a new observatory on contemporary architecture issue 2 winter 2011 02 cityvision
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design by Antonio Citterio with Toan Nguyen
a new vision:
kelvin LED
Milano, Corso Monforte 9 • Roma, Via del Babuino 85
www.flos.com
CityVision è un veicolo nato per far dialogare l’attuale città contemporanea con la sua immagine futura attraverso l’organizzazione di concorsi visionari d’ architettura sulle principali metropoli mondiali: un modo per stimolare le amministrazioni locali e dialogare con le nuove generazioni di architetti. Le opere contemporanee maggiormente innovative saranno proposte sia a livello divulgativo per l’opinione pubblica, sia a livello tecnico per gli addetti ai lavori. Forum, iniziative editoriali, mostre multimediali e concorsi di idee, saranno gli strumenti per individuare, discutere e comunicare la progettazione d’avanguardia del XXI secolo, alla quale potersi ispirare nel realizzare opere di qualità, per estetica e tecnologia, linguaggio architettonico, teoria e funzioni. CityVision is a forum for investigating the contemporary city through the lense of its future image. By means of competitions, installations, and exhibitions of visionary architectural creation, CITYVISION strives to be a catalyst for local governments to facilitate the development of young architects and designers entering the workforce.Exceptionally innovative contemporary works of art will be proposed either at the popular level for public opinion or at a technical level aimed at those responsible for the work. Forums, editorial initiatives, multimedia models, ideas competitions and workshops will be the instruments used to single out, discuss and communicate the projection of the avantgarde of the twenty f irst century. This will inspire the realization of quality works for aesthetics and technology, architectonic language, theory and function.
cover artwork
editorial staff
editor-in-chief francesco lipari francesco@cityvision-mag.com managing editor emilio fabri emilio@cityvision-mag.com editorial staff vanessa todaro vanessa@cityvision-mag.com maria azzurra rossi azzurra@cityvision-mag.com adriano dominici adriano@cityvision-mag.com creative director francesco lipari
La copertina di questo numero è stata realizzata, in esclusiva per City Vision, dall’ artista inglese Stanley Donwood. The cover of this issue was created, exclusively for City Vision by the English artist Stanley Donwood.
graphic design maria azzurra rossi marketing adriano dominici english translations catherine iftode editing adam robinson
contributors emanule capponi, davide del giudice, francesco gatti, federico giacomarra, catherine iftode, mathery, daniele “E’ iniziata come un disegno, è molinari, luca molinari, francesca diventata un’immagine digitale, romana moretti, matteo riva, marco poi una fotoincisione su acquaforte, ruperto, rocco salomone poi una fotografia ed infine ancora un’immagine digitale”. contact and distribution City Vision mag via Andrea Doria 67 - 00192 “It started as a drawing, then Rome, Italy tel. 06 39031053 became a digital image, then a www.cityvision-mag.com photogravure etching, then a photograph and then a digital publisher image.” Associazione Culturale Amuri via Appia Nuova 503 - 00181 Roma Title: Foreclosure
printed by C.S.R. Srl - Tipografia - Roma registrata al Tribunale Civile di Roma n° 211/2010 del 13/05/2010 6
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a new observatory on contemporary architecture
distribution
Librerie ///Libreria Kappa Via degli Apuli, 47 Roma///Discoteca Laziale Via Mamiani, 62 Roma /// RomaLa Feltrinelli Libri e Musica largo Torre Argentina, 11 Roma /// La Feltrinelli Libri e Musica via Appia Nuova, 427 Roma La Feltrinelli Libri e Musica viale Libia, 186 Roma /// La Feltrinelli Libri e Musica Piazza Colonna, 31/35 Roma /// La Feltrinelli Libri e Musica viale Gugliemo Marconi, 190 Roma /// La Feltrinelli Librerie via del Babuino, 39/40 Roma /// La Feltrinelli Librerie via V.E.Orlando, 78/81 Roma Libreria Croce Corso Vittorio Emanuele II, 158 Roma /// Libreria Mondadori via Appia Nuova, 51 Roma /// Libreria Mondadori piazza Cola di Rienzo, 81/83 Roma /// Mondadori Multicenter via di San Vincenzo, 10 Roma /// Mondadori Multicenter via del Corso, 472 Roma Musei /// Maxxi Museo nazionale delle arti del XXI secolo, V. Guido Reni, 6 Roma ///MLAC Museo Laboratorio – piazza Aldo Moro 5 /// Palazzo delle Esposizioni– via Nazionale 194///Museo dell’Ara Pacis Lungotevere in Augusta Roma /// Macro via Reggio Emilia, 54 Roma /// Museo Carlo Bilotti Aranciera di Villa Borghese viale Fiorello La Guardia Roma /// Musei Capitolini piazza del Campidoglio, 1 Roma /// Centrale Montemartini via Ostiense, 106 Roma Museo della Civiltà Romana piazza G.Agnelli, 10 Roma /// Museo di Roma piazza San Pantaleo, 10 Roma /// Museo di Roma in Trastevere piazza Sant’Egidio, 1/b Roma /// Musei di Villa Torlonia via Nomentana, 70 Roma /// Galleria Doria Pamphilj Via del Corso, 305 Roma // Chiostro del Bramante Via della Pace Roma /// Complesso monumentale S.Spirito in Sassia Lungotevere in Sassia, 3 Roma /// Museo del Corso Via del Corso, 320 Roma /// Galleria Borghese piazza Scipione Borghese, 5 Roma /// Galleria Comunale d’arteModerna e Contemporanea via Francesco Crispi, 24 Roma /// Galleria Nazionale di Arte Moderna e Contemporanea GNAM via delle Belle Arti, 131 Roma /// Museo Nazionale di Palazzo Venezia via del Plebiscito, 118 Roma /// Accademia di San Luca piazza dell’Accademia di San Luca, 77 Roma Gallerie d’arte e Fondazioni /// Oredaria Arti Contemporanea Via Reggio Emilia, 22 Roma /// Mondo Bizzarro Via Reggio Emilia, 32 /// Fondazione Volume – via San Francesco di Sales, 695 Roma /// Fondazione Olivetti – via Zanardelli 34///A.A.M. Architettura Arte Moderna via dei Banchi Vecchi, 61 Roma /// Tartaglia Arte via XX Settembre, 98 c/d Roma ///Neo Art Gallery Via Urbana, 122 Roma /// Galleria Marino Piazza di Spagna, 9 Roma /// Studio DR - Spazio Visivo via Brunetti, 43 Roma /// Studio S - Arte Contemporanea Via della Penna, 59 Roma Università, Accademie, Istituti di cultura /// Facoltà di Architettura “Ludovico Quaroni” Roma La Sapienza/// Facoltà di Architettura Villa Giulia via Antonio Gramsci Roma /// Facoltà di Architettura Roma Tre /// Istituto Isia Roma Design /// Istituto Quasar /// IED - Istituto Europeo di DesignIstituto Storico Austriaco presso il Forum Austriaco di Cultura in Roma viale Bruno Buozzi, 111/113 Roma /// Accademia belgica via Omero,8 Roma /// Centre Académique Canadien en Italie via Zara, 30 Roma /// Ceský Historický Ústav v Ríme - Istituto Storico Ceco di Roma via Concordia, 1 Roma Stores ///40 Gradi via Virgilio 1d ///American Apparel via dei Serpenti 155/// Contesta Rock Hair via del Pigneto 75/// Motel Salieri Via Giovanni Lanza 162///Paraphernalia Via Leonina 6/// Super Via Leonina 42/// Paris Via di Priscilla 97/99/// TAD Via del Babbuino 155/// Pifebo Via dei Serpenti 141/// Cinzia Usato via del Governo Vecchio 45 /// and more…
index 006.....Editorial. greetings from the baroque. francesco lipari 008.....Waving. vanessa todaro 010.....Nullus Locus Sine Genio. adriano dominici 012.....//////// ##### [[[[[]]]]] >>>>>>>>. francesco gatti 014.....RGB Wallpaper - Carnovsky. maria azzurra rossi 016.....Ecologic Studio. federico giacomarra 018.....CHROMAtex.me - SoftLab. maria azzurra rossi 022 - 027.....InterIOR TV. francesca romana moretti 028 - 034.....Archicouture. maria azzurra rossi 036 - 043.....Nabito. francesco lipari 046 - 052.....MY NAME IS PIO. francesco lipari 054 - 059.....marco vanucci. davide del giudice 060 - 069.....Crazily Calculated - Bjarke Ingels. francesco lipari 070..... Venice City Vision Competition. Come può cambiare la natura della città di Venezia nei prossimi decenni? luca molinari 075.....ao’ #2. emanuele capponi 080 - 087.....Transsolar. daniele molinari rocco salomone 090 - 097.....The symbiotic disarmony. marco ruperto 100 - 107.....re-interpreting the baroque. catherine iftode 108 - 115..... Spsk+. vanessa todaro 116 - 121..... stanley donwood. emilio fabbri 124.....mathery - ward up. 126.....Agenda. vanessa todaro 128.....kokkugia. 129.....rome map. crockhaus
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greetings from the baroque editorial by Francesco Lipari
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In questo numero si parla di passato e futuro, conservazione e innovazione. L’ innovazione è un arte. E’ l’arte di saper regalare al mondo una visione nuova. Unica. E’ per questo che ho sempre visto in Francesco Borromini uno dei principali innovatori del suo tempo e colui che, insieme a tutto il movimento barocco, ha posto le basi per quella che oggi noi chiamiamo architettura parametrica ovvero la possibilità di trasformare entità geometriche variabili in qualcosa di seriale e ottenere da un insieme di informazioni qualcosa di geometricamente nuovo. Trasformare l’ architettura in innovazione spaziale e rapportasi criticamente con la tradizione fu la chiave del successo di Borromini e a questo concetto cityvision si ispira. Borromini rifiutò l’interpretazione della tradizione artistica accettandone solo le forme come spunti, elaborandole liberamente al di fuori di ogni teoria delle proporzioni. E’ lui l’architetto più cool fra tutti ed è ha lui che concediamo di volare...
This issue deals with the past and the future, conservation and innovation. Innovation is an art. It is an art to know how to grant a new, unique vision to the world. It is because of this talent that I always regarded Francesco Borromini as one of the key innovators of his time and the one that laid the foundations for what we call parametric architecture today, or rather, the possibility to transform variable geometric entities into a calculated series to obtain something that is geometrically new. Transforming architecture into spacial innovation while still maintaining a relationship with established traditions was the key to Borromini’s success and the concept that inspired cityvision. Borromini reinterpreted artistic tradition, accepting only forms as key components and elaborating upon them liberally while disregarding any theory of proportions. He was the coolest architect of all and the one that gave us our wings.
Si sarebbe potuto sintonizzare, sintonizzare, ma stonò Un brutto momento niente poteva salvarlo Solo in un corridoio, aspettando, chiuso fuori Si alzò e se ne andò da là, corse per centinaia di miglia Arrivò all’oceano, si fumò una sigaretta su un albero Si alzò il vento, lo mise in ginocchio Un’onda arrivò schiantandosi come un pugno sulla mascella Gli donò le ali: “Hey, guardatemi adesso” Braccia aperte con il mare ai suoi piedi Oh, potere oh Sta volando, completamente, alto, immenso Fluttuò giù perchè voleva condividere La sua chiave per i lucchetti delle catene che vedeva ovunque Ma prima venne spogliato e poi pugnalato Da uomini senza volto, come dire, bastardi È ancora in piedi E ancora dà il suo amore, ancora lo regala L’amore che riceve è l’amore che viene salvato E qualche volta si vede uno strano punto nel cielo, Un essere umano a cui è concesso di volare Alto, volando, Oh, oh Alto, volando, sta volando Oh, oh sta volando Oh, oh (Eddie Vedder/Pearl Jam - Yield).
He could’ve tuned in, tuned in But he tuned out A bad time, nothing could save him Alone in a corridor, waiting, locked out He got up outta there, ran for hundreds of miles He made it to the ocean, had a smoke in a tree The wind rose up, set him down on his knee A wave came crashing like a fist to the jaw Delivered him wings, “Hey, look at me now” Arms wide open with the sea as his floor Oh, power, oh He’s.. flying Whole High.. wide, oh He floated back down ‘cause he wanted to share His key to the locks on the chains he saw everywhere But first he was stripped and then he was stabbed By faceless men, well, fuckers He still stands And he still gives his love, he just gives it away The love he receives is the love that is saved And sometimes is seen a strange spot in the sky A human being that was given to fly High.. flying Oh, oh High.. flying Oh, oh He’s flying Oh, oh (Eddie Vedder/Pearl Jam - Yield).
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curated by Vanessa Todaro ARCHITECTURE
READY.STADY.GO Sandra Janser & Elisabeth Koller
EXHIBIT
Ready.Stady.Go E’ un’installazione degli architetti austriaci Sandra Janssen e Elisabeth Koller che si propone di fornire una cornice visiva all’interno del distretto Jakomini di Graz, Austria. L’intenzione del progetto è quella di definire le vie di Jakoministraße e Klosterwiesgasse,contrassegnandole come area di progettazione significativa all’interno della città. Ready.Stady.Go rinnova queste strade, con un look giovane sottoforma di pista da corsa. In totale misura 750 metri o 4600 metri quadrati. Ready.Stady.Go is an installation by Austrian architects Sandra Janssen, Elisabeth Koller, which aims to provide a visual frame within the district Jakomin in Graz, Austria. The intention of the project is to define Jakoministraße st. and Klosterwiesgasse st., marking them as areas of major projects within the city. Ready.Stady.Go renews these streets, with a playful form of track paths that run 750 meters long and spread out over 4,600 square meters.
DESIGN
LONDON 2012 OLYMPIC AND PARALYMPIC GAMES
DRESSED UP FURNITURE SERIES KamKam
Il Parco Olimpico è l’elemento che definisce i Giochi del 2012 a Londra. Dopo, sarà trasformato nel più grande parco urbano creato in Europa per più di 150 anni.
KamKam è uno studio coreano che ha disegnato ‘i mobili vestito’. Sono dei mobili con sopra un vestito di feltro dove maniglie e cerniere sono sostituite da bottoni colorati.
The Olympic Park is the defining element of the London 2012 Games.. After, it will be transformed into the largest urban park created in Europe for more than 150 years.
Kam Kam is a Korean office that has designed “furniture clothing.” These are items of furniture dressed in suits where the felt handles and hinges are replaced by colored buttons.
SOFTWARE
IDROP INFORMATION H.Jaeyoung, J. Hoyoung & J. Han-Bi
TREND
Una penna contagocce stilo, un sistema per la connettività su dispositivi mobili.L’intuitiva interfaccia contagocce permette di collegare e spostare i dati tra i dispositivi in un batter d’occhio con il sistema “suck in” e “drop out”. A stylus pen dropper, a system for connectivity on mobile devices. The intuitive eyedropper interface allows you to connect and move data between devices in the blink of an eye with the “suck in“ and “drop out” systems.
“Orishiki” è una parola ibrida composta da “Ori”, da origami arte giapponese della carta pieghevole, e “Shiki” da Furoshiki panno tradizionale giapponese per avvolgere merci e doni, da qui nasce la borsa del momento.
ORISHIKI HANDBAG Naoki Kawamoto
“Orishiki”is a hybrid word composed of “Ori”, from the Japanese art of origami paper folding, and “Shiki” from the traditional Japanese Furoshiki cloth that is big enough to wrap gifts and goods, an handbag that is the latest trend of the moment.
CINEMA
TRAVEL
CULTURE
MUSIC
SANCTUM James Cameron
ARCHITECTURE EXCHANGE NEW YORK
AUDIOSCAN MILANO Giorgio Sancristoforo
OAR001-B Oni Ayhun
E’ atteso per i primi mesi del 2011 il primo film drammatico in 3D.
L’associazione GAC,con la Fondazione OAT, e il viaggio studio a New York.
Progetto di sensibilizzazione su un prodotto di scarto della società, il rumore.
Questo è il debutto di Oni Ayhun. OAR001-B è un musical surreale.
Association Gac with foundation OAT, and the architecture exchange in New York
Project to raise awareness about a waste product of society, the noise.
It’s expected in early 2011, the first dramatic film in 3D.
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This is Oni Ayhun’s debut. OAR001-B is a surreal musical.
TOYS SERIES Yum Yum
PING PONG DOOR Franzel Tobias
Character design, animazione e la narrazione.
La porta si trasforma in un tavolo da ping pong!
Character design, animation and narration.
The door turns into a ping pong table!
TEA SHIRTS PACKAGING Mo Kang
LETTO COOL-LETTO Nusa Jelenec
Un concetto di packaging molto originale per delle bustine da tè.
Come sarebbe dormire avvolti da una barriera visiva e sonora?
A very original packaging concept for tea bags.
How to sleep wrapped in a visual and sound barrier?
DUREX READYJET Leo Chang & Eric Fung
ONE ALBUM BAND AID Wang Chih-Wei & Fu Shou-Hsi
Un condom con le istruzioni d’uso come quelle di sicurezza aeree.
Con Skinny un intero album sta dentro un “cerotto”.
A condom with useful instructions such as aviation security.
With Skinny, an entire album inside a plaster.
M2 JEWELRY by MARGARITA MILEVA New York, Milev Architects hanno progettato questa serie di gioielli e abiti fatti di elastici. M2 Jewelry è parte del riciclaggio del materiale della ditta Architectural Office fatto di cancelleria per ufficio, che i progettisti pensano diventerebbe superflua a causa dell’uso del computer. Forme, volumi e colori mi affascinano, e molto spesso sono alla ricerca di un’espressione simile nei miei progetti d’architettura. Il design dei gioielli richiama nuove sfide, materiali e forme. New York, Milev Architects has designed this set of jewelry and clothing made of rubber bands. M2 Jewelry is part of the recycling of material from Architectural Office, made from stationery, which the architects think would become unnecessary because of computer use. Shapes, sizes and colors fascinate me, and very often I’m looking for something similar in my architectural projects. The jewelry design attracts new challenges, materials and shapes.
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1. Sonumbra - Loop.Ph Š loop.pH Ltd
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around architecture
NULLUS LOCUS SINE GENIO text by Adriano Dominici
Scrivere qualcosa che apra una riflessione sul dialogo artistico tra musica e architettura è un compito di cui avrei fatto volentieri a meno. Parlare di arte, e peggio ancora di impollinamenti artistici è un po’ come masturbarsi: quando hai finito ti senti sempre un testicolo. Visto che però non vorrei sprecare questa intuizione, ovviamente quella riferita alla masturbazione dell’arte (o se volete all’arte della masturbazione), vorrei fare delle considerazioni. Ciò che mi ha sempre affascinato di un luogo, ambiente o città, è la sua capacità di esprimersi con un’identità univoca, attraverso un suo carattere. Questo animo, chiamato genius loci, è nato per identificare la divinità protettrice di un luogo, ma ad oggi collima con il significato culturale attribuito ad una città. Il genius loci è oggi usato anche in architettura per determinare un approccio fenomenologico allo studio dell’ambiente e rappresenta un valido strumento per non tralasciare la componente socio culturale dall’analisi. Il carattere prioritario della metropoli postmoderna, come evidenziato da molti architetti, paesaggisti e sociologi, è costituito dalla complessità, dalla polisemia, dal sincretismo, dalla tradizione eclettica di culture differenti che hanno reso il tessuto urbano una sorta di variegato patchwork di difficile identificazione. Si deduce da ciò che a differenza dei centri medievali italiani, dove Schultz identificava un forte genius loci, le molteplici identità che convivono nella città postmoderna, fanno si che ci siano tanti geni loci quante sono le anime che convivono in essa. Questo processo di moltiplicazione delle identità è facilmente ravvisabile attraverso la musica. Non servono libri di storia per poter vedere come ogni città sia sempre stato laboratorio di sperimentazione sonora e architettonica al contempo, dando vita a generi e stili diversi che negli anni si sono diffusi commistionandosi e generando ulteriori identità. Non è difficile trovare degli esempi da citare, più che altro risulta impossibile trovare generi senza contaminazione, ma risulta imbarazzante doverne scegliere uno. Vada per Madchester.
Writing something that might inspire a reflection on the artistic dialogue between music and architecture is a task that I would have willingly renounced. Speaking of art, and even worse, of artistic mash up is a bit like masturbation: when you’re done you always feel like a testicle. But I could not waste this intuition of referring to masturbation as art (or if you want the art of masturbation) therefore I would like to make a few comments. What has always fascinated me about a particular place, environment or city is its ability to express itself with a unique voice, conveying its own character and identity. This spirit, called genius loci, was originally representative of the patron deity of a place, but today identifies more with the cultural meaning attributed to a city. The term genius loci is also used in architecture today to establish a phenomenological approach to the study of the environment and serves as a valuable tool for bringing attention to the sociocultural component of analysis. The priority of the postmodern metropolis, as evidenced by many architects, landscape architects and sociologists, is the complexity, the polysemy, the syncretism, the eclectic tradition of different cultures that have created a specific urban patchwork in each city. From this pattern one can conclude that unlike Italian medieval towns, where Schultz identified a strong and unique genius loci, the multiple identities that coexist in the postmodern city allow for the existence of multiple genius loci inspired by the different souls who live in it. This process of multiplication of identity is easily perceived through music. You do not need history books to see how every city has always been a musical and architectural laboratory simultaneously, giving rise to different genres and styles that have evolved and expanded over time, adding to the character of a particular place. It is not difficult to find examples to quote, it is almost impossible to find uncontaminated genres, but it is embarrassing to have to choose one. Madchester may fit. 02 cityvision 13
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////// ##### [[[[[]]]] >>>>>>> text by Francesco Gatti
Eccoci quà con un articolo da duemila battute da scrivere su videogames e architettura...mmm...oggi in realtà avrei voglia di contatti fisici, magari caldi e bagnati, non so se con questo umore potrei affrontare bene il tema dei videogames. Questi infami ci tengono incollati al video separando i nostri magnifici corpi, esaltando i nostri penosi cervelli. Potrei provare a riempire le battute con simpatici caratteri //////// ##### [[[[[]]]]] >>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>> ma forse è meglio arruolarsi alla missione speculativa che tanto ci sollazza, se non altro grazie a questo articolo forse potrò trovare il corpo tanto desiderato. Così al primo sguardo, tra videogames e architettura inizierei a dare più peso ai videogames, l’architettura è ormai un dinosauro in via di estinzione, gli spazi reali dove i corpi potrebbero incontrarsi sono ormai in disuso, lasciamoli ai costruttori e ai loro geometri. Gli spazi virtuali (purtroppo per mio nonno o per fortuna per mio figlio) stanno prendendo il sopravvento, consiglio pertanto a tutti gli aspiranti architetti di cambiare facoltà ed iscriversi ad una scuola per programmatori informatici o aspiranti hackers. Analizzando i videogiochi, essendo ancora “giovani”, mi accorgo del loro limite principale: quello di prendere come punto di partenza gli spazi reali con le regole della vita reale. Questo lo si può vedere molto bene nella continua ossessione per riprodurre il più realisticamente possibile gli spazi tridimensionali come siamo abituati a vederli nel pianeta terra. Uno dei primi esempi di spazio virtuale è quello dell’ interfaccia a scrivania della Apple o successivamente di Windows, si cercava semplicemente di copiare il mondo reale. Oggi queste interfacce si stanno lentamente evolvendo, lo vediamo per esempio nell’iPad, dove si iniziano ad inventare nuove regole funzionali per il nostro cervello, ma quasi impossibili da trovare nel mondo reale. Chi ha provato l’ LSD capisce che le possibilità di interazione con regole e sistemi diversi dal reale sono infinite, l’immaginazione e l’inconscio sono una miniera che potrà essere sviluppata pienamente negli spazi virtuali dei videogames e di tutto il mondo digitale in genere. Insomma Matrix influenzerà l’ architettura o sarà l’architettura? La seconda che hai detto. 14
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1.Kubik - Lighting Barcelona gresso
Here I am, supposed to write 2000 characters about videogames and architecture…mmm…today in fact I feel like I want physical contact instead, maybe hot and wet. I don’t know if I could deal with the theme of videogames in my current state. We are kept glued to our screens by separating our wonderful bodies from each other and enticing our pathetic brains. I can try to fulfill the character requirement with nice symbols //////// ##### [[[[[]]]]] >>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>> but maybe it’s better to attempt the speculative mission that solaces us, maybe I can find the body I long for by means of this article. At first glance, between videogames and architecture, I would give more weight to videogames; architecture is already a dinosaur in danger of extinction. The actual areas where bodies may come into contact are no longer in use; leave them to the builders and designers. However, virtual spaces (fortunately for my grandpa and unfortunately for my son) are on the rise. I therefore recommend to all aspiring architects to change profession and enroll in a school for computer programmers or hackers. While analyzing videogames, they are still “young”, I noticed their main limitation: they are still bound by space as defined in reality and the rules of real life. This can be seen in people’s continued obsession with playing games that take place in the most reasonable of 3D spaces, conveyed as we are used to seeing them on the planet earth. An early example of virtual space is the interface from Apple’s first desktop or later that of Windows: they simply tried to copy the real world. Today, these interfaces are slowly evolving. You can notice this change on the iPad, where you start to invent new rules for the functional brain. It is almost impossible to find that in that real world. Whoever has tried LSD understands that the possibility of interaction with rules and systems are infinite. Imagination and the unconscious is a mine that can be fully explored in virtual space and in the general digital world. Briefly, will the Matrix affect architecture or will it be architecture? The second you said. www.3gatti.com 02 cityvision 15
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RGB wallpaper Carnovsky by Maria Azzurra Rossi
Guardi il mondo che ti circonda e la sua immagine, spesso, non desta sentimenti positivi: sono molte le volte in cui pensi che qualcosa possa essere cambiato. E così parte la fantasia, e va a finire in mondi inesplorati, personalizzati, sulle nuvole, dispersi nell’universo, incagliati nel fondo degli oceani. La forza della natura è potente, la natura stessa e le sue forme lo sono. L’espressione artistica è il mezzo più immediato per diffondere questa sensibilità sommersa, Carnovsky è riuscito a giocare con gli animali, fondendoli in un pattern unico multicolor, apparentemente confusionario, sfruttando l’effetto shock del fuori scala: serpenti giganteschi a dispetto di una piccola volpe. Il disorientamento è dato dalla sovrapposizione a primo impatto casuale di colori primari, ma è qui che entrano in gioco le luci e lo stimolo cromatico dell’opera. L’elemento luce diventa una lente per la visione, non più di un solo mondo, bensì di 3 mondi diversi. Accendi la luce rossa ed ecco l’iguana, il coccodrillo e il pesce palla, accendi quella verde ed hai il polipo, il coniglio e l’elefante, infine la luce blu e tutti i suoi insetti. Il collettivo milanese, oltre a realizzare carta da parati, sfrutta la stessa ricerca RGB per quadri e mini poster che gli è valsa l’esposizione personale alla berlinese Johanssen Gallery. E poi, non è meglio avere degli occhialini con tre filtri colorati, invece che gli ormai superati e spopolanti occhiali 3D?
Observing the world around us doesn’t evoke positive feelings. Many times you think that something has changed, but it has not. As a result, our imaginations lead us to unexplored worlds, up in the clouds, lost in the universe or stranded in the depths of the ocean. The power of nature and its forms are overwhelming. Artistic expression is the most immediate means towards conveying this repressed feeling. Carnovsky articulated such thoughts while playing with animals and merging them into one single, muddled, multicolored pattern, whose play on scales created a shocking effect: giant snakes juxtaposed with a small fox. Disorientation is caused by an overlap of primary colors, but this is where lights and the artwork’s chromatic stimulus come into play. The light element becomes a lens for viewing, not just one world, but 3 different ones. You turn on the red light and an iguana, a crocodile and a fish ball appear, green light turns on and you have a polyp, a rabbit and an elephant. Finally, when the blue light turns on, all the insects appear as well. The Milan collective, other than designing wallpaper, uses the same research for the RGB pictures and miniposters which won the Berlin exhibition at the Johanssen Gallery. In any case, isn’t it better to have glasses with three colored filters than the outdated and popular 3D ones? www.carnovsky.com
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1. RGB Wallpaper Installation Carnovsky - ph. Alvise Vivenza gresso
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1. Algae Farm - egoLogic Studio Valeria Potenza - Andrea Di Gaetano - Marco Pietrolucci
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ECOLOGIC STUDIO text by Federico Giacomarra Claudia Pasquero e Marco Poletto, fondano EcoLogicStudio nel 2004, il loro lavoro si concentra sullo sviluppo e l’applicazione di metodi di progettazione computazionali, allo scopo di portare il discorso della sostenibilità in ambito urbano. La self-organizing city è il tema del loro ultimo libro. Laureati al Politecnico di Torino, vivono e lavorano a Londra, dove insegnano all’ Architectural Association. Uno dei vostri ultimi progetti è il Metropolitan Protogarden, in cui il punto di vista è fortemente incentrato sull’ecologia urbana. MP: Lo sviluppo ecologico del pianeta si volge nelle città, non solo perchè tutte le previsioni ormai danno l’80% della popolazione mondiale urbanizzata, ma soprattuto perchè nelle città si sviluppano i pensieri, le culture e le sensibilità nuove, quì una nuova relazione con il pianeta può emergere. ll Protogarden da forma all’idea di riuscire a trasformare le città in ecologie artificiali dotate di una efficienza produttiva elevata, come luoghi in cui si consumi e produca. CP: Non si tratta di riproporre la città come un ente unico, in cui il master-plan viene creato in modo top-down non tenendo conto delle qualità, ma in cui il cittadino può intervenire riappropiandosi del know-how, capire come fare le cose e intervenire nella creazione della città. Che tipo di utilizzo fate dei tool parametrici? MP: Tramite queste tecniche è possibile progettare il know-how, cioè è possibile scollegarsi dall’idea di disegnare un oggetto singolo e progettare invece sistemi di relazione. Il parametricismo non è necessariamente un passo avanti se non è accompagnato da un pensiero nuovo. Tu puoi usare tecniche parametriche che dal punto di vista formale esprimono questa variazione parametrica, ma dal punto di vista del pensiero sono completamente ancorate ad un’idea meccanica di funzionalismo che arriva direttamente dalla modernità. Jencks afferma che la forma non segue la funzione, ma segue anche il significato. Il modernismo ha ridotto talmente le cose ad unico punto di vista, che a forza di sottrarre è rimasto molto poco, che ne pensate? MP: Si tratta di rieducare la gente, di tentare di riscoprire nella gente la capacità creativa e ludica, smontare questa ossessione della funzionalità e dell’efficienza, ma ristimolare e riacutizzare l’interesse per poter utilizzare strumenti nuovi e costruire cose e significati nuovi, nuove possibilità.
Claudia Pasquero and Marco Poletto founded EcoLogic Studio in 2004. Their work focuses on the development and application of design methods in order to bring attention to the subject of urban sustainability. The self-organizing city is the theme of their last book. They both graduated from the Politecnico di Torino, and now live and work in London where they teach at the Architectural Association. One of your latest projects is the Metropolitan Protogarden, in which the point of view is strongly focused on urban ecology. MP: It is very important to focus on green developments in the city, not only because 80% of the world population is now urbanized, but also because it’s within cities that thoughts, cultures and new sensibilities emerge. This is where the possibility of creating a new rapport with the planet lies. Protogarden gives shape to the idea of being able to transform cities through artificial ecologies into locations where you consume as well as produce with high efficiency. CP: The project does not propose to revive the city as a single entity, where the master plan is top-down, ignoring its qualities, but instead it creates a city in which the citizen understands how to do things and participates in the creation of the city. Do you make use of parametric tools in your designs? MP: Yes, these techniques allow you to distance yourself from the idea of designing a single object and instead design entire systems that relate to each other. The use of parametric tools is not necessarily a step forward if it is not accompanied by new thoughts. You might use parametric techniques that in formal terms express a parametric variation, but which in reality are completely anchored to the idea of mechanical functionalism that comes directly from modernity. Jencks says that form follows the function, but also follows meaning. Modernism has reduced such ideas to a single point of view, is there any new meaning left to discover? MP: It’s about reeducating the people, and trying to rekindle within them their creative and playful side, removing their obsession with functionality and efficiency, but instead stimulating an interest in using new tools and building things with new meanings, new possibilities. www.ecologicstudio.com 02 cityvision 19
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CHROMAtex.me SOFT lab text by Maria Azzurra Rossi
Siete mai entrati in un tunnel, uno vero del quale non riuscite nemmeno ad immaginare lo spazio generato, ma soprattutto la fine? Non parlo della metro, non di un sottopasso, non di una semplice galleria, tanto meno di stupefacenti sostanze, ma più semplicemente di quello spazio padre della curiosità e dello spavento. Il buio e la luce sono due opposti legati da esso. Uno è immaginario, l’altra è guida. E’ forse dalle paure infantili che nasce un tunnel in grado di modificare la percezione dello spazio esterno di un quartiere rimanendo pur sempre rinchiuso fra le quattro mura di una galleria, la Bridgegallery. CHROMAtex.me ha un ingresso puntato verso chi passeggia spensieratamente nel Lower East Side di Manhattan; è attrattivo, sottile è la sua filosofia, scioccante l’estetica, accecanti i sei colori dello spettro ottico. Attenzione, se avete voglia di rompere il vetro o di strappare la pagina della rivista, rivolgetevi a SOFTlab. CHROMAtex.me genera effetti collaterali. Sì, ma quali sono gli ingredienti? Un terzo di spazio di scarto e due terzi di spazio invertito, tridimensionale, sospeso e non vivibile nella sua interezza, ma nella sua singolarità. I 4.000 fogli di carta fotografica di cui è composto, sono tutti diversi per forma e colore, tagliati e disegnati con l’aiuto di una laser cutter. Il risultato è puramente artificiale, ma il riferimento visivo è naturale, è biologico, scientifico. E’ un frame dell’apparato circolatorio, di quello nervoso decontestualizzato, che si nutre dello spazio che gli viene concesso e se ne appropria; l’essere umano è fatto di tessuti che si adattano alle cellule della forma silhouette, l’installazione fa lo stesso con la galleria. Grasshopper ha permesso a SOFTlab di plasmare la forma e di estrapolarne i vari pezzi, anche se, nella realizzazione bidimensionale si perde la totale fluidità della superficie, a favore della personalizzazione dei singoli pezzi, acquistabili e firmabili (e adesso presenti nelle case di molti acquirenti in giro per il mondo). Non è un atto puramente artistico, è un dialogo diretto fra l’arte, la sperimentazione e il curioso.
