mobilità, attraversano le aree interne dell’Isola e gli spazi prevalentemente non urbanizzati disegnando sul territorio una “rete di corridoi” di spazi aperti che lambiscono il sistema delle aree ad alta valenza naturalistica e si inseriscono all’interno delle aree metropolitane. Inoltre agli assi infrastrutturali corrisponde una fascia di vincolo, che impedisce la trasformazione del territorio, di dimensioni consistenti. Ad esempio il metanodotto che distribuisce il gas libico in tutta Italia, attraversa la Sicilia in tutta la sua altezza interessando i territori interni dei monti Sicani, Erei, Nebrodi e Peloritani. Un secondo grande asse, corrispondente all’elettrodotto che collega la Sicilia all’Italia continentale, attraversa i Peloritani, il cono vulcanico etneo e gli Iblei. Un terzo grande asse, ancora una volta un elettrodotto parzialmente affiancato dall’autostrada Palermo-Catania (A19), attraversa la Sicilia da Sud verso Nord, da Gela a Termini Imerese. A questi importanti assi bisogna poi aggiungere le reti secondarie che contribuisco ad infittire la trama di questo grande ordito territoriale. 4.4.2 Morfologico e ambientale Vs economico e sociale Intersecando la variabile relativa all’assetto morfologico del territorio con quella del reddito annuo per famiglia insediata (§ C.25) risulta possibile notare una maggiore concentrazione di ricchezza nei territori lungo la costa. Tuttavia è possibile fare tre osservazioni: - non tutti i territori costieri sono connotati dalla stessa distribuzione del reddito ed i particolare i valori sono bassi in corrispondenza del vertice


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nord – escluso la città di Trapani e i suoi dintorni - e sud – esclusa la provincia di Ragusa - individuando una sorta di “diagonale”, con valori del reddito sotto i 25.000 €/annui per famiglia, che divide in due parti l’Isola; - questa “diagonale” si interrompe in corrispondenza delle due città di Enna e Caltanissetta dove il reddito per famiglia risulta comparabile a quello delle città sulla costa; - il reddito si mantiene alto in quelle zone montuose dove esiste un numero consistente di aziende zootecniche efficienti - in corrispondenza dei Peloritani, Nebrodi e Madonie e sui monti Iblei, specie nel versante ragusano. I consumi per famiglia insediata, non mostrati per motivi di spazio, si mantengono bassi in tutti i territori interni ed in parte anche in quelli costieri specie a sud. I consumi per trasporti e comunicazioni risultano elevati solo in corrispondenza dei centri metropolitani. 4.4.3 Economico e sociale Vs antropico e culturale Infine la terza intersezione (§ C.26) è relativa al territorio urbanizzato e al tasso di addetti nel settore secondario per unità locale insediata nonché per unità di popolazione insediata. I dati del censimento 2001, organizzati per Sistemi Locali del Lavoro34 (SLL), permettono di individuare tre differenti sistemi: 34 «I Sistemi Locali del Lavoro sono aggregazioni di comuni che derivano da una ricerca condotta da Istat ed Irpet […]. L'obiettivo di base è la costruzione di una griglia sul territorio determinata dai movimenti dei soggetti per motivi di lavoro; l'ambito territoriale che ne discende rappresenta l'area geografica in cui maggiormente si addensano quei movimenti. In questo modo si aggregano unità amministrative elementari (Comuni) individuati sul territorio dalle relazioni socio-economiche. I criteri adottati per la definizione dei Sistemi Locali del Lavoro (da ora in poi SLL) sono i seguenti: autocontenimento; contiguità; relazione spaziotempo. Con il termine autocontenimento si intende un territorio dove si concentrano attività produttive e di servizi in quantità tali da offrire opportunità di lavoro e residenziali alla maggior parte della popolazione che vi è insediata; capacità di un territorio di comprendere al proprio interno la maggior parte delle relazioni umane che intervengono fra le sedi di attività di produzione (località di lavoro) e attività legate alla riproduzione sociale (località di residenza). Un territorio dotato di questa caratteristica si configura come un sistema locale, cioè come una entità socio-economica che compendia occupazione, acquisti, relazioni e opportunità sociali; attività, comunque, limitate nel tempo e nello spazio, accessibili sotto il vincolo della loro localizzazione e del la loro durata, oltreché delle tecnologie di trasporto disponibili, data una base residenziale individuale e la necessità di farvi ritorno alla fine della giornata (relazione spazio - tempo). Il vincolo di contiguità invece significa che i comuni contenuti all'interno di un SLL devono essere contigui, mentre con la dicitura relazione spaziotempo si intende la distanza e tempo di percorrenza tra la località di residenza e la località di lavoro; tale concetto è relativo ed è strettamente connesso alla presenza di servizi efficienti» (tratto dal sito web di Unioncamere sulla pagina che fa riferimento all’atlante della


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- il primo è quello che fa riferimento a sistemi accentrati - come ad esempio nelle aree metropolitane di Catania, di Messina e di Palermo e nelle città industriali di Augusta-Melilli-Priolo, Gela e Termini Imerese; - l’altro fa riferimento a sistemi diffusi - come nel caso del ventaglio di comuni Trapani-Marsala-Mazara del Vallo, l’arco Caltanissetta-EnnaDittaino ed ancora la direttrice Ragusa-Gela-Agrigento, ed un sistema discontinuo che da Randazzo si estende verso Patti e continua fino a Cefalù; - il terzo ed ultimo riguarda l’entroterra, cioè la maggior parte del territorio siciliano, ed è diverso dai primi due modelli. L’analisi delle frequenze dei codici ATECO, cioè in altri termini il numero di SLL in cui si ripete il medesimo settore economico, permette di evidenziare che le attività che impiegano il maggior numero di risorse, escluse quelle legate alla pubblica amministrazione, sono quelle che riguardano il settore delle costruzioni civili, il terziario e la lavorazione di prodotti agricoli (figura 5.4 e 5.5). Quest’ultima elaborazione ha permesso successivamente, tramite l’accorpamento delle varie voci ATECO in macro-categorie (si confronti il passaggio da un codice ATECO a cinque cifre ad un meta codice a tre cifre), di isolare i settori economici frequenti nel sistema economico siciliano. Le attività imprenditoriali più frequenti sono ad esempio quelle che riguardano: l’organizzazione di eventi sportivi, le creazioni artistico letterarie, i servizi di pulizia, le attività delle banche commerciali, il settore dei trasporti, la ristorazione, il commercio al dettaglio di capi di abbigliamento, il commercio al dettaglio dei supermercati, il commercio degli autoveicoli, il settore immobiliare e dei servizi di ingegneria collegati, la raccolta, la prima lavorazione e la conservazione di prodotti agricoli. Questo però nulla dice su dove sono localizzate le attività più frequenti o, in altre parole, la connotazione economica di ciascun SLL siciliano. Allo scopo di rendere un po’ più accessibile l’elaborazione di questo dato sono state imposte le seguenti condizioni: un numero di personale impiegato superiore a 49 unità (si ricorda che un impresa per essere considerata mediogrande deve avere un numero di impiegati superiore alla soglia 49 unità), un numero di unità locali superiori ad 1, facendo eccezione in quest’ultimo caso per quelle attività che per loro natura sono gestite da enti o aziende in condizioni di oligopolio ed impiegano un numero rilevante di operai (ad esempio le centrali termoelettriche o le raffinerie di petrolio). In questo modo è stata costruita, per assemblaggi successivi, una matrice che ha per riga le competitività delle province relativo al luglio http://www.unioncamere.it/atlante/selreg_frame1024.htm).

2006

-

vedi:


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categorie ATECO della figura 5.5 e per colonna ciascun SLL siciliano. I risultati di questa elaborazione sono riassunti in tabella 5.3 che raggruppa i SLL in due macro-categorie: “A” e “B”. La categoria A.1 contiene le aree metropolitane di Palermo e Catania che hanno un numero elevato di unità locali impiegate nei servizi “rari” – le università ed in generale il terziario avanzato. La categoria A.3 individua le città industriali (Milazzo, Termini Imerese, Gela) legate principalmente a grandi impianti di raffinazione petrolifera, di produzione dell’energia e metalmeccanico. Fra questi due estremi, la categoria A.2 rappresenta una situazione di compromesso (Messina e Siracusa). Infine nella categoria A.4 sono state raggruppate le città con caratteristiche economiche complesse nel settore primario, secondario e terziario (fatta eccezione per i servizi avanzati nel settore dell’informatica). Accanto a questo gruppo di territori “dominanti”, un’altra serie di città si qualificano per un ridotto “peso” del settore secondario - che quasi sempre riguarda l’industria delle costruzioni civili – della logistica legata - alla movimentazione delle merci - e del terziario avanzato. La categoria B.1 raggruppa quei territori che dipendono da conurbazioni metropolitane più attive. Se quindi Enna è di per sé una città capoluogo - sede di importanti funzioni su scala provinciale - Taormina, Acireale, Giarre, Lentini e Vittoria sono quasi sempre sistemi terminali di organizzazione economiche “centrate” nelle maggiori città dell’Isola. Le categorie B.2 e B.3 sono sistemi economici dove la dimensione del settore terziario - il credito e la Grande Distribuzione Organizzata - perde progressivamente di importanza a vantaggio del settore primario - la trasformazione dei prodotti del capitale terra. 4.4.4 Sintesi Attraverso la carta C.27 si è quindi rappresentata la struttura del territorio siciliano proiettando i risultati ricavati dalle analisi sul modello dei territori veloci, lenti e lunghi. Da questa carta si evince che: - veloci sono i territori del sistema jonico Catania-Augusta-Siracusa, del vertice nord dell’Isola centrato su Messina, del sistema tirrenico Termini Imerese-Palermo-Partinico, dell’arco dei territori che va da Trapani a Mazara del Vallo, di Agrigento, un arco di territori che va da Caltanissetta ad Enna, Gela ed il sistema Ragusa-Modica; - lenti sono i territori laterali alle grandi e medie conurbazioni metropolitane – l’entroterra trapanese che si estende fino a comprender parte del territorio agrigentino, Cefalù e Santo Stefano di Camastra, parte dei territori del versante nord dei peloritani in provincia di Messina, il netino, il calatino con il basso ennese, i territori del ragusano (come Scicli, Vittoria e Comiso);


Dietro la metropoli. Appunti per un nuovo entroterra siciliano | 67 Tabella 5.3. Sintesi della tabella di analisi delle caratteristiche economiche di alcuni SLL siciliani (fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT 2001).

sll 607 577 582 597 598 603 632 625 590 565 566 573 588 611 618 600 637 638 627 624 629 636 568 612 634 635 572 602 586 595 613 594 641 581 628

denominazione Porto Empedocle CefalÚ Partinico Patti Sant'agata Di Militello CanicattÏ Paternò Adrano Capo D'orlando Alcamo Castelvetrano Bagheria Barcellona Sciacca Enna Taormina Lentini Noto Caltagirone Acireale Giarre Vittoria Marsala Caltanissetta Modica Ragusa Trapani Agrigento Termini Imerese Milazzo Gela Messina Siracusa Palermo Catania

sub.

cat.

3

2

B

1

4

A 3 2 1


68 | Capitolo 5 | Rappresentare la complessità del territorio siciliano

- lunghi sono i territori coincidenti con le principali catene montuose ed in particolar modo quelle dell’arco nord (Peloritani, Nebrodi e Madonie), del sistema centro-meridionale (Sicani, Monti di Gibellina ed il Corleonese), del versante interno degli Iblei, degli Erei, e dei territori della piana catanese a ridosso di questi ultimi. Situazioni di compromesso si hanno in quei territori che si trovano compresi fra sistemi a differenti velocità. A queste aree si è dato il nome di territori giunto, termine che sottintende l’importanza di trovare per queste una giusta identità tra tipi diversi. Inoltre, su questa ultima carta, si è provato ad immaginare relazioni possibili fra sistemi territoriali a diversa velocità - fra il sistema lento di Cefalù e quello veloce di Palermo, fra il sistema veloce di Gela e quello lento di Ragusa-Modica, fra i due sistemi lenti di Noto e Caltagirone.

Tabella 5.4. Una possibile articolazione del territorio siciliano in territori veloci, lenti e lunghi.

Territori A. Veloci 1. Sistema jonico 2. Vertice nord 3. Sistema tirrenico 4. Arco occidentale 5. Agrigento ed arco interno

B. Lenti

C. Lunghi

1. Versante esterno dei monti di Gibellina

1. Arco montuoso nord versante interno

2. Versante esterno delle Madonie

2. Arco montuoso centromeridionale versante interno

3. Versante esterno dei Peloritani 4. Netino

6. Gela

5. Calatino

7. Ragusa-Modica

6. Versante esterno degli Iblei

3. Arco montuoso sud versante interno e aree di pianura sottostanti


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6. Una nuova metodologia di studio per la formazione dei Piani di Area Vasta In questo capitolo verrà rivista la metodologia fino ad ora utilizzata per lo studio dell’entroterra siciliano allo scopo di mettere a punto una nuova procedura di formazione dei piani d’area vasta. I piani di area vasta sono quelli che si occupano di comprensori territoriali formati da più comuni o da unità di paesaggio estese. Nell’attuale quadro normativo italiano e siciliano assumono questo significato i: Piani Territoriali Provinciali (PTP) - istituiti in Sicilia con la L.R. 9/86 -, i Piani Paesaggistici ed i Piani Territoriali Urbanistici Regionali - istituiti entrambi con la L. 431/85. Potrebbero entrare in questa categoria anche quei piani derivati dalla «nuova programmazione», nell’ambito dell’utilizzo dei fondi strutturali europei, che hanno una certa importanza anche sotto il profilo territoriale e paesaggistico. Fanno parte di questa famiglia: i Piani Strategici - introdotti con la ex delibera CIPE 20/04 -, e i piani LEADER per lo sviluppo dei territori rurali - introdotti con la riforma dei fondi strutturali del 1988. Sebbene ognuno di questi piani affronta in maniera più o meno globale il problema dello sviluppo e della salvaguardia del territorio, bisogna sottolineare la centralità che il PTP ha nella definizione della struttura del territorio. Nelle nuove leggi urbanistiche regionali sparse per l’Italia è infatti al PTP, o al Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (PTCP) nell’accezione della L. 142/90, demandata la funzione di cornice di riferimento per la pianificazione comunale35. Purtroppo però la pianificazione a scala provinciale rimane in Sicilia ancora una chimera riassumibile nel paradosso di un solo PTP approvato su un totale di nove province siciliane36. Nonostante l’esistenza di tutti questi nodi è oggi più che mai utile contribuire scientificamente alla definizione di procedure di formazione dei piani d’area vasta per continuare ad alimentare un dibattito scientifico che in questi ultimi anni è stato animato dalle brillanti esperienze, solo per fare alcuni esempi, dei PTCP di Bologna, Prato e Bolzano.

35 È per esempio il caso previsto dalle leggi urbanistiche della Provincia Autonoma di Bolzano, della Regione Toscana, della Regione Emilia Romagna e persino dalla proposta di riforma della legge urbanistica all’esame dell’Assemblea Regionale Siciliana. 36 Il PTP a cui si fa riferimento è quello della provincia di Ragusa che è stato approvato con decreto ARTA il 24 novembre 2003 e pubblicato sulla GURS il 16 gennaio 2004. Purtroppo le difficoltà della pianificazione strutturale in Sicilia si inscrivono sui fallimenti di modifica di una normativa urbanistica regionale di fatto “congelata” al 1978. Infatti occorre ricordare che la L.R. 71/78, intitolata «Norme integrative e modificative della legislazione vigente nel territorio della Regione siciliana in materia urbanistica», prevedeva la sua applicazione «sino alla emanazione di una organica disciplina regionale» ancora in itinere.


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Conoscenza esperta Conoscenza non esperta

Partecipazione attori locali

Costruzione dell’archivio delle fonti storiche

Costruzione dell’archivio territoriale (SIT)

Definizione di immagine densa del territorio

Rapporto sullo stato del territorio

Ambito morf-amb Ambito antrop-cult Ambito econ-dem

Quadro conoscitivo di sintesi individuazione delle velocità

Individuazione delle invarianti strategiche materiali ed immateriali

Patrimonio Alleanze Risorse

Progettazione della rete ecologica, gestionale ed istituzionale Analisi di scenario e valutazione (paniere di opzioni)

Partecipazione attori locali

Vision di progetto Strategia Asse #1

Strategia Asse #i

Strategia Asse #i+1

Strategia Asse #n

Piano d’Area Vasta Figura 6.1. Metodologia proposta sottoforma di diagramma di flusso: l’area in giallo denota la fase analitica mentre quella in grigio quella progettuale.


