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Prima della Gazzetta. Strategie melodrammaturgiche della commedia per musica nei teatri napoletani d’inizio Ottocento Lorenzo Mattei

Lorenzo Mattei

Primadella Gazzetta. Strategie melodrammaturgiche della commedia permusica nei teatrinapoletanid’inizio Ottocento

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Un’attesa spasmodica

A ridosso del successo dell’Elisabetta regina d’Inghilterra (San Carlo, 4 ottobre 1815) Domenico Barbaja scriveva al soprintendente dei teatri reali, Giovanni Carafa Duca di Noja,¹ per proporre di scritturare Rossini nella successiva stagione primaverile al teatro dei Fiorentini, dove erano risuonate le musiche delle riprese dell’Italiana in Algeri (in primavera) e dell’Inganno felice (in autunno). Considerati gli impegni assunti con i teatri di Roma, ovvero la ripresa del Turco in Italia e le prime di Torvaldo e Dorliska e del Barbiere di Siviglia, Rossini n da subito pensò di sbrigarsi nella confezione della nuova opera bu a per Napoli pensandola come un centone con brani già composti in precedenza; ma l’operazione si rivelò più complessa del previsto e i tempi di consegna slittarono. Di conseguenza durante la Pasqua del 1816 come prim’opera della stagione dei Fiorentini andò in scena la commedia in prosa e musica Il disperato per eccesso di buon core musicata da Giuseppe Mosca, mentre la stesura della Gazzetta fu iniziata soltanto nel successivo giugno. Ancora il 18 di quel mese Rossini confessava: «Il dialetto napolitano che non troppo capisco forma il dialogo e lo sviluppo di questa azione; il cielo mi assisterà?».² Il 7 agosto sul «Giornale delle due Sicilie» si auspicava l’arrivo della tanto attesa opera rossiniana, ritenuta capace di svecchiare un repertorio che sembrava aver saturato l’interesse del pubblico: «Nel teatro dei Fiorentini alle opere da gran tempo invecchiate su quelle scene, si darà nalmente un momento di riposo con La festa della Rosa del sig. Pavesi. I giornali stranieri annunziano per quest’ultimo teatro una nuova composizione del sig. Rossini, tutti assicurano esser vicina a comparire, tutti l’anelano; ma sventuratamente essa non viene ancora a compiere i voti unanimi del pubblico, annoiato da interminabili ripetizioni di vecchie nenie».³ La confezione delle Nozze di Teti e Peleo

¹ La lettera è del 18 ottobre 1815; cfr. Gioachino Rossini, Lettere e documenti, a cura di Bruno Cagli e Sergio

Ragni, Pesaro, Fondazione Rossini, 1992, I, pp. 110-111. ² Cfr. Gioachino Rossini, La gazzetta, in Edizione critica delle opere di Gioachino Rossini, Sezione I, vol. 18, a cura di Philip Gossett e Fabrizio Scipioni, Pesaro, Fondazione Rossini, 2002, Prefazione, p. XXII. ³ Cfr. «Giornale delle Due Sicilie» n. 187, mercoledì 7 agosto 1816, cit. in Giuseppe Radiciotti, Gioacchino

Rossini. Vita documentata, opere ed in uenza su l’arte, Tivoli, Arti Gra che Majella, 1927, I, p. 246. La

(24 aprile 1816), la cura della ripresa di Elisabetta regina d’Inghilterra in primavera e della prima napoletana di Tancredi il 29 agosto 1816, tutte rappresentate al teatro del Fondo, rallentarono il lavoro destinato alla Gazzetta che era attesa spasmodicamente dal pubblico partenopeo: «Speriamo che libero da questo impegno voglia il sig. Rossini rivolgere le sue ultime cure al Matrimonio per concorso promesso al teatro dei Fiorentini il quale da gran tempo reclama qualche nuova composizione musicale».4

Vino nuovo in otri vecchi

La frase conclusiva dell’articolo apparso sul «Giornale delle due Sicilie» è signi cativa: con «nuova composizione» s’intendeva alludere a un’opera capace di rinnovare le «opere da gran tempo invecchiate» e di staccarsi dalla drammaturgia ancorata al modello tardo settecentesco di Paisiello e Cimarosa, i cui al eri erano ancora assai attivi, come ad esempio Giuseppe Palomba, librettista presente sulle scene di Napoli con undici commedie messe in musica lungo il lustro 1812-1816. 5 A ben vedere, tuttavia, l’elenco delle opere bu e rappresentate a Napoli nell’arco di questi quattro anni mostra un numero di prime assolute superiore alla metà del totale, 22 su 43 (cfr. Appendice I) consono con la richiesta di novità e di varietà espressa da un pubblico sempre più irrequieto.6 Dal secolo precedente provenivano la trilogia di Da Ponte e Mozart, opportunamente rimodellata per le istanze della scena napoletana, la Nina pazza per amore e il Socrate immaginario di Paisiello, Gli accidenti della villa del defunto Dutilleu e Che originali! di Mayr. Per il resto le restanti opere importate da Milano, Lisbona, Venezia e Parigi proponevano fortunate produzioni risalenti a pochi anni addietro. Va notato che negli adattamenti per Napoli le parti destinate al basso bu o Carlo Casaccia erano sempre riscritte in napoletano con la sola eccezione della ripesa dell’Inganno felice di Rossini.

L’assetto drammaturgico delle commedie napoletane di primo Ottocento, fortemente stereotipato, prevedeva una divisione in due atti, per la prima volta tentata da Giambattista

festa della Rosa di Gaetano Rossi si presenta in e etti come un «melodramma comico» di taglio nuovo sul piano lessicale e per struttura drammaturgica. 4 Cfr. «Giornale delle Due Sicilie» n. 206, giovedì 29 agosto 1816. Il titolo che qui compare è ancora quello provvisorio riferito al vecchio libretto di Goldoni che fu la fonte letteraria primaria per Palomba. 5 Su Giuseppe Palomba si veda la monogra a tratta dalla tesi dottorale di Pamela Parenti, L’opera bu a a

Napoli: le commedie musicali di Giuseppe Palomba e i teatri napoletani, Roma, Artemide, 2009; e il saggio di Paola De Simone, Amore a dispetto e in gioco: fra Eros e risus. Le tecniche del comico nei libretti di Giuseppe Palomba per i teatri di Napoli, in Commedia e musica al tramonto dell’ancien régime: Cimarosa, Paisiello e i maestri europei, atti del convegno internazionale di studi (Avellino, Conservatorio di Musica “Domenico

Cimarosa” 24-26 novembre 2016), a cura di Antonio Caroccia, Avellino, Il Cimarosa, 2017, pp. 331-376. 6 Nel 1816 l’uditorio partenopeo non si peritava di schiare opere ritenute «di niun valore e di pessimo gusto» anche in presenza dei sovrani; cfr. Paologiovanni Maione, Verso un moderno assetto teatrale: la macchina spettacolare napoletana negli anni francesi, in Fedele Fenaroli. Il didatta e il compositore, a cura di

Gianfranco Miscia, Lucca, LIM, 2011, pp. 121-141: 122.