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2 1. CHROMAtex.me installation Bridgegallery - New York ph. Alan Tansey 2. CHROMAtex.me axonometric SoftLab gresso
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Have you ever been in a tunnel, a real one in which you cannot even perceive the space, let alone the end? I am not talking about the subway, nor an underground passage or gallery, not even of the influence of drugs, but simply of that space which creates curiosity and fear. Darkness and light are the two opposites at either end of this concept. One arouses the imagination while the other acts as a guide. Perhaps remnant childish fears gave birth to this idea of a tunnel that can change one’s perception of the neighborhood’s space while still confined within the four walls of a gallery, the Bridgegallery. CHROMAtex.me has an entry which points at people walking carelessly on the Lower East Side of Manhattan. It is attractive, thin is its philosophy, and its aesthetics are shocking, blinding visitors with the six colors of the optical spectrum. Be careful, if you feel the impulse to break the glass or tear the magazine page, please contact Softlab. CHROMAtex.me generates side effects.
What is it made of? One-third emptiness and two-thirds inverted space. It is three-dimensional, suspended and is not livable in its entirety, but in its singularity. The 4,000 sheets of photo paper of which it’s composed are all different in shape and color, cut and designed with the help of a laser cutter. The result is purely artificial, but the visual reference is natural, biological, scientific. It’s a fragment of the circulatory and nervous systems taken out of context and fed by the space that has been dedicated to it. The installation adapts to the gallery space in the same way that the silhouette of the human being is shaped by the form of its cells. Grasshopper allowed SOFTlab to shape the form and extract the pieces, though the two-dimensional fluidity of the surface as a whole was lost in favor of customization of the individual pieces that can be purchased and signed (and which are now present in many buyers’ houses around the world.) It is not a purely artistic act; it is a direct dialogue between art, experimentation and curiosity. www. softlabnyc.com 02 cityvision 21
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INTERIOR TV text by Francesca Romana Moretti
La società vista dalle serie Tv. Un viaggio nel tempo, lungo 50 anni, per scoprire come si è evoluta la nostra quotidianità attraverso gli occhi dei telefilm. Dalla “casa scatola” alla metropoli. Volendo fare un inusuale esperimento potremmo attribuire alle serie tv una funzione “archivistica”, in fondo ogni telefilm, a suo modo, ci ha raccontato un mondo, un tempo, delle persone e le loro abitudini. Che cosa ci testimonia l’appartenenza ad una determinata “epoca” se non il modo di abitare? Le case, l’arredamento interno e i luoghi di aggregazione sono immagine di una società e di una vita che si è evoluta e continuerà a farlo. Immaginiamo di estrapolare alcune immagini rappresentative da alcuni tra i più noti telefilm del passato e del presente, immaginiamo poi disporle in sequenza come
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su una pellicola, ogni immagine, un frame. Cosa otteniamo? Semplice, una linea temporale che ci racconta come si sia evoluto il modo di vivere, di abitare e di concepire il mondo negli ultimi 50 anni, dove non mancano nostalgici ritorni al passato. I primi li vedremo abitare in case medio borghesi, villette o appartamenti accoglienti che esprimono la loro serenità, il loro “essere una famiglia” (situazione tipica dei telefilm americani anni ’80). Nel secondo caso invece avremo enormi ville, magari sul mare, o veri e propri “manor house” siti in zone esclusive della città. Citiamo i grandi “manieri” di Dallas e Dynasty, espressione esterna del potere del denaro che tutto può; ville magnificenti, con un interior design decisamente “barocco” e ridondante che prevedeva una ricchezza di dettagli e di oggetti al fine di rafforzare “l’elogio al potere” del proprietario. Passiamo poi per la villa sul
mare di Magnum P.I., più minimalista e attenta al design del tempo, per arrivare alle ville di Los Angeles sfoggiate in Willy il principe di Bel Air, o da alcuni protagonisti di Beverly Hills 90210. Iniziamo quindi il nostro viaggio che introdurremo attraverso una delle serie più popolari degli ultimi trent’anni Happy Days. Il telefilm è stato realizzato negli anni ’70, ma è un affresco di quell’America sognatrice e ottimista degli anni ‘50 che ha fatto sognare generazioni. Casa Cunningham è la tipica villetta americana con tutti gli elementi “rassicuranti” al proprio posto: il prato curato, lo steccato, i fiori alle finestre, il dondolo sulla veranda. Il design è estremamente tradizionale, tipico degli anni ’50-’60, è un design “familiare”, che non si vuole mettere in mostra. All’interno della casa troveremo quindi la tipica cucina americana, con pensili in legno color panna e top celeste, a cui si accede anche dalla porta di servizio, il grande soggiorno, con camino incassato nella parete, così come le varie librerie, con le scale che portano al piano superiore dove sono disposte le camere da letto. Tappezzerie con motivi fiorati rivestono il divano e caratterizzano le tende, i toni cromatici sono prevalentemente quelli del verde, del rosa antico e del marrone. Immancabile la moquette che riveste ogni stanza, come immancabile è la carta da
parati, a tinta unita per i corridoi e per il soggiorno, con varie fantasie nelle diverse stanze. Rassicurante vuole essere anche la collocazione geografica, Happy Days non è ambientato in una “caotica” metropoli, ma in una piccola città a misura d’uomo: Milwakee, una cittadina del Wisconsin. Passano gli anni e si assiste ad un’evoluzione della società, della famiglia e della casa, l’America attraversa la “rivoluzione” hyppie tra gli anni ‘60 e ’70. Il design comincia ad osare, si abbandona la strada tradizionale per avventurarsi verso nuovi materiali, nuovi colori, nuove forme. Si cerca di evitare l’omogeneità c’è un forte dinamismo, che viene sottolineato appunto da accostamenti geometrici e cromatici a volte stridenti; quello che accade in questi anni è una sorta di “nuovo futurismo”. I telefilm si moltiplicano, i generi anche. Attraversiamo gli anni ’70 passando per le “sterili e anche un po’ tristi” abitazioni che si vedono nei telefilm dei vari investigatori privati (Kojak, Colombo e affini), e per le “moquettate” case delle serie tv più “familiari” come Strega per amore. Arriviamo ai “nostalgici” anni ’80, ormai i telefilm non si contano più, siamo negli anni del boom, del “va tutto bene e siamo tutti felici, e se così non è almeno deve
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1. Happy Days - Cunningham house livingroom 2. Happy Days - Cunningham house kitchenresso
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sembrarlo”. La famiglia (di solito benestante e numerosa), viene osannata di nuovo, diventa la protagonista di numerosissime serie TV: La famiglia Bradford, Genitori in blue jeans, I Robinson, I Jefferson, Casa Keaton, Arnold e via dicendo. Le case sono grandi, ben arredate. Il divano o il tavolo della cucina diventano punti focali, simboli di un’unità che, deve esserci a tutti i costi. Gli anni ’80 sono decisamente cosmopoliti, si affaccia il “culto” della città e dei suoi ritmi frenetici. Vivere nella grande metropoli è glamour e diventa simbolo di emancipazione e di ambizione. La città cavalca il boom, cresce, cambia forma, i quartieri residenziali si creano il loro spazio e si distanziano dal centro che, a sua volta diventa sempre più “specializzato” e direzionale. Uno dei primi condomini con cui veniamo in contatto, nel mondo televisivo degli anni ’80, è quello abitato dai coniugi Jefferson. Con loro i telefilm cominciano a sott’intendere tematiche sociali: George e Lizzie si trasferiscono in un elegante appartamento situato nell’Upper East Side di Manhattan e devono integrarsi in nel tessuto sociale della borghesia bianca newyorkese. La coppia si trova a rappresentare il punto d’incontro di due diverse culture quella povera di Harlem e quella borghese della zona più “in” di New York. La metropoli, che si è appena affacciata nei telefilm, prende sempre più piede nella decade successiva. I telefilm degli anni ’90 sono più “emancipati”, le tematiche della famiglia cominciano ad essere messe in secondo piano a favore delle amicizie e delle aggregazioni. Beverly Hills 90210 e Friends sono la sintesi del periodo. Nel primo le lussuose ville di Beverly Hills vengono messe in secondo piano per dare spazio alla più familiare e “rassicurante” casa Walsh e nel secondo protagonista è l’appartamento condiviso dai ragazzi in un “metropolitano” condominio del vitale quartiere di Greenwich Village a New York. La casa, quindi, perde il significato che aveva avuto fino a questo momento, anche i vari telefilm allargano i propri orizzonti, si esce dalle quattro mura e si cominciano a mostrare situazioni ambientate nella città, la quale sarà protagonista delle serie TV del
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nuovo millennio. In questi primi 10 anni del nuovo millennio, il concetto di telefilm è stato totalmente trasformato e con esso le tematiche trattate. Oggi si trattano tematiche sociali, tematiche soprannaturali, disagi, investigazioni “estreme”. Per forza di cose la casa in sé ha perso il ruolo che aveva negli anni precedenti (è rimasta il set ideale delle numerose sitcom quali Will & Grace, Big Bang Theory, Dahrma e Greg e via dicendo). La vera protagonista di questi anni è la città (e i suoi quartieri), che non è più solo “nominata” ma diventa viva e partecipe delle vicende dei serial, tanto da essere, distintiva nel titolo stesso: CSI: Las Vegas, New York, Miami, Law & Order: Los Angeles, Parigi. Così la New York di Sex & The city, il quartiere di Wisteria Lane in Desperate Housewives, che diventa una piccola città (in cui ritornano le tipiche villette prefabbricate con porticato e dondolo, esteriorizzazione di una società in cui domina l’armonia e in cui non succede mai nulla, almeno apparentemente!) L’interior design oggi segue le esigenze dei vari protagonisti delle serie tv di questi ultimi anni, passando da un minimal chic metropolitano e glamour (Sex & The City) per mostrare l’attenzione al dettaglio e all’eleganza; fino ad arrivare alle tendenze dettate dall’ ”Ikea style”. Il nostro viaggio ha attraversato stanze, case, quartieri, cittadine e metropoli ed visto come la vita sia cambiata, come noi stessi abbiamo subito una “metropolizzazione”. I ritmi odierni ci portano ovunque e in ogni momento, le nostre case sono sempre meno vissute, la città e la sua frenesia è sempre più protagonista della nostra vita, siamo arrivati ad un punto in cui non è più la nostra casa specchio di noi stessi, ma la nostra città.
In an unusual experiment, we can look at TV series as “archives” of the era in which they were produced. Every show tells a story in its own way about the world, the people and the habits of a particular time. They can help us understand how people lived, what their houses were like, and through images of their interiors and their gathering spots we get a new perspective on how society has evolved and will continue to do so over the years. Imagine extracting a few representative images from some of the most popular shows of the past and present. Let’s place them in sequence like a film, each frame a different image. What do we get? Simple. A timelime that tells us how our ways of living and thinking about the world have evolved over the last 50 years, with plenty of nostalgic feelings on the side. First we see families living in middle class homes, cozy cottages or apartments that express their serenity. Their unity as a family is typical of American TV shows in the 80’s. In the second stage we observe huge houses, maybe on the beach, or true “manor houses” in exclusive areas of the city. We see the great manors of Dallas and Dinasty, external expressions of power and money, magnificent villas with a very “baroque” and redundant interior design with a wealth of details and objects in order to strengthen “the tribute to the power” of the owner. We then approach the seaside villa of Magnum PI, minimalist in design and attention, and later get to the Los Angeles villas shown on The
Fresh Prince of Bel-Air or Beverly Hills 90210. Our journey is introduced by one of the most popular TV-series of the last thirty years, Happy Days. The show was produced in the 70’s but is a fresco of a 50’s dreamer and an optimistic America. The Cunningham’s house is the typical American house with all the “reassuring” elements in its place: the lawn, the picket fence, flowers in the windows, a rocking chair on the porch. The design is very traditional of the 50-60’s, however, it’s a “family” design that does not show off. Inside the house we find the typical American kitchen with cream colored wood cabinets and light blue counter tops, an alternate back door entrance, a large living room with a fireplace built into the wall, as well as various libraries with stairs that lead upstairs where the bedrooms are arranged. The couch and curtains are made of tapestries with floral motifs. The color themes mainly include
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2 1. Magnum P.I. - office 2. Magnum P.I. - officegresso
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green, antique pink and brown. Carpet covers the floors of every room, as inevitably as wallpaper covers all the walls, with a solid color for the hallways and the living room and various patterns in the other rooms. Reassuring also through its geographical location, Happy Days isn’t set in a chaotic metropolis, but instead in the small town of a human scale: Milwaukee, Wisconsin. Years pass and we witness an evolution in the family’s company and home through America as portrayed during the 60-70’s hippy revolution. Design begins to be bolder; it abandons traditional ways to venture instead into new materials, colors and shapes. Homogeneity is avoided; there’s a strong momentum highlighted by matching geometric and chromatic grating. The trend of these years can be described as “new futurism”. The number of shows and genres increases as we pass through the 70’s and the sterile and sad homes that are depicted in the shows of the various private investigators (Kojak, Colombo and similar) and the most popular “carpeted” case as in I Dream of Jeannie. We get to the nostalgic 80’s, now the shows are uncountable, we are in the booming years of the “all is well and we are all happy and if we’re not and at least pretend we are”. The family (usually wealthy and large) is hailed again to become the star of numerous TV series: Eight is Enough, Growing Pains, The Cosby Show, The Jeffersons, Family Ties, Different Strokes and so on. The houses are large and well appointed. The sofa or the kitchen table became the focal points, symbols of unity that should exist at all costs. The 80’s were decidedly cosmopolitan; they centered on the “cult” of the city and its hectic rhythms. Living in the big city is glamorous and becomes a symbol of emancipation and ambition. The city straddles the boom, grows, changes shape, the residential districts create their own space and move away from the center, which in turn becomes more and more “specialized” and directional. Mr. and Mrs. Jefferson inhabit one of the first apartment buildings in the TV world of the 80’s. With them, social issues are beginning to emerge: George and Lizzie moved into an elegant apartment in the Upper East Side of Manhattan and must be integrated into the social fabric of New York’s middle class. The couple represents the meeting point of two different cultures, the poor Harlem and the posh city center. 28
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The metropolis, which only begins to surface in the TV series of the 80’s, gains increasing importance in the next decade. The shows of the 90’s are “emancipated”; the family themes begin to be overshadowed in favor of friends and aggregations. Beverly Hills 90210 and Friends are representative of this period. First, Beverly Hills’ luxurious villas are put to the side to make space for the reassuring Walsh home. Then, the apartment shared by guys and girls in a metropolitan building in the vital area of Greenwich Village in New York becomes the protagonist. The house therefore loses the significance it had until now. The different shows broaden your horizons, forcing you to leave the four walls and begin to explore situations set in the city, which will be the star of the TV series of the new millennium. In the first 10 years of the new millennium the concepts of new TV series were totally
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1. The Big Bang Theory - house livingroom
transformed and with them the issues discussed. Today we deal with social issues, supernatural themes, disruption and extreme investigations. Because of its nature, the house has lost the role it had in previous years. (It was the ideal set for many sitcoms like Will & Grace, Big Bang Theory, Dharma and Greg etc.) The real star of this year is the city (and its neighborhoods), which is no longer just “nominated” but comes to life and is sympathetic to the events of the series. To further distinguish itself, it appears in the titles of various series: CSI: Las Vegas, New York, Miami, Law & Order: Los Angeles, Paris.) The New York of Sex & The City and the neighborhood of Wisteria Lane in Desperate Housewives (where the typical prefabricated houses return with porches and rocking chairs, the externalization of a society where harmony dominates and where nothing ever happens, apparently!) come to
life. Interior design now follows the requirements of various TV series’ protagonists in recent years. These range from a minimalist urban kitsch to glamorous or attentive to detail and elegance and up to the trends dictated by the Ikea style. Our journey through the TV series ends here. We passed through rooms, homes, neighborhoods, towns and cities and saw how life has changed, as we have suffered from “metropolization”. The pace of life today can take us anywhere at any time. Fewer experiences take place in our homes; instead, the city and its bustle are dominant in our lives. We have reached a point where our home is not longer a mirror of ourselves, but of our city.
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text by Maria Azzurra Rossi Il primo passo fondamentale, per avvicinare due mondi apparentemente molto distanti come architettura e moda, attraversa il concetto generale di creazione intesa come azione compiuta, come produttività artigiana un tempo alla base del lavoro di entrambe le tipologie di designer. Compiendo un percorso storico, il modello fornito dalla cultura araba risulta essere molto esplicativo nel dialogo tra le due realtà; le arte visuali, importantissime per l’identità di questa antica cultura, sono al centro della produzione decorativa architettonica dei palazzi e delle moschee e di quella tessile degli opifici, presenti anche nel territorio europeo a partire dal XI e XII secolo. I disegni geometrici sono alla base dei mosaici, dei tappetti, dei tessuti in seta e delle decorazioni di palazzi come l’Alhambra di Granada, dove le tassellature (metodo per ricoprire una superficie piana con una o più figure geometriche ripetute senza sovrapposizioni) vestono elegantemente ogni ambiente della residenza.
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Durante l’Ottocento con la nascita della corrente Arts and Crafts, si ha in William Morris, il primo attore che intraprende l’attività di designer a tutto tondo, influenzando l’architettura dell’amico Philip Webb e creando stampe di carte da parati, tessuti d’arredamento e stoffe pregiate. Per incontrare una figura simile è necessario fare un salto di almeno sette generazioni e arrivare a conoscere il lavoro dell’atelier di Elena Manferdini, ingegnere, architetto e designer con sede a Bologna e a Venice, in California dal 2003. L’atelier, sin dalla sua nascita, ha fuso la ricerca architettonica con lo sviluppo di nuovi tessuti, materiali e tecniche sartoriali, cercando di connettere sia tecnicamente che visivamente le realizzazioni. Questo concept è esplicato al meglio guardando a due progetti dell’atelier, il West Coast Pavillion per la Biennale di Architettura di Pechino del 2006, e l’altro, la collezione Cherry Blossom SS07. L’obiettivo di tale esperimento è quello di inserire all’inizio della fase di design, l’idea della produzione di massa
e sfruttare il disegno automatico per la modellazione di materiali “piatti”, come lamiere metalliche e stoffe; questo è chiaro osservando al contempo le superfici di rivestimento del padiglione e gli abiti, entrambi tagliati con l’ausilio di lasercutters. La trasposizione diretta delle geometrie non è così influenzata dal passaggio dalla bidimensionalità alla tridimensionalità e l’effetto di trasparenza e movimento viene reso in egual misura sia dagli abiti che lasciano intravedere la pelle, sia dalle superfici che filtrano la luce all’interno del padiglione. La stessa attenzione e creatività artistica è espressa da molti progetti di Elena Manferdini così come dall’installazione Merletti studiata e realizzata per la galleria dello Sci-Arc, scuola di architettura d’oltre oceano. Nel progetto viene esplorata la complessità del merletto veneziano trasposta in una dimensione insolita, fuori scala rispetto a quella umana. Lo spazio della galleria viene modificato e modellato attraverso lo spostamento dei nodi che legano il tessuto e la visione del tessuto dall’alto permette di comprendere intricate trame che generalmente non ci è dato vedere ad occhi nudo. Merletti è la visione dell’occhio umano attraverso il microscopio. Dalla particolare esperienza dell’Atelier Manferdini si innesca un dialogo diretto tra case di moda e studi di architettura, nato alla fine degli anni 90, quando con la crescita del fenomeno delle archistar, conosciute non più soltanto dagli specialisti del settore ma anche dal pubblico generalista, i brands più importanti e con un mercato più ampio hanno chiamato i progettisti alla realizzazione di imponenti fashion concept store. Esistono delle vere e proprie unioni tra le due realtà, quella più solida è sicuramente rappresentata da OMA Rem Koolhaas e Prada, per i negozi e showrooms di New York, Los Angeles, Shanghai, Tokyo, Londra e per lo sviluppo di allestimenti e metodi di esposizione della merce con l’ausilio di nuovi materiali come nel caso della Prada Sponge.
Contemporaneamente AMO, il reparto creativo dello studio olandese, lavora per l’identità visuale e di comunicazione della casa di moda italiana, creando negli ultimi anni grafiche per i cataloghi e allestimenti site-specific per le sfilate di Prada e Miu Miu, e completando così un lavoro di “ristrutturazione” totale e omogenea del famoso marchio. Le collaborazioni di architettura e moda connettono nomi come SANAA e Dior per l’etereo store, Toyo Ito e Tod’s per l’organicismo strutturale dell’albero store, entrambi affacciati su Omotesando street a Tokyo, Fuksas e Armani per la scala organica sulla 5th Avenue, Future Systems e Comme des Garçon a New York per l’asimmetrico tunnel d’entrata in alluminio in perfetto dialogo con le visionarie creazioni giapponesi. E’ la capitale giapponese che sembra aver dato vita al terreno più fertile per questo tipo di collaborazioni, fino ad arrivare a promuovere sempre nel fashion district di Omotesando, un concorso di architettura per la progettazione del Tokyo Fashion Museum, un grattacielo di 100 metri dedicato interamente alla moda del XX e XXI secolo. La proposta dello studio inglese OPENSYSTEMS, dedito alla ricerca architettonica, materica, computazionale e biologica, mostra come si possano combinare tutte queste diverse discipline e dare forma alla torre-museo sviluppata con un’iterazione algoritmica di Rhinoscript che segue le deformazioni del lattice per andare a definire le geometrie del tessuto di rivestimento delle superfici esterne e la fluidità degli spazi interni, richiamando così anche la deformabilità delle fibre dei tessuti cari agli stilisti. L’uso del lattice e della ricerca alchemica sui materiali appartiene anche all’artista/stilista Susie MacMurray, il cui lavoro tocca la scultura e le installazioni architettoniche, nel suo “A Mixture of Frailties” non plasma il materiale, ma riutilizza la gomma lattiginosa dei comuni guanti per creare bianchi abitisculture da sposa, di un eleganza pari a quella delle migliori creazioni di haute couture La modellazione e deformazione di superfici e volumi è una tecnica comune ad entrambi gli ambiti. Molti stilisti sono attratti dalla possibilità di modificare il corpo umano attraverso le loro creazioni, così come molti architetti sono votati alla ricerca di tecniche di morphing sempre più avanzate e sempre più ardite.
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1. West Coast Pavillion Atelier Manferdini ph. courtesy of Atelier Manferdini
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Nel campo della moda, il lavoro di Hussein Chalayan guarda molto al mondo del design e alla creazione di architetture per il corpo, come in uno dei suoi ultimi progetti artistici, Afterwords, dove le stoffe delle poltrone diventano vestiti e un tavolo in legno, una scultorea gonna-architettura, un piccolo Guggenheim Museum da sfilata. Wright ne rimarrebbe sicuramente stupefatto. Altro tipo di sperimentazione è quella recente di Issey Miyake. Il progetto 132 5 realizzato in collaborazione con Reality Lab, parte dalla tradizione giapponese degli origami per creare indumenti da piattaforme bidimensionali che si sviluppano in verticale dando vita a sfaccettate creature tridimensionali, grazie soprattutto al lavoro dello scienziato Jun Mitani, il quale ha realizzato il programma 3D CG Application appositamente per questo esperimento. Attraverso il lavoro di Miyake, possiamo osservare come spesso le ricerche di stilisti e architetti partano da ispirazioni molto ravvicinate; quella ad esempio della manipolazione delle superfici di carta, la folding architecture, che si è sviluppata negli ultimi anni proprio grazie all’aiuto del digitale e dei computers, in grado di calcolare l’effettiva realizzazione di strutture molto complesse, che un tempo venivano soltanto rese con schizzi e disegni, nella cosìdetta, architettura di carta, ma che non trovavano un risconto tridimensionale nella realtà del costruito. Il mondo della robotica ha invece rapito Alexander McQueen nel 1999, quando durante la sfilata della collezione primavera/ estate una modella, vestita di un leggero abito bianco, ha preso posto su di una piattaforma rotante circondata dalle braccia di due robot. In 2 minuti l’hanno rapita, presa di mira sferrando attacchi colorati di nero e giallo, trasformando il suo abito in un pezzo unico non riproducibile e mostrando al pubblico la creatività teatrale del lavoro dello stilista. Studi sulla realizzazione di tessuti e texture per le stoffe sono stati analizzati nel libro “The Architecture of Variation” curato da Lars Spuybroek - architetto e mente di NOX, studio olandese che fa della manipolazione digitale la base dei loro progetti e della loro ricerca artistica - dove spiega come gli architetti possano trarre ispirazione dal lavoro dei creativi e gli stilisti e come grazie a questo si arrivi a risultati simili dal punto di vista della resa visuale dei progetti. Lo fanno gli stessi NOX con progetti come la Maison Folie di Lille, una ristrutturazione e ampliamento di una vecchia fabbrica di tessuti, dove il concetto di tessuto è esplicato nella leggerezza delle superfici di rivestimento, leggera organza al servizio della solidità architettonica.
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1. 132 5 Issey Miyake - Reality Lab Miyake Design studio ph. Hiroshi Iwasaki 2. Afterwords Art Project Hussein Chalayan 3. Maison Folie - Lille Nox Lars Spuybroek
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Da questo possono essere fatti dei confronti visivi fra architetture e modelli di alta moda, richiami mentali che come dei dejavù sfruttano la nostra memoria latente per attuare collegamenti mentali fra immagini provenienti da due tipi di creatività una volta distanti che tendono sempre più all’interazione, voluta e non. E’ netta la somiglianza fra il lavoro di una giovane stilista svedese Sandra Backlund e la sua collezione Ink Blot Test, vincitrice al Festival International de Mode et de Photographie di Hyères, in particolare per un abito bianco e nero, composto da tanti piccoli iceberg creati con la carta che richiama visivamente il lavoro fatto da Coop Himmelb(l)au per il Pavillion 21 Mini Opera. Quì le punte degli iceberg non sono di carta, ma metalliche e rappresentano l’analisi delle frequenze musicali, generate dallo spartito d’opera de il “Don Giovanni” di Mozart, che vengono traslate da un programma 3D prima in uno script e poi in costruzioni piramidali.
Attraverso l’analisi studiata è deducibile l’importanza della programmazione 3D e dei programmi di scripting per poter generare in futuro dialoghi ancora più diretti e paralleli tra l’architettura, principalmente digitale e quegli stilisti che fanno della sperimentazione la loro filosofia prima.
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The first crucial step in approaching two seemingly unrelated professions such as architecture and fashion is to understand that the basis of the works of both types of designers is the general concept of creation and the production of a craft. Approaching the topic historically, the model provided by Arab culture is the most explanatory of the dialogue between these two realities; visual art, extremely important for the identity of this ancient culture, is central to both the production of decorative architectural buildings and intricate textiles. Mosaics, carpets, silk fabrics and building decorations are all based on geometric drawings. For example, every room in the Alhambra in Granada is covered in tiling (method for covering a flat surface with one or more geometric figures repeated without duplication.) During the nineteenth century, with the birth of the Arts and Crafts movement, we encounter William Morris, the first player to enter the business as an interdisciplinary designer, influencing the architecture of his friend Philip Webb and creating prints for wallpapers, furnishing fabrics and fine cloths. Seven generations later, we have a similar story in the works of Elena Manferdini’s Atelier. She’s an engineer, architect and designer based in Bologna, Italy and Venice, California since 2003. From its inception, the atelier has merged architectural research with the development of new fabrics, materials and tailoring techniques, trying to connect their achievements both technically and visually. This concept is clearly explained in two of Manferdini’s projects, the West Coast Pavilion for the Venice Biennale of Architecture in Beijing in 2006, and the Cherry Blossom collection SS07. The objective of this experiment is to introduce the idea of mass production at the beginning of the design phase, and to exploit the automatic
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design of modeling with “flat” materials such as metal sheets and fabrics. This idea is best observed in the surface coating of the pavilion and the suits, both cut with the aid of laser-cutters. In this way, the direct translation of the geometry is not affected by the transition from two-dimensional to three-dimensional space and the transparency and effects of movement are returned in equal measure by the clothes that hint at the skin and the surface that filters the light in the pavilion. The same care and artistic creativity is expressed in many of Elena Manferdini’s projects such as the Merletti installation, designed and built for the gallery of Sci-Arch, an architecture school overseas. The project explored the complexity of Venetian lace transposed into a different dimension, and out of the scale which humans are used to. The gallery space is changed and modeled by moving the knots that bind the fabric and a view of the fabric from the top allows us to understand the intricate plots that we usually can’t see with the naked eye. Merletti is a vision of the human eye through a microscope. From Atelier Manferdini’s particular experiences, a direct dialogue can be established between fashion and architecture. In the late 90’s, following the spread of the archistar’s fame among the general public, popular brand names began hiring designers to create impressive fashion concept stores. The strongest bond of this type is certainly represented by OMA Rem Koolhaas and Prada, with their shops and showrooms in New York, Los Angeles, Shanghai, Tokyo, and London and through the development of installations and merchandise display methods that incorporated new materials as in the case of the Prada Sponge. Currently, AMO, the creative department of OMA, works towards promoting and communicating the visual identity of Italian fashion designers. In recent years they’ve created graphics for catalogs and site-specific installations for Prada and Miu Miu shows, as well as completing a work of total and uniform “restructuring” of the famous brand.
Collaborations between architecture and fashion connect names like SANAA and the ethereal Dior store, Toyo Ito and Tod’s store with its organic structure like that of a tree (both leaning on Omotesando street in Tokyo,) Fuksas and Armani’s organic staircase on 5th Avenue, Future Systems and Comme des Garçon in New York with their asymmetric aluminum tunnel entrance in perfect dialogue with the Japanese visionary’s creations. It’s the Japanese capital that seems to have created the most fertile ground for this kind of interaction. One event that helped promote this relationship was an architectural competition to design the Tokyo Fashion Museum, a skyscraper of 100 meters, entirely devoted to the fashion of the twentieth and twenty-first century. The proposals from the British office OPENSYSTEMS, dedicated to architectural, material, biological and computational research, show how one can combine all these different disciplines and give shape to a tower-museum developed using Rhinoscript algorithmic iterations, which follow the deformation of latex to define the geometry of the tissue lining the outer surfaces and the smooth flow of interior spaces, attracting even the deformability of the designers loved fabrics’ fibers. The use of latex and alchemist research on materials is also employed by artist/designer Susie MacMurray, whose work touches on sculpture and architectural installations. In “A Mixture of Frailties” she does not mold the material, but uses regular white gloves to create sculptural wedding dresses, a style equal to that of haute couture’s best creations. Modeling and deformation of surfaces and volumes is a technique common to both fields. Many designers are attracted by the possibility of modifying the human body through their creations and they are devoted to researching bolder morphing techniques. In the fashion field, Hussein Chalayan’s work looks much like a world of design and architecture for the creation of body architectures. In one of his latest art projects, Afterwords, the fabrics of the chairs become clothes and a wooden table, a sculptural skirt-architecture, becomes a small catwalk for the Guggenheim Museum; Wright would certainly be amazed.
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1. Pavillion 21 Mini Opera - Coop Himmelb(l)au ph. Markus Pillhofer 2. Ink Blot Test Collection Sandra Backlund ph. Peter Faragogresso
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and transformed her dress into a unique un-reproducible piece and showed the audience the theatrical creativity of the designer.