Dietro la metropoli. Appunti per un nuovo entroterra siciliano | 71

6.1. La fase analitica Costruzione dell’archivio delle fonti cartacee La conoscenza di un territorio e della sua dinamicità passa attraverso la conoscenza di come questo sia stato percepito e quindi pianificato nel passato. Da risorsa preziosa e contesa per la produzione agricola, il territorio e via via diventato mero supporto per l’installazione di protesi territoriali (relative alle vie di trasporto, energetiche, alle sedi di produzione e smistamento delle merci, etc.) funzionali al processo di industrializzazione. Da questo punto di vista sapere leggere i piani che lungo la storia hanno interessato il territorio può essere una fonte di informazione preziosa. Capire le loro potenzialità ma anche i loro limiti, non solo metodologici ma anche di implementazione e di gestione in itinere, è un passo imprescindibile che permette di assumere un punto di vista critico sulle politiche di sviluppo territoriale già teorizzate o da teorizzare. La costruzione di questo archivio cartaceo, eventualmente digitalizzabile, passa anche attraverso una conoscenza trasversale del territorio e cioè attraverso l’acquisizione di quei documenti che hanno cercato di indagare e restituire le molteplici immagini del territorio oggetto di studio. Si parla quindi non solo dello studio di fonti specialistiche – connesse all’economia, alla sociologia, alla storia – ma anche di quel bagaglio di conoscenze diffuse sul territorio che si estrinsecano tanto negli usi consolidati quanto nelle tradizioni sedimentate. Attraverso questa fase sarà quindi possibile definire una prima immagine «densa» del territorio resa possibile dall’interazione del sapere tecnico con quello diffuso. Costruzione del Sistema informativo Territoriale Il territorio si trasforma fisicamente anche per l’effetto di forze che spesse volte sono invisibili alle mappe. Se morfologia e pedologia, sistema biotico e abiotico, uso del suolo e stato di infrastrutturazione del territorio sono tutte variabili facilmente rilevabili e mappabili, lo stesso non si può dire per le dinamiche economiche, demografiche e culturali che restano celate all’occhio del cartografo. Eppure oggi l’incremento dei dati rilevati attraverso censimenti da la possibilità di accesso ad un numero di informazioni elevate e qualitativamente rilevanti. Questi dati – densità di popolazione, addetti ai settori economici, reddito, etc. – possono diventare variabili visibili attraverso l’utilizzo di tecnologie GIS; queste, infatti, permettono di interfacciare indicatori statistici con la cartografia di base (§ A). L’insieme di questi dati però forma una massa di informazioni difficilmente utilizzabile se non inquadrata in una ordinata struttura logica. In questa tesi le informazioni sono state organizzate e divise secondo tre


72 | Capitolo 6 | Una nuova metodologia di studio per la formazione dei Piani di Area Vasta

principali “contenitori” che fanno riferimento all’ambito morfologico ed ambientale, culturale ed antropico, economico e demografico. Le informazioni di base – perimetri, superfici, cartografie, etc. – sono invece state raggruppate in un “contenitore” di base separato. Per l’approfondimento degli aspetti fondamentali di un database geografico – per esempio: il sistema di riferimento adottato, l’anno di aggiornamento e l’affidabilità dei dati – si rimanda all’appendice A. Procedura analitica Dalla strutturazione del database in macroambiti, o “contenitori”, risulta possibile fare due tipi di elaborazione: una di tipo interna al macroambito che comporta la combinazione di tutti gli indicatori, morfologici e statistici, che stanno all’interno di un singolo contenitore -, una di tipo esterna ai singoli macroambiti - che permette l’intersezione di informazioni afferenti a diversi contenitori per l’ottenimento di una nuovo strato informativo. In questo modo, e con operazioni cicliche di continuo affinamento degli indicatori, risulta possibile aggiungere importanti “tasselli” di conoscenza a quell’immagine densa del territorio che si era già imbastita nell’elaborazione delle fonti cartacee. Si ottiene così un rapporto sullo stato del territorio che è congiuntamente l’esito di una costante campagna di sopralluoghi in situ necessaria sia nelle fasi di raccolta dei dati a monte, sia nella verifica della fase analitica37. Attraverso le analisi effettuate sarà possibile cominciare a distinguere gli ambiti che sono veloci, le città e le conurbazioni metropolitane, da quelli lenti, il territorio dell’agroindustria e dell’abitare diffuso, e lunghi, l’entroterra e le aree a forte ritardo di sviluppo. Il rapporto sullo stato del territorio, che può essere concepito sottoforma di atlante ipertestuale, è quindi utile ad informare i processi partecipativi per la definizione di un quadro di sintesi del territorio. In questo quadro risulta possibile definire regole di trasformazione del territorio condivise dalle comunità che lo abitano (Magnaghi 2005).

37 La fase analitica, come quella puramente progettuale, generalmente si svolge in luoghi (uffici di piano) che possono essere geograficamente lontani, o volutamente separati (per evitare influenze e contaminazioni), dal territorio oggetto del piano. La partecipazione nei processi piano è infatti quella serie di tecnicche che permette sia all’analisi che al progetto di ritornare fisicamente a confrontarsi con la materialità delle persone e dei problemi di tutti i giorni.


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6.2. La fase progettuale Individuazione delle invarianti territoriali nei vari ambiti Dopo aver individuato gli ambiti a differenti velocità, contribuendo così ad immaginare la struttura del territorio oggetto del piano, si può poi passare all’individuazione delle invarianti territoriali che li caratterizzano. Si è gia visto che nei territori veloci stanno le energie economiche che muovono le grandi trasformazioni territoriali attinenti sia al paesaggio che alla geografia sociale. Queste energie, per lo più delle volte immateriali, che definiscono reti di alleanze instabili e costantemente a geometria variabile fanno parte di quelle invarianti da tutelare e mettere a sistema per lo sviluppo dell’intero territorio. Il tema del riequilibrio territoriale non va perciò ad incidere sulla densità di questi network, quest’ultima proprietà indispensabile per la sopravvivenza degli stessi, ma su una migliore distribuzione di ciò che queste reti producono. Le alleanze fra mercato, attore pubblico e patrimonio territoriale, che si consumano all’interno delle odierne metropoli, producono surplus, o in altri termini risorse territoriali, che molto spesso si vanno a depositare in quelle stesse aree da cui sono partite, a scapito così di una loro re-distribuzione su un territorio più ampio. Nei territori lenti è invece il paesaggio addomesticato dall’agroindustria locale che va a costituire l’invariante territoriale più preziosa. Su questo paesaggio fisico si innestano i valori della slow-life, che attrae ogni anno sempre nuovi abitanti. È questo nuovo modo di vivere a rappresentare un’alternativa all’abitare metropolitano, anche se esso molto spesso è segnato da pesanti equivoci. Ed infatti il sostentamento di questi territori è ancora una volta garantito dalle grandi agglomerazioni metropolitane che ne contaminano gli stili di vita. Accanto al desiderio di vivere in un ambiente migliore, in parte alternativo a quello delle città, si consumano però le stesse ingiustizie che affliggono l’ecosistema metropolitano: illimitato diritto alla mobilità, all’urbanizzazione, alla privatizzazione e all’ineguaglianza. Ma un altro tipo di ineguaglianza si consuma su una scala territoriale sensibilmente più ampia. È quella che fa si che immense porzioni di territorio si impoveriscano e cedano all’abbandono, sotto l’azione di un continuo processo di spopolamento. Ma in questi territori lunghi risiede spesse volte la più grande concentrazione di risorse culturali che, come in un ossimoro, si va a distribuire in un ampio territorio. È il paesaggio, naturale e culturale, a costituire qui la invariante territoriale strategica da valorizzare. È il patrimonio, spesso non scritto, delle tradizioni e dei prodotti di un tempo a resistere nei confronti di un processo di modernizzazione che ha già stravolto i territori di pianura e quelli costieri.


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Progettazione della rete relazionale Il patrimonio territoriale, e le sue invarianti, ha quindi due forme: quella immateriale - delle alleanze economiche, politiche e culturali -, quella materiale – costituita dal paesaggio fisico. Finché questo patrimonio rimane isolato, frammentato e dimenticato non lo si potrà considerare come una risorsa di sviluppo locale per il territorio (Dematteis 2005). Un patrimonio che non costituisce una risorsa è come un tesoro che non viene speso per la manutenzione della cassa in cui risiede. È quindi una eredità destinata a marcire. Riconnettere le invarianti è quindi compito del piano, che in questa operazione inventa la struttura del territorio. Questa operazione di riconnessione avviene pero su due piani: quello del patrimonio materiale - che interessa la progettazione della rete ecologica -, quello del patrimonio immateriale, che riguarda invece la configurazione di una geometria variabile di alleanze. Sul piano fisico, quello della rete ecologica, si tratta di andare ad individuare tutti quei segni già esistenti che possono suggerire l’articolazione della rete. È generalmente con lo strumento del converse planning (piano alla rovescia) che risulta più utile agire (Ihatsu, Mantysalo 2006). Nel converse planning, infatti, si parte dal consolidamento di alcune void band (fasce a sviluppo zero) - individuate dalle invarianti territoriali, dalle linee infrastrutturali, dalla morfologia dei luoghi – che vanno così a costituire un network. Questo network, che può avere le forme di una rete di greenways38, circoscrive un “arcipelago” di aree dove risulta possibile pensare ad una crescita del tessuto urbano ed economico. Ogni area, o “isola”, sebbene autonoma dalle altre risulta determinata dalla complessità del network che la descrive (figura 6.2 e 6.3). Sul piano immateriale, quello della rete di alleanze, si tratta di inventare una organizzazione territoriale flessibile ed efficiente che nasca dalla congruenza fra territorio pertinente ed istituzione. Se il territorio porta al suo interno tre anime – una veloce, un’altra lenta, ed infine una lunga – che sono state individuate attraverso un processo analitico aperto alla partecipazione degli attori locali è probabilmente su queste che si deve andare a conformare un sistema di amministrazione e gestione più efficace di quello già esistente. Articolando l’area vasta in sub-territori dotati di una propria identità si potrà, volta per volta, attivare solo quella parte del network pertinente al problema. Questo quindi potrebbe dare nuovo vigore all’istituto della Provincia 38 Le greenways, nell’accezione di Jack Aern (1995), sono fasce multifunzionali lineari che connettono elementi già esistenti - patrimonio e risorse territoriali - allo scopo di promuovere lo sviluppo sostenibile del territorio.


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Regionale evitando, come accade tutt’oggi, che le energie di un intero apparato, spesso deboli per carenze interne, vengano assorbite da problematiche o troppo circoscritte e specifiche – come l’individuazione di ATO o la gestione di un’area metropolitana - o troppo grandi perché coinvolgono ambiti che sono sovra-provinciali – istituzione di parchi, costruzione di strade, incentivi allo sviluppo di aree agricole. Il piano quindi oltre a suggerire una struttura fisica si deve necessariamente occupare di quella politica e gestionale. È la “geometria variabile” delle istituzioni la nuova frontiera del buon governo. Definizione degli scenari di sviluppo La formulazione di strutture territoriali può essere quindi visualizzata per mezzo di scenari. Uno scenario è una proiezione futura di un territorio secondo certe ipotesi. In un’analisi di scenario si dispongono di un paniere di scenari alternativi che vengono generati a partire da specifiche ipotesi su variabili strategiche. La scelta di tagliare un bosco o di costruire una strada sono variabili che portano alla formulazione di due scenari diversi. Ogni variabile agisce sulle altre in maniera spesse volte non diretta. Gli scenari possono essere riferiti al breve, medio e lungo periodo. Questo vuol dire che se si sceglie di tagliare un bosco per costruire un parcheggio a servizio di una struttura commerciale da realizzare, l’analisi di scenario simulerà questa decisione e mostrerà gli effetti di questa trasformazione lungo il tempo. L’utilizzo dell’analisi di scenario è molto utile soprattutto nella fase partecipativa del piano. In questa fase ogni portatore di interesse potrà rendersi conto degli effetti che particolari decisioni di piano possono determinare. In questo caso attraverso la partecipazione si escludono tutti quegli scenari giudicati sfavorevoli dalla comunità insediata fino alla definizione di una vision. La vision è infatti quello scenario, che si può anche dare per combinazione di altri scenari non conflittuali, che esprime i desideri di una comunità connessi allo sviluppo del territorio in cui abita. Spesso le vision vengono riassunte da uno slogan che fa appello all’immaginazione della gente ma che in se porta contenuti che possono essere di natura molto complessa. Affermare che il piano, ad esempio, porterà alla formazione del distretto “dell’alta tecnologia e del tempo libero per una società aperta e solidale” configura tutta una serie di decisioni, di strategie e di accordi che vanno aldilà della semplice immagine comunicata dalla vision. È quindi la comunità insediata che, per mezzo dei suoi rappresentanti e con l’aiuto dei tecnici, determina quello che il territorio potrà diventare. La scelta di una metodologia operativa e di un modello gestionale è però cruciale per la sopravvivenza del piano stesso.


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Figura 6.2. Carta delle invarianti ambientali e dei principali reticoli infrastrutturali del Val d’Anapo (fonte: nostra elaborazione su dati PTPR 1996).

Figura 6.3. Ipotesi di converse planning per l’area del Val d’Anapo. Le linee tratteggiate ipotizzano connessioni fra aree in bianco che rappresentano le fasce a “sviluppo urbano zero”. Le aree in nero sono invece le “isole” in cui risulta possibile pensare ad uno sviluppo del tessuto urbano.


