Corriere ortofrutticolo marzo 2016 web

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FIERE • PAG.17 STRATEGIE Macfrut dice no a Milano e fino al 2018 conferma Rimini FIERE • PAG.21 FRUIT LOGISTICA Una bella Italia a Berlino in un clima di ottimismo

MARZO 2016

LOGISTICA • PAG.41 PORTI E FERROVIE Parte dal Piemonte il rilancio del trasporto su rotaia

NUOVA SERIE

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ANNO XXX

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E la politica dov’è? Ultimi rumors: al prossimo Vinitaly (10-13 aprile, Verona) a festeggiare i 50 anni del vino italiano ci sarà non solo Matteo Renzi, ormai un “habituè” dell’evento di Verona, ma anche (udite udite) il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che, per la seconda volta (dopo Giorgio Napolitano, nel 2010), porterà la massima carica dello Stato tra i produttori di vino del Belpaese. Insomma per il vino si muove la prima carica dello Stato, per l’ortofrutta a Berlino manco c’era il ministro a festeggiare il secondo comparto per export del Paese (e il primo per valore complessivo di import-export). Dov’è la notizia, direte voi. In effetti non è una novità la latitanza del ministro lombardo sul palcoscenico dell’ortofrutta e del salone globale dove l’Italia peraltro è il primo espositore. Su questo numero del Corriere diamo ampio spazio al report Fruit Logistica, come è doveroso. Si dice: se funziona Berlino, anche l’anno andrà bene. E in effetti quest’anno si respirava ottimismo fra i padiglioni del salone berlinese, come non accadeva da tempo. Ottimismo non tanto per il mercato italiano (che resta abbastanza depresso) quanto per le prospettive di export, per i contatti internazionali . Perché all’estero (Europa dell’est, Asia) la ripresa c’è davvero e i margini di crescita su tanti mercati sono importanti. Invece l’Italia cresce poco, la metà della media dell’Eurozona, nonostante Draghi, la Bce, i tassi bassi e il petrolio ai minimi storici. Insomma cosa ci lascia in eredità Fruit Logistica 2016? La conferma che resta la fiera n.1 al mondo, il solo appuntamento davvero globale, direi planetario… Madrid e Macfrut stanno cercando una loro dimensione continentale, euro-mediterranea, aperta verso Est e verso Sud (Africa). Ma Berlino è Berlino. Punto. In Italia il risiko delle fiere , anziché semplificarsi, si aggroviglia. La prospettiva dell’evento unico si allontana con la scelta di Macfrut di restare a Rimini fino al 2018. L’ipotesi di un Macfrut ‘milanese’ ad anni alterni è stata bocciata dagli espositori di macchine e materiali e la Romagna ‘politica’ ha avuto il sopravvento. Ci sembra un’occasione persa, verrebbe da dire che si è avuta paura di osare. Adesso tra Macfrut (settembre 2016) , Fruit Innovation (a Milano con Tuttofood nel 2017) e la neonata Fruit & Veg System a Verona nel prossimo maggio la frantumazione è servita. A occhio e croce gli organizzatori delle fiere di Madrid e Berlino possono dormire sonni tranquilli: i clienti italiani non mancheranno. Altri messaggi da Fruit Logistica: lo sforzo aggregativo di FruitImprese, Cso, Italia Ortofrutta e Ice ha portato ad un nuovo e rinnovato spazio Italy davvero

✍ Lorenzo

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Frassoldati

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Marzo 2016

bello e funzionale, però per il resto avanziamo in ordine sparso tra Regioni, Consorzi, Mercati, porti, logistica, ecc. Siamo forse i primi contribuenti della fiera berlinese, gli azionisti tedeschi ringraziano il Sistema Italia che non c’e… Il mondo dei Mercati, dopo la diaspora e le guerre intestine, si sta riorganizzando attorno a Italmercati; un nuovo soggetto forte che si pone come punto di aggregazione e di confronto col mondo politico-istituzionale. Infine il messaggio più importante che esce dal salone berlinese: pur con tutti i nostri limiti (nessun italiano in gara nell’Innovation award..), pur con tutti i nostri difetti l’Italia c’è. Nel 2015 alla faccia dell’embargo russo, delle barriere fitosanitarie in giro per il mondo, del ministero che fa poco o niente, comunque abbiamo fatto il record dell’export: 4,4 miliardi. Gli spagnoli restano lontani (tre volte noi) , ma loro sanno cosa significa fare Sistema e noi no. Restiamo dei solisti, la nostra è la “disorganizzazione organizzata”. Però non siamo rassegnati, partiamo da qui. Il bilancio export-import del 2015 chiude con un saldo attivo di 800 milioni di euro, in calo rispetto al miliardo di euro del 2014. L’export – che come detto ha fatto il record - dovrebbe chiudere a 4,4 miliardi circa mentre l’export a 3,6. L’export cresce in valore dell’11% circa rispetto al 2014 grazie ai buoni prezzi spuntati dalla frutta fresca (che vale due terzi di tutto l’export) al trend positivo degli ortaggi e al boom (+20%) della frutta secca. Cresce anche in valore l’import (+21%) con incrementi spettacolari degli agrumi (+38%) e della frutta secca (+30%). Quel quasi +40% dell’import di agrumi è forse il dato che ci fa più male, l’anno zero per la nostra agrumicoltura. Concludo con le parole che mi ha detto Marco Salvi proprio durante la fiera: “I tempi della diplomazia e della politica sono troppo lenti per un mercato che evolve rapidamente e che rischia di tagliarci fuori dalle aree a maggior crescita… Di positivo ci sono le aggregazioni tra imprese che anche qui a Berlino sono presenti e che vanno nella giusta direzione di valorizzare i nostri grandi prodotti come pere e kiwi. Insomma le imprese stanno facendo la loro parte però ci manca un più efficace e vincente supporto politico-diplomatico”. Già, la politica dov’è?

EDITORIALE

CORRIERE ORTOFRUTTICOLO

PUNTASPILLI

SOS Allarme Coldiretti: “nelle fattorie sono scomparsi milioni di animali tra mucche, maiali, pecore e conigli”. E il bello deve ancora venire. Vedrete quando scompariranno gli agricoltori. *

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CONTOEDITORIALE

CORRIERE ORTOFRUTTICOLO

Il caso del Distretto del pomodoro del Nord Italia svela la guerra delle Organizzazioni Professionali alle OP e all’Interprofessione di Corrado Giacomini Ho seguito con disappunto il botta e risposta tra i presidenti di Coldiretti Emilia Romagna, Tonello, e del Distretto del pomodoro del Nord Italia, Ferrari, apparso sul “corriereortofrutticolo.it”. Nel dizionario dei sinonimi della Treccani, disappunto vuol dire dispiacere, rammarico, rincrescimento e anche delusione perché trovo grave che il presidente regionale, nonché vice-presidente nazionale, della più grande organizzazione professionale agricola definisca “fallita” la politica dell’interprofessione del Distretto, organizzazione alla quale Coldiretti dà il proprio contributo negli organi sociali e di cui gran parte dei produttori sono anche suoi soci. Al di là della reazione di Tonello, alle difficoltà con cui quest’anno produzione e trasformazione del Nord Italia non trovano l’accordo sul prezzo del pomodoro fresco, il giudizio del presidente di Coldiretti riflette, purtroppo, l’antica diffidenza che le organizzazioni professionali, tutte, hanno sempre avuto nei confronti degli strumenti dell’organizzazione di filiera: organizzazioni di produttori (OP) e interprofessione (OI). Fino dal regolamento n. 159/1966, che per la prima volta introduceva nel nostro Paese le organizzazioni di produttori nel settore ortofrutticolo, l’obiettivo è sempre stato quello o di impadronirsene per metterle sotto la propria bandiera (in questa operazione si è distinta, fino a quando è esistita, la Federconsorzi) o di sminuirne l’azione perché il merito dei successi della rappresentanza non può che andare alle organizzazioni a vocazione generale sia professionali (Coldiretti, Confragricoltura, ecc) che economiche (Confcooperative, Lega delle Cooperative, ecc.). La conclusione è che dopo cinquant’anni nel nostro Paese non abbiamo ancora una organizzazione di filiera efficiente in nessun settore, nemmeno in quello del latte ora in crisi profonda, mentre il famoso “pacchetto latte” della UE affida proprio alle OP e alle OI gli strumenti per regolare il mercato. Per il settore dell’ortofrutta, malgrado in Italia passi per le OP quasi il 50% della produzione, queste sono state soprattutto strumento per veicolare alla produzione le importanti risorse dei Programmi Operativi, ma sono state molto meno capaci di organizzare l’offerta, come dimostrano le ripetute crisi di mercato, tanto che la Commissione sta modificando ancora una volta l’OCM ortofrutta per cercare di dare alle OP quel potere che finora non hanno avuto. La storia del Distretto del pomodoro da industria del Nord Italia è quella di una OI che ha fatto i suoi primi passi fin dal 2007 in un settore già fortemente

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regolamentato, come quello del pomodoro da industria, per essere infine riconosciuta nel 2011 come organizzazione interprofessionale dalla Regione Emilia Romagna, ottenendo poi l’approvazione da parte della Commissione UE. L’area del Distretto si estende dalle originarie province di Parma, Piacenza e Cremona fino alla Lombardia, al Veneto e al Piemonte tanto da comprendere nell’ultima campagna quasi 39 mila ettari, pari a circa il 50% della produzione italiana di pomodoro da industria e il 25% di quella europea. Chi conosce l’esperienza di questa OI non può che avere un giudizio positivo, perché ha permesso di creare un tavolo permanente di confronto tra produzione e trasformazione, di disciplinare i rapporti tra le parti, in particolare di diventare l’organismo di raccolta e di controllo della esecuzione dei contratti di fornitura, creando le condizioni per permettere alla trasformazione di dimensionare adeguatamente gli impianti, di cui circa il 40% è in mano alle stesse OP aderenti. Checché ne dica il presidente Ferrari, che giustamente oppone a Tonello che l’interprofessione a norma dell’OCM ortofrutta (Reg. 1182/2007), confermata dall’OCM unica (Reg. 1308/2013), non può intervenire nella formazione dei prezzi, non si può non riconoscere che il tavolo del Distretto è certamente un facilitatore della formazione del prezzo del pomodoro da industria del Nord Italia, situazione che si ripete da anni, anche prima della costituzione del Distretto, pur con tutte le difficoltà che ogni anno devono essere affrontate a causa di un mercato sempre più globale. Una situazione che non è presente, invece, per il pomodoro del Sud, che nemmeno dopo alcuni tentativi è riuscito a costituire una OI delle regioni meridionali. Devo dare ragione, però, a Tonello quando dice che il Distretto del pomodoro del Nord Italia non riesce a programmare la produzione, anche se non è vero che basta regolare domanda e offerta nazionale, soprattutto se interessa solo il 50% del totale, per garantire una equa remunerazione del prodotto. Purtroppo, ho l’impressione che il Distretto del Nord Italia stia concentrando troppo la sua funzione alla parte burocratica di passacarte tra produttori e trasformatori, mentre non riesce a sviluppare la parte politica di programmazione della produzione denunciando, tra l’altro, la mancanza di visione comune di quella parte della produzione trasformata direttamente negli impianti delle OP aderenti. E’ qui, che sarebbe molto importante il ruolo delle organizzazioni professionali sia agricole che industriali, non per sostituirsi all’organizzazione interprofessionale, ma perché le loro componenti in seno alla OI siano stimolate ad accordarsi nell’interesse di tutti.

Marzo 2016

GEMMA EDIT


MENSILE DI ECONOMIA E ATTUALITÀ DI SETTORE THE FIRST ITALIAN MONTHLY ON FRUIT AND VEGETABLE MARKET |

ANNO XXX Nuova serie Marzo 2016

corriere ORTOFRUTTICOLO 3 GEMMA EDITCO SRL - VIA FIORDILIGI, 6 - 37125 VERONA - I - TEL. 0458352317 /e-mail:redazione@corriereortofrutticolo.it / Poste Italiane Spa Sped. abb. post. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/2/04 n.46) Art. 1, comma 1, DCB VR

Direttore responsabile: Lorenzo Frassoldati Redazione: Emanuele Zanini Hanno collaborato: Chiara Brandi, Corrado Giacomini, Claudio Scalise Sede operativa via Fiordiligi, 6 37135 Verona Tel. 045.8352317-Fax 045.8307646 e-mail: redazione@corriereortofrutticolo.it Editore Gemma Editco Srl Coordinatore editoriale Antonio Felice Comitato di indirizzo Lucio Bussi, Antonio Felice, Lorenzo Frassoldati, Corrado Giacomini, Claudio Scalise (coordinatore), Luciano Trentini Sede legale e amministrativa: via Fiordiligi, 6 37135 Verona E-mail: redazione@corriereortofrutticolo.it P.IVA 01963490238 Fotocomposizione e stampa: Eurostampa Srl - via Einstein, 9/C 37100 Verona Autorizzazione Tribunale di Verona n. 176 del 12-1-1965 Spedizione in abb. postale comma 26, art. 2, legge 549/95 La rivista viene distribuita in abbonamento postale c/c n. 11905379 Abbonamento annuo: 70 euro per due anni: 100 euro abbonamenti@corriereortofrutticolo.it Chiusura in redazione il 21.03.2016

Associato all’Unione Stampa Periodica Italiana

Profilo: Corriere Ortofrutticolo si è affer-

mato come rivista “di filiera” del settore ortofrutticolo italiano. La rivista collega chi produce, chi commercializza e chi vende al pubblico, oltre ai settori connessi (dai macchinari ai trasporti). La diffusione è capillare in Italia, dove si è allargata alla grande distribuzione alimentare e al dettaglio.

Diffusione: 6.000 copie. Ripartizione del mailing: Dettaglianti 23%, Produttori 22%, Grossisti 19%, Distributori 12%, Import-export 6,5%, Servizi 5%, Tecnologie e Trasformati 2,5%, Altri 10%

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Una bella Italia a Berlino

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RUBRICHE EDITORIALE E la politica dov’è?

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CONTROEDITORIALE Il coso del Distretto del pomodoro del Nord Italia svela la guerra delle Organizzazioni Professionali alle OP e all’Interprofessione 4 GENTE&FATTI Cambio della guardia a BolognaFiere 6 “Meno ictus e infarti riducendo i prezzi”

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NOTIZIARIO

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LOGISTICA Parte dal Piemonte il rilancio del trasporto su rotaia

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Genova, Vado e La Spezia porti leader nelle importazioni

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MONDO FLASH

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ATTUALITÀ Primo Piano - Fiere ‘Hic manebimus optime’

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Primo Piano - Fiere Una bella Italia a Berlino

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Primo Piano - Fiere Biofach specchio del boom del settore biologico

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Copertina - Protagonisti I GIACCIO Annurca mon amour

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Macfrut dice no a Milano

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CSO, intervista a Bruni

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Mela ‘sostenibile’ dibattito aperto

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Soffre la ‘rossa’ siciliana Ne approfitta il Sudafrica

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Fragole: continua la crescita nel Sud 36 Parigi, Barcellona e Atene dicono sì a Italmercati

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Vola Eurospin per ricavi e fatturato

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SCHEDA PRODOTTO

AGLIO

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BANANE

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GENTE &

FATTI

CORRIERE ORTOFRUTTICOLO

Cambio della guardia a BolognaFiere Franco Boni (foto a sinistra), 77 anni, nato a Reggio Emilia, per anni a capo di Fiere di Parma, sarà il prossimo presidente di BolognaFiere. È il primo atto - simbolico ma poi neanche tanto della holding unica dei quartieri fieristici che il presidente della Regione Emilia Romagna Stefano Bonaccini e il suo assessore alle Attività produttive, Palma Costi, si sono posti come obiettivo di mandato. Soltanto qualche anno fa, nella regione dei campanili e del policentrismo, che da sola ha più fiere di tutta la Germania, il solo pronunciare questa idea avrebbe provocato scetticismo. Quello di lunedì 7 marzo, invece, è il primo passo concreto. Non che sia stato indolore. Per convincere i soci di BolognaFiere, se-

conda in Italia solo a Milano e nona in Europa, Bonaccini gli ha dovuto offrire la testa di Duccio Campagnoli (nella foto a destra). Presidente per due mandati, artefice dei successi economici (i conti sono in ordine, e in Cina e a Las Vegas il Cosmoprof, fiera della cosmetica, fa faville e miliardi) ma anche delle sconfitte più brucianti (il divorzio con Lineapelle e la crisi del Motor Show), Campagnoli è capitolato dopo una battaglia con i soci privati della Fiera che dura da tanto, troppo tempo. Loro lo accusano di far tutto da solo, errori compresi. Lui di non volere lo sviluppo del quartiere, che da tempo necessita di un restyling finanziato da Comune e Regione e non dai privati.

IV Gamma: D’Amico confermato Gianfranco D’Amico (nella foto), amministratore delegato di Bonduelle Italia, è stato riconfermato presidente di AIIPA IV Gamma, Gruppo attivo all’interno del raggruppamento 'Prodotti Vegetali' dell’Associazione Italiana Industrie Prodotti Alimentari (AIIPA), per rappresentare le imprese che operano nel settore e producono frutta e verdura fresche, lavate, confezionate e pronte al consumo.

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Il risultato è un’impasse che nei mesi scorsi aveva superato il livello di guardia, testimoniato dalla parziale assenza di BolognaFiere al Salone di Ginevra, dove i bolognesi avrebbero dovuto promuovere il rinato Motor Show 2016. Si è presentato il direttore Antonio Bruzzone, questo è vero. Ma insieme con lui, sostengono alcuni soci privati, c’era Rino Drogo, ex Lancia ed ex Fca, scelto da Campagnoli senza che il suo nome sia mai passato dal Cda. Apriti cielo: la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso. Poco male, dicono in molti: l’avvento di Boni, “ma sono solo un traghettatore”, chiarisce lui, porterà in dote l’avvio del cammino verso la governance regionale unica in Emilia Romagna. Seguirà in qualità di ad, dicono le indiscrezioni, Antonio Cellie, oggi ad di Parma. Due le premesse. La prima è lo stesso Boni a chiarirla al quotidiano bolognese il Resto del Carlino: “Parma e Bologna - spiega - hanno collaborato bene insieme a Expo, supportandosi e facendosi artefici della bella figura e del riconoscimento internazionale del nostro sistema territoriale”. La seconda è il cibo: Fiere di Parma, sostanzialmente vuol dire Cibus, da anni è vetrina internazionale delle eccellenze agroalimentari italiane e in prima fila emiliano-romagnole. E a Bologna, con la prossima nascita di Fico Eataly World, il grande parco agroalimentare italiano, il tema è sempre stato appunto come farlo dialogare con le fiere. Marzo 2016


“Meno ictus e infarti riducendo i prezzi” Secondo un recente studio, con una riduzione del prezzo della frutta del 10% si ridurrebbero dell’1% le morti da infarto ed ictus in cinque anni. Il lavoro, presentato a Phoenix al Meeting dell’American Heart Association, è stato condotto da Martin O’Flaherty dell’Università di Liverpool, insieme ad alcuni esperti della Tufts University di Boston e della Harvard Medical School. Gli esperti hanno sviluppato il modello 'U.S. IMPACT Food Policy Model', che si basa sui dati

demografici americani, mostrando cosa accadrebbe se si intervenisse sulle abitudini a tavola e fossero incentivate le politiche economiche. Dai risultati è emerso che le politiche volte alla riduzione dei prezzi agricoli sarebbero molto più efficaci e meno dispendiose per i cittadini. Effetti simili potrebbero essere ottenuti anche con l’aumento dei prezzi di alcuni “cibi spazzatura”, molto consumati negli USA. Lo studio probabilmente non tarderà ad alimentare polemiche.