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2 1. Prada Lookbook FW 2010 AMO Rem Koolhaas
Another type of experimentation Issey Miyake’s recent project, 132 5 developed in collaboration with Reality Lab. They were inspired by the Japanese origami tradition to create garments from two-dimensional platforms to vertically develop dresses, creating multi-faceted, three-dimensional creatures, thanks to the work of the scientist Jun Mitani, who has studied CG Application, a 3D program for this experiment. Through the work of Miyake, we can observe how often the research of architects and designers starts from very similar inspirations: the manipulation of paper surfaces, folding architecture, which has developed in recent years thanks to the help of digital computation and computers that can calculate the effective implementation of very complex structures, which were once only made by sketches and drawings, onto so called, paper architecture, but that could not find a deferral in the three-dimensional reality of the construction. The world of robotics kidnapped Alexander McQueen in 1999 when, during his spring/summer show, a model dressed in a light white dress stood on a rotating platform surrounded by two robot arms. Over the course of two minutes they kidnapped her, targeted colored attacks in black and yellow, 36
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Studies on fabrics and texture production are analyzed in the book “The Architecture of Variation”, edited by Lars Spuybroek - architect and mind of NOX, a Dutch study that uses digital manipulation as the base of their projects and artistic research. He explains how architects can draw inspiration from the work of creative designers and how, thanks to this, you get similar results in terms of the visual rendering of projects. NOX does the same in projects such as the Maison Folie in Lille, a renovation and expansion of an old textile factory where the concept is explicit in the lightness of the fabric coverings that look like light organza servicing architectural solidity. From this example we can make visual comparisons between models and architectures for high fashion, mental reminders that act like déjà-vus to exploit our latent memory and implement links between mental images from two types of creativity, once distant, which increasingly interact, whether intentionally or not. One last comparison is between a young Swedish designer Sandra Backlund and his collection Ink Blot Test, winner of the Festival International de Mode et de Photographie in Hyères. She had a black and white dress, with many small paper icebergs that visually recall the work done by Coop Himmelb(l) au for the Pavilion 21 Mini Opera. Here, the iceberg tips, not paper but metal, represent the analysis of musical frequencies generated by the sheet music of “Don Giovanni’s” opera by Mozart. They are shifted using a 3D scripting program to become a pyramidal building. Through this analysis we can deduce the importance of 3D programming and scripting programs in the generation of even more direct and parallel dialogues between future architecture, primarily digital, and those designers who make experimentation their first priority.
digital couture
architecture fashion competition
www.cityvision-competition.com
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NABITO
interview to Bebo Ferlito by Francesco Lipari Nàbito Arquitectura nasce dalla passione di due italiani adottati da Barcellona, Alessandra Faticanti e Roberto (Bebo) Ferlito. La musica jazz che arriva dal loro ufficio copre le nostre voci. Con Bebo trascorrerò questa mattinata a parlare dei loro progetti, di come esportare l’architettura italiana all’estero e importarla dalla Catalunia all’ Italia. FL: Ciao Bebo. BF: Ciao Francesco. FL: Si sente bene da skype? BF: Sì, perfettamente. FL: Fico. Che musica è quella che stai ascoltando? BF: Mha, un pò di jazz.... FL 01: Mi piace. Il jazz si concilia con il vostro modo di progettare? Come entra la musica in contatto con voi e con lo studio? Ce n’è una adatta per ogni fase del vostro lavoro? BF: Come nella progettazione, anche nella musica siamo molto eclettici, l’ascoltiamo in rete e non la cataloghiamo più, ogni giorno abbiamo una musica nuova, random. La Rete svolge un ruolo di trasporto spazio temporale non solo con la musica.; è un vortice di sensazioni tra reale e virtuale. Ormai si progetta in uno stato ipersensitivo, si è soggetti a mille sollecitazioni, quelle del presente, quelle del passato, quelle del futuro e il nostro progetto nasce e si sviluppa attraverso un percorso costruito da tutte queste sensazioni. Esistono degli studi che limitano l’accesso ad internet ai loro componenti, noi invece consigliamo ai collaboratori e agli studenti di non concentrarsi solo sul disegno nel dettaglio, ma sull’insieme di azioni che circondano il progetto stesso. Diventa così un’ impresa culturale a 360 gradi. FL 02: Come si relaziona Nàbito con le nuove forme di comunicazione, con i molti software online? Come è cambiato il vostro lavoro, e quello dell’architetto, guardando anche al modo di diffondere l’architettura? BF: Interessante, come stavamo dicendo precedentemente la classificazione degli ormai smantellati concetti del lavoro come produttività legata al compenso economico fisso garantito e l’ozio come spazio dell’inattivita’ improduttiva, non ha piu ragion d’essere. Il tempo libero è un’opportunità per una rinnovata attività, generatore, (attraverso le nuove forme di comunicazione e di interazione intellettuale), di una dinamica che cambia radicalmente lo spazio ed il tempo nella sociologia urbana. Si forma così un “surplus cognitivo”. Nàbito Arquitectura lavora e ozia 24 ore al giorno; nei propri progetti diffonde i limiti delle categorie funzionali e dei cliché estetici ed intellettuali. Per quel che riguarda la diffusione dell’architettura oggi. C’è sempre stato un dibattito aperto con Manuel Gausa e la generazione anni Novanta generata dalle numerose piattaforme da lui determinate o copartecipate. Senza citarle tutte, ci basti pensare all’internazionalizzazione di Quaderns, la rivista ufficiale del Collegio degli architetti Catalano. Negli anni in cui fu diretta da Manuel, intorno a lui si formò un entourage di professionisti che amplificarono la prospettiva della comunicazione dell’architettura, internazionalizzando e dando una visione completa, contundente e critica sugli aspetti della cultura architettonica e dell’urnbanistica contemporanea. La rivista pubblicò e fece conoscere una nuova nascente ed interessante realtà europea con una linea di pensiero simile (una generazione di idee) ma con risultati formali e specifici differenti. Da Actar Editoriale a Barcellona ad Archilab in Francia passando per Metapolis, UIC, IAAC; sono esempi di punti di partenza aperti da Gausa per la diffusione del pensiero che spesso però non sono potuti continuare 38
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adeguatamente nel tempo. Anche se l’esempio di Actar Editoriale è comunque un esempio di trasversalità editoriale, o almeno lo era negli anni 90, oggi noi non crediamo più nell’uso della carta stampata per diffondere il pensiero. FL: Sì, ormai molti vanno sul web, e tralasciano le riviste, City Vision è invece una rivista free-press. BF: Non fraintendermi, non sono contrario alle riviste cartacee. Io non mi reputo un dogmatico, relativizzo. Però esiste un criterio che mi fa pensare all’insostenibilità economica del mondo dell’editoria, ancora legata alle imprese produttrici di carta, inchiostri, alle imprese petrolchimiche, alle segherie ecc. Io nel mio supporto digitale ho la biblioteca di Alessandria in 5 idiomi differenti e me la porto sempre con me. Il problema è quando una rivista classica non riesce ad uscire da questo circolo per entrarne in un’altro e formare nuova economia, ma é questione di poco tempo..vedrai. Per tornare sul tema del surplus cognitivo. La concentrazione delle attività giornaliere e vitali e la convergenza di nuovi mezzi tecnologici con gli antichi determinano snellezza e legano il lavoro al piacere personale e ai propri mezzi. Su questo consiglierei il libro di Daniel Pink e Clay Shirky sulla trasformazione che ha generato internet rispetto alla televisione negli Stati uniti. FL 03: E’ quello che dice anche De Masi col suo “ozio creativo”.... BF: Importantissimo, se il tempo che trascorreva passivamente davanti alla televisione, viene oggi attivato interagendo con le dinamiche in rete si genera automaticamente Una società trasversale produttrice di idee concrete socialmente, politicamente tecnologicamente ed economicamente, spesso in grado di ottenere prodotti anche altamente qualitativi che possono cosi’ essere liberamente trasmessi in rete e sopratutto possono incidere sulla verticalità della vita reale (guardate i social network,imprese ora multimilionarie ma nate dal surplus cognitivo dedicato gratuitamente nel tempo libero, o ultimamente nel giornalismo lo tsunami Wikileaks, ma ci sono mille esempi). In sostanza far fruttare il tempo dell’ozio trasformandolo in tempo attivo creativo e ma piacevolmente trascorso, in spazi differenti e non dedicati esclusivamente ad una sola attività. Gli standard urbanistici nel 900 sono stati generati dalla concezione moderna/classica del tempo risolto nelle tre attività principali della vita dell’uomo moderno, 8 ore lavoro 8 ore tempo libero e 8 ore dormo, dividendo lo spazio rispettivamente in tot mq per la casa tot mq per il verde e tot mq per il lavoro tradizionale. La dilatazione del tempo contemporaneo nelle 24 ore ha dilatato anche le funzioni nello spazio dislocandole e fondendole e sovrapponendo gli stimoli. Lo spazio del lavoro non e’ determinabile ma indeterminato nel tempo e sopratutto nello spazio e così via per le altre attività sempre più difficilmente scindibili. Come si riflette tutto ciò nell’ urbanistica e nella legislazione contemporanea? FL 04: Grandi maestri architettura, come Wright e Le Corbusier, hanno dato una lezione di un edificio funzionale, estremamente gradevole e a dimensione umana e facevano della serializzazione un punto di forza, cosa che a Roma è stata fraintesa ed è stata messa malissimo in atto in episodi come Corviale. Attualmente c’è un dibattito in corso sulla luce di un piano che è stato presentato a Novembre da Leon Krier, cosa ne pensi? BF: Esiste una questione importante legata ad ogni pensatore, ognuno deve essere messo in relazione al tempo specifico in cui ha operato; il Novecento è il secolo breve, caratterizzato allo stesso tempo da due guerre e dalla nascita del capitalismo e del sistema democratico liberale e dallo stato di diritto in europa. Wright e Le Corbusier erano
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1. Rainbow Tower courtesy of NĂ bito Arquitectura
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due grandi pensatori, agivano in modo differente per appartenenza a due realtà complessivamente distanti, pragmaticità intellettuale europea inasprita dalla necessità , e gli spazi immensi americani, la sperimentazione e la creatività in un continente dove il fordismo aveva prodotto una grande espansione e crescita economica culturale. Quando a Roma nasce Corviale i tempi non favoriscono lo sviluppo dell’unità d’abitazione nè dell’existenz minimum in quella città abituata, in mancanza di un adeguato sistema infrastrutturale, allo sviluppo diffuso, prepotentemete scollegato, disordinato lungo l’agro romano, intorno al disgraziato GRA; divenne quindi un quartiere dormitorio senza servizi ed emarginato, sia dalla città diffusa medio abusiva che si stava sviluppando e che in parte già esisteva, sia dai quartieri più centrali, altrettanto scollegati fra loro. Mentre in Europa le città già si erano dotate di un sistema metropolitano infrastrutturale, che permetteva loro la decentralizzazione, la nascita di nuovi poli di varia natura ed il collegamento capillare rapido. Oggi, Roma è ancora nella stessa situazione degli anni 50-60. Nello stesso periodo nella moderna Parigi, Jean Renaudie, costituisce un complesso edilizio misto di abitazioni e servizi a Lille Sur France -Parigi- opponendosi al pensiero di monoserialità abitativa di Le Corbusier, introducendo l’idea dellla pluriserialità differenziata, basata sulla combinazione di moduli residenziali tutti diversi sia per forma che per dimensione, dando così la possibilità di scegliere a ognuno quello più adatto alle proprie esigenze. Un’insfrastruttura abitata da differenti relazioni in una città stracollegata infrastrutturalmente. E’ un messaggio politico potente: uguali per diritti, diversi per aspettative: una collettività di individualità. Il suo libro-manifesto “A Right in Difference” lo consiglio a tutti. FL 05: Come avete esportato il modello di città contemporanea, incarnato da Barcellona, nei vostri progetti per Roma e come avete raggiunto un punto di sintesi fra le due culture? BF: E’ un capitolo complesso, molto lungo, strutturale rispetto al modo di esistere di Nàbito Arquitectura ed in rapporto a tutte le realtà mediterranee in cui lavoriamo. Siamo in esilio volontario in Spagna; un esilio ricco, fruttifero di esperienze. Barcellona ci ha accolto cordialmente anche se subito abbiamo capito che le nostre relazioni con l’Italia non sarebbero finite ma al contrario si sarebbero intensificate di valore. Barcellona ha una qualità di vita molto alta, è una città pubblica contemporanea e agisce con dinamiche complesse di relazioni tra e con il suo territorio. La città ha subito le dovute
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trasformazione ed i dovuti adeguamenti strutturanti. Barcellona ci ha dato uno stimolo in più per capire, anche a livello politico, perché in Italia le città sono ancorate ad un sistema politico di gestione ed amministrazione obsoleto e con poche risorse per attuare riforme urbane. In un paese dove al contraio le risorse sono più evidenti che altrove. Roma è una città privata , che non si è dotata nel tempo di una struttura moderna, figuriamoci di quella contemporanea. Siamo fuori e lavoriamo in Italia, percepiamo dall’esterno un mondo che amiamo e che vorremmo contribuire a cambiare perchè è palese che si possa farlo. Nabito significa non abitare, nel senso di provare ad allontanarsi dalle proprie radici culturali (gli abiti) per poterle riconquistare e rielaborare, o semplicemente capire, attraverso lo scambio con altre culture e differenti modi di pensiero sul territorio e sull’urbanistica. Non vuol dire perdere le radici ma anzi intenderle più a fondo. Spesso i nostri collaboratori di ritorno da viaggi a Roma, ci fanno riflettere sul carattere della nostra architettura, su alcuni temi legati a Roma e all’esuberante paesaggio mediterraneo; il rapporto con lo spazio pubblico, con l‘altimetria della città, con la vegetazione, con il colore delle facciate degli edifici è unico al mondo, con la storia, con la sovrapposizione degli stili, con le invenzione tipologiche. Capivano l’importanza del vuoto urbano, del Foro, della colonizzazione dello spazio spontanea. Roma è una città multidimensionale, che si permette il lusso dell’ incredibile Circo Massimo, uno spazio non progettato per esserlo ma già contemporaneo nell’essenza, in grado di cambiare nel tempo negli anni e nelle stagioni, sempre attivato da funzioni diverse. La scalinata di Trinità dei Monti risolve un dilemma urbano collegando due parti di città scollegate, non semplicemente con una scala ma con uno spazio pubblico attivissimo, multifunzionale ed utilizzato anche per eventi. Roma è una città fertile e vive come può la sua contemporaneità, ma ha gli “spazi in regola”, e la tradizione e la storia sono piene di esempi urbani interessanti. FL 06: Avete lavorato insiema a Giolitti, un cliente privato italiano per esportare il loro brand ad Istanbul e nel medio-oriente. Come vi siete rapportati con il lavoro estero e come, grazie al
progetto, avete instaurato un dialogo fra l’architettura e la città? BF: Quello che è scattato, tra noi, gli imprenditori e la famiglia Giolitti, è nato dalla ferrea volontà di internazionalizzare la qualità di un prodotto attraverso il riconoscimento della bottega storica; non si tratta di globalizzare, ma di capire come esportare all’estero il “fare artigianato” senza perdere la caratterista peculiare del prodotto e mantenendo alcune caratteristiche anche nello spazio dedicato all’attività. Noi abbiamo considerato Giolitti come l’Armani del gelato. Lo abbiamo voluto internazionalizzare. L’inaugurazione, nel cuore dell’Istanbul europea, ci ha fatto riflettere sul ruolo dell’ rchitetto e come può intervenire sulle capacità dell’imprenditore, riuscire a modificare e riqualificare uno spazio pubblico attraverso un’opera privata. Non si esporta solo il gelato, ma l’idea della piazza, dello stare, della rilassatezza, della passeggiata. E’ un’opera che con alcune espedienti progettuali, cattura una parte di spazio pubblico e lo modifica. Could first Giolitti shop outside Italy be a public space? FL 07: Puoi parlarci della differenza del rapporto tra il committente privato e quello pubblico in rapporto al lavoro estero e quello sul nostro territorio. BF: Con Giolitti avevamo un committente privato con il quale abbiamo radicalmente riqualificato uno spazio pubblico nel giro di un mese, in Turchia; mentre, in Italia per il parco dei 5 sensi a Frosinone, avevamo un cliente pubblico, e tuttora, dopo 5 anni, non siamo riusciti a far aprire, nonostante le opere siano terminate,dopo lunghe trattative, ed eravamo noi a dover forzare e coinvincere il cliente pubblico, a fare il suo dovere. In sintesi, un’impresa privata che cerca in tutti i modi di portare avanti un lavoro pubblico. Da notare che ancora non abbiamo ricevuto alcun compenso per il lavoro normalmente svolto e per quello in più che non veniva svolto dall’amministrazione. Tutto al contrario insomma. Lo scopo era quello di dotare un quartiere di Frosinone di una parte degli standard a verde che non erano mai stati realizzati per problemi misteriosamente vari, fino ad oggi, privando da 40 anni i cittadini di vivere in condizioni normali il loro quartiere e di fatto privatizzando pubblicamente i terreni da espropiare per pubblica utilità. Senza la volontà privata dei progettisti, non saremo nemmeno riusciti a finire i lavori pubblici. La nostra figura oggi è quella di un grande accordatore, sempre presente ai tavoli concertali fra le parti: imprenditori, figure politiche, utenti, compratori, costruttori, ognuno ha una parte da tutelare e degli interessi specifici; ascoltando tutte le parti coinvolte si può arrivare sostenibilmente ad un accordo capace di generare economia e allo stesso tempo riqualificare con qualità. Non cristallizzare un’idea in una forma ed in un modo di agire, ma essere dei vulcani di idee a 360 gradi.
FL 08: In base alle recenti norme per cui il 60% dell’energia dev’essere prodotta o rinnovata dall’edificio stesso, come vi siete relazionati con questo nel recente masterplan CDR-CDU e come siete riusciti a conciliarlo con un bel design? BF: La sostenibilità ecologica e ambientale è fondamentale per la nostra generazione ed esistono degli strumenti che abbiamo dentro la testa e che salgono durante il processo della progettazione da soli. L’estetica, la forma dell’edificio e la strategia di progettazione possono rendere la progettazione sostenibile, ecologicamente, economicamente e socialmente. La scelta del materiale, il corretto orientamento delle tipologie e delle funzioni in relazione al soleggiamento e nel rispetto dei dati ambientali dello specifico geografico. L’aver incorporato l’idea di un’alta variazione tipologica e una serie di funzioni differenziate che possano aprire durante l’arco della giornata, e che quindi permettono la vita comune tra differenti categorie sociali, sono tutte caratteristiche che hanno contribuito a generare un processo, economico politico, sociale e ambientale che contribuisce alla sostenibilità del progetto. Il progetto non è solo un escamotage tecnologico, ma ha alla sua base dei semplici criteri di buon senso. Dall’ orientamento solare, dall’ uso del verde, che permette di avere un filtro naturale grazie alle tipologie arboree differenti sia a sud che a nord. Per studiare l’orientamento usiamo vari software seguendo la progettazione sostenibilmente fin dall’inizio incorporando i dati ambientali subito. Quelli del masterplan CDR CDU sono edifici sostenibili anche a livello sociale, grazie ad un’aggregazione tipologica molto complessa e alla variazione funzionale, tipologie differenti per avere la possibilità di ospitare famiglie di categorie molto diverse. Differenziare il mercato è importante e sostenibile anche per il costruttore, l’astuzia del progettista è quella di creare uno spazio di socializzazione; nel nostro progetto solo per aver introdotto un edificio di terziario abbiamo assicurato al quartiere una vita anche di giorno, allontanando l’effetto dormitorio.
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1. BIMSA competition courtesy of Nàbito Arquitectura 2. Giolitti - Istanbul ph. Temmuz Arsiray
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Nàbito Arquitectura was born from the volounty of two italians adopted by Barcelona, Alessandra Faticanti and Roberto (Bebo) Ferlito. Today the jazz background that covers the telephone voices is coming from Bebo’s office. And with him, this morning, I’ll talk about their projects, about how to export Italian architecture abroad and how to import it from Catalunia to Italy. FL: Hi Bebo. BF: Hello Francesco. FL:: Can you hear me clearly? BF: Yes, perfectly. FL:: Cool. What kind of music are you listening to? BF: Some Jazz… FL 01: I like it. Does jazz accommodate your way to design? How is music involved with you and with your office? Is there a specific kind of music for each project phase? BF: Like our designs, our music is very eclectic: we listen to online music without labeling it. Every day we have different random music. The Internet takes us to different spaces and times, not only through music: it’s a sensation vortex between the real and virtual worlds. We are accustomed to designing in a hypersensitive state, always subjected to a thousand solicitations, from the present, past and even the future; our projects follow these sensations. Some offices restrict Internet access to their workers, but we encourage our staff to focus not only on their drawing, but on all the actions that surround a project. In this way, the studio becomes a real cultural enterprise. FL 02: How does Nabito relate to new medias? How is your work, and the architect’s work in general, affected by new, specialized online magazines? BF: Interesting. As we were saying before, the old concepts of work, with a fixed pay, with a pre-established timetable, no longer have a “raison d’être.” Leisure is an opportunity for renewed activity; the generator (through new forms of communication and intellectual interaction) of a process that radically changes space and time in cities and between them. It produces a cognitive surplus. Nabito works 24 hours a day, it idles 24 hours a day, surpassing the limits of functional categories and aesthetic and intellectual clichés within their projects. Regarding the diffusion of architecture today, there has been an open debate between Manuel Gausa and other architects of the same generation, characterized by numerous platforms founded or cofounded by Manuel himself. Not to mention them all, just think about the internationalization of Quaderns, the official journal of the Catalan College of Architects. During the years in which it was directed by Manuel, he was able to surround himself with an entourage of professionals that enhanced the possibility of the communication
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in architecture, that improved internationalization, and gave a comprehensive and critical view of the critical aspects of contemporary architecture and urbanism. The journal introduced a new and interesting emerging European reality with similar thoughts (a generation of ideas,) but with different specific and formal results. Actar Editorial from Barcelona to France via Archilab Metapolis UIC and IAAC (Istituto di Architettura Avanzata di Catalunya) are examples of starting points opened by Gausa for the diffusion of the architectural debate that often were unable to continue properly. Although the case of Actar Editorial is still an example of a crossdisciplinary editorial, or at least it was in the traditional way, today we no longer believe in the use of printed magazines to spread architectural thoughts. FL: I agree, nowadays many people use the Internet, omitting printed magazines; City Vision is a free press magazine instead. BF: Don’t misunderstand me; I’m not against printed magazines. I’m not a dogmatic person. But I think that the world of press is not sustainable, as it is directly linked with paper and ink industries. On my device I have the Alexandria library in five different languages, and I’m able to take it with me anywhere, and access it at any time. Some magazines can’t understand these changes and can’t take part in the new economy. But I think that this kind of change will be in effect soon. Reflecting on the cognitive surplus, the concentration of daily activities and the convergence of new media technologies with the old ones determines the ease of production but binds the work with the great personal pleasure of producing comfortably with our own tools. I recommend a book by Daniel Pink and Clay Shirky on the comparison between the revolution created by Internet in the United States and the one created by television. FL 03: It’s the same concept expressed by De Masi when he speaks about the creative idle… BF: Most importantly, time spent passively watching television is now activated by interacting with the network. People are producing concrete ideas about society, politics, technology and economics, which often lead to the production of high quality products that can be freely diffused over a network and can in turn affect the structure of real life. (Look at the social network; a multimillion-dollar business based on cognitive leisure activities, or, more recently, the tsunami generated in journalism by Wikileaks. There are countless examples…). Basically it’s taking advantage of idle time and transforming it into an activity but a pleasurable one that can take place in different spaces and that is not exclusively devoted to a single task. The planning standards of the 1900’s were based on 8 hours shifts: 8 hours for work, 8 for recreation and 8 for sleep. Time was divided into boxes, like space was in turn given a set square footage for each activity. The expansion of contemporary time
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1 1. CDR CDU - view 2. CDR CDU - solar scheme courtesy of Nàbito Arquitectura
to make use of all 24 hours has also merged the various functions, fusing and overlapping stimuli. It’s a multiplication of the time spent in different environments and through multiplied functions. The space of the work is not fixed but free to move in time and especially in space. The same happens for other activities, which are increasingly difficult to separate. How is this reflected in urban and contemporary law?
combination of various residential modules with many shapes and sizes that gave everyone the opportunity to choose what best suited their particular needs. It ‘s a powerful political message: equal rights for different expectations: a community of individualities. I highly recommend his book-manifesto, “A Right to Difference”.
FL 04: Architecture masters including Wright and Le Corbusier gave a lesson in designing functional, pleasant building that related to the human scale; they also put an accent on serialization. This concept was grossly misunderstood in Rome and implemented in projects like Corviale. Currently there is an ongoing debate about a plan that was presented in November by Leon Krier, what do you think about it? BF: The ideas of all influential thinkers should be considered in context with the era in which they were developed. Wright and Le Corbusier were two great designers, each reacting to the realities that surrounded them. One focused on pragmatic solutions for a post-war Eurpean society and the other dealt with great American expanses in a society where Fordism had produced widespread cultural growth. The conditions of the Corviale project in Rome do not favor either the “unite d’habitation” model or the “existenz minimum” one. Corviale grew in absence of adequate infrastructure, because of messy and confused developments along the agro romano and the disgraceful GRA. It became a dormitory suburb, without proper facilities and marginalized not only from the central districts which were also disconnected from each other but also from the urban sprawl that was developing illegally. At the same time, other cities in Europe had already been equipped with subway systems that allowed for rapid capillary connections and lead to decentralization and the emergence of new poles with unique characteristics. Today, Rome is still in the same situation as it was 50-60 years ago. During the same period, Jean Renaudie built a dwelling complex that mixed housing with services in L’ille Sur France, Paris. He was opposed to Le Corbusier’s idea of serial apartments, and instead introduced the idea of differentiated multi-seriality, based on a
FL 05: How did you export the model of the contemporary city, embodied by Barcelona, to your plans for Rome, and how did you reach a synthesis between the two cultures? BF: It’s a difficult matter, hard to explain, but fundamental the existence of our firm and the realities of the Mediterranean world in which we work. We are in voluntary exile in Spain. It is a wealthy exile and a fruitful experience. Barcelona welcomed us warmly even though we knew from the very beginning that our relationship with Italy would not end, but on the contrary would achieve greater value. Barcelona has a very high quality of life. It is a public city that is engaged in a dynamic relationship with its territories. The city has modified its structures to satisfy contemporary needs. Barcelona gave us the incentive to understand these dynamics at a political level, and to investigate why Italian cities are anchored to an obsolete political administration with insufficient resources to promote urban reforms even though resources are relatively abundant in Italy. Rome is a private city, which wasn’t even able to develop a modern structure, and in these conditions it will probably never achieve a contemporary one. We live and work outside Italy, and therefore have a different perspective on the situation. We perceive it as a world that we love and would like to reform because there is definitely potential. Nabito means “not inhabiting” in the sense of trying to get away from our own cultural roots (habits) to get a chance to think about them in a new way, or simply to understand different ways of thinking about the territory and urbanism through exchanges with other cultures. It does not mean to lose one’s roots, but to be rooted even deeper. Often, our collaborators, returning from trips to Rome, make us think about the nature of our architecture; some issues are related to the 02 cityvision 43
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1. Sensational Park - concept 2. Sensational Park - floor planresso 3. Sensational Park - Frosinone ph. Robert Rodriguez Noyola 4. Sensational Park - Frosinone courtesy of Nàbito Arquitectura
exuberant landscape of Rome and of other Mediterranean cities. The relationship with public space, with different altitudes, with the vegetation, and with the color of the building facades is unique in the world. Romans understood the importance of the urban void, the forum, and the spontaneous colonization of space. Rome is a multidimensional city, with luxuries like the incredible Circus Maximus, an area with a contemporary essence, which despite the fact that it wasn’t designed for our age is able to change over time and adapt to new and different functions. The Trinità dei Monti staircase solves the urban problem of connecting two unlinked parts of the city, not simply with a staircase but with a very active, multi-functional public events space. Rome is fertile and inhabits its contemporary state to the best of its abilities. It has the right spaces and its traditions and history are full of interesting urban examples. We are revising our roots through the pragmatic metamorphosis left to us by the Catalan scenario; our task now is to transfer this knowledge to Italy. FL 06:You worked with Giolitti, a private Italian client who wanted to export their brand to Istanbul and the Middle East. How did you relate to works in foreign countries and how, thanks to the project, did you establish a dialogue between your architecture and the city? BF: The Giolitti project was born from the will to internationalize the quality of a product through the recognition of the historic shop; it is not a question of globalization, but one of understanding how to export artisanal work without losing the unique character of the product and also retaining some features typical of the original shop. We approached Giolitti like the Armani of ice creams. We wanted to internationalize it. The inauguration of our shop in the heart of the European part of Istanbul made us reflect on the role of architects and how we can aid investors, how we modify and upgrade public spaces though projects funded by private operators. We did not just export ice cream, but 44
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also the idea of the plaza atmosphere, of the walk, of hanging out and relaxing. We employed a few design tricks to also take a part of public space and modify it. People eat ice cream and socialize at the same time. The storefront relates to the public space and to the dynamic and flexible ways of using the plaza; it changes its surroundings constantly through the interaction and exchange between inside and outside. In Turkey, we wondered if the first Giolitti shop outside of Italy Giolitti could be a public space. FL 07: Could you talk about the difference between the relationships you have with public and private investors, specifically referencing projects in Italy and outside Italy? BF: Giolitti was a private client with whom we radically upgraded a public space in Turkey within a month. In Italy on the other hand, for the park of the 5 senses in Frosinone, we had a public customer, and still, after 5 years, we aren’t able to open it, despite the work being completed. We engaged in long negotiations, and are struggling to convince the public investor to do his duty. Briefly, we are a private company that is attempting to complete a public work. We have not received any compensation for the work we did that we were responsible for, nor for the work we did that should’ve been done by the administration. In short, it’s the opposite. The goal was to provide a portion of a green standard that had not been applied until now for various mysterious reasons, depriving citizens of life under normal conditions for 40 years while privatizing public land by expropriation for public use. Without the will of private designers, we are not able to finish the public works. The contemporary architect is a great diplomat, always present at debates between the parties involved: investors, political figures, users, buyers, manufacturers, everyone has a personal agenda to promote. Just by listening to all the people involved you can reach both economical and social sustainability, capable of stimulating the economy while at the same time developing high quality cities. The architect cannot appear to be self-referenced anymore, with the
semi-divine power of God to create the right thing. Today we must be creative figures responding strategically to problems and always ready with solutions. We cannot crystallize an idea in a form or in a manner of acting. We must act as volcanoes of ideas that relate with the other actors involved in the process. FL 08: According to new legislation, 60% of a building’s consumed energy must be produced or renewed by the building itself. How did you develop this theme in the recent master CDR-CDU and how did you reconcile it with a nice design? BF: Ecological and environmental sustainability is vital for our generation. There are standard design tools in our heads that come up during the design process. The aesthetics, the form and building design strategy can be used to make the design sustainable ecologically, economically and socially. The choice of material, the correct orientation of the various programs in relation to daylight and in compliance with environmental data of the specific geographical region are fundamental aspects to consider in our design process. Incorporating multiple typologies and mixing different functions that may take place at different times throughout the day, allowing for a common life among different social groups, are all features that have contributed to generate the economic, political, social and environmental processes which contribute to the sustainability of the project. The project does not only deal with technological matters, but is based on simple common sense. This includes optimum solar orientation and the use of green, which can establish a natural filter through the different types of trees to the north and south. In order to design sustainably from the very beginning, we used different software to study the orientation by incorporating environmental data immediately. The buildings in the master plan CDR-CDU are socially sustainable, thanks to a very complex combination of typological and functional
variations: different houses that host very different families. Differentiating the building market is important and sustainable for the investor. The skill of the designer is to create a space for socialization. In our project, we made sure that the district remains vital during the day, removing the dormitory effect by introducing a tertiary building. www.nabit.it
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MY NAME IS PIO
a singular discussion with the President of the MAXXI foundation, Pio Baldi, the famous Roman rapper, Tommaso Zanello and Francesco Lipari
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Mercoledì 15 dcembre 2010. Ore 14:30. Arriviamo puntuali al Maxxi e all’incontro con i nostri due protagonisti. Giornata di sole, prima un caffè, le presentazioni di rito ed iniziamo la nostra passeggiata all’interno del nuovo museo di arte e architettura della capitale. Vi chiederete il perchè della scelta di due personaggi così apparentemente distanti, ma con molti punti in comune: entrambi sono romani e impegnati nel promuovere la cultura nella loro città. Con uno sguardo contemporaneo, ma allo stesso tempo critico. F.L.: La Grande Onda, fondata nel 2004 da Tommaso, vuole promuovere il talento musicale attraverso l’apporto d’importanti distributori musicali. Tommaso ci puoi raccontare come è nata questa idea e che risultati hai ottenuto? T.Z.: L’idea è nata perchè avevo fatto molta esperienza da indipendente, sia a livello di autopromozione che di gestione di un disco, dalla genesi creativa fino alla realizzazione fisica del supporto, quindi volevo mettere a disposizione questa esperienza, sia al servizio dei lavori che avrei fatto come indipendente che per tanti altri artisti validi, magari anche più giovani con meno esperienza, che potevano contare su quella via per avere i consigli giusti e muovere i primi passi in questo campo. I risultati sono una ventina di lavori prodotti da vari rappers italiani. Ultimamente non si parla di solo rap ad esempio nel mio ultimo disco che si chiama “Suono diverso” si mescola il rap con il rock; serviva un tono più aggressivo per affrontare tutte le tematiche politiche e sociali contenute nel disco, e questo per dimostrare che la “Grande Onda” si sta aprendo anche ad altro. Se devo fare qualche nome, ti posso dire Cor Veleno, tra i più importanti gruppi della scena nazionale e Amir, il primo rapper noto di seconda generazione. Amir è di origini egiziane vive a Roma a Tor Pignattara, è assolutamente integrato nel nostro contesto sociale, questo è prova che c’è un futuro possibile pacifico e creativo e di arricchimento reciproco tra popolazioni, civiltà e storie differenti in una città come Roma. F.L.: Presidente secondo lei il Maxxi può diventare la “Grande Onda” e quindi un motore di promozione per i giovani architetti? P.B.: Sì, sia per giovani architetti che giovani artisti. Il Maxxi non nasce dal concetto di museo, ma da un concetto di fluidità. Quando pensiamo ad un pezzo da museo ci viene in mente qualcosa di antico, polveroso, qualcosa da rottamare. L’idea di museo non rende bene l’idea del Maxxi. Il Maxxi vuole essere un punto dove entrano le idee e ne escono delle altre. Una fabbrica ricca di cultura, un punto dove le arti, architettura, musica, danza, spettacolo, pubblicità si mescolano e producono nuovi linguaggi, come un’antenna che riceve informazioni e trasmette a sua volta messaggi creativi. F.L.: Presidente il messaggio del Maxxi è molto chiaro, implodere all’interno la cultura del passato per poi “srotolare”, come dice lei, la contemporaneità, la cultura del domani. Quali strategie ha in serbo il Maxxi per mantenere alta l’attenzione del pubblico e soprattutto qual’ è la sua idea di contemporaneità? P.B.: Per quanto riguarda in particolare l’architettura è necessario avere contemporaneamente mostre che comunicano le idee di giovani talenti, insieme a mostre su personaggi storici come Moretti, Morandi. Il nostro intento è quello di riuscire ad intrecciare storia recente, in cui la cultura architettonica italiana 02 cityvision 49
ha avuto un’influenza molto forte, basta pensare al passato degli anni 60-70 quasi 80, ad una proiezione sul futuro basata sugli architetti più giovani. Ci sarà, per esempio, un concorso per giovani architetti tra Aprile e Maggio con il quale si vuole costruire e portare al MAXXI uno spazio sensibile che sia un installazione in sè ma che poi venga utilizzato per svolgere diverse attività, ad esempio per fare musica, per fare teatro, per fare un set televisivo, non solo fino ad inizio estate, ma anche nei mesi successivi. F.L.: Per promuovere la contemporaneità, per essere originali o per creare qualcosa di particolare c’è bisogno di interdisciplinarietà? P.B.: Sì, come ho già detto noi cerchiamo di mescolare l’arte e l’architettura con arti, le attività che hanno componenti estetiche come il design, la pubblicità, la moda, il cinema per costruire nuove idee. F.L.: Tommaso, invece qual è la tua idea di contemporaneità sia dal punto di vista architettonico che musicale? T.Z.: Dal punto di vista musicale nell’hip hop c’è qualcosa di simile all’architettura. L’hip hop prende qualcosa di vecchio e ne fa qualcosa di nuovo. Rinnova. C’è sempre una convivenza tra conservazione e innovazione. Sin dalle sue origini l’hip pop ha sempre guardato al passato, parliamo della musica dei rappers di New York degli anni ‘70, che adesso è mutato in ogni paese secondo i propri gusti e le proprie esigenze. L’idea dell’ hip hop romano, in questo caso specifico parlo di circa 5 anni fa, non è quella di andare a scimmiottare i ragazzi neri che vivono a Brooklyn, a New Orleans o nel Bronx, ma è quella di plasmarlo, in qualche modo di delinearlo secondo l’esperienza romana, rendendolo più originale a livello uditivo, ma anche a livello comunicativo. L’hip hop, quando abbiamo iniziato era un po’ di nicchia, legato a gente che viveva in una classe sociale più agiata, che poteva viaggiare, permettersi di comprare i dischi all’estero. Adesso è sulla bocca di tutti quanti dalla campagna alle grandi metropoli come Milano e Torino.