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7. Conclusioni: appunti per un nuovo entroterra siciliano Si è voluto iniziare questa tesi con una citazione di Manlio Rossi Doria in cui venivano messe in evidenza le caratteristiche salienti dell’entroterra del meridione d’Italia negli anni cinquanta. Eppure durante la trattazione di questa ricerca si è avvertito che qualcosa in questi territori è cambiato. Il latifondo, lo si è già visto (§ 3.2), non esiste più e parte di quelle terre «nude e franose» oggi sono state recuperate incorporandole all’interno di estesi parchi regionali. Una debole politica di riforestamento dell’entroterra ha contribuito a risanare terre instabili. Si è anche visto (§ 4.3 e 5.2) che esiste una ripresa delle forme dell’insediamento sparso che fanno perno su due componenti: il riuso di un cospicuo patrimonio edilizio abbandonato e disperso sul territorio (mulini, case cantoniere, masserie, ex caselli ferroviari, etc.), una distorta interpretazione della normativa urbanistica relativa alle cosiddette zone “E”, il verde agricolo, che ha permesso l’urbanizzazione a fini residenziali di vaste aree interne del territorio siciliano. Inoltre una più o meno consapevole distribuzione di incentivi comunitari sulle aree interne ha consentito, nonostante la mancanza di obiettivi chiari e stabili nel tempo, ad alcuni soggetti di espandere la propria azienda agricola, ha incentivato il nascere di strutture turistico-ricettive diffuse (l’agriturismo), ha fornito agli enti locali le risorse per dotarsi di una rete informatica e di un sito web utili per dare visibilità a questi territori. Accanto a questi aspetti positivi c’è però l’emergenza di una situazione sociale gravemente compromessa - per fortuna non dappertutto nello stesso modo -che porta alla de-civilizzazione di estese porzioni dell’entroterra (§ 4.3). È a quella situazione di iniquità denunciata da Lynch nel suo libro Il tempo dello spazio (1977) che si fa riferimento, determinata dal fatto che «[…] sul posto rimangono gruppi di persone con servizi degradati in una società sfasciata.» La disoccupazione, la violenza, l’ignoranza, il senso di abbandono dallo Stato e di frustrazione di un’immutabile realtà crea, come direbbe Lynch, le condizioni per una «immagine inquietante di morte e decadenza.» I risultati di questa tesi, per la maniera in cui sono stati presentati, hanno permesso di costruire un modello di lettura sulla base della tripartizione del territorio siciliano in ambiti veloci, lenti e lunghi che sebbene utile alla comprensione di determinanti processi di trasformazione del territorio risulta essere ancora lungi dall’essere definitivo. Infatti: - non è detto che le relazioni attuali fra le varie componenti territoriali rimangano immutate nel tempo anzi, queste sono soggette ad una estrema variabilità spiegabile in termini di “opportunismo da finanziamento” -


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come è stato ad esempio durante tutta la stagione di Agenda 2000 (Cremaschi 2002); - i dati quantitativi, che sono serviti da supporto all’analisi descrittiva del terzo capitolo, essendo discretizzati per unità comunali contrastano con la fluidità dei fenomeni territoriali; - qualora questo grado di dettaglio risultasse soddisfacente, anche su base comunale, esso tiene conto di variabili indirette (il reddito procapite, l’assetto geomorfologico, il patrimonio storico culturale) e non di variabili dirette come l’opinione diffusa degli abitanti, degli operatori economici o dei soggetti politici che determinano con le loro azioni le trasformazioni future del territorio; - molte parti del territorio manifestano caratteri di più di una delle tipologie suggerite dalla nostra categoria di lettura (il confine fra territori lenti e lunghi è tutt’altro che preciso). La complessità del territorio siciliano rende estremamente difficoltosa l’operazione di riduzione dei suoi paesaggi in poche ed omogenee categorie di lettura. Per questo motivo il modello qui proposto - dei territori veloci, lenti e lunghi - deve essere interpretato con la naturale flessibilità che generalmente si accorda a fenomeni complessi. Un modello questo che oltre a restituire una potente lente di sintesi e di lettura dei processi ambientaliculturali-economici tenta di mettere a sistema alcuni dei ragionamenti che, sia nell’ambito accademico che in quello delle politiche di sviluppo regionale, sembrano “galleggiare” senza arrivare ad una sintesi necessaria. L’utilità di questo modello starebbe dunque nella possibilità di identificare un sistema differenziato di ambiti con specifici problemi strutturali in cui sia possibile mettere a punto strategie di rilancio costruite ad hoc. La stessa Carta Europea della Montagna (2003) evidenzia la necessità di riformare l’attuale regime amministrativo al fine di andare oltre le attuali «[…] divisioni amministrative esistenti o future [in modo tale che esse] non costituiscano un ostacolo all’attuazione della politica [di sviluppo] della montagna», ribadendo come il futuro della montagna stia nelle persone che la abitano e nelle strategie di «mantenimento sul luogo delle popolazioni e la lotta contro l’esodo dei giovani». La lente di indagine qui proposta comporterebbe di conseguenza anche una riscoperta dell’entroterra appenninico che più di una volta lungo il corso della storia recente si è trovato nella situazione di “spettatore” di un processo di crescita, più che di sviluppo, che si svolgeva e si continua a svolgere sulla costa o nelle zone immediatamente retrostanti ad essa. In pratica si tratta di rispondere alla seguente domanda: è possibile immaginare un futuro per quelle aree che anno dopo anno si svuotano di abitanti in un processo che pare inarrestabile e che conduce all’abbandono, e


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quindi all’incuria, di una importante parte di territorio che meglio si è conservata durante le trasformazioni industriali degli ultimi cinquanta anni? Questa ottica esclude quindi a priori, nella maniera in cui è stata formulata, una competizione al ribasso con alcune delle filiere produttive a cui i Paesi del bacino del Mediterraneo sembrano puntare: la Sicilia possiede un territorio “retrostante” tutt’altro che desertico e che, se adeguatamente stimolato, potrebbe essere determinante nelle strategie di sviluppo dell’Isola. Supponendo che l’impatto del turismo sul territorio possa essere descritto come una combinazione binaria dell’intensità dell’uso delle risorse locali e del quadro normativo che ne determina l’uso, si potrebbe facilmente constatare che le coste della Sicilia sono fortemente, e forse irreparabilmente, interessate da un turismo insostenibile di massa che genera, sotto la pressione di un carico antropico eccessivo, congestione, distruzione di equilibri ambientali e in generale una pessima qualità della abitare. Per converso, l’entroterra è ancora denotato da un uso improvvisato e spesso inefficiente dello straordinario patrimonio che contiene. Ad ogni modo il turismo è solo una delle dimensioni economiche dell’Isola, forse neanche la più importante in prospettiva futura39. La prossima apertura della Zona di Libero Scambio euro-mediterranea (nel 2010) e la prospettiva futura di un grande “corridoio Meridiano” (MIITDicoter 2005) contribuiranno probabilmente ad incrementare il mercato degli scambi nella regione mediterranea. Se le ultime due relazioni40 sullo stato della montagna italiana sottolineano il coraggio degli abitanti rimasti a presidiare la montagna e, ancora in maniera troppo blanda41, l’esigenza di «rivedere i modelli di sviluppo locale di comunità avviate da tempo ad un declino apparentemente inarrestabile», dall’altra parte le recenti linee di indirizzo per il Piano di Sviluppo Rurale (PSR) 2007-2013 confermano la forte volontà di intervento nelle aree interne della Sicilia.

39 Il Documento Strategico Regionale Preliminare (DSRP 2005) per la politica di coesione dei prossimi fondi strutturali 2007-2013 evidenzia come il turismo, nel bacino del Mediterraneo, non sarà più interessato da quella costante crescita che si è avuta fino a qualche anno fa perché nel frattempo le mete orientali, Cina fra tutte, si stanno aprendo al mercato mondiale del turismo con una progressione straordinaria. 40 E precisamente l’XI (2005) e la XII (2006) redatte dal comitato interministeriale per la montagna istituito a seguito della L. 97/94 (legge quadro sulla montagna) e della delibera CIPE 13 aprile 1994. 41 Se la confrontiamo ad una generica carta di principi quale è ad esempio quella della raccomandazione 103/2003, conosciuta meglio come carta Europea della Montagna.


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In particolare queste ultime mirano a «[…] influire positivamente sul potenziale di sviluppo regionale e sulla competitività delle imprese agroalimentari» attraverso una adeguata formazione professionale e l’ammodernamento di tutto il sistema produttivo assicurando un adeguato reddito «[…] al fine di contenere il fenomeno migratorio» favorendo le associazioni cooperative ed investendo nel settore R&ST (Ricerca e Sviluppo Tecnologico). Le linee guide del PSR suggeriscono quindi di individuare, sulla base di analisi non meglio precisate, delle unità strategiche di intervento appurato che il territorio «[…] non risulta omogeneo al suo interno, sia perché caratterizzato da sistemi agricoli, agro-alimentari e naturali differenziati, sia per le diverse forme di integrazione con il contesto urbano ed industriale», allo scopo di implementare una politica di sviluppo del territorio mirata alle esigenze specifiche. Queste, suggeriscono le linee guida, sono: poli urbani, aree rurali ad agricoltura intensiva specializzata, aree rurali intermedie, aree rurali con problemi complessivi di sviluppo. È utile notare come questa partizione sia molto simile a quella proposta in questo studio. Il modello di lettura dei territori veloci, lenti e lunghi ha come obiettivo finale quello di incidere sulle frammentate politiche di sviluppo di cui la Sicilia, e l’intero Mezzogiorno d’Italia, è destinataria ma allo stesso tempo richiede ancora un ulteriore sforzo di analisi e di comprensione di una articolazione territoriale tutt’altro che stabile e congruente. La speranza è che nel prossimo futuro i territori che sono stati qui chiamati lunghi possano seriamente contribuire al rilancio di una nuova politica di sviluppo del Mezzogiorno d’Italia. Quando questo momento arriverà non è facile prevederlo, ma più di un indicatore dimostra che i tempi sono ormai maturi per riappropriarsi nuovamente del tesoro che sta dietro la metropoli.


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Appendice A L’analisi quantitativa dei fenomeni geografici


88 | Appendice A | L’analisi quantitativa dei fenomeni geografici

Con la prima appendice si è cercato di mettere a fuoco un insieme di tecniche utili per l’analisi dei fenomeni geografici attraverso l’uso di basi di dati di natura economica e demografica. Risulta utile approfondire gli aspetti teorici ed i possibili risvolti pratici di queste tecniche a volte utilizzate senza un preciso motivo che le giustifichi. Le tecniche presentate sono state selezionate anche per la loro semplicità di implementazione nello studio dei fenomeni territoriali. In realtà l’insieme degli strumenti disponibili per l’elaborazione dei dati geografici è molto più ampio ed include tecniche raffinate ed eleganti modelli logici ricavati dalla scienza statistica. Per ulteriori approfondimenti si consiglia di consultare la bibliografia citata. Nel primo capitolo dell’appendice si è tentato di spiegare i principali obiettivi dell’analisi quantitativa dei dati riferiti a fenomeni di natura geografica (in inglese Geographic Information Analysis). Nel secondo capitolo si è descritto come la GIA possa essere utilizzata per lo studio dei fenomeni territoriali tramite i sistemi informativi territoriali (in inglese Geographic Information System). Nel far questo si sono evidenziati i punti di forza e di debolezza dei modelli statistici. Il terzo capitolo è invece dedicato all’utilizzo degli strumenti della GIA per l’individuazione dei pattern territoriali. Nel quarto capitolo ci si è concentrati su una particolare tecnica di analisi numerica che permette di sintetizzare molte variabili in pochi indicatori. Il quinto ed ultimo capitolo descrive gli indicatori e la natura delle fonti utilizzate nel capitolo 4. Si è ritenuto inoltre necessario inserire, fra i vari capitoli, degli “specchi” per l’approfondimento delle tecniche discusse attraverso l’utilizzo di semplici esempi.

Figura A.1. Due diversi approcci all’utilizzo dei GIS: lineare e ciclico.


Dietro la metropoli. Appunti per un nuovo entroterra siciliano | 89

I. Introduzione all’analisi quantitativa dei fenomeni geografici L’analisi quantitativa dei fenomeni geografici, in inglese Geographic Information Analysis (GIA), è una disciplina relativamente giovane che, grazie allo sviluppo attuale dei calcolatori, si è imposta progressivamente come strumento in grado di descrivere fenomeni di natura complessa. L’utilizzo della GIA interessa molte discipline ma, in maniera più succinta, è possibile enucleare quattro filoni principali di applicazione: 1. nella elaborazione e manipolazione dei dati spaziali (Spatial data manipulation); 2. nell’analisi esplorativa e descrittiva dei fenomeni geografici (Spatial data analysis); 3. nello studio dei possibili modelli di distribuzione (patterns) di eventi sul territorio (Spatial statistical analysis); 4. nella costruzione di modelli descrittivi e predittivi (Spatial modeling). In questa appendice si farà riferimento a due dei quattro filoni disciplinari individuati e cioè all’analisi esplorativa e descrittiva dei fenomeni geografici, e all’analisi statistica per l’individuazione dei pattern. La diffusione dell’utilizzo dei personal computer nell’analisi geografica ha permesso di sviluppare software - ma più in generale un complesso di tecnologie - in grado di gestire e manipolare grandi quantità di dati: i Geographic Information System (GIS). Sebbene le tecnologie GIS incorporino potenti strumenti per la manipolazione dei dati geografici42 è solo

42 Ad esempio nei GIS si ha la funzione di buffering, molto utile nell’analisi dei bacini di utenza. Il buffering è sostanzialmente una operazione che permette, assegnato un raggio, di costruire un’area concentrica a quella di partenza che, tramite la funzione di intersezione, permette di stimare il numero esatto di oggetti che ricadono all’interno di una specifica zona. Un’altra funzione molto utile è quella di overlaying mapping che permette di ricavare, da due diversi strati di informazione, una nuova informazione per differenza o per aggiunta. Ad esempio sovrapponendo il buffer che indica l’area di rischio di uno stabilimento industriale e l’uso del suolo previsto in una zonizzazione di piano possiamo ricavare quelle porzioni di territorio che, a causa di rischi derivabili da possibili incidenti ambientali, non potranno essere urbanizzate. La tecnica di overlaying mapping si costituisce di quattro fasi essenziali: - determinazione delle variabili essenziali allo studio del fenomeno (modellazione del problema); - reperimento dei dati coerentemente alla fase di modellazione del fenomeno. Questo a sua volta comporta il considerare tre aspetti fondamentali: i dati devono essere reperiti possibilmente in scale grafiche simili onde evitare errori di approssimazione a volte enormi; bisogna assicurarsi che i dati siano correttamente rilevati e localizzati; molto spesso gli strati informativi utilizzati sono il risultato di altre manipolazioni che possono a sua volta incorporare degli errori;


90 | Appendice A | L’analisi quantitativa dei fenomeni geografici

con l’integrazione della GIA nei GIS che si è finalmente riuscito a dare risposte ad un filone di mercato in costante espansione. I GIS possono essere utilizzati secondo due diverse modalità (figura A.1): 1. le mappe, o le carte che dir si voglia, sono il prodotto di analisi statistiche sviluppate a partire da ipotesi suggerite dall’intuizione deduttiva del problema. Questo metodo non riesce però a sfruttare al meglio le potenzialità insite nella rappresentazione dei fenomeni e si limita a produrre carte che sono l’esito di analisi già concluse; 2. domande, ricerca dei dati pertinenti e produzione delle mappe partecipano contemporaneamente all’analisi esplorativa del territorio. In questo secondo caso la visualizzazione non viene ridotta a mero strumento per la presentazione delle analisi, ma è invece indispensabile al processo conoscitivo.

Figura A.2. La statistica e la geografia: un esempio di schematizzazione delle variabili geografiche per una successiva analisi statistica. I cinque punti individuati possono essere ad esempio città o agglomerati industriali.

- omogeneizzazione dei sistemi di riferimento (tutti gli strati informativi da sovrapporre devono avere il medesimo sistema di riferimento come ad esmpio il WGS84 o il GaussBoaga); - sovrapposizione degli strati ed individuazione delle aree di rischio o di trasformabilità (esistono 10 possibili combinazioni: punto/punto; linea/punto, linea/linea; area/punto; area/linea; area/area; superficie/punto; superficie/linea; superficie/area; superficie/superficie).