Macfrut consumers’ trend: gli acquisti tornano a crescere Dopo un biennio di contrazione, crescono i volumi d’acquisto di ortofrutta. È quanto emerge dal rapporto 2015 del Macfrut Consumers’ Trend che evidenzia un deciso +3% sull’anno precedente, con volumi che tornano al di sopra degli 8 milioni di tonnellate (8.151.415 per la precisione). A contribuire all’incremento, in primis, c’è la frutta con un +3,7% sul 2014, ma anche gli ortaggi sono contrassegnati dal segno più (2,2%). Stabili invece i prezzi medi. “Si tratta di un segnale incoraggiante per il settore ortofrutticolo che rialza la testa negli acquisti dopo la contrazione 20132014, che aveva registrato volumi al di sotto degli 8 milioni di tonnellate”, sottolinea Renzo Piraccini, presidente di Macfrut. Partendo dalla frutta, le mele, da sempre il frutto più acquistato in Italia, dopo un progressivo e costante calo, per il secondo anno consecutivo, vedono un aumento, del 3% sull’anno precedente, dovuto anche all’allargamento del parco varietale. Significativa

Marzo 2016

la crescita anche degli acquisti delle pere, +10% sul 2014, anche in questo caso ascrivibile alle ultime due annate, dopo anni di progressive e costanti diminuzioni. In termini quantitativi ottime performance anche per le angurie: l’estate calda ha aiutato i consumi, che segnano un +12% sull’anno precedente, clementine +7%, meloni +6%. Crescita più lieve invece, variabile fra un +1% e +2% per banane, pesche, limoni, uva, albicocche e a sorpresa ananas che invece fino all’anno precedente, avevano registrato incrementi molto più consistenti. Segni negativi invece, seppur lievi per: arance -4%, kiwi -1%, fragole -2% e più consistente per ciliegie -7%. Negli ortaggi si segnalano i pomodori che dopo continui cali, negli ultimi anni registrano una buona risalita: nel 2015 +3% rispetto all’anno precedente. Crescita anche per insalate e indivie +3%, cipolle +3%, peperoni +6%, carciofi +5%.

Mazzini: “Futuro roseo con i nuovi stili di vita”

GENTE

FATTI &

CORRIERE ORTOFRUTTICOLO

“L’Italia è il primo produttore di biologico in Europa ma gli italiani sono tra gli ultimi consumatori. È una vergogna. Abbiamo un patrimonio da valorizzare. Il forte sviluppo del settore wellness-fitness (l’Italia è il primo Paese per numero di iscritti in palestra) è una grande occasione. Nel comparto ortofrutticolo ci sono prodotti perfetti per assecondare questo stile di vita sano. La segmentazione dei prodotti è ampia. Ora dobbiamo essere bravi a segmentare al meglio l’offerta”. Queste alcune delle considerazioni – estrapolate dall’ultimo Rapporto Coop sui consumi – espresse da Claudio Mazzini, responsabile commerciale del comparto Ortofrutta per Coop Italia, in una videointervista effettuata da Distribuzione Moderna in occasione di Fruit Logistica a Berlino. Tornando sul comparto ortofrutticolo Mazzini, dopo aver premesso la chiusura positiva nel 2015 per Coop e segnali confortanti in questo inizio 2016, sottolinea come “sull’ortofrutta ci sia ancora molto da fare sebbene ci siano ancora grandi potenzialità. Frutta e verdura sono gli unici alimenti senza controindicazioni. Anzi, bisognerebbe mangiarne almeno cinque porzioni al giorno. Se sapremo vendere bene l’ortofrutta, renderla appetibile per esempio ai giovani, il futuro del comparto sarà roseo. Serve cambiare approccio intercettando nuovi modelli e stili di consumo”.

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Paolo Prudenziati ad di GF Group: “Saremo di nuovo ciò che eravamo" “Possiamo e dobbiamo riprenderci il ruolo che ci compete di leader di mercato in Italia e nel Sud Europa. Possiamo e dobbiamo tornare ad essere quello che eravamo”. Così Paolo Prudenziati (nella foto), dal 28 gennaio amministratore delegato e consigliere di GF Group. Prudenziati, come sottolinea una nota dell’azienda, vanta 26 anni di esperienza a livello internazionale nel settore della frutta. Entrato in Chiquita Brand International nel 1989, ha ricoperto la carica di senior vice president South Europe and Ermerging Markets. Raffaella Orsero, presidente di GF Group, si è così espressa: "Sono certa che la sua importante esperienza nel settore e Ie sue comprovate capacità manageriali potranno fornire nuove prospettive di crescita al nostro core business”. In occasione di Fruit Logistica, Prudenziati ha dichiarato: “E’ un orgoglio per me essere qui, in un’azienda del mio Paese che è sempre stata un punto di riferimento per il settore di appartenenza. E’ l’opportunità che aspettavo per mettere al servizio di un gruppo italiano quello che ho imparato con gli americani. Oltre a ciò, c’è il fascino della sfida. Questo è un gruppo integrato a valle, che vende al distributore e in questo dobbiamo crescere. Ci stiamo concentrando sul core business, quello della frutta, con tutte le sue ricadute, in Italia e nel Sud Europa. C’è un team nuovo, non sono solo io la novità e dobbiamo integrare i nuovi con le persone che sono già nel gruppo. Non si tratta solo di un rafforzamento ma di Marzo 2016

una visione diversa del futuro che parte dalla riconquista delle posizioni in Italia e all’estero e che punta sulla crescita nel core business”. “Tutti i settori economici – ha sottolineato Prudenziati – hanno bisogno di un leader di mercato, senza è un problema per tutti, un problema di identità. L’ortofrutta non sfugge a questa regola. Questo è il nostro onore e il nostro onere”. Si attendono i dati 2015 di GF Group, ufficiosamente si sa che segneranno una crescita. L’impegno è per un 2016 di ulteriore recupero.

stand di Granfrutta Zani, Kiwi Uno, F.lli Clementi e Summerfruit, dove è stato possibile assaggiarlo. I caratteri distintivi della nuova varietà di kiwi sono in particolare l’intensità del colore giallo, il sapore intenso e la precocità: il frutto è in grado di maturare con circa un mese di anticipo rispetto alle altre principali varietà conosciute. Nel 2015 Dorì è stato protagonista di diversi panel test, che hanno restituito risultati estremamente positivi. Per il 2016 sono previsti impianti di almeno 100 ettari solo in Italia, già prenotati dagli agricoltori. Per quest’anno si prevedono volumi

NOTIZIARIO

CORRIERE ORTOFRUTTICOLO

Kiwi giallo: parte in quarta il Consorzio Dorì Europe La varietà di kiwi a polpa gialla messa a punto dall’Università di Bologna in collaborazione con l’Università di Udine prosegue a grandi passi il percorso verso la commercializzazione. Ultima e fondamentale tappa è stata la nascita, lo scorso gennaio, del Consorzio Dorì Europe Srl. L’iniziativa ha messo insieme tre importanti realtà italiane come Granfrutta Zani di Faenza, Kiwi Uno di Verzuolo e F.lli Clementi di Laives (Bolzano), oltre alla Summerfruit, titolare di licenza della varietà di kiwi a polpa gialla AC 1536 e del marchio Dorì, e alla Summerkiwi France (cui aderiscono Prim’Land, leader francese nella commercializzazione del kiwi, e il gruppo Sapa Rouquette). Il 3 marzo è stato chiuso l’accordo per l’ingresso nel Consorzio anche della veronese Frutta C2. Su una filiera italiana - dalle università di Bologna e di Udine, ideatrici della varietà, fino al titolare della licenza della privativa vegetale, Summerfruit - si è dunque costruito un Consorzio europeo che ha avuto il suo battesimo a Fruit Logistica. Il kiwi Dorì ha sollevato grande curiosità negli

attorno alle 200 tonnellate per arrivare a circa mille tons nel 2017. A Dorì ha già aperto le porte anche il Cile (grazie agli investimenti italiani in quel Paese) con i primi 60 ettari messi a dimora. "Prossimamente sono previste anche altre new entry. Stiamo trattando pure con un paio di aziende spagnole”, ha annunciato Giampaolo Dal Pane di Summerfruit durante una presentazione del Consorzio nel Veronese.

Dal 7 marzo nuovo marchio per VI.P con due coccinelle Due coccinelle, una rossa e una gialla. Sono il simbolo del cambio d’immagine di Vi.P, l’Associazione delle Cooperative Ortofruttiwww.corriereortofrutticolo.it

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cole della Val Venosta. Una piccola grande rivoluzione che coinvolge la strategia di comunicazione e il packaging. La presentazione del nuovo logo, semplice e immediato, in cui campeggia la scritta “Val Venosta” affiancata dalle due coccinelle senza più il prato e la montagna dell’Ortles stilizzati (concetti sulla provenienza reputati ormai assorbiti e acquisiti), è avvenuta in una conferenza stampa organizzata il 25 febbraio nel quartier generale della Vi.P a Laces dai vertici del gruppo altoatesino, rappresentati dal presidente Thomas Oberhofer, dal direttore Josef Wielander, dal marketing manager Michael Grasser e dal responsabile commerciale Fabio Zanesco. Nel nuovo logo (l’ultima rivisitazione risaliva al 2009, mentre il primo marchio è degli anni Sessanta) la coccinella rossa vuole esprimere il concetto di naturalità del prodotto a garanzia di mele sane e naturali, con la qualità contrassegnata tra l’altro dal marchio Igp e dal territorio, il SüdTirol. Quella gialla, invece, vuole essere simbolo della qualità, concetto chiave in tutte le fasi della filiera, dalla produzione allo stoccaggio, dalla lavorazione al servizio. Insieme rappresentano anche il territorio, contraddistinto da due lingue, due culture e i due colori delle varietà tipiche delle mele della Val Venosta, oltre che dalla molteplicità produttiva. Marzo 2016

Il logo verrà affiancato dal claim “mela buona e sincera”. D’altra parte, sostengono alla Vi.P (associazione con 1.700 soci e 5 mila ettari che produce e vende ogni anno 350 mila tonnellate di mele, di cui il 50% in Italia e l’altra metà all’estero, con il 10% della produzione globale biologica), il rispetto della natura e delle persone è un gesto semplice e spontaneo, proprio come cogliere una mela. L’espressione del cambiamento, poi, si può notare nel bollino e nel pack, raffiguranti le due coccinelle: in esse sono riassunti i colori simbolo delle varietà tipiche della valle, Golden per la varietà gialla e Pinova, Stark o Gala per quella rossa. Il marchio si riflette inoltre pure sul brand Amelìe, di seconda fascia. La nuova evoluzione di Val Venosta si riflette poi sulla linea ribattezzata “Le coccinelle”: uno speciale packaging che prevede un mix assortito di mele, gialle e rosse, sia in cartone che in vassoi. La dualità quindi si trasferisce non solo nel logo ma anche nella tipologia di offerta. Completa il quadro la rivisitazione del marchio per il prodotto biologico, in linea con la nuova

immagine del brand (la coccinella in questo caso cambia colore e diventa, ovviamente, verde) e un packaging dedicato con una confezione cartonata particolarmente accattivante e azzeccata. “Per rimanere competitivi e adeguarci al mercato è necessario proporre sempre qualcosa di nuovo. Serve attirare l’attenzione”, ha sottolineato con semplicità il direttore Wielander nel presentare la nuova strategia aziendale che coinvolge la coltivazione, il prodotto, il servizio e la marca, creata per differenziarsi e ambire a creare valore aggiunto. “Un logo oltre ad essere pensato e creato deve trasmettere valori e raggiungere il cuore e la mente del consumatore. Un marchio è una promessa. Un impegno da portare avanti nel tempo”, ha precisato Michael Grasser. Il cambio del logo è avvenuto a partire dal 7 marzo per il mercato italiano, mentre entro settembreottobre verrà gradualmente “trasferito” anche sull’estero.

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Vendite in crescita del 30% per Kanzi nei primi 4 mesi La campagna di Kanzi®, la mela club commercializzata in Italia dai Consorzi VOG e Vi.P, iniziata a ottobre, ha registrato nei primi 4 mesi un aumento delle vendite del 30% rispetto allo stesso periodo della stagione precedente, con un 50% circa del raccolto già destoccato a metà febbraio. Dopo un’ottima partenza in autunno sui mercati europei, le vendite di Kanzi® sono state stabili fino a inizio marzo. La Spagna resta il principale mercato, assorbendo circa un terzo delle mele commercializzate, ma si registra una decisa crescita anche in Italia, dove viene destinato un quarto della produzione (+50% rispetto alla stagione precedente) e dove sono state aperte quest’anno www.corriereortofrutticolo.it

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nuove importanti partnership commerciali. Tra i nuovi mercati spicca Israele, dove un’importante catena della grande distribuzione ha adottato Kanzi® come sua mela di punta. La seconda metà della stagione vede intensificarsi le attività a sostegno delle vendite, con promozioni in-store, attività sui social media, relazioni pubbliche online e offline e un nuovo concorso destinato ai consumatori italiani, chiamati a dare la loro interpretazione del concetto “Seduce Life”, un invito a vivere la propria vita in modo positivo e attivo, che può essere ispirato dal gusto di Kanzi®, ‘fresco e fortemente distintivo’ come l’ha definito Gerhard Dichgans, direttore del Consorzio VOG. “Le mele club sono oggi un trend importante e Kanzi® è un prodotto che continua a stimolare l’interesse degli operatori commerciali in tutti i nostri principali mercati di riferimento – sottolinea il direttore di Vi.P Josef Wielander – Quest’anno abbiamo potuto contare su un’eccellente qualità del raccolto e ci aspettiamo ancora tanto da questa varietà, che presenta un altissimo profilo sia estetico che organolettico”. Kanzi® è un marchio di proprietà dell’organizzazione belga GKE che identifica le mele di categoria prima della varietà Nicoter, incrocio tra Gala e Braeburn.

FederBio ‘sposa’ Tuttofood. E’ il divorzio dal SANA? Tuttofood - fiera dell’alimentazione di Fiera Milano, terza in Europa dopo ANUGA di Colonia e SIAL di Parigi - punterà sul biologico per le sue prossime edizioni (la prossima dall’8 all’11 maggio 2017). Per questo è nato l'accordo tra Fiera Milano e FederBio, la Federazione Italiana Agricoltura Biologica e Biodinamica. Marzo 2016

Una collaborazione che Fiera Milano definisce 'unica nell’ambito del b2b’ attraverso la quale 'FederBio ha l’opportunità di offrire ai propri associati un incontro diretto con il mondo degli addetti ai lavori, buyer nazionali e soprattutto internazionali, che rappresentano il visitatore naturale di Tuttofood’. L’accordo di collaborazione prevede l’apertura della sede lombarda della Federazione nelle palazzine di Fiera Milano a Rho e porterà alla realizzazione di progetti di promozione e sviluppo del comparto biologico in Italia e all’estero. 'Il cibo è un prodotto del tutto particolare nel quale il business si intreccia con natura, scienza, cultura e tradizioni - ha commentato Corrado Peraboni, amministratore delegato di Fiera Milano -. È per noi quindi motivo di grande orgoglio che la Federazione che esprime ai massimi livelli questi valori ci abbia scelto come partner. Tuttofood consolida così il suo ruolo di manifestazione all’avanguardia, unico indiscutibile riferimento per quel Food & Beverage italiano che vuole avere il futuro come prospettiva e il mondo come mercato. Ospitare la rappresentanza lombarda a Rho ci permetterà ottime sinergie, per risultati ancora più efficaci'. 'Il settore del biologico è in continua crescita e rappresenta una vera e propria opportunità per l’agroalimentare italiano - ha sottolineato da parte sua Paolo Carnemolla, presidente di FederBio . Grazie alla collaborazione tra Tuttofood e FederBio gli operatori avranno l’opportunità di trovare risposte, case history, informazioni per avvicinarsi al bio e far crescere ulteriormente il settore, rispondendo alla crescente domanda da parte dei consumatori di prodotti di qualità e sicuri'. FederBio è l’unico operatore inteprofessionale nazionale per il settore del bio e rappresenta la quasi totalità del settore biologico, dalla produzione alla trasformazione e distribuzione. La Federa-

zione è riconosciuta come interlocutore di riferimento per il Biologico italiano presso i Ministeri italiani e presso le principali sedi istituzionali estere. Ha firmato inoltre un’intesa operativa con ITA/ICE Agenzia - partner anche di Tuttofood – a sostegno dell’internazionalizzazione del bio made in Italy. Non è chiaro se l’accordo che impegna in modo così importante FederBio significhi l’abbandono oppure no, da parte della Federazione, della collaborazione con BolognaFiere e una delle sue rassegne più importanti: il SANA, storica fiera del biologico italiano. (greenplanet.net)

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Polo distributivo a Roma per Apofruit e Agribologna Apofruit Italia (oltre 3.200 produttori associati, 12 stabilimenti di lavorazione) e il Gruppo Agribologna (150 aziende agricole) con la partecipata Conor hanno lanciato un nuovo progetto per lo sviluppo della rete distributiva nel Centro e Sud Italia. Il progetto si è concretizzato con la creazione della società ‘Viviromano', che commercializzerà le produzioni convenzionali e quelle biologiche a marchio AlmaverdeBio e HFD (HorecaFruit Distribution) attraverso il polo logistico

del CAR (Centro Agroalimentare Roma). Viviromano è partecipata da Apofruit per l’80%, da Agribologna per un 10%, e dalla Conor per il restante 10%. Il consiglio di amministrazione è composto da Ilenio Bastoni, Ernesto Fornari, Angelo Palma, Riccardo Astolfi e Massimo Biondi, presidente. La struttura operativa di Viviromano conta su uffici, sale di lavorazione e spazi di refriwww.corriereortofrutticolo.it

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gerazione per complessivi tremila metriquadri. Partirà operativamente a metà del 2016 con un’attività preventivata di 5 mila tonnellate di prodotto ed un fatturato di 9 milioni di euro. “L’obiettivo di Viviromano – ha spiegato il direttore generale di Apofruit Ilenio Bastoni – è quello di sviluppare ulteriormente la nostra forza di distribuzione al Centro e al Sud Italia per soddisfare le esigenze dei nostri clienti, soprattutto Horeca e Gdo, che hanno necessità di tempi sempre più ridotti tra ordini e consegne. Gli elementi basilari del progetto sono infatti quelli dell’efficienza, della tempestività e dell’abbattimento dei costi della logistica. Attualmente quei mercati vengono riforniti da Bologna o da Cesena; essere direttamente su quel territorio consente ai prodotti provenienti dal Sud di non dover più transitare dal Nord ma di andare direttamente a Roma, un’area metropolitana dove si coglie attualmente un notevole sviluppo capace di offrire grandi potenzialità agli operatori commerciali ortofrutticoli e ai produttori agricoli”. Un punto di forza del progetto è proprio il CAR, un grande polo logistico, tecnologicamente avanzato e informatizzato, capace di dare consistenza ad un reale processo d’integrazione tra produzione, commercio, distribuzione, export, imprese di logistica e di servizi.

Opera incassa 6.500 tonnellate con l’ingresso di Cofruta Il 9 marzo il Consiglio di amministrazione di Opera ha approvato all’unanimità la domanda di ammissione a socio presentata pochi giorni prima da Cofruta, il Consorzio Frutticoltori del Tartaro, storica cooperativa in provincia di Rovigo. Adriano Aldrovandi, presidente di Opera ha dichiarato: “Il principale obiettivo di svi-

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luppo di Opera è l’associazione di un numero sempre più ampio di realtà che a qualsiasi titolo dispongano di pere di qualità, con l’obiettivo di ottimizzare ulteriormente la gestione della filiera e migliorare la qualità dell’offerta e del servizio ai nostri partner della distribuzione. E’ per questo che siamo felicissimi di poter adesso annoverare tra i nostri soci Cofru-

è costituita da 19 soci che rappresentano oltre 1.100 frutticoltori produttori di pere che coltivano 7.800 ettari di pereto interamente collocati nel cuore della Valle Padana. Il raccolto 2015 è stato di circa 210 mila tonnellate. La campagna commerciale in corso interessa oltre 1.000 partner distributivi e più di 10 milioni di consumatori in 44 nazioni.