Lorenzi in una revisione degli Amanti comici nel 17777 e poi da Giuseppe Palomba nel 1786 con Le gare generose. Dalla contrazione degli atti derivò quella delle arie, che fece sfumare la goldoniana tripartizione in parti serie, bu e e di mezzo carattere e la conseguente ricchezza di registri stilistici e linguistici. Meno frequenti, rispetto all’ultimo Settecento, furono anche quei gustosi spunti metateatrali, ch’erano capaci di enfatizzare il lato grottesco dei bu caricati. Un esempio indicativo di questa stagione mezzana della commedia per musica napoletana, assai restia ad abbandonare i topoi drammaturgici collaudati da decenni, è o erto dai Vampiri, bizzarro libretto di Giuseppe Palomba, messo in musica da Silvestro Palma ad apertura della stagione 1812 del Teatro Nuovo, ispirato alla Dissertazione sopra i vampiri dell’arcivescovo Giuseppe Davanzati.8 L’opera s’apre con un tradizionale quartetto d’Introduzione, arricchito dalla presenza d’un coro maschile; seguono due duetti (uno comico tra i due bu , l’altro amoroso tra i protagonisti Celinda e Floridoro), un breve coro, tre arie per le due bu e e per il basso toscano, un quintetto centrale e un nale primo, poco sviluppato.9 Nel secondo atto l’architettura musicale si duplicava: Palomba a dava un’aria a testa al tenore, al basso napoletano e alla terza bu a, collocava all’interno dell’atto un terzetto e nella penultima scena avviava il nale conclusivo (sestetto, coro e breve tutti). Allievo prediletto di Paisiello, Silvestro Palma¹0 seguì le orme del maestro, peraltro ancora in vita anche se oramai inattivo, replicando una ricetta collaudata: per le arie delle donne e del tenore era bene impiegare melodie semplici e cantabili, arricchite dall’apporto concertante dei legni e dei corni; per le arie dei due bassi con scrittura in stile sillabato e per la gestione dei concertati (qui in verità più brevi e già tutti orientati verso quei meccanicismi metrici¹¹ che Rossini già in quell’anno aveva iniziato a sublimare)

7 «Nel carnevale poi del 1777 si replicò quest’opera [Gli amanti comici]. Ebbe più felice accorgimento per averci il Lorenzi fatti alcuni cangiamenti, tolti alcuni pezzi di musica meno interessanti e ridotto il dramma in due atti» cfr. Opere di Giambattista Lorenzi, Napoli, Flautina, 1813, p. XI. Non esiste copia del libretto di questa versione del 1777 sotto nessuno dei tre titoli possibili: Don Anchise Campanone, Fra i due litiganti il terzo gode, Gli amanti comici. 8 L’opera era stata scritta nel 1739 ma pubblicata postuma nel 1774 a Napoli. Il tema orri co del vampirismo, qui alla sua prima elaborazione librettistica, era funzionale alle gag più spassose, durante le quali i due bassi comici (Gennaro Luzio nella parte di Marcantonio Treassi e Francesco Lombardi in quella di

Asdrubale Battinferno) si credevano vicendevolmente vampiri. Sul soggetto cfr. Elisabetta Fava, Ondine, vampiri e cavalieri. L’opera romantica tedesca, Torino, de Sono, 2007. 9 Lo scarso valore musicale di questo nale è conseguenza di un’inconsistenza drammatica del testo di

Palomba che mal annoda l’intrigo: non è chiaro infatti il motivo che spinge i due servi Silvia e Zurfariello a mascherare da soldati ungheresi Marcantonio e Asdrubale, né trova collocazione sensata l’insurrezione capeggiata da Floridoro. Le risorse dell’Improvvisa più antiche, il travestimento e la zu a, dunque non si amalgamano con la vicenda drammatica. ¹0 Se ne veda la recente voce del Dizionario Biogra co degli Italiani curata da Paologiovanni Maione (volume 80, 2015) disponibile online. ¹¹ Resta d’obbligo il rimando al saggio di Lorenzo Bianconi, “Confusi e stupidi”: di uno stupefacente (e banalissimo) dispositivo metrico, in Gioachino Rossini il testo e la scena 1792-1992, a cura di Paolo Fabbri,

prevaleva invece una costruzione paratattica, articolata in blocchi caratterizzati da grande incisività ritmica. Nei Vampiri l’elemento corale, specchio d’una comunità contadina attanagliata dalle superstizioni, non sviluppava appieno il proprio potenziale dialogico restando con nato in tre bozzetti canori di breve durata e modellati sui coretti di ne Settecento. Allo stesso modo, anche uno dei pezzi più attesi dal pubblico, l’aria di Gennaro Luzio Nel sentir che un tuo cugino, scritta su un testo esteso per ben 46 ottonari, in nulla modi cava le strutture melodiche e ritmiche adottate per i personaggi bu paisielliani, a dando la riuscita alla pura gestualità dell’interprete. Osservando lo schema della costruzione musicale e drammatica di questa commedia si evince una struttura che anche librettisti più giovani e smaliziati di Palomba non abbandoneranno facilmente:

Numeri Funzioni drammatiche Avvenimenti

Campagna

I.1 Quartetto e coro De nizione dell’ambiente Esposizione nodo 1 (amore di Eleonora non ricambiato) I.2 Duetto comico B+B Azione ferma GAG

Camera del castello

I.3 Duetto amoroso S+T Aria 2a buffa

I.4 Coro Esposizione nodo 2 (Celidea costretta al matrimonio) Azione ferma SFOGO LIRICO Azione ferma GAG

I.5 Concertato interno (Quintetto) Svelamento dell’antefatto avviluppo del nodo 1

I.6-7 Aria Buffo napoletano Azione ferma GAG

I.8-9 Aria 1a buffa Nuovo avviluppo del nodo 1 GAG Azione ferma SFOGO LIRICO Panico generale per i presunti vampiri. La villanella Eleonora si strugge per Floridoro Il vecchio capitano Marcantonio e il pavido ammazzavampiri Asdrubale si scambiano per vampiri e fuggono dallo spavento

Celidea pensa ad un piano per evitare l’obbligo delle nozze. Schermaglia Eleonora/Floridoro Asdrubale nge coraggio ma è nel panico I due innamorati per evitare le nozze mettono l’un contro l’altro i due creduti vampiri Marcantonio nge di aver ucciso Floridoro Celinda mette l’un contro l’altro i creduti vampiri rendendoli rivali ma non accetta nessuno dei due e fugge via

Pesaro, Fondazione Rossini, 1994, pp. 129-161, le cui considerazioni possono ben applicarsi alla partitura dei Vampiri di Silvestro Palma, grati cata di una ripresa moderna (Fermo 1990) disponibile all’ascolto online. La partitura manoscritta custodita nella Biblioteca del Conservatorio di Napoli è digitalizzata sulla piattaforma <www.internetculturale.it>.

Sala d’armi

I.10-12 Finale primo Avviluppo del nodo 2 Avviluppo del nodo 1 Eleonora e Celinda si contendono Floridoro che si arma contro Marcantonio

Camera del castello

II.1 Aria 3a buffa Azione ferma MOTTEGGIO Schermaglia tra i due servi II.2-4 Aria Buffo toscano Avviluppo Nodo 1 Asdrubale si illude di poter avere Celinda II.5 Terzetto Con itto Celidea illude entrambi i pretendenti II.6 scena e aria tenore Azione ferma SFOGO LIRICO Floridoro chiede l’aiuto di Eleonora

Atrio del castello

II.7 Coro Avviluppo nodo 1 Celinda accetta di sposare Marcantonio a patto che lui si nga vampiro; Floridoro si sente tradito

II.8-9 Sestetto Scioglimento dei nodi 1 e 2 La fobia dei vampiri si svela una truffa; Floridoro ha promesso la mano ad Eleonora

II.10 Coro e Finale Celinda accetta la mano di Marcantonio

Il primo atto si apre quasi sempre con un’azione concitata già avviatasi al di qua dell’alzata del sipario, che segna un momento di caos, stemperato dai successivi dialoghi, funzionali al recupero degli antefatti o di fatti interdrammatici.¹² L’Introduzione privilegia il quartetto vocale come tipologia di concertato poiché permette di presentare il modo incisivo e sintetico più della metà dei personaggi. Un duetto comico chiude il primo quadro, all’interno del quale è stato esposto per intero il primo nodo drammatico. Il secondo quadro è piuttosto ampio, presenta il secondo nodo (talvolta può essercene un terzo o un quarto) avviluppandolo insieme al primo e conduce a un apice tensivo dove trova posto un articolato quintetto. Il terzo quadro si struttura in funzione della crescente tensione che poi sfocia nel nale d’atto. Il secondo atto, di norma avviato con un’aria di sorbetto,¹³ si compone di soli due quadri: il primo di essi va a concentrarsi sul nodo principale e può prevedere un ulteriore momento con ittuale realizzato in terzetto o quartetto; il secondo porta alla conclusione. Il nale ultimo vero e proprio consta di un breve tutti, separato rispetto al lungo concertato che lo precede da alcuni versi di recitativo. In alcuni casi al posto dell’ensemble nale può esserci un duetto tra il basso napoletano e la prima bu a.

¹² Per la de nizione di questo come di altri termini usati in seguito si rimanda al Glossario di drammaturgia in Antonella del Gatto – Giovanni Cappello – Walter Breitnermoser, L’annodamento degl’intrighi.

Studi di sintassi drammatica, Napoli, Liguori, 2007. ¹³ Cfr. Marco Beghelli, Dall’aria di sorbetto all’aria della pissa, in Musica di ieri, esperienza d’oggi. Ventidue studi per Paolo Fabbri, Lucca, LIM, 2018, pp. 141-168.

La schematicità¹4 di queste commedie si giusti ca considerando anche la ssità dei ruoli e la stabilità della compagnia di attori cantanti. Al teatro dei Fiorentini il cast faceva perno intorno a Carlo Casaccia, primo bu o napoletano, e alla sua spalla il primo bu o toscano Felice Pellegrini cui s’aggiungeva il terzo basso bu o Giovanni Pace. Il primo bu o napoletano già sul nire del XVIII secolo assunse un particolare ruolo di amoroso che era estraneo alla tradizione goldoniana, dove il basso di norma restava un personaggio turlupinato e comunque non connotato eroticamente. I personaggi interpretati da Casacciello sono grassi, maldestri, sguaiati, ma fanno innamorare di primo acchito le protagoniste femminili. Il matrimonio che scioglie immancabilmente il nodo drammatico principale non è più quello tra il tenore e la prima bu a bensì quello tra lei e il primo bu o. Uguale importanza rivestiva il ruolo della prima bu a – a dato per anni a Carolina Miller o a Margherita Chabrand supportate dai secondi soprani Marianna Loyslet o Francesca Ceccherini – talvolta impegnata pure lei a cantare in dialetto napoletano. Il tenore, che a Napoli rivestì dunque in questi anni il ruolo di secondo amoroso, portava i retaggi della parte “seria” settecentesca ed era privo di tratti caricaturali; poteva presentare tessiture diverse, da quelle più chiare di Domenico Donzelli e Savino Monelli a quelle più scure di Giuseppe Viganoni e Pietro Gazzotti. Va tuttavia fatto notare che se il cambiamento della prima bu a e del tenore non in uenzava l’ossatura delle commedie, la presenza o meno di un interprete come il basso Felice Pellegrini aveva, invece, importanti ricadute sulla disposizione dei numeri, ad esempio veniva a mancare il duetto tra i due bu .

Aver rimarcato la persistenza delle medesime strutture melodrammaturgiche non vuol dire tuttavia che la commedia musicale napoletana di primo Ottocento fosse davvero così simile a quella dell’ultimo Settecento come le righe del «Giornale delle Due Sicilie» vorrebbero far credere. Le di erenze fra le due tipologie di scrittura scenica possono essere ben osservate attraverso il confronto tra le rielaborazioni testuali che alcuni librettisti riproposero nello stesso teatro a distanza di molti anni. Un esempio è dato dalla commedia I fuorusciti di Giuseppe Palomba (Fiorentini, inverno 1777, con musiche di Pietro Alessandro Guglielmi; d’ora in poi NA1777) poi intitolata Gli amori e l’arme per la ripresa nel marzo 1812, trentacinque anni più tardi, nell’intonazione di Giuseppe Mosca (NA1812). Le divergenze tra questi due libretti, che in comune hanno solo una manciata di versi, si notano a partire dalla costellazione dei personaggi: in NA1777 il barone Don Aronzio Sciabolone e

¹4 La prefazione al secondo tomo delle Opere teatrali Giambattista Lorenzi (Napoli, Stamperia Flautina, 1813, pp. IV-VI) conferma la stereotipia nella condotta dei drammi individuando alcune sezioni sse: 1)

L’introduzione «sempre a più voci e chiassosa»; 2) la cavatina della prima bu a o «il duettino tra lei e il primo bu o»; 3) un terzetto, quartetto o quintetto nella scena quarta o quinta; 4) l’aria del primo bu o in penultima posizione seguita da quella della prima bu a; 5) nale primo di sei o sette scene; 6) aria di sorbetto ad apertura del secondo atto; 7) duetto tra i due bassi bu ; 8) scena e aria del tenore; 9) un pezzo concertato; 10) il nale secondo. Nell’eventualità di un brevissimo terzo atto si doveva scrivere un duetto tra il primo basso e la prima bu a «i quali debbono necessariamente sposarsi insieme».