Dietro la metropoli. Appunti per un nuovo entroterra siciliano | 91

II. La Geographic Information Analysis I GIS utilizzano una serie di oggetti raccolti in database, cioè in contenitori organizzati di informazioni, per rappresentare il territorio e restituire, o cercare di restituire, la sua complessità. Gli oggetti sono comunemente distinti in quattro categorie: 1. Punti. Servono a descrivere tutte quelle variabili territoriali che possono essere schematizzate come oggetti puntuali quali, ad esempio, esercizi commerciali, edifici obsoleti o luoghi dove sono stati commessi atti criminosi; 2. Linee. Vengono utilizzate ogni qualvolta si voglia rappresentare un oggetto territoriale a prevalente sviluppo lineare come, ad esempio, strade, linee ferrate o linee di crinale; 3. Aree. Possono schematizzare componenti territoriali in cui prevale la forma, l’ampiezza della superficie o in generale uno sviluppo bidimensionale come, ad esempio, unità amministrative, uso del suolo ed aree di rischio; 4. Superfici. Descrivono fenomeni che variano con continuità nello spazio ed in cui è possibile stabilire relazioni di univocità (cioè ad un punto corrisponde uno ed un solo attributo) come, ad esempio, nei modelli tridimensionali del suolo, in cui ad ogni punto corrisponde una ben determinata elevazione sopra il livello del mare, e nei modelli meteorologici, in cui in un determinato istante temporale ad ogni punto corrisponde un unico valore della pressione. È stato già sottolineato nel precedente paragrafo che la GIA si fonda sull’utilizzo di una serie di strumenti, sviluppati dalla scienza statistica, impiegati nella produzione di scenari e di modelli interpretativi dei fenomeni territoriali. Sebbene la statistica sia un potente scienza, dotata di efficaci strumenti, per l’analisi di grandi quantità di dati, risulta opportuno, in prima battuta, mettere in evidenza i suoi principali limiti nell’analisi dei fenomeni di natura geografica. Questi limiti sono riconducibili a 5 problematiche distinte: la modificazione dei risultati in funzione dell’accorpamento dei dati, la fallacia ecologica, la scala di rappresentazione, la non uniformità dello spazio, la scelta del perimetro di studio. I problemi derivanti dalla modificazione dei risultati in funzione dell’accorpamento dei dati (Modifiable Areal Unit Problem) è uno degli aspetti problematici nell’elaborazioni di dati geografici. Se si dispone di una medesima serie di dati disponibile su due diverse basi, censuaria e comunale ad esempio, è possibile notare che l’elaborazione, a parità di dato in entrata, varia al variare della base scelta. Un esempio per tutti sono le elezioni presidenziali del 2000 in USA dove il candidato Bush vinse con un numero di


92 | Appendice A | L’analisi quantitativa dei fenomeni geografici

voti inferiore rispetto al suo avversario Al Gore proprio perché le modalità di accorpamento dei distretti elettorali aveva alterato un dato, in valore assoluto, favorevole a quest’ultimo (O’ Sullivan, Unwin 2003). Un altro aspetto che bisogna tenere in considerazione è la errata interpretazione della correlazione fra dati: fenomeno conosciuto col nome di fallacia ecologica. Molto spesso, durante una analisi urbana per mezzo di dati quantitativi, può capitare di notare che due, o più variabili, variano proporzionalmente come nel caso, ad esempio, del numero di atti criminosi commessi in una determinata zona in funzione del reddito medio dei residenti di quella stessa zona. Molto spesso questo fenomeno viene spiegato asserendo che i residenti, essendo persone che vivono vicino alla soglia della povertà, sono più propensi a commettere atti criminosi per supplire alla mancanza di reddito o per protesta contro una società che li emargina o per indifferenza alle regole del vivere comune. Questa interpretazione, almeno sul piano analitico (escludendo quindi risvolti sul piano etico e politico), risulta non corretta: infatti è possibile affermare, dopo aver osservato che le due variabili (numero di reati e reddito medio pro-capite) variano proporzionalmente, che esiste una relazione fra i due fenomeni ma che quest’ultima non può essere collegata in maniera certa al grado di onestà dei residenti. Infatti si potrebbe dare il caso che le persone che abitano in questi quartieri non abbiano gli opportuni mezzi economici per proteggersi dalla criminalità, come nei quartieri più abbienti, e che quindi siano facili vittime della criminalità di strada (questa è una delle possibili spiegazioni, ma non l’unica!). Anche la scala di rappresentazione è un aspetto da non sottovalutare: nel descrivere le variabili salienti di una città su scala continentale apparirà conveniente utilizzare dei punti, su scala regionale invece sarà molto più utile descrivere la città attraverso una superficie, su scala locale sarà invece conveniente restituire la città sotto forma di una combinazione di punti, superfici e linee. Il fatto è che molto spesso risulta impossibile stabilire dall’inizio dove l’analisi potrà portare e quale potrà essere il reale intorno di riferimento. Nella maggior parte dei casi si lavora su più scale diverse (per capire le reti di connessione regionale al livello macrosistemico, per comprendere la struttura locale al livello micro-sistemico). Questo aspetto comporta una assoluta consapevolezza del problema che si sta analizzando che si fonda sull’esperienza personale del planner. Un altro problema altrettanto importante è la non uniformità dello spazio. Osservando, ad esempio, la carta della densità di popolazione in una qualsiasi città è possibile notare punti in cui la densità varia bruscamente (in corrispondenza di parchi, giardini, relitti urbani ancora coltivati, ospedali, università). Questo esempio permette di capire come lo spazio non è un’entità uniforme ed esso può notevolemente influenzare le analisi urbane.


Dietro la metropoli. Appunti per un nuovo entroterra siciliano | 93

Infine l’ultimo problema da considerare è la scelta del perimetro di studio. Infatti i punti che si trovano al centro dell’area studiata si trovano in condizioni di simmetria perchĂŠ possono essere osservati a 360° da altri punti. I punti che si trovano sul bordo possono essere osservati soltanto da una parte escludendo gli effetti derivanti dalla parte non inclusa nel perimetro di studio. Ăˆ facile rilevare che questa condizione comporta “dissimetrieâ€? anche notevoli. La maggior parte delle volte però la scelta del contorno è obbligata da aspetti fisiografici (un bacino fluviale, un complesso montuoso, il mare) che possono semplificare la scelta del perimetro di studio. Gli aspetti potenziali dell’uso della statistica nell’analisi di fenomeni geografici sono riferibili ai seguenti cinque aspetti: autocorrelazione, distanza, adiacenza, interazione, regione omogenea. Una delle principali proprietĂ statistiche di un set di dati è l’autocorrelazione. L’autocorrelazione esprime l’ovvia proprietĂ che punti posti nelle immediate vicinanze hanno caratteristiche simili. In geografia questo fenomeno è meglio conosciuto come la prima legge della geografia di Tobler (1970). Essa afferma che ÂŤogni cosa è relazionata ad un’altra, ma cose poste a distanza ravvicinata sono piĂš relazionate da cose poste a distanza maggioreÂť43. Per esempio: in aree urbane ad alto tasso di criminalitĂ risulta facile verificare che il numero di rapine compiute su diversi punti della medesima strada risulta similare, oppure se un punto si trova ad una altezza nota i punti nelle immediate vicinanze avranno valori simili. Visto che la dipendenza fra i dati diminuisce con l’aumentare della distanza, fenomeno conosciuto col nome di attenuazione, la modificazione della variabile in un punto qualsiasi produce effetti a cascata nell’immediato intorno. L’autocorrelazione può essere positiva, negativa o valere zero: è positiva quando punti vicini sono similari, negativa quando punti vicini sono tutti differenti (caso raro), vale zero quando è impossibile stabilire una correlazione positiva o negativa. La distanza è uno delle variabili di maggiore utilitĂ nell’analisi geografica ed è cartesianamente definita dalla formula di Pitagora44. La distanza può essere considerata in linea d’area fra due punti o può essere quella effettiva, 43 ÂŤEverything is related to everything else, but near things are more related than distant thingsÂť (cit. in O’Sullivan, Unwin 2003). Questa relazione vale solo per alcune variabili di tipo fisico (geologia, geomorfologia, idrologia); per molte altre invece (ad esempio informazioni, servizi ed energia) le nuove tecnologie agiscono in maniera centrifuga impedendo di stabilire, o diagnosticare, modelli semplici come quello dell’autocorrelazione (Farinelli 2003). 44 Se d è la distanza fra una coppia di punti i e j individuati dalle rispettive coordinate x ed

y avremo: d ij

(x x ) i j

2

(y y ) i j

2


94 | Appendice A | L’analisi quantitativa dei fenomeni geografici

cioè computata come la somma dei segmenti che compongono il percorso per giungere da un punto i ad una altro punto j. Si misura in unità di tempo o in chilometri. L’adiacenza è la proprietà che definisce le relazioni di contiguità fra due punti. Essa viene misurata in forma binaria: 1 c’è adiacenza fra due punti, 0 non c’è adiacenza fra i due punti. Se ad esempio Palermo è collegata, per mezzo di un traghetto giornaliero, ad Ustica e Cagliari ma queste ultime due località non sono collegate reciprocamente allora è possibile affermare che c’è adiacenza fra Palermo ed Ustica e Palermo e Cagliari ma non esiste nessuna adiacenza fra Cagliari e Ustica. L’interazione è una combinazione della distanza e dell’adiacenza e si basa sulla proprietà che punti vicini sono maggiormente relazionati rispetto a punti posti a distanza più grande. L’interazione fra due entità spaziali varia da 0 ad 1 e decresce con l’aumentare della distanza45. Un altro strumento utile durante il processo di analisi è l’individuazione di ambiti omogenei, cioè di sottosistemi che descrivono intere aree sotto particolari ipotesi. È questo il caso della partizione del territorio in regioni montuose, collinari e pianeggianti - dove i punti dello spazio all’interno di una singola regione hanno maggiore probabilità di trovarsi a quote simili.

45 Se w è il grado di interazione di una coppia di punti “i” e “j”, “d” è la distanza che li separa, “k” è un coefficiente che misura il tasso di attenuazione in funzione della dotazione

infrastrutturale, “pi“ “pj“sono la popolazione insediata nei punti “i” e “j” si avrà: wij v

pi p j d

k

.


Dietro la metropoli. Appunti per un nuovo entroterra siciliano | 95

Le matrici di relazione Se si ha un set di dati composto da 5 punti distinti (figura A.2) che rappresentano cinque diverse città appartenenti ad un medesimo territorio è possibile generare una matrice delle distanze di ampiezza 5 x 5. La matrice assume tale forma:

ª «a «b «c «d «¬ e

D

a

b

0

8

c

d

e

º

21 17 15 »

8 0 13 19 14 » 21 13 0 20 22 » 17 19 20

0

15 14 22

5

0» ¼

Posta la questione in tali termini è facile notare che la matrice ha le seguenti proprietà: contiene tutte le informazioni relative alle distanze parziali fra i punti; è quadrata, cioè stesso numero di righe e colonne; è simmetrica, cioè gli elementi di posto ij sono i medesimi di quelli di posto ji; la diagonale risulta nulla per l’ovvia proprietà che un punto dista da sé stesso 0. Nel caso dell’adiacenza la matrice assume tale aspetto:

A

ª «a «b «c «d «¬ e

a b c d

* 1 0 0 1»

1 * 1 0 1» 0 1 * 1 0»

0 0 1 * 1»

1 1 0 1 *» ¼

La matrice presenta - in più rispetto alla precedente - le seguenti proprietà: i valori sulla diagonale non avendo un significato logico vengono tralasciati; la somma dei valori nella riga i è uguale alla somma dei valori nella colonna i. La matrice di interazione, assumendo la formulazione semplificata (K=1; pi pj ininfluenti), assume la seguente forma:

I

ª «a «b «c «d «¬ e

a f

b

c

d

e

º

0,13 0, 05 0, 06 0, 07 »

0,13 f 0, 08 0, 05 0, 07 » 0, 05 0, 08 f 0, 05 0, 05 » 0, 06 0, 05 0, 05

f

0, 2 »

0, 07 0, 07 0, 05

0, 2

f

»¼


96 | Appendice A | L’analisi quantitativa dei fenomeni geografici

I poligoni di prossimità A volte non si dispone di moltissimi dati per modellare il territorio (solo alcuni punti), ed allo stesso tempo nelle rappresentazioni risulta utile fare riferimento ad oggetti “area” che permettono di realizzare delle mappe di densità “spalmate” sul territorio. Dati come la distribuzione di attrezzature culturali (biblioteche, musei, teatri), o dati relativi al tasso di criminalità, vengono forniti sottoforma di oggetti “punto”. Esiste però uno strumento che permette di trasformare l’origine di questi dati da punti a superfici: i poligoni di prossimità, conosciuti anche come poligoni di Thiessen o Voronoi. Il meccanismo è semplice: data una coppia di punti è sempre possibile costruire geometricamente una semiretta ortogonale ed equidistante ai due. Avendo più punti a disposizione il grafo che ne viene fuori è un reticolo in grado di saturare, e soprattutto generare, intorni non sovrapponibili. Tale costruzione può essere utilizzata anche fra linee e superfici o tridimensionalmente. Il risultato è quello di avere, nel caso di una distribuzione tridimensionale, una serie di “bolle” che racchiudono e suddividono lo spazio. L’area che si viene a formare, associata al punto, rappresenta il concetto di regione omogenea visto precedentemente. Uno dei punti di debolezza dei poligoni di prossimità è il fatto di non considerare la non omogeneità dello spazio (§ A.II). Un’altra costruzione, complementare a quella dei poligono di prossimità, la si può ottenere unendo i punti che si trovano disseminati nello spazio con delle semirette. Questa tecnica è conosciuta come triangolazione di Delaunay che ha la proprietà di generare triangoli molto vicini a quelli di tipo equilatero. Tale triangolazione è utilizzata per la modellazione tridimensionale del terreno TIN (Triangulated Irregular Network), sulla base di punti rilevati manualmente o disponibili indirettamente tramite cartografia, e costituisce una alternativa, meno onerosa in termini di calcoli, al DEM (Digital elevation Matrix). Recentemente, i programmi dedicati all’analisi cartografica ed alla geografia quantitativa prevedono al loro interno moduli per la costruzione dei poligoni di prossimità che hanno permesso la diffusione di questa tecnica di analisi altrimenti complessa.

La linea tratteggiata rappresenta la triangolazione di Delaunay mentre la linea continua rappresenta i poligoni di prossimità. Entrambe le costruzioni sono ricavate a partire dalla distribuzione dei punti data.


Dietro la metropoli. Appunti per un nuovo entroterra siciliano | 97

III. Patterns o studio della distribuzione di eventi in campo territoriale Gli strumenti di analisi appena discussi risultano molto utili per lo studio dei pattern territoriali. Ma cos’è un pattern? Pattern è un termine anglosassone che sta per modello come anche per regolarità di una distribuzione di eventi nello spazio. In altre parole lo studio dei pattern di un territorio sottintende lo studio di come alcune sue variabili (densità di popolazione, indice infrastrutturale, etc.) si distribuisco nello spazio. Per prima cosa è bene chiarire che gli eventi, che descrivono fenomeni territoriali, risentono di particolari “effetti” legati alla distanza reciproca o all’intensità con cui si manifestano sul territorio (figura A.3). In particolare, gli effetti del primo ordine riguardano la posizione assoluta, rispetto ad un sistema di riferimento, di un insieme di eventi distribuiti nello spazio. Ad esempio, se si volesse studiare la distribuzione delle caffetterie nel centro storico di una città potrebbe essere utile ricavare la loro distribuzione nello spazio e misurarne l’intensità, cioè la densità di queste ultime rispetto ad una porzione di area predeterminata. Gli effetti del secondo ordine, invece, derivano dalla posizione relativa fra ciascun evento di un insieme omogeneo. Sempre con riferimento all’esempio precedente è possibile studiare la presenza o meno di cluster, o di concentrazioni che dir si voglia, di caffetterie nel territorio cittadino: questa analisi potrà indicare, ad esempio, che lungo le strade principali del centro si manifesta una maggiore tendenza all’aggregazione di più caffetterie, cosa che ad esempio non succede nelle strade più interne dove il numero di residenti risulta essere maggiore. Viceversa si potrà osservare che non esiste una particolare tendenza alla “clusterizzazione” di caffetterie nel centro storico risultando queste ultime omogeneamente distribuite nel tessuto urbano. Ovviamente nella realtà la condizione intermedia è la più frequente Riassumendo: gli effetti del primo ordine aiutano a capire la distribuzione nello spazio degli eventi tramite la misura dell’intensità delle occorrenze mentre gli effetti del secondo ordine aiutano a capire le relazioni reciproche fra gli eventi.

Figura A.3. Esempi di possibili modelli di distribuzione degli eventi (da sinistra): effetti del primo ordine, effetti del secondo, combinazione dei due effetti.


98 | Appendice A | L’analisi quantitativa dei fenomeni geografici

Misurare gli effetti del primo ordine Uno dei metodi più semplici e veloci per misurare gli effetti del primo ordine consiste nel suddividere il territorio in porzioni regolari, ad esempio in quadrati, e quindi contare il numero di eventi che ricadono all’interno di ogni porzione. In questo modo risulta immediato costruire una mappa di intensità. Supponiamo per esempio di voler descrivere la distribuzione delle caffetterie nel centro storico di una città. Attraverso dei rilevamenti in situ sarà possibile stabilire il numero di esercizi di tale natura e sarà inoltre possibile collocarli su di una mappa geografica; risulterà inoltre possibile individuare un perimetro di studio definito come quella area in grado di inviluppare tutti gli eventi rilevati. Suddividendo l’area di studio in quadrati, individuati da una maglia regolare di rette distanziate reciprocamente di 10 m, sarà possibile costruire una tabella di raccolta dei dati organizzata in tre colonne: nella prima si indicherà il numero progressivo degli eventi - le caffetterie - per quadrato, nella seconda si indicherà il numero di quadrati (o di celle) che hanno al loro interno il numero di eventi indicati nella prima colonna, nella terza si riporteranno i dati della seconda colonna in percentuale. Sarà quindi possibile associare un colore, via via crescente di intensità, alle celle sulla base dell’intensità.