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F.L.: Parliamo di periferie a Roma. I quartieri periferici soffrono di un’assoluta mancanza di connessione con il centro storico, l’esempio più importante in questo momento è il quartiere di Tor Bella Monaca, del quale è stato presentato un piano urbanistico che piuttosto che riqualificare il quartiere punta alla sua completa demolizione senza curarsi dell’identità sociale e della storia che lo caratterizza. Qual’ è secondo voi una buona soluzione per legare il centro e le periferie? P.B.: Non so se la cosa migliore sia la demolizione, da questo punto di vista posso ricordare l’esperienza che è stata fatta a Corviale, un altro mostro urbanistico periferico di Roma, dove l’inserimento di arte contemporanea ha contribuito a rivitalizzare il contesto e a dare agli abitanti una maggiore consapevolezza del luogo, che non era affatto l’ultimo posto del mondo, ma spazio di attrazione architettonica. A Tor Bella Monaca può essere fatto tutto ciò e in parte è stato tentato. L’arte contemporanea può essere un buon modo per reinterpretare lo spirito dei luoghi e dar loro una maggiore vivibilità. F.L.: Magari con un giusto apporto qualitativo di architettura? Forse intervenendo in maniera specifica, in maniera qualitativa si potrebbe bilanciare energeticamente il problema che hanno gli edifici di quegli anni e in generale colmarne le grandi carenze strutturali ed energetiche. P.B.: Sì, il risparmio energetico è alla base del recupero edilizio, ma il problema della riqualificazione delle periferie anche è un problema politico e urbanistico. F.L.: Tommaso, secondo te, in che modo dal punto di vista musicale si può intervenire per riconnettere queste due realtà? T.Z.: Sono pienamente d’accordo con il presidente, l’arte è comunicazione. La comunicazione viaggia veloce e quindi è un modo per mobilitare determinati quartieri, ormai fatti così e che devono rimanere come prova per le generazioni future. Possono essere ri-nobilitati e ri-vissuti, ri-amati da chi ci vive e da chi non ci vive attraverso l’arte, con tutti i tipi di arte dalla musica al teatro. Penso che l’esperienza del teatro di Tor Bella Monaca, con la direzione di Michele Placido, ne sia un’ottima rappresentazione. A Corviale ci hanno chiesto di cantare la scorsa estate, e questo
ha portato persone a Corviale da altri quartieri più centrali. Quindi sicuramente l’arte nobilita e crea comunicazione emotiva ed umana, avvicinando le persone. Allo stesso tempo c’è anche internet che aiuta a scoprire il resto del mondo senza muoversi da casa e consente a molti fortunati di poter lavorare da casa senza dover fare i pendolari in mezzo al traffico romano. Il problema poi, è anche politico, perché un conto è l’edilizia, un conto è l’architettura. Palazzinari ce ne sono stati tanti e ce ne sono ancora oggi parecchi. Il loro interesse è fare case e venderle velocemente e tutto ciò che concerne i servizi è un surplus, visto che ha una voce negativa nel fatturato; sta poi alle casse comunali che sono vuote e a noi singoli cittadini rimboccarci le maniche. Infine, fammi aggiungere, che costruire mega centri commerciali non può risolvere il problema, forse possono farlo economicamente, ma a livello di vita vissuta reale, non rendono qualità a un quartiere come magari il mercato di una volta. F.L.: Alla luce di quello che è successo ieri (gli scontri a P.za del Popolo) qual è la tua idea sull’insoddisfazione degli italiani in questo momento? T.Z.: L’insoddisfazione è evidente da quello che è successo a Roma. Roma, come capitale d’Italia rappresenta il difficile momento, tante persone entità e realtà, dagli operai agli studenti, che non sono contente per vari motivi. Detto questo il problema è cosi vasto, che non posso dare una soluzione, io come artista posso solo raccontarlo, descriverlo, dare una mia opinione personale. Dalla realtà della situazione economica, sociale, del degrado ambientale, del ritorno del nucleare in Italia, ci si rende conto che la situazione è talmente pesante che non si riesce più a parlarne civilmente, ma si arriva a una degenerazione rabbiosa. F.L.: In che modo, secondo lei, presidente, si potrebbe migliorare la condizione dei giovani che si affacciano al mondo del lavoro in un momento delicato come questo? P.B.: Credo che in un momento come questo, ognuno dovrebbe inventarsi il proprio lavoro. E’ un momento difficile, cercare lavoro da dipendenti è complicato e frustante anche perché i meccanismi di reclutamento spesso non tengono conto della professionalità. E’ auspicabile che un giovane dia fondo alla propria energia creativa: inventandosi un lavoro, magari all’inizio di nicchia. C’è molto da inventare, bisogna iniziare ad essere imprenditore di se stessi, e credo che oggi sia il modo migliore per un giovane di affrontare un mondo che si sta tirando indietro.
F.L.: Questo vale solo per l’Italia o anche per l’estero? P.B: In Italia molto più che all’estero, c’è l’abitudine al lavoro dipendente, assistito, retribuito a tempo indeterminato, magari pagato poco, ma sempre, e questo può alimentare forme di debolezza, di rassegnazione, assuefazione, che bisogna contrastare progettando il proprio futuro. F.L.: Se il Maxxi fosse letto come un contenitore musicale, un insieme di strumenti, uno per ogni spazio espositivo che musica le farebbe venire in mente? P.B.: Le Corbusier ha detto che la musica è architettura pietrificata; questo è vero, perché l’architettura ha dei ritmi, degli spazi, un andamento, per i quali si può fare facilmente un parallelo tra architettura e musica. Se il Maxxi fosse musica, allora penso alla musica barocca con tutta questa serie di curve, salite, discese, tutto questo variare, sfumare. F.L.: E a te Tommaso che sensazioni musicali suscita uno spazio come questo? T.Z.: Pensando al Maxxi e a Roma mi piacerebbe mescolare il classico con il rock, quindi immagino un quartetto d’archi con un dj che crea un tappeto sonoro. Non può assolutamente mancare la musica elettronica, i Kraftwerk, i Tangerine Dream oppure tanti produttori indipendenti che creano musica elettronica. Tra tutti i generi, è quella che insegna di più a muoversi al giorno d’oggi, perché è vero che le prime etichette indipendenti sono rock, ma le prime netlabel che vendono e distribuiscono musica online, sono proprio frutto della musica elettronica. Inoltre siccome il direttore, giustamente parla di curve, fluidità, discese e risalite non può mancare un po’ di flow, cioè un buono e sano rapper che mette la sua timbrica su questo tappeto. F.L.: Tommaso, che binomi ti vengono in mente tra genere musicale e spazi urbani? Ad esempio il rap è facilmente assimilabile alle periferie, mentre l’elettronica che è sempre alla ricerca di un certo formalismo può essere più facilmente assimilabile a quartieri come l’Eur, dove peraltro ogni anno si tiene il festival Dissonanze. T.Z.: Quello che dici in parte è vero, ma a volte trovo che sia una forzatura giornalistica. E’ vero che molte delle sottoculture urbane nascono dalle periferie però spesso, e soprattutto quelle italiane, non sono made in Italy bensì importate. L’hip hop nasce nelle periferie newyorkesi, ma è a sua volta importato dalla cultura africana; il reggae non è importato dalle sottoculture periferiche, ma dalla Giamaica. Una sottocultura autoctona romana non la ricordo da un po’ di anni o magari mi sfugge, dobbiamo risalire agli anni più politici parlo degli anni ‘70, altrimenti credo sia tutto d’importazione. L’intelligenza sta nel renderli originali, come sta facendo ogni paese con l’hip hop inserendo degli elementi linguistici, dei campionamenti, ad esempio come Caparezza che campiona degli elementi di folk e taranta pugliese, prende un qualcosa che esiste ma lo rende del tutto nuovo senza dimenticare ciò su cui è imperniato, la lingua, la cultura, il costume del nostro paese.
F.L.: Recentemente il nostro magazine City Vision ha lanciato un concorso di architettura “Rome City Vision Competition” volto a promuovere una nuova immagine di Roma nel futuro attraverso idee innovative. Qual è la vostra idea visionaria sul futuro di Roma? P.B.: Roma è la meta dei sogni di milioni di persone che sanno essere stata l’anima dell’età imperiale, del barocco: con un 02 cityvision 51
centro storico tra i più grandi e più belli al mondo. Roma quindi nel futuro deve avere un centro storico che è esattamente quello che ha adesso. Il centro storico ripeto deve restare quello che è, naturalmente restaurato, con una metropolitana efficiente che possa liberare la superficie dalle automobili: ci dovrebbe essere una Roma sotterranea, come del resto nelle più grandi capitali del mondo che liberi la città dalle auto, dai pullman e porti il traffico sotto. C’è poi il problema delle periferie che vanno riqualificate, a cui va data un’opportunità di scambio e d’incontro, pari a quelle che ci sono nelle aree centrali. F.L.: Presidente quindi lei pensa che l’architettura contemporanea debba essere relegata solo ad occasioni puntuali? P.B.: Roma non sarà mai la città dei grattacieli, questi stanno ad Hong Kong, Chicago, Los Angeles, Pechino. Pechino ha abbandonato la sua cultura e ha fatto vincere nel suo centro storico la cultura nord americana: stando nel suo centro si potrebbe benissimo pensare di stare nel centro di Chicago o di Los Angeles. Roma ha la sua ricchezza, il suo futuro, proprio nel fatto di non affiancarsi a Pechino, Los Angeles, Chicago. F.L.: Ma in questo modo non c’è il rischio che i cittadini romani si avvicinino troppo lentamente ad un concetto di architettura contemporanea? P.B.: No, il Maxxi è uno splendido esempio di architettura contemporanea che si trova a pochissimi passi dal centro. La teca di Meier è nel centro e ci sta benissimo. Intorno ad essa ci sono esempi di architettura dell’anno zero come il mausoleo di Augusto, del ‘600 con la chiesa di San Carlo, dell’ 800 con i muraglioni del Tevere e del ‘900 con i grandi palazzi di Piacentini. Ci può ben stare anche l’edificio contemporaneo di Richard Meier. F.L.: Tommaso, qual è la tua idea di Roma nel futuro? T.Z.: Mi piacerebbe un centro più europeo con molti spazi
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pedonali, incentivare l’uso di biciclette, macchine elettriche e come dice il presidente trasferire sottoterra tutto il traffico giornaliero cittadino con i tempi richiesti (visto i continui ritrovamenti di reperti storici che si hanno quasi ogni volta che si scava). Si potrebbe arricchire molto la periferia, logicamente in Italia molto è legato al finanziamento pubblico, chiamando i famosi architetti, come il featuring di un disco, in modo da abbellire un progetto architettonico periferico con la loro opera, affinchè la gente sia invogliata a visitare questi quartieri per vedere questi progetti. Vorrei poi, anche qualcosa in centro, qualcosa di nuovo che non oscuri ma difenda il passato, proprio per dimostrare che l’architettura è come un albero: non ci sono le foglie senza le radici. Infine spero che lo skyline di Roma resti segnato dal “cuppolone” e non si vada oltre, in quanto simbolo della città. F.L.: Le archistar si sono già prese il centro, non sarebbe meglio lasciare le periferie a giovani architetti che hanno voglia di sperimentare? P.B.: Diciamo che le archistar sono state strumento dei politici per fare marketing sia su se stessi che sulla città. Ormai le archistar stanno finendo mi auguro che stia iniziando l’era dei concorsi per i giovani architetti. F.L.: Un’ultima cosa, come facciamo a convincere gli imprenditori che spacciano le loro costruzioni in periferia come architettura contemporanea che in realtà questa non lo è? P.B.: Adesso il mercato si sta stringendo e mi auguro che i costruttori s’impegnino in termini di qualità architettonica. Ad ogni modo è anche compito di chi compra verificare la qualità della casa, ad esempio, controllando se c’è o non c’è un isolamento termico e acustico, se gli spazi sono ben distribuiti, se ci sono servizi necessari a distanza ravvicinata ed è poi compito degli architetti, educare il cliente a comprare la qualità. Quando compriamo un qualsiasi oggetto, ad esempio una macchina fotografica, un’automobile, facciamo sempre un rapporto prezzo-prestazione. Per la casa no! E’ il momento che venga fatto e proprio in questo vedo una possibile chance per i giovani architetti che devono essere più bravi, più intelligenti, più sperimentatori!
Wednesday 15th December 2010 h 14:30 - We arrive on time for our appointment at the MAXXI with our two protagonists. It’s a sunny day, before coffee, we introduce ourselves and begin strolling through our capital’s new museum of art and architecture. You may wonder why we chose two characters so seemingly distant, yet they have much in common: both are Romans, and both are engaged in promoting the culture of their city through a contemporary, yet critical viewpoint. F.L.: The Grande Onda, founded in 2004 by Tommaso, wants to promote musical talent through the contribution of major music distributors. Tommaso can you tell us how this idea was born and what results you got? T.Z.: The idea came from the fact that I had a lot of experience as an independent, both in terms of selfpromotion and management of a disk, from the creative genesis to the physical realization of the media and everything else, so I wanted to provide this experience, both the service for my work that I did after as an independent for many new artists, maybe even younger and with less experience. They could count on getting the right advice and take their first steps in this field. The results are twenty works produced by various Italian rappers. Lately we don’t talk about rap only, for example in my latest album called “Suono diverso”, I mixed rap with rock. I needed a more aggressive tone to deal with all the political and social issues on the disc, and to show that this “Grande Onda” is also opening to other things. If I have to name a few, I can tell you about Cor Veleno, the most important group on the Roman scene, and Amir, the first known rapper of the second generation. Amir is of Egyptian origin, living in Rome at Tor Pignattara, and is completely integrated in our social context. This is proof that there is a possible future peaceful and creative and mutual enrichment between people, civilizations, and different stories in a city like Rome.
F.L.: President, do you think, Maxxi can become the “Grande Onda” and an engine to promote young architects? P.B.: Yes, both for young architects and young artists. Maxxi arises, not from the concept of museum, but as a concept of fluidity. When we think about the basis of a museum piece, we can think of something old, dusty, something to be scrapped. The idea of a museum does not make a good idea of Maxxi. Maxxi wants to be a point where we are entering and leaving the ideas. A factory of culture, a place where the arts such as architecture, music, dance, entertainment, advertising are mixed and producing new languages, as an antenna that receive informations and leaves them as creative messages. F.L.: President, the Maxxi message is very clear, imploding within the culture of the past and then “unrolling”, as you said, the contemporary, the culture of tomorrow. What strategies does Maxxi have in order to maintain the public’s attention and above all, what is its idea of contemporary? P.B.: About architecture we must have both exhibitions that talk about young talents, along with exhibitions made by historical figures such as Moretti, Morandi. Our intent is to be able to weave in the recent history, in which Italian architectoni culture had a very strong influence. Just think of the past 60-70 years, almost 80, and about a projection on the future based on the very young architects. There will be, for example, a competition for young architects in April and May with whom you want to build and bring to Maxxi a sensible space, which then will be used for various activities, such as music, theater, television, not only until the beginning of summer, but also in subsequent months. F.L.: To promote the contemporary world, to be original or to create something special, do we need interdisciplinarity? P.B.: Yes, as I said before we try to mix art and architecture with cultural activities that have estetic components as design, advertising, fashion and cinema, to build new ideas. F.L.: Tommaso, what is your idea of modernity from both an architectural and music point of view? T.Z.: From the perspective of hip hop music there is something similar to architecture. Hip hop takes something old and makes something new. It renews. There’s always this coexistence between conservation and innovation. Since its origins. Hip hop always looked to the past. We talk about the music of the guys in New York during the ‘70s, which in the present every country has accommodated according to their own tastes and needs. The idea of Roman hip-hop, in this case I’m speaking about 5 years ago, is not to become those who live in Brooklyn or the Bronx, or in New Orleans, but to shape it in some second way of stroking the Roman experience, making it more original at the hearing level, but also at the level of communication. Many of us have seen each other again; hip hop when we started was for the people, related to youngsters who lived in an affluent social class that could travel abroad, afford to buy the records; now it’s on everyone’s lips, those from Campania to big cities like Milan and Turin.
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F.L: Let’s talk about neighborhoods in Rome. The suburbs are suffering from a complete lack of connection to the historic center, the most important example in this moment is the suburb of Tor Bella Monaca, which was presented with a development plan that rather than seek to redevelop the neighborhood, points to complete demolition of the same, regardless of the social history that characterizes it. What do you think is a good way to tie the center and the suburbs? P.B.: I’m not sure that demolition is the best way, from this point of view I can remember the experience that has been made to Corviale, another suburban monster of Rome, where the inclusion of contemporary art has helped to revitalize the environment and gave residents a greater awareness of the place. That wasn’t the last place in the world, but the area of architectural attraction. In Tor Bella Monaca everything can be done and in part was attempted. Contemporary art can be a good way to reinterpret the spirit of places and give them a better chance of livability. F.L.: Perhaps with the right amount of quality in architecture? Perhaps by acting in a specific way with a qualitative energy balance, we could solve the problem of the buildings of those years, such as large thermic bridges and major structural and energy weaknesses. P.B.: Yes, energy conservation is the basis for building restoration, but the problem of rehabilitation of neighborhoods is a political and urbanistic problem. F.L: Tommaso, in your opinion, how can the musical point of view be taken to reconnect these two realities? T.Z.: I fully agree with the president: art is communication. Communication travels fast, so it’s a way to mobilize certain neighborhoods that must remain as evidence for future generations. They can be re-lived, re-loved by those who live there and who does not can live them through art, with all types of art, with music and theater. I think the experience of the theater of Tor Bella Monaca, under the direction of Michele Placido is a good representation. In Corviale, he asked me to sing this summer, and this has led people to Corviale from other central districts. So surely, art nobilizes and creates emotional and human communication, bringing people together. At the same time there is also Internet that helps people discover the rest of the world without leaving home and allows many fortunate ones to be able to work from home without having to be pushed into the traffic in Rome. The problem is also political, because one thing is building, architecture is another one; builders were many, there will be many and there are still many. Their interest is to make houses and sell them quickly and everything related to services is a surplus, because it has a negative entry in the turn over. It is then up to the municipality and individuals to roll up their sleeves. I have done it musically, live, and there should be many others in various districts and also because Tor Bella Monaca and Corviale are just the best known examples of run-down suburbs, but many others exist. Finally, let me add that building malls can’t solve the problem, maybe they can financially, but in real life, they don’t do the same as the market once did.
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F.L.: In the light of what happened yesterday (Piazza del Popolo clashes), what is your idea on dissatisfaction of the Italians at this time? T.Z.: The dissatisfaction is evident from what happened in Rome. In Rome, being the capital of Italy, so many entities and reality, from workers to students, are not happy for various reasons. The problem is so vast that I cannot give a solution. Me as an artist, I can tell, describe, give my personal opinion. From the reality of the economic, social situation, environmental degradation, the return of nuclear power in Italy, we realize that the situation is so heavy that you can no longer talk about it civilly; instead it becomes a violent and physical degeneration. F.L.: How, in your opinion, could we improve the situation of young people entering the world of work in a sensitive time like this? P.B.: I think that in a moment like this, everyone should invent their own work. It‘s a difficult time. Looking for work by employees is difficult and frustrating because mechanisms of recruitment often are not lookin to professionalism. It is desirable that a young person gives power to his or her creativity: inventing a job, maybe at the beginning not so common. There is so much to invent, we must begin to be entrepreneurs ourselves, and this is probably the best way for a young person to face a world that is pulling back. F.L: Is it like that just for Italy or also for all the other countries? P.B.: In Italy much more than abroad, there’s the custom of an employee and client, paid for an indefinite period, even paid a lot, always paid, and this feeds a sort of weakness of resignation, addiction, that we have to contraxt designing the future. F.L.: If the Maxxi was read as a music box, a set of music instruments, one for each exhibition space, what music would come to your mind? P.B.: Le Corbusier said that music is petrified architecture; this is true because architecture has rhythms and spaces, a development for which you can easily make a parallel between architecture and music. If Maxxi was music, then I think about baroque music with this whole series of curves, climbs, all its variations. F.L.: And for you, Tommaso, which music sensations comes from this space? T.Z.: Thinking about Maxxi and Rome I’d like to mix classic rock, so I imagine a string quartet with a DJ that creates a carpet of sound. We cannot miss the electronic music with Kraftwerk, Tangerine Cream, or many independent producers of electronic music. Among all the genres, it is one that teaches more about moving, because it is true that the first independent labels are rock, but the first net label that sold and distributed music online, was precisely the result of electronic music. The president, rightly speaks of curves, flow, increase and decrease, and I think a bit of flow, so a good rapper would put his tone on this carpet. F.L.: Tommaso, which pairs can you think about in music genres and urban spaces? For example, the rap is easily comparable to the suburbs, while the electronics that are
constantly in search of a certain formalism can be more easily assimilated in neighborhoods like the EUR, however, where the Dissonanze festival is held every year. T.Z.: What you say is partly true, but sometimes I find it a stretch for journalism. It’s true that many of the urban subcultures, however, often come from the suburbs, and especially the Italian ones, are imported, not made in Italy. Hip hop was born in New York suburbs, but it is initially imported from the African culture; reggae is not imported from peripheral subcultures, but from Jamaica. I don’t remember a native Roman subculture for years. We must go back in time, to most politicians in the 70s, otherwise I think everything is imported. The intelligence is to make them original, as each country is doing with hip hop elements, inserting language, a number of samples, such as Caparezza that samples the elements of folk and “taranta”, taking something that exists, but making it new without forgetting its focus: language, culture, customs of our country. F.L.: Recently our magazine, City Vision, has launched an architectural competition “Rome City Vision Competition” to promote a new image of Rome in the future through innovative ideas. What is your visionary idea about the future of Rome? P.B.: Rome is the city of dreams for millions people. It has been the soul of the imperial age and the baroque, with one of the most beautiful centers in the world. In the future Rome need to have the same historical center. The old town, I repeat, must remain what it is, of course, restored, with an efficient subway that can take out cars from the center: there should be a subterranean Rome, like in most major capitals of the world to free the city from cars and buses, bringing the traffic below. Then there is the problem of the suburbs that need to be rehabilitated, that deserve an opportunity for exchange and meeting, the same as the central areas.
F.L.: But in this way is there a risk that the citizens of Rome too slowly produce a concept of contemporary architecture? P.B.: No, Maxxi is a stunning example of contemporary architecture and is located a short distance from the center. The case of Meier is in the center and it’s fine; there are nearby examples of architecture of the zero year with the Mausoleum of Augustus, with the church of San Carlo the ‘600, of the ’800 with the Tiber’s walls and Piacentini’s buildings. Also Richard Meier building can fits. F.L.: Tommaso, what is you idea for the future of Rome? T.Z.: I’d like a more European center with many pedestrian areas, encouraging the use of bicycles, electric cars and, as the president says, to transfer all traffic underground, taking the time required (given the continuing discovery of historical artifacts that have almost every time you dig). The periphery could be enriched. Logically, Italy is linked to public financing, and could call on famous architects, so as to beautify an architectural edge with their work, so people are encouraged to visit these neighborhoods to see these projects. I would also like something in the center, something new that does not overshadow, but that defends the past, just to prove that architecture is like a tree: there are not leaves without roots, and finally, I hope that the skyline of Rome remains marked by the “dome” as a symbol of the city. F.L.: Archistars have already taken the center. Wouldn’t it be better to leave the suburbs for young architects who want to experience? P.B.: We can say that archistars have been the tool of political marketing, marketing themselves more than the city. By now archistars are running out. I hope that this is beginning of the era of competitions for young architects. F.L.: One last thing: how do we convince the entrepreneurs who peddle their buildings in the suburbs as contemporary architecture, though in reality it is not? P.B.: Now the market is tightening and I hope that builders will engage, in terms of architectural quality. However, it is also the duty of the buyer to check the quality of the house, for example by checking, whether or not there termical and acoustic isolation, if the spaces are well distributed, and it is then up to the architects to educate the customer to buy quality. When we buy any object, such as a camera, a car, we always do a priceperformance ratio. Home no! It‘s time to do it and in this I see a possible chance for young architects who have to be more talented, smarter, more experienced! www.cityvision-mag.com
F.L. President do you think that contemporary architecture should be relegated to only specific episodes? P.B.:Rome will never be a city of skyscrapers; they are in Hong Kong, Chicago, Los Angeles, Beijing. Beijing has abandoned its culture and its old town to North American culture: standing in its center you may think to be in downtown Chicago or Los Angeles. Rome has its wealth, its future, not looking to Beijing, Los Angeles or Chicago.
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Emerging Marco Computation Vanucci interview by Davide Del Giudice Marco Vanucci è un architetto e ricercatore con base a Londra. Dopo essersi laureato alla AA Architectural Association nel 2004, ha lavorato per Zaha Hadid Architects facendo parte del team per il progetto del London Acquatic Center per le Olimpiadi 2012. Attualmente lavora con Adams Kara Taylor trovando l’oppurtunità di sviluppare il suo interesse per i sistemi organizzativi e performativi a metà tra architettura e ingegneria, progettando con loro il padiglione per l’Expo di Shanghai 2010. In parallelo con queste attività ha sviluppato una ricerca personale con OPENSYSTEMS (www.opensysdesign.com). Lo studio esplora l’emergente interdisciplinarietà tra architettura, ingegneria, biologia e programmazione e sviluppa protocolli di progettazione organizzativa. Gira fra Europa e Nord America presentando il suo lavoro ed è spesso ospite di AA, Bartlett School, Columbia University, KTH Stockholm, Harvard GSD e ESA Paris. DDG 01: Puoi parlarci dei tuoi inizi? MV: Dopo la laurea all’Architectural Association ho iniziato a lavorare presso Zaha Hadid Architects nell’ottobre del 2004. Lì ho preso parte alla competition e alla fase post-competition per il nuovo Aquatic Centre per le Olimpiadi di Londra 2012. Nel 2006 ho deciso di iniziare a lavorare presso AKT Part Team seguendo la mia passione per il design performativo ed i sistemi emergenti in architettura: Part è un team multidisciplinare dove computazione ed ingegneria strutturale lavorano al servizio del progetto di architettura. Inoltre, lavorare con Hanif Kara mi ha esposto ai piu vari aspetti dell’industria delle costruzioni: dal cantiere all’accademia. Tra i progetti in cui ho lavorato spiccano il Museo di Arte Nuragica a Cagliari con ZHA, SZNM in Abu Dhabi con Foster e il Padiglione Inglese a Shanghai 2010 con Heatherwick Studio. Sono inoltre coinvolto a livello accademico nell’insegnamento presso KTH University dove regolarmente organizzo workshops and lectures. Ho partecipato come guest critic presso AASchool, Columbia University e Harvard GSD. Ho partecipato a diverse mostre e simposii internazionali tra cui: ACADIA’08 and AA “Beyond Entropy” 2010 in occasione della Biennale di Venezia 2010. DDG 02: Sei stato invitato da prestigiose istituzioni accademiche per dei workshop e interventi critici (Architectural Association and Columbia University, ESA Paris) ed inoltre condividi parte della tua ricerca nel blog, O P E N S Y S T E M S. Qual è il potenziale della condivisione di codici in termini di dibattito architettonico? MV: Le tecnologie digitali hanno senza dubbio determinato un cambiamento paradigmatico per la disciplina architettonica. Se da una parte l’avvento di software parametrici ha contribuito allo shift
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1. Homeostatic courtesy of Opensystems
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dal prodotto al processo, la cultura Open Source ha giocato un ruolo determinante nella disseminazione e produzione di nuovo sapere. Condividere i codici ha aperto le strade ad una nuova sintassi nel progetto d’architettura: operazioni codificate quali la recursione, per esempio, ha costituito la struttura portante per la diffusione di una nuova sensibilità nel design d’architettura. In questo senso P. Schumacher parla già di un nuovo stile: il Parametricismo. Posso dire che nella mia esperienza la condivisione di codici è servita come impalcatura su cui costruire relazioni e cercare di sviluppare di tanto in tanto un linguaggio e una sensibilità personali all’interno di un campo di ricerca collettivamente condiviso. Penso anche però che le buone idee abbiano bisogno di essere protette e non costantemente esposte. Credo che un sano periodo di incubazione prima di condividere sia auspicabile. Se da un lato la cultura Open Source presenta uno spirito positivamente collaborativo costituendo una fonte costante di aggiornamento, penso anche che le buone idee abbiano all’occorrenza bisogno di un po’ di privacy. Il dibattito sull’Open Source va decisamente al di là della disciplina architettonica. Seguo da qualche tempo con grande interesse il dibattito tra coloro che entusiasticamente sostengono l’avvento di una intelligenza collettiva e coloro che auspicano una più “umano”, meno impersonale sviluppo della cultura del web. Pur apprezzando i vantaggi dell’OS, mi trovo talvolta a condividere una visione moderatamente scettica. Credo che il punto non sia se OS sia buono o cattivo, quanto piuttosto se sia sostenibile nel lungo termine. Per eventuali approfondimenti suggerisco i libri di Chris Andreson (Pro OS) e Jaron Lanier (scettico). DDG 03: Stai attualmente lavorando con Adams Kara Taylor allo studio di geometrie complesse. Che tipo di tecnologia architettonica stai esplorando al momento? MV: Affianco al consueto lavoro d’ufficio (progetti e competitions) con il Part Team stiamo cercando di sviluppare un’agenda di ricerca di medio-lungo termine. Stiamo verificando l’opportunità di lavorare a ciò che chiamiamo progetti post-vernacolari e digital-vernacular. Essenzialmente questa linea di ricerca consiste nello sperimentare le ultime tecnologie di fabbricazione digitale e applicarle in contesti vernacolari.
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Negli ultimi anni abbiamo lavorato e collaborato a diversi progetti nel continente africano. Là abbiamo avuto la possibilità di entrare in contatto con l’architettura locale. Ciò che troviamo affascinante sono le qualità proto-parametriche di alcuni processi costruttivi tradizionali. L’idea è di trovare opportunità per sviluppare progettipilota ed esplorare l’integrazione di processi digitali e in contesti e tipologie vernacolari. Questo rientra nel tentativo di trovare un uso piu sostenibile di risorse locali. DDG 04: Recentemente hai lavorato alla tassellazione di superfici doppie curve utilizzando elementi planari, un processo in grado di creare un sistema complesso grazie a semplici regole. Cosa puoi dirci sul processo di creazione e sulla possibile realizzazione di questi progetti? MV: Affianco al consueto lavoro d’ufficio (progetti e competitions) con il Part Team stiamo cercando di sviluppare un’agenda di ricerca di medio-lungo termine. Stiamo verificando l’opportunità di lavorare a ciò che chiamiamo progetti post-vernacolari e digital-vernacular. Essenzialmente questa linea di ricerca consiste nello sperimentare le ultime tecnologie di fabbricazione digitale e applicarle in contesti vernacolari. Negli ultimi anni abbiamo lavorato e collaborato a diversi progetti nel continente africano. Là abbiamo avuto la possibilità di entrare in contatto con l’architettura locale. Ciò che troviamo affascinante sono le qualità proto-parametriche di alcuni processi costruttivi tradizionali. L’idea è di trovare opportunità per sviluppare progetti-pilota ed esplorare l’integrazione di processi digitali e in contesti e tipologie vernacolari. Questo rientra nel tentativo di trovare un uso piu sostenibile di risorse locali.