Monferrato Frutta nuovo attore nel mercato delle nocciole ta, che porterà al nostro Consorzio asset di grande valore rappresentati da 6.500 tonnellate di pere di qualità prodotte in zone vocate da frutticoltori esperti; da strutture all’avanguardia per il condizionamento della frutta conferita; da un team competente e motivato e da un considerevole know-how tecnico e commerciale. Riteniamo inoltre che la decisione di Cofruta di perfezionare l’associazione ad Opera con largo anticipo rispetto all’inizio della prossima raccolta sia stata particolarmente lungimirante perché consentirà una tempestiva e completa integrazione del nuovo socio e permetterà così di cogliere tutte le possibili sinergie sin dall’inizio della prossima stagione commerciale. Speriamo che anche altre aziende del settore della pera italiana decidano presto di unire le loro forze con le nostre”. Natalino Tramarin, presidente di Cofruta, ha aggiunto: "Noi tutti che operiamo nel settore della pera sappiamo che quest’anno abbiamo beneficiato indirettamente nel nuovo clima conseguente alla nascita di Opera ed è anche per questo che riteniamo opportuno per i nostri soci produttori di pere non limitarci al ruolo di spettatori, ma schierarci attivamente d’ora in poi al fianco degli altri soci di Opera.” Fondata nel maggio 2015, Opera

Si chiama Monferrato Frutta la società cooperativa agricola costituita ufficialmente tra imprenditori di Alessandria e di Asti che si sono impegnati a conferire il prodotto che sarà coltivato nelle colline delle due province. La nuova cooperativa, presieduta da Dino Bertolè, imprenditore della Val Cerrina, ha visto la sua realizzazione dopo un percorso di crescita e un lasso di tempo che è servito per far maturare sul territorio l’esperienza acquisita grazie alla collaborazione tra gli imprenditori corilicoli dell’Alessandrino e dell’Astigiano. In questo modo, viene perseguito l’obiettivo di commercializzare prodotti delle imprese associate accorciando la filiera ed evitando alcuni passaggi commerciali. La cooperativa è sorta nell’ambito di Coldiretti e persegue l’intento di coordinare i produttori e stipulare accordi con diverse società, proponendosi di migliorare le condizioni economiche dei soci per promuovere il perfezionamento della produzione agricola, e corilicola in particolare, organizzando in forma cooperativistica il rifornimento delle scorte, il miglioramento delle colture e delle vendite collettive dei prodotti agricoli, nonché attuando le iniziative necessarie per dare nuova centralità all’impresa e garantire giusto reddito al settore. Qualche Marzo 2016


numero: 2000 gli ettari interessati a noccioleto in provincia di Alessandria, 3.870 gli ettari per la provincia di Asti. A firmare la nascita della nuova cooperativa per Alessandria erano presenti, oltre al presidente Bertolè, il direttore e vicedirettore della Coldiretti Simone Moroni ed Emiliano Bracco, Ferdinando Trisoglio presidente della Cooperativa Corilu e altri cinque imprenditori; per Coldiretti Asti i produttori Giuseppe Ferrero di San Damiano e Maria Josè Pollastri di Cascina Quaglietta di Cerro Tanaro, il vicedirettore Luigi Franco e il segretario della zona di San Damiano, Carlo Torchio.

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Intesa operativa tra Don Camillo e Soldive

Uva da tavola: nata a Rutigliano Puglia & Natura

Si profila un 2016 ricco di novità per l’Agricola Don Camillo di Brescello (Reggio Emilia), OP con 41 soci, specializzata nella produzione e commercializzazione di meloni e cocomeri. A fine febbraio è entrato nel vivo l’accordo stipulato lo scorso anno con la francese Soldive per la produzione in Senegal di 12 mila quintali di meloni Charentais. Il prodotto viene lavorato in loco dall’impresa transalpina con la supervisione di alcuni rappresentanti di Don Camillo. Saranno oltre 50 i container di merce che arriveranno nel quartier generale di Brescello. La produzione senegalese proseguirà fino ad aprilemaggio. Il 2015 si è chiuso per la OP con un fatturato di 36 milioni.

Si è costituita, con sede a Rutigliano, una nuova Organizzazione di produttori di uva da tavola: Puglia & Natura. Raggruppa 20 aziende viticole dei Comuni di Rutigliano, Turi e Noicattaro, per una superficie di 400 ettari e un fatturato medio dell'ultimo triennio di 10 milioni di euro. Tra i soci, annovera aziende già aderenti a OP di Campania, Basilicata, Emilia-Romagna e Puglia e nuove aziende che si avviano a un percorso condiviso in ambito associazionistico. La nuova OP nasce con l'obiettivo di individuare due o massimo tre nuove varietà di uve senza semi sulle quali puntare per affermare la grande capacità viticola del territorio.

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Ecco frutta Alce Nero: Ecco la fru tta e vverdura erdura biologica ce N ero: biologica Al Pinzimonia, Cremoso, la ccarota arota Pin zimonia, l’avocado emoso, l’avocado Cr pomodoroo Pic Piccolino molte altre eccellenze. il pomodor colino e mol te al tre ec cellenze. P Perché erché dar dare e un nome alla frutta? P Perché erché a noi di A Alce lce N Nero ero piac piace e chiamare chiamare le cose cose nel modo giusto. giusto. piace che bontà, mangiare E ci piac e ch he la bon tà, quella vvera, era,, sia sempre sempre più vicina alle persone che amano o mang iare sano, sano, biologico e con gusto. biolo

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MACFRUT, PASSO INDIETRO. La manifestazione resta a Rimini

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‘Hic manebimus optime’ I latini pronunciavano una frase che risale ai tempi più antichi di Roma ed è rimasta nella storia come segno della loro risolutezza: ‘Hic manebimus optime’. Alla lettera ‘Qui stiamo ottimamente’ ma significava ‘e da qui non ci spostiamo’ o anche, in faccia al nemico, ‘e da qui provi qualcuno a spostarci’, tanto che Livio assicura che per primo la usò un centurione. Ce l’ha ricordata Macfrut nei primi giorni di marzo, quando ha fatto sapere che non si sarebbe trasferito da Rimini per i prossimi anni perché a Rimini sta ‘ottimamente’. E’ fuor di dubbio che a febbraio scorso si stesse lavorando a un accordo sulla fiera nazionale unica dell’ortofrutta, coinvolti tutti i soggetti interessati: Cesena Fiera, Fiera Milano e, sotto sotto, anche Veronafiere. Lo stesso presidente di Cesena, Renzo Piraccini, aveva dichiarato nei giorni di Fruit Logistica: “Stiamo valutando se si

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Lettera a Milano: “Restiamo dove siamo, Rimini preferita dagli espositori”. Ha vinto la proprietà che fa capo al Comune di Cesena. Verona conferma Fruit&Veg

Renzo Piraccini, presidente di Cesena Fiera, e Paolo Lucchi, sindaco di Cesena

possono creare le condizioni per spostare il Macfrut a Milano nel 2017 in abbinata con Tuttofood”, lasciando intendere che, a fine febbraio, si sarebbe anche potuto chiudere. Corrado Peraboni, l’amministratore delegato di Milano, si era fatto convinto che l’accordo si doveva fare affidando le redini della manifestazione a

Piraccini. Verona è stata in contatto con gli uni e con gli altri per vedere come inserirsi nella partita, con l’orecchio teso agli umori della politica nazionale con la quale vanta ottimi rapporti. Non sembrava una commedia, nel settore qualcuno giurava che era la volta buona per realizzare qualcosa di importante. Invece è preval-

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Piraccini tra un amore troppo grande e una gabbia troppo piccola di Antonio Felice

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Renzo Piraccini non ce l’ha fatta a fare – almeno in tempi brevi – quello che avrebbe voluto: la grande fiera italiana dell’ortofrutta. Lo aveva detto in tempi non sospetti, alle prime battute della trattativa con Milano: bisogna aspettare le elezioni di primavera in Romagna (si vota a Rimini per il Comune) prima di prendere qualsiasi decisione. Ma non lo hanno fatto aspettare. L’hanno fermato prima che la trattativa con Milano potesse chiudersi positivamente. Il no è arrivato dalla sua Cesena (e certamente Rimini era d’accordo perché gli conviene). I nemici di Piraccini non erano dunque a Milano, a Roma, a Bologna, a Verona; i primi nemici di Piraccini o per lo meno del suo disegno ‘ecumenico’ (frase sua: “Dobbiamo far salire tutti sul carro”) - sono stati i suoi amici, legati a lui dal comune amore per la Roma-

gna. La Romagna è terra di sentimenti forti. Proprio per questo Piraccini ha nemici in casa, perché è bravo e quindi suscita naturali gelosie. Poi ha nemici tra coloro che, sempre in Romagna, lo stimano davvero (e di più quando organizza eventi come ’Sono romagnolo – La fiera dell’identità romagnola’) ma nello stesso tempo temono che la sua bravura lo porti a fare anche interessi lontani da quelli della loro terra. Piraccini stava tessendo una tela troppo grande per chi non va oltre l’orizzonte romagnolo. Ora il rischio è che il disegno di un’unica grande fiera italiana dell’ortofrutta sia bruciato da una visione politica chiusa dentro orizzonti limitati. O che sia almeno fortemente rallentato e penalizzato, come ha scritto il direttore Frassoldati. Forse non proprio tutto è perduto, anche se, per ora, Piraccini deve limitarsi a portare al successo Mac-

sa la posizione di alcune grandi aziende romagnole di tecnologie: ‘da qui non ci spostiamo’. E forse più ancora quella della politica locale, che poi è la voce della proprietà: ‘da qui provi qualcuno a spostarci’. Macfrut resterà a Rimini fino al 2018, poi si vedrà. Cosa si vedrà? Come andranno a finire le elezioni comunali di Cesena, quando il proprietario di Macfrut, il sindaco Paolo Lucchi, che avrà chiuso allora il suo se-

condo mandato consecutivo, scenderà da cavallo. Dunque il 3 marzo esce una nota ufficiale di Cesena Fiera in cui si spiega che “lo spostamento di Macfrut a Milano non convince gli espositori che giudicano l’attuale location di Rimini adeguata e di grande appeal. Preso atto di ciò, il Consiglio di Amministrazione di Cesena Fiera ha opzionato i padiglioni di Rimini Fiera per le prossime tre edizioni di Mac-

frut”. La nota riporta il testo della lettera inviata da Piraccini al milanese Peraboni: “La proposta (di Macfrut 2017 a Milano, ndr) non ha registrato il gradimento di molti degli espositori interpellati. In particolare quelli del settore macchine e materiali sono nettamente contrari, ma anche tra i produttori il riscontro è stato prevalentemente negativo. La preoccupazione comune è quella che Macfrut, nel contesto di una fiera

Renzo Piraccini “La fiera italiana dell’ortofrutta non può che essere Macfrut”

Corrado Peraboni Nessuna dichiarazione di Milano che però lavora al progetto Tuttofood - Fruit Innovation

Giovanni Mantovani “È venuto il momento di rompere l’incantesimo della fiera italiana dell’ortofrutta”

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frut 2016 a Rimini, che così com’è, pur tanto migliorata rispetto al Macfrut di Cesena, continuerà a non convincere quella parte del settore ortofrutticolo italiano che non si ritrova all’ombra della ‘centralità romagnola’ e che chiedeva e chiede qualcosa di diverso, almeno un compromesso, cosa che Piraccini sapeva bene. Se si dovesse comporre il podio dei top manager dell’ortofrutta italiana imbarazzante sarebbe scegliere chi mettere al primo, al secondo e al terzo posto ma non sarebbe così difficile immaginare chi merita di occupare, da tempo ormai ma forse ancora oggi, quei gradini: in ordine alfabetico di cognome Gerhard Dichgans, Luca Granata, Renzo Piraccini. Avere uno di questi tre signori al vertice della grande fiera italiana dell’ortofrutta sarebbe un grande vantaggio per tutti. Ora il Macfrut ha la fortuna di avere Piraccini. Se lo tenga stretto, ma, per favore, non troppo.

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L’amministratore delegato di Fieramilano Corrado Peraboni e il dg di Veronafiere Giovanni Mantovani

focalizzata sui prodotti come Tuttofood, possa perdere la propria caratteristica identità di fiera di filiera, peculiarità che la caratterizza e che rappresenta il grande valore alla base della politica di rilancio della manifestazione. Su questa ipotesi inoltre non si ricompatterebbe la filiera ma si creerebbe un’ulteriore frattura tra i settori e tra gli espositori”. Piraccini rilascia una dichiarazione perentoria: "La fiera italiana dell’ortofrutta non può che essere Macfrut”. In precedenza aveva precisato: "Ogni rassegna sta trovando una propria dimensione. Se Fruit Logistica rimane l’evento mondiale, Fruit Attraction di Madrid è la fiera di prodotto. Il Macfrut è la fiera di filiera: dalla produzione ai macchinari, alla grande distribuzione. È la rassegna italiana. Una fiera su cui si sta confermando un interesse che vogliamo far crescere ancora”. La Romagna esulta. Milano non reagisce o, almeno, questa è l’apparenza. In effetti, analizza la nuova situazione e si interroga sugli equilibri nazionali. Il pro-

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getto Fruit Innovation all’interno di Tuttofood torna fuori con il rammarico di aver lasciato campo libero a Macfrut nel 2016 ma anche con l’idea di fare qualcosa di nuovo in un’ottica di apertura verso altre realtà. In questa direzione il primo passo è l’accordo tra Fiera Milano e la Federazione del biologico: FederBio. E altro potrebbe saltar fuori nel corso di aprile. E mentre Renzo Piraccini parte per un tour di presentazione della prossima edizione del Macfrut nelle principali aree produttive della Repubblica Dominicana, ecco che Verona prova a fare sul serio con Fruit&Veg System, la fiera-evento del prossimo maggio. Il direttore generale Giovanni Mantovani, a Berlino, aveva inquadrato la cosa così: “E’ arrivato il momento di rompere l’incantesimo nel settore ortofrutticolo e fieristico italiano che, fino ad oggi, è costituito da due o tre blocchi che non si parlano. Un incantesimo che ci ha fatto perdere terreno e rimanere indietro di qualche decennio. Oggi dobbiamo lavorare

per recuperare il divario ma non è facile”. In effetti, Mantovani, che non ha mai tagliato il filo con Cesena e con Milano, cerca un alleato. Fruit&Veg System può essere l’inizio di un percorso ma non è certo, nella testa dei veronesi, il punto di arrivo. Intanto ha aggregato il territorio, da Veronamercato, quarto Centro Agroalimentare italiano, a FruitImprese Veneto, e ha creato le prime alleanze, come quella con l’Istituto Agronomico Mediterraneo di Bari e con i promotori dell’ottavo Simposio internazionale dell’uva da tavola. In marzo è stato avviato un road-show per lanciare l’iniziativa in Sicilia e Calabria ed è stata messa a punto, grazie alla consulenza di Luca Lanini, una giornata sulla logistica dell’ortofrutta che si preannuncia di buon livello. Una cosa ci sembra di poter dire: basteranno pochi mesi per capire se Renzo Piraccini ("La fiera italiana dell’ortofrutta non può che essere Macfrut”) ha ragione fino in fondo. (a.f.)

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FRUIT LOGISTICA 2016. Ancora primi espositori ma non solo

Una bella Italia a Berlino A Fruit Logistica 2016 si è vista un’Italia bella come non mai. Un’impressione non solo nostra ma di una serie di testimoni che ‘Corriere Ortofrutticolo’ ha interpellato. Stand non solo migliorati ma anche più affollati che nelle precedenti edizioni e debutti importanti come quelli di Opera e di Origine, le due iniziative che hanno segnato una svolta nell’organizzazione commerciale di importanti prodotti del nostro Paese come la pere e i kiwi, e come il debutto internazionale di Italmercati, un nuovo soggetto forte che si pone come punto di aggregazione e di confronto col mondo politico-istituzionale. La frenesia collettiva, che ha caratterizzo la fiera fin dal primo giorno, ha messo in secondo piano proprio le presenze istituzionali nazionali, come al solito latitanti. Alcuni assessori regionali presenti (Lombardia, Basilicata) ma del

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La frenesia degli incontri d’affari ha messo in secondo piano l’assenza delle istituzioni. Luca Granata: “Andiamo un po' meglio, ma possiamo fare molto di più”

ministro Maurizio Martina si sono perse le tracce come dei suoi vice e sottosegretari. D’altronde col mondo dell’ortofrutta - non è una novità - il ministro lombardo ha poco feeling. Presenti il bravo e volonteroso Luca Bianchi, capo dipartimento, e l'ex ministro e oggi europarlamentare Paolo de Ca-

stro, che, riconoscendo l’indiscussa importanza economica del comparto, non si perde un'edizione di Berlino. Nel padiglione italiano 2.2, l’area “Italy” (ex Piazza Italia) è stata sicuramente la migliore degli ultimi anni. Importante lo sforzo di aggregazione compiuto da CSO, FruitImprese, ICE e Italia Ortofrutta e il risultato (40 imprese presenti e 1000 mq di spazio ben organizzati) ha funzionato davvero nei commenti degli operatori per impatto e visibilità. Per il resto il solito ordine sparso tra Regioni, Consorzi, Mercati, porti, tecnologie e servizi. Opera, con uno stand coloratissimo, con una bella cascata di pere, si è distinta

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Fruit Logistica, una 'fiera mondiale’ finalmente in un’atmosfera di ottimismo di Claudio Scalise* Se qualcuno aveva dei dubbi, è arrivata la conferma. Fruit Logistica rappresenta la vetrina mondiale del settore. Un appuntamento irrinunciabile, a cui qualunque azienda che si voglia affacciare sul mercato internazionale ma anche solo europeo non può mancare. Prova ne sia l’incremento di espositori e di visitatori professionali. Oltretutto quest’anno anche il primo giorno di fiera è stato molto affollato. Solo il venerdì si è assistito ad un rallentamento del flusso di visitatori. La presenza italiana si è confermata massiccia e molto più visibile che in passato. Ormai l’Italia occupa in modo uniforme due padiglioni contigui. Le imprese si presentano in modo sempre più impattante e l’offerta italiana –

dal Nord al Sud – è pressoché totalmente rappresentata. Una bella fiera nella fiera per la nostra produzione ortofrutticola! Quest’anno oltretutto si respirava un’aria di ottimismo come non si vedeva da tempo, anche fra gli operatori italiani. Probabilmente perché all’estero la ripresa è più consolidata che da noi e quindi si intravvedono spazi nuovi di mercato che negli anni scorsi non si coglievano. Se vogliamo guardare agli aspetti negativi possiamo registrare da una parte il commento che la fiera sia troppo grande e quindi meno concentrata di alcuni anni fa e, dall’altra, la flessione nelle presenze dell’Estremo Oriente, dovuta alla crescita di Asia Fruit Logistica. La sensazione è che il sistema fieristico internazionale per l’ortofrutta si stia consolidando in una

Battesimo di Opera a Fruit Logistica 2016. L’altra grande novità è stata Origine

vetrina mondiale e in alcune vetrine continentali corrispondenti a macro-mercati. La vetrina mondiale, al momento almeno, è Fruit Logistica Berlino, le fiere di rilievo continentale sono la PMA per l’America, Asia Fruit Logistica per l’Asia, Fruit Attraction Madrid per l’Europa. A queste fiere di primissima fascia si possono aggiungere altre manifestazioni, che fanno riferimento ad aree nazionali come ad esempio World Food Mosca per la Russia ed il Wop/Gulf Food di Dubai per il Medio Oriente. L’Italia, purtroppo, divisa com’è non sembra per il momento attrezzata per ritagliarsi lo spazio che meriterebbe nel panorama internazionale. *SGMARKETING Comitato d’Indirizzo del Corriere Ortofrutticolo mostrando una strada che ci sembra azzeccata: esporre il prodotto, esporlo di più. Nella presenza italiana si è notato, in generale, voglia di fare meglio, di innovare, di aggregarsi, di andare a caccia di nuovi mercati, senza dimenticare il nostro mercato domestico. Il commento dolce-amaro di Luca Granata, al timone di Opera, al nostro direttore è stato: “Andiamo un po' meglio, ma possiamo

Salvi: “All’export servono diplomazia e politica” Il presidente di FruitImprese Marco Salvi ha anticipato al Corriere Ortofrutticolo durante Fruit Logistica i dati sull’import-export a consuntivo del 2015. La bilancia commerciale dell’ortofrutta si chiude con un saldo attivo di 800 milioni di euro, in calo rispetto al miliardo di euro del 2014. L’export dovrebbe chiudere a 4,4 miliardi circa mentre l'import a 3,6. L’export cresce in valore dell'11% circa rispetto al 2014 grazie ai buoni prezzi spuntati dalla frutta fresca (che vale due terzi di tutto l’export), al trend positivo degli ortaggi e al boom (+20%) della frutta

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secca. Cresce anche in valore l’import (+21%) con incrementi spettacolari degli agrumi (+38%) e della frutta secca (+30%). “A livello import lavoriamo bene – ha commentato il presidente di Fruitimprese – ci manca qualcosa sul fronte export per il perdurare di fattori negativi in parte non dipendenti da noi come l’embargo russo e le barriere fitosanitarie che ci impediscono l’accesso a nuovi mercati importanti”. Poi una nota polemica: “I tempi della diplomazia e della politica sono troppo lenti per un mercato che evolve rapidamente.”