Numero di eventi per ciascun quadrato 0 1 2 3

Griglia 8 x 8 Numero di quadrati per frequenza 51 80 11 17 2 3 0 0

%

Schematizzazione delle distribuzione delle caffetterie in uno spazio urbano allo scopo di costruire una mappa di intensità.


Dietro la metropoli. Appunti per un nuovo entroterra siciliano | 99 La prima critica che è possibile fare a questo metodo è l’arbitrarietà della scelta dell’ampiezza della cella: se le celle sono troppo grandi o troppo piccole si rischia il serio di pericolo di non dire nulla e di produrre delle analisi inutili alla comprensione del fenomeno indagato. Ovviamente l’ampiezza della griglia influenza pesantemente il tempo occorrente per l’elaborazione delle analisi. In linea di massima quindi bisognerà basarsi sull’esperienza, sulla letteratura in merito, e sulle caratteristiche urbane del sito (dimensione delle strade, passo della maglia urbana, etc.). Inoltre, come già si detto precedentemente, bisogna considerare che lo spazio urbano non è omogeneo: è quindi auspicabile una continua verifica del modello con la cartografia al fine di discernere le aree urbanizzate da quelle destinate a parchi oppure vuote perché non attuate oppure perché dismesse. Infine questo metodo non tiene conto di quei fenomeni che non sono fissi in un preciso punto ma che gravitano nell’intorno del punto indicato sulla carta. Per quest’ultimo tipo di eventi è possibile utilizzare un altro tipo di analisi, un pò più sofisticata, ricavata a partire dal metodo precedentemente descritto ma che tiene conto della possibilità di movimento nello spazio degli eventi. (Kernel Density Estimation). In sostanza una volta individuati e costruita la griglia di riferimento, si traccia, per ciascuna cella, una circonferenza di raggio fissato, che tiene conto della possibilità di movimento dell’evento, e si contano gli eventi che sono contenuti in questo cerchio e che fanno capo alla cella di riferimento in questione. In questo modo è possibile costruire una mappa che meglio rappresenta la realtà del fenomeno in questione .

Analisi Kernel sulla distribuzione dei biotopi nel territorio siciliano (fonte: nostra elaborazione su dati PTPR 1996).


100 | Appendice A | L’analisi quantitativa dei fenomeni geografici

Misurare gli effetti del secondo ordine Un metodo per misurare gli effetti del secondo ordine è quello che fa riferimento alla distribuzione casuale di un numero di eventi in uno spazio finito e che prende il nome di distribuzione di Poisson. Quest’ultima è data dalla seguente espressione: k O

Oe

P(k )

k!

Dove O è l’intensità media e k è il numero totale di eventi considerati. Facendo riferimento al caso precedente, si noterà che in totale disponiamo di 64 celle ed numero di eventi è pari a 15. In questo caso: O

15

P

0, 234

64

La varianza (s) vale: s

2

¦ x(k P )

2

15,5 64

k

0, 242

Dove x nel caso in questione è il numero dei quadrati per frequenza. Quindi alla fine si ha: '

s2

0, 242

O

0, 234

1, 034 (tendenza alla clusterizzazione)

s2/O

Se il rapporto è maggiore di 1 allora il fenomeno osservato tende verso una clusterizzazione; se invece il rapporto è inferiore all’unità il fenomeno osservato tende ad una distribuzione uniforme nell’area di studio analizzata. Un altro metodo che permette di stimare gli effetti del secondo ordine è quello che fa riferimento alle proprietà topologiche dei poligoni di prossimità. Infatti se questi ultimi hanno una dimensione simile, allora gli eventi sono uniformemente distribuiti nello spazio; se invece l’intervallo di variazione della dimensione dei poligoni è ampio allora si potrà osservare una tendenza alla clusterizzazione proprio in quelle aree dove i poligoni più si infittiscono. Le stesse osservazioni possono essere fatte per la triangolazione di Delaunay da cui è possibile ricavare altre utili informazioni. Infine si aggiunge, per completezza, che esistono altri metodi per la misurazione degli effetti del secondo ordine (chiamati funzione F, G, K), molto più sofisticati e che utilizzano le matrici di relazione come dato di input. Numero di eventi per quadrato (K) 0 1 2 Tot.

Numero di quadrati per frequenza (x) 51 11 2 64

k P

- 0,234 0,766 1,766

(k P )

0,055 0,587 3,119

2

x(k P )

2,805 6,457 6,238 15,5

2


Dietro la metropoli. Appunti per un nuovo entroterra siciliano | 101

La fase di analisi del pattern passa attraverso una adeguata modellazione del fenomeno nel GIS. I modelli GIS si possono dividere in tre categorie (De Mers 2002): modelli basati sullo scopo, modelli basati sulla metodologia o sulla tecnologia adoperata, modelli basati sullo schema logico adoperato. I modelli basati sullo scopo possono essere o puramente descrittivi o modelli puramente prescrittivi. I primi, i modelli descrittivi, non mirano ad incidere sui processi in corso e si limitano a raccontarli. I modelli descrittivi possono essere semplici e complessi, mono o multitematici. Molto spesso è difficile separare la fase descrittiva da quella più propriamente modellistica in quanto il supporto geografico, la mappa, già di per sé descrive e racconta la complessità del territorio. Questo tipo di approccio risponde a domande del tipo «cosa è?» o, a volte, «come potrebbe essere?», quasi mai proponendo soluzioni alternative – come avviene invece nell’approccio di tipo prescrittivo. Nelle sue semplici forme, l’analisi descrittiva, si serve delle variabili quantitative - distanza, adiacenza, interazione e regolarità - per la descrizione e quantificazione dei fenomeni territoriali. L’utilità che ne deriva è quella di isolare i vari pattern (strutture) territoriali che contribuisco ad interpretare i processi di trasformazione territoriale. La descrizione poi può essere sintetica, che considera cioè tutte le possibili relazioni fra le varie variabili ambientali, o funzionalista, cioè che decostruisce il sistema di partenza in variabili dipendenti e indipendenti analizzando quest’ultime in fasi successive. I modelli puramente prescrittivi vengono costruiti al fine di indicare la migliore soluzione in merito ad una particolare tematica scelta. Questi sono perciò di natura attiva in quanto propongono soluzioni a partire dalle variabili di contesto esaminate. La domanda a cui si vuole rispondere è in questo caso «come dovrebbe essere» o «dove dovrebbe essere». La soluzione suggerita può essere unica - raramente si pone questo tipo di caso a meno che si lavori con variabili di tipo booleano (vero-falso, buono-cattivo) o può afferire, molto più verosimilmente, ad un ampio intervallo di possibilità (modelli di tipo predittivo). A sua volta i modelli predittivi possono essere divisi in olistici ed atomistici. I primi considerano, lungo il processo di analisi che conduce al modello, la quasi totalità delle variabili ambientali. Questo tipo di modelli sono difficilmente verificabili e di difficile realizzazione. I modelli di tipo atomistico scompongono i vari elementi e ne esplicato le regole di relazione con appositi algoritmi: frequente è in questo casi l’utilizzo di diagrammi di flusso (in linguaggio anglosassone flowchart). I modelli basati sulla metodologia o sulla tecnologia adoperata generalmente si dividono in due categorie: stocastici e deterministici. I modelli stocastici fanno riferimento alle proprietà probabilistiche dei processi mirando ad individuare i pattern territoriali sulla base della quantificazione di particolari grandezze - la dispersione, la deviazione standard, etc. I modelli deterministici sono invece basati su leggi di causa-effetto ed utilizzano gli


102 | Appendice A | L’analisi quantitativa dei fenomeni geografici

strumenti della fisica classica - velocità media, distanza media, temperatura media, etc. - per quantificare e predire fenomeni - la portata di un bacino idrografico o l’erosione di un complesso litologico ad esempio. Infine, i modelli basati sullo schema logico adoperato si distinguono a loro volta in modelli di tipo induttivo e modelli di tipo deduttivo. I primi costruiscono il modello di valutazione sulla base di un campione, limitato, di dati spesso empirici. In generale i modelli induttivi muovono dal particolare al generale e cercano di ricavare le leggi che governano un dato processo sulla base di alcune “spie”. I secondi, invece, muovono dal generale verso il particolare: sin dall’inizio sono note le regole che sottintendono un processo e queste vengono utilizzate per descrivere il comportamento dei singoli fatti. I modelli deduttivi sono adoperati allorquando il processo è di facile comprensione e può, ad esempio, essere schematizzato per mezzo di algoritmi.

Figura A.4. Collaborazione fra tutti gli strumenti di studio per la definizione di un modello di lettura del territorio.


Dietro la metropoli. Appunti per un nuovo entroterra siciliano | 103

IV. Sintetizzare la complessitĂ : l’analisi delle componenti principali Spesso lo studio dei fenomeni territoriali avviene attraverso l’analisi di un numero relativamente vasto di componenti fra di loro piĂš o meno relazionate. Entro certi limiti sintetizzare la complessità è possibile. In questa direzione muove il metodo dell’Analisi delle Componenti Principali (ACP) che permette di costruire, a partire delle variabili iniziali, un nuovo gruppo di variabili ÂŤfittizieÂť. In sostanza l’ACP agisce su una matrice di dati “M x Nâ€?, in cui per riga si hanno le diverse variabili utilizzate (popolazione, reddito, tasso di urbanizzazione, etc.) e per colonna le osservazioni delle suddette variabili in diversi ambiti (Catania, Palermo, Agrigento, etc.). Attraverso la risoluzione del problema degli autovalori e degli autovettori la matrice originale “MxNâ€? viene trasformata - ruotata e traslata - in una nuova matrice “M1xN1â€? in cui gli autovalori e gli autovettori esprimono il nuovo sistema di riferimento a cui corrisponde la massima correlazione possibile fra le variabili. In pratica ai nuovi assi di riferimento, che sono tanti quanti erano nella matrice originaria, corrispondono misure decrescenti della varianza tale che il primo asse esprime la maggiore varianza possibile, il secondo la seconda e cosi via. Ciò in termini pratici equivale a dire che le prime componenti, in quanto contraddistinte dai valori piĂš alti della varianza, possono da sole spiegare una buona parte del fenomeno senza scomodare l’intero numero di variabili originarie. Misurare gli effetti del secondo ordine In questo specchio si è provato a ridurre tre variabili - tasso di urbanizzazione, percentuale di diplomati e laureati, percentuale di addetti al settore primario – in un’unica variabile fittizia. Inserendo la matrice dei dati, che riassume per ogni comune dell’Isola le tre variabili sopra menzionate, in un apposito software è stato quindi possibile ricavare le informazioni riportate in tabella. La tabella sintetizza i risultati della elaborazione della matrice di partenza. L’elaborazione ha portato all’individuazione di tre nuove variabili su un nuovo sistema di riferimento. Ad ogni variabile/componente è associato un autovalore specifico che esprime la misura della varianza del set di dati sul nuovo asse. Ad esempio, sul nuovo asse 1, e quindi sulla nuova variabile 1, la varianza vale 1,919. La somma delle varianze delle tre componenti è 3 ed in generale, con questo tipo di procedimento, la somma delle varianze è pari al numero delle componenti. Quindi in percentuale la varianza relativa fra le tre nuove componenti è espressa secondo la seguente formula: % varianza della componete i-esima

Oi 6O

dove è l’autovalore i-esimo e è la sommatoria di tutti gli autovalori. Quindi ad esempio per la prima componente: % varianza componete 1

1,919 1,919 0,605 0,476

63,972


104 | Appendice A | L’analisi quantitativa dei fenomeni geografici Ciò significa che la prima componente è in grado da sola di spiegare quasi il 64% dell’intero fenomeno. Le prime due componenti, cumulativamente, sono in grado da sole di spiegare l’84% del fenomeno. Tutte e tre le componenti, ovviamente, sono in grado di spiegare cumulativamente il 100% del fenomeno studiato. Questa conclusione può essere graficizzata su di un diagramma chiamato scree plot. Ăˆ possibile notare dal diagramma lo “scalinoâ€? intercorrente fra la prima e la seconda componente: dopo questo scalino il diagramma si stabilizza diventando sub-orizzontale. In generale, per numero alto di componenti, risulta utile individuare lo “scalino di rotturaâ€? al di lĂ del quale la varianza non apporta contributi significativi nella spiegazione del fenomeno indagato. Ăˆ quindi, in questo caso, la prima componente del diagramma il parametro T. T quindi è l’autovettore a cui corrisponde il massimo autovalore, cioè la massima varianza e quindi la maggiore attitudine a sintetizzare il fenomeno studiato. T è una nuova variabile fittizia che è combinazione lineare delle tre variabili di partenza – logaritmo del tasso di urbanizzazione, percentuale di addetti al settore primario, percentuale di Know-How – e si ottiene da: T C0 C1 ˜ log Turb C2 ˜ % PKH C3 ˜ % Pap dove C0, C1, C2 e C3 sono i tre coefficienti che permettono di passare dalle tre variabili di partenza alla componente fittizia T. I coefficienti esprimono i pesi delle variabili originarie nel nuovo indicatore parametro T. Componente

Autovalore

% Varianza

% Cumulativa

1

1,919

63,972

2

0,605

20,161

84,133

3

0,476

15,867

100,000

Figura A.5. Scree plot delle componenti principali estratte.

63,972


Dietro la metropoli. Appunti per un nuovo entroterra siciliano | 105

V. Indicatori utilizzati nel caso di studio La gran parte degli indicatori utilizzati nel capitolo 4 riguardano il macroambito economico e demografico. Tuttavia una serie di analisi hanno interessato la densità dei biotopi prima, nel macroambito morfologicoambientale, e la distribuzione dei beni isolati poi, nel macro ambito antropico-culturale, attraverso un’analisi Kernel e di densità dei punti. In particolare per l’analisi sui biotopi si è scelto di discretizzare il territorio in una maglia regolare 1 x 1 Km con un raggio di attenuazione per ciascuna cella di 10 Km. I dati sono stati organizzati in tre classi rispettivamente alta, media e bassa densità. Nella seconda analisi considerando la natura più o meno fissa del patrimonio culturale si è scelto di utilizzare una mappa di densità e di discretizzare il territorio in una maglia regolare di 1 x 1 Km. Anche questa volta i dati sono stati organizzati in tre classi di intensità rispettivamente alta, media e bassa. Durante tutta la fase di produzione delle mappe si è cercato di massimizzare l’efficacia comunicativa delle rappresentazioni coerentemente alle tecniche raccolte in appendice B. La maggior parte delle mappe riportano gli spartiacque relativi alle principali catene montuose e per questo si è reso necessario la costruzione di un modello tridimensionale TIN a partire dalle curve di livello. Prima di addentrarsi nella descrizione e nella spiegazione degli indicatori utilizzati in questa ricerca, risulta utile ripercorrere la struttura dell’archivio GIS costruito per l’occasione a partire dalla disarticolazione del territorio in tre macro-ambiti: morfologico-ambientale, antropico-culturale, economicodemografico. Per ognuno di questi macro-ambiti sono state individuate le seguenti sub-componenti: nel primo l’ambiente abiotico e quello biotico; nel secondo il territorio urbanizzato, l’uso del suolo, la mobilità e le sue infrastrutture, il patrimonio storico-culturale; nel terzo il reddito e i consumi, l’occupazione, i servizi, e la demografia. A sua volta ciascuna subcomponente è stata descritta per mezzo di dati e di indicatori coerenti alle ipotesi di studio: - Ambiente abiotico: curve di livello (delta 250 m), spartiacque, comuni per fasce di altitudine (aggiornati al 1996); - Ambiente biotico: parchi, riserve, aree boscate, bacini fluviali, ZPS, SIC, biotopi (tutti aggiornati al 1996); - Infrastrutture e mobilità: reti energetiche, strade ferrate, viabilità su gomma, numero di automobili pro capite (2001); - Uso del suolo: territorio urbanizzato, seminativo (semplice o arborato), agrumeto, vigneto, coltivazioni in serra, aree boscate, pascoli, macchia mediterranea, saline, arbusti spinosi dell’Etna, deserti lavici, zone umide e bacini fluviali (1996);


106 | Appendice A | L’analisi quantitativa dei fenomeni geografici

- Territorio modellato artificialmente: agglomerati ASI, territorio urbanizzato, densità di popolazione (totale ed effettiva), tasso di urbanizzazione, patrimonio abitativo (1996); - Patrimonio storico-culturale: università, aree archeologiche, beni sparsi (1996); - Reddito e consumi: consumi totali per famiglia (anno 2000), consumi per trasporti e comunicazioni per famiglia (anno 2000), reddito lordo per famiglia (anno 2000); - Occupazione: numero di addetti nelle imprese per unità locale su base SLL (2001), numero di addetti nelle imprese su popolazione totale su base SLL (2001); - Servizi: superficie relativa ai supermercati pro capite (1998), superficie relativa alla media e grande distribuzione pro capite (1998), numero di sportelli bancari pro capite (2002); - Demografia: popolazione complessiva al 2005, tasso di analfabetismo (anno 1991), tasso di vecchiaia della popolazione residente (anno 2001), movimento migratorio (dal 2002 al 2005). I database utilizzati46 sono quelli relativi: - alla banca dati della Regione Sicilia - distribuita alle Province per la redazione dei Piani Territoriali Provinciali - che comprende i dati dei vari censimenti ISTAT, generali ed annuali, a partire dal 1991 fino al 2001, dell’osservatorio MIMEX (2000), dell’ACI (1999 e 2001) e della Banca d’Italia (1998 e 2001); - al censimento generale industria e commercio 2001; - ai dati collezionati per il PTPR (1996) che riguardano l’intero territorio regionale e che sono relativi alla geomorfologia dei luoghi, all’uso del suolo, ai parchi, alle infrastrutture e al patrimonio culturale; - ai dati relativi al movimento migratorio della popolazione, reperiti attraverso il portale informatico dell’ISTAT relativi alle annate 2001, 2002, 2003, 2004, 2005. Il sistema di riferimento utilizzato è stato il Gauss-Boaga 33E.