Marco Vanucci is a London-based architect and researcher. After graduating from the Architectural Association in 2004, he worked for Zaha Hadid Architects. Among other projects, he was part of the design team for the new London Aquatic Centre for the Olympics 2012. He is currently working with Adams Kara Taylor where he found the opportunity to develop his interest for organizational and performative systems and the middle ground between architecture and engineering. At AKT he took part in the project for the British Pavilion at the Shanghai Expo 2010. In parallel to these activities, he develops his personal research with OPENSYSTEMS (www.opensysdesign.com), a research and design studio that he founded in 2007. OPENSYSTEMS explores the emergent interdisciplinary interaction between architecture, engineering, biology and computation developing organizational and performative design protocols. He has lectured and taken part in several exhibitions in Europe and North America. He’s also been invited as a guest critic at the Architectural Association, Bartlett School, Columbia University, KTH Stockholm, Harvard GSD and ESA Paris. DDG01: Could you tell us about your background? MV: I graduated from the Architectural Association and joined Zaha Hadid Architects in October 2004. At ZHA, among other things, I had the chance to work on the competition for the new Aquatic Centre for London 2012. Following my passion for performance-driven design and emergent systems, in 2006 I decided to join AKT Part team. What fascinated me about Part was its multidisciplinary approach to architectural design where computation and structural engineering established a direct dialogue with architectural design. Moreover, working with Hanif Kara gave me the chance to appreciate the manifold aspects of the construction industry. Other projects I worked on include ZHA’s Cagliari Nuragic Museum, the Sheikh Zayed National Museum with Foster and the UK Shanghai Pavilion with Thomas Heatherwick Studio. Besides working on projects I’m also involved in teaching first and second year students at KTH Stockholm. I’ve been invited as a guest critic at the AASchool, Columbia University and Harvard GSD.
I participated in several international exhibitions and symposiums among which ACADIA’08 and AA “Beyond Entropy”2010 in Venice. DDG02: You have been invited by several prestigious academic institutions to deliver workshops and/or as a guest critic (Architectural Association and Columbia University, ESA Paris) and you share part of your research on your blog, O P E N S Y S T E M S. What is the potential of sharing codes in terms of an architectural debate? MV: The innovations brought forth by digital technologies led to a paradigmatic change for the discipline of architecture: if, on one hand, the advent of parametric software packages contributed to the shift from products to generative processes, on the other hand, the Open Source culture played a key role in disseminating and producing new knowledge for architecture. Sharing codes has opened up to a new architectural syntax: codified operations such as recursion, for instance, provided the backbone for the research into generative patterns or continuous differentiated fields. Sharing codes has proliferated a diffused sensitivity in architectural design. P.Schumacher for instance talks about a new epochal style: Parametricism. I can argue that in my experience sharing codes constituted of, among other things, the scaffold to build up relationships, a personal language and design sensitivity within a
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1. Tokyo Fashion Museum plans 2. Tokyo Fashion Museum exterior gresso
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collectively shared framework. I also believe though that good ideas need to be protected and maybe they require a period of incubation before being publicly shared. I often see a very positive collaborative spirit in sharing codes that provides a great source for constant updates. Great ideas, though, need a bit more privacy. Thus, Open Source goes beyond the boundaries of architecture. I follow with great interest the debate between those who enthusiastically advocate the advent of the “hive mind” and those who predict a more “human”, less impersonal development of the web culture; I tend to appreciate the clear advantages of the former while I share some of the skeptical takes of the latter. I guess the question is not whether OS is good or bad but whether is sustainable on the long run. Anyone interested in further readings regarding this debate I suggest Chris Anderson’s (OS savvy) and Jaron Lanier’s (OS skeptical) books. DDG03: You are currently working with Adams Kara Taylor investigating complex geometries. What kind of architectural technologies are you exploring at the moment? MV: At AKT we are working on several competition projects trying, at the same time, to develop a mid-long term research agenda: we are verifying the opportunity to develop what we call post-vernacular or digital-vernacular projects. Essentially this line of research consists of experimenting with the latest digital fabrication technologies to be applied in local/vernacular context. Over the past few years we have been working on several occasions in the African continent. There, we had the chance to get in contact with the local vernacular architecture. We are intrigued by the proto-parametric qualities of some of the local traditional construction processes. Our idea is to find opportunities to develop a pilot project to explore the implementation of digitally–driven vernacular projects in an attempt to address a more sustainable use of local resources. More to come in 2011. DDG04: Recently you worked on the tessellation of double curved surfaces by employing planar elements, a process that creates a complex system with simple rules. What can you tell us about the process of design and possible fabrication of these projects? MV: Besides my professional commitments with AKT, I develop my personal research with OPENSYSTEMS (www.opensysdesign. com). I’m currently working on several different avenues of research. I use the Blog as a platform to share my ideas and develop generative protocols for design. In this respect, what I tend to publish on OPENSYSTEMS are ideas in search for a project. An effective metaphor is the samurai that builds his own weapon before getting into the fight; similarly, developing my own tools for architectural design gives me the freedom to master the project on my own terms. With OPENSYSTEMS I explore form and its emerging performative qualities. Through the use of digital tools I investigate form-generating and organizational processes. One of the recurrent ideas is, for instance, to develop complexity through recursive implementation of simple rules. The study of nurb surfaces and their tessellation is one classical example: in these exercises I study complex surfaces formed by simple flat panels. The flat panels can be easily fabricated by using a common laser-cut machine and subsequently assembled by means of simple rivet joints. In my work I study the generative formation process emerging from organizational, structural, manufacturing and environmental performances. www.opensysdesign.com
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1. Homeostatic serie 01 installation gresso
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crazilybjarke calculatedingels a special interview to Bjarke Ingels (BIG) by Francesco Lipari
Squilla il telefono ed ecco che prontamente risponde l’accento danese di Bjarke Ingels; qualche piccolo problema di linea, sarà forse la storica nevicata su New York a disturbare l’inizio della nostra conversazione? FL 01: La tua architettura sembra incredibilmente calcolata. Che genere di figure ci sono nel tuo ufficio o che lavorano intorno a te, oltre al tuo staff di architetti? Qual è la tua ispirazione al di fuori del campo architettonico? BI: Il mio ufficio è principalmente popolato da architetti e certamente tutti i miei colleghi che lavorano al funzionamento dell’ufficio provengono da diversi ambienti come gli account, poi abbiamo persone con diverse preparazioni accademiche e altre di tipo finanziario, ma la maggior parte di loro sono architetti tradizionali. Cosa facciamo in un progetto: decidiamo velocemente quali sono le risposte che vogliamo dare per quel sito specifico, se è un museo guarderemo all’ illuminotecnica, se è un museo d’arte chiameremo persone esperte di arte e se è una scuola, persone esperte in pedagogia che conoscano argomenti come l’insegnamento e l’apprendimento. Quindi, non avendo uno staff permanente, siamo liberi di scegliere quello giusto per ogni progetto ed inoltre penso che una caratteristica degli architetti è di essere generalisti, possiamo integrarci con ogni tipo di campo di studio, possiamo essere letterati avendo una discreta capacità intellettuale di acquisire informazioni velocemente. Infatti all’inizio di ogni progetto passiamo una buona fetta del nostro tempo a ricercare informazioni intervistando esperti, per poter avere una visione critica che risponda alle richieste del progetto. Le prime due settimane passano parlando con tecnici specifici. Quando disegnamo, la nostra ispirazione proviene da diversi campi di ricerca, certamente abbiamo i nostri campi preferiti come quello della costante accelerazione dell’innovazione, è l’idea degli esperti che ci influenza. Il nostro interesse principale è rivolto alla società, molto spesso incontri persone che vogliono realizzare cose
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1. 8 House - Copenhagen ph. Jens Lindhe gresso
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interessanti che sono annoiate dalla vita di tutti i giorni. Cercano di fare qualcosa di eccentrico e luoghi per l’ispirazione, credo che in The Mountain abbiamo risolto questa sfida quotidiana. Passiamo molto tempo alla ricerca di qualcosa di esotico, e tutti i giorni lo vogliamo sempre più, lavoriamo e viviamo più duramente le contraddizioni della vita quotidiana per cercare qualcosa di interessante, quindi è parte del nostro lavoro aprire gli occhi e alzare le orecchie sulle potenzialità dell’innovazione nella società. FL 02: Parlando di efficienza energetica, non pensi che gli abitanti di tutto il mondo debbano cambiare le loro abitudini, il loro stile di vita prima di imporre un nuovo tipo di vita cercando vantaggio nel sole, nel vento. Cosa ne pensi? BI: Credo che la sostenibilità e l’efficienza energetica provino che consumare energia non è un male, ma lo sia sporcare l’atmosfera con il CO2. Quindi non è l’effetto, ma il modo in cui lo otteniamo, questo è il problema. In questo senso il tema della sostenibilità è legato alla progettazione. Se avessimo risorse infinite, non ci sarebbe problema a impiegare tutta la forza che abbiamo, l’obiettivo principale è trovare una via per non disperdere energie, sostenibilità significa risparmiare con intelligenza ed inoltre cercare di ottenere energie in modo rinnovabile. E’ come l’idea di una sostenibilità edonistica: il problema non è morale o politico, è una sfida progettuale da organizzare e orchestrare non solo per il flusso delle persone ma anche per il flusso delle risorse, attraverso le nostre città e gli edifici, di modo che gli individui possano realmente vivere come vogliono, fare quello che desiderano, ma allo stesso tempo essere sostenibili. Se l’approccio alla sostenibilità è quello di chiedere alla gente di dare forma a una nuova ruotine, sarebbe come
entrare in un monastero e, semplicemente, non lo farebbero. Forse lo farebbero la domenica, ma nel resto della settimana guiderebbero le loro macchine, apprezzerebbero l’ottima temperatura e farebbero doccie calde, quindi spetta agli architetti e ai designer trovare una soluzione per diffondere lo splendore del modello di vita contemporaneo attraverso la strada del rinnovabile. FL: Dobbiamo essere “sostenibili” noi prima degli edifici? BI: Dobbiamo progettare il mondo che supporti lo stile di vita attuale. Lasciare le persone vivere nel modo in cui sono abituate a vivere, ma in modo che non distruggano il futuro delle nuove generazioni che hanno lo stesso nostro diritto di vita. Ci sono esempi di città sostenibili. Il nostro padiglione per l’expo di Shanghai era un esempio concentrato di come a Copenhagen, la sostenibilità della città contribuisce alla qualità della vita. Le persone posso andare in bici sul padiglione e capire quanto è divertente pedalare una bicicletta, molto più che rimanere incastrati nel traffico o cercare un posto per il parcheggio. Possono inoltre nuotare nei canali del porto, proprio perché l’acqua del porto di Copehagen è veramente pulita. Ci sono molti esempi di come questa città sia ambientalmente amica; puoi anche fare attività altrimenti impossibili in città più inquinata, puoi respirare aria fresca e nuotare in centro città. Per questo volevamo che i cinesi sperimentassero un nuovo stile di vita con il loro corpo e abbiamo portato a loro gli elementi che fanno il lifestyle della capitale danese.
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FL 03: Parliamo di macchine e architettura. Il progresso nei software e nell’industria architettonica ha reso tutto possibile, come quello che è accaduto all’industria del cinema. Nel futuro, puoi immaginare il tuo studio pieno di computer che serializzeranno le tue idee, allo stesso modo della catena di montaggio introdotta da Ford a inizio 900? Così senza architetti, senza uno staff. BI: No, posso immaginare che l’intelligenza artificiale diventi realtà, avremo computer con una creatività simile agli essere umani. Ray Kurzwell ha scritto un libro “The Singularity is near” dove ha predetto che, in un tempo fra il 2030 e il 2040, le macchine acquisiranno un’intelligenza pari a quella umana. Questo significa che sarà possibile unire intelligenza umana e artificiale. L’intelligenza umana è in gran parte definita dalla incredibile larghezza di banda e la capacità di fare ipotesi intuitive e ipotetico deduttive. La capacità di avere nuove idee sarà unita a quella dei computer, caratterizzata dalla capacità di risolvere velocemente incredibili equazioni senza bisogno di riposare e dalla capacità di avere immediatamente accesso ad un’altissima quantità di dati. Combinando queste due cose potremo diventare incredibilmente potenti e creativi, le macchine potranno essere umane. Non ci scommetterei che nel 2040 avremo l’intelligenza artificiale che sostituirà gli architetti, semplicemente trasformando il lavoro di architetti e designer a un formalismo automatizzato. Quindi credo che gli architetti dovrebbero implementare tutti gli strumenti a loro disposizione, dovrebbero accedere a tutti i dati possibili, dovrebbero abbracciare tutta la tecnologia che può consentirci di affrontare il un problema da prospettive diverse e non automatizzeranno mai la progettazione, perché necessita la caratteristica umana di generare idee in modo spontaneo e genuino. FL 04: Nei tuoi ultimi progetti, the Shenzen Mansion, the Tek Building, the Sowwak Island Bridges in Abu Dhabi, ho notato un nuovo approccio, più modaiolo, più d’avanguardia. Cosa puoi dirci di questa nuova ricerca? Essere fuori dall’Europa richiede un approccio più deciso per vincere un concorso e catturare l’attenzione del cliente? BI: No, non sono sicuro di essere d’accordo. I progetti che hai menzionate mostrano un approccio più curvilineo. FL: Questo approccio si nota nei progetti fatti fuori dalla Danimarca, ecco perché m’ incuriosisce. BI: Credo che gli architetti siano sempre guidati da dei parametri e dalle idee e cercano di raggiungere gli effetti desiderati. Possiamo sviluppare diversi vocabolari, alcuni
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“boxy”, altri sfaccettati, altri curvilinei, alcuni morbidi, altri duri, esiste un repertorio incredibile che non prendiamo in considerazione finchè non siamo limitati o votati a un singolo stile, ci sentiamo liberi di esplorare tutti i vocabolari per arrivare all’idea desiderata. Nel caso della Shenzen Mansion, il progetto ha le caratteristiche di un abito a pieghe che in realtà è progettato per bloccare la luce solare diretta nell’apertura verso Nord in modo da avere luce naturale abbondante e minimo abbagliamento e esposizione termica, al fine di ridurre il costo energetico dell’edificio. Per Sowwak Island, le superfici ondulate consentono l’accesso pedonale ai programmi annidati nel ponte su più livelli. Abbiamo fatto un progetto a Slussen, che era collegato a Sowwak Island, quasi come un pre-studio. In un’economia come quella cinese crediamo che realizzare cose molto costose sia possibile, cosa impossibile per l’economia danese o europea, quindi in questo senso il repertorio è limitato dalla geografia. Ecco perché dobbiamo sempre guardare verso l’apparato di produzione, l’ambiente economico e la forza lavoro nel paese in cui operiamo, per poter vincere la nostra partita con i nostri mezzi. FL 05: Per la nuova generazione di architetti tu rappresenti la speranza, perché hai realizzato i tuoi sogni e hai avuto la fortuna di realizzare i tuoi progetti, divertendoti… In Italia, funziona solo se hai un santo in paradiso o un amico nei posti alti, altrimenti è veramente difficile trasformare le idee in realtà. Cosa succede in Danimarca e chi è, se c’è, stato il tuo santo? (Qual è la chiave del tuo successo, come hai iniziato?)
BI: Dovrei menzionare un preciso momento, all’inizio della mia carriera ho avuto la fortuna di incontrarmi con Pierre Krisna, nostro cliente per VM houses, per The Mountain e 8 House. L’ho incontrato grazie ad uno dei nostri stagisti, amico di suo figlio e, ad una cena di famiglia, il nostro stagista, che adesso è uno dei partner, parlava del suo lavoro, del fatto che studiava architettura e che lavorava per un nuovo studio sperimentale che stava studiando nuove idee per degli appartamenti più economici del normale. Stavamo lavorando ad un’idea per sfruttare le serre e creare la superficie di copertura degli appartamenti, con arredi in legno che altrimenti non avrebbero sopportato il clima danese.
Lui ne fu curioso, perché per un investitore, “migliore ed economico” suonano sempre interessanti. Venne in ufficio e gli mostrai i progetti e così iniziò. Lui era un costruttore pratico, direttore di varie compagnie di costruzioni e si era da poco messo in privato. Non aveva mai costruito nulla di architettonicamente interessante, sempre cose semplici, ma grazie alla buona connessione che abbiamo avuto, è stata creata VM house. A quel tempo non avevamo ancora costruito nulla. Durante lo sviluppo, ho legato con lui e così è nata The Mountain, che era un progetto molto ambizioso e poi 8 House, che lo è molto di più. VM house è molto più tridimensionale e complesso, The Mountain crea case suburbane con giardini personali e 8 House espande lo spazio pubblico nelle tre dimensioni. Certamente è stata una fortuna incontrarlo e anche l’aver avuto una facile connessione mentale ci ha permesso di sperimentare sempre più. FL 06: In Italia il budget per la ricerca e la cultura è molto basso. Il paese non incoraggia il talento individuale. Puoi dare dei consigli alle istituzione o suggerire un modus operandi che potrebbe essere d’aiuto? BI: Come architetti non siamo mai pagati per fare ricerca. La gente ci paga per rispondere velocemente a delle esigenze. Penso che quello che facciamo ogni volta che iniziamo un progetto sia valutare tutti i criteri e una volta trovato quello adatto, sviluppiamo il progetto. Il progetto è dedicato ad investigare il potenziale di una particolare idea di sviluppo in un determinato contesto. Dobbiamo processare in modo molto veloce e essere sicuri che l’idea sviluppata per un progetto non sia mai persa, può sempre essere ripresa e sviluppata in un successivo progetto.
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1. 8 House - Copenhagen terrace ph. Ty Stange 2. Greenland National Gallery
Un’idea può evolvere fino alla quarta, quinta generazione, può maturare e ridefinire quello che poteva essere considerato troppo spinto e radicale o con troppi punti di domanda rispetto alla prima generazione, sarà maturata dal quinto e avrà acquisito un più alto livello di vivibilità che la rende possibile, perciò in questo senso direi, che è necessario sempre sfruttare la necessità di produzione e trasformarla in risorse per la ricerca e l’innovazione. In sostanza, portare tutti i progetti concreti in una ricerca sempre in crescita. FL 07: Ti piacciono i fumetti vero? Se tu potessi scegliere un super potere, quale vorresti per poter aiutare le persone a vivere meglio di adesso? BI: Direi la “Jedi mind-trick” che dona l’incredibile potere della persuasione. Penso che come architetto, molto spesso l’ostacolo principale non sia quello della gravità, dell’economia o della tecnologia, ma conquistare il cliente, le istituzioni, il quartiere, il pubblico e tutti quelli che possono commissionare un progetto e darci una possibilità. FL 08: Dopo “My Playground” e “Kibisi”, qual è la tua prossima alchemia per l’architettura? BI: L’idea dell’alchimia è quella di combinare cose differenti che sono normalmente separate. Combinando gli ingredienti tradizionali in modo insolito, puoi creare l’oro. Il progetto a cui sto lavorando adesso e l’idea di scrivere un libro di teoria architettonica sulla linea di un romanzo criminale. Avrà la forma della finzione criminale e fornirà molte osservazione sulla condizione e il ruolo dell’architettura nella società contemporanea e nella storia. Per adesso la bozza del titolo è “Who killed Corbu?”. 02 cityvision 65
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1. Danish Pavillion - Shanghai Expo 2010 ph. Iwan Baan
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Telephone rings and here we are, the Danish accent of Bjarke Ingels answers, a few problems of line, it will maybe the historic snowing storm on New York to disrupt the beginning of our conversation? FL 01: Your architecture seems so “crazily calculated”. What kind of people are there in your office that work around you in addition to your architect staff? What’s your inspiration outside the architecture field? BI: My office is mostly made up of architects. Of course all my colleagues that help with running the office have different backgrounds such as communications and accounting. We have people from different academic backgrounds and people with financial backgrounds, but the majority are very traditionaly architects. However, what we do when we begin a project is that we quite quickly establish the parameters for the specific project. If it’s a museum we are working on, we know we will need consultants in visual communication techniques, if it is an art museum, we need people that know about this specific art and if it’s a school, we will need to contact someone with a pedagogical background that would know about the latest ideas about teaching and learning. So, by not employing a permanent staff, we are free to put together the appropriate team for each project. One of the 68
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characteristics of architects is that we are generalists: we can associate with many different areas of knowledge. We may not be experts in all fields, but we should strive to be literate, to have the intellectual capacity and the basic knowledge which then enables us to absorb new information at a fast pace. Therefore, at the beginning of each project, we spend a bit of time conducting research, and interviewing different experts to acquire the critical criteria needed to give a response to the project. The first two weeks of work are spent talking to professionals in our project’s particular field. I think we draw our inspiration from all different kinds of fields. Sure, we have favorites, like the constant acceleration of innovation in contemporary culture which has been quite an inspiration on our work. It’s also the ideas of other experts that influence us. Our general attitude is that the real world is already interesting enough. You often meet people who want to do radical things. They claim to be bored with everyday life and they look for all kinds of eccentric ideas for inspiration. It’s in the mundane that
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I think there is potential for solving the daily challenges of life and making them more exciting. Rather than looking for some kind of exotic spice, we should try to just look harder at the demands and contradictions of everyday life to find something brilliant and interesting. In a way, a big part of our job is to open our eyes and open our ears to the potential developments and innovations in society that could then trigger a new experiment within architecture. FL 02: On the topic of energy efficiency, do you think that world citizens should first change their bad habits and lifestylse before imposing and dictating a new way to live by making more use of renewable energies like the sun and wind. What is you idea on this argument? (Is it like having a Ferrari without a good driver?) BI: I don’t think that consuming energy is bad, but polluting the atmosphere with CO2 and other contaminants is bad. So it’s not the action, it’s the way in which it’s carried out that’s the problem. In that sense, the whole notion of sustainability is a design challenge. If we had unlimited resources, there would be no problem with using all the calories we can. The main task is to find a way to not waste energy, to use more intelligent means and also to get energy from a renewable source. I like this idea of hedonistic sustainability: the problem of sustainability is not a moral or political dilemma, it’s a design challenge to organize and orchestrate not only the flow of people but also the flow of resources through our cities and buildings in a way that people can actually live the way they want, they can do what they want, but at the same time be sustainable. If we approach sustainability by asking people to give up parts of their daily routines, it would be like going to a monastery and people simply won’t do it. Maybe they’ll do it on Sunday, but the rest of the week they’ll drive their car, enjoy nice temperature and take a warm shower, so it’s up to designers and architects to find a way to deliver all the splendors of a contemporary lifestyle in an efficient, renewable way. We have to be sustainable before the building. We have to design the world so that it actually supports people’s lifestyles. We must allow people to live the way they want, but in a way that doesn’t deprive the future generations of the possibility to also live the way they want. There are also examples where a sustainable city can increase the quality of life. Our pavilion for the Shanghai World Expo was like a congested experience of examples on how, in Copenhagen, the sustainability of the city actually increased the quality of life. People could bike around the pavilion and feel how much more fun it is to ride a bike, rather than sitting in a traffic jam or looking endlessly for a parking spot. They could also swim in the harbor because in Copenhagen the harbor water is so clean you can swim in it. These are all examples of how this city is environmentally friendly; you can engage in activities that would otherwise be impossible in a more polluted city, you can breathe fresh air and swim in the middle of downtown. We wanted to allow the Chinese to experience their body through the elements of Copenhagen city life that makes it more livable.
1. Shenzen Energy Mansion BIG - model
FL 03: Let’s talk about machines and architecture. Progress in the software and architecture industries has made everything possible, like what’s happened in the movie industry for some time. In the future, can you imagine your office full of machines that serialize your ideas, similar to the way Ford introduced a system of serialized objects during the early decades of the 1900s? So without architects, without any staff. BI: No, I could imagine that once artificial intelligence becomes possible, you will have machines with human-like creativity and behavior. Ray Kurzweil wrote a book called “The Singularity is Near,” where he predicted that, sometime between 2030 and 2040, machines will acquire human intelligence. That means that they will actually merge the virtues of human intelligence and machine intelligence. Human intelligence is largely defined by incredible parallel bandwidth and the capacity to make intuitive guesses and hypothetical deductive reasoning. The capacity to get new ideas is going to be combined with machine intelligence, primarily characterized by the untiring capacity to compute really large and complex equations very fast without the need for sleep and also the capacity to instantly access vast amounts of data with high precision. Combining those two things will yield incredibly creative and powerful entities and although they are will not be organic and they will actually be human. I wouldn’t rule out the possibility that in 2040 you could have artificial intelligence that could act as architects and would be incredibly creative and innovative. Simply put though, turning the work of designers and architects into an automated process is formalism. So I really believe that architects should deploy all the tools they have available, should access all the data available, they should embrace all the technology that can allow them to approach a problem from different perspectives and then they will never automate the function of design because it necessitates the human characteristic of spontaneous and intuitive idea generation. FL 04: In your latest projects, the Shenzhen Mansion, the Tek Building, the Sowwak Island Bridges in Abu Dhabi, I’ve noticed a new approach, more fashionable, more avantgarde. What about this new exploration? Is it because outside Europe one needs to have a stronger approach to win a competition and catch the attention of a client? BI: I’m not sure I agree. The projects you’ve mentioned deploy a more curvilinear approach. This new approach can be seen in projects you made outside Denmark. That’s why I asked this question. I think architects are always driven by specific sort of parameters and ideas and to achieve those desired effects we can deploy various formal vocabularies, some would be boxy, some would be faceted, some would be curvilinear, some soft, 02 cityvision 69
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1. Tallin Town Hall - BIG 2. Danish Pavillion - Shanghai Expo 2010 - groundfloor courtesy of BIG
some hard, there’s an incredible repertoire of tectonics that we don’t always assign since we are not limited or committed to a single style, we feel free to deploy whatever vocabulary will achieve our idea in the best way. And in the case of the Shenzen Maison, it has the characteristic of a pleated dress that’s actually made to block out direct southern sunlight while opening to the north so you have abundant daylight and minimum glare and thermal exposure in order to reduce the energy consumption of the building. At Sowwak Island, the undulating surfaces allow for pedestrian access to programs nested into the bridge on multiple levels. We did a project in Slussen that was related to Sowwak Island, almost like a pre-study for Sowwak Island. In economies like the Chinese, we believe things are possible that would be overly expensive in a European or Danish economy and so in that sense the repertoire is sometimes limited by the location. That’s why we always look at the production apparatus, the economical environment and the labor force in the country where we operate to make sure that we match our ends with our means. FL 05: For a generation of young architects you represent hope because you turned your dreams into reality and you
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have been lucky in realizing your projects, and especially in having fun… In Italy that only works if you have a saint in heaven or a friend in high places, otherwise it’s really hard to turn your ideas into something real. How does it work in Denmark and who was your saint? (What’s the key to your success, how did you start?) BI: I should mention one defining moment, relatively early in my career I had the luck to run into a developer, Pierre Krisna, who became our client for the VM houses and for the Mountain and the 8-house. I met him because one of our interns was close to the son of one of his friends, so randomly they met at some kind of family dinner and this intern, who by the way is now one of my partners, was talking about the fact he was studying architecture and he was interning in a young innovative office that had come up with some ideas for how to build more generous apartment, much cheaper than normally. We were working on an idea where we would use agricultural greenhouses to create the exterior envelope for housing, where the housing inside would turn into wooden furniture that wouldn’t need to resist the hard climate of Denmark because it was inside of a protective climate. He was curious because for a developer, better and bigger and cheaper sounds interesting. He came to our office and I showed him around and we hit it off. He’s a practical builder, he’s the director of multiple construction companies, and now he has become a private developer. He never did anything architecturally interesting, he always made straightforward, boxy stuff, but because we had this good connection and he
understood our way of thinking, we created the VM house for him. This was at a time when we had built nothing. During the process, I developed such a good relationship with him that we then did the Mountain, which was a very ambitious project and 8-house that I think is even more ambitious. VM house was more 3-dimensional and complex, the Mountain created suburban homes with gardens in a dense urban context, and the 8-house expanded public space into the 3-dimensional spaces of the block. Of course it was an incredible stroke of luck that we met and also that we had such a good understanding and developed huge trust towards each other which enabled us to engage in more and more experiments and projects together. FL 06: In Italy the budget spent on research and culture is really low. The country does not encourage talented individuals. Can you give any advice to our institutions or suggest a modus operandi that could aid with improvements? BI: As architects we are never paid to research. People pay us to respond to a specific demand very quickly. I think what we do every time we begin a project is that we look for one key criteria and once we find it we define it as our field of research for this project. This project is dedicated to the investigation of the potential of a particular idea of the potential of a development in a specific field. We have to compute very quickly and therefore should make sure that
ideas developed for one project are never lost, they must some how be accumulated to be revisited for another project. An idea will evolve down to the forth or fifth generation, it will mature and be refined so that maybe what was considered too avant-garde or too radical. FL 07: You like comics, right? If you could choose a power, which one would you like to have to help people live better than they do now? BI: I would say the Jedi mind-trick, which gives you the incredible power of persuasion. I think as an architect, quite often our biggest obstacle is not gravity, or the economy or technology but it’s getting the clients, the city officials, the neighbors, the public, and all the contractors to actually commit to an idea and give it a chance. FL 08: After “My Playground” and “Kibisi,” what’s your next architecture alchemy? BI: The idea of alchemy is that you mix different things that are normally separated. By combining traditional ingredients in unusual ways, you create gold. The project I’m working on right now is an idea of writing an architectural theory book in the form of a conspiracy crime story. It will have the form of a fictional crime story yet it will deliver a lot of observations on conditions and role of architecture in contemporary society and history. The working title is “Who killed Corbu?” www.big.dk
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Come può cambiare la natura della città di Venezia nei prossimi decenni? text by Luca Molinari
Pochi giorni fa è apparsa la notizia del “ritrovamento” di un progetto di Palladio per la riforma radicale di Palazzo Ducale che non venne mai avviato causa peste, guerre e poche finanze (un classico per l’architettura ambiziosa). Antonio Foscari, nel suo libro “Unbuilt Venice” ci racconta di un grande edificio a pianta quadrata, completamente rivestito da colonne d’ordine gigante, da realizzarsi al posto dell’edificio gotico di fianco alla basilica di San Marco. Un edificio potente, autonomo, acceso, forse, nel suo dialogo con l’altra creatura del grande vicentino, la Chiesa del Redentore oltre le acque del bacino lagunare, e insieme un altro sogno, al pari del progetto per il ponte di Rialto, che non conosce la luce e che va ad arricchire l’inesauribile archivio di progetti assorbiti, per non dire uccisi, dalla potenza di questa città. Perché Venezia è come una medusa, ipnotica e irresistibile che attrae, da sempre, tutti i viaggiatori ambiziosi e gli sperimentatori visionari, ma che raramente concede palmi del proprio prezioso terreno strappato alle acque e alla melma. C’è chi ha scritto che Venezia ha anticipato di mille anni l’isola di Utopia di Tommaso Moro, ma credo sia impossibile affrontare questa città senza cadere in tutti i possibili luoghi comuni della modernità, tic e ossessioni comprese. Perché Venezia è uno di quei pochi luoghi nel mondo che ha sempre avuto la capacità e potenza di attrarre contemporaneamente alto e basso, mescolandoli in un’atmosfera che è insieme luogo dello spirito e del corpo, aspirazione all’impossibile e ricerca della bellezza a basso costo, come dire Brodskij e MacDonald, gondole e Le Corbusier, Florian e Wright, il Carnevale e Kahn, Murano tra Scarpa e paccottiglie, la suite al Danieli e le folle oceaniche mordi-e-fuggi, la Biennale e il mercato di Rialto, l’Harris Bar e i bacari, Tafuri e Arlecchino, dove tutto si rispecchia nel suo doppio mescolando valori, senso, importanza. E sotto questo punto di vista possiamo serenamente affermare che il secolo scorso, e questo ultimo decennio, non hanno fatto che accelerare questa percezione consegnandoci oggi una città svuotata di abitanti veri e popolata da ondate di umani consumatori di emozioni facili, rapide e indolori (il rapporto tra cittadini reali/60.000 e turisti lungo l’anno/20 milioni è impressionante e totalmente sproporzionato). Eppure se incrociassimo Venezia con la storia dell’ architettura del ‘ 900 troveremmo l’ultima grande opera urbana di Corbu, un impossibile palazzo per Congressi di Kahn, un sogno di riflessi e mosaico sul Canal Grande di Wright, ma anche le utopie temporanee delle Biennali d’Arte e Architettura, la Guggenheim, il Gran Canale pavimentato dai Superstudio e il Teatro del Mondo di 72
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Aldo Rossi (un monumento che galleggia, quale ironia sottile!), il realismo sofisticato di Valle con l’ideologia urbana di Samonà, l’architettura di lamiere e plastica di Gehry con il regionalismo sofisticato di Zucchi, la palestra d’idee e visioni dello IUAV con la cura per agopuntura dei tanti interni di Scarpa. Anche quando sembrava una città decadente, ai margini degli imperi, Venezia era un centro, un magnete a basso ma inesorabile voltaggio, e così funziona anche oggi, la città attrae in automatico, ma la domanda è un’altra: cosa può fare, cosa può offrire l’architettura a una città in fuga da se stessa, in perenne crisi d’identità? Perché Venezia è anche oggi un modello potente su cui lavorare e sperimentare, perchè città in bilico fragile tra acqua e terra, tra vita reale e turismo, tra theme-park e storia millenaria, tra naturale e iper-artificiale, tra un abitare sedimentato e nuove forme di nomadismo. E tutto questo, e molto altro ancora la confermano luogo elettivo per sperimentare e immaginare futuri prossimi. Ma, vista la delicatezza del tema e la rara preziosità dei luoghi, non possiamo pensare di presentarci al ballo con la nobile e antica città, sprovvisti di pensieri consapevoli e rispettosi. Non credo che Venezia possa ancora sopportare la solita malaparata di vanity fair di architetture pseudo-futuriste quanto piuttosto l’idea di abitare un inedito laboratorio progettuale dove visioni e teoria possano provocare un avanzamento reale e necessario. Cosa vogliamo regalare a questa città, e noi come pensiamo di ascoltarla per evitare l’ennesima fila di immagini e pensieri banali e inutili? Vogliamo per forza relegare questo luogo a essere preservato sotto vetro come se fosse una magica pallina di cristallo con neve incorporata? Oppure vogliamo immaginare per questo confine tra cielo, acqua e terra un destino diverso, inatteso e per questo stimolante per i destini della nostra architettura? Chi dice che la gente non tornerebbe a vivere a Venezia se i luoghi e le condizioni non fossero diverse? Perché è necessario che questo luogo sia unicamente destinato ad essere consumato da miliardi di fotografie e filmini e cellulari d’ultima generazione? L’architettura ha il potere di fare abitare i luoghi in maniera diversa, e di convincere committenti ad osare quando non sembrava possibile. Credo sia eccitante pensare a Venezia come a un grande laboratorio di contemporaneità in cui rimescolare le carte con spregiudicata e libera generosità. Pensate a questa città in cui lancerete progetti e visioni come a un luogo in cui voi potreste vivere, in cui desiderare portare la propria compagna o compagno, in cui augurarsi di fare crescere i propri figli, e i vostri pensieri prenderanno sicuramente una direzione diversa, non necessariamente più prudente, ma sicuramente più amorosa e attenta.
