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La “Fase 2” delle risorse umane

Tra smart working e cassa integrazione le aziende affrontano questa delicata fase di riassestamento nell’attesa dello slancio alla piena ripartenza auspicato per la “Fase 3”.

di ANDREA MARSONET, Confindustria Trento

SUPERATA la fase acuta dell’emergenza Covid – segnata dal lockdown durato fino al 4 maggio – si è passati alla cosiddetta “Fase 2” durante la quale si è avviata una lenta e graduale ripresa delle attività, anche lavorative. Le aziende non stanno ancora operando a pieno regime, per via di diversi fattori tra cui da una parte il vigente divieto di assembramento e il conseguente rispetto dei protocolli di sicurezza e dall’altra la lacuna di servizi educativi e soci-assistenziali colmata in parte dall’istituzione di congedi ad hoc e dallo smart working. Per quanto riguarda la cassa integrazione con causale speciale Covid dopo un aumento delle settimane fruibili è stata inoltre anticipata – esclusivamente per i datori di lavoro che abbiano interamente fruito del periodo precedentemente concesso fino alla durata massima di quattordici settimane – la possibilità di usufruire di ulteriori quattro settimane anche per periodi decorrenti antecedentemente al 1° settembre 2020, per una durata massima complessiva di diciotto settimane. Permane ora il problema della preclusione, per il periodo di 5 mesi – ossia fino al 16 agosto 2020 – dell’avvio delle procedure di licenziamento: sia collettivo che individuale (recesso per giustificato motivo oggettivo). Rimangono quindi attuabili i licenziamenti disciplinari e quelli relativi alla categoria dei Dirigenti. Tali preclusioni non collimano però con la durata massima della cassa integrazione – creando ovvie difficoltà per le aziende – ragion per cui Confindustria ha avanzato una richiesta di proroga della cassa integrazione fino a fine anno ed in ogni caso almeno fino alla sussistenza del citato divieto. In questa fase l’organizzazione del lavoro si presenta spesso molto diversa: gli orari di lavoro hanno un’impostazione nuova, orientata a scaglionare le presenze e a gestire gli spazi comuni (mense, spogliatoi) in base alle nuove necessità di distanziamento. L’impatto è naturalmente minore in relazione ai collaboratori con mansioni amministrative o comunque esperibili in Smart working, strumento ancora largamente impiegato e che è oggi oggetto di molte riflessioni. In un primo momento si è spesso letto e parlato con un approccio entusiastico dello smart working e di una forte presa

di coscienza delle sue potenzialità, prospettandone persino la prosecuzione in molte realtà anche al termine dell’epidemia. Con il passare del tempo però e anche con la fine del lockdown, si è iniziato a riflettere sul vissuto di chi lo ha sperimentato in questi mesi ed è stato evidenziato che questa modalità di lavoro ha avuto poco di “smart”, se non la capacità di adattarsi prontamente ad una situazione di emergenza permettendo alle aziende di portare avanti alcune attività e ai dipendenti di continuare a lavorare. Non si può quindi parlare propriamente di smart working (di cui flessibilità spaziale e temporale e gli obiettivi sono caratteristiche di spicco) ma piuttosto di “Remote working” e cioè di una traslazione dell’esecuzione della prestazione lavorativa in una postazione diversa – e cioè la casa – spesso con reperibilità estesa e con in più le difficoltà contingenti legate soprattutto alla gestione dei figli con i connessi oneri educativi e formativi, anche questi addebitati ai genitori con l’adozione di un’improvvisata didattica a distanza. D’altro canto abbiamo imprese molto preoccupate di perdere il controllo della produttività dei loro lavoratori e lavoratori che rischiano di non percepire adeguatamente l’importanza e utilità del contributo che offrono. Servono nuove competenze per lavorare in questo modo e, quindi, anche formazione specifica. Anche lo strumento delle videoconferenze in questa seconda fase continua a registrare una forte accelerazione che ne ha evidenziato pro e contro. Tra i pro ancora una volta l’efficienza (risparmio tempi di spostamento, possibilità di fare più riunioni). Tra i contro – sul fronte della produttività un maggiore affaticamento dovuto alla maggiore concentrazione che l’utilizzo di tali sistemi richiede – sul fronte relazionale la mancanza di rapporti diretti con l’impossibilità di cogliere i segnali che provengono dal linguaggio non verbale e la maggiore difficoltà di creare relazioni e occasioni di confronto. Sempre sul tema della gestione dei figli, che rappresenta un problema di notevole entità sia

per i lavoratori, che ovviamente per le aziende con cui questi genitori collaborano, l’Associazione ha posto grande attenzione confrontandosi con le Istituzioni preposte e sollecitando costantemente il riavvio di alcune attività o quantomeno un’offerta alternativa: dopo la recente emanazione delle linee guida nazionali e provinciali per il riavvio di alcuni servizi educativi l’Associazione – grazie al coordinamento con la Cooperativa La Coccinella e Fondazione Famiglia Materna – ha potuto segnalare alle Associate importanti informazioni sui servizi educativi in partenza, soprattutto nelle aree geografiche di maggiore interesse.

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