46 Di recente la Regione Siciliana ha avviato un bando per la formazione di personale specializzato per la gestione del futuro SIT che secondo il disegno di legge dal titolo “Norme per il governo del territorio”, approvato dalla Giunta regionale nella seduta del 2 agosto 2005, dovrebbe articolarsi in nodi provinciali e comunali contribuendo direttamente all’aggiornamento continuo dei dati.


Appendice B Tecniche di visualizzazione delle informazioni geografiche


108 | Appendice B | Tecniche di visualizzazione delle informazioni geografiche

La seconda appendice è stata redatta con lo scopo di mettere a disposizione del planner una serie di tecniche utili alla restituzione in formato cartografico dei fenomeni di trasformazione del territorio. Un fenomeno non è altro che un processo – pregresso, in atto o futuro – di modificazione delle variabili territoriali che può essere rappresentato per mezzo di una collezione di eventi - puntuali, lineari, bidimensionali o semitridimensionali – e che, tramite l’utilizzo di database digitali e tecnologie GIS - cioè di contenitori organizzati di informazioni (§ A) -, può essere analizzato e restituito sottoforma di carta tematica. Ulteriori approfondimenti in merito possono essere tratti dalla bibliografia citata. Nel primo capitolo si sono introdotte le caratteristiche basilari delle carte geografiche e degli atlanti, ovvero di collezioni di carte geografiche organizzate per un preciso fine (spiegare l’evoluzione storica di una città oggi scomparsa o il processo di inurbamento metropolitano), e nel far questo si sono introdotti concetti quali sequenza, supporto, scala di rappresentazione, sistema di proiezione, apparato simbolico. Nel secondo capitolo si sono invece trattate le problematiche inerenti la “natura” che i dati possono assumere – nominale o cardinale – e le conseguenze che derivano da questo concetto in termini di variabili grafiche e di modalità di rappresentazione da privilegiare rispetto ad altre. Nel terzo si è poi affrontato l’importante operazione di editing di una mappa e si è posto particolare attenzione alle problematiche derivanti dall’uso del colore in una mappa – inerenti la percezione e le varabili che si utilizzano per controllarla – e delle etichette di testo – formattazione. Nel quarto ed ultimo capitolo si è posto particolare accento alle strategie di comunicazione più efficaci per veicolare l’informazione di cui una mappa si fa portatrice. In quanti modi risulta possibile “mentire” con le mappe è uno degli aspetti da cui bisogna partire per essere coscienti del mezzo che si sta utilizzando.


Dietro la metropoli. Appunti per un nuovo entroterra siciliano | 109

I. Introduzione alle componenti caratteristiche di una carta L’obiettivo di una mappa è quello di dare un certo numero di informazioni in relazione ai processi di trasformazione del territorio. Un atlante rappresenta la forma più complessa e raffinata di una analisi geografica: essa è una raccolta ragionata di mappe geografiche che hanno lo scopo di raccontare la complessità del mondo. Un atlante può avere diverse finalità: può ad esempio occuparsi della geografia storica di una particolare regione, oppure dei paesaggi sottomarini, o ancora dei luoghi antropizzati. Le componenti fondamentali di una mappa sono (MacEachren, Taylor 1994; Robinson et altri 1995): la sequenza con cui le informazioni vengono mostrate, il supporto sul quale vengono restituite, la scala di rappresentazione, il sistema di proiezione utilizzato, l’apparato simbolico utilizzato per descrivere i processi. La sequenza con cui le mappe vengono mostrate è uno degli aspetti più importanti durante il processo di lettura di un fenomeno. Essa dipende, essenzialmente, da due fattori: dall’oggetto di studio e dal metodo utilizzato per studiarlo (e quindi dal soggetto che lo studia). In generale le sequenze sono: graduale ingrandimento di una porzione ristretta - come per esempio in un classico atlante geografico per fini didattici -, graduale rimpicciolimento con conseguente ristrutturazione del problema allo scopo di estendere i ragionamenti fatti ad una scala micro-sistemica verso una regione più ampia come per esempio si fa in un analisi di contesto volta ad individuare i punti di forza di debolezza, le opportunità e le minacce -, scomposizione del sistema di base in parti, per esempio attraverso una matrice, da sottoporre singolarmente a fasi di approfondimento ulteriori - come per esempio si può fare in un atlante storico. Il supporto sul quale vengono restituite le carte è il secondo elemento che contribuisce a caratterizzare una mappa. Tale supporto può essere di due tipi: cartaceo e digitale. A sua volta gli atlanti digitali possono essere suddivisi, sulla base delle funzionalità che offrono all’utilizzatore, in ulteriori tre gruppi (figura B.1 e B.2): possono avere come fine ultimo la sola presentazione di un ciclo di analisi ormai concluse (view-only atlas) – questo è il caso tipico di un supporto digitale tipo CD-DVD-rom -, possono essere interattivi, cioè offrire a chi li utilizza una serie di strumenti per la personalizzazione delle mappe (interactive electronic atlas) – questo è caso tipico di supporto digitale su web dove appositi software permettono: di ingrandire l’area interessata, attaccare o staccare delle informazioni e stampare la propria personale riproduzione -, possono essere editabili (analytical electronic atlas) fornendo elaborazioni ad hoc – questo è il caso dei software GIS.


110 | Appendice B | Tecniche di visualizzazione delle informazioni geografiche

view-only -

Æ

interactive eletronic atlas Expertise

analytical eletronic atlas Æ +

Figura B.1. Tipi di supporto ed expertise conseguente.

Figura B.2. Il cubo di MacEachren. Le tre dimensioni sono: conoscenza delle relazioni fra gli eventi, interattivitĂ del supporto, uso delle mappe durante il processo analitico (fonte: Elzakker 2004).


Dietro la metropoli. Appunti per un nuovo entroterra siciliano | 111

La scala di rappresentazione è il terzo elemento fondamentale di una mappa. In cartografia quando si parla di visualizzare i fenomeni a grande scala ci si riferisce a piccoli brani di territorio che possono essere mostrati ad una scala più dettagliata. Viceversa, le rappresentazioni a piccola scala riguardano larghe estensioni di territorio che necessitano, per essere sinteticamente raggruppate in unica tavola, di essere riprodotte ad una scala non molto dettagliata ma non per questo priva di contenuti. La scala di rappresentazione contribuisce inoltre a classificare le carte. Sono dette «indicative» le carte al 1.250.000 e sono generalmente contenute negli atlanti generali. Di «sintesi» sono invece quelle carte al 250.000 che servono a studiare fenomeni alla scala regionale. Le carte «base» sono quelle al 50.000 ed esse servono a studiare lo studio dell’area vasta. Le carte «tecniche» sono quelle al 10.000 e servono a studiare la città. Infine sono dette «esecutive» quelle carte al 2.000 che servono a studiare un particolare ambito urbano. Una ulteriore classificazione fa riferimento alla quantità e qualità delle informazioni contenute. Sono mappe: «generali» quando contengono una grande quantità di informazioni, «tematiche» se riportano un particolare tipo di informazioni, «regolari» se rispettano i vincoli di precisione geotopografica, «speditive» quando sono utili più per la comunicazione di una particolare idea/informazione che per la loro precisione (Cartarasa 2002). La superficie terrestre è caratterizzata da una forma irregolare che può essere fatta coincidere, a meno di lievi scostamenti, al modello del geoide. Il geoide in sostanza è una superficie matematica definibile a partire dalla conoscenza dei valori di densità in ogni punto della terra. Sebbene il geoide sia un modello approssimato, la sua determinazione risulta complicata a causa dell’alto numero di variabili di cui necessita la sua individuazione. La scelta dell’ellissoide di rotazione, quale modello di rappresentazione della terra, risulta quindi una operazione conveniente in termini di calcolo, in quanto risulta sufficiente la conoscenza dei due soli semiassi per individuarlo47. La conoscenza delle caratteristiche matematiche dell’ellissoide ovviamente non bastano alla geografia in quanto la maggior parte delle mappe necessitano di una rappresentazione bidimensionale: il foglio di carta sul quale sono impresse. L’operazione di riduzione di una superfice sferica ad una piana comporta una deformazione della superficie terrestre48. La proiezione cartografica, cioè l’operazione di trasformazione di 47 La coppia di valori che individua i semiassi terrestri sono stati calcolati rispettivamente da Bessel (1841), Hayford (1909), Krassovsky (1942). Nel 1927 L’associazione internazionale di geodesia ha individuato i valori calcolati da Hayford come cogenti per l’individuazione dell’ellissoide internazionale (Cartarasa 2002). 48 Le superfici sferiche sono «non sviluppabili» ovverosia risulta impossibile fare rotolare una forma sferica su di un piano avendo come linea di contatto una retta.


112 | Appendice B | Tecniche di visualizzazione delle informazioni geografiche

una porzione dell’ellissoide in superficie bidimensionale, è quindi il quarto elemento fondamentale di un mappa. La scelta di un particolare tipo di proiezione può comportare rispettivamente una deformazione delle distanze lineari fra punti del piano, degli angoli, della superficie di oggetti compresi nella mappa49. L’utilizzo dell’apparato simbolico, al fine di modellare i fatti territoriali, è infine l’ultimo degli elementi che contribuisco a caratterizzare una carta. Allo scopo di scegliere la giusta combinazione di simboli da utilizzare bisogna considerare due aspetti: essa deve suggerire il fenomeno reale che si vuole rappresentare, contemporaneamente essa deve essere in grado di quantificarlo tramite una attribuzione di colore o una particolare scala metrica. Nel caso di oggetti puntuali - biblioteche e fontanili per esempio - risulta logico utilizzare una mappa costruita con punti che possono essere di diversi colori o avere ampiezza proporzionalmente crescente ad una determinata variabile associata ad essi. Nel caso di elementi a prevalente sviluppo uni-dimensionale – strade e tracciati ferroviari solo per citarne alcuni - risulta invece utile impiegare le linee. Queste ultime potranno essere restituite con diversi spessori del tratto, o con diversi colori, oppure con una diversa grafia (tratto-punto per i confini amministrativi, linea doppia per le autostrade, linea singola per le strade urbane). Per quanto concerne gli elementi a prevalente sviluppo bidimensionale – laghi, boschi, unità censuarie e molto altro – risulta conveniente utilizzare aree evidenziate da un contorno o da una texture (o da una combinazione delle due possibilità).

49

Si definiscono: carte isogoniche quelle rappresentazioni in cui il modulo di deformazione angolare è nullo; carte equivalenti, quelle rappresentazioni in cui il modulo di deformazione areale è nullo; carte equidistanti, quelle rappresentazioni in cui il modulo di deformazione linare è nullo; carte afilattiche, quelle rappresentazioni in cui tutti e tre moduli di deformazioni sebbene siano diversi da zero presentano valori relativamente minimi. -


Dietro la metropoli. Appunti per un nuovo entroterra siciliano | 113

II. Mapping o analisi dei metodi di rappresentazione cartografica Il mapping è quella operazione, di natura matematica, che fa corrispondere biunivocamente gli elementi di due diversi insiemi (Farinelli 2006): alle coordinate geografiche di Catania corrisponde la sola città di Catania e non Palermo. Ciò implica una considerazione molto importante per la geografia moderna: ad un elemento ne corrisponde uno ed uno solo. La maniera con sui le carte vengono “costruite” è determinate per l’efficacia dell’informazione che si vuole, con esse, veicolare. Alcuni degli aspetti collegati alla maniera con cui una rappresentazione cartografica viene costruita sono stati già elencati nel capitolo I di questa appendice - sequenza con cui le mappe vengono mostrate, supporto sul quale vengono restituite e scala di rappresentazione, etc. – altri invece verranno esposti nei paragrafi successivi e riguardano la natura (qualitativa o quantitativa) del dato, le variabili grafiche che concorrono a stimare gli effetti dell’evento sulle carte e la loro intelligibilità, il tipo di rappresentazione. Natura, computazione e organizzazione dei dati Una mappa si nutre di eventi che possono avere natura oggettiva o soggettiva. In maniera più precisa è possibile distinguere dati di natura nominale, che si riferiscono a proprietà soggettive dell’evento, da dati di natura ordinale, che si riferiscono a proprietà invece di tipo oggettivo. Per il primo tipo di dato, quello nominale, è possibile fare solo comparazioni di uguaglianza ma risulta impossibile ordinali in sequenza. Per esempio i nomi propri di persona, religioni ed i colori sono variabili di natura nominale. Il secondo tipo di dato, quello di natura ordinale, si riferisce a quantità numerabili che possono essere associati bi-univocamente ad altre entità per formare un elenco ordinato. Ad esempio una classifica dei siti archeologici sulla base del numero dei reperti scoperti o dei bacini idraulici sulla base della portata di efflusso dei fiumi che li compongono sono esempi di insiemi ordinali. È possibile poi individuare variabili che sebbene siano esprimibili in termini numerici il valore che esse assumono non contribuisce ad assegnare un ordine di importanza (interval level) – ad esempio, il numero di reperti di due diversi siti archeologici non contribuisce a determinare la loro importanza. Si hanno poi variabili il cui ordine è esprimibile in termini numerici sulla base dell’ammontare complessivo del dato (ratio level) – ad esempio, se in un bacino idraulico la portata dei fiumi è doppia rispetto ad un altro bacino idraulico allora il primo risulta il doppio del secondo. I dati tipo ratio level hanno natura continua e possono essere raggruppati secondo due procedimenti: di tipo grafico - sulla base della frequenza con cui il dato si manifesta (natural breaks) -, o di tipo matematico - sulla base di proprietà


114 | Appendice B | Tecniche di visualizzazione delle informazioni geografiche

matematiche e statistiche della distribuzione di eventi (intervalli uguali, quantili, serie aritmetiche o geometriche). I dati poi possono essere di natura unipolare (reddito pro capite) o bipolare (popolazione insediata maschile e femminile). Fra i dati che hanno natura bipolare ci sono pure quelli in cui due variabili diverse sono legate da relazioni di proporzionalità positiva o inversa (balanced data) - ad esempio, il numero di abitazioni obsolete in funzione del reddito medio della popolazione residente. Sulle variabili grafiche Una volta conosciuta la natura dei dati bisogna considerare il modo più opportuno con cui, all’interno di una mappa, poterle restituire. Bertin (1983) suggerisce le modalità di rappresentazione cartografica più efficienti in relazione alla particolare natura dei dati che si ha a disposizione (tabella B.1). Se, ad esempio, si ha a che fare con dati di natura nominale risulterà efficace utilizzare colori o texture orientate oppure simboli aventi particolari attributi di forma. Nel caso di dati di tipo ordinali e numerali è possibile invece mettere in gioco le quantità che li descrivono, come la dimensione o una particolare scala cromatica. Ancora, Bertin mette in evidenza che non tutte le variabili grafiche possono essere percepite in un numero illimitato di soluzioni sulla medesima rappresentazione ed individua il numero ottimale di esse (tabella B.2). Tabella B.1. Tipi di rappresentazione in relazione alla natura del dato (fonte: nostra elaborazione su testi di Kraak , Ormeling 2003; Slocum 1999).