How can change the nature of the city of Venice in the coming decades? A few days ago, news spread of the “discovery” of one of Palladio’s projects for the radical reform of the Palazzo Ducale, which was never realized due to the spread of fever, wars and a lack of finances – a typical story in the field of architecture. In his book, “Un-built Venice”, Antonio Foscari describes a large square building, completely covered by an order of giant columns, to be built in place of the Gothic building next to San Marco’s Basilica. Projects like this one, autonomous in its dialogue with the other creatures of the great Vicenza, and others dreams, including the Church of the Redeemer over the waters of the lagoon and the Rialto Bridge as well as an inexhaustible archive of others may be killed by the authorities of this city. Venice is like a jellyfish; it is hypnotic and compelling in order to attract ambitious travelers and exploratory visionaries, but it rarely gives warning of its precious land covered in water and slime. There are those that say Venice has anticipated for the past thousand years the island of Utopia as described by Tommaso Moro. I think it’s impossible to tackle this city without getting tangled in the clichés of modernity, including its tics and obsessions. Venice is one of the few places in the world that has always had the ability to attract both the best and worst, mixing them in an atmosphere that enriches the body and soul, yet also strives for the impossible and for beauty at a low cost. Imagine a melting of the importance, meaning and values of icons like Brodsky and MacDonald’s, gondolas and Le Corbusier, Wright and Florian, the carnival and Kahn, Murano next to Scarpa and random junk, the suite at the Danieli and those that hit-and-run among the crowds, the Biennale and the Rialto market, the Harris Bar and the wine bars, Tafuri and Harlequin, all reflected in one city. The last century, as well as this past decade, have only accelerated this image, delivering today a city devoid of permanent residents and instead populated by quick and painless waves of easy consumers. The ratio of real citizens to tourists is 60,000 to 2 million, a number that is very impressive yet also alarming. If we looked at Venice through a historical lens of 20th century architecture, we would find the last great urban work of Corbu, an impossible congress palace by Kahn, a dream of reflections, a mosaic on the Grand Canal by Wright, temporary utopias of the Art and Architecture Biennales, the Guggenheim, the Grand Canal paved by Superstudi, the Teatro del Mondo by Aldo Rossi, (a monument that floats, such a subtle irony!) Valle’s the sophisticated realism, Samonà’s urban ideology, Gehry’s metal and plastic architecture, the sophisticated regionalism of
Zucchi, a multitude of IUAV’s ideas and visions and the acupuncture treatment of many interiors by Scarpa. Even when it looked like a decadent city, on the edge of empires, Venice was a center, a low voltage but inexorable magnet, which still works today, the city is undoubtedly still attractive, but the question is: what can it do? What can architecture provide to a city running from itself in a perpetual identity crisis? Venice remains a powerful model to work on and experiment. It is a city in balance between water and earth, between dayto-day life and tourism, between a theme park and an ancient monument, between the incredibly natural and the artificial, and between a static lifestyle and new nomadic models. All this reinforces the view of Venice as the place for experimentation and imagination. But, seeing the sensitivity of the subject and the rare value of the place, we cannot expect to present this noble and ancient city with unconscionable or disrespectful ideas. Venice can no longer support the typical pseudo-futurist architecture vanity fair. It should instead be presented with the unusual vision of a design laboratory where theory can lead to real and necessary progress. What do we want to give to this city and how we can we start listening her in order to avoid another row of images and useless, trivial thoughts? Do we want the power to relegate this site to be preserved under glass like a magic crystal ball with built-in snow? Or do we want to imagine for this boundary between sky, land and water, a different, unexpected destiny that will also interest us architecturally? Who says people won’t return to live in Venice, if the conditions will be different? Why is it necessary for this site to be consumed solely by billions of pictures, movies and latest generation cell phones? Architecture has the power to settle into places in different ways and to persuade its clients to be bold when they didn’t think it possible. It’s exciting to think about Venice as a great contemporary laboratory in which the cards are shuffled with free and open-minded generosity. Re-imagine this city by means of projects and visions of a place where you could live, where you would want to bring your partner or spouse, and in which you hope to raise your children. Let your thoughts take a different direction, not necessarily a wiser one, but a more loving and attentive one.
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venice CityVision architecture competition
Venice City Vision Competition è la seconda edizione della serie di concorsi internazionali promossi da City Vision Mag . L’ edizione romana, Rome City Vision Competition, ha richiamato più di cento partecipanti da ogni parte del mondo e ci ha stupito con una pagina di upload completamente “full” di progetti, tutti molto interessanti, che sono stati giudicati da una giuria di architetti internazionali con a capo Juergen H. Mayer e con membri come Francesco Gatti, Francesco Lipari, Felipe Escudero e Michael Caton. Scopo del concorso su Roma era dare la possibilità ad architetti, designer e studenti di attivare la propria creatività per stimolare il potenziale contemporaneo della città. L’immaginazione dei partecipanti, l’utilizzo di software parametrici ed ecotecnologie sono stati il motore principale delle visioni per Roma e le proposte hanno mostrato come sia possibile creare nuovi paesaggi digitali, per una città così legata al classicismo e alla tradizione. L’ obiettivo di Venice City Vision Competition parte dalle stesse linee guida ed, oltre a voler valorizzare il tessuto storico della città, vede nell’identità acquatica della laguna uno starting point fondamentale per creare nuove visioni di un possibile sviluppo di questa componente. Le visioni veneziane saranno giudicate da una giuria internazionale che avrà come presidente Bjarke Ingels, il fondatore dello studio danese BIG e da Neri Oxman, Elena Manferdini, Maria Ludovica Tramontin e Bostjan Vuga, tutte figure che si distinguono per la forte componente di sperimentazione nel loro lavoro. All’interno di questo numero avrete la possibilità di conoscere alcuni di loro, le loro idee, le loro filosofie e di vedere le immagini dei loro lavori. Diamo ufficialmente il via a Venice City Vision Competition! Via alle proposte, noi aspettiamo solo di essere sorpresi dalla vostra creatività! Quì di seguito potete leggere un’estratto del bando, scaricabile in forma compleata sul sito del concorso: www.cityvision-competition.com 1.1 Natura e scopo del concorso VeniceCityVision è un concorso di idee rivolto ad architetti, ingegneri, designers, studenti e creativi che potranno presentare le loro proposte progettuali allo scopo di stimolare, aggredire e sostenere la città contemporanea, in questo caso Venezia, attraverso idee innovative che migliorino la convivenza tra tessuto storico e tessuto futuro e favoriscano una corretta evoluzione della storiografia architettonica. La città italiana manifesta una costante mancanza di pianificazione urbana e una povertà progettuale. L’obiettivo del concorso è anche quello di spingere la vostra immaginazione, attraverso l’utilizzo di nuovi materiali, eco-tecnologie, softwar parametrici e l’ organizzazione territoriale ad una visione futura della città di Venezia. La globalizzazione, il riscaldamento ambientale, la futura storiografia della città, l’ adattabilità e la rivoluzione digitale sono solo alcuni degli elementi che dovrebbero essere presi in considerazione. La proposta progettuale può riguardare un monumento significativo, una strada, un quartiere o meglio l’intera città. Per questo motivo non ci sono restrizioni che riguardino sito, programma o dimensione del progetto. L’obiettivo è quello di dare la massima libertà cercando di realizzare la proposta più innovativa e provocatoria possibile che abbia lo scopo di smuovere e stimolare le coscienze dormienti delle amministrazioni locali. La proposta progettuale, poi, deve sostenere ed aiutare la natura cercando anche di generarla laddove ce ne sia bisogno, migliorare la città e il nostro stile di vita. Preparare i cittadini a tutto quello che li aspetta negli anni a venire, a come la tecnologia influenzerà gli stili di vita e come l’ architettura si evolverà.
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Questo concorso internazionale di idee ha tre obiettivi: 1. Stimolare la ricerca progettuale. 2. Incoraggiare la creatività delle generazioni di progettisti più giovani. 3. Stimolare lo sviluppo scientifico nel campo dell’architettura attraverso una riflessione critica sulla città. 1.2 Modalità di partecipazione Concorso internazionale di progettazione architettonica in un’ unica fase. La partecipazione al concorso è aperta agli architetti, ingegneri, designers, studenti e creativi di tutto il mondo. Essi possono partecipare singolarmente o in gruppo, previa indicazione di un capogruppo rappresentante. 1.3 Lingua La lingua ufficiale del concorso è l’inglese. P.S. CityVision fornisce anche un bando in Italiano. 1.4 Registrazione Architetti, ingegneri, designer, studenti e creativi sono invitati a partecipare al concorso. Sono consentiti raggruppamenti temporanei soprattutto se multidiscplinari. La multidisciplinarietà è una caratteristica importante perchè può aiutare a capire e rappresentare al meglio una visione globale della città. I partecipanti possono registrarsi su www.cityvision-competition.com: entro il 4 Aprile (prima registrazione) o il 27 Maggio (seconda registrazione). 1.5 Domande Le risposte alle domande frequenti sono online sul sito nella sezione Q&A, per qualsiasi dubbio scriveteci e aggiorneremo la sezione in tempo reale. 1.6 Premi 1 ° posto. € 2.000 2 ° posto. € 1.000 Saranno disposte inoltre 6 menzioni d’onore. 1.7 Presentazione DEGLIelaborati VeniceCityVision è un concorso digitale e le tavole in formato cartaceo non sono necessarie. I concorrenti dovranno inviare le loro proposte progettuali via e-mail entro e non oltre 6 Giugno 2011 (ore 22:00 Greenwich Time) al seguente indirizzo email: submission@cityvision-competition.com L’allegato, in formato zip, dovrà contenere 2 tavole di progetto in formato A2 orizzontale, una relazione tecnica in formato A4 e le informazioni sui partecipanti in formato A4. 1.8 Metodo di valutazione delle proposte I progetti saranno valutati sulla base di tre criteri. Durante il periodo di valutazione la giuria esaminerà apertamente gli elaborati sulla base dei seguenti temi: 1. Potere visionario, sulla base del quale la giuria si concentrerà sull’originalità e il carattere innovativo del progetto. 2. Qualità dell’ architettura, sulla base della quale la giuria esaminerà la composizione spaziale, l’inserimento nell’ambiente urbano, la qualità architettonica. 3. Sostenibilità economica ed ecologica. 1.9 Calendario 7 Febbraio 2011 Annuncio del concorso e inizio registrazioni 04 Aprile 2011 Scadenza termini prime registrazione al concorso 27 Maggio 2011 Scadenza termine ultimo registrazione al concorso 06 Giugno 2011 Scadenza termini per l’invio degli elaborati Giugno 2011 Annuncio dei vincitori Settembre 2011 Mostra dei progetti vincitori, cerimonia di premiazione e conferenza
Venice City Vision Competition is the second edition of the international competition series promoted by City Vision Mag. The Roman edition, Rome City Vision Competition, has attracted more than one hundred partecipants from all over the world and has amazed us with an upload page completely full of very interesting projects, which were judged by a jury of international architects led by Juergen H. Mayer and members Francesco Gatti, Francesco Lipari, Felipe Escudero and Michael Caton. The purpose of Rome’s competition was to give the opportunity to architects, designers and students to activate their creativity to stimulate the contemporary potential of the city. The aim of Venice City Vision Competition starts from the same guidelines and, besides wanting to enhance the historic texture of the city, sees the aquatic identity of the lagoon a fundamental starting point to create new visions about a possible development of this component. The imagination of the participants, the use of parametric software and eco technology will be the main driver of Venice’s visions and the proposals will shown how to create new digital landscape for a city so connected to classicism and tradition. The Venice ideas will be judged by an international jury which will have as president Bjarke Ingels, founder of the Danish office BIG and again Neri Oxamn, Elena Manferdini, Maria Ludovica Tramontin and Bostjan Vuga, all of whom are distinguished by the large experimentation willingness in their work. Inside this issue you will have the opportunity to virtually meet some of them, their ideas, philosophies and to have a look to their work’s images. Now, we officially launch Venice City Vision Competition! Let’s start with the proposals; we expect only to be surprised by your creativity! Down here you can read an extract of the competition brief. Go to the website: www.cityvision-competition.com to download the full version. 1.1 NATURE AND PURPOSE OF THE COMPETITION Venice CityVision is an ideas competition, which challenges architects, engineers, designers, students and creative individuals to develop visionary urban proposals with the intention of stimulating and supporting the contemporary city, in this case Venice. Through innovative ideas and methodologies which can improve the connection between the historical, present, and future city. CITYVISION aims to foster a critical evolution of architectural historiography. The Italian city manifests a consistent absence of Contemporary Urban Planning and relatively ineffective architectural intervention. The objective of the competition is to drive your imagination, by the use of new materials, eco- technologies, parametric software and territorial organizations for a future vision of the city of Venice. Globalization, environmental concerns, the future historiography of the city, adaptability and emerging digital practices are some of the elements that should be taken into consideration. Venice CityVision Competition focuses on the revealing of the urban context as a newly launched syntax of diverse terms. If one imagines the existing area as the creational canvas then on a mixture of Baroque and Renaissance fragments, one is invited to propose an original dialogue, an advanced element, as if inserting a new exhibit in an ever-existing museum. Aiming to highlight the intense water border, that divides the vertical body of the city in two parts – above and underneath it - the proposals given should reinterpret the symbiosis, the antithesis or even the collaboration of the three parts: the lower and upper urban segments, as well as the in-between limit. In the particular case of the city of Venice, it could be translated verbally as a live microcosm in constant - yet discreet - change. Then, the element of delicate motion can stand as a focal point of the competition. This specific urban example is appointed, one one hand, to represent a
moving city – concerning the as-said phenomenon of sinking – but also a city in which the transportations are being executed in a special way. Architects, engineers and all kind of creational artists are invited to participate in a competition that attempts to answer the following questions: How can a subtle city movement be expressed through a design proposal? How one may develop his work according to a vertical or horizontal axes? 1.2 PROCEDURE OF PARTICIPATION Architectural competition in a single phase. Participation in the competition is open to architects, engineers, designers, students and creatives world-wide. Individual or group entries are permitted. The indication of a group leader is required. 1.3 Language The official language of the competition is English. CityVision will provide also a competion brief in Italian 1.4 Registration Architects, engineers, designers, students and creatives are invited to take part in this competition. Temporary groups are allowed especially if they are multi skilled. Being multi-skilled is an important characteristic because it can help to understand and to better represent a global vision of the city. Participants can register at www.cityvision-competition.com till 4th April (first registration) or 27th May (late registration). 1.5 question & answers Answers to f.a.q. are already on the website page Q&A, write us for any further questions and we’ll update the section. 1.6 awards 1st place. € 2.000 2nd place. € 1.000 and 6 Honorable Mentions. 1.7 submission of boards This is a digital competition and hard copy proposals will not be accepted. All entries are to be submitted via e-mail on and before the 6th of June, 2011 (hours 22:00 Greenwich Time) to the following email address: submission@cityvision-competition.com. The attachment, packed in a ZIP file, should include 2 boards of project in A2 horizontal format, a technical/written report in A4 format and partecipation data in A4 format. 1.8 Methods of evaluation of proposals The entries will be judged based on the following criteria: 1. Visionary potential; On the basis of which the jury will concentrate on originality, sustainability, and the innovative character of the proposal. 2. Architectural integrity; Formal composition, integration with the urban environment, design sensibility, in the context of which the jury will review the coherence of the proposal. 3. Ecological sustainability. 1.9 schedule 7th February 2011 Announcement of the competition 04th April 2011 Early registration deadline 27th May 2011 Late registration deadline 06th June 2011 Submission deadline June 2011 Announcement of results September 2011 Projects exhibition, Awards Ceremony and Conference
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GIURIA JURY MEMBERS
www.cityvision-competition.com
BJARKE INGELS
(BIG Architects) Copenhagen / New York // Jury President
NERI OXMAN (Material Ecology) New York //
MARIA LUDOVICA TRAMONTIN (UniversitĂ di Cagliari) Cagliari // 76
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ELENA MANFERDINI (Atelier Manferdini) Los Angeles / Bologna //
BOSTJAN VUGA (Sadar Vuga) Ljubljana //
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FARM
TRANSSOLAR interview to Thomas Auer by Daniele Molinari and Rocco Salomone Architettura sostenibile, architettura verde, edifici verdi, bioarchitettura; questi sono solo alcuni dei molti termini usati per definire un “concetto culturale” più che un settore specifico che cerca di avere il giusto approccio verso l’ecosistema. Molti edifici in Europa e nel mondo, testimoniano una ricerca di un nuovo “possibile” equilibrio tra il costruito e il contesto; ma ancora in disuso o poco utilizzata in Italia, dove al contrario era applicata in passato. Sembra che abbiamo dimenticato quale sia la matrice ecologica dell’architettura. Ma in questo senso, lo studio dei concept,
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la comprensione delle cause ed effetti e la loro trasposizione in elementi architettonici, rappresenta la nuova dimensione del fare architettura. L’ “architettura verde” è il nuovo stimolo e l’occasione per un’apertura verso nuovi campi d’indagine per il progetto, per un’evoluzione del linguaggio architettonico attraverso l’arricchimento del suo codice espressivo con contaminazioni tra design industriale, sperimentazione e tecnologia. E’, quindi, una grande opportunità quella di poter intervistare Thomas Auer, uno dei membri fondatori di Transsolar, studio internazionale di ingegneria bioclimatica, leader nel campo del design sostenibile.
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1. Cloudscape - Venice Biennale 2010 ph. Tetsuo Kondo gresso
DM RC 01 // Come ha iniziato Transsolar? Qual è stata l’influenza dell’importante discussione culturale sugli edifici verdi, in atto negli ultimi anni in Germania? TA: All’inizio eravamo concentrati sullo studio dei modelli computazionali (termici, luce e dinamica dei fluidi). A quel tempo – all’inizio degli anni Novanta – l’utilizzo di programmi per la modellazione degli edifici era molto inusuale. Abbiamo velocemente capito che la nostra capacità di ricreare sofisticati modelli era la chiave giusta per portare l’innovazione nella progettazione degli edifici; un’innovazione con una particolare attenzione all’interfaccia dei progetti, alla performance energetica e al comfort. Agli architetti piacque molto la possibilità di avere nei gruppi di progettazione, figure in grado di mostrare le implicazioni del disegno dell’architettura nei sistemi meccanici e viceversa. Allo stesso tempo il nostro obiettivo in un’operazione passiva su un edificio dava la possibilità di sfruttare il budget a disposizione per i sistemi meccanici verso quelli legati alla facciata – cosa che gli architetti gradirono. Durante gli anni Novanta molte cose sono state sperimentali. Tecnologie come la doppia facciata o le lastre termiche attive per il raffreddamento radiante (tubi in plastica integrati nella struttura) sono diventate senso comune e spesso moda. L’innovazione è stata certamente guidata dalla discussione culturale sugli edifici verdi. Negli ultimi dieci anni c’è una tendenza da parte dei governi – regolamentazioni più ferree al pari dei sistemi di bioedilizia. Di conseguenza ci rendiamo conto che è diventato piuttosto difficile essere innovativi. DM RC 02 // Siamo molto colpiti dal lavoro di Transsolar. In particolar modo dalla forte matrice di sostenibilità che possiamo trovare fin dalla prima idea dell’edificio. Come vi rapportate con le diverse tipologie degli edifici e quali passi vengono compiuti per arrivare alla conclusione del progetto? TA: Ogni progetto è certamente unico – anche per noi. Da quando siamo interessati al dialogo tra disegno e performance, è essenziale arrivare ad un’elevata comprensione dell’intento del nostro lavoro. Laboratori con architetti e committenti sono essenziali per capire il senso di ciò che è importante. Specialmente nelle altre nazioni andiamo a studiare il clima e le antiche architetture. Attraverso prove ed errori l’architettura vernacolare è stata sviluppata per dare il maggior comfort possibile – all’interno e all’esterno dell’edificio – in diverse condizioni ambientali. E’ importante capirne l’approccio e trasferirlo nel disegno contemporaneo, usando materiali e programmi per testare l’efficacia delle diverse soluzioni. In uno scenario ideale i nostri modelli sostengono il gruppo di progettazione in un percorso iterativo di progetto. Iniziamo con modelli di massima che diventano sempre più sofisticati in tutto il processo e contribuiscono a informare e ottimizzare la progettazione in ogni sua fase. Grazie a questo approccio siamo sicuri di fornire tutte le informazioni necessarie allo sviluppo del progetto. Tutto è simultaneo, ma il livello di dettaglio aumenta con l’avanzare delle fasi. Non possiamo dire che guardiamo prima alla facciata e poi al processo, guardiamo al sistema meccanico.
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DM RC 03 // Il progetto energetico ha una grande influenza nell’immagine finale dell’edificio. Per esempio, se pensiamo alle tecnologie come i pannelli solari o fotovoltaici, al sistema trompe, si corre il rischio di fare edifici tutti uguali. Come gli elementi di biotecnologia e gli elementi del progetto convivono nella varietà architettonica? TA: In un mondo ideale, le tematiche ambientali arricchiscono l’estetica e contribuiscono a un disegno più olistico e potente. Una barca a vela per le regate dell’American Cup è un bel disegno totalmente guidato dalla perfomatività. Nel progetto architettonico la facciata è l’interfaccia tra interno ed esterno, provvede all’accesso della luce diurna e della ventilazione naturale, ha un potenziale per generare energia (sole + vento) e allo stesso tempo è la “carta da parati” della sfera pubblica. La progettazione ambientale non è una contraddizione, tanto più che sta aumentando il portafoglio delle sue potenzialità. In questo senso sostiene un’estetica guidata dallo scopo, indipendente dallo stile. DM RC 04 // Transsolar collabora con molte firme dell’architettura mondiale: Steven Holl, Behnisch Architects, Jean Nouvel, Oma sono solo alcuni. Quale architetto dà maggiore importanza all’aspetto bioarchitettonico? Qual è stato il progetto più stimolante? TA: Possiamo dividere il nostro lavoro in due categorie diverse: 1. Noi “informiamo” il disegno in un lavoro integrato fra l’architetto e il nostro team. Il nostro contributo è basato sul clima locale (che potenzialmente dà alla progettazione un’identità locale – il nuovo vernacolare), sull’esperienza e sulla creazione di software. Alcuni architetti si avvicinano a noi per discutere specifici requisiti legati al clima locale, prima di iniziare il progetto. Il concorso per Campidoglio Due a Roma al quale abbiamo lavorato con Behnisch Architekten è un buon esempio. Fin dall’inizio abbiamo capito che la realizzazione di una piazza ombreggiata poteva essere una grande opportunità per la città di Roma. Allo stesso tempo può essere usato l’ombreggiamento per generare energia, raccogliere l’acqua piovana etc. Sfortunatamente Siamo arrivati secondi.
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1. Cloudscape - Venice Biennale 2010 ph. Tetsuo Kondo walking view 2. Cloudscape - Venice Biennale 2010 ph. Tetsuo Kondo resso
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2. Altri architetti si avvicinano a noi con un design forte, ma a volte fisicamente “sub-ottimale” per farsì che funzioni. In questo tipo di processi diventiamo “schiavi” dell’idea architettonica. Suona come un’approccio sbagliato; ma spesso viene fuori, qualcosa di nuovo e molto innovativo, da questo processo. Quando siamo stati coinvolti da Murphy Jahn nel progetto del nuovo aeroporto di Bangkok, gli architetti avevano già vinto il concorso per la realizzazione di una tensostruttura. Il tessuto non è certo il materiale ideale in certe condizioni climatiche. Il risultato è stato lo sviluppo di un tessuto con un rivestimento simile a quello usato per manipolare le proprietà del vetro. Una contraddizione nel progetto è stata responsabile dello sviluppo di un nuovo materiale. Questo è molto intrigante per noi. I singoli approcci così come le condizioni limite di ogni progetto è un’unica sfida (clima, limiti di budget, ecc. ). E’ difficile dire qual è stato il più stimolante e non è importante. E’ più soddisfacente quando possiamo trasformare un obiettivo specifico nell’assetto del progetto e in un benefit per il cliente. DM RC 05 // Gli architetti hanno spesso la testa fra le nuvole. Come dicono. Ma siamo realmente finiti nelle nuvole un mese fa; nel vostro Cloudscape alla Biennale di Architettura di Venezia. E’ stata una delle più divertenti, innovative e chiacchierate operazioni dell’ultima edizione. Potete descrivercela? TA: Cloudscape è un modo per visualizzare l’ingegneria climatica. Un nuvola appare se l’umidità nell’aria si condenza in tante goccioline. Questo accade quando si aumenta l’umidità in uno strato già saturo. Per mantenere questo strato in una precisa posizione con alta densità (aria fredda) sotto deve essere presente uno strato a bassa densità (aria calda). Creare tre strati diversi è stata la sfida. E’ stato bello vedere che non era solo un oggetto visuale, ma che le persone erano in grado di vivere l’esperienza del cambio di clima nelle diverse zone del cloudscape.
DM RC 06 // Cosa promette Transsolar per il futuro? TA: Siamo sicuramente in una posizione provilegiata per la quale possiamo lavorare con grandi architetti e ingegneri in progetti molto eccitanti in giro per il mondo. Tuttavia riconosciamo che alla scala dell’edificio non possiamo andare molto oltre nella sostenibilità (all’interno di un budget ragionevole). Per raggiungere questo obiettivo dobbiamo pensare e operare alla grande scala; isolato, quartiere o scala urbana. Tale scala può potenzialmente contribuire a ulteriori e talvolta più sofisticate domande grazie all’uso di risorse come l’energia e l’acqua. Allo stesso tempo aggiunge altre sfide come l’effetto “isola di calore” (riscaldamento globale), il comfort termico alla sfera pubblica, l’agricoltura urbana, la mobilità post-petrolio ecc. Potenziali soluzioni a tutte queste domande richiedono un approccio multidisciplinare e devono essere progettate. Rispetto a questo è una sfida e il futuro molto eccitante per tutti noi!
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Sustainable architecture, green architecture, green buildings, bioarchitecture; these are some of the many terms that actually define a “cultural concept “ rather than just a sector which aims to pursue a right approach towards our ecosystem. Many buildings in Europe and around the world testify to a research of a new “possible” balance between the constructed and its surroundings; today in Italy this objective is underused, unlike in the past. It seems that we forgot the ecological matrix of architecture. In this way, the study of concepts, causes and effects, its translation in architectural elements, is the new dimension to make architecture. The “green architecture” is the new stimulus to open up new fields of investigation for the project, an evolution of languages of architecture through the enrichment of its expressive codes and also with a contamination from industrial design, experiments and technology. So we have a great opportunity today to interview Thomas Auer, a founding member of Transsolar, an international engineering company and leader in the field of climate sustainable design.
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1. Masdar masterplan ph. Foster + Partner gresso
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are essential to get a sense for the relevance. Especially in foreign countries we thoroughly study the climate data as well as vernacular architecture. Through trial and error vernacular architecture was developed in order to provide optimized environmental conditions – indoor as well as outdoors – in the abundance of air conditioning. It is important that we understand the approach and translate it into a contemporary design, using new materials and equipment and computer modeling in order to test different strategies. In an ideal scenario our models support the design team in an iterative design process. We begin with rough computer models, which get more and more sophisticated throughout the process and help to inform and optimize the design in every design phase. Through this approach we make sure that we provide all relevant information needed in a particular design phase. Everything is considered simultaneously but the level of detailing is increasing throughout the process. We can’t say that we first.
