La rivolta di un popolo

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SILVIO MAVILLA

la rivolta di un

popolo

I M M AG I N I D I U N A C I T T À I N S O RTA



“Una città si ribella quando ha i n s é i l g e r m e d e l l a s p e r a n z a .” Piero Battaglia, Sindaco della rivolta


Art director Enrico Iaria Coordinamento editoriale e ricerche Daniela Liconti

© 2010 Iiriti Editore ISBN 978-88-6494-026-7

Iiriti Editore 89125 Reggio Calabria Via del Torrione, 31 Tel. 0965.811278 www.iiritieditore.com

Tutti i diritti riservati

Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti e dell’editore.

Le fotografie a pagina 47, 48, 49 sono state gentilmente concesse dalla famiglia Franco. Testi consultati Buio a Reggio, L. Malafarina, F. Bruno, S. Strati, Edizioni Parallelo 38, Reggio Calabria, 1972 La rivolta di Reggio vent’anni dopo, A. Sgroj, Gangemi editore, Reggio Calabria, 1991 Reggio 1970, F. Cuzzola, Donzelli editore, Roma, 2007 Epoca, Anno XXI, n. 1044 , pagg.48-53


SILVIO MAVILLA

la rivolta di un IMMAGINI

popolo

DI

UNA

CITTĂ€

INSORTA

Conversazione con Alfonso Madeo A CURA DI

Franco Bruno



Premessa di Silvio Mavilla

Una giusta informazione 16 luglio 1970: la carcassa di un’auto viene data alle fiamme in via Fata Morgana. Mio padre Edmondo – corrispondente cineoperatore RAI - ed io, fotoreporter ventitreenne, affacciati al balcone di casa sul corso Garibaldi, osserviamo la scena. Decidiamo di documentare l’eccezionalità dell’evento e impugniamo gli strumenti del mestiere: cinepresa lui, macchina fotografica io. Per amor di cronaca. Data la repentinità e l’assoluta novità di questo primo episodio, mio padre continua a riprendere, sebbene sprovvisto di autorizzazione da parte della RAI. Il filmato è inviato il giorno stesso, sostenuto dalla convinzione di mio padre, in pura buona fede professionale, di aver prodotto un documento straordinario, assolutamente unico. Telefonando in RAI per avvisare della spedizione in arrivo, viene duramente ripreso dalla direzione. Per me, giovane fotoreporter cosciente del valore del proprio ruolo e della responsabilità di dover documentare la realtà dei fatti, l’episodio ebbe un solo significato: la negazione del dovere di informare. Lo spirito d’indipendenza e libertà che anima la professione del fotogiornalista venivano messi in un angolo. E il cittadino veniva privato del diritto di giudicare da sé quanto stava accadendo. Mi affrettai dunque a inviare le mie foto ad Ansa e As-

sociated Press, di cui ero corrispondente, e fu così che i fatti di Reggio balzarono sulle pagine delle principali testate nazionali e internazionali. La conseguenza fu che la realtà di quanto stava producendosi sotto i nostri occhi e sulla nostra pelle, acquistò una risonanza dilagante. Nulla poteva più essere ignorato o taciuto. E i filmati di mio padre Edmondo andarono in onda recuperando tutta la loro eccezionalità. Non ho mai dimenticato questa lezione, che rafforzò sempre di più in me la consapevolezza del valore della libertà. Questa breve premessa personale vuole mettere in luce un aspetto poco considerato al tempo. Parlo del grave oltraggio subito dalla popolazione reggina: il diritto a una giusta informazione. Queste foto possono solo in parte testimoniare le ragioni di un popolo che veniva defraudato di più di un diritto.