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Biofach specchio del boom del settore biologico Numeri in crescita per Biofach, la principale fiera dedicata al biologico tenutasi a Norimberga dal 10 al 13 febbraio scorsi. Sono aumentati i visitatori, fino a toccare quota 48.533, provenienti da 133 Paesi. Ben 2.575 gli espositori presenti. A Norimberga sono stati forniti alcuni dati significativi su come il settore del bio in Germania stia prendendo sempre più piede: la spesa per alimenti biologici da parte dei consumatori tedeschi è aumentata in un anno dell’11%. Secondo il Bund Ökologische Lebensmittelwirtschaft (Unione tedesca degli operatori economici del settore ecologico alimentare) il fatturato del comparto ha superato gli otto miliardi di euro. Secondo l’istituto di ricerche di mercato Organic Monitor il mercato mondiale dei prodotti bio nel 2014 ha raggiunto i 60 miliardi di euro, cifra in progressiva crescita. Biofach, pur confermandosi polo mondiale del biologico, ha evidenziato la tendenza, comune in ambito italiano al SANA, di essere sempre più la fiera del prodotto biologico trasformato e sempre meno fiera del prodotto fresco. I contatti avuti a Norimberga dal 10 al 13 febbraio dai due Consorzi delle mele biologiche dell’Alto Adige, il Bio Südtirol e Bio Val Venosta, confermano questa impressione. Il mondo della distribuzione specializzata tedesca ha presidiato Biofach con particolare attenzione a tutte prire. Questi dati, anticipati dal sito corriereortofrutticolo.it, hanno sollevato qualche comprensibile polemica da parte di espositori non entrati tra i top per singola categoria. Allora dobbiamo riconoscere che tutti hanno dato un contributo alla buona riuscita

FIERE

fare molto di più”. L’Italia si è presentata a Berlino con 462 aziende espositrici su un totale di 2.880, confermandosi primo Paese espositore anche se Spagna, Olanda e Turchia, con rappresentanze meno grandi, ci battono alla grande come esportatori sul mercato tedesco. Non sarebbe meglio essere terzi o quarti espositori e primi esportatori in Germania piuttosto che il contrario? La nostra redazione ha dato le pagelle agli stand italiani a Fruit Logistica 2016. Ecco il risultato. Lo stand più affollato è stato (ancora una volta) quello dei Consorzi dell’Alto Adige grazie alla buona organizzazione degli incontri preordinati con clienti tedeschi e internazionali e le numerose visite non programmate favorite da un clima molto ospitale. Ben frequentati molti altri stand come quelli delle Regioni del Mezzogiorno, con in testa Puglia, Basilicata e Sicilia, e alcuni stand di singole aziende a partire da quello di GF Group. La palma dello stand più innovativo va a Italy (ex Piazza Italia) per lo sforzo di rinnovamento messo in atto grazie a una nuova architettura che ha sintetizzato con eleganza le esigenze di uno spazio collettivo e quelle delle singole aziende presenti. Lo stand con la cucina migliore è risultato - a parere della redazione - quello del Mercato Agroalimentare di Padova MAAP per la varietà e qualità dei suoi primi piatti, risotti in particolare e una eccellente pasta e fagioli, gli antipasti (con un fantastico formaggio Vezzena), i dessert (con i famosi e gustosi ‘zaletti’). Lo stand con i vini migliori è risultato invece quello dei Consorzi ortofrutticoli del Trentino, con vini regionali fermi e mossi, rossi e bianchi, da aperitivo e da dessert, mediamente di alto livello. Davvero invitanti le bollicine rosé Trento doc della Fondazione Mach e assolutamente prezioso il Moscato giallo della Cantina di Aldeno, vino dolce raro e da sco-

Innovazione: i frullati di Bioitalia

le novità ma i buyer di ortofrutta della grande distribuzione mondiale hanno avuto più contatti con i marchi del biologico italiano alla Fruit Logistica di Berlino piuttosto che a Norimberga. Di grande interesse è comunque apparsa Biofach 2016 al Consorzio Almaverde Bio, il cui direttore Paolo Pari si è dichiarato particolarmente soddisfatto dei contatti avuti in fiera. “Norimberga quest’anno – ha dichiarato Pari al sito specializzato greenplanet.net – ha mostrato lo sforzo delle aziende di produzione di fare innovazione di gamma e di prodotto. E questo per rispondere alla crescente propensione al consumo dei prodotti biologici, una propensione che ancora non trova corrispondenza nella realtà. I consumi certamente sono cresciuti e crescono ma questa crescita sarebbe ben maggiore se esistessero condizioni più favorevoli al biologico. Serve la capacità di programmare un’offerta più ampia a livello produttivo. E’ necessario cresca il numero dei negozi specializzati, soprattutto nella nostra realtà italiana”. della presenza italiana. Concludendo: in generale la fiera ha tenuto, confermando la sua utilità di grande piattaforma internazionale del business ortofrutticolo. Unico appuntamento davvero globale, planetario.

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I GIACCIO. Una famiglia, con un leader che ha visto lontano

Annurca mon amour Antonio Felice Antonio Giaccio, 62 anni, napoletano di nascita e casertano di adozione, presidente della OP Giaccio Frutta si è fermato alla terza elementare ma ha tante caratteristiche positive, come la passione e la perseveranza, l’attaccamento al lavoro e alla famiglia, e una strabiliante: vede lontano, anticipa i tempi. Oggi ha una preoccupazione attualissima: “Che futuro può esserci per il nostro Paese se non si dà ai giovani la possibilità di ritornare alla terra? Se non li si informa sul valore della terra e dei suoi prodotti e non gli si dà l’opportunità di diventare produttori di cibo, dei nostri cibi?”. Ieri Antonio Giaccio era stato tra i primi, nel Sud, a credere nelle unioni dei produttori e nel valore

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Il successo della OP Giaccio Frutta, presieduta da Antonio Giaccio, è legato alla valorizzazione su scala nazionale della mela più famosa del Sud

dei prodotti del territorio, portando a Milano, nel quartier generale dei supermercati, una mela sconosciuta, piccola e brutta, oggi diventata l’icona del successo della OP da lui fondata con il fratello Gennaro nel 2000: l’annurca,

una mela che non fa scorte, la cui domanda supera l’offerta, la cui produzione è organizzata e garantita a vantaggio di distributori e consumatori. Oggi è protagonista, con tutti i soci dell’OP, anche di un altro non proprio piccolo ‘miracolo’: c’è la crisi delle pesche e delle nettarine ma quelle della Giaccio Frutta vanno a ruba, pesche bianche e percoche comprese, primizie, ricercate dai grandi della GDO. Così, il Sud che concentra il 60% della produzione ortofrutticola nazionale, ha un altro esempio da seguire: non solo quello di Antonio ma quello di tutti i Giaccio e

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CHI è I GIACCIO

La loro storia con la frutta comincia da lontano, da un Giuseppe Giaccio napoletano che parte giovanissimo per la guerra in Eritrea e che, dopo dieci anni di prigionia in Gran Bretagna, riscopre la vocazione contadina e si mette con impegno a produrre ortofrutta, tra cui, fin da subito, mele annurca, nell'appezzamento di famiglia nell’immediata periferia di Napoli. Con l’espansione edilizia degli Anni Sessanta, una vasta area agricola viene progressivamente inglobata nella città, che si impone come la terza città italiana per numero di abitanti, e i Giaccio, come altri produttori agricoli, non rinunciano alla propria attività e la spostano negli Anni Settanta nel Casertano. Nel 1954 era nato Antonio e nel 1956 Gennaro, i figli di Giuseppe, i fratelli che rappresentano ancora oggi i pilastri di quella che nell’anno Duemila è diventata la OP Giaccio Frutta. Da allora la mente dell’OP è considerato il presidente Antonio Giaccio, sposato e con due figli Giuseppe e Luigi. La caparbietà, la testardaggine e al tempo stesso un animo umile rappresentano parte della sua forte personalità. Dopo un’iniziale attività famigliare di distribuzione di frutta fresca nei mercati ortofrutticoli di Roma e Milano, Antonio si è ben presto fatto convinto che la strada da percorrere fosse l’associazionismo, la cooperazione, la forza collettiva per arrivare a una concentrazione dell’offerta che permettesse di avere un maggior peso contrattuale con i distributori e i rivenditori finali. Un’altra caratteristica di Antonio Giaccio è l’indissolubile legame con il fratello Gennaro anche sul versante del lavoro. Anche Gennaro Giaccio ha due figli, Giuseppe e Antonio. La passione

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:- ) per la terra, la forza di volontà e l’animo buono rappresentano parte della personalità di Gennaro, diventato negli anni il punto di riferimento operativo di tutti i soci della OP per le sue conoscenze in campo e la sua determinazione a puntare sempre alla massima qualità raggiungibile. Antonio e Gennaro, da sempre uno di fianco all’altro, da un lato lo spirito imprenditoriale e dall'altro lo spirito tecnico, hanno costruito negli anni il crescente successo dell’OP Giaccio Frutta. Anche i rispettivi figli (nella foto sotto): Giuseppe (classe 1978), Luigi, Giuseppe (classe 1984) e Antonio hanno saputo apprezzare il settore e ognuno di loro oggi ha un ruolo attivo all’interno dell'organizzazione. In particolare i due Giuseppe sono impegnati in azioni importanti. Il primogenito di Antonio, al termine degli studi superiori e del servizio militare, si è dedicato con grande impegno, partendo dalla gavetta, a seguire appieno le orme del padre. Il primogenito di Gennaro ha ultimato gli studi universitari all’Università di Agraria di Portici, ricopre il ruolo di dottore agrario all’interno dell’OP e dal 2012 è il presidente del Consorzio della Mela Annurca Campana IGP. Non è un caso che il simbolo della OP Giaccio Frutta sia l’albero di famiglia a rappresentare lo stretto legame dei suoi membri ma anche il legame con la terra dove ogni giorno si riversa il loro impegno verso nuove sfide.

Gennaro Giaccio, fratello di Antonio, riferimento per i soci OP

di tutti gli altri soci della OP la cui prima regola è ‘unire' e non ‘dividere’, andare per la strada diritta e non seguire lo sport nazionale delle diatribe senza fine. Antonio Giaccio ha capito immediatamente lo strumento delle OP che premia chi produce e investe attraverso i contributi dell’Unione Europea. Ogni anno o quasi il patrimonio tecnologico di Giaccio Frutta cresce insieme ai fatturati. Per queste ragioni, i Giaccio con Antonio in testa sono dei veri Protagonisti dell’Ortofrutta Italiana. Ecco domande e risposte. Come si intreccia la vostra storia con quella della mela annurca? “Noi facciamo agricoltura e siamo produttori di mele da sempre, dai tempi di mio padre Giuseppe e di suo padre Antonio. Veniamo da lontano. Produciamo un paniere di frutta ma ci sono differenze. Se produrre una buona pesca è un lavoro, produrre mele annurche è una passione. La differenza è che dietro a ogni singola mela annurca c’è un grande lavoro che può essere fatto solo se c’è passione. Un tempo questa passione non ripagava il produttore. Le cose sono cambiate con l’organizzazione che ci ha dimostrato che, stando insieme, tutti possiamo stare meglio. Per l'annurca la nascita delle OP e poi il marchio IGP e la costituzione del Consorzio sono stati fondamentali, hanno provocato un balzo in avanti, ci hanno dato il coraggio di salire a Milano e di presentarci con un prodotto unico, che sembrava difficile da collocare, che all’inizio non convinMarzo 2016


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L’OP GIACCIO FRUTTA

La OP Giaccio Frutta, presieduta da Antonio Giaccio, non è solo tra i pionieri della valorizzazione della mela annurca a livello nazionale ma è una tra le più grandi organizzazioni di produttori del Mezzogiorno e si sta progressivamente allargando oltre la soglia dei 100 soci produttori. Il 2015 si è chiuso in modo soddisfacente consentendo a Giaccio Frutta di aumentare del 25% il fatturato rispetto al 2014. L’80% dei volumi di ortofrutta prodotti e movimentati è rappresentato dalle drupacee, in primis pesche, nettarine, seguite da susine, albicocche e altra frutta estiva. Il restante 20% è costituito da mele e fragole. In quest’ultimo ambito il ruolo più importante è ricoperto dalla Melannurca Campana IGP, su cui l’impresa punta soprattutto rivolgendosi ai canali del mercato interno. La mela IGP rappresenta tra il 15 e il 18% del fatturato dell’OP. L’attività di export, pur rappresentando il 3% del fatturato complessivo, sta progressivamente crescendo sviluppandosi soprattutto attraverso le drupacee, inviate in particolar modo nei Paesi del Nord Europa e in Germania. “La qualità organolettica dei nostri prodotti è determinata da un attento e costante rinnovamento varietale - sottolineano i vertici aziendali - e dalla scelta dei terreni maggiormente vocati per il nostro paniere di produzione, tutto ciò per assicurare ai nostri clienti un calendario di produzione e di commercializzazione il più possibile lungo”. Giaccio Frutta si è presentata alla Fruit Logistica 2016 di Berlino con uno stand innovativo e ha messo a segno nuovi contatti commerciali con l’obiettivo di puntare su mercati come gli Emirati Arabi e l’Est Europa. E’ stata anche presentata la Melannurca Campana IGP nella sua versione romantica 'Melannurca I Love’. Da qualche anno l’OP punta

ceva i buyer ma che è stato premiato dai consumatori. L’annurca è stata così lo strumento che ci ha fatto rompere il ghiaccio con la GDO del Nord, che ci ha contraddistinto come fornitori che fanno qualità, aprendo le porte agli altri prodotti che Giaccio Frutta lavora con la massima cura e che sono fiori all’occhiello del nostro territorio, come alcune varietà di pesche, pesche bianche e percoche che incontrano l’interesse dei buyer e che non sono state toccate negli ultimi anni dalla contrazione dei consumi. Ci ha aiutato in questo cammino di crescita

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CHI è

sulla linea 'Sapori di una volta' che intende valorizzare alcuni prodotti territoriali importanti come l’albicocca Pellecchiella, la percoca napoletana e la mela cotogna. Giaccio Frutta ha sede a Vitulazio in provincia di Caserta. Opera nell’ortofrutta dal 2000 e ha ottenuto il riconoscimento di OP nel 2010, a tre anni dalla richiesta. L’allargamento della base sociale è stato importante già a partire dal 2009 con soci che coltivano oltre 700 ettari nell’Alto Casertano, nel Napoletano e nel Beneventano e poi anche nel Metapontino e nel Foggiano. Dispone di tre centri di lavorazione e condizionamento della frutta messi a disposizione dei soci. La crescita di Giaccio Frutta è dovuta ai contratti siglati, grazie alla qualità dei prodotti e all’efficienza aziendale, con i più importanti gruppi della GDO italiana. La produzione complessiva si aggira sulle 17 mila tonnellate di cui oltre 11 mila rappresentate da pesche, percoche e nettarine, 3250 di mela annurca IGP, 820 tonnellate di susine, 570 di albicocche, 900 di altri prodotti a partire da ciliegie e fragole. Produce da sola il 60% della produzione complessiva di mele campane annurche IGP.

Nota a livello nazionale per aver lanciato la mela Annurca, Giaccio Frutta mette sul mercato con successo anche pesche e nettarine di alta qualità

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CHI è IDENTIKIT DI UNA MELA SPECIALE

L'Indicazione geografica protetta 'Melannurca Campana' ha dato, a partire dal 2004, un importante contributo alla valorizzazione di una delle varietà italiane di melo oggi più apprezzate dal consumatore italiano: l'Annurca. Nel Meridione è conosciuta da sempre come la 'regina delle mele’ e il progressivo successo ottenuto nei punti vendita della GDO l’ha fatta apprezzare in tutta la Penisola per la spiccata qualità dei suoi frutti, dalla polpa croccante, compatta, bianca, gradevolmente acidula e succosa, con aroma caratteristico e profumo finissimo. Il frutto è medio-piccolo, di forma appiattita-rotondeggiante, leggermente asimmetrica, con picciolo corto e debole. La buccia liscia, cerosa, mediamente rugginosa nella cavità peduncolare, è di colore giallo-verde, con striature di rosso su circa il 60-70% della superficie a completa maturazione, percentuale di sovraccolore che raggiunge l'80-90% dopo il periodo di arrossamento a terra nei cosiddetti ‘melai'. Essi sono costituiti da piccoli appezzamenti di terreno, sistemati adeguatamente in modo da evitare ristagni idrici, di larghezza non superiore a metri 1,50 su cui sono stesi strati di materiale soffice vario: un tempo si utilizzava la canapa, oggi sostituita da aghi di pino, trucioli di legna o altro materiale vegetale. Per la protezione dall'eccessivo irraggiamento solare i melai sono protetti da apprestamenti di varia natura. Durante la permanenza nei melai i frutti sono disposti su file esponendo alla luce la parte meno arrossata, vengono poi periodicamente rigirati ed accuratamente scelti, scartando quelli intaccati o marciti. E' proprio questa pratica, volta a completare la maturazione dei frutti adottando metodi tradizionali e procedure effettuate tutte a mano, ad esaltare le caratteristiche qualitative della Melannurca Campana IGP, conferendogli valori di tipicità unici. La Melannurca Campana IGP ha virtù salutari: un alto contenuto in vitamine (B1, B2, PP e C) e minerali (potassio, ferro, fosforo, manganese), ricca di fibre, regola le funzioni intestinali, è diuretica, particolarmente adatta ai bambini ed agli anziani, è indicata spesso nelle diete ai malati e in particolare ai diabetici. Una ricerca del Dipartimento di Scienza degli Alimenti dell'Universià di Napoli Federico II ha dimostrato che la mela Annurca dimezza i danni ossidativi alle cellule epiteliali gastriche. La sua azione gastroprotettiva dipende dalla ricchezza in composti fenolici, che sono in grado di prevenire i danni ossidativi dell'apparato gastrico aiutando a combattere le malattie gastriche. Due gli ecotipi previsti dal disciplinare di produ-

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:- ) zione, con due distinte indicazioni varietali in etichetta: l' Annurca Classica e la diretta discendente 'Annurca Rossa del Sud', suo mutante naturale, diffuso nell'area di produzione da oltre un ventennio, che ha il pregio di produrre frutti a buccia rossa già sulla pianta. I frutti di maggior pregio, soprattutto dal punto di vista organolettico, a detta degli esperti sono quelli provenienti da piante innestate su franco, allevate a pieno vento e con scarsi apporti irrigui. Le indubbie caratteristiche organolettiche di questa mela hanno favorito un’ampia diversificazione del suo utilizzo. Accanto ai succhi, di grande valore nutritivo, ottimi sono anche i liquori ottenuti dalle annurche, così come i dolci (crostate e sfogliatelle su tutti, ma anche le tradizionali mele cotte al forno). Attraverso un programma di educazione alimentare della Regione Campania, la Melannurca Campana IGP è proposta anche al consumo dei bambini in confezioni sigillate di mela sbucciata e affettata. CENNI STORICI Melannurca è presente in Campania da almeno duemila anni. La sua raffigurazione nei dipinti rinvenuti negli scavi di Ercolano e in particolare nella Casa dei Cervi, testimonia l'antichissima legame dell'Annurca con il mondo romano e la Campania Felix in particolare. Luogo di origine sarebbe l'agro puteolano, come si desume dalla Naturalis Historia di Plinio il Vecchio. Proprio per la provenienza da Pozzuoli, dove è presente il lago di Averno, sede mitologica degli Inferi, Plinio la chiama Mala Orcula in quanto prodotta intorno all'Orco (gli Inferi). Anche Gian Battista della Porta, nel 1583, nel suo ‘Pomarium', nel descrivere le mele che si producono a Pozzuoli cita le Annurche: “Hanno la buccia rossa, da sembrare macchiate nel sangue e sono dolci di sapore, volgarmente sono chiamate Orcole…". Nel 1876 il nome Annurca compare ufficialmente nel Manuale di Arboricoltura di G. A. Pasquale. AREA DI PRODUZIONE Tradizionalmente coltivata nell'area flegrea e vesuviana, spesso in aziende di piccola dimensione e talora in promiscuità con ortaggi ed altri fruttiferi, la Melannurca Campana si è andata diffondendo nel secolo scorso prima nelle aree aversana, maddalonese e beneventana, poi via via in tutto l’Alto Casertano. Oggi la zona di produzione della Melannurca Campana IGP comprende 137 comuni appartenenti a tutte le province campane. I quantitativi certificati di Melannurca Campana IGP si aggirano intorno alle 7000 tonnellate l’anno.

