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editoriale La stagione delle riforme

Questo giornale va in stampa a pochi giorni dalla chiusura dell’accordo raggiunto tra gli Stati membri nel corso del Consiglio europeo straordinario di metà luglio.

Fatta eccezione per le critiche di una fronda di detrattori, l’opinione generale valuta positivamente il lavoro svolto su questo fronte in particolare dal nostro Governo. Non possiamo che essere d’accordo: sia perché si parla di somme certamente ingenti – circa 208 miliardi solo all’Italia su un totale di 750 miliardi tra fondo perduto e prestiti – sia perché finalmente si ragiona in termini di prospettive globali e di lungo periodo. Ciò detto, non possiamo far finta di ignorare una serie di elementi critici.

Le tempistiche per l’erogazione delle risorse previste dal Recovery Fund sono lunghe. Sapremo cavarcela fino ad allora? Secondo il Rapporto regionale Pmi 2020 di Confindustria e Cerved più di un terzo delle oltre 150mila società analizzate potrebbe entrare in crisi di liquidità nel corso del 2020 per effetto del Covid-19. Le misure adottate fino ad oggi – sensate, per carità, come è il caso delle novità introdotte dal decreto semplificazioni – sapranno sostenerci mentre attendiamo?

C’è poi l’enorme tema dei progetti. Se i soldi ci sono, o ci saranno, come li spenderemo? L’Italia è il solo Paese ad essersi presentato a Bruxelles senza un programma nazionale di riforme. È tempo di predisporre al più presto piani d’impiego delle risorse che siano seri e credibili, volti al rilancio dell’economia, dell’impresa e del lavoro. Gli obiettivi, i tempi e i capitali vanno stimati ex ante con grande precisione, puntando innanzitutto alla crescita degli investimenti, ed evitando, al tempo stesso, un aumento della spesa pubblica corrente.

Non possiamo infine non evidenziare che ai fini dell’accordo finale sono stati purtroppo tagliati rilevanti fondi che dovevano far espandere il bilancio comunitario a favore della ricerca, delle nuove tecnologie, della sostenibilità ambientale, della digitalizzazione e della competitività delle imprese europee: insomma, i pilastri della visione comune dell’Europa di domani.

Mai come in queste settimane è apparso evidente quanto sia necessario un repentino cambio di passo in termini di mentalità. Dobbiamo disfarci di questa “sindrome da trincea”, cito un editoriale del Corriere della Sera, e lavorare di strategia. Per priorità, e non in emergenza.

Alcune circostanze mi richiamano alla mente l’immagine di una barca eccessivamente carica – oltre 2.500 miliardi di debito – e con un equipaggio incline a discutere e dividersi su ogni cosa, sprecando energie senza la capacità di focalizzarsi sul problema: portare momentaneamente la barca in acque sicure riducendo la zavorra e alzando la linea di galleggiamento. Dobbiamo restare lucidi e fare le mosse giuste – poche, ma corrette – per mantenerci in superficie e ritornare nelle condizioni di navigare in mari che inevitabilmente saranno sempre più difficili da navigare. Ma dobbiamo anche studiare la rotta: altrimenti l’approdo rimarrà un miraggio.

Fausto Manzana

Presidente di Confindustria Trento

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