Nominale Dimensione Spaziatura Altezza prospettica Scala cromatica Colore Texture orientata Forma

Ordinale

Numerale (interval level - ratio level) x x x x

x x

x x x

x x

Tabella B.2. Numero massimo di grandezze che è possibile percepire come differenti su di una mappa (fonte: nostra elaborazione su testi di Kraak , Ormeling 2003; Slocum 1999).

Dimensione Spaziatura Altezza prospettica Scala cromatica Colore Texture orientata Forma

Punti 4 4 3 7 -

Linee 4 4 4 7 -

Aree 5 5 5 5 8 5 -


Dietro la metropoli. Appunti per un nuovo entroterra siciliano | 115

Figura B.3. Differenti modi di rappresentare una variabile territoriale (in questo caso il raccolto di grano nello stato del Kansas): A- altezza prospettica, B- dimensione, C- spaziatura, D- scala cromatica, E- texture orientata (fonte: Slocum 1999).


116 | Appendice B | Tecniche di visualizzazione delle informazioni geografiche

Tipi di rappresentazione cartografica La scienza cartografica mette a disposizione del pianificatore, che si accinge a studiare fenomeni di natura geografica, un buon numero di tipi differenti di rappresentazione che risulta però opportuno conoscere attentamente al fine di evitare usi impropri. Allo scopo di esemplificare le tipologie che verranno introdotte, risulta utile costruire una griglia (vedi tabella B.3) che mette in relazione la natura del dato con il tipo di attributo utilizzato per descrivere l’evento, o l’insieme di eventi che simulano il processo. In questo modo è stato possibile isolare nove tipi differenti di rappresentazione cartografica. In questa tabella è possibile osservare alcune tipologie che sono ricorrenti – mappe con simboli proporzionali, mappe con diagrammi, mappe con diagrammi di flusso – e che rispecchiano la versatilità con cui queste possono essere utilizzate al variare della variabile grafica di cui si dispone ed altre tipologie più specifiche – mappe con texture, mappe a colori, superfici statistiche – che suggeriscono un uso ristretto a particolari variabili.

Tabella B.3. Tipi di mappe in relazione agli eventi ed alla variabile grafica utilizzata per rappresentarli (fonte: nostra elaborazione su testo di Kraak e Ormeling 2003).

Variabili grafiche

Dati Puntuali Dati lineari Linee Vettori Dati bidimensionali Distribuzione regolare Contorni irregolari Dati tipo field

Qualitativo Nominale Variazione di colore, di texture o di forma e

Quantitativo Ordinale/interval/ratio Ripetizione Variazione di dimensione o di scala di colore f f

Composito Variazione di dimensione

g

e -

h

h h

g g

a

-

f, b

g

c -

d

b d, i

g -


Dietro la metropoli. Appunti per un nuovo entroterra siciliano | 117

a) Mappa con texture (texture map) Questo tipo di rappresentazione è ricavata assegnando ad ogni area con le medesime caratteristiche, in termini di contenuto di informazioni (feature), un particolare riempimento, generalmente di natura geometrica (linee, punti, o figure), realizzato tramite la scelta di texture in bianco e nero. Questo tipo di rappresentazione risulta utile con dati di natura qualitativa, o nominali. b) Mappa in scala monocromatica (choropleth map) Quando si dispone di dati di natura quantitativa, o cardinali, che si riferiscono ad oggetti bi-dimensionali (unità censuarie, uso del suolo) è possibile costruire delle mappe usando scale monocromatiche. In questo caso la legenda viene costruita suddividendo la variabile osservata, per esempio la densità di popolazione, in intervalli (ratio) a cui vengono successivamente assegnati una particolare tonalità di colore scelto. Esistono due tipi particolari di mappe in scala monocromatica: mappe di densità - dove cioè la variabile osservata si riferisce all’area su cui insiste (ad esempio la densità di popolazione) -, mappe in cui la variabile osservata non dipende dall’area su cui insiste (ad esempio il numero di persone al di sotto dei 10 anni di età). In questo ultimo caso possono subentrare delle variabili secondarie che possono “pesare” la variabile primaria che si vuole studiare (ad esempio il rapporto tra il numero di persone al di sotto dei 10 anni di età ed il numero di persone complessivo). c) Mappa a colori (chorochromatic map) Questa modalità di rappresentazione viene utilizzata per dati di natura nominale, cioè non riconducibili a variabili quantitative (densità, ampiezza) ma qualitative (lingua, religione, etc.). Il principale portato di questo tipo di mappe è che i colori, o i retini che vengono utilizzati, che restituiscono la complessità dell’insieme preso in considerazione, non hanno alcuna relazione l’uno con l’altro. Questo può causare alcuni inconvenienti come ad esempio i maggiori costi di stampa dovuti all’utilizzo di più colori ma non solo: la scelta dei colori risulta operazione complessa in quanto la percezione di una singola componente è strettamente influenzata dalla tonalità dei colori che gli stanno attorno. Questo aspetto, prettamente di natura percettivo, è ulteriormente acuito se gli elementi renderizzati hanno differenti dimensioni: in questo caso il colore associato all’area con ampiezza maggiore risulterà in condizioni di dominanza (spesso ingiustificata) ed in questo caso bisognerà scegliere una palette di colori in grado di bilanciare questo tipo di irregolarità (ad esempio si dovrà evitare di associare ad aree vaste un colore “forte” come il rosso o il nero).


118 | Appendice B | Tecniche di visualizzazione delle informazioni geografiche

d) Mappa con isoipse (isoline map) Quando si hanno a disposizione un gran numero di rilevazioni per unità di superficie è possibile costruire delle mappe che simulano un comportamento continuo della variabile osservata attraverso la costruzione delle isoipse, conosciute nel linguaggio topografico col nome di curve di livello. In questo caso le curve descrivono, nell’area studio analizzata, il trend della variabile in funzione della posizione geografica. A tali isoipse può inoltre essere associato un colore che può ulteriormente sottolineare o amplificare le caratteristiche spaziali del fenomeno. e) Mappa con simboli (nominal point data) Questo tipo di rappresentazione si riferisce a dati puntuali di natura qualitativa a cui è possibile associare un simbolo dipendente dalla funzione relativa, o da una particolare caratteristica associata ad esso, che può essere di natura geometrica o figurativa. f) Mappa con simboli proporzionali (absolute proportional method) In questo caso al simbolo, che può essere di natura geometrica o pittorica, può essere associato un valore di tipo quantitativo. L’idea è che la dimensione del simbolo, e il numero di volte con cui esso si ripete, sia capace di misurare la variabile osservata. g) Mappa con diagrammi (diagrams map) Queste sono mappe che incorporano al loro interno diagrammi, istogrammi ed altro, che mettono in relazione più variabili all’interno della medesima area. h) Mappa con diagrammi di flusso (flow line map) Questo tipo di rappresentazione risulta conveniente quando si vuole descrivere un fenomeno indicandone l’orientamento, la direzione e la capacità. Ad esempio, in un grafo che descrive la viabilità su gomma si possono indicare direzione, verso del flusso di traffico nelle varie ore di punta ed inoltre la portata dei veicoli per unità di tempo. i) Superficie statistica (statistical surface) Questa forma di rappresentazione viene utilizzata quando si dispone di dati che variano con continuità su una data superficie (§ A.II). Ad esempio, nel caso di modelli tridimensionali del suolo, conoscendo il valore la quota di ogni punto, rispetto ad un origine prefissata, è possibile ricavare una superficie che sintetizza il comportamento della variabile studiata, la quota assoluta appunto, al variare della posizione geografica.


Dietro la metropoli. Appunti per un nuovo entroterra siciliano | 119

Scatterplot matrix A proposto dell’analisi esplorativa dei fenomeni geografici (cfr. appendice A) risulta utile mettere in evidenza un potente mezzo di rappresentazione di analisi tese ad indagare le relazioni reciproche fra due o più variabili. Questo strumento è conosciuto in letteratura col nome di scatterplot matrix. Supponendo di volere studiare cinque variabili, allo scopo di voler individuare le loro relazioni reciproche, si costruisce una matrice 5 x 5 all’interno della quale ciascuna casella contiene un grafico bi-dimensionale cartesiano che rappresenta le due variabili attenzionate. Durante la fase di analisi può risultare utile osservare solo particolari eventi piuttosto che altri. In questo caso lo scatterplot matrix può essere adattato allo scopo attraverso un differente trattamento grafico per i soli eventi utili (scatterplot brushing) che vengono individuati tramite un rettangolo, o setola (brush appunto). In questo esempio vengono messe in relazione 6 variabili diverse: il tasso di omicidi, la percentuale di abitanti al di sotto della soglia di povertà, la percentuale di abitanti diplomati, la popolazione totale, gli arresti per droga, la densità di popolazione. Nella prima casella in alto a sinistra vengono individuati i quattro eventi monitorati (fonte: Slocum 1999).


120 | Appendice B | Tecniche di visualizzazione delle informazioni geografiche

Misurare la complessità di una mappa Molto spesso i fatti geografici sono così complessi che le analisi tese ad individuarne i pattern prevalenti non riescono a chiarire bene le dinamiche ed i fenomeni di interdipendenza reciproca. In questo caso la rappresentazione risulta spesso poco leggibile e molto complicata. A riguardo MacEachren (1982) suggerisce di utilizzare tre coefficienti in grado di stimare la complessità della rappresentazione cartografica. Questi parametri sono costruiti a partire dal numero di facce, bordi e vertici che discretizzano il fenomeno che si vuole studiare: numero _ di _ facce _ dopo _ la _ elaborazione Cf

numero _ di _ facce _ originarie numero _ di _ bordi _ dopo _ la _ elaborazione

Cb

numero _ di _ bordi _ originari numero _ di _ vertici _ dopo _ la _ elaborazione

Cv

numero _ di _ vertici _ originari

Più alto è il valore di tali coefficienti più alta sarà la difficoltà di lettura delle informazioni sulla mappa. I coefficienti di MacEachren: in alto la situazione di partenza all’inizio dell’analisi (A), nel successivo riguardo una possibile elaborazione delle informazioni che conduce ad identificare cinque diverse regioni omogenee (B), nell’ultimo riquadro un’altra possibile elaborazione che conduce questa volta ad identificare dodici regioni omogenee (C). Si noti che nel riquadro C i coefficienti di MacEachren riportano valori più elevati (fonte: Slocum 1999).


Dietro la metropoli. Appunti per un nuovo entroterra siciliano | 121

III L’editing di una mappa: il colore ed il testo come elementi problematici della rappresentazione cartografica Molto spesso non si considera, o si sottovaluta (oppure si nasconde), l’influenza che una particolare gamma di colori può esercitare sull’utente. Ad esempio l’utilizzo del rosso, del violetto e del nero amplifica l’estensione e la gravità dei fenomeni rispetto ad altri colori. Il colore, infatti, non è una variabile oggettiva ma dipende contemporaneamente dalla sensibilità del cartografo e di quella dell’utente. Molti esperimenti hanno però dimostrato che mediamente, per persone che hanno una normale capacità di riconoscere i colori, le interpretazioni non differiscono di molto (Brown, Feringa 2003). Questa osservazione conduce quindi ad una importante constatazione e cioè che non bisognerebbe abusare dell’uso del colore durante la fase di “costruzione” della mappa. Alcune caratteristiche riguardanti le proprietà dei colori sono state codificate nell’International lighting Vocabulary redatto a cura del CIE (Commission Internazionale de l’Eclairage) nel 1989: - brillanza (brightness): è un attributo psicologico del colore che esprime la quantità di luce che un oggetto appare emettere (si esprime con gli aggettivi “fioco”, “debole”, “luminoso”, “intenso”, “abbagliante”); - tinta (hue): si riferisce alla lunghezza d’onda che identifica un particolare colore; - pienezza (colourfulness): è la sensazione (o percezione) umana associata alla capacità che ha una tinta di mostrare il suo colore; - chiarezza (lightness): è la brillanza di un’area giudicata in relazione alla brillanza di un’area bianca similmente illuminata – (si esprime con gli aggettivi “chiaro”, “scuro” e va dal nero al bianco passando per i vari livelli di grigio); - purezza (chroma): è la tonalità cromatica di un punto; - saturazione (saturation): è il grado di contrasto tra i colori presenti nell'immagine ed esprime la purezza del colore. Anche l’utilizzo di etichette di testo nelle mappe (label) deve a sua volta tenere conto di una serie di regole: - differenziare oggetti importanti da quelli meno importanti; - individuare diverse categorie omogenee; - relazionare gli oggetti contenuti nella mappa. È auspicabile quindi utilizzare una formattazione del testo differenziata per spaziatura, maiuscole/minuscole, dimensione, spessore, larghezza o distribuzione dei caratteri, e tonalità di grigio per ciò che attiene alle variabili descrivibili gerarchicamente. L’utilizzo del colore, dello stile e del corsivo incide invece sulle variabili di tipo qualitativo.


122 | Appendice B | Tecniche di visualizzazione delle informazioni geografiche

Il Natural Colour System Il Natural Colour System (NCS) è un sistema di codifica dei colori sviluppato, a partire dagli studi di Hering e Ostwald, dallo Scandinavian Colour Institute. In pratica i colori vengono restituiti come combinazione di quattro colori base (giallo, rosso, blu e verde) e due colori neutri (bianco e nero). Questi colori formano una sorta di doppio cono. Una sezione verticale di questo doppio cono permette di ottenere una palette triangolare di colori: ad un estremo, quello superiore, abbiamo il bianco (W) all’altro estremo, quello inferiore, il nero (S) mentre all’apice del triangolo si ha il massimo valore del chroma scelto (detto anche chromaticness). Una generica sfumatura (nuance) è ottenuta come combinazione di due dei quattro colori base (nell’esempio riportato Y90R) e da diverse quantità di bianco e di nero contenuta in essa (10-50).

Il sistema proposto dal NCS permette di individuare esattamente il chroma desiderato. La naunce (sfumatura) esprime contemporaneamente l’attitudine del chroma a contenere quantità di bianco o di nero (fonte: Brown, Feringa 2003).