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l’essere stati scoperti, nei punti vendita del Nord, dai tanti meridionali che vi abitano e che hanno ritrovato nei nostri prodotti i sapori di casa. Qualcuno di loro ci telefona per ringraziare. Noi però stiamo sempre con i piedi per terra. Dentro l’OP c’è il socio Azienda Agricola Giaccio e lì noi produciamo. Sappiamo, sia io che mio fratello Gennaro come si fanno gli innesti. Molti giovani oggi non sanno nemmeno che cosa sono. Non si trovano più le persone che li sanno fare. Tantomeno i giovani. E' un peccato. Alcune produzioni vanno avanti perché ci sono gli immigrati, li dobbiamo ringraziare per questo. “Tornando all’annurca, siamo stati in quattro a creare il Consorzio ed è stato un passo fondamentale per farla conoscere in tutta Italia. Peccato che non tutti i produttori di annurca credano nello stare insieme e siano ancora oggi scettici sulle OP nonostante i vantaggi siano evidenti. Se il Consorzio avesse più soci avremmo più mezzi per promuovere la nostra mela, per portarla in televisione e aumentare ulteriormente, con la produzione, anche i consumi”. Quando ha cominciato a credere nella cooperazione tra produttori? “Negli Anni Novanta ho capito che bisognava collaborare, che da soli non si andava e non si va da nessuna parte, non si cresceva. L’ho capito dalle richieste della GDO nella quale negli stessi anni stavamo entrando. L’ho capito quando lavorando solo con i mercati all’ingrosso della nostra area non si poteva più crescere. E’ cambiato allora il sistema di acquisto, è cambiato il consumatore. Ricordo il primo approccio con Esselunga a Milano, non credevano nelle nostre potenzialità, nella nostra organizzazione, nella nostra mela brutta e piccolina. Quando, dopo mesi, ci hanno fatto provare il risultato è stato superiore alle attese. Allora abbiamo accelerato, ci siamo sacrificati

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Antonio Giaccio: “Va data l’opportunità ai giovani di riscoprire l’agricoltura”

Un fatturato di 17 milioni di euro, più di 100 soci che controllano oltre 700 ettari nell’Alto Casertano, nel Napoletano, nel Beneventano, nel Foggiano e nel Metapontino allo spasimo, abbiamo rischiato. Quando si rischia la sicurezza non c’è mai, ma noi abbiamo creduto fino in fondo nel nostro progetto e ci è andata bene. I nostri prodotti, tutti, hanno cominciato ad entrare nelle più grandi catene della distribuzione, anche in discount come Eurospin. Ci hanno dato fiducia e noi li ripaghiamo

facendo tutto il possibile per offrire qualità. Siamo partiti con un fatturato di poche centinaia di milioni di lire, nel 2015 l’OP ha fatturato 17 milioni di euro. E devo riconoscere che il contributo europeo è stato ed è fondamentale per la crescita. Oggi abbiamo un nuovo magazzino di 5000 metriquadri coperti e aggiorniamo di continuo le nostre tecnologie e linee di lavorazione per migliorare le forniture, gli imballaggi, ridurre i tempi di lavorazione e di consegna". Lei che in passato ha anticipato il futuro, come vede il futuro che ci aspetta? “Parlando di Giaccio Frutta non devo essere un mago: il 2016 è

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CHI è

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L’IGP MELANNURCA CAMPANA E IL RUOLO DEL CONSORZIO

Nel 2006, due anni dopo il riconoscimento dell’Indicazione Geografica Protetta, è nato il Consorzio di tutela della Mela Annurca Campana IGP. Dal 2012 lo presiede Giuseppe Giaccio, al quale abbiamo chiesto di illustrare la storia, le finalità e i progetti del Consorzio stesso. “La storia della valorizzazione della mela annurca - racconta Giuseppe Giaccio - nasce negli Anni Novanta da alcuni produttori del Napoletano e del Beneventano che si pongono per primi l’obiettivo dell’ottenimento del marchio IGP. Ad essi ben presto si uniscono mio zio Antonio e mio padre Gennaro e, grazie anche alla collaborazione della Coldiretti, il riconoscimento arriva. Oggi possiamo dirlo, esso ha rappresentato una svolta nella storia antichissima di questa mela singolare, il biglietto da visita per farla conoscere anche nelle regioni dove ancora non era e non è - come qui in Campania - sinonimo di mela. Al Nord pochi sanno che la signora di Napoli quando va a fare la spesa non chiede un chilo di mele ma un chilo di annurche. Il Consorzio ha svolto fin dalla costituzione un lavoro importante per far conoscere il prodotto a livello nazionale, promuovendolo a livello di consumo fresco ma successivamente anche in tutta la sua diversificazione di utilizzi: dai succhi ai dolci, ai liquori, all’uso nelle ricette di chef famosi. Molte realtà del trasformato hanno oggi contatti con il nostro Consorzio in un processo di crescita pressoché continuo”. “Oggi l’impegno principale del Consorzio - continua il presidente Giaccio - è allargare la base produttiva per far fronte alla domanda crescente. Accompagnando ovviamente questa azione al compito primario di far rispettare il disciplinare di produzione che sta alla base del marchio certificato IGP. Convincere un maggior numero di produttori a entrare nel Consorzio ci permetterebbe di disporre della massa d’urto indispensabile per affrontare i mercati esteri. Un lavoro particolarmente interessante è stato svolto con l’Università Federico II di Napoli per farci scoprire le proprietà nutraceutiche (nutrizione + farmaceutica, ndr) della nostra mela, che sono davvero fuori dal comune. Abbiamo scoperto quanto l’annurca faccia bene a chi la mangia e questo è un messaggio che stiamo trasmettendo al consumatore attraverso convegni e gli strumenti della comunicazione”. “Posso dire con soddisfazione - sottolinea ancora Giuseppe Giaccio - che chi conosce la mela annurca non la cambia. E’ costato fatica e molti tentativi farla accettare nei canali della grande distribuzione organizzata perché è diversa da tutte le altre mele, non è bella, è piccola e bisogna proprio assaggiarla per innamorarsene. La stagione commerciale dura dalla fine di settembre a tutto aprile - ma in Campania si mangiano annurche anche in agosto - e di norma i nostri produttori consorziati spuntano buoni prezzi”. Giuseppe Giaccio è al secondo mandato di presidente e durerà in carica ancora due anni. Il Consorzio ha tutte le potenzialità per portare la mela annurca oltre la nicchia delle 7.000 tonnellate certificate IGP. Il Consorzio ha sede in Caserta, via Verdi, 29 - tel: 0823.325144 - fax: 0823.351909 - sito: www.melannurca.it

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partito bene, i nostri clienti ci hanno rinnovato la loro fiducia e con essa i contratti e stiamo guardando all’estero e a nuovi mercati. Poi dipenderà dal clima perché produciamo frutta. Guardando più avanti, l’importante è che restiamo ancorati alla terra e ai nostri valori. La nostra azienda è basata su un gruppo famigliare. Siamo una stessa persona io e mio fratello Gennaro e così è per i nostri figli. Il contesto in cui operiamo non è sempre facile, per questo è indispensabile essere uniti. Il futuro è associarsi. Le banche, gli studi dei commercialisti, tutti si sono associati. Se non ci si mette insieme si è a un passo dalla fine. Oggi il futuro è delle OP. Purtroppo dalle nostre parti molti non se ne sono ancora accorti, non vogliono capire. Oggi con qualche ettaro, con 10 ettari non fai più azienda, sei tagliato fuori. Sono i figli di questi produttori che abbandonano la campagna, che non ci vedono futuro. Bisogna sapercogliere le lezioni che ci vengono da fuori, dall’estero e seguire gli esempi positivi. Oggi con la Spagna, la Grecia e la Turchia che producono quantità, abbiamo solo una strada da percorrere: dobbiamo crescere di dimensioni e fare innovazione. Ai miei tempi ho fatto il contrario di quello che facevano gli altri, quindi ho compiuto scelte difficili. Oggi è più facile capire come gira il mondo ma il nostro Sud non lo vuole capire. Qui ognuno si vuole sedere davanti a guidare l’auto: non so se mi capisce”. Avrà la terza elementare ma Antonio Giaccio meriterebbe la laurea ad honorem.

Antonio Giaccio: “Peccato che ancora oggi molti produttori del Sud siano scettici sulle OP nonostante i vantaggi siano evidenti”

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ATTUALITÀ

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L’INTERVISTA. Paolo Bruni e i progetti del Consorzio

CSO, più internazionalizzazione Tre domande a Paolo Bruni, presidente del CSO, nell’approssimarsi dell’appuntamento assembleare che rinnoverà le cariche all’interno del Centro Servizi Ortofrutticoli di Ferrara. Presidente, come giudica lo stato del settore? "Si sta concludendo la campagna commerciale dei prodotti invernali e già si stanno avviando le prime attività su quelli primaverili con risultati altalenanti che vedono una forte negatività per quanto riguarda il kiwi e una crisi degli ortaggi in Sicilia determinata soprattutto dall’andamento climatico, con alcune specie in sofferenza per questa annata meteorologicamente strana. Qualche segnale positivo si sta riscontrando nei consumi anche se l’andamento climatico ha fortemente penalizzato i consumi di arance e ortaggi a fine 2015 e primi mesi 2016, finalmente dopo anni di stagnazione alcuni prodotti registrano segni di ripresa nei consumi come le pere e le mele. Ma non è tanto della situazione commerciale contingente di cui vorrei parlare quanto delle potenzialità che il nostro settore può ancora esprimere sia in termini di sviluppo commerciale sui mercati inter-

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Messi a punto i progetti e i servizi per il prossimo futuro. “Nella nostra offerta alle imprese dobbiamo concentrarci sui mercati esteri e sull’innovazione” ni che soprattutto su quelli esteri. Abbiamo bisogno di crescere, non in termini produttivi ma in termini di organizzazione della produzione in funzione di una maggiore competitività sui mercati mondiali. E’ questa la sfida sulla quale tutti dobbiamo concentrare le energie perché il mercato globale impone una competizione che ci obbliga ad aumentare efficienza e competitività. Non vorrei ripetermi ma ritengo che sia fondamentale in questo momento parlare di aggregazione e soprattutto di lavoro in sinergia tra attori della filiera. Uso proprio il termine filiera perché il CSO è uno dei pochi esempi in Italia che aggrega imprese di produzione sia commerciali private che organizzazioni di produttori cooperative, ma anche imprese che realizzano materiali utili all’ortofrutta nel settore del packaging, tecnologie, logistica e servizi assicurativi e finanziari. Insieme si potranno ottenere ottimi risultati anche se l’Italia purtroppo non ha storicamente la vocazione alla

concentrazione dell’offerta". Quali sono le priorità su cui è impegnato il CSO? "Ritengo che il CSO debba adattare il proprio operato in termini di servizi offerti al settore concentrandosi sull’innovazione e sull’internazionalizzazione. E’ indispensabile favorire le aziende verso i mercati anche più lontani attraverso una capillare azione diplomatica e tecnica per l’apertura delle barriere SPS e ancora concentrando gli sforzi per individuare le strade verso mercati ancora inesplorati. Questi sono gli elementi fondamentali su cui stiamo lavorando e stiamo realizzando progetti importanti in tal senso. Il primo progetto, già finanziato dall’Unione Europea, dallo Stato Italiano e dal CSO è Freshness, che si rivolge alla Cina, Emirati Arabi, Stati Uniti, Giappone e Canada con attività di promo-comunicazione che proseguiranno fino al 2018 e consentiranno un consolidamento delle aziende im-

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e. ovi prodotti

pegnate nel progetto su quei mercati che necessitano di un grande impegno economico per essere presidiati. Siamo anche in fase di ideazione di nuovi progetti che verranno presentati entro fine aprile e vedranno realizzare, qualora riuscissero ad essere finanziati, importanti novità, non solo nel settore della promozione dei prodotti ma anche nel settore dell’analisi di mercato. Il nostro settore ha bisogno di innovazione, ha bisogno di ripensare processi e procedure per aumentare l’efficienza e questo è ciò che stiamo pensando di realizzare. I PSR saranno un’ottima opportunità per rinnovare profondamente pratiche e operatività obsolete. Anche nell’ambito della formazione sarà necessario investire per nuove professionalità e competenze sempre maggiori. Stiamo lavorando anche nel settore della tipicità con il nostro paniere di prodotti IGP come Pesca e Nettarina di Romagna, Pera dell’Emilia Romagna e Asparago di Altedo coinvolti in un nuovo progetto Europeo multipaese che potrà rinforzare l’immagine dei prodotti certificati. La tipicità a identità certificata è e sarà sempre di più un grande strumento di difesa dell’Unione Europea per garantire la produzione dei propri territori. E’ un sistema complesso da gestire, molto impegnativo anche da parte dei produttori ma è un sistema vincente perché ci identifica e tutela i prodotti. Io penso che su questo fronte si debba lavorare con impegno al fine di rendere meno complesso il sistema di certificazione e nel contempo rendere più percepibile la differenza tra un prodotto standard ed uno IGP o DOP".

Qual è dunque il rapporto con le aziende e le altre realtà operative? "Siamo in una fase in cui credo che la grande esperienza di CSO, che è una struttura snella, senza vincoli istituzionali e sempre al fianco delle imprese associate, sia fondamentale per realizzare quel salto di qualità che il mercato ci chiede come settore ortofrutta italiano. Come CSO siamo a disposizione delle aziende per costruire progetti comuni che possano aumentare l’efficienza aziendale e favorire la conoscenza dei nostri prodotti nel mondo. Credo infine che l’obiettivo del prossimo triennio debba anche essere quello di ampliare la base associativa a nuove aree regionali soprattutto del Mezzogiorno (come l’iniziativa svoltasi nel gennaio scorso a Matera con il Corriere Ortofrutticolo), ed a nuovi ambiti come ad esempio i Mercati Agroalimentari. Dopo l’ingresso del Mercato Agroalimentare di Padova avvenuto un paio d’anni fa, stiamo ora lavorando per l’ingresso del CAR di Roma. Sarebbe per il CSO un vero accrescimento associare un Polo di 140 ettari con più di 400 aziende che fanno un giro d’affari di 2 miliardi di euro. Inoltre il CAR, come recentemente dichiarato dal suo presidente Pallottini, fa parte di quei mercati di terza generazione con attività come la lavorazione del prodotto imbustato lavato e pronto”.

“Freshness si rivolge alla Cina, Emirati Arabi, Stati Uniti, Giappone e Canada con attività fino al 2018”

“Obiettivo del prossimo triennnio allargare la base associativa”. Attenzione ai Mercati: possibile ingresso del CAR

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In conclusione? "La sfida competitiva che ci attende nei prossimi anni sarà certamente difficile ma sono convinto che se faremo sistema sapremo vincerla".

Brio cresce anche grazie alla linea top con Alce Nero Prosegue la crescita di Brio, che si impone come protagonista nella commercializzazione di ortofrutta biologica. Nel 2015 l’azienda veronese ha collocato sul mercato quasi 34 mila tonnellate di prodotto per un fatturato di 62 milioni di euro, registrando un incremento del 10,5% sul 2014. “Un risultato decisamente soddisfacente - dichiara il presidente Gianni Amidei - che riflette il buon andamento generale del settore bio, i cui consumatori abituali sono aumentati negli ultimi anni superando quota 3,2 milioni, e conferma la validità delle scelte effettuate dal nostro Gruppo. Per rafforzare ulteriormente la propria presenza all’interno del comparto, infatti, nel 2014 Brio ha realizzato un importante processo di aggregazione con l’obiettivo di conquistare la leadership nella produzione e commercializzazione dell’ortofrutta coltivata con tecniche naturali e certificate”. “Il 90% del volume d’affari sviluppato dalla nostra società afferma il direttore generale Andrea Bertoldi - proviene dalla vendita di ortofrutticoli. Dalla collaborazione tra Alce Nero ed i soci agricoltori di Brio è nata una linea di referenze di gamma top che si distinguono per l’alta qualità e l’ottimo sapore. Un progetto che ha consentito di aumentare l’incidenza della produzione bio nel reparto ortofrutta di supermercati ed ipermercati e ha permesso di fidelizzare ulteriormente i consumatori”.

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Mela ‘sostenibile’ Dibattito aperto Ancora sostenibilità al centro del dibattito “Mela consapevole: spunti per la frutticoltura di domani”, tenutosi sabato 5 marzo a Trento in occasione della quinta edizione della “Green Week”. Alessandro Dalpiaz (nella foto), direttore di Apot e di Assomela, è intervenuto presentando l’impegno attuale e futuro dei produttori italiani di mele nell’organizzare e individuare processi di coltivazione sempre più sostenibili. Una sfida stagione dopo stagione, per comprendere con la massima accuratezza possibile il livello di impatto in termini di consumo energetico, impatto che ha a che fare certamente con la coltivazione, ma altresì con la produzione, la

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conservazione fino alla commercializzazione della mela. Obiettivo? Creare una mela che non sia solo sana, bella e buona, ma che sia “consapevole”, per dirla in termini metaforici, cioè coerente con l’ambiente naturale, ove l’intervento umano sia il più sostenibile possibile. “Per il mondo produttivo l’elemento discriminante oggi non è il processo, ma il prodotto finale, che sia compatibile con le regole della natura”, ha dichiarato Dalpiaz. “E’ da anni che avviciniamo il tema della sostenibilità. Assomela ha ottenuto la prima 'Dichiarazione Ambientale di Prodotto” già nel 2012, grazie alla piena condivisione e organica col-

laborazione tra i Consorzi, portando ad un significativo risultato per l’intero settore produttivo melicolo italiano. Per giungere alla certificazione abbiamo analizzato diverse macrovariabili nella filiera. Un’analisi approfondita è stata affidata alla libera Università di Bolzano".

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Soffre la ‘rossa’ siciliana Ne approfitta il Sudafrica C’è un crescente interesse per l’arancia rossa nel mondo. Se ne stanno scoprendo le caratteristiche salutistiche. Il Sudafrica e altri non a caso si sono messi a produrle e a commercializzarle (successo a Londra proprio delle rosse sudafricane della nuova linea di Capespan) ma nonostante questo ‘sentiment’ favorevole e la domanda in crescita a livello internazionale, l’agrumicoltura siciliana soffre. Aurelio Pannitteri (nella foto), presidente della OP Rosaria, non ha usato mezzi termini in una intervista a FreshPlaza: "E' un'annata disastrosa per le arance rosse, connotata da troppo prodotto e da troppi frutti di calibro piccolo. Si procede con grande difficoltà. I distributori ci chiedono solo arance grandi e i consumatori sono abituati ad acquistare con gli occhi. Peccato, perché da ogni punto di vista, un'arancia rossa piccola è un frutto del tutto analogo a uno grande". Le arance di pezzatura piccola vengono destinate alla trasformazione con conseguenze drammatiche per i produttori: "Parliamo di percentuali di prodotto piccolo molto ingenti, quest'anno - precisa Aurelio Pannitteri - intorno al 35-40% del totale. Non essendo però in vigore alcun accordo di filiera con le industrie, i prezzi riconosciuti sono tali per cui molti piccoli produttori preferiscono lasciare la arance sugli alberi, in quanto la raccolta costerebbe più del ricavato". Riferendosi ai soci di Rosaria, l’appassionato imprenditore siciliano dichiara nella stessa intervista: "Noi cercheremo di tirare avanti con la campagna commerciale il più possibile, anche fino a fine maggio, pur di non lasciare intentata nessuna strada per remunerare gli agricoltori. Senza il loro lavoro non può esistere alcun

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Il calibro piccolo danneggia la commercializzazione in modo pesante anche per l’assenza di una campagna di sostegno. Una beffa, perché la domanda cresce

futuro. Meriterebbero maggiore considerazione e dignità. Le iniziative promozionali che sono state proposte negli ultimi tempi, meglio sarebbe stato farle all'inizio della stagione dell'arancia rossa, quando le criticità erano tutte già molto evidenti”. A queste dichiarazioni fanno da sfondo i dati drammatici diffusi a inizio marzo dalla Coldiretti: una pianta di arance su tre (31%) è stata tagliata negli ultimi quindici anni, ma si sono verificati anche il dimezzamento dei limoni (-50%) e una riduzione del 18% delle piante di clementine e mandarini. Negli ultimi 15 anni sono andati persi 60mila ettari di agrumi e ne sono rimasti 124 mila, dei quali 30 mila in Calabria e 71 mila in Sicilia. Oltre a problemi come l’attacco del virus ‘citrus tristezza’ esistono svantaggi competitivi dell’agrumicoltura siciliana che è un peccato mortale non affrontare. Attorno alle aziende di punta dovrebbero costituirsi alleanze e sinergie per fare massa di prodotto; parallelamente dovrebbe essere portato avanti da una parte un piano di marketing vero e importante per promuovere tutta l’agrumicoltura siciliana sui mercati esteri più interessanti e, dall’al-

tra, il rinnovamento varietale con un sostegno più convinto e mirato del settore pubblico e della Regione Sicilia in particolare, come hanno ripetutamente chiesto manager come Salvo Laudani di Oranfrizer. Anche il Comitato Spontaneo Agricoltori di Ribera ha denunciato a inizio marzo la grave crisi che interessa il comparto: “Non basta più produrre l’eccellenza, come le arance di Ribera dop, l’olio extravergine d’oliva ed altri prodotti di elevata qualità, per recuperare investimenti e realizzare profitti - hanno dichiarato i vertici del Comitato -. La grande distribuzione organizzata ha scompaginato i piani dei piccoli e medi produttori poiché ha il peso e la forza economica di imporsi sul mercato fissando prezzi e condizioni al ribasso. A ciò si aggiunga la miope politica agricola nazionale ed europea che alla fine favorisce solo i grandi importatori. La globalizzazione sta stritolando la piccola agricoltura”. Lo stesso Comitato poi riconosce quale possa essere la via d’uscita: “Stabilire tra produttori regole certe, fissare un prezzo concordato che consenta di rientrare nei costi e trarre un minimo di profitto da reinvestire, proporsi sul mercato come un’unica forza di vendita: l’offerta deve essere unica e non parcellizzata. Non tanti piccoli produttori che vendono autonomamente sul mercato, secondo regole proprie, ma un’unica forza di vendita in grado di imporsi sul mercato e stabilire condizioni. Per fare ciò è necessaria l’aggregazione”.