DM RC 01 // How did Transsolar start? What’s the influence of the important cultural discussion on green buildings in Germany in recent years? TA: At the beginning we had a focus on computer modeling services (thermal daylight and fluid dynamic modeling). At that time – beginning of the 90s – computer modeling in building design was very unusual. We recognized very soon that our sophisticated modeling capabilities are basically the key to bring innovation into building design; innovation with a focus on the interface of building design, energy performance and user comfort. Architects liked the fact that they had someone in the design team who was capable to show the implications design decisions have on mechanical systems and vise versa. At the same time our focus on a passive building operation provided the tendency to shift budget from mechanical systems e.g. into the façade – what architects obviously liked as well. In the 90ies many things had been almost experimental. Technologies such as double facades or thermal active slabs for radiant cooling (plastic piping embedded into the superstructure) became common sense – sometimes even trendy. Innovation was certainly driven by a cultural discussion on green buildings. For the last 10 years there is a tendency towards governance - more strict regulations as well as green building labels. As a consequence we recognize that it became rather difficult to be innovative. DM RC 02 // We are very struck by Transsolar’s works. Especially for the strong sustainable matrix that we can find from the idea of a building. How does Transsolar deal with each design theme, and what about the steps to arrive at the conclusion of a project? TA: Each project is certainly unique – also for us. Since we are very interested in the interface between design and performance it is essential to our work that we get a comprehensive understanding of the design intent. Workshops with the architects and sometimes client
DM RC 03 // The energy project has a strong architectural influence in the final image of a building. So for example, if we think of technologies such as solar panels or photovoltaic, trompe panels, we can to make similar all the buildings. How can biotechnological and design elements live together in the architectural “varietas”? TA: In an ideal world, environmental issues enrich the esthetics and provide a more holistic and powerful design. E.g. an American Cup racing boat is a beautiful design that is purely driven by performance. In building design the façade is the interface between inside and outside, provides access to daylight and natural ventilation, has the potential to generate energy (sun + wind) and at the same time it is the “wall paper” for the public realm. Environmental design is not a contradiction; much more it is increasing the portfolio of potential possibilities. To this regard it supports an esthetic that is driven by purpose, independent of style. DM RC 04 // Transsolar collaborates with many firms of the international architecture; Steven Holl, Behnisch Architects, Nouvel, OMA are just some ones. Which architect is very attentive to issues of green architecure? What’s the most challenging project for you? TA: We can categorize our work basically into 2 different approaches: 1. We “inform” the design in an integrated design process with the architect and the team. Our contribution is based on local climate (which potentially also gives the design a local identity – new vernacular), experience and computer (sometimes physical) modeling. Some architects approach us in order to discuss local/climate driven specific requirements, before they have started the design. The competition for Compidoglio Due in Rome where we worked with Behnisch Architekten is a good example. Right at the beginning we came to the conclusion that a shaded plaza would be a great asset in the city of Rome. At the same time we can use the shading in order to generate energy, collect rain water, etc. Unfortunately we came in 2nd . 2. Some architects also approach us with a strong design but sometimes physically “suboptimal” in order to make it work. In such a process we 02 cityvision 87
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1. Zollverein School of Management and Design SANAA ph. Anja Thierfelder gresso 2. Zollverein School of Management and Design SANAA interiors ph. Anja Thierfelder
basically become “servant” for a strong architectural idea. It sounds like it is a wrong approach; however often something new and truly innovative comes out of such a process. E.g. when we got involved into the design of the new Bangkok airport with Murphy Jahn, the architects already won the competition with a fabric structure. Fabric is certainly not an ideal material in such a climate. As a result we finally developed in collaboration with different manufacturer fabric material with a low-e coating (such a coating is well known to “manipulate” glass properties). A contradiction in the design was at the end responsible for the development of a new and innovative material. Such an approach can also be very intriguing for us. The different approaches as well as the boundary conditions of each single project provide a unique challenge (climate, budget constraints, etc.). It’s difficult to say what was most challenging and it is also not important. However it is most satisfying when we could turn a specific challenge suddenly into an asset for the design and a benefit for the client and/or user. DM RC 05 // Architects often have their heads in the clouds; as they say. But we have really finished in the clouds one month ago, in your Cloudscapes at the Venice Biennale! It was one of the interventions most fun, innovative and talked of the last edition. Can you describe it? TA: The Biennale cloudscapes project was for us a way to visualize climate engineering. A cloud appears if humidity in the air is condensing into water droplets. This happens if one increases humidity in a layer, which is already saturated. In order to keep this layer in a specific position it is necessary to have a layer with a higher density (cold air) below and another layer with a lower density (warm air) above. Creating 3 air layers, which are totally stable in such a big space, was certainly the biggest challenge. It was great that it was not only a visual object and people could experience the different climate zones of the cloudscapes. DM RC 06 // What promises does the future bring for Transsolar? TA: We are certainly in a fortunate and privileged situation that we can work with great architects and engineers on very exciting projects all over the world. However we recognized that on a building scale we can’t get beyond a certain point in terms of sustainability issues (within a reasonable budget). In order to get beyond this point it is essential that we think and act in a bigger context; block, district and/or urban scale. Such a scale can potentially contribute additional and sometimes more sophisticated solutions to questions like the use of resources such as energy and water. At the same time it adds other challenges such as heat island effect (global warming), thermal comfort in the public realm, urban farming, post-oil mobility, etc. Potential solutions for all these questions require a multidisciplinary approach and they need to be designed. To this regard it is a challenging but also very exciting time for all of us! www.transsolar.com 02 cityvision 89
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THE SYMBIoTIC DIS ArMONY breve manuale d’uso urbano
text by Marco Ruperto photography by Simone Caliento - Simon Cittati Massimo Gangemi - Tiziano Mammana 92
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“Skaters by their very nature are urban guerrillas: they make everyday use of the useless artifacts of the technological burden, and employ the handiwork of the government/ corporate structure in a thousand ways that the original architects could never dream of” Craig Stecyk, 1976
PRELUDIO AMERICANO Verso la fine degli anni Settanta lo stato della California fu teatro di un fenomeno di forte siccità, che colpì senza pietà le principali aree urbane e metropolitane della costa occidentale statunitense. La città di Los Angeles non fu risparmiata dallo stato di calamità, al punto che per essa vennero varate misure d’emergenza molto restrittive: furono repentinamente imposte limitazioni all’irrigazione dei lawn, i piccoli fazzoletti di terra posti dirimpetto alle abitazioni unifamiliari, vanto personale e gioia di ogni famiglia della middle class americana, e per un certo periodo fu limitata persino la possibilità di servire acqua nei ristoranti e nei locali pubblici. Anche per gli abitanti delle zone più ricche della città si prospettavano momenti di ristrettezze e rinunce. Le piscine delle ville di quartieri come Beverly Hills, Malibu, West Hollywood infatti, non potendo essere garantito un sufficiente ricambio di acqua, si svuotarono in poco tempo, e molte delle abitazioni, persa parte del loro valore, furono(s)vendute, seguendo una legge della domanda e dell’offerta tanto versatile quanto impietosa. Fu l’intuizione di un gruppo di ragazzini poco più che adolescenti, votati alla pratica del surf e dello skateboard, a trasformare lo scenario opacizzato di questa opulenza urbana in un’occasione irrinunciabile di svago e di socializzazione, ridefinendo i limiti di uno sport che di lì a poco sarebbe diventato un’icona per intere generazioni di giovani in tutto il mondo. A decine, le recinzioni delle ville poste in vendita furono sistematicamente violate da bande di skaters, e le vasche d’acqua, ormai vuote, con le loro superfici lisce e sinuose, divennero il terreno di gioco per evoluzioni di ogni tipo sulle tavole. Decine di ragazzi e ragazze, riuniti intorno ad un’arena improvvisata, ciascuno ad attendere il proprio turno per scendere in campo e dimostrare la propria abilità, qualche minuto di gloria prima che puntualmente l’arrivo delle forze dell’ordine interrompesse le danze. E’ la nascita del pool skating (letteralmente skating da piscina), antenato dei moderni half pipe e quarter, termini gergali propri di uno sport di nicchia, all’epoca ancora sconosciuto e disconosciuto, ma che 94
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nell’arco di un decennio sarebbe diventato linea ordinatrice di un modello di vita, dettando regole di carattere estetico, e comportamentale. E’ forse inopportuno in questa sede analizzare il ruolo che il gusto dell’effrazione, del gesto illegale e clandestino, abbia giocato nel successo di questa pratica. E’ comunque un fatto che, grazie all’incidente delle piscine, lungi dalle più ambiziose previsioni degli architetti, era stato messo a punto un “tipo” vero e proprio. Una sorta di object trouvè, ben codificato nell’aspetto, e dotato di una forza attrattiva notevole, dalle cui forme sono derivate le geometrie dei moderni skatepark, oggi luogo di ritrovo per decine di migliaia di giovani delle periferie di New York, di Berlino, Madrid, Praga, Londra. E forse anche di Roma. MIRACOLO A SANT’ANNA? Il pomeriggio del 9 Ottobre salgo in macchina e lascio il centro storico per avviarmi verso lo skatepark di Cinecittà, una struttura completamente finanziata con fondi pubblici dal Comune di Roma, per assistere ad un contest di bmx, un torneo organizzato da una nota bevanda energetica. Le premesse non sono delle più favorevoli, vuoi per le poche ore di sonno del giorno prima, che mi portano fino all’ultimo istante a dubitare della mia presenza all’evento, vuoi per la paura di trovarmi di fronte a qualcosa di artificioso, l’imitazione mal riuscita di una pratica che è patrimonio del mondo anglosassone, non certo italiana, tanto meno romana. La mancanza di identità culturale di un paese, in certi casi è in grado di generare brutture di ogni tipo, situazioni spesso pericolosamente vicine al ridicolo. Bastano poche ore seduto al bordo della pista per ricredermi: all’interno del perimetro di un fazzoletto di cemento lucidato, circondato da un centinaio di persone e da decine di edifici di edilizia residenziale pubblica si consuma un rito spontaneo, privo di regia, e per questo motivo ancora più intenso, per il quale giovani atleti sono accorsi dai quartieri della Capitale, dalla costellazione della provincia italiana, qualcuno persino da Oltremanica. Evoluzioni dai termini
esotici e criptici per i non addetti ai lavori si susseguono per più di quattro ore: manual, flair, 360, barspin, endo. Al termine della giornata i re sono incoronati assisi sulle loro bici, sotto le luci dei flash e dei neon, e viene reso il giusto tributo agli sconfitti. E’ la celebrazione di una neonata tradizione, che è stata in grado di rinnovarsi all’avvento delle nuove generazioni, a dispetto dell’egemonia culturale esercitata dal gioco del calcio in questo paese. E’ anche la dimostrazione del fatto certe dinamiche si instaurano tra l’uomo e l’ambiente urbano, secondo linee di analogia che non differiscono più di tanto a seconda dei luoghi e delle città. La morfologia di uno skatepark ricalca le linee di profilo dei quartieri senza identità di mezza Europa, così come degli spazi interstiziali tra le volumetrie figlie dello zoning d’oltreoceano: rampe, gradinate, salti di quota, corrimano, muretti di ogni
foggia e dimensione, seguendo un’ontologia del riuso analoga a quella che negli anni Settanta ha trasformato le piscine di tranquille abitazioni delle classi agiate americane in mirabolanti playground per giovani delle più disparate estrazioni sociali. E’ la non-architettura che acquisisce rango grazie al riuso, quasi sempre improprio (ma sarebbe più corretto dire spontaneo), che di essa si fa. Un ossimoro se vogliamo, ma una contraddizione tutt’altro che sporadica, persino in una città come Roma, così refrattaria alle novità, nonostante le scintillanti apparenze di cui ama fregiarsi. E proprio qui, desta curiosità il fatto che la reinvenzione degli spazi urbani non sia limitata ai luoghi dell’abusivismo e dell’autocostruzione della periferia, ai formicai senza identità a ridosso del Grande Raccordo Anulare, ma penetri dritta nel cuore dell’Urbe.
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Day-dreaming/ Nite-Riding Il giovedì sera di ogni settimana l’appuntamento viene meticolosamente fissato sui social network di internet: ora, luogo di raccolta, lista delle adesioni, condizioni meteo. Il programma è sempre il medesimo: attraversare il centro storico fino a notte inoltrata su due ruote. Unici requisiti richiesti, il possesso di una bicicletta abbastanza robusta da essere abusata e maltrattata, ed un innato senso di anticonformismo. E’ il nite-ride, un evento creato da un risoluto gruppo di giovani romani appassionati di mountain bike e bmx, con lo scopo non dichiarato di vivere per qualche ora la Città Eterna sotto un’altra prospettiva. Qui il rispetto “politically correct” tradizionalmente tributato alle bellezze storiche viene messo da parte: dal punto di vista di un rider non c’è differenza tra una scalinata del Seicento e la rampa in grigliato Keller di un centro commerciale, tutto è territorio di espansione, di sperimentazione. Certo, il centro storico è meglio di Cinecittà, si potrebbe candidamente affermare. E così pare essere. Il luogo di partenza è quasi sempre Via del Corso, lungo il tratto di strada antistante la Basilica dei Santi Ambrogio e Carlo. Da lì si può puntare verso il Colosseo, fino ai giardini di Piazza Vittorio, o andare a correre lungo gli argini che lambiscono il Tevere, infilare qualche trick dalla sommità del tanto vilipeso Ara Pacis di Richard Meier, o giù per i gradini di Piazza di Spagna. In tutto ciò non traspare alcuna nostalgia romantica verso una città idealizzata. Niente soste per ammirare stupiti le curve del barocco, o i luoghi dei trionfi imperiali. Niente, se non puro, sano, furor giovanile. E per rendere tutto ancora più prosaico, ad una certa ora si ripropone costante la paternale delle forze dell’ordine. Sì perchè si tratta comunque di un’attività mal tollerata all’interno della città ufficiale, luogo in cui ben poco è concesso fuorchè sostare e fotografare. A pochi chilometri di distanza, anche un altro luogo ormai storico della Capitale è stato soggetto ad un riuso più o meno improprio. Si tratta del Foro Italico, tempio mussoliniano della forma fisica e degli eventi sportivi ufficiali. Il metafisico viale e la piazza progettati da Luigi Moretti tra il lungotevere Maresciallo Diaz e lo Stadio Olimpico da diversi anni si sono trasformate in una monumentale pista di pattinaggio, dove poter girare sui rollerblade, con
lo skateboard, o praticare la breakdance, (altro retaggio anglofilo ereditato dalla cultura degli anni Ottanta d’oltreoceano). Atti di vandalismo hanno accompagnato negli anni le attività di carattere ricreativo, innescando polemiche di ogni tipo. Evidentemente non abbastanza efficaci, visto che i pattinatori continuano oggi a utilizzare l’area, ormai definitivamente consacrata alla nuova funzione. L’elenco potrebbe continuare a lungo, ma bastano questi due esempi per dare l’esemplificazione di una tendenza che in fine dei conti non è romana, nè italiana, ma fa semplicemente parte della natura dell’uomo. Roma resta una luogo ricco di anomalie, nonostante il suo aspetto ostentatamente totalizzante, e ingannevolmente suadente. L’humus della nostra Storia si è costituito attraverso una continua reinvenzione degli spazi, una sovrapposizione di nuovi strati su altri più vecchi, sia fisicamente, nei manufatti edilizi, che attraverso il tipo di utilizzo che di questi si è fatto. Viviamo in una città le cui fondamenta sono impostate su paradossi secolari, perfettamente coniugati in uno stato di simbiotica disarmonia. “Come in alto così in basso”, recitava la Tavola Smeraldina di Ermete. E infatti la storia dei grandi eventi è anche la storia delle piccole cose, in questo caso delle piccole comunità che si coagulano intorno a interessi comuni, alla ricerca di un’identità a volte ineffabile. Laddove il senso della tradizione è perduto, allora occorre reinventarlo, copiando e riadattando. Le storie qui raccontate vogliono essere un compendio, senza troppe pretese, di questa infinita antologia del riuso. Ma c’è di più. Questo continuo passaggio di consegne tra modalità di sfruttamento del territorio che ci circonda rimanda probabilmente al nostro corredo genetico, che agisce in qualche misura al di là della spinta assolutizzante della cultura. E’ il nostro genoma, ancora fermo allo stadio di caccia e di raccolta, mai del tutto assuefatto alle regole accentratrici della vita urbana, che mette in campo le proprie difese immunitarie. Ciascun individuo cerca così di reinventare l’ambiente, secondo le proprie necessità, e i propri bisogni innati. In questo modo lo spazio viene rigenerato, si colma di nuovi significati. E tanto per restare in tema di paradossi, se non è cultura questa...
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“Skaters by their very nature are urban guerrillas: they make everyday use of the useless artifacts of the technological burden, and employ the handiwork of the government/ corporate structure in a thousand ways that the original architects could never dream of” Craig Stecyk, 1976
AMERICAN PRELUDE In the late Seventies, the state of California was the scene of a phenomenally intense drought, which mercilessly hit the major metropolitan areas of the US west coast. Very strict emergency measures were implemented in Los Angeles to help deal with this calamity. Restrictions were imposed on lawn irrigation, whose flourishing used to be a source of great pride and joy located in front of every American middle class home. For a period of time, limitations were even placed on the water served in restaurants or public spaces. Even the inhabitants of the richest areas were facing times of hardship and sacrifice. Swimming pools in the villas of the richest districts like Beverly Hills, Malibu, West Hollywood, emptied quickly due to the lack of proper water recycling. As a result, many homes lost value and were sold below their worth, following the versatile yet merciless law of supply and demand. A group of kids, barely teenagers, dedicated to surfing and skateboarding, had the intuition to transform this opaque scenario of urban opulence into an indispensable opportunity for recreation and socialization. They defined the limits of a sport that would soon become an icon for young generations all over the world. Villa’s fences, offered for sale, were systematically violated by skater gangs while swimming pools, now empty, with their smooth and sinusoidal surfaces, became playgrounds for all kinds of developments on boards. Dozens of boys and girls crowded around the makeshift arenas, each one waiting their turn to show off their skills in a few moments of glory before the timely arrival of the police to stop their show. This was the birth of pool skating, ancestor of the modern half pipe and quarter, jargon specific to a niche sport, then still unknown and misunderstood. Within a decade, this sport set the guiding principles behind a model of life, dictating its aesthetics and behavior. It may be inappropriate to examine the role an illegal and clandestine movement has played in the success of this practice. It’s still a fact however, that thanks to the accident with the pools, far from the ideas of the most ambitious architects, a new “standard” was created. It’s a kind of object trouvé, well codified in appearance and with a significant force of attraction, whose forms derived from the geometries of modern skate parks and now became a meeting place for tens of thousands of young people in the suburbs of New York, Berlin, Madrid, Prague, London and maybe even 98
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Rome. MIRACLE AT ST. ANNA? On October 9th in the afternoon, I left the city center and drove towards Cinecittà’s skate park, a completely publicly financed structure in Rome. There, I attended a BMX contest, a tournament organized by a well-known energy drink. The premises were not the most favorable, and the few hours of sleep I got the night before lead me to doubt my presence at the event until the last moment. I was fearful of being faced with something artificial, the botched imitation of an Anglo-Saxon custom, not an Italian one, and definitely not a roman one. The lack of a country’s cultural identity is sometimes able to generate all kinds of ugliness, often dangerously close to ridiculous situations. I only needed a few hours seated on the edge of the tracks to change my mind. Within the polished concrete’s perimeter, surrounded by a hundred people and dozens of low-income
housing complexes, a spontaneous ritual took place without direction. Young talents flocked here from the district capitals, from the constellation of Italian provinces, and some even from the UK. Exotic and cryptic evolutions were continued for more than four hours: manual, flair, 360, barspin, endo. At the end of the day, the kings were crowned, seated on their bikes under flashing neon lights, and a fitting tribute was made to the defeated. It was a celebration of a new tradition that renewed a generation’s sense of adventure in spite of the cultural hegemony exercised in this country by football. This also demonstrates the fact that those dynamics are established between the man and the urban environment, along lines that do not differ much from place to place. The morphology of skate parks follows the district contour lines of half of Europe, as well as interstitial spaces between subsidiaries of volumes overseas: ramps, stairs, anything with hopping height, handrails, walls of every shape and size. They follow an ontology of reuse similar to the one that transformed swimming pools of the seventies into playgrounds for young people of different backgrounds. It’s the un-architecture that is best for reuse, almost always inappropriately. An oxymoron if you want, not a sporadic contradiction, even in a city like Rome which loves to boast despite its sparkling appearance. And here, curiosity wakes us up over the fact that the reinvention of urban space is not restricted to unauthorized places and peripheries, or to an unidentified anthill behind the GRA (Grande Raccordo Anulare), but instead it penetrates into the city center. DAY DREAMING / NITE RIDING Every Thursday night, the event is meticulously posted on various social networks, listing the time, place, order of accession, weather conditions, etc. The program is always the same: crossing the city center late at night on two wheels. The only requirements are possession of a bike and enough strength to be able to handle abuse and mistreatment, as well as an innate sense of nonconformity. It’s the nite-ride, an event created by a
determined group of Roman bmx bikers in order to experience the eternal city from a different perspective for several hours. Here, the “politically correct” aspect traditionally attributed to historic beauties is set aside. From a rider’s perspective there is no difference between a seventeenth century staircase and a Keller shopping mall ramp, it’s all territory for expansion and experimentation. Of course, the old city is better than the Cinecittà. The starting point is always via del Corso, in front of SS. Ambrogio and Carlo’s basilica. From here, one can run to the Coliseum, Piazza Vittorio’s park or along the banks of the Tevere, and end with some tricks on Richard Meier’s Ara Pacis or down Piazza di Spagna’s stairs. No stops to admire baroque curves. Nothing there but young and pure fury. And to make things even more prosaic, the police are bound to appear eventually. This is an intolerable activity inside the official city where only stopping to take pictures is allowed. A few kilometers away, another historic place is a subject of reuse. The Foro Italico, the Mussolinian temple for official sports events, the metaphysics boulevard and Luigi Moretti’s square, were all transformed a few years ago into a monumental roller-skating track and break-dancing floor. Acts of vandalism have accompanied years of recreational activities, sparking all sorts of controversies. Apparently, these were not sufficiently effective, seeing that skaters today continue to use this area, now finally consecrated to its new function. The list goes on, but these few examples are proof of a new tendency that in the end is not Roman, not even Italian, but is simply part of human nature. Rome remains a place full of anomalies, despite its ostensibly totalitarian aspect and deceptively mellow atmosphere. Our history was formed through a continuous reinvention of space, an overlap of new layers onto the older ones. We live in a city whose foundations are based on secular paradoxes, precisely conjugated in a symbiotic disharmony. “Come in alto così in basso” was written on the Emerald Table of Hermes. Indeed, the story of the major events in history is also that of the little things in history, in this case, small communities coalesce around common interests in search of an identity, sometimes ineffable. When the sense of tradition is lost, it needs to be reinvented, copied and adapted. The stories told here are parts of an unpretentious compendium, an anthology of infinite reuse. But there’s more. This continuous exchange between modes of exploiting the land around us is probably rooted in our generic make-up, which acts to some extent beyond the culture’s thrust. It’s our genome, still standing at the gathering and hunting stage, never quite accustomed to the rules of urban life, which puts forward its own immune system. Each individual thus seeks to reinvent the environment, as needed. In this way the space is reclaimed, is filled with new meaning. And just to remain on the topic of paradoxes, if this is not culture… 02 cityvision 99
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photo by Andrea Debilio
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Re interpreting the Baroque text by Catherine Iftode
Lo stile dinamico ed espressivo del Barocco è diventato lo stereotipo dell’esagerazione, dell’eccesso e della complessità. Purtroppo, queste sono interpretazioni errate al lordo delle qualità innovative e avventurose di questo periodo, che erano in realtà basate sulla matematica e su calcoli rigorosi. Le moderne tecnologie di scripting come RhinoScript e Grasshopper danno la possibilità di avere uno sguardo diverso rispetto ai lavori barocchi e di valutarli attraverso una nuova lente. Possiamo comprendere al meglio la cura e l’attenzione per il dettaglio presente in ogni decisione e cosa realmente significa calcolare questo tipo di lavori. Questo dà un nuovo significato alla parola “barocco” e apre una vasta gamma di possibilità nel progetto contemporaneo, una volta esplorati i punti di contatto tra i metodi antichi e quelli di scripting attuali. Andrew Saunders, architetto e professore al Rensselaer Polytechnic Institute di New York, ha esplorato questo concetto in uno studio per un suo corso che successivamente si è trasformato in una mostra ed in un libro intitolati “Re-interpreting the Baroque”. Lo studio della Renssealer School of Architecture di Roma ha analizzato come opera la geometria nell’architettura barocca italiana. Nell’autunno del 2007, Andrew Saunders ha iniziato questa ricerca insegnando ai propri studenti come tradurre i vari lavori del barocco romana e comprendere a fondo le loro geometrie in termini di equazioni matematiche. Una volta costruiti i modelli delle geometrie di base delle opere studiate, hanno poi cercato nuove aree con alto potenziale di programmazione. Hanno analizzato qualsiasi cosa che avesse un solida origine geometrica così da poterla tradurre in uno script. Quello che in definitiva è stato scoperto, è che questi edifici sono altamente matematici e hanno molto investito nella geometria, che non è necessariamente visibile al primo sguardo. Il lavoro di Borromini per Sant’Ivo alla Sapienza è uno degli esempi che si presta meglio a questo tipo di analisi. A differenza di molte altre chiese costruite in quel tempo che hanno sfruttato il tipico impianto “a cupola”, Sant’Ivo è un’evoluzione della pianta – si confonde e si fonde come una transizione da una versione
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grezza poligonale di un cerchio in un triangolo fino ad arrivare ad una sfera, che è un poligono con infiniti lati. Le sue geometrie possono essere semplificate fino all’arco e la corda, in sostanza, la linea retta e il cerchio. Queste sono le basi rudimentali delle funzioni trigonometriche che vengono utilizzate anche quando si programma. Anche se incredibile per il suo tempo, la geometria impiegata in Sant’Ivo è relativamente semplice. Per esempio, la struttura della cupola è basata su una variazione di poligoni estrusi che prendono sempre origine dallo stesso punto centrale. Con i programmi di scripting si può esplorare il concetto di centro e velocemente capirne le conseguenze. La velocità con cui si può studiare un gran numero di iterazioni è quindi notevolmente aumentato utilizzando gli strumenti di programmazione 3D. Lo scripting aiuta veramente a sezionare e comprendere le qualità geometriche di un’opera architettonica, ma apre anche ad un metodo completamente nuovo di creazione, permettendo ai suoi utenti di trasferire questo linguaggio ad un nuovo livello e di crearne i propri parametri. Le possibilità sono infinite! Gli studi degli studenti della RPI si sono sviluppati fino ad arrivare alla creazione di un progetto per un nuovo museo nel centro di Roma. L’assegnazione di un programma funzionale per le loro ricerche ha contribuito a ricontestualizzare l’opera e a svilupparne la comprensione su una base contemporanea. Il risultato finale è stato un paesaggio generato matematicamente fatto di una moltitudine di frammenti presi dal Barocco. Questo è esattamente il tipo di lavoro che è necessario a Roma, che onora e comunica con la sua storia pur presentando una nuova prospettiva che soddisfa le esigenze di una società moderna. Il rallentamento economico prolungato, e forse la difficoltà politica con cui si sono realizzati i progetti a Roma, creano un ambiente perfetto per questo tipo di architettura che richiede più tempo per essere sviluppata, perché ha come base un’analisi e una programmazione rigorose. Nonostante l’intenso lavoro, lo scripting permette un legame intenso tra il passato e il futuro di Roma, dando agli architetti l’ispirazione per costruire qualcosa di contestuale e allo stesso tempo, molto moderno.
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1. Sant’Ivo alla Sapienza - Rome axonometric view
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upon. What they ultimately discovered was that these buildings are highly mathematic and very invested in geometry, which is not necessarily apparent at first glance. Borromini’s work at Sant’Ivo alla Sapienza is one of the examples that lends itself best to this type of analysis. Unlike most other churches built around the time that employed a typical dome structure, Sant’Ivo’s dome is in fact an evolution of a plan - it blurs and merges as it transitions from a crude polygonal version of a circle into a triangle and ultimately to a sphere, which is an infinitely sided polygon. Its geometries can be simplified down to the arc and cord, essentially the straight line and the circle. These are the rudimentary foundations of trigonometric functions, which are utilized when
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The dynamic and expressive style of the baroque era has become a stereotype of exaggeration, excess and complexity. Unfortunately, these are gross misinterpretations of the innovative and adventurous qualities of this period that were in fact based on strict calculations and rigorous mathematics. Modern scripting technologies such as RhinoScript and Grasshopper have provided us with the ability to take another look at baroque works and reassess them through a new lens. We can better understand the care and attention to detail that was put into every decision, and how calculated these seemingly opulent works really are. This gives a new meaning to the word baroque, and also opens up a wide range of possibilities in contemporary design once the points of contact between the baroque method and the contemporary scripting one are explored. Andrew Saunders, architect and professor at Rensselaer Polytechnic Institute in New York, investigated this very concept in a design studio he taught, and subsequently a book and exhibit, entitled ‘Re-interpreting the Baroque.’ The Rensselaer School of Architecture Rome Program studio explored how geometry operates in Italian Baroque architecture. In the fall of 2007, Andrew Saunders began this research by instructing his students to analyze various baroque works around Rome and to break down and fully understand their geometries in terms of the mathematical equations they were based on. Once they built models of the works they had studied, and understood all the underlying geometries in-depth, they then looked for areas with potential for programming. They were searching for anything that had disciplined geometric origins that they could start to script and speculate
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1. Sant’Ivo alla Sapienza geometries 2. Sant’Andrea al Quirinale - plan and axonometric view
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scripting. While incredibly innovative for its time, the geometry employed at Sant’Ivo is still relatively simple. For example, the dome-like structure is based on variations of a polygon extruded upwards but always keeping the same center point. With scripting programs, one can challenge the notion of the center and quickly understand the consequences of that. The speed at which one could exhaust a multitude of iterations is therefore greatly increased using 3D programming tools. Scripting really helps to dissect and understand the geometrical qualities of an architectural work, but also opens up an entirely new method of creation by enabling its users to take this language to a new level and create one’s own parameters. The possibilities are endless!
The work of the students at RPI evolved into a design for a new museum in the center of Rome. The assignment of a program to their research helped to re-contextualize the work and to develop an understanding of it on a contemporary basis. The end result was a mathematically generated landscape made up of baroque fragments. This is exactly the type of work that is needed in Rome. It honors and communicates with its history while presenting a fresh perspective that meets the needs of a modern society. The lingering economic slowdown, and perhaps the political difficulty with which projects are realized in Rome create a perfect environment for this type of architecture that takes longer to develop because it requires such rigorous analysis and programming. Despite the work involved, scripting allows for a beautiful link between the past and future of Rome, inspiring architects to build something contextual yet very modern at the same time.
www.rpi.edu/~saunda2/ICIRPI
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1. Chapel of the Holy Shroud axonometric view 2. Chapel of the Holy Shroud geometries
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1. Chelsea Anderson - Brian Spangler - study model 2. Andy Zheng - study model 3. Sant’Ivo alla Sapienza model 4. Sant’Agnese in Agone model 5. Sant’Ivo alla Sapienza model
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SPSK+ il loro nome è nato un po’ per caso, come anche il segno + che contraddistingue il logo, simbolo dell’apertura ad ogni forma di contributo; la loro architettura, al contrario, si basa su un approccio teorico e tecnico estremamente studiato e attento alle esigenze dei fruitori del progetto. All’apparenza modesti, ci dicono che il risultato del lavoro è più importante delle persone che lo producono. Per loro l’architettura deve fornire delle risposte concrete alle necessità della società contemporanea attraverso interventi circoscritti che si misurano con il territorio in modo realistico. Architettura “sociale” come la definisce Matteo Giannini, che ho avuto il piacere d’intervistare insieme a Carola Clemente nel loro studio di via Messina a Roma.
in un momento in cui si parlava di cosa sarebbe stato dentro o fuori la nostra attività, abbiamo passato in rassegna il nostro lavoro che in quel momento andava dalla definizione dell’oggetto d’uso all’immagine della città e del territorio, Emiliano Auriemma ha ripreso lo slogan di Walter Gropius (scusa Carola, ma Rogers l’ha ripreso dopo Gropius) «dal cucchiaio alla città» ridimensionandolo sulla nostra taglia e sulle nostre vocazioni, in maniera più modesta, dalla progettazione dell’oggetto d’uso al grattacielo…e quindi SPoon e SKyscrapers (SP-SK); la versione ufficiale è quella di un umile e devoto riferimento al razionalismo classico italiano. Da qui nasce SPSK acronimo impronunciabile in tutte le lingue, in cui vengono fuori delle cose assurde…Il + è una chiave di apertura verso altri contributi. La nostra è sempre stata una equipe di progetto aperta.
V.T. 01: Spsk+, un nome per attirare l’attenzione, come quello di un super eroe dall’identità celata? Oppure…? SPSK+: Due cose potrebbero rimandare ad un super eroe, ma non c’entra niente. Una è una marca di fucili cecoslovacchi, un’altra è la marca di aste per microfoni. In realtà ci sono due versioni, una ufficiale e una no…quale vuoi? V.T. : Tutte e due… SPSK+: Una sera mentre festeggiavamo la nascita ufficiale dello studio associato, da una discussione diciamo di carattere “etilico”,
V.T. 02: Che cosa è necessario oggi, per fare o non fare della buona architettura? SPSK+: A saperlo…( il tono è sarcastico). E’ un fatto di opinioni, intanto è da dire che c’è una grande distanza fra l’architettura disegnata e l’architettura costruita. Per noi è necessario raggiungere la gente per intervenire sulla qualità della vita di quelli che utilizzeranno l’edificio o la casa che stiamo progettando. Per rispondere a questa domanda, possiamo fare riferimento al padiglione italiano della Biennale di quest’anno, la cui efficacia la
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1.Faculty of Economics “Federico Caffè” RomaTre building site ph. F.Galli 2.Faculty of Economics “Federico Caffè” RomaTre building site ph. F.Galli
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possiamo ritrovare nel fatto che è stata esposta l’architettura diffusa e costruita: il piccolo quartiere, la scuola elementare, l’oggetto architettonico comune. Per noi, il modo per fare buona architettura, è quello d’intervenire in maniera positiva sulla qualità della vita della gente, dell’utente, del cittadino. V.T. 03: Spsk+ è un gruppo costituito da diversi progettisti, progettare può funzionare come attività “collettiva”? Cioè come attività condivisa tra più soggetti alla pari? Oppure ha ancora senso celebrare il cosiddetto “genio solitario” che produce l’idea complessiva e poi affida agli altri lo sviluppo del progetto? SPSK+: Dipende dal progetto, i concorsi li facciamo in maniera corale e spesso anche con contribuiti esterni, perché con la discussione, con la collaborazione di tutti si sviluppano meglio le idee. Nel lavoro, sugli incarichi ognuno ha una competenza specifica, ma si ritorna spesso ad una verifica corale del lavoro; normalmente ci sono due persone per commessa, con un gruppo di lavoro che varia in funzione del progetto che si deve affrontare e della fase di lavoro in cui ci si trova. Dal progetto al cantiere, il gruppo può cambiare assetto per necessità operative.