Dietro la metropoli. Appunti per un nuovo entroterra siciliano | 123

IV. Considerazioni finali sull’editing di una mappa Dopotutto una mappa è una particolare visione della realtà. Quasi sempre le carte riflettono i dubbi, le aspettative e le ambizioni di chi le produce. Esse spesso vengono redatte al fine specifico di rafforzare una tesi relativa ad una proposta di trasformazione territoriale o di aggiornamento normativo. Se una mappa racconta di una grande trasformazione territoriale che si vuole proporre, come ad esempio la costruzione di un nuovo quartiere residenziale, molto spesso dietro di essa stanno interessi di natura economica che pare difficile ricondurre pienamente al cosiddetto interesse collettivo (questa è la dura realtà fuori dalle aule universitarie). È quindi compito del planner adottare le strategie comunicative più efficaci che possano dare maggiori “speranze di vita” alla tesi che si vuole perorare. Mark Monmonier in How to lie with Maps (1991) è esplicito sotto questo profilo e propone undici semplici regole per «raffinare le immagini cartografiche». La prima di queste è essere scaltramente selettivi nelle informazioni riportate. Evitare di confondere il pubblico con dati irrilevanti e spesso controproducenti; omettere l’esistenza di contesti sensibili già compromessi come siti inquinati o vaste superfici già adibite a parcheggio; prediligere sempre nell’immagini l’utilizzo di persone ben vestite, di macchine sportive e di strade o piazze interamente pedonali. La seconda è scegliere l’ampiezza delle immagini in modo strategico. Cercare di tagliare fuori dal quadro le informazioni scomode come discariche, periferie disagiate, spazi insicuri o siti inquinati. La terza sottolinea la necessità di accentuare i fattori positivi di una trasformazione proposta o di un modello di studio appena sviluppato. La quarta suggerisce di scaricare gli errori al computer o all’insufficienza delle informazioni (in ultima istanza allo Stato). La quinta, duale della terza, è quella di minimizzare i fattori negativi che non si possono omettere o nascondere. La sesta consiglia di abbondare nei dettagli utili a distrarre il pubblico: la particolare storia di un edificio o la trama di un determinato tessuto urbano. La settima si riferisce all’esigenza di rendere amichevole una mappa attraverso l’utilizzo di una legenda facilmente comprensibile e anche moderatamente ironica. L’ottava è quella di distrarre l’attenzione del pubblico con foto aeree o sequenze storiche in modo da sviare l’attenzione del pubblico attraverso la qualità dei dettagli. La nona è quella di generalizzare (semplificare) in maniera intelligente, cercando di minimizzare gli accidenti e di sovrastimare gi effetti positivi. La decima suggerisce di utilizzare con eleganza ed intelligenza i simboli per abbellire una carta: utilizzando ampie fasce alberate in corrispondenza dei


124 | Appendice B | Tecniche di visualizzazione delle informazioni geografiche

nuovi insediamenti; o scegliendo dei colori rilassanti e rassicuranti (il verde, il blu). Infine quando tutti questi accorgimenti falliscono cercare di corrompere il pubblico con formule (slogan) accattivanti: nuovi posti di lavoro, meno tasse, benefici per la collettività, etc. Questa serie di regole può essere a piacimento estesa a seconda dei casi specifici. Una buona carta persegue sempre due obiettivi: informare e rendere bella una rappresentazione. In fondo mappe e pubblicità hanno in comune «l’esigenza di comunicare una limitata visione della realtà» (Monmonier 1991).

Figura B.4. Un esempio di come il risultato finale della rappresentazione possa cambiare, a parità di proposta, in funzione della diversa veste grafica (fonte: Monmonier 1991).


Appendice C Repertorio ragionato dei modi di rappresentazione del territorio siciliano


126 | Appendice C | Repertorio ragionato dei modi di rappresentazione del territorio siciliano

In questa terza ed ultima appendice sono state raccolte, da un lato, le carte relative al terzo capitolo di questa tesi, cioè quelle dell’analisi storica sulla pianificazione dell’entroterra siciliano, dall’altro, quelle relative al quinto capitolo, cioè all’analisi del caso di studio secondo il modello dei territori veloci, lenti e lunghi. Attraverso questa sequenza ordinata di mappe risulta possibile leggere una evoluzione dei modi di rappresentazione del territorio siciliano che sono lo specchio dell’evoluzione dei paradigmi scientifici di riferimento che si sono succeduti nel corso degli anni. Da un approccio olistico-descrittivo dei primi anni del novecento, volto a considerare il territorio come elemento unitario (vedi Biasutti), si è pian piano passati (anni settanta) ad un approccio per settori, dove cioè il territorio viene scomposto in parti suscettibili di essere analizzate indipendentemente (vedi Riforma Agraria, ESA). Da questo punto di vista la rappresentazione cartografica si è mano a mano impoverita, registrando uno spostamento del linguaggio descrittivo verso tabelle alfanumeriche. Solo in alcuni ambiti, per esempio l’università, l’analisi olistica è riuscita a sopravvivere restituendo esempi di rappresentazione cartografica piuttosto elaborati. Se infatti ne La fionda sicula (Doglio, Urbani 1972) la componente figurativa ha un notevole peso, accanto a questa è possibile leggere l’affermarsi di procedimenti analiticamente, e scientificamente, più precisi (grazie all’utilizzo di mappe a densità e griglie per fare alcuni esempi). È con gli anni ottanta, con l’affermarsi dell’approccio sistemico, che la rappresentazione si fa strutturale e normativa (PRS). In questa prospettiva la mappa diventa un importante output di schemi logici complessi, altrimenti rappresentabili con diagrammi di flusso. La tensione fra il tentativo di scomporre il territorio in ambiti omogenei e la necessità di considerare la fluidità dei processi economici e sociali è una costante di queste forme di rappresentazione. Dalla metà degli anni novanta ritorna in auge l’approccio olistico stavolta ponderato da una maggiore attenzione al paesaggio culturale. L’utilizzo di nuove tecnologie (GIS) permette la costruzione di atlanti delle principali forme territoriali. La promessa di queste tecniche di rappresentazione è quella di costruire immagini dense del territorio, cioè carte tecniche cariche di quella parte del sapere «non esperto» diffuso nel contesto locale. Con le carte che sono state prodotte in questo studio per l’analisi dell’entroterra siciliano si è cercato di associare alla profondità comunicativa delle rappresentazioni dense la rigorosità propria degli strumenti di analisi statistica. La tensione che si genera fra questi due poli informa costantemente questa ricerca di cui le seguenti mappe sono un importante risultato.


Dietro la metropoli. Appunti per un nuovo entroterra siciliano | 127

Indice delle carte C.1. Distribuzione dei principali tipi di insediamento rurale in Italia. C.2. Assetto del territorio siciliano al tempo della Riforma Agraria. C.3. «La forma e l’essere». C.4. «I Talenti \ le due zone». C.5. «Quadro delle velocità: corleonese» e «Tavole di progetto: la forma tensionale \ Corleone». C.6. «L’Isola a ‘lago interno’ e l’Isola ‘assoluta’». C.7. Individuazione dei comprensori di sviluppo agrario. C.8. «UTRAS nel Sistema Metropolitano della Sicilia Ionica». C.9. «Componenti strutturali del Sistema Metropolitano centro Meridionale». C.10. Strategia del trasporto metropolitano nel «Sistema Metropolitano dello Stretto». C.11. «Interpretazioni del territorio e scenari di tutela e valorizzazione» nel Piano Territoriale Paesistico dell’ambito “rilievi del trapanese”. *** C.12. Sistema abiotico e Comuni suddivisi per fasce di altitudine. C.13. Sistema biotico ed individuazione dei parchi, riserve, ZPS e SIC. C.14. Uso del suolo. C.15. Tasso di urbanizzazione su scala comunale. C.16. Densità di popolazione effettiva (riferita alla pura superficie urbanizzata) e densità di popolazione su base comunale. C.17. Evoluzione della densità di popolazione. C.18. Sistema regionale della mobilità su gomma e su ferro. C.19. Sistema culturale e patrimonio storico regionale. C.20. Distribuzione della superficie commerciale della MG distribuzione. C.21. Distribuzione della popolazione complessiva per classi di ampiezza su base comunale. C.22. Tasso di vecchiaia della popolazione insediata. C.23. Pannello movimenti migratori. C.24. Sistema biotico e principali reti di distribuzione fonti energetiche. C.25. Sistema abiotico e reddito medio per famiglia insediata. C.26. Territorio urbanizzato e tasso di addetti al settore secondario per unità locale e popolazione insediata. C.27. Sintesi ed individuazione dei territori veloci, lenti e lunghi.



Carta C.1a. Distribuzione dei principali tipi di insediamento rurale in Italia (fonte: Biasutti 1931).


Carta C.1b. Distribuzione dei principali tipi di insediamento rurale in Italia: legenda (fonte: Biasutti 1931).


Carta C.1c. Distribuzione dei principali tipi di insediamento rurale in Italia: Sicilia (fonte: Biasutti 1931).


Carta C.2. Assetto del territorio siciliano al tempo della Riforma Agraria (fonte: Regione Siciliana 1951).


&DUWD & ©/D IRUPD H O¶HVVHUHª *OL HOHPHQWL LQGLYLGXDWL VRQR O¶DUFR RURJUD¿FR FKH GLYLGH l’area metropolitana dal suo entroterra; le linee di forza fra i due (fonte: Doglio, Urbani 1972).


Carta C.4. ÂŤI Talenti \ le due zoneÂť (fonte: Doglio, Urbani 1972).


Carta C.5a e C.5b. «Quadro delle velocità: corleonese» e «Tavole di progetto: la forma tensionale / Corleone» (fonte: Doglio, Urbani 1972).vbvg


Carta C.6. «L’Isola a ‘lago interno’ e l’Isola ‘assoluta’» (fonte: Doglio, Urbani 1972).


Carta C.7. Individuazione dei comprensori di sviluppo agrario (fonte: ESA 1974).


Carta C.8. ÂŤUTRAS nel Sistema Metropolitano della Sicilia IonicaÂť (fonte: Regione Siciliana 1992).


Carta C.9. ÂŤComponenti strutturali del Sistema Metropolitano centro MeridionaleÂť (fonte: Regione Siciliana 1992).


Carta C.10. Strategia del trasporto metropolitano nel ÂŤSistema Metropolitano dello StrettoÂť (fonte: Regione Siciliana 1992).


Carta C.11. «Interpretazioni del territorio e scenari di tutela e valorizzazione» nel Piano TerULWRULDOH 3DHVLVWLFR GHOO¶DPELWR ³ULOLHYL GHO WUDSDQHVH´ IRQWH =LSDUR VWD LQ 0DJQDJKL


0

25

50 Km

spartiacque

capoluoghi di provincia

1001 -1275

501 - 1000

201 - 500

1 - 200

comuni per altitudine (m s.l.m.)

Carta C.12. Sistema abiotico e comuni suddivisi per fasce di altitudine (fonte: nostra elaborazione su dati PTPR 1996).


&DUWD & 6LVWHPD ELRWLFR HG LQGLYLGXD]LRQH GHL SDUFKL ULVHUYH =36 H 6,& QRVWUD elaborazione su dati PTPR 1996).

0

25

50 Km

spartiacque

alta

media

bassa

densitĂ biotopi (cella 1x1_10 Km)

bacini fluviali

riserve, zps, sic

aree boscate

aree naturalistiche (ex L. 128/04)

zona D

zona C

zona B

zona A

parchi regionali


Carta C.14. Uso del suolo (nostra elaborazione su dati PTPR 1996).

0

25

50 Km

spartiacque

zone umide e bacini fluviali

deserti lavici con vegetaz. ridotta

arbusti spinosi dell'Etna

saline

macchia mediterranea

pascoli

aree boscate

coltivazioni in serra

vigneto

agrumeto

seminativo (semplice o arborato)

urbanizzato

categorie


Carta C.15. Tasso di urbanizzazione su scala comunale (nostra elaborazione su dati PTPR 1996).

0

25

50 Km

spartiacque

capoluoghi di provincia

> 0,301

0,151 - 0,300

0,051 - 0,150

0,026 - 0,050

< 0,025

sup. urbanizzata/sup. tot. (1994)


&DUWD & 'HQVLWj GL SRSROD]LRQH HIIHWWLYD ULIHULWD DOOD SXUD VXSHU¿FLH XUEDQL]]DWD H densità di popolazione su base comunale (nostra elaborazione su dati ISTAT).

0

25

50 Km

[1]

00

25 25

50 Km

[2]

spartiacque

capoluoghi di provincia

> 10.001 (2.501)

5.001 - 10.000 (1.001 - 2.500)

2.501 - 5.000 (501 - 1.000)

< 2.500 (500)

[2] dens. pop. com. (2005 - ab/Kmq)

[1] dens. pop. eff. (2005 - ab/Kmq)


Carta C.17. Evoluzione della densitĂ di popolazione (nostra elaborazione su dati ISTAT).

25

25

0

0

50 Km

50 Km

0

0

25

25

50 Km

50 Km

1951

2001

1861

1971

spartiacque

isoipse (d 250 m)

capoluoghi di provincia

> 1000

501 - 1000

151 - 500

67 - 150

<67

densitĂ di popolazione (ab/m K q)


Carta C.18. Sistema regionale della mobilitĂ su gomma e su ferro (nostra elaborazione su dati PTPR 1996 e ACI 2001).

0

25

50 Km

spartiacque

capoluoghi di provincia

> 0,61

0,51 - 0,60

0,41 - 0,50

0,31 - 0.40

automobili procapite (2001)

strade secondarie

strade principali

autostrade

viabilitĂ su gomma

non elettrificate

binario singolo

doppio binario

viabilitĂ su ferro


Carta C.19. Sistema culturale e patrimonio storico regionale (nostra elaborazione su dati PTPR 1996).

0

25

50 Km

spartiacque

>8

>4

feste popolari

alta

media

bassa

densitĂ beni sparsi (cella 1x1 Km)

aree archeologiche

sede didattica

sede di consorzio universitario

sede di ateneo

universitĂ


0

25

50 Km

spartiacque

>50,01

capoluoghi di provincia

15,01 - 50,00

5,01 - 15,00

0,01 - 5,00

. (19 89 - mq/ab) 0,00

% sup. G M distr

&DUWD & 'LVWULEX]LRQH GHOOD VXSHU多FLH FRPPHUFLDOH GHOOD 0HGLD H *UDQGH 'LVWULEX zione (nostra elaborazione su dati ISTAT).


Carta C.21. Distribuzione della popolazione complessiva per classi di ampiezza su base comunale (nostra elaborazione su dati ISTAT).

0

25

50 Km

spartiacque

capoluoghi di provincia

>06.001

15.001 - 06.000

5.001 - 15.000

1.001 - 5.000

<1.000

com. per fascia di pop. (2005 - ab)


&DUWD & 7DVVR GL YHFFKLDLD GHOOD SRSROD]LRQH LQVHGLDWD QRVWUD HODERUD]LRQH VX GDWL ISTAT).

0

25

50 Km

spartiacque

capoluoghi di provincia

>0,251

0,201 / 0,250

0,151 - 0,200

<0,150

% vecch. (2001 - 56>/pop. tot.)


Carta C.23. Pannello movimenti migratori (nostra elaborazione su dati ISTAT).

25

25

0

0

50 Km

50 Km

0

0

25

25

50 Km

50 Km

2003

2005

2002

2004

spartiacque

capoluoghi di provincia

>1.001

0 - 1.000

0 - -1.000

<- 1001

iscritti - cancellati (200X- ab)


&DUWD & 6LVWHPD ELRWLFR H SULQFLSDOL UHWL GL GLVWULEX]LRQH IRQWL HQHUJHWLFKH QRVWUD elaborazione su dati PTPR 1996).

0

25

50 Km

terza specie o in progetto

seconda specie

prima specie

rete distribuzione gas metano

bassa tensione (150 - 70 Kv)

media tens. (220 KV)

alta tensione (380 Kv)

rete distribuzione energia elettrica

bacini fluviali

riserve, zps, sic

aree boscate

aree naturalistiche (ex L. 128/04)


Carta C.25. Sistema abiotico e reddito medio per famiglia insediata (nostra elaborazione su dati MIMEX).

0

25

50 Km

spartiacque

LVRLSVH G P

capoluoghi di provincia

> 35.000

30-001 - 35.000

25.001 - 30.000

20.001 - 25.000

< 20.000

redd. per fam. ins. (2000 - Ę‘ IDP


Carta C.26. Territorio urbanizzato e tasso di addetti al settore secondario per unitĂ locale e popolazione insediata (nostra elaborazione su dati PTPR 1996 e ISTAT 2001).

0

25

50 Km

[1]

0

25

50 Km

[2]

agglomerati ASI

territorio urbanizzato (1994)

> 3,26 (> 0,176)

2,76 - 3,25 (0,126 - 0,175)

2,26 - 2,75 (< 0,125)

< 2,25 (-)

[2] addetti per unitĂ di pop. insediata

[1] addetti per unitĂ loc. (2001)


&DUWD & 6LQWHVL HG LQGLYLGXD]LRQH GHL WHUULWRUL YHORFL OHQWL H OXQJKL QRVWUD HODERrazione).

0

sciacca ed il belice

i territori del Marsala

50 Km

calatino-basso ennese

trapani-marsala-mazara del vallo

25

l'area metropolitana di palermo

capoluoghi di provincia

territorio urbanizzato

"giunto"

lunghi

lenti

veloci

iblei NE-noto-pachino

l'area metropolitana di catania-siracusa

bronte-randazzo-linguaglossa

l'area metropolitana di messina

agrigento-caltanissetta-enna patti-capo d’orlando-nebrodi

ragusa-modica

iblei SO-vittoria-comiso

gela

cefalĂš-santo stefano d.c./mdonie




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