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Fragole: continua la crescita nel Sud Dopo una campagna 2015 abbastanza soddisfacente, nonostante alcuni fattori negativi (l’elevata importazione dalla Spagna, l’anticipo produttivo nelle aree del Nord e il rallentamento delle vendite da fine aprile), per quest’anno ci dovrebbero essere buone aspettative, almeno dal punto di vista produttivo, per il comparto delle fragole. Secondo i dati diffusi il 2 marzo in occasione della riunione del gruppo di contatto tra Italia, Spagna e Francia a Scanzano Jonico, sono in coltivazione 210 milioni di piante su 3.521 ettari, il 4% in più rispetto all’anno precedente. Nel Mezzogiorno le superfici dedicate alle fragole sono aumentate del 7%, mentre al Nord la produzione è in calo. Nelle regioni produttive del settentrione non si superano i 910 ettari (350 in Veneto, 100 in Piemonte, 214 in Trentino Alto Adige e 246 in Emilia Romagna), mentre al Sud si raggiungono i 2.155 ettari (854 in Basilicata, 815 in Campania e 315 in Sicilia). In evidenza tra queste in particolare la Basilicata, diventata nel 2015 prima regione produttiva italiana, con un aumento di 150 ettari di aree coltivate, con la continua ascesa della cultivar Sabrosa (diffusa in particolare grazie al marchio commerciale registrato Candonga di proprietà del gruppo spagnolo Planasa e della filiale italiana Planitalia) che rappresenta l’80% della produzione, seguita da Sabrina con l’8% (il restante 12% se lo dividono altre varietà). Sabrina domina ancora in Campania: vale il 60% delle coltivazioni (Sabrosa l’11%, Amiga il 9%, Fortuna il 5%, Camarosa il 5%). Al Nord la situazione produttiva è più variegata: in Veneto le prime due cultivar sono Eva (38%) e Garda (25%), seguite da Antea (13%) e Roxana (7%). Quest’ulti-

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Dati in aumento anche nel 2016. A Scanzano il Gruppo di contatto

ma è invece la prima ad essere impiegata in Emilia Romagna (26%), seguita da Alba (21%), Tecla (16%), Brilla (14%), Jolly (13%) e Asia (8%). Secondo i dati Ismea, che un po’ completano la ‘fotografia’ del comparto, nel 2015 il settore fragole ha registrato un saldo tra import ed export negativo sia a volume che a valore: lo scorso anno sono state esportate 13.500 tonnellate di fragole, mentre l’import ha raggiunto le 32.300 tons con un saldo negativo di 18.800 tons. A valore l’andamento non cambia: l’export ha toccato i 32,7 milioni di euro, mentre l’import è arrivato a 68,6 milioni con un divario di 35,9 milioni. Il prezzo medio in importazione è stato di 2,2 euro al chilo, mentre in esportazione di 2,42 euro al chilo. La parte del leone nell’import l’ha fatta come al solito - la Spagna. L’obiettivo del comparto, secondo la relazione di Francesco Nicodemo, presidente di Assofruit, coordinatore del Comitato di prodotto Fragola e rappresentante dell’Unione nazionale Italia Ortofrutta, "è evitare i casi di naturalizzazione comunitaria, armonizzare i procedimenti di controllo e garantire il rispetto della dichiara-

zione di origine; non cambiare le norme comunitarie di commercializzazione rendendole più agili e standardizzate agli altri prodotti, poiché si ridurrebbero gli standard qualitativi e di garanzia di salubrità delle produzioni; standardizzare l’uso dei fitofarmaci tra tutti gli Stati membri; potenziare le sinergie a livello tecnico con i produttori spagnoli e francesi per ridurre gli interventi chimici”. In sintesi, i produttori italiani hanno chiesto la tutela e la valorizzazione della qualità. Sull’impiego dei principi attivi, Federico Nicodemo di Frutthera ha aggiunto: “E’ necessario rendere omogenee le regole scoraggiando le importazioni di prodotti che vengono da Paesi che non osservano le disposizioni predisposte in materia. L’Europa deve mettere in atto tutte le misure necessarie affinché il mercato non sia inquinato dalla presenza di frutta e verdura che non rispetta le regole e sia così tutelato il consumatore”. Giampiero D’Onofrio, agronomo del Gruppo Salvi, ha parlato dell’impiego della cloropricrina, “disinfestante utilizzato largamente in tutti i Paesi produttori di fragole per la disinfestazione dei suoli. Attualmente è utilizzato in deroga e l’Inghilterra, in qualità di Paese relatore, sta valutando l’opportunità di inserire la cloropricrina in maniera definitiva nell’allegato 1 che comprende tutti i prodotti che non necessitano di deroga. Sapremo gli esiti entro il 2017. Fino ad allora si va avanti con le deroghe per determinati prodotti e in determinati periodi”. Rispetto alla fragolicoltura italiana D’Onofrio ha aggiunto: “Si sono stati fatti dei passi avanti privilegiando la qualità anziché le superfici”. Andrea Badursi, direttore generale di Asso Fruit Italia, ha tracciato il quadro dell’incontro: “Un confronto positivo. Il dato della Basilicata, che si è attestata come primo produttore in Italia, ripaga gli sforzi fatti nella direzione della qualità”. Marzo 2016


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CENTRI AGROALIMENTARI. A Berlino vince la nuova aggregazione

Parigi, Barcellona e Atene dicono sì a Italmercati Italmercati Rete d’Imprese ha avuto alla Fruit Logistica di Berlino la sua consacrazione internazionale consolidando la propria posizione di aggregazione di riferimento per i Mercati e i Centro Agroalimentari italiani. “Mettiamo in rete competenze e opportunità. Vogliamo marcare un cambiamento tangibile delle modalità operative basato sulla condivisione delle buone pratiche. Abbiamo di fatto inaugurato una nuova stagione, ragionando in termini di Sistema Italia. Ci sono 120 mercati all’ingrosso nel nostro Paese; il futuro passa per una razionalizzazione della geografia nazionale e il rafforzamento di tutti i rapporti dentro e fuori la filiera. Vogliamo essere lo strumento e il volano di questa strategia”, ha affermato il presidente Fabio Massimo Pallottini all’affollata conferenza stampa del 4 febbraio a Berlino, presenti i rappresentanti dei 7 Mercati membri, da Milano a Roma, da Firenze a Bologna, da Torino a Verona a Napoli. Affiancato dal vicepresidente Angelo Falchetti di Firenze e dal consigliere Ottavio Guala di Torino, Pallottini ha

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Riscontri positivi al lancio internazionale della Rete di imprese guidata da Fabio Massimo Pallottini. Scambio di informazioni con i Mercati dell’Ucraina ripercorso le tappe di Italmercati dal momento della costituzione nel marzo del 2015, illustrando la rapida crescita della Rete che oggi rappresenta il 70% del volume d’affari dei Mercati italiani per una cifra superiore ai 6 miliardi di euro. Lo statuto prevede di sviluppare il rapporto con le istituzioni, iniziative nei confronti di produzione e distribuzione, nell’interesse degli operatori grossisti e dei consumatori. Italmercati ambisce a diventare interlocutore diretto del Governo e dei diversi Ministeri e, nello stesso tempo, un punto di riferimento per gli operatori stranieri nel commercio internazionale, grazie ad un impegno in termini di valorizzazione del prodotto nazionale e di sicurezza alimentare. Qualificata la presenza internazionale all’incontro, con i Mercati di Parigi-Rungis, il Mercabarca, il Mercato Centrale di Atene, oltre a

giornalisti tedeschi, spagnoli e inglesi. E’ stato proprio il rappresentante ellenico, Giannis Triantafilis, membro (come del resto Pallottini) del Board of Directors del WUWM, a leggere il saluto del presidente dell’Associazione mondiale dei Mercati, Manuel Estrada Nora, che si è espresso con parole di grande interesse e pieno sostegno per questa esperienza italiana che può diventare un modello internazionale di networking tra Mercati. Fabio Massimo Pallottini ha successivamente incontrato la delegazione del Mercato di Barcellona, guidata dal direttore generale Josep Tejedo, e del Mercato di Parigi Rungis di cui faceva parte l’international project manager Florent Tomatis. Parigi, Barcellona e Atene, come del resto lo stesso WUWM, hanno espresso grande interesse per l’esperienza di Italmercati, indicata come un modello e un esempio da seguire.

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Nella foto brindisi tra il presidente di Italmercati Fabio Massimo Pallottini, il consigliere Ottavio Guala, il presidente dell’Unione Mercati dell’Ucraina Roman Fedyshyn e il direttore del Mercato di Kiev, Oleksii Chumak

In precedenza Pallottini aveva incontrato una delegazione ucraina, esprimendo solidarietà all’Unione dei Mercati WMAP per le gravi difficoltà incontrate durante la crisi russo-ucraina del 2014-15. In particolare erano presenti all’incontro il fondatore e coordinatore dell’Unione Roman Fedyshyn e Oleksii Chumak, direttore del Mercato della capitale Kiev. Sono state gettate le basi di una possibile collaborazione tesa a uno scambio di informazioni, know-how ed iniziative atte anche a favorire gli scambi commerciali tra le imprese operanti nei Mercati dei due Paesi. Fino al 2013 il commercio ortofrutticolo aveva conosciuto in Ucraina un vero e proprio boom, con crescenti flussi di import da diversi Paesi tra cui l’Italia e di export di prodotti ucraini verso alcuni mercati dell’Est e verso la Russia in particolare. Sull’onda di questa crescita era nata e si era sviluppata WMAP (Wholesale Market of Agricultural Products – Chain of Ukraine) a partire dallo storico mercato all’ingrosso ‘Shuvar’ di Lviv (Leopoli). Grazie a finanziamenti pubblici e privati, WMAP aveva lanciato un Piano Mercati in grado di dare una svolta decisiva al sistema del commercio all’ingrosso e aveva realizzato in pochi anni i nuovi mercati “Stolychnyy” nella capitale Kiev e “Gospodar” a Donetsk e stava rea-

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lizzando altri due mercati, l’ “Hectare” di Odessa, il grande porto sul Mar Nero, e lo “Sichovyi” di Zaporizhya, una città del sud-est tra Donetsk e la Crimea. Tra il 2012 e il 2013 c’erano stati contatti significativi tra Mercati ucraini e alcuni Mercati italiani. Il conflitto scaturito dai fatti di Crimea del febbraio-marzo 2014 ha bloccato lo sviluppo e creato pesanti problemi. Nel nord-est del Paese, Donetsk è diventata roccaforte filorussa e i rapporti con WMAP sono stati interrotti. Oggi WMAP intende ripartire dai Mercati di Lviv e Kiev e si è presentata a Berlino per aprire nuove relazioni internazionali. Fedyshyn ha in particolare illustrato a Pallottini l’attività del Mercato di Lviv, della cui società di gestione è il presidente. Lviv (750 mila abitanti) è il capoluogo della regione più occidentale dell’Ucraina, la più vicina alla storia d’Europa (per 420 anni è stata annessa alla Polonia, per 142 ha fatto parte dell’impero asburgico) e sorge a 70 chilometri dal confine con la Polonia, a 230 dal confine con la Slovacchia e a circa 250 da quello con l’Ungheria a cui è collegata attraverso l’importante varco di frontiera di Chop che è a circa 12 ore di camion da Trieste via autostrada. Dal Mercato di Lviv è transitato nel 2015 il 23% delle vendite regionali di ortofrutta (con un trend in aumento),

il 22% delle vendite di carni, il 7% delle vendite di pesce. Nello stesso anno sono state vendute 163 mila tonnellate di ortaggi e 42 mila tonnellate di frutta e sono transitati dal Mercato circa 30 mila camion di cui 4.000 sopra le 10 mila tonnellate. Il Mercato – ha spiegato ancora Fedyshyn – sta collaborando con le catene della GDO per la fornitura di ortofrutta confezionata e dal 2013, con i suoi servizi, è di supporto all’export di ortofrutta dei produttori di Lviv. I principali prodotti esportati sono cipolle e patate e i Paesi di destinazione sono Uzbekistan, Croazia, Serbia, Repubblica Ceca e, dal 2015, anche la Spagna. Nelle statistiche internazionali, l’Ucraina importa quasi tutti i generi di frutta e verdura mentre produce soprattutto carote, patate, cipolle, pomodori, cetrioli e mele, ortaggi in serra. Nel 2012 era tra i primi 4 fornitori di mele della Russia, precedendo l’Italia. Secondo l’agenzia Fruit-Inform, nel 2011 l’Ucraina era diventata il maggiore produttore di carote in Europa, avendo superato per la prima volta la Polonia, e il secondo produttore continentale di cipolle alle spalle dell’Olanda. Nonostante ciò, il Paese non era in grado di esportare carote verso l’Europa. Roman Fedyshyn ha esplicitamente chiesto al presidente Pallottini di considerare la possibilità di stendere un ‘Memorandum of Understanding’ tra WMAP e Italmercati per gettare le basi di una collaborazione con ricadute anche commerciali. Il mercato di Lviv, tradizionale porta del commercio ortofrutticolo in Ucraina, è in particolare interessato a maggiori flussi commerciali dall’Italia e per l’Italia, dopo aver avviato proficui rapporti con la Spagna. “Non lasceremo cadere questa opportunità – ha affermato al termine dell’incontro Fabio Massimo Pallottini – prima di aver approfondito le reali possibilità di collaborazione”. Marzo 2016


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Milano, l’addio di Dubini

Vola Eurospin per ricavi e fatturato L’efficienza del primo discount italiano batte nettamente quelle dei colossi Esselunga e Coop. La catena vanta in assoluto l’incidenza più bassa dei costi del personale

Nicolò Dubini (nella foto) non è più l’amministratore unico di Sogemi, l’ente gestore dell’Ortomercato di Milano, il più grande Centro agroalimentare d’Italia. Giuliano Pisapia, sindaco di Milano, ne ha accettato le dimissioni dopo aver bocciato, a metà febbraio, il Piano di rilancio del Mercato da 470 milioni di euro che Dubini aveva presentato. Dubini aveva denunciato pubblicamente l’assenza di dialogo con il Comune, sindaco in primis, sul rilancio del Mercato definito, in un articolo sul ‘Corriere della Sera’, “un hub strategico per l’intera filiera ortofrutticola italiana”. Molto critica nei confronti di Dubini era stata l’Ago, l’Associazione grossisti ortofrutticoli di Milano. "Ha trascurato la gestione per dedicarsi al suo progetto di creare una sorta di luna park - aveva dichiarato sarcastico al Corsera il presidente Fausto Vasta -. Quel progetto farebbe contenti gli immobiliaristi, ma poi cosa resterebbe dei Mercati generali?” Il Comune ha definito il progetto "troppo impattante nonostante si tratti di una proposta che prevede un partnerariato pubblico-privato".

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La catena di discount Eurospin Italia è la società che tra il 2010 e il 2014 ha messo a segno la maggiore crescita di fatturato tra i big della grande distribuzione italiana. La certificazione arriva dagli analisti dell’Area studi di Mediobanca che hanno prodotto l’annuale report sui maggiori gruppi della grande distribuzione presente in Italia sulla base dei loro bilanci. I ricavi di Eurospin nel quinquennio considerato sono cresciuti del 48,7%, arrivando a superare i 4 miliardi di euro di fatturato. Nello stesso periodo le vendite di Esselunga, al secondo posto per performance, sono salite del 10,7% fino a sfiorare i sette miliardi di euro di ricavi. Nel 2014 il giro d’affari Eurospin è salito del 6,3% contro l’1,2% di Esselunga, che comunque si conferma la prima catena in Italia, con ricavi (in crescita) per oltre 6,8 miliardi, nonché il gruppo più efficiente. Negli anni più profondi della crisi italiana il maggiore discount italiano ha quindi beneficiato copiosamente della ricerca di risparmio e valore dei consumatori. Chi ne ha fatto le spese, secondo i dati elaborati dell’istituto di Piazzetta Cuccia, sono stati soprattutto le grandi catene francesi. I ricavi di Carrefour in Italia sono caduti nello stesso periodo del 17,1% mentre quelli di Auchan-Sma sono scesi del 15,2%. In una nota, tuttavia, il gruppo Carrefour precisa che i dati riportati non si riferiscono “all’ultimo quinquennio”, come erroneamente riferito nella ricerca, ma al periodo tra il 2010 e 2014. I risultati che il gruppo

Carrefour ha registrato nel 2015 in Italia hanno segnato un’inversione di tendenza rispetto ai periodi precedenti, facendo registrare una crescita delle vendite (a tassi correnti) pari al 5,2%. Il dato è il migliore tra quelli registrati dal Gruppo nei Paesi europei ed è il risultato dell’implementazione della nuova strategia di mercato basata su forti investimenti per la riqualificazione dei punti vendita, e la radicale innovazione nella proposta di modelli distributivi, come ad esempio il lancio in Italia della formula “gourmet”, che identifica punti vendita con un assortimento di prodotti di alto livello qualitativo e tipici dell’artigianato produttivo italiano. Nel mezzo il sistema Coop, che ha visto i ricavi cumulati delle nove maggiori cooperative praticamente fermi (+0,6%). Eurospin si conferma anche leader di redditività: Il Roe (Ritorno sul patrimonio netto) nel 2014 è stato pari al 24,2% contro il 13,6% di Esselunga, che soffre probabilmente di una maggiore patrimonializzazione, indice peraltro di solidità. “I risultati di Eurospin sono in costante miglioramento dal 2010 – scrivono gli analisti di Mediobanca –e dal 2012 la società è diventata più

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redditizia di Esselunga i cui margini reddituali sono invece in progressiva riduzione”. Tra il 2010 e il 2014 Eurospin ha prodotto 550 milioni di euro di utili netti cumulati mentre Esselunga ne ha generati 1,1 miliardi. Gli analisti di Mediobanca hanno

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provato anche a enucleare i punti di forza del leader italiano dei discount: veloce riciclo del magazzino, pari a 17,5 giorni medi; rapido pagamento dei fornitori, pari a 67 giorni; bassa incidenza dei costi del personale, che si attestano al 5,6% del fatturato, ovvero “me-

no della metà della media degli altri operatori” secondo i calcoli degli analisti. Il fatturato per addetto di Eurospin è pari a 650 mila euro contro i 325 mila euro di ogni addetto Esselunga, che conta 21.100 dipendenti contro i 6.300 di Eurospin.

Ortofrutta strategica per Alì

Sfiora il 3% la crescita di Famila Previste 19 aperture entro l’anno Ottime performance per Famila, insegna di punta del Gruppo Selex, che ha chiuso il 2015 con un incremento a parità di rete del + 2,53% rispetto al 2014, contro un calo dello 0,23% della media del mercato, realizzando un fatturato di oltre 2 miliardi. Anche il 2016 è iniziato nel segno della crescita. Nel mese di gennaio e nella prima settimana di febbraio ha infatti registrato un aumento del + 3,3% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, sempre a parità di rete di vendita, contro un andamento del mercato nazionale iper+super di segno negativo, – 0,56% (fonte Nielsen). Diffusa su tutto il territorio nazionale nei suoi diversi formati (Supermercati Famila, Famila Superstore e IperFamila), l’insegna consolida con questi risultati la sua posizione ai primi posti nella classifica delle reti di vendita italiane (classe di dimensione 1.500-4.500 mq) con una quota di mercato nazionale Iper+Super del 3,3%. Con 6.600 dipendenti, Famila è una delle realtà più dinamiche del panorama distributivo moderno. Dall’apertura della prima unità, nel lontano 1984 - primo esempio in Italia di supermercato integrato, ossia con un’offerta food e non food all’interno della stessa superficie di vendita - è infatti cresciuta costantemente fino ad arrivare alle 231 unità di oggi per circa 450 mila mq di area complessiva di vendita. A queste si aggiungeranno le 19 unità previste nel corso del 2016. L’insegna presidia le regioni del Nord, del Centro e del Sud con 77 supermercati nell’area Nielsen 1, 99 nell’area 2, 15 nell’area 3 e 40 nell’area 4. “In un panorama distributivo piuttosto omologato – ha dichiarato Maniele Tasca, direttore generale del Gruppo Selex – i supermercati Famila hanno saputo distinguersi riuscendo a personalizzare la loro offerta, calibrandola sulle specifiche esigenze del territorio".