Due esperienze personali La rivolta della città di Reggio ha coinvolto tutte le fasce della popolazione: donne, operai, intellettuali, professionisti, studenti, senza alcuna distinzione di classe sociale, un movimento di popolo totale e assoluto nella sua trasversalità. Durante quei 18 mesi, chiunque si trovasse in giro rischiava di essere travolto dalle improvvise cariche del

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reparto celere, e magari arrestato solo perché “era lì”, dunque ci si nascondeva e si scappava dove e come si poteva. 12 agosto 1970 Alcuni passanti caricati dalla polizia cercano riparo nel nostro portone, vengono inseguiti su per le scale e spinti contro la nostra porta di casa, sprangata dall’interno a maggiore protezione di mio figlio che dormiva nella culla. La forza fu tale che la porta cedette, quasi travolgendo la culla, e ce li ritrovammo tutti dentro. Mentre le manganellate dei celerini si abbattevano su mobili e suppellettili, mia madre comincia a respingere i poliziotti brandendo una sedia, e la gente riesce a trovare una via di fuga sui tetti. Una situazione che indicava un livello di repressione assolutamente sproporzionato. 27 settembre 1970 Io e mio padre ci trovavamo sulla terrazza di un edificio vicino il ponte di San Pietro durante un durissimo scontro tra polizia e dimostranti. La pressione di decine di migliaia di cittadini che tentavano di sfondare il cordone della celere era incredibile. Qualcuno guardò in alto, ci vide, e cominciò a correre verso il portone: ci avevano scambiati per fotografi-spia al soldo delle forze dell’ordine. La loro furia era incontenibile quanto la nostra paura di un linciaggio.

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Scendemmo ad affrontarli e a loro, armati di pietre, mostrai il capo come per dire “Tirate!”, mentre mio padre apriva le macchine fotografiche esponendo le pellicole, a dimostrare che si trattava di un equivoco. Ad un tratto una voce tra la folla urlò “È Mavilla!”. Il ciclista Canale ci aveva riconosciuti, e salvati. Questa particolare esperienza ebbe su di me un impatto devastante. Stordito da quanto era avvenuto, dalla paura che avevo provato, capii quanto indomabile e selvaggia possa essere la furia di un popolo ferito, mortificato. Personalmente credo che una delle conseguenze più amare che i Moti di Reggio abbiano avuto sulla popolazione, siano il senso d’impotenza e di rassegnazione, la consapevolezza che lottare per un ideale, non porti a niente. Il popolo, compatto, non ha ottenuto nulla. Mortificata nei simboli che rappresentavano la speranza di un futuro di emersione dall’indigenza, la città venne ricacciata nell’angolo.

Le mie immagini vogliono testimoniare la realtà di quei giorni e dare alla Reggio di allora e di oggi l’occasione di sfogliare le pagine di una storia che le appartiene, fin nel profondo, nonostante tutto.


7 giugno 1970 sanciscono la costituzione della Regione Calabria. 2 luglio Cosenza viene designata sede dell’Università della Calabria. 5 luglio Alle 17, grande manifestazione popolare

Le elezioni del

in piazza Duomo: è il “Rapporto alla città” del sindaco Piero Battaglia, in cui egli esprime

I fatti

la mortificazione di una Reggio esclusa dall’assetto futuro

10 luglio Assemblea popolare a Palazzo S. Giorgio. Si proclama lo sciopero generale.13

della regione.

luglio A Catanzaro si insedia il nuovo Consiglio regionale, assenti i rappresentanti

politici reggini. Contemporaneamente a Palazzo Foti si svolge una controassemblea per sancire l’illegittimità della convocazione del Consiglio a Catanzaro, definita “un colpo di mano.”

14 luglio Lo sciopero generale comporta cortei spontanei di protesta,

piazze affollate, si alzano le prime barricate sul Corso, sul Lungomare, a piazza Garibaldi, nei quartieri di Sbarre e Santa Caterina. L’occupazione dei binari alla stazione centrale provoca un intervento della polizia, con feriti e arresti. La popolazione reagisce radunandosi in piazza Italia, sede dei palazzi istituzionali. La polizia carica. È l’inizio della rivolta urbana più lunga del dopoguerra, con il più alto tasso di violenza e partecipazione popolare: un evento senza precedenti nella nostra storia. L’odore, i rumori della rivolta, restano nella memoria di chi c’era. I gas lacrimogeni, i copertoni bruciati, le deflagrazioni delle molotov, il fumo, gli spari, le pietre scagliate, il fuoco, le urla, gli insulti, la rabbia, ma anche la paura, da una parte e dall’altra.

12 febbraio 1971 La città di

Catanzaro

è ufficialmente eletta capoluogo della regione.