V.T. 04: Il progetto della “Facoltà di Economia “Federico Caffè” - Università degli Studi di Roma Tre”: descrivetelo con tre parolechiave... SPSK+: E’ il progetto che ci ha fatto entrare dalla porta principale nel mondo dell’architettura romana. E’ stato molto divertente e faticosissimo progettarlo, soprattutto perché per circa due anni abbiamo lavorato sulla progettazione della Facoltà di Scienze delle Comunicazioni, abbiamo cucito un vestito fatto su misura concordando tutto con la facoltà, con i rappresentanti degli studenti e dell’Ateneo, e poi, sei mesi prima della conclusione dei lavori, la destinazione d’uso è stata cambiata ed è stato deciso che sarebbe diventata la facoltà di economia! Questo ha portato a vari problemi di rimodulazione di alcuni spazi e di alcune soluzioni distributive, ma la cosa bella è stata proprio riuscire a risolvere questi problemi architettonicamente e mantenere l’integrità dell’impianto del progetto, pur ottimizzandolo per la nuova funzione. Le tre parole chiave per descriverlo possono essere: ROSSO/COLORATO: il tema cromatico ci ha seguito per tutto il periodo della progettazione e lo abbiamo perchè in quella zona c’è poco colore, RISPETTOSO: sia delle persone che ne usufruiscono: gli studenti,
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sia degli abitanti dei quartieri vicini; abbiamo progettato un edificio che s’integrasse a pieno con il contesto esistente senza sconvolgerlo, senza sovraccaricarlo. SOCIALE/APERTO: nel senso che il progetto oltre a svolgere il suo ruolo di contenitore per la formazione è costruito anche per diventare uno spazio di socializzazione per i ragazzi; il grande atrio centrale e le scale esterne (una macrostruttura che rappresenta i percorsi di sicurezza e le vie di fuga larghe circa 6m) sono posti dove gli studenti chiacchierano, passano il tempo, sono spazi che noi abbiamo progettato in modo che potessero essere vissuti, non solo come strutture per la sicurezza. Permettimi di aggiungere un altro termine: ECONOMICO: un progetto realizzato con dei costi contenuti, che non ci hanno impedito però di realizzare un progetto di qualità. E’ il progetto che ci ha fatto crescere, è quello che ci ha fatto definitivamente capire che l’architettura è riuscita solo quando la vedi realizzata e utilizzata! La prima visita in cantiere è stata fatta con tutti quelli che hanno lavorato con noi al progetto, le strutture erano state completate e si stava cominciando a lavorare sulle chiusure, lo stupore negli occhi di tutti nel vedere che quello che avevamo disegnato era stato realizzato ti riempie di soddisfazione. V.T. 05: Il progetto per ricostruire Tor Bella Monaca lo avete visto? Cosa ne pensate? SPSK+: Il primo pensiero è quello che la città viene immaginata in maniera allucinante, non si può andare in un posto e calare dall’alto una visione di città su una città reale e vissuta e dire oggi siete 6.000 domani sarete 15.000, non avrete più i palazzoni ma le casette di mattoni e sarete tutti felici e contenti. Sorgono spontaneee delle domande: a) chi fa queste casette? b) quante ne servono per rilocalizzare tutto il quartiere? c) come si può dire alla gente di un quartiere che distruggiamo
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tutto e ricostruiamo perché quel luogo è l’archetipo del degrado? Tor Bella Monaca ha una sua identità sociale come Corviale, insieme sono oggetto di continue discussioni senza pensare minimamente che non sono solo luoghi geografici, la città li ha metabolizzati, sono quartieri che sono sopravvissuti a loro stessi, ci sono famiglie che si tramandano le case e le attività ormai da due o tre generazioni, sono quartieri con una storia profonda alle spalle ma purtroppo segnati da questo luogo comune di periferia non sana, che porta a pensare alla demolizione come prima e più semplice misura di riqualificazione. V.T. 06: L’architettura oggi è una moda. Se ne parla sempre di più anche nelle riviste non specializzate, in cui diventa installazione, marchio etc. E’ solo un trend del momento o rappresenta il percorso evolutivo proprio dell’architettura? SPSK+: Senza dubbio è un trend! Da studi recenti è risultato che siamo la terza professione più sexy del mondo! L’architettura diventa sfondo pubblicitario: devi pubblicizzare un materiale o un prodotto innovativo? Metti sullo sfondo il Guggenheim di Gehry. Gli architetti sono gli stressati/impegnati/dinamici per eccellenza quindi sono adattissimi per la pubblicità degli analgesici per il mal di testa. L’aspetto negativo di questo suo essere moda purtroppo, è quello che molti studenti del primo anno, nello scegliere questa facoltà sono condizionati da questo tipo di comunicazione. Architettura uguale moda! V.T. 07: Avete detto che un asilo nido aziendale per un grande committente, pubblico o privato che sia, è uno di quei progetti che ogni architetto dovrebbe ambire a realizzare almeno una volta nella propria vita professionale. Nel nostro paese di queste strutture ce ne sono sempre troppo poche e spesso, sono ospitate in contenitori non completamente idonei. Il vostro progetto è stato realizzato in un edificio per uffici degli anni ’80, quali sono state le linee guida che avete seguito nella progettazione per realizzare un progetto che rispondesse bene alla sua funzione? SPSK+: Il nido BNL è stato un progetto molto coinvolgente; è il tema sociale per eccellenza e per questo ci è piaciuto molto lavorarci. Metti insieme la definizione dello spazio architettonico come strumento educativo, con la realizzazione di una struttura di supporto sociale che immediatamente dà sollievo alle famiglie e ai lavoratori/genitori che ne usufruiscono. Abbiamo avuto la completa collaborazione della committenza, motivata a realizzare una struttura modello nel suo genere, da mettere a disposizione del proprio personale per migliorarne le condizioni di vita e di lavoro. È stato un lavoro molto duro, ma fatto finalmente con i mezzi economici adeguati, percependo il rispetto della qualità del progetto da parte della committenza. I principi guida sono stati coniugare uno spazio
esistente molto duro nella sua essenza e con grandi potenzialità ambientali come progetto educativo di qualità. V.T. 08: L’edificio, realizzato attraverso l’utilizzo di un sistema industrializzato in calcestruzzo, è fortemente caratterizzato dalle pannellature continue delle facciate in cemento armato facciavista, contraddistinto dagli ambienti interni tutti colorati che sono stati ricavati dalla trasformazione e adeguamento degli ambienti preesistenti, può con la sua architettura influire sulla crescita dei bambini? In che modo? SPSK+: Assolutamente sì. L’architettura, la qualità della definizione dello spazio influisce sullo sviluppo evolutivo del bambino soprattutto quando parliamo di bambini sotto i tre anni. Ogni spazio è stato misurato sulle esigenze dei bambini e degli educatori, i colori scelti sono stati selezionati in funzione delle attività che andavano svolte nei vari spazi, la proporzione, le finiture, la luce e la scelta dei materiali tutto interviene nella formazione di una coscienza percettiva del bambino in crescita. La parte di edificio che ospita il nido è stata pesantemente trasformata, i pannelli in calcestruzzo armato sono stati tagliati sul posto e sono state ridimensionate le aperture verso il parco sul lato sud ovest in modo da portare la luce naturale il più profondamente negli ambienti vissuti dai bambini, le finiture sono state tutte riviste per addolcire i caratteri austeri del complesso. Il risultato è stato anche migliore di quanto non credessimo all’inizio del lavoro e la cosa che ci ha gratificato di più è stata la risposta dei genitori dei bambini che ora sono ospitati dalla struttura. L’asilo è stato aperto in convenzione anche per i lavoratori delle altre aziende che insistono in quel quartiere, che prima non aveva nessuna struttura equivalente, e questo ha permesso di estendere i benefici di questo intervento ad un territorio periferico assolutamente non strutturato per dare risposte dignitose ai suoi cittadini. Domande a raffica: 5 siti da linkare: MATTEO: Sono un buon ricercatore su internet, ma mi viene difficile indicarti una cosa che mi è rimasta impressa… Ecodazoo è un sito molto divertente. CAROLA: Uso molto internet per l’università…Quindi in maniera molto didascalica potrei indicarti per lo più siti d’architettura: www.dezeen.com; www.vg-hortus.it e www.mimoa.eu. 4 film da vedere: MATTEO: Blade Runner, Run di Kurosawa, Avatar, non perché sia un bel film, ma perché è forte nonostante non abbia una storia forte di base nei suoni, nelle luci, nella scelta dei colori, Metropolis CAROLA: Blade Runner, Guerre Stellari, Inside Man, Una Giornata Particolare 3 libri da leggere: MATTEO: La Maga delle Spezie, Maledetti Architetti, Lost in America CAROLA : Io Charlotte, il cui titolo originale in francese è molto più bello “Una vita di creazione”, Architettura Integrata di Gropius, dove Gropius si prende la responsabilità di essere un grande maestro oltre che essere un grande architetto, La Fata Carabina di Pennac, passamene un quarto….Franca Helg. “La gran dama dell’architettura italiana” 2 giovani architetti da segnalare: MATTEO: Ci si può auto votare? CAROLA: E’ difficile, la generazione dopo di noi si sa vendere molto meglio di noi! E’ difficile indicare qualcuno in particolare, ma mi vengono in mente molti studi che stanno facendo cose interessanti, apprezzo molto il lavoro di Iotti/Pavarani e altri come loro impegnati nella realizzazione di cose molto significative. 1 maestro da riscoprire: MATTEO: Il maestro per eccellenza Mies, lo zen dell’architettura. CAROLA: Charlotte Pierrande, l’ho incontrata per caso poco prima che morisse, ero a Parigi e lei era in una libreria dove presentava la sua biografia. Una donna di una vitalità estrema nonostante l’età, era lei a interrogarti e in base a quello che le dicevi ti scriveva la dedica sul libro, una donna che è stata per anni l’anima e il motore di architetture e oggetti che hanno fatto la storia dell’architettura
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1. BNL Nursery - Rome 2. BNL Nursery - Rome
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SPSK+, the name came about by chance, as well as the + sign that marks the logo. It is a symbol of openness to all forms of contribution. Their architecture, by contrast, is based on a highly developed theoretical and technical approach and is very attentive to the needs of the project’s beneficiaries. Seemingly modest, they tell us that the result of their work is more important than the people who produce it. To them, architecture must provide concrete answers to the needs of contemporary society through measures that deal with the restricted area in a realistic way. I had the pleasure to interview Matteo Giannini with Carola Clemente in their roman studio in via Messina. He defines their work as social architecture. V.T. 01: SPSK+, a name to attract attention, like a hidden super hero identity? Or…? SPSK+: It stands for two things, which may allude to a superhero, but has nothing to do with one... the first is a Czech rifle brand; the other is a microphone auction brand. There are actually two versions of the story, one official and one not. Which one do you want? V.T. : Both. SPSK+: One night while we were celebrating the official birth of our office, following an “alcoholic” discussion, we started thinking about what our daily activities would consist of, and we looked to our works for the answer. At that moment we explored the object, the territory and the city’s image. Then, Emiliano Auriemma took Ernesto Rogers’ slogan “from the spoon to the city” and modeled it to fit our size and our vocations. It became “from the SPoon to SKyscrapers”. The official version is a devoted and humble reference to classical Italian rationalism. That is how the unpronounceable name was born. The + is an open key to any other contribution. Our team has always been an open project. V.T. 02: What is required today to produce good architecture? SPSK+: Knowledge of it! (sarcastically) It’s an opinion. We have to admit that there’s a big difference between concept/design and a finished work. We feel that it’s important to reach people, to intervene on the quality of the life of those who use the building or the house that we design. To better answer this question we should refer to the Italian pavilion at the 2010 Biennale. Here, we can see its effectiveness because it has been exposed to common and diffuse architecture: the small neighborhood primary school, the common architectural object. To us, creating good architecture means intervening in a positive way on the citizens’ quality of life. V.T. 03: SPSK+ is a group made up of several designers; can design function as a collective activity? As a shared activity between different subjects? Or does it still make sense to celebrate “the solitary genius” that produces the idea and then entrusts the project’s development to the others? SPSK+: It depends on the project; we enter competitions in a choral way, and often also with the help of external contributions, because discussion and cooperation lead to better ideas. On assigned works everyone has a specific skill, but we often come back to that choral work; usually there’re two people per project, with a variable project group that changes with the requirements. From design to construction, the group structure may change for operational needs. V.T. 04: The “Faculty of Economics – Federico Caffè” for the RomaTre University; describe it with three keywords. SPSK+: This was the project that allowed us to go through Roman architecture’s main entrance. It was very funny and difficult to design, because for two years we worked on a different faculty assignment, that of communication sciences. We sewed a dress on it made with the cooperation of the university and the student committees and then, six months prior to opening, we had to change the project destination to the faculty of economics. 114 cityvision 02
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1. BNL Nursery - Rome mirror wall gresso
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That presented several problems with space and the need for different distribution solutions. The most important thing was to solve all those problems by means of our architecture while being able, at the same time, to maintain the system’s integrity and to still optimize the design. Three keywords: RED/COLORED: the chromatic theme followed us since the very beginning and we wanted to keep it because of the lack of the color in the neighborhood. RESPECTFUL: of people who use it: students and neighborhood residents. We designed a building that fits into the existing framework without changing it, without overloading it. SOCIAL/OPEN: the project in addition to playing its role as a container for the faculty training is also designed to act as a social space for children. The large central atrium and stair terns (a macrostructure that provides safety paths and escape routes, 6m in width) are places where students can gather and spend their time or chat; they are spaces that we have designed to be lived in. I would like to add another keyword. ECONOMIC: a project realized while maintaining low costs without sacrificing quality. This is the project that allowed us to grow and understand that architecture is well done only when you can see it realized. We viewed the construction site along with all those who worked with us on the project, once the facilities had been completed and we were beginning to add the finishing touches. To see the amazement in everyone’s eyes when something we designed was realized filled us with satisfaction. V.T. 05: Have you seen Tor Bella Monaca project? What do you think about that? SPSK+: The first thought that comes to mind is that the city is imagined in a hallucinatory way. One can’t apply such an urban vision on a real city and say: “now you’re 6.000, tomorrow you’ll be 15.000, you won’t have towers but small brick houses so then you may be happy. “ A) Who’s going to build those small houses? B) How many do we need to relocate the entire neighborhood? C) How can you tell people “we’re going to destroy and reconstruct everything because you’re living in the archetype of decay?” Tor Bella Monaca has a social identity as Corviale, together they are topics of discussion. The city has metabolized them, they’ve survived as districts, a lot of families are living there, and they have a long history behind them marked by the unhealthy suburbs mark. It’s easier to think about demolition than about restoration. V.T. 06: Today, architecture is a trend. Unspecialized magazines depict it as an installation, a brand, etc. Is this just a passing trend or is it the course of evolution? SPSK+: It’s a trend, of course. Recent studies have shown that we are the third sexiest profession in the world! Architecture becomes the background for advertising. Do you promote a material or an innovative product? Try putting Gehry’s Guggenheim in the background. Architects are stressed dynamics you can “use” them for analgesic advertisement. The negative aspect of its being fashionable, unfortunately, is that many first-year students choosing architecture are affected by this kind of communication. Architecture equals fashion!
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1. Faculty of Umanisties Science “La Sapienza” - Rome interior 2. Faculty of Umanisties Science “La Sapienza” - Rome main elevation
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V.T. 07: You said that a nursery for a big client, private or public, is one of those projects that every architect should aim to achieve at least once in their life. In our country there are very few examples of such projects housed in inappropriate containers. Your project was realized in an 80’s office building. What were the guidelines that emerged in the design phase that would fit well with its function? SPSK+: BNL nursery was a very exciting project because of its social theme, and we really enjoyed working on it. Put together the definition of architectural space as an educational tool with the creation of a social support structure and you’ll immediately give
relief to the families and workers/parents who use them. We had the full client’s cooperation, motivated to build a model structure of its kind to be made available for its staff to improve their living and working conditions. It was a very hard job, but we finally made it happen with adequate financial means, and we received respect from the client as a result of the project’s quality. The guiding principles were very hard to combine: the existing space and the educational quality of the project. V.T. 08: The building, built by means of a system developed in concrete, is strongly characterized by the continuous panels of reinforced concrete that face the facades, and the interiors are characterized by all those spaces that have derived from the transformation and adaptation of the existing ones. Can we affect the children’s growth through architecture? In what way? SPSK+: Absolutely. The architecture, the quality and definition of the space affects the child’s development, especially that of children under three years of age. Each area was developed based on the children and educators’ needs, and the colors were selected based on the activities that were carried out in various areas. The proportions, light and choice of materials are all involved in the conscious perception of the growing child. The part of the building housing the nursery has been heavily processed, reinforced and the openings on the southwest side have been enlarged in order to bring natural light into the environments inhabited by children. The finishes have all been revised to soften the austere character of the building complex. The result was wonderful, but the most important thing is the feedback from children’s parents. The nursery was also opened to the neighborhood, because that district had no equivalent structures and this allowed us to extend the benefits of such actions to an area not designed to give decent answers to its citizens.
4 films to watch: Matteo: Blade Runner, Ran by Kurosawa, Avatar (not because it is beautiful, but because it is strong), Metropolis Carola: Blade Runner, Guerre Stellari, Inside Man, Una Giornata Particolare 3 books to read: Matteo: La Maga delle Spezie, Maledetti Architetti, Lost in America Carola: Io Charlotte (original French title: A Life of Creation), Integrated Architecture by Gropius (a great architect was also a great master), La Fata Carabina by Pennac and fourth, Franca Helg “La gran dama dell’architettura italiana”. 2 young architects: Matteo: Can I vote for us? Carola: It’s difficult, the new generation is selling itself better than us. I appreciate Iotti/Pavarani’s work and others like them involved in major projects. 1 master to re-discover: Matteo: The master, Mies, Zen architecture to me. Carola: Charlotte Pierrande. I’ve met her once in Paris, in a bookstore where she was presenting her biography. She is a vibrant woman, asking you things and making personal dedications on the book. A woman is a great architectural motor for many projects. www.spsk.it
Questions in bursts: 5 websites: Matteo: I’m an avid explorer of the internet, but it’s difficult to recall something that impressed me… Ecodazoo is a very funny website. Carola: I’m surfing in a didactic manner so I can recommend architecture websites such as www.dezeen.com, www.vg-hortus.it and www.mimoa.eu
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text by Emilio Fabri Visione come idea, creatività da portare nel reale dove possibile. Visione come stimolo all’agire, entusiasmo di credere in qualcosa che prende forma nella nostra mente, ma che siamo convinti di poter far diventare realtà. La visione intesa come motore dell’innovazione e strumento per la realizzazione di noi stessi e del nostro “io” artistico e professionale. Un artista è sicuramente più di quello che si vede. Un artista esprime all’esterno, attraverso le sue opere una parte di sé, ma non sarà mai abbastanza dal suo punto di vista, ci sarà sempre una parte di lui che ancora non è stata espressa. Stanley Donwood è tutto questo. Una persona che cerca di portare all’esterno le proprie visioni ed il proprio io, in tutte le sue opere ed in tutte le sfumature della sua arte e del proprio talento, che sia grafica, che sia pittura, scrittura o in genere creatività. Artista poliedrico, Stanley Donwood si cimenta con la pittura, l’incisione e la scrittura. Sul suo sito è disponibile una folgorante raccolta di racconti ed un romanzo pulp «scritto in un mese per scommessa», cosa che fa intuire l’enorme vena creativa che egli esprime in ogni suo lavoro. La sfida interiore che ogni artista lancia a se stesso e alla propria voglia di condividere parte di un “io” che non smette mai di volersi manifestare. Donwood ha trovato, dalla stretta collaborazione con i Radiohead, la sua consacrazione su vasta scala ed enormi consensi di pubblico, il binomio con i Radiohead ha segnato il passaggio e la materializzazione delle visioni dell’artista in musica, costruendo un connubio quasi simbiotico. La musica e lo stile della band inglese non sembrano altro che la promanazione delle sue visioni che prendono forma in note, testi ed immagini. Se Stanley Donwood avesse avuto anche una bella voce, sarebbe stato Thom Yorke. I Radiohead e Donwood, nella loro collaborazione, si completano artisticamente. Per la band inglese ha realizzato cover ed immagini interne per l’album “The Bends”, legandosi strettamente alla carriera artistica di Yorke & company, vincendo molti premi, riscuotendo consensi da pubblico e critica. Collaborazione tutt’ora esistente, che presto vedrà la produzione di nuovi lavori. L’incontro con City Vision ha permesso la realizzazione della copertina del nostro secondo numero, dove l’artista porta se stesso in una dimensione architettonica, senza snaturare assolutamente il suo comprovato e apprezzato stile artistico. I disegni di Stanley sulle architetture si caratterizzano più per la tecnica a matita e in perfetta prospettiva, che per la qualità architettonica stessa degli edifici rappresentati. Le forme sono regolari, linee perfette e prospettive che con la loro semplicità trasmettono l’idea di città surreali. Il surreale delle sue creazioni ci porta un po’ dell’inquietudine con cui l’artista condivide la propria esistenza e l’esternazione del proprio “io” interiore. Altre rappresentazioni architettoniche ci parlano di città viste da una prospettiva onirica, come se il soggetto guardasse queste costruzioni attraverso un vetro appannato, in una giornata fredda, come se lui stesso stesse sognando ciò che ha appena disegnato. Egli si distacca dalle sue rappresentazioni come un passeggero di un treno guarda il susseguirsi del panorama. 118 cityvision 02
L’architettura e le sue atmosfere sono caratterizzate da uno stile, il “suo” personalissimo concetto di architettura; rappresentata con una tecnica classica che usa ripetuta e modificandone la scala, come pattern per altre sue opere. Il Donwood artista indipendente ha nelle sue opere, una concezione di “fotografia” o di soggetti, caratterizzata da visioni cupe ed apocalittiche, monito per l’attuale situazione della Terra. Terra intesa sia come Pianeta, ambiente ed inquinamento, sia come una visione allarmistica riguardo la piega che, la società che abbiamo creato e stiamo vivendo, sta prendendo. L’artista si definisce “Sig. Preoccupazione” e la esprime attraverso opere di distruzione e atmosfere cupe. Imagine vision as an idea; creativity given to the reality where it is made possible; vision as an acted stimulus; enthusiasm to believe in something that takes shape in our minds, when we believe we can make it real; the innovation of our visions as a drive and an instrument for the realization of ourselves and of our artistic and professional “self ”. Imagine an artist that is certainly more than meets the eye; an artist who expresses himself through his works, yet from his point of view this will never be enough, there will always be a part of himself left unexpressed. This is Stanley Donwood: Someone who’s trying to share part of himself and his visions in all of his works and all the nuances of his art and his talent through graphics, drawings and texts. A multifaceted artist, Stanley Donwood is deeply involved with painting, engraving and writing. On his website there is a dazzling collection of short stories and a pulp novel “written for a bet in a month”, which shows his enormous creativity. He’s achieved the challenges that every artist strives to overcome for himself and fulfilled his personal desire to share part of “the I”. Thanks to his collaboration with Radiohead, Donwood has found consecration on a large scale and enormous acclaim from the general public. Working with Radiohead marked a transition in his career when the artist’s vision materialized itself in music, creating a symbiotic union. The British band’s style seems to be the musical realization of Stanley’s work. If Stanley had a beautiful voice, he would probably be Thom Yorke. Radiohead and Donwood are complementary. He designed the album cover and other inside images for the album “The Bends,” binding himself tightly to Radiohead, winning many awards and praise from critics and his audience. This collaboration is still in existence and will soon produce new material. As a result of his encounter with City Vision, Donwood produced a cover for our magazine, in which the artist depicted himself in an architectonic dimension, without altering his proven and popular art style. Stanley’s architectural drawings are characterized more by his drawing technique and perfect perspective rather than by the architectural quality of the depicted buildings. Regular shapes, perfect lines and perspectives convey the idea of “vision” and dreams of unreal cities through their simplicity. His surreal creations show us a bit of his anxiety and personal world-view. Other architectural representations depict cities seen from a dreamlike perspective, as if the subject is observing these buildings on a cold, foggy day. He’s separated from his performance, like a passenger on a train observing the landscape’s succession. The architecture is influenced by his personal style, his personal concept: it’s represented in a classical technique, and is then repeated in different scales and transformed into a pattern for other artworks. Donwood’s independent photography has a dark and apocalyptic concept: a warning for everybody of the Earth’s corrupt situation.The amount of pollution in our environment is catastrophic. The society we live in is irresponsible. Stanley nicknamed himself “Mr. Worry” and he embodies this name perfectly. www.slowlydownward.com
Xendless - etching
ph. courtesy of Mondo Bizzarro Gallery 02 cityvision 119
Methor Oligarchy - etching ph. courtesy of Mondo Bizzarro Gallery 120 cityvision 02
Glass House Disaster - etching ph. courtesy of Mondo Bizzarro Gallery
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Levit Crotch - etching
ph. courtesy of Mondo Bizzarro Gallery 122 cityvision 02
Shadows - etching
ph. courtesy of Mondo Bizzarro Gallery
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cityvision-mag.com twitter/cityvisionmag facebook/cityvisionmag linked-in/cityvisionmag twitter/cityvisionmag cityvision-mag.com linked-in/cityvisionmag facebook/cityvisionmag cityvision-mag.com twitter/cityvisionmag facebook/cityvisionmag linked-in/cityvisionmag 124 cityvision 02
www.c-h-e-b-e-l-l-o.com 02 cityvision 125
unpublished project and text for Cityvision mag by Mathery
Quasi solamente un segno, una struttura labile mai perenne, si adatta e plasma in funzione delle necessità. Un supporto orizzontale facilmente richiamabile; Un custode all’occorrenza! La casa è il nostro intimo rifugio, un luogo dove vivere e condividere esperienze, un contenitore di emozioni e ricordi. Un ambiente incline ad essere personalizzato, plasmato in funzione delle nostre esigenze, evoluzioni e cambiamenti. La necessità di avere dello spazio gestibile e funzionale è un’ esigenza comune, Ward-Up è la soluzione low cost, uno scaffale verticale a scomparsa; un facile modo di creare dello spazio, grazie ad una scatola in cartone ondulato, della colla ed un bottone a clip per il bloccaggio. Le pieghe preesistenti della scatola permettono a Ward-Up di sfruttare due formati differenti, dal momento del montaggio e applicazione su parete, 2D, si passa ad uno stadio pop-up 3D. Il bottone a clip, applicato al muro e alla base del box, permette una maggiore aderenza del 2D al supporto verticale. Ward-Up è un modulo; l’ accostamento di più box richiama la disposizione della struttura di un alveare in cui si vengono a creare tante piccole celle che ci offrono la possibilità di nascondere oggetti e segreti. La vista frontale, non offre una visione completa degli oggetti custoditi ma solamente uno scorcio, grazie alla presenza di un taglio obliquo. 126 cityvision 02
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1 3 1. Ward Up - closed 2. Ward Up - open 3. Ward Up - building instruction
Almost nothing but a sign, a perennial fleeting structure it molds and adapts as required. A horizontal support is easily recalled; A guardian if necessary! The house is our intimate refuge, a place to live and share experiences, a container of emotions and memories. An environment designed to be customized, formed according to our needs, trends and changes. The need for manageable and functional space is a common need, Ward-Up is a low cost solution, a retractable vertical shelf; an easy way to create space, thanks to a box of corrugated cardboard, glue and a clip button for locking. The existing folds of the box allow Ward-Up to exploit two different sizes, from the installation’s initial phase and application on the wall in 2D, we jump on a pop-up 3d stage. The clip button, applied on the wall and at the box’s base, allows a greater adherence of the vertical 2D support. Ward-Up is a module; The combination of multiple boxes refers to the structural scheme of a beehive in which they create many small cells that offer us the ability to hide items and secrets. Cosa cosa aggiungere The front view does not provideeliminare, a complete view of the objects, but only a guarded glimpse, thanks to the oblique cut . www.02mathery.com
DAL BOX A WARD-UP
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AGENDA
curated by Vanessa Todaro
Cantiere d’autore MAXXI Rome december 15th 2011 - march 6th 2011
Three Cities in Flux - British School Rome Rome february 7th 2011 - february 28th 2011
Europunk - Accademia di Francia Rome january 21th 2011 - march 20th 2011
Iwan Baan, Olivo Barbieri, Gabriele Basilico, Gianni Berengo Gardin, Antonio Biasiucci, Patrizia Bonanzinga, Luca Campigotto, Giancarlo Ceraudo, Giovanni Chiaramonte, Paola De Pietri, Ramak Fazel, Vittore Fossati, Moreno Gentili, Claudio Gobbi, Guido Guidi, Andrea Jemolo, Martino Marangoni, Raffaela Mariniello, Luciano Romano, Angela Rosati: 20 fotografi per mostrare la storia del cantiere del MAXXI.
BioMilano racconta la storia di hybridities nuovi. Si tratta di un flashforward, della narrazione di una trasformazione biologica futuro della città di Milano, dove i sogni diventano progetti provocatorio, e sviluppare progetti meritevoli in sfide globali.
La mostra raccoglie per la prima volta la produzione alternativa nel campo delle arti visive nella seconda metà degli anni ‘70 in Gran Bretagna, Francia, Germania, Olanda, Svizzera ed Italia. L’incredibile qualità e vitalità dei metodi alternativi di creazione artistica, propri della cultura punk, rappresentano un rinnovo culturale profondo.
Iwan Baan, Olivo Barbieri, Gabriele Basilico, Gianni Berengo Gardin, Antonio Biasiucci, Patrizia Bonanzinga, Luca Campigotto, Giancarlo Ceraudo, Giovanni Chiaramonte, Paola De Pietri, Ramak Fazel, Vittore Fossati, Moreno Gentili, Claudio Gobbi, Guido Guidi, Andrea Jemolo, Martino Marangoni, Raffaela Mariniello, Luciano Romano, Angela Rosati: 20 photographers tell the story of the construction site of the MAXXI.
BioMilano is the story about new hybrids. It is a flash-forward which depicts the future biological transformation of the city of Milan, where dreams become challenging projects, and projects are developed in response to global challenges.
The exhibition brings together for the first time the alternative production of the visual arts in the mid 70s in the UK, France, Germany, Holland, Switzerland and Italy. The incredible quality and viability of alternative methods of creating art, of this punk culture, represent a profound cultural renewal.
Graphic Design Worlds - Triennale Design Museum Milan january 25th 2011 - march 27th 2011
Obey:A Private Collection - Mondo Bizzarro Gallery Rome january 29th 2011 - february 23th 2011
Pier Luigi Nervi - MAXXI Rome december 15th 2010 - march 20th 2011
Triennale Design Museum presenta Graphic Design Worlds, la prima grande mostra internazionale dedicata al graphic design, a cura di Giorgio Camuffo. Graphic Design propone al grande pubblico uno sguardo particolare su tutti gli ingredienti del fenomeno: non mostra tanto la grafica, ma il disegno grafico, diverse interpretazioni possibili sui molteplici percorsi che conducono al design grafico.
Obey mostra le contraddizioni del suo tempo, provoca e viene anche arrestato per i graffiti fatti su un muro, proprio mentre nella National Portrait Gallery di Washington viene conservato il suo ritratto di Barack Obama.
Un’ampia mostra con un focus sui progetti olimpionici del 1960. La Capitale celebra la figura poliedrica di Nervi. L’architetto delle strutture, il maestro costruttore che ha saputo plasmare il cemento. Fra architettura organica e razionalismo.
Obey shows the contradictions of his time, causes and is also arrested for graffiti on a wall, while just as in the National Portrait Gallery in Washington is retained his portrayal of Barack Obama.
An extensive exhibition focusing on Olympic projects from 1960. The capital celebrates Nervi’s multifaceted figure. A prominent figure in rationalism and organic architecture, Nervi is known for his structural designs as well as his work with concrete.
Triennale Design Museum presents Graphic Design Worlds, the first major international exhibition devoted to graphic design, edited by Giorgio Camuffo. Graphic Design offers a special look at all the ingredients of the phenomenon: it shows not so much the graphics, but the graphic design, several possible interpretations of the multiple pathways that lead to graphic design. 128 cityvision 02
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I Saloni 2011: 50 years young Milano 12 aprile 2011 - 17 aprile 2011
I Saloni 2011: 50 years young Milan april 12th 2011 - april 17th 2011
I Saloni dichiarano la loro età ironicamente, con un gioco di parole che sottolinea la loro natura e il loro spirito, giovane e vivace. 50 anni portati bene se dai 12.000 visitatori che li hanno visitati nel 1961 si è arrivati ai 297.460 del 2010 e se i 328 espositori iniziali distribuiti su 11.000 metri quadrati sono diventati negli ultimi anni oltre 2500 su più di 200.000 metri quadrati.
I Saloni declare their age, ironically, with a pun that emphasizes their nature and their spirit, young and lively. 50 years well-taken as seen from the 12,000 visitors who visited in 1961, which has now reached 297,460 in 2010; the initial 328 exhibitors spread over 11,000 square meters have now become 2500 in more than 200,000 square feet.
50 anni che guardano esclusivamente al futuro, attraverso un progetto articolato che accanto alle consuete manifestazioni fieristiche – il Salone Internazionale del Mobile, il Salone Internazionale del Complemento d’Arredo, le biennali Euroluce e SaloneUfficio e il SaloneSatellite – coinvolgerà la città di Milano per offrire uno spazio di riflessione sul design, sul mondo dell’industria che lo ha reso possibile, sulla creatività e sulla cultura.
50 years who look only to the future, through a structured project that in addition to the usual trade fair - the Salone Internazionale del Mobile, the International Furnishing Accessories Exhibition, and the biennials Euroluce SaloneUfficio and SaloneSatellite - involve the city of Milan to offer a space for reflection on design, the industry that has made it possible, on creativity and culture.
Da martedì 12 a domenica 17 aprile 2011 duplice appuntamento con i Saloni, dunque! Presso il quartiere espositivo di Rho per vedere, toccare, provare il meglio che l’arredo domestico può offrire in tema di tipologie - dal pezzo unico al coordinato – e di stile − dal classico al design al moderno − oltre a ciò che detterà le tendenze di domani. E in città con un molteplice progetto di cultura che si apre in alcuni luoghi storici con numerosi eventi collaterali.
From Tuesday 12th to Sunday April 17th, 2011, meeting with the Saloni, then! At the exhibition area of Rho to see, touch, try the best that home decor can offer in terms of types - from single piece to coordinates - and style - from classic to modern design - not to mention the trendsetters tomorrow. And in a city with a multifaceted cultural project that will open in some places with many historical events.
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notebook KOKKUGIA
by Roland Snookes and Robert Stuart-Smith
L’obiettivo di Kokkugia è quello di sviluppare un’architettura non-lineare che emerga dall’operare su sistemi complessi e si interroghi sulle gerarchie che operano nell’architettura. Questa richiesta metodologica è focalizzata nello sviluppo di un processo progettuale comportamentale, uno in cui gli intenti del progetto operino attraverso comportamenti locali invece che attraverso esplicite descrizioni o manipolazioni parametriche di forme e organizzazioni. Questo approccio coinvolge il decodificare semplici decisioni architettoniche attraverso un sistema distribuito di autonome entità o agenti compiuterizzati. Questo metodo progettuale comportamentale pone in questione le relazioni gerarchiche e sequenziali che esistono in architettura, sia alla scale strutturale che urbana. Progettare attraverso un sistema multi-agent rappresenta l’evoluzione dall’esplicita descrizione o alla manipolazione parametrica della forma, in un intenso processo di formazione - l’organizzazione della forma.
Kokkugia’s agenda is to develop a non-linear architecture, one that emerges from the operation of complex systems and questions the established hierarchies that operate within architecture. This methodological inquiry is focused on developing a behavioral design process, one in which design intent operates through local behaviors rather than through the explicit description or parametric manipulation of form and organization. This approach involves encoding simple architectural decisions within a distributed system of autonomous computational entities, or agents. This behavioral design methodology brings into question the hierarchical and sequential relationships that exist within architecture, whether at the tectonic or urban scale. Designing through multi-agent systems represents a shift from the explicit description or parametric manipulation of form, to intensive processes of formation – the organization of form. www.kokkugia.com
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Foto L. Fabiani
SPAZIO ALL’IMMAGINAZIONE. NATURE Francesco Venezia/ West8 Campo Baeza/UN Studio
RIETVELD’S UNIVERSE aprile 2011
YAP MAXXI Young Architects Program
febbraio 2011
MAXXI ARTE_COLLEZIONI Il Confine Evanescente
giugno 2011
febbraio 2011
INDIAN HIGHWAY
MICHELANGELO PISTOLETTO DA UNO A MOLTI, 1956 - 1974
OTOLITH GROUP
settembre 2011
e
CITTADELLARTE
settembre 2011
RE-CYCLE Strategie per la casa, la città e il pianeta
marzo 2011
novembre 2011
MAXXI - VIA GUIDO RENI, 4 A - ROMA partner
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partner tecnologico
partner per l'attività didattica
sponsor
institutional XXI
www.fondazionemaxxi.it