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L’ortofrutta è sempre più strategica nel mondo di Alì. A dimostrarlo sono i numeri. La catena distributiva veneta (associata a Selex gruppo commerciale), che conta 108 supermercati tra Veneto ed Emilia Romagna con oltre 3.200 dipendenti, nel 2015 ha chiuso un fatturato che supera un miliardo di euro, segnando un aumento dell’8% rispetto all’anno precedente, nonostante il momento difficile che il mondo della distribuzione (e non solo) sta vivendo oggi. Un ruolo determinante alla crescita lo ha rivestito il comparto ortofrutta, che lo scorso anno è aumentato del 17% con un’incidenza media del 13% sul giro d’affari globale e in crescendo anno dopo anno. Ad illustrare nei dettagli i motivi di questa continua ascesa del reparto di frutta e verdura all’interno della catena che nel Veneto ha una quota di mercato del 17% ci pensa Giuliano Canella, responsabile freschi del Gruppo Alì: “L’ortofrutta continua a rivestire per noi un ruolo strategico e in progressiva crescita. Nel 2015 ci sono state alcune referenze che si sono particolarmente distinte come i piatti pronti e la quarta gamma. Positivi anche i riscontri per il marchio privato di Alì, Vale. Entusiasmo per i prodotti territoriali veneti”.

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Parte dal Piemonte il rilancio del trasporto su rotaia Le Ferrovie vogliono riportare l’ortofrutta sul treno. Dietro c’è il Governo, che con il Ministero delle Infrastrutture preme per togliere traffico dalle autostrade intasate dai Tir. L’operazione parte dal Nordovest e vede in prima fila, con un ruolo di proposta e coordinamento, il Commissario straordinario per la TAV Paolo Foietta. Si tratta di collegare i porti liguri con le piattaforme logistiche piemontesi attraverso un sistema ferroviario più efficiente, sia nelle infrastrutture che nella gestione del traffico. In particolare, l’architetto Foietta, dal suo ufficio di Torino, è al lavoro per avviare il trasporto ferroviario di ortofrutta dai porti di Genova e di Vado Ligure, quest’ultimo passato sotto la gestione internazionale di APM-Maersk, e la piattaforma di Orbassano, nella zona est di Torino, a poche centinaia di metri dal Centro Agroalimentare CAAT. Il Commissario ha trovato l’interesse degli operatori del CAAT, a partire da APGO, l’Associazione piemontese dei grossisti di ortofrutta e dal suo presidente Ottavio Guala e dei principali importatori che già lavorano con i porti liguri e in particolare con Vado, a partire da Luca Battaglio. Non si tratta pertanto del solito disegno teorico, del solito piano di carta, ma di un’operazione che dovrebbe ‘andare in porto’ in tempi brevi, con le Ferrovie impegnate a garantire tempi e costi non penalizzanti rispetto alla gomma. Su questo, il Commissario Foietta è al lavoro. E il Governo potrebbe offrire incentivi a chi sceglie la ferrovia. Prima dello scorso Natale è arrivato a Orbassano da Savona-Vado il primo ‘treno della frutta’, dimostrando che la cosa si può fare. Alla Regione Piemonte e a RFI sono al lavoro per rendere il ser-

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Tra Vado Ligure e il polo logistico di Orbassano, a poche centinaia di metri dal CAAT, si sviluppa il progetto del collegamento ferroviario per l’ortofrutta

Da destra: Paolo Foietta, commissario di governo per la realizzazione dell’asse ferroviario Torino-Lione, Ottavio Guala, presidente APGO Torino, e l’imprenditore Luca Battaglio

vizio bi-settimanale. Ma per far partire in pieno il progetto, rendendo compatibile la linea ferroviaria tra Alessandria e Torino al passaggio dei container navali, servono investimenti da parte di RFI per circa 30 milioni di euro e interventi che richiedono dai 12 ai 18 mesi per essere completati. Questi stessi lavori permetteranno alla rete ferroviario piemontese e a Torino-Orbassano in particolare di collegarsi con il corridoio Reno-Alpino che ha i suoi terminali a Rotterdam e a Genova. A fine gennaio, in una riunione a Torino, RFI ha presentato lo studio di fattibilità. Qualche giorno dopo, nello studio di Foietta si è svolta una riunione dedicata al trasporto ferroviario dell’ortofrutta che il Commissario reputa un punto qualificante di un piano più generale, in attesa dei grandi

interventi strutturali sulla LioneTorino che aspettano da 16 anni. “Il nostro sistema economico è colonizzato da merci che arrivano da Rotterdam – afferma Paolo Foietta – e stiamo assistendo all’assurdo dell’80% delle merci in entrata nel Mediterraneo da Suez che invece di sbarcare in Italia proseguono via Gibilterra fino al Nord Europa per poi ridiscendere a Sud via camion. E’ vero che olandesi e tedeschi si sono trovati nelle condizioni di investire in una logistica moderna. E’ venuto però il momento per noi di recuperare, partendo da una ristrutturazione della portualità e della retro-portualità per agganciare l’evoluzione dello shipping, con navi da 14 mila tue, che rendono il trasporto navale sempre più conveniente, e certamente rilanciando il trasporto merci per fer-

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Il Mercato di Genova potrebbe diventare la ‘stazione dell’ortofrutta’ Tutto quello che fa parte della colorata e multietnica famiglia della frutta e verdura salirà sul treno per arrivare a destinazione. Potrebbe essere questa la nuova sfida di Bolzaneto, una struttura che ha saputo imprimere una svolta al business dell’ortofrutta genovese, grazie soprattutto allo sforzo dei grossisti che hanno condiviso l’avventura e dei soci che hanno fatto decollare l’operazione, il Comune, direttamente e tramite la controllata Spim, la Camera di Commercio e i grossisti stessi riuniti in Fedragro-Comag. A questi quattro soggetti fa appunto riferimento il capitale di “Sgm-Società gestione mercato”, che gestisce la struttura, i cui immobili sono invece interamente di proprietà di Spim, la società incaricata di valorizzare il patrimonio immobiliare del Comune di Genova. Bolzaneto rientra a pieno titolo in un 2016 di particolare intensità progettuale e finanziaria per Spim, la società guidata da Stefano Franciolini che si prepara a lanciare il “contest” internazionale sulle aree ex Fiera che potranno essere valorizzate all’interno del disegno del Blueprint di Renzo Piano. Consolidata la struttura, cercando anche negli anni della crisi di resistere a situazioni di mercato non semplici, Bolzaneto si appre-

sta a vivere adesso una nuova fase che potrebbe far crescere i volumi. L’operazione si chiama “progetto logistico” e punta a sfruttare al meglio la collocazione geografica del mercato che dovrebbe diventare sempre più una piattaforma logistica per servire al meglio il cammino della merce attraverso ogni modalità. Bolzaneto è infatti attaccato all’autostrada (ma la gomma è forse la modalità che meno dovrebbe crescere in questo progetto), ma è soprattutto vicinissima al porto e alla ferrovia. Da qui l’idea di rispolverare il vecchio progetto di portare i binari dentro alla struttura, previsto fin dalla nascita del mercato, ma poi lasciato fermo in attesa di consolidare il Mercato. In questi primi anni di piena operatività, infatti, i grossi-

sti si sono concentrati sulla tenuta e sul funzionamento della struttura. E ora sono pronti alla nuova fase di vita del mercato. “La logica è un po’ quella del nostro porto - spiega il presidente di Spim Stefano Franciolini -. Se mancano gli spazi per crescere, si punta sulla logistica per movimentare più merce oltre gli Appennini. Questo progetto consente infatti di trasformare Bolzaneto da impianto mercatale a polo logistico, un salto di qualità che permette non solo di aumentare i volumi, ma anche di dare valore aggiunto alla merce, con attività distributive e logistiche che potranno attrarre nuovi clienti”. Non a caso, fra i primi soggetti interessati all’operazione, ci sono gli spedizionieri genovesi riuniti nella Spediporto.

rovia”. “Venendo all’ortofrutta e alle misure più immediate – precisa il Commissario di Governo – la connessione tra porto di Savona e Vado da una parte e Orbassano e CAAT dall’altra è particolarmente interessante perché delle 500 mila tonnellate di ortofrutta gestite dal Mercato di Torino un buon 30% provengono già proprio da Vado, che non possiamo dimenti-

care è il principale terminale mediterraneo per l’ortofrutta grazie anche ai suoi fondali naturali che permettono l’attracco alle grandi navi. La gestione APM promette importanti sviluppi a Vado. Quello che noi possiamo fare in tempi brevi è migliorare la linea, costruire le poche centinaia di metri di binario tra Orbassano e CAAT, realizzare un corridoio logistico doganale con il coordinamento

dei controlli doganali. In collaborazione con la Regione Piemonte, abbiamo avviato dallo scorso settembre un tavolo di lavoro con gli stessi operatori del CAAT per favorire questo percorso e affermare che l’utilizzo della modalità ferroviaria è tornato possibile e conveniente anche per loro. E mi pare che siamo sulla buona strada”.

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Genova, Vado e La Spezia porti leader nelle importazioni Chiara Brandi È il primo gateway in Italia per movimentazione di ortofrutta con oltre il 52% delle importazioni nazionali del comparto. Circa 523 mila tonnellate di merce importata, per una cifra superiore a 535 milioni di euro. Sono questi i numeri record ottenuti nel 2015 dal sistema dei porti organizzato della Liguria, formato dagli scali di Genova, Savona-Vado Ligure e La Spezia. Nell’ultimo anno il porto di Savona-Vado Ligure ha accolto circa 351 mila tonnellate di frutta e ortaggi freschi, quello di Genova 146 mila mentre La Spezia ha superato le 26 mila tonnellate. A valore sono così stati raggiunti rispettivamente 240, 269 e 27 milioni di euro. La Ligurian Ports Alliance (LPA), di cui è attualmente presidente Lorenzo Forcieri (anche presidente dell’Autorità portuale di La Spezia), è un vero esempio di efficienza portuale. “Sono diversi i punti di forza su cui può contare il sistema ligure: dalla posizione geografica strategicamente importante all’efficienza degli operatori che vi operano, senza dimenticare le infrastrutture di cui è dotato. Siamo tuttavia consapevoli di dover migliorare in termini di intermodalità, di trasporto su ferro e di procedure; ma ci stiamo lavorando”. Il primato ottenuto dagli scali liguri è infatti il frutto di un impegno costante in un’ottica di progressivo miglioramento, anche in un momento in cui le grandi navi specializzate nel trasporto refrigerato sono via via rimpiazzate dalle più moderne navi portacontainer e ai grandi terminal reefer vengono preferiti gli hub cointainer. “È un fenomeno reale grazie al quale siamo certi possa esserci sempre più spazio nella movimentazione del fresco anche per i porti di Genova e La

Nel 2015 hanno accolto ortofrutta per 523 mila tonnellate per un valore ben superiore al mezzo miliardo di euro. I progetti per il futuro collegati al rilancio della ferrovia

Lorenzo Forcieri, presidente di Ligurian Ports Alliance

Spezia, oltre allo storico scalo di Vado Ligure. In tutti i porti liguri si stanno facendo molti sforzi per migliorare l’operatività delle strutture a terra e per il trasporto, un obiettivo che si vuole raggiungere attraverso investimenti mirati”, commenta Forcieri. In termini di infrastrutture il terminal più attrezzato del paese è il Vte di Prà-Voltri a Genova con una capacità totale di 1384 plug, mentre APM Terminals, subentrata a GF Group nella gestione del Reefer Terminal di Vado Ligure lo scorso agosto, ha già annunciato la realizzazione di una nuova piattaforma container entro il gennaio 2018 grazie ad un investimento di 150 milioni di euro. Sul fronte del risanamento dei trasporti, invece, la containerizzazione dei trasferimenti sta conferendo sempre maggior importanza ad aree retroportuali come quella di Santo Stefano Magra in provincia di La Spezia, dove è da poco sorto lo Spezia Reefer Center, partecipato da Contship Italia e sul quale sta puntando anche Tarros. Infine, in una prospettiva di miglioramento del sistema logistico interportuale, tutti gli scali liguri stanno portando avanti progetti per lo sviluppo di collegamenti ferroviari.

“Il trasporto su ferro – spiega il presidente Forcieri – rappresenta in Italia solo il 10% della movimentazione della merce mentre il restante 90% è prerogativa dei mezzi su gomma. Il porto di La Spezia è una sorta di eccezione perché qui la percentuale dei trasferimenti ferroviari sale al 30%, ma ci sono ancora ampi margini di crescita. Come a Genova e Vado, anche a La Spezia si sta lavorando in questa direzione”. Un esempio su tutti è il nuovo progetto per il trasferimento dei carichi di frutta su rotaia dal porto di Vado Ligure alla piattaforma di Orbassano, in essere dallo scorso dicembre. “Si tratta di un’idea ancora in via di perfezionamento ma che in breve tempo, grazie ad ulteriori investimenti, dovrebbe standardizzarsi su una frequenza settimanale dei viaggi”. E la stessa volontà di sviluppare il trasporto su rotaie è stata manifestata dai porti di Genova e La Spezia. “Siamo ancora all’inizio ma ciò che si sta facendo è già molto positivo. L’arretratezza dell’Italia rispetto al resto d’Europa riguardo all’adeguatezza del trasporto ferroviario è innegabile ma qualcosa sembra stia veramente cambiando. Il Piano Nazionale della Logistica e della Portualità e la cosiddetta ‘cura del ferro’ del Ministro Delrio pongono finalmente al centro del nostro paese il sistema ferroviario per accrescere l’efficienza della logistica”. In generale c’è ottimismo nelle parole di Forcieri circa il futuro; la serie di progetti intrapresi dai tre scali potrebbero portare la Liguria al centro dell’Europa. Finora, nella maggior parte dei casi, le

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Roberto Ferrero: “Noi operatori chiediamo meno burocrazia” Statistiche, numeri e tabelle possono solo parzialmente definire il livello di efficienza della logistica portuale; per delineare un quadro più completo non ci si può esimere dal chiedere l’opinione di chi quotidianamente si serve di tali infrastrutture per portare a termine il proprio lavoro. Nel comparto ortofrutticolo tra le realtà più importanti impegnate in attività di import c’è sicuramente Spreafico. Secondo Roberto Ferrero, logistic manager della società, la validità dei porti italiani è indiscutibile anche se il sistema ad oggi pecca di un leggero eccesso di burocrazia e soffre la limitazione degli orari. “Rispetto ad altri porti europei, in Italia i tempi sono ancora un po’ troppo lenti. La messa a disposizione della merce nell’area portuale adibita alle varie visite ispettive e gli orari per gli accertamenti dei diversi enti preposti al controllo (sanitario, fitopatologico e della qualità AgeControl) sono concentrati soprattutto al mattino e questo comporta talvolta l’allungamento delle tempistiche necessarie per lo sdoganamento, un aspetto importante soprattutto quando si tratta di merce deperibile come la frutta. Per risolvere il problema basterebbe forse estendere di poco gli orari di accesso ai controlli”. Uno degli obiettivi della riforma dei porti voluta dall’attuale ministro dei Trasporti Delrio si propone proprio di snellire le procedure burocratiche, vero tallone di Achille della logistica portuale nostrana, le cui mancanze non sfuggono a Ferrero. “Nel nostro Paese la burocrazia è ancora troppo rigida. Sono pienamente convinto che sia giusto fare i controlli adeguati a tutela del consumatore finale; talvolta

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però basterebbe solo una maggior flessibilità e una miglior interpretazione delle regole da parte di alcuni funzionari per ridurre notevolmente i tempi e i costi. Nel Nord Europa se vengono riscontrati errori non sostanziali, come ad esempio nel calibro o nell’indirizzo indicati in etichetta, al massimo si può incorrere in una segnalazione; in Italia invece lo stesso problema può comportare anche il blocco della merce con conseguente irreparabile allungamento dei tempi ed aumento dei costi”. Facendo riferimento in particolare agli scali liguri, Ferrero sottolinea la professionalità del porto di Savona-Vado Ligure, con cui Spreafico intrattiene una buona collaborazione ormai da molti anni. Una realtà esemplare, divenuta ancora più efficiente grazie alla nuova guida di APM Terminals, la società danese subentrata operativamente nella gestione del Refeer Terminal lo scorso ottobre dopo l’acquisizione del 100% avvenuta nell’agosto precedente. Un giudizio positivo viene espresso dal manager anche in riferimento al porto di Genova, confermando così le ottime capacità della Liguria nella movimentazione via mare di ortofrutta. Spreafico si serve del porto del capoluogo ligure per la movimentazione di circa 4.000 tonnellate di frutta varia ogni anno mentre lo scalo di Vado Ligure riceve annualmente una quantità di banane nell’intorno dei 30.000 tons e circa 5.000 tonnellate di frutta varia. La scelta del porto di approdo delle merci viene fatta dalla società lombarda in base alle linee marittime che ivi operano, alla funzionalità dell’intera infrastruttura e alla vicinanza dello scalo alla destinazione finale del carico. (c.b.)

grandi navi provenienti dal Canale di Suez sono state costrette ad oltrepassare lo Stretto di Gibilterra e attraccare nei grandi porti del Nord Europa per poi tornare verso sud attraverso il trasporto su gomma; grazie a questi progetti, LPA vorrebbe invece creare un accesso logistico ai mercati del nord Italia, del sud della Francia, di Svizzera e Germania dando nuovo lustro al sistema portuale nostrano. Un esempio dell’intraprendenza ligure e della sua volontà di aprirsi sempre più a nuovi mercati attraverso una rete logistica efficiente è rappresentata anche dal Fresh Food Corridors, il nuovo progetto europeo intrapreso dal porto di La Spezia insieme a quello di Venezia, Koper, Capodistria e Marsiglia. L’idea è di favorire lo sviluppo di un corridoio logistico integrato per i prodotti agri-food provenienti dal Medio Oriente che vanta un sistema di controllo della qualità e della tracciabilità della merce efficiente e garantito.In Liguria si sta dunque facendo tanto per sviluppare i traffici di merce refrigerata ma la possibilità di suscitare una malsana competitività tra scali è completamente fuori discussione: “Non stiamo facendo investimenti per sfavorirci l’uno l’altro ma al contrario per sostenerci e per colmare quel limite che purtroppo in Italia ad oggi c’è. La nostra principale volontà è attrezzarci adeguatamente per riuscire a raggiungere le principali destinazioni del sud della Germania e della Svizzera”, chiosa il presidente. Commentando la riforma dei porti licenziata dal governo, Forcieri ammette: “Ho già espresso il mio giudizio molto positivo in merito al Piano Nazionale della Portualità e della Logistica. Ora, rispetto al decreto sulla governance delle Authority, auspico che siano pienamente mantenute le specificità delle Autorità Portuali, Enti che devono essere in grado di competere con le più avanzate realtà del Nord Europa con le quali dobbiamo misurarci”. Marzo 2016


MONDOFLASH

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SPAGNA

L’export nel 2015 ha sfiorato i 12 miliardi di euro Prosegue la marcia dell’export ortofrutticolo spagnolo. Nel 2015 le esportazioni di frutta e verdura del Paese iberico sono aumentate dell’11,7% rispetto al 2014. Il giro d’affari sviluppato ha sfiorato i 12 miliardi di euro. Anche i volumi sono saliti, seppur di un più modesto 2,2%, totalizzando 12,7 milioni di tonnellate. In crescita anche le importazioni (+14%) per quasi due miliardi di euro di valore e oltre 2,5 milioni di tonnellate. Bene l’export di verdure che ha raggiunto i 4,9 miliardi di euro (+11,4%) e oltre 5,2 milioni di tonnellate. Sebbene il pomodoro sia il principale ortaggio esportato, nel 2015 esso ha registrato un calo sia a volume (quasi 950 mila tons, -1,8%) che a valore (962 milioni di euro, -1,7%). Molto positivi gli invii all’estero di frutta: nel 2015 sono stati commercializzate 7,5 milioni di tons (+5%) che hanno consentito di sviluppare affari per ben 7 miliardi di euro (+11,9%). L’Europa rimane sempre più lo zoccolo duro dell’export spagnolo: l’Unione Europea rappresenta oltre il 92% delle esportazioni ortofrutticole del Paese iberico (+13%). Germania (+14% delle vendite a 2,9 miliardi), Francia e Regno Unito sono le principali destinazioni. Da segnalare però l’exploit dell’Italia, dove le esportazioni sono aumentate del 21% e da sole rappresentano 778 milioni di euro di fatturato. I dati sono stati forniti da Fepex, l’Associazione degli esportatori ortofrutticoli spagnoli.

AUSTRIA

Falliscono due aziende in Stiria Tempi duri per la regione austriaca della Stiria. Il fallimento dell’azienda Steirerfrucht (8,8 milioni

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debiti), fondata nel 1995 e ai vertici nazionali nel rifornimento di frutta (mele in particolare) presso le maggiori catene di alimentari sul territorio austriaco, avrebbe travolto anche la ditta di logistica Apfel-Land Fruchtlogistik (10 milioni di debiti), di cui rappresenta il maggiore partner commerciale e principale committente. Secondo l’Associazione per la tutela del credito austriaca (KSV) sarebbero 113 i dipendenti coinvolti nel tracollo di Steirerfrucht e 97 quelli di Apfel-Land Fruchtlogistik. I creditori delle aziende stiriane (57 per Steirerfrucht, e 14 per Apfel-Land Fruchtlogistik) dovrebbero ottenere il 20% dei pagamenti ancora insoluti entro 24 mesi dall’accettazione del piano di risanamento. L’azienda Steirerfrucht aveva già dato i primi segni di crisi nel 2007, quando aveva ridimensionato drasticamente la propria capacità di stoccaggio. La capacità produttiva europea superiore alle richieste, unitamente all’embargo russo, avrebbero aggravato ulteriormente la situazione, fino al tracollo definitivo.

SERBIA

La Turchia pronta a investire nei Balcani Il ministro serbo Snezana Bogosavljevic Boskovic (nella foto) e l’ambasciatore turco a Belgrado, Mehmet Kemal Bozaj, si sono incontrati per discutere circa una nuova cooperazione tra i due Paesi nel settore della coltivazione di frutta, nonché i potenziali investimenti futuri in Serbia da parte della Turchia. Bogosavljevic Boskovic e Bozaj, dopo aver discusso sulla possibile partecipazione della Serbia a Expo Antalya 2016, hanno annunciato la possibilità, da parte della Turchia, di costruire un centro di distribuzione regionale per la frutta in Serbia, non solo per il mercato nazionale, ma anche per l’intera regione bal-

canica. Lo riporta il sito web del Ministero dell’Agricoltura e della Tutela dell’ambiente di Belgrado. La presenza turca è già molto importante nel commercio ortofrutticolo in Bulgaria e in Romania.

ISRAELE

Agrexo ha fermato produzione ed export La storia di Agrexco-Carmel è giunta al capolinea. La storica impresa israeliana, nata nel 1956 e fino ad oggi il principale gruppo esportatore di ortofrutta del Paese mediorientale, ha fermato nella prima metà di febbraio la produzione e l’export di frutta e ortaggi. I volumi a disposizione sarebbero terminati nei primissimi giorni di febbraio, dopo il fallimento dichiarato l’anno scorso. La società proseguirà esclusivamente le attività al porto di Ashdod, con in previsione centinaia di licenziamenti. La notizia è riportata dal quotidiano israeliano Hamodia. Per anni Agrexco è stato un colosso nel settore. Ma i pesanti debiti per svariati milioni di dollari che l’impresa ha nei confronti di molti creditori ha messo in ginocchio il gruppo. Alla base del crac ci sarebbero gli alti costi per utilizzare l’acqua, oltre a sistemi di conservazione e distribuzione dell’ortofrutta non competitivi con i prezzi di mercato.

GERMANIA

Lidl più forte in Europa apre negli US Lidl pronta a sbarcare negli Stati Uniti (27esimo nazione in cui sarà presente) e ad espandersi ul-

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MONDOFLASH

teriormente in altri Paesi. La catena tedesca partirà con realizzare una piattaforma di distribuzione in Virginia, per poi espandersi nei prossimi due anni in North Carolina, South Carolina, Maryland e Washington DC. Ma non solo. La catena discount punta ad aprire nel prossimo biennio altri 20 punti in Serbia, che si andranno ad aggiungere ad altri sei market già aperti in Spagna. Notevoli investimenti sono previsti pure in Portogallo dove gli affari stanno andando a gonfie vele. Qui nei reparti ortofrutta, il 70% delle vendite è rappresentato da prodotti locali. Lidl Portugal ha raddoppiato anche il volume delle esportazioni di pere portoghesi in Germania a 7.500 tonnellate. Negli ultimi due anni, la catena ha esportato 12.000 tons di pere verso cinque mercati: Germania, Spagna, Francia, Regno Unito e Irlanda. In Croazia nel 2015 Lidl - la seconda catena di supermercati più grande del Paese - ha esportato prodotti locali per oltre 8,9 milioni di euro (contro i 5,7 milioni del 2014) attraverso i suoi punti vendita in tutta Europa. Note positive anche in Repubblica Ceca dove Lidl ha ottenuto profitti in aumento del 50% e +16% dei ricavi e vuole comunque migliorare ulteriormente la propria quota di mercato anche attraverso l’ecommerce e competere con Tesco.

USA

Wal-Mart frena sui nuovi mercati Wal-Mart ha chiuso il 2015 (e il gennaio 2016 poiché l’esercizio finanziario si chiude al 31 gennaio di ogni anno) in leggera discesa registrando un -0,7% delle vendite complessive che sono state pari a 478,6 miliardi di dollari. Il reddito operativo ha chiuso a 11,2% posizionandosi sui 24,1 miliardi di dollari. Le vendite sono

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state positive negli USA e nell’area Canada-Messico, negative negli altri mercati. L’utile netto flette del 9,2%. Il retailer più grande del mondo, guidato da Doug McMillon (nella foto), ha registrato nel 4° trimestre dell’esercizio (novembre, dicembre, gennaio) una flessione nel reddito operativo (-17,1%) che senza la chiusura di punti di vendita (ben 269 a livello globale) si ridurrebbe a 5,3%. L’eCommerce è cresciuto dell’8% sempre nel 4° trimestre. Wal-Mart è il 4° e-tailer del mondo con oltre 13 miliardi di dollari da vendite on-line.

TURCHIA

Risale l’export Boom per le nocciole in Cina In Turchia dopo un inizio d’anno deludente, con un calo significativo delle esportazioni di frutta e verdura a gennaio, le statistiche di febbraio 2016 – pubblicate dal Consiglio nazionale degli esportatori (TIM) – mostrano un incremento delle esportazioni di frutta, agrumi e verdura complessivamente del 12% in volume e del 3% in valore rispetto a febbraio 2015. Gli agrumi rappresentano il 55% del totale delle esportazioni, e sono aumentati dell’11% a circa 162.000 tonnellate. Gli easy peeler sono in primo piano, con un +61% e pure i pomeli (simili ai pompelmi), con un +46%. Le verdure rappresentano il 34% del totale delle esportazioni, e sono aumentate del 21% a poco meno di 95.000 tonnellate. Tuttavia il loro valore è sceso del 2%. Il 62% delle verdure esportate sono pomodori, la cui esportazione è aumentata di un terzo in quan-

tità, ma il cui valore è sceso dell’11%. Il secondo ortaggio più esportato è il peperone (+33% in quantità e +42% in valore), seguito dalla zucchina (+42% in quantità e +16% in valore). Nel comparto della frutta le esportazioni sono diminuite (-6% in quantità e -4% in valore). La melagrana – primo frutto esportato – fa la parte del leone con il 74% di frutta esportata a febbraio e un aumento del 39% in quantità rispetto allo stesso periodo del 2015. Numeri raggiunti anche dal fatto che questo frutto può essere esportato in Russia. Al contrario, per il motivo opposto (il blocco russo), le esportazioni di mele sono scese del 70%, così come quelle delle fragole (-64%) e dell’uva (-60%). Da notare i forti aumenti delle esportazioni verso paesi come Bielorussia (+916%), Ucraina (+185%), Arabia Saudita (+118%), Georgia e Polonia (+137%) e, tra i paesi importatori europei, Olanda (+116%) e Belgio (+159%). Leader mondiale della nocciola, la Turchia ha esportato 152 mila tonnellate di nocciole tra l’1 settembre 2015 (data ufficiale di inizio stagione) e il 29 febbraio 2016, 24 mila tonnellate in più rispetto allo stesso semestre nella stagione passata. Anche se i prezzi sono più bassi rispetto allo scorso anno, il presidente dell’Unione esportatori di nocciole e prodotti derivati del Mar Nero – che è anche presidente del gruppo di promozione delle nocciole turche – si dichiara soddisfatto dei risultati dei primi sei mesi della stagione, affermando che i produttori sono riusciti a superare la soglia di 1 milione e mezzo di dollari, mentre prima raggiungere un milione di dollari l’anno sembrava una chimera. L’obiettivo è arrivare a esportare 260 mila tonnellate nella stagione 20152016. La Turchia continua a esportare nocciole in 110 Paesi. L’esportazione verso la Cina quest’anno è quadruplicata, ed è destinata a crescere ulteriormente. Marzo 2016


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Emanuele Zanini Si sta profilando un'annata tutto sommato positiva per l'aglio. Le vendite sono regolari e i prezzi in aumento. Tra gli operatori c'è chi parla di “occasione mancata”: le condizioni di mercato potevano far sperare in una stagione d'oro, ma, vuoi per la concorrenza estera, vuoi per alcuni problemi qualitativi su una parte del prodotto, alla fine il giudizio non va oltre il “soddisfacente”. Donato Palmieri, responsabile commerciale dell'omonima azienda campana e a capo della commissione Aglio di FruitImprese, conferma l'aumento generale delle quotazioni. “Sui merca-

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ti internazionali i prezzi sono decisamente saliti rispetto all'annata precedente segnando in certi casi anche un +30-40% sul 20142015”, spiega Palmieri. “L'aspetto negativo – aggiunge – è che questi incrementi non sono stati molto recepiti dal mercato italiano. Nel Belpaese si acquista la merce a prezzi mediamente alti e si rivende a valori meno elevati di quello che ci si aspetterebbe”, nel tentativo di rimanere competitivi con altri Paesi produttori concorrenti. Dando uno sguardo al contesto internazionale Cina e Spagna hanno avuto produzioni di buona qualità, mentre l'Argentina ha registrato maggiori problemi quali-

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Giacenze presto esaurite La nuova stagione partirà bene Vendite regolari e prezzi in aumento. Valorizzate le DOP tativi e un calo dei volumi a causa delle forti piogge cadute nel momento della raccolta, tra la metà e la fine di novembre, cioè all'inizio della stagione per il Paese sudamericano. Questa situazione ha innalzato i prezzi, non solo nell'Emisfero Sud ma anche in Spagna, che, a differenza dell'Italia, ha saputo approfittare della situazione con prezzi correlati all'assenza di prodotto argentino. La domanda di prodotto spagnolo per esempio è salita anche dal Brasile che di

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solito si rifornisce dagli argentini che però non hanno saputo, per i motivi appena evidenziati, offrire prodotto sufficiente. Stesso discorso per la Cina che ha sfruttato il “vuoto” dell'Argentina per vendere bene la propria merce. A livello produttivo quest'anno saranno molto limitate, se non del tutto assenti, le giacenze di prodotto “vecchio”, in attesa della nuova stagione, che partirà a maggio con le raccolte precoci in Spagna e poco dopo in alcuni areali italiani. Il caldo e la siccità degli ultimi mesi potrebbe far anticipare il raccolto. In Campania di solito si inizia a raccogliere verso metà maggio, mentre quest'anno è previsto un anticipo a inizio mese, mentre al Nord Italia la raccolta parte, a seconda delle zone, tra la fine di giugno e l'inizio di luglio. “C'è un clima di fiducia sulla nuova annata”, annuncia il referente di FruitImprese. “L'assenza di giacenze consentirà di iniziare con il prodotto nuovo a quotazioni interessanti. Ad oggi l'unica variabile che potrà incidere negativamente sarà la pioggia. Se cadrà durante il raccolto potrebbe creare problemi”, afferma, facendo ovviamente i debiti scongiuri, Palmieri. La produzione italiana nel 2016 dovrebbe attestarsi attorno alle 30 mila tonnellate, prodotte su circa 3.200 ettari, in linea con gli ultimi anni. “Nel Mezzogiorno proseguirà la coltivazione soprattutto del seme cinese, più precoce, con maggiori rese di produzione e più resistente alle malattie rispetto alla media”, sottolinea Palmieri. “In generale la produzione del seme cinese è in aumento, mentre quella dell'aglio tradizionale è in calo, anche per i problemi di attacco di alcune malattie (come la fusariosi, ndr) a cui la tipologia bianca è soggetta, in Italia come all'estero”. Del tutto diverse le previsioni produttive spagnole, che dovrebbero mantenersi sulle 300 mila tonnellate, quindi dieci volte quelle dell'Italia. Il 90% dei voluwww.corriereortofrutticolo.it

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mi mondiali però li continua a movimentare la Cina, che, seppur non siano dati ufficiali, si attesta su produzioni di 12 milioni di tonnellate, controllando e influenzando di fatto il mercato globale. Anche Francesco Delfanti, titolare dell'omonima azienda piacentina, analizza la situazione, confermando alcuni aspetti e dando una versione un po' differente su altri: “Il clima della campagna aglio 2015-2016 è stato favorevole per la raccolta e ha portato ad una buona qualità del prodotto nonché ad una produzione stabile. Ad inizio campagna i prezzi son stati più alti rispetto alla precedente. Le buone esportazioni dalla Spagna a partire dai mesi di luglio e agosto 2015 hanno influenzato il mercato europeo con conseguente crescita dei prezzi, anche per l’Italia”, spiega Delfanti. “In questi giorni (prima decade di marzo, ndr) abbiamo ricevuto l’aglio della produzione agricola argentina per la quale il clima non è stato favorevole, con piogge frequenti sia durante la raccolta che durante l’asciugatura. Tuttavia il prodotto è di buona qualità. La stagione in corso sta terminando con difficoltà di reperimento del prodotto”. Anche Delfanti preannuncia che con l’inizio della nuova stagione, a giugno, le scorte di prodotto vecchio saranno esaurite ed è previsto, oltre che auspicato, un aumento di prezzi rispetto alla campagna del 2015. Per Pio Del Prete, amministratore dell'omonima azienda campana, i prezzi d'acquisto sono aumentati fino al 40%, “ma i mercati non hanno risposto in maniera adeguata. Così un'annata che poteva riservare molte soddisfazioni dal punto di vista commerciale si sta rivelando appena discreta”, osserva Del Prete. “Si poteva fare di più e ottenere qualche margine in più”. Nel frattempo sale l'attesa per la prossima campagna in cui Del Prete prevede una precocità generalizzata sulle produzio-

ni a causa del clima degli ultimi mesi particolarmente caldo. Dopo le produzioni egiziane, a metà aprile si partirà con quelle del Mezzogiorno. “Allora capiremo se ci saranno delle buone occasioni per partire con il piede giusto”. Dichiara un aumento di prezzi Enrico Cappelletti della cooperativa Copap di Monticelli d'Ongina (Piacenza), “che si sono attestati tra 1,80 e 2 euro al chilo, registrando un +30% sul 20142015. Visti però lo scenario internazionale e le richieste sostenute le quotazioni avrebbero potuto essere ancora superiori. La forte concorrenza spagnola ha influenzato i prezzi, almeno fino alla fine del 2015”. Bene il prodotto nazionale e in particolare quello certificato “che sta ottenendo riscontri lusinghieri”. Sono 4 mila i quintali di prodotto commercializzati dalla cooperativa piacentina nel 2015 e parte del 2016. “Quest'anno la qualità è stata buona anche se i calibri sono stati per lo più piccoli a causa del caldo estivo che ha influenzato le produzioni”. Le prospettive per la prossima campagna, che inizierà in luglio, rimangono tuttavia piuttosto buone “grazie al previsto esaurimento delle scorte del prodotto vecchio”, afferma Cappelletti. “L'aglio certificato inoltre sta ottenendo riscontri sempre più positivi sui mercati con richieste in aumento”. Copap destina il 90% delle proprie produzioni alla grande distribuzione focalizzando l'attenzione sull'Italia. Cappelletti parla poi di un problema che continua a ripresentarsi nel comparto: “Purtroppo continuiamo a registrare l'ingresso irregolare di prodotto dall'estero: per esempio capita che aglio spagnolo entri in Italia e, come per magia, diventi italiano. I controlli sull'origine della merce sono ancora insufficienti”, dichiara Cappelletti. “Servono filiere più controllate per limitare la contraffazione, la quale ha un peso importante che sfiora il 40%”. Anche per combattere questo feMarzo 2016



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nomeno, che secondo il responsabile di Copap non accenna a diminuire, la cooperativa piacentina prosegue la propria campagna di comunicazione nei confronti del consumatore “per spingerlo ad acquistare prodotto italiano certificato. Dall'altra cerchiamo di spingere le istituzioni affinché si impegnino a valorizzare la qualità e soprattutto a bloccare le contraffazioni con ancora maggior forza”. Non ci sono state grande variazioni di volumi prodotti per il consorzio dell'aglio polesano Dop, come precisa il presidente Massimo Tovo. “La produzione è stata nella norma. Il problema più importante però si è avuto in post produzione, quando nei magazzini si è accumulata un’importante quantità di prodotto colpito dalla fusariosi, malattia che tende a svuotare il cuore degli spicchi. Il prodotto affetto da questo feno-

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meno purtroppo è in aumento e riguarda circa il 20% del totale raccolto”. A fronte di consumi stazionari Tovo conferma l'aumento dei prezzi in Europa e non solo. Positivi i riscontri anche sulla produzione Dop. Nel 2015 sono stati coltivati 25 mila tonnellate di prodotto Dop, con un aumento del 10% in un anno delle aree coltivate dai 30 soci, che hanno raggiunto i 60 ettari, a cui si sommano i circa 300 ettari (in calo) del prodotto convenzionale. L'80% del prodotto va alla gdo, il resto se lo dividono mercati all'ingrosso e dettaglio. L'export rimane ancora una nicchia riservata, per il momento, specialmente a Svizzera e Germania. La domanda in generale è stata molto sostenuta nel primo semestre 2015, per poi calare nella seconda parte dell'anno e riprendersi a fine 2015 e inizio 2016. “La flessione dei vo-

lumi a inizio campagna 2015 ha creato le condizioni per una risalita della domanda e un aumento pure dei prezzi”, aggiunge Tovo. In linea il commento di Federica Cervati, a capo dell'omonima azienda rodigina specializzata nell'import export di aglio, di cui si rifornisce sia da coltivatori italiani che esteri, importando la merce dai principali Paesi produttori (dalla Cina alla Spagna fino all'Argentina e al Messico) e vendendo in Italia (30%) e all'estero il prodotto conferito. L'azienda confeziona ogni attorno attorno alle 4 mila tonnellate di aglio, di varie tipologie, sia bianco che rosso. L'imprenditrice veneta conferma l'aumento generale delle quotazioni, tra il 30 e il 40%. “Bisognerà vedere se queste dinamiche commerciali verso il rialzo verranno ben recepite dalla grande distribuzione. Anche per la gdo non sarà semplice”.

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Emanuele Zanini Buona partenza d’anno per il mercato delle banane, dopo un 2015 dai due volti, caratterizzato da una prima parte soddisfacente e una seconda più problematica, mentre per i prossimi mesi le incognite non mancano. I segnali positivi si sono riscontrati nei primi due mesi del 2016, con un rialzo delle quotazioni. Tuttavia, Luca Battaglio, presidente dell’omonimo gruppo torinese, tra i principali player ortofrutticoli italiani, preferisce rimanere cauto seppur moderatamente ottimista. Dopo le difficoltà generali riscontrate sui mercati lo scorso anno, l’imprenditore piemontese mette le mani avanti: “Credo che quest’anno saremo tutti più prudenti, anche perché il cambio euro-dollaro deve per forza far riflettere prima di caricare. I primi segnali positivi ci sono ma per arrivare a fine anno la strada è ancora molto lunga”. La cautela di Battaglio deriva da un 2015 definito “complesso a causa di un’offerta abbondante nel secondo semestre e un consumo rallentato soprattutto nei mercati russo e mediorientale che per motivi diversi hanno assorbito meno prodotto, per cui molta merce si è riversata in Europa”.

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Partenza positiva del 2016 dopo una fine anno deludente