suo glio Cicco (interpretati da Giuseppe e Antonio Casaccia) cantano entrambi in dialetto napoletano – alternato all’italiano solo in alcune occasioni per dar luogo a spassosi esiti metalinguistici¹5 – ed agiscono quasi sempre in coppia. In NA1812 solo Cicco (Carlo Casaccia) parla in napoletano e si distingue in modo netto dagli atteggiamenti del barone, qui nominato Melchiorre Sciabolone e fratello maggiore, non più padre, di Cicco. In NA1777 il dialetto napoletano era usato anche da Annella (la terza bu a, Maria Giuseppa Migliozzi), giovane astuta e promessa sposa al barone, la cui presenza, oltre ad aggiungere un ulteriore nodo drammatico, assicurava divertenti gag, come quella dove la donna insisteva per farsi sposare come premio delle trascorse prestazioni sessuali (I.4):

Barone: Ed io padre canzirro la pella primogenita del glio arrisco così? Annella: Justo pe chesto sposateme a l’ampressa; già chiù bote vuje data mme n’avite la parola. Barone: E ti par tempo questo di penzare a ’minei? Annella: Comme? e l’ammore che nziemo avimmo fatto?

Il carattere sanguigno di questa scalcinata coppia morganatica – le cui schermaglie, presenti in quattro scene, avevano la funzione di rallentare il decorso del dramma – scompare del tutto in NA1812, dove Annella diventa Livietta, serva del barone, personaggio secondario e utile soltanto per alcuni monologhi di recupero intradrammatico e per annunciare l’ingresso di personaggi.¹6

¹5 Quando Cicco si decide ad a rontare il temibile fuoruscito Sinonimo, veste i panni dell’eroe impavido ma senza troppa convinzione: «Non più, non più; via jammo (Occhi miei belli | comm’aggio da vederve | co’ tante de barcune?) Ma che vedo! | Voi piangete per gli occhi? Io senza pianto | e senza fatto aver collazione | son debole abbastanza: dunque vado | a stracciarmi per voi; io per la patria | spilerei tutto il sangue | se pur non fosse mio; | sposa, padre, cafon, vi lascio, addio. || Ah frenate il pianto imbello | non è ver non vado a morte | vò a pugnar; ma poi bel bello | zombo, abbusco e torno qua» (I.3) cfr. I fuorusciti,

Napoli, 1777, p. 10. Esemplare consultato in I-Nn. ¹6 Livietta è tuttavia importante come ruolo attanziale nel momento in cui svela a Sinonimo le vere intenzioni di Ernesto dandogli la possibilità di ricattarlo.

La riduzione di scene, da 38 in NA1777 a 25 in NA1812, porta come conseguenza una drastica diminuzione delle arie (da 16 a 6) ma non cambia né l’articolazione delle mutazioni sceniche (sette, alternanti spazi chiusi e aperti), né il numero dei duetti e dei brani polivoci, rispettivamente 2 e 7 in entrambe le opere. La costruzione drammaturgica all’interno delle unità segmentate dai quadri scenici è però assai di erente: basti osservare il primo quadro, la sala del palazzo baronale, che in NA1812 viene liquidato in due scene, utili solo al recupero degli antefatti, mentre in NA1777 è un organismo complesso di quattro scene e sei numeri musicali, arricchito di due gag gestuali (l’ingresso di Cicco armato in modo bu onesco e le avances di Annella al barone) e di spunti parodistici (Cicco nel partire per combattere i fuorusciti assume il lessico degli eroi metastasiani). La gestione del secondo quadro nei due libretti è meno divergente quanto a dimensioni e funzioni drammatiche (avviluppa il nodo principale) ma ben simboleggia il passaggio da una commedia misurata sulle arie (ve ne sono quattro), ad una incentrata sui brani polivoci (due duetti). Inoltre NA1777 coinvolge anche le comparse nelle gag gestuali come, ad esempio, nella fallita imboscata a Sinonimo dormiente che terrorizza Cicco e il suo seguito mentre parla nel sonno (I.5):

Sinonimo: Pur che salvo l’onor, la vita pera. (Sinonimo parla dormendo) Cicco: L’avite ’ntiso? dicembre ca nce vò dà le pera! Ora una botta dammolo a l’antrafratta. A nuje, e una… e quanno? Siate accise, vuie tremmate? Tremm’io e nuje l’avimmo pigliate pe ne pressa. Ora m’accosto… (Sinonimo sospira un poco forte allorché tutti fuggono e poi ritornano in scena passo a passo) Cicco: Ne v’ha cuoveto? Conta; fummo tutte? Nce ne manca nisciuno? E bà, dammole ncuollo, io so lo primmo (Oh che bella carrera che farimmo) Sinonimo: Chi è qua? Fiordispina: Birbi chi siete?

Sinonimo: Fatti animo germana.

Cicco: Sparate mo. Sinonimo: Ribaldi, tutti a terra! (le comparse fuggono.)

Nel suo complesso NA 1812 ha un andamento drammatico molto più rapido, sia perché privo dei rallentamenti o erti dalle schermaglie amorose (specie quelle grottesche di Annella), sia perché fa convergere la tensione soltanto nei due nali d’atto e nel quintetto di I.8; NA1777 è invece costruito tramite accelerazioni e rallentamenti intorno a quattro apici tensivi, il primo dei quali coincide con la complicazione del dramma (la costrizione di Cicco a sposare Fiordispina) dilazionata al nale primo. NA1777 impiega inoltre l’antica risorsa del travestimento (Sinonimo si maschera da devoto pellegrino per cercare di fuggire dal castello del barone) e ricorre a tecniche dell’Improvvisa come la relazione di contiguità tra la scena e il fuori scena o come il dialogo ascoltato da un personaggio nascosto. Lo scioglimento del danzamento tra Metilde e Cicco in NA1777 avviene infatti dopo che la ragazza ascolta, non vista, le pro erte amorose del suo promesso sposo a Fiordispina; in NA1812 Metilde lo lascia perché Cicco stupidamente le fa leggere una focosa lettera che lui crede indirizzatagli da Fiordispina, ma il cui vero destinatario era Ernesto. Tra l’altro poco dopo Cicco fa credere che la lettera della bella fuoruscita sia destinata a suo fratello, facendolo così diventare un furibondo rivale (lo scontro tra i due sciocchi fratelli costituirà la molla per l’ultimo concertato, posto a ridosso del tutti nale). La scena del sotterraneo dove si svolge l’interrogatorio dei fuorusciti imprigionati, in NA1777 occupa le ultime scene e non costituisce soltanto uno sfondo scenico bensì diventa protagonista della vicenda al pari del nodo drammatico cui dava vita; in NA1812 essa apre il secondo atto ma non genera nessun impatto emotivo sul pubblico, anche perché si limita a fare da sfondo alle civetterie di Fiordispina che dà per scontata un’assoluzione, assente in NA1777 dove il perdono dei fuorusciti era rimandato a pochi momenti prima della ne ed era dovuto a un’agnizione nata dalla lettura di un provvidenziale dispaccio. NA1812 perde dunque anche elementi di suspense rispetto a NA1777 ma si conferma più lineare e ordinata; una linearità che probabilmente il pubblico napoletano percepiva come una consunta «vecchia nenia».¹7

Logorrea: recitazione parlata e verbalizzazione delle gag

Nel 1813 il soprintendente dei teatri di Napoli aveva emanato una disposizione che proibiva per legge di eseguire nell’opera seria i recitativi secchi, in quanto non allineati al gusto del teatro francese. Le conseguenze si fecero sentire anche nelle opere comiche che da quella

¹7 Ragioni di spazio non permettono di porre a confronto le partiture di Guglielmi e di Mosca che palesano punti in comune piuttosto evidenti nella gestione dei pezzi concertati, questi sì davvero immutati nei loro meccanismi compositivi in un arco di tempo così esteso.

data in ttirono i libretti con le inserzioni parlate, congeniali a implementare la verve attoriale dei cantanti e la loro inarrestabile loquacità.¹8 Il proliferare dei dialoghi in prosa non andò soltanto ad ossequiare la gallicizzazione dell’operismo napoletano, ma assecondò anche una tendenza che aveva visto allungare le sezioni recitative nelle opere comiche tutte cantate: gran parte delle gag e degli episodi più riusciti sul piano della scrittura comica, erano infatti concentrati nei recitativi “parlanti” o “correnti”¹9 che, rispetto a quelli dell’ultimo ventennio del Settecento, s’erano accresciuti. Liberi dai vincoli del recitare cantando, i bu napoletani potevano in tal modo sfruttare con maggior vantaggio gli ampi stralci prosastici per le proprie capacità istrioniche. Vi furono tuttavia non pochi detrattori delle opere di genere misto, infastiditi dal gap che si veniva a creare tra i numeri cantati e la recitazione parlata. Nella prefazione al già citato II tomo delle Opere teatrali di Giambattista Lorenzi, al librettista conversanese si fa esporre – in aperta polemica con la prassi corrente – un deciso attacco ai melo-drammi:

E qual nuovo mostro volete farmi esporre sulle scene musicali? E non vedete che questa novità mi renderebbe ridicolo in Europa? Un dramma metà in prosa, metà in musica? E come? Dopo che un attore si sarà divertito un quarto d’ora declamando con tutta l’eloquenza, espressione ed energia di un dialogo in prosa e di un’azione sempre viva e gradatamente crescente e che versato abbia ato e sudore per bene esprimere le sue idee e dar risalto e forza al suo discorso, facendo un punto nale alla sua bella declamazione prosaica, si volgerà poi intrepidamente all’orchestra e al popolo che ascolta dicendo “non v’incresca, signori, che queste mie idee io ve le rappresenti ora in musica con i miei trilli e gorgheggi” e facendosi in mezzo al teatro sul luogo del suggeritore mettasi a cantare come un forsennato? or chi non riderebbe a questo passo?²0

L’adozione dei libretti con recitativi in prosa avalla l’ipotesi che nelle commedie per musica partenopee di primo Ottocento si tendesse a verbalizzare quelle gag che in altri teatri italiani restavano allo stato mimico-gestuale. Un esempio tra i tanti possibili è o erto dalle Finte rivali di Mayr su libretto di Romanelli rappresentato alla Scala di Milano nell’autunno del 1803. Quando aveva luogo il primo incontro tra i due bu , Tricotazio e Ottavio (impersonati da Andrea Verni e Giuseppe Liparini), una lunga didascalia descriveva la gag della go a riverenza con triplice inchino chiusa da un maldestro abbraccio (I.9):

¹8 Dal 1810 con La forza del giuramento Andrea Leone Tottola aveva iniziato a comporre libretti con recitativi in prosa; cfr. Arnold Jacobshagen, e origins of recitativi in prosa in neapolitan opera, «Acta musicologica» 74, 2002, pp. 107-128; Id., Cantare e parlare nell’opera napoletana: un equivoco storiogra co,

«Il Saggiatore musicale» 16, 2009, pp. 123-128. ¹9 Questi i termini, sostitutivi dell’aggettivo “secco” o “semplice” e di essi più esplicativi, che il gergo teatrale assegnava ai recitativi non orchestrati. ²0 Cfr. Lorenzi, Opere teatrali cit., tomo II, pp. VII-VIII.

Barone Tricotazio: Se questa o quella preferisco! e due: ri utar l’una e l’altra… addio… sarebbe l’ultima mia ruina; insomma io vedo malanni dappertutto; perché, barbari dei, non farmi brutto? In questo mentre sopraggiunge in fretta Ottavio che poi si ferma e senza parlare fa go amente al barone de’ complimenti ad imitazione di Lucilio e non avendo prese bene le sue misure, gli si trova addosso prima di aver terminate le tre riverenze e fa ritirare il barome spaventato; nalmente gli va colle braccia al collo (Chi è questo matto?) Ottavio: Oh! genero garbato… Barone: Lei mio suocero? (ohimè!) Ottavio: Ben arrivato!

Undici anni più tardi l’opera fu ripresa a Napoli e i due cantanti, Ranfagna e Casaccia, inglobarono parte del testo della didascalia milanese nel loro dialogo, descrivendo a parole i gesti e o rendo in tal modo una ridondanza di codici, verbale e visivo (I.10):

Barone Tricotazio: Io tengo doje gallotte e nche la mano stenno pe provarne una, l’auta ammenaccia e caccia da lo pietto! o doje belle pistole o no stelletto. Si parlo songo acciso, sto diuno si maje non faccio mutto, perché, barbari dei, non farmi brutto? Ottavio: Sta qui, sta qui… ringrazio Barbagiove (da dentro) che ritrovar mel fa.

Barone: (Chi è sto facciommo che bene a scelle aperte?)

Ottavio: Genero garbatissimo! vado in traccia di te per urbo et orbo. Pria con architettata riverenza mi ti subisso e poi con svelto piede salto e così mi ti sospendo al collo Barone: Statte, ca mme stroppie… bennaggia Apollo!

Questa invadenza dell’elemento performativo, esplicitata tanto nel gesto quanto nella verbosità grottesca, vincolava librettisti e compositori a compiere operazioni di riscrittura e adattamento di precedenti testi che sulle tavole dei teatri napoletani nivano per accentuare gli elementi istrionici.

Talvolta l’impresario, in accordo con il cast, sceglieva di recuperare vecchi libretti con scene funzionali all’esibizione della pura corporeità: ai Fiorentini, pochi mesi prima della Gazzetta, si diede una ripresa dei Virtuosi ambulanti di Fioravanti sui versi di Luigi Balocchi – rappresentato al éâtre de l’Impératrice di Parigi il 26 settembre 1807 – un’opera che si apriva con un recitativo accompagnato dove il capocomico Bellarosa (il basso Luigi Barilli ne fu il primo interprete) immerso nella natura silvestre pareva rimandare all’Orfeo gluckiano nei campi Elisi (I.1):

Foresta; da un lato un’antica cappella mezzo diroccata; nel fondo una collina; in mezzo vari sedili erbosi. Bellarosa cala dalla collina con una valigia sulle spalle e viene a riposarsi sopra uno dei sedili erbosi.

Bellarosa: Riposiamoci un poco… oh che bel luogo! Sorge la bella aurora, e spande un frescolin che mi ristora. Il sussurrar dell’aure, il mormorio dell’onde, il dolce gorgheggiar degli augelletti scordar mi fanno il disastroso viaggio.

Figura 1: Valentino Fioravanti, I virtuosi ambulanti, partitura (I-Nc 14.5.17, c. 18r).

Questa scena fu ritenuta idonea all’entrata di Carlo Casaccia che, a dispetto della pratica consueta, si esibiva qui all’alzata del sipario.

Folto bosco; da un lato un’antica fabbrica in parte diroccata; nel fondo una collina; in mezzo vari sedili erbosi. Gabolone cala dalla collina colla valigia sulle spalle e viene a riposarsi su di un sedile.

Gabolone: Assettammoce ccà… che bello luoco! Sorge la bella aurora, (in enfasi comico) e sparge un frescolin che mi ristora! Li sche venticelle, lo zzì zzì, lo cchiò cchiò de l’augellette già me fanno scordà lo brutto viaggio.²¹

Analogo discorso può farsi per la chiusura del primo atto dove in un nale in dissolvenza il pavido Gervasio tremava di paura verso la troupe scambiata per una banda di ladri (gli attori stavano recitando la parte dei masnadieri e venivano scambiati per veri banditi).

²¹ I virtuosi ambulanti, Napoli 1816, scena I.1.

Gervasio uscendo dalla cappella Gervasio: Son partiti… sì respiro… scappo… corro… volo… ahimè! Tremo oh dio da capo a piè! Posso appena camminar (Fugge traballando)²²

Gervasio uscendo dalla cappella Gervasio: (Oh la tremenda guerra in lor più incalza e dura! e pieno di paura qui ascoso io sto a guardar. Ah! da sì rio periglio se può salvarmi il fato un uomo fortunato io mi potrò chiamar). Tutti viano, Gervasio resta nascosto nella fabbrica diruta. Si cala il sipario²³

La gustosità comica della gag del personaggio in preda al panico giusti cò in questo caso la deroga alla normale stretta chiassosa del nale d’atto.

Una caratteristica peculiare dei melodrammi bu misti di canto e prosa fu la predisposizione a unire elementi grotteschi con altri imparentati all’opera seria. Pur de nite “commedie” sui frontespizi dei libretti a stampa, molte di queste produzioni rientrano a pieno titolo nel lone semiserio destinato ad imporsi nelle scelte degli operisti a dispetto delle remore del pubblico e della critica più tradizionalisti. L’e etto dell’Italiana in Algeri e dell’Inganno felice a Napoli fu dirompente poiché con Rossini il pubblico percepì il concretizzarsi di un ricambio stilistico dovuto al fatto che l’opera comica ritrovò il gioco dialettico tra registri espressivi di erenti. Nel metamelodramma Il libretto alla moda musicato ai Fiorentini da Antonio Brunetti la principale preoccupazione del librettista don Cicco Miettepezze (nomen omen) era quella di «confondere col serio anche il bernesco» cercando di convincere il cast della bontà di tale operazione di fusione fra generi teatrali: «io saccio ancor di musica e improvvisanno ‘ncoppa a ciò che è serio, addevenna bernesco e facimmo accussì ‘na cosa nova». L’idea di Cicco tuttavia non prese corpo; non tanto per la disistima dell’impresario Ortenzio («che preme che il poeta sia riputato un asino? Il libretto si può

²² I virtuosi ambulanti, Parigi 1807, nale primo scena ultima. ²³ I virtuosi ambulanti, Napoli 1816, nale primo scena ultima.

dir del teatro ultimo oggetto»), quanto per l’incomprensione con l’operista Gismondo, convinto assertore che «strofe seria e poi giocosa non si può ben combinar». L’atteggiamento compositivo del “maestro plagiario” Gismondo coincise con quello di tanti maestri napoletani che non intuirono con prontezza quanto il futuro del melodramma comico (e non solo) risiedesse nella mescolanza di forme, livelli e registri stilistici. I vari Cordella, Fioravanti, Mosca, Palma, Raimondi preferirono assegnare alla componente musicale (i.e. alla ricerca di verve ritmica e alla felice invenzione di belle melodie) una preminenza assoluta, connettendola solo in maniera super ciale alle ragioni del dramma. Forse, sotto sotto, erano convinti che il pubblico condividesse l’approccio disincantato al mondo dell’opera espresso dal protagonista del Libretto alla moda:

Ortenzio: Sentiamo un po’ il soggetto. Cicco:

Che soggetto? Questo si costumava nel Seicento, se vi fosse soggetto non sarebbe alla moda il mio libretto. Dorina: E il titolo? Cicco: Che titolo? Potete intitolarlo voi come volete. Ortenzio: E la scena? Cicco: Che scena? In questo libro sia scena longa o corta, sia bosco o sia cantina non importa. Ortenzio: E gli attori? Cicco: Che attori? Esce e trase chi vuole e ccà sta il bello: che l’azione fenesce senza sapè pecchè se trase o esce.

Appendice

I Cronologia delle opere comiche allestite a Napoli (1812-1816)

Data Titolo Autori Teatro e stagione Prime messinscene

1812 Gli amori e l’arme Commedia per musica Lo sposo agitato Commedia per musica Il palazzo delle fate Commedia per musica L’oro non compra amore Dramma giocoso Che originali! Dramma giocoso in un atto Palomba/Mosca Fiorentini prim’opera NA 1777 I fuorusciti

Palomba/Raimondi Fiorentini second’opera Palomba/Palma Fiorentini terz’opera

Caravita/Portugal S. Carlo carnevale Lisbona 1804

Rossi/Mayr Fondo primavera VE 1798

La capricciosa pentita Commedia per musica I vampiri Commedia per musica Il raggiratore Commedia per musica La dama soldato Dramma giocoso Il dissoluto punito Dramma giocoso La nta zingara Commedia per musica Romanelli/Fioravanti Fiorentini estate MI 1802 (poi 18 riprese)

Palomba/Palma Nuovo prima opera

n.n./Grazioli Nuovo estate

Mazzolà/Orlandi S. Carlo febbraio MI 1808

Da Ponte/Mozart Fondo autunno Wien 1787

Piccinni/Gasse Fiorentini quart’opera

1813 L’isola incantata+La era Farse per musica in un atto Palomba/Cordella e P. C. Guglielmi Nuovo prim’opera

La diligenza a Joignì o sia il collaterale Commedia in musica [rec. in prosa] G. Palomba/G. Mosca Fiorentini second’opera

Una follia Commedia per musica [rec. in prosa] Tottola/Cordella Fiorentini terz’opera

L’audacia delusa Commedia in musica G. Palomba/L. Mosca Fiorentini quart’opera

Il trionfo delle belle o sia il Corradino Dramma giocoso Rossi/Pavesi Fondo autunno Venezia 1809

La lavandara o sia il ritorno di maggio Dramma giocoso Il califfo di Bagdad Melodramma in due atti [rec. in prosa] 1814 Le nte rivali Dramma giocoso in due atti Schmidt/Raimondi Fondo autunno

Tottola/Garcia Fondo autunno

Romanelli/Mayr Fiorentini prim’opera MI Scala 1803, TS 1809 FI 1813

Gli accidenti della villa Farsa [rec. in prosa] Gli inganni ed amori Commedia per musica [rec. in prosa] I pretendenti delusi dramma giocoso Le nozze di Figaro Dramma giocoso I tre mariti Farsa comica Zini/Dutilleu ± Fiorentini Wien 1794, poi NA 1797 e 1801 PA 1802

Palomba/Fioravanti Fiorentini primavera

Prividali/Mosca Fondo primavera MI Scala 1811

Da Ponte/Mozart Fondo 15 marzo Wiem 1 maggio 1786

Rossi/Mosca Fiorentini Venezia S.Moisé 1811

L’avaro Commedia per musica [rec. in prosa] Socrate immaginario Commedia per musica G. Palomba/Cordella Fiorentini autunno

Lorenzi/Paisiello Nuovo NA 1775

1815 Don Gregorio in imbarazzo Commedia per musica [rec. in prosa] Tottola/Mosca Fiorentini prim’opera

Pulcinella molinaro Commedia per musica [rec. in prosa] Da un disordine ne nasce un ordine Commedia per musica Cammarano/ Fioravanti San Carlino carnevale

Palomba/Russo Fiorentini second’opera

La scuola degli amanti Dramma giocoso Da Ponte/Mozart Fondo primavera Wien 1790

Le nozze di Figaro Dramma giocoso Da Ponte/Mozart Fondo 6 maggio (poi S. Carlo l’11 maggio) Wien 1786

L’azzardo fortunato commedia per musica [rec. in prosa] Tottola/Cordella Fiorentini carnevale o estate

La casa da vendere commedia per musica [rec. in prosa] Tottola/Chelard Fiorentini estate

La gelosia corretta commedia in un atto [rec. in prosa] Tottola/Carafa Fiorentini Da La moglie libera di Federici

L’italiana in Algeri Anelli/Rossini Fiorentini Venezia 1813 L’inganno felice Foppa/Rossini Fiorentini autunno Venezia 1812 1816 Il disperato per Giannetti/Mosca Fiorentini Pasqua eccesso di buon cuore Commedia per musica [rec. in prosa] I virtuosi ambulanti Balocchi/Fioravanti Fiorentini primavera Parigi 1807 Les Dramma giocoso comédiens ambulants di Picard Nina pazza per amore Carpani/Paisiello Fondo quaresima S. Leucio 1789 Il dissoluto punito Da Ponte/Mozart Fondo autunno Wien 1787 Paolo e Virginia Diodati/P. C. Guglielmi Fiorentini inverno Commedia per musica [rec. in prosa]

II Raffronto fra I fuorusciti (1777) e Gl’amori e l’arme (1812)

Napoli 1777 I fuorusciti Palomba-Guglielmi

Scene Numeri musicali Azione drammatica

Sala I.1* 1. Introduzione S2 S3 T B2 rec 2. Aria B2

I.2 Rec. 3. Aria T I.3* 4. Cavatina B1 Miei compagni Rec. 5. Terzetto S2 B1 B2 Rec. I.4 Rec. 6. Aria S3

Campagna I.5* 7. Cavatina S1 Rec. 8. Aria B1

I.6 Rec. 9. Aria B3

I.7-8 Rec. 10. Aria S1 Caos generale: dei banditi attaccano il feudo. Il barone vuole inviare contro di loro suo glio Cicco, promesso sposo di Matilde (nodo 1) rivale ignaro di Ernesto che vorrebbe sposare Metilde (nodo 2) Schermaglia tra Ernesto e Metilde; recupero dell’antefatto (nodo 2) Cicco armato (abbigliamento comico) con il suo seguito, prende congedo dal padre e dalla danzata millantando il proprio valore (gestualità buffonesca; giochi metalinguistici)

Il barone è in ansia per il glio e Anella a lui promessa cerca di convincerlo a sposarla (nodo 4) ma il momento è inopportuno (caratteri grotteschi)

Cicco sorprende a dormire i fuorusciti Fiordispina e Sinonimo; quest’ultimo parla nel sonno spaventando il baroncino (gag); poi si desta e lo disarma dopo aver messo in fuga i suoi seguaci. Recupero di antefatto su Sinonimo. Cicco minacciato di morte nel far testamento svela il suo status nobile (gag) Recupero di antefatti (nodo 3) Piano di Fiordispina (AVVILUPPO del nodo 3, che risulta essere il principale) che pensa di sposare Cicco Fiordispina corteggia Cicco e lo convince a farla entrare in casa sua

Sala I.9 Rec. 11. Aria S2 Rec.

I.10-12 Rec.

I.13-16 12. Finale primo Ernesto comunica a Metilde la notizia della falsa morte di Cicco e ha prova che la donna non lo ha dimenticato (nodo 2) Prima Annella, poi Metilde, in ne Ernesto dilazionano la comunicazione al Barone della presunta morte di Cicco (comicità nell’iterazione) Cicco entra con Fiordispina come suo promesso sposo (COMPLICAZIONE) sotto le minacce di lei e del fratello. Ernesto scombina il piano perché conosce le vere identità ma decide di non rivelarle.

Sala II.1 Rec. 13. Aria B3 rec. Sinonimo corteggia Anella per avere informazioni su Ernesto

II.2 Rec. 14. Aria B2 rec. II.3 Rec.

II.4-5* Rec. 15-16. Quintetto poi Sestetto II.6 Rec. 17. Duetto S2 T II.7* Rec. 18. Aria S3 (frammezzata rec.)

Rovine II.8 Rec. 19. Aria B1 II.9 Rec. 20. Aria S1 II.10-13* Rec. 21. Finale secondo

Sala III.1 Rec.

III.2 Rec. 22. Aria S3 Rec. III.3 Rec. 23. Aria T

Carcere III.4* Rec. 24. Quartetto III.5 Rec.

III.6 Rec.

III.7 Rec.

III.8 Rec. 25. Duetto S1 B1 III.9 Rec. 26. Tutti Strampalata spiegazione di Cicco dei fatti accaduti (gag verbale) Cicco vorrebbe dare in sposa Fiordispina a suo padre ma lei ri uta Ernesto smaschera i fuorusciti che fuggono APICE TENSIVO Schermaglia amorosa Metilde-Ernesto (Rallentamento del dramma) Schermaglia Barone-Annella (Rallentamento del dramma)

Sinonimo travestito da pellegrino sfrutta Cicco per uscire dal castello del barone Sfogo lirico di Fiordispina ch’è sola in cerca di suo fratello Fiordispina minaccia di morte Cicco che si ri uta di sposarla; le si allea Sinonimo che sveste i panni del pellegrino. Caos generale APICE TENSIVO

Il barone e Cicco vogliono interrogare in carcere i due fuorusciti Annella minaccia di lasciare il barone se non verrà sposata Metilde sposerà Ernesto se sorprenderà ancora Cicco con Fiordispina

Buffo interrogatorio che si conclude con una condanna. Caos generale APICE TENSIVO Fiordispina cerca di far leva sull’infatuazione che Cicco ha per lei Metilde nascosta con il barone ascolta le profferte di Cicco a Fiordispina; il barone caccia il glio Metilde è libera di sposare Ernesto scioglimento nodo 1 Giunge Sinonimo col proposito di fuggire insieme a Cicco e alla sorella Cicco decide di seguire i fuorusciti e per vivere farà il cantante Una lettera da Roma assicura il nobile rango dei fuorusciti. Cicco sposerà Fiordispina (scioglimento nodo 3), il barone Annella (scioglimento nodo 4) e Metilde Ernesto. RISOLUZIONE

Napoli 1812 Gl’amori e l’arme Palomba-Giuseppe Mosca Scene Numeri musicali Sala I.1* 1. Introduzione S2 S3 T B2 Rec

I.2

Valle I.3 Rec.

2. Duetto S1 B3 Rec.

I.4* 3. Cavatina B1 Miei compagni Rec.

I.5 Rec. 4. Duetto S1+ B1

Camera I.6 Rec. 5. Aria S2 rec.

I.7 Rec.

I.8 Rec. 6. Quintetto

I.9 Rec.

I.10 Rec.

I.11 Rec. 7. Terzetto S2 B1 B2

I.12 Rec. 8. Aria S1+pertichini Azione drammatica

Caos generale: dei banditi attaccano il feudo. Il barone vuole inviare contro di loro suo fratello minore Cicco, promesso sposo di Matilde (nodo 1) che ha deluso le aspettative di Ernesto suo spasimante introdottosi a casa di barone ngendosi cugino di Metilde (nodo 2) Schermaglia tra Ernesto e Metilde; recupero dell’antefatto (nodo 2)

Sinonimo e Fiordispina sono fuorusciti; monologo di recupero dell’antefatto (nodo 3 Fiordispina promessa ad Ernesto) Cicco armato in modo buffo è lasciato solo dai suoi uomini che fuggono (uso del fuori scena; carattere grottesco) Cicco è sorpreso dai fuorusciti che ne scoprono l’identità. Fiordispina, invaghitasi del baroncino propone di andare nel suo feudo sotto mentite spoglie per poi sposarlo sotto minaccia di morte AVVILUPPO del nodo 3

Cicco è dato per spacciato e Metilde è sconvolta perché crede di aver perso lo sposo (nodo 1); Ernesto (nodo 2) non demorde (rallentamento del dramma) Cicco millanta di aver vinto e introduce i fuorusciti con vesti di nobili Il barone si invaghisce di Fiordispina e vuole sposarla ma la donna viene riconosciuta da Ernesto che minaccia di svelarne l’identità APICE TENSIVO Sinonimo teme una denuncia di Ernesto ma quando dalla serva Livietta apprende che egli si è nto cugino di Metilde ha modo di ricattarlo Ernesto viene messo in fuga da Sinonimo e Fiordispina obbliga con pistola alla tempia Cicco a stendere una promessa matrimoniale COMPLICAZIONE Sopraggiunge il Barone con Metilde; Cicco consegna loro la promessa scritta a Fiordispina suscitandone una reazione allibita (gag gestuale) Fiordispina corteggia il barone e gli svela le mire di Ernesto; poi lo obbliga a voltarsi per ngere di dargli la sua mano che invece fa sostituire a Cicco (gag gestuale), da lei opportunamente nascosto.

Atrio I.13-15* Rec. 9. Finale primo

Sotterraneo II.1 Rec. 10. Aria S3

II.2 Rec. II.3 Rec. 11. Aria T Rec. II.4 Rec. 12. Terzetto S1 B1 B2

Camera II.5 Rec.

II.6 Rec.

II.7 Rec. 13. Aria B2 con B1 pertichino

Galleria II.8 Rec.

II.9 Rec. 14. Sestetto

II.10 Rec. 15. Tutti Il barone accusa Ernesto che conduce le forze dell’ordine e smaschera i due fuorusciti nel momento in cui Fiordispina stava stipulando le nozze. I due mostrano le armi e minacciano gli astanti APICE TENSIVO

Livietta: monologo di recupero e aria motteggiante sulla superiorità del genitl sesso Cicco e il barone cercano di trarre d’impiccio Fiordispina Ernesto ha detto ai vassalli che il barone vuol proteggere i fuorusciti e prima di congedarsi lo s da a duello per ottenere la mano di Metilde (nodo 2) Cicco e il barone visitano in carcere Fiordispina che li lusinga entrambi cercando di farsi rimettere in libertà

Livietta porta un messaggio amoroso di Fiordispina ad Ernesto che lo fa credere indirizzato a Cicco per convincere Metilde a non sposarlo (nodo1) Arriva Cicco che Metilde scaccia ri utando de nitivamente di sposarlo Scioglimento nodo 1 Cicco fa credere che il barone sia il destinatario del biglietto mandandolo in delirio amoroso

Metilde vorrebbe liberare Fiordispina come pure Ernesto che svela di esserne stato il danzato a Roma (nodo 3) Buffo interrogatorio (gag) che si conclude con piena assoluzione. Fiordispina però esige la mano di Cicco che viene attaccato dal barone suo fratello, ignaro di esserne stato rivale. APICE TENSIVO Ben presto il barone si convince che è meglio esser scapolo e benedice le unioni di Metilde con Ernesto e del fratello con Fiordispina RISOLUZIONE

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