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I 40 anni della rivolta conversazione con Alfonso Madeo di Franco Bruno

Nel suo studio di Roma, Alfonso Madeo sfoglia le bozze di questo libro. Qualche pagina scorre veloce, altre suggeriscono un ricordo che non appartiene solo alla storia della rivolta. Una dopo l’altra, le foto ricompongono il mosaico della memoria: la Fiat 1100, simbolo del benessere familiare, le prime gonne sopra il ginocchio, immagini di un’Italia che abbandona il doppio petto e si prepara a indossare i jeans. Storie piccole e grandi di un Paese ancora in bianco e nero che Alfonso Madeo ha raccontato sulle pagine del Corriere della Sera, spostandosi di continuo fra le metropoli - poche - e le mille realtà della provincia. A Reggio non arriva per caso - ricorda. Sul Corriere scriveva un altro meridionalista, Giovannino Russo, che descriveva un sud povero perché derubato dal nord e da Roma.

Per Madeo, invece, l’arretratezza del meridione è in parte colpa della sua borghesia, che non ha fatto impresa nè industria, accontentandosi di rimanere ceto impiegatizio. Fra le due impostazioni, Giovanni Spadolini, allora direttore del Corriere, dà spazio alla seconda, che considera più in sintonia con le opinioni dei lettori, e in un suo editoriale condanna la protesta di Reggio, rivendicando al nord e a Milano una posizione di guida del Paese. Così, il 14 luglio del 1970, Alfonso Madeo arriva a Reggio, uno dei primi inviati della grande stampa del nord, e inizia a raccontare la rivolta di un popolo …

Le motivazioni della rivolta sono state di natura economica: Reggio Calabria non voleva perdere le opportunità di nuova occupazione legate all’istituzione della Regione… si parlava di 20 mila posti di lavoro...

[…] conversazione con Alfonso Madeo

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14 luglio 1970 Blocco stradale sul corso Garibaldi con autobus di linea. Ăˆ l’inizio di otto mesi di rivolta urbana. 19


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Una pagina della storia della città per la prima volta raccontata per immagini con i commenti di chi c’era. Gli scatti di un giovane Silvio Mavilla – molti dei quali inediti – documentano l’evento dalla parte della gente, facendo (ri)vivere i giorni della rivolta anche alla luce delle emozioni. Alfonso Madeo, tra i primi inviati della grande stampa del nord ad arrivare a Reggio, scorre le immagini e ricorda quei giorni - di cui riportava la cronaca sulle pagine del Corriere della Sera - con il giornalista Franco Bruno. Figure note del tempo si alternano a semplici cittadini, alla presenza massiccia delle donne, al ricordo della rabbia e delle ragioni di un popolo.

Silvio Mavilla, nasce a Reggio Calabria nel 1947. Dal 1977 è docente ordinario della cattedra di Tecnica della Fotografia presso l’Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria. Rappresenta la terza generazione di fotografi della storica ditta Mavilla fondata nel 1916 a Reggio Calabria. Già corrispondente Ansa ed Associated Press, ha realizzato negli anni ‘70 durante l’insurrezione popolare per il capoluogo di Reggio Calabria un importante fotoreportage che proprio oggi si potrà ammirare nel volume “La rivolta di un Popolo” edito da Iiriti Editore. Attualmente sta sperimentando nuove tecniche fotografiche associate alla pittura. Alfonso Madeo, lucano, esordisce come giornalista nel 1947 alla Gazzetta di Parma, dove resta fino al 1954, prima di diventare uno dei principali inviati italiani di testate prestigiose quali il Corriere della Sera. Direttore de L’Ora di Palermo negli anni ‘70, autore di inchieste, libri e programmi televisivi.

Franco Bruno, giornalista e scrittore, inviato speciale della Rai, ha documentato, anche per le reti e le testate nazionali, tutti i più importanti avvenimenti della Calabria degli ultimi trent’anni. Autore, insieme a Luigi Malafarina e Santo Strati di Buio a Reggio (1972), un reportage completo sulla rivolta, con la cronaca quotidiana e i commenti della stampa italiana ed estera. Con Luigi Malafarina ha scritto Calabria e Calabresi (1978), un’antologia su fatti e personaggi della regione nel secolo scorso. Nel 2006 ha pubblicato La Calabria di Wojtyla, racconto commentato da vescovi dei due viaggi di Giovanni Paolo II in Calabria nel 1984 e nel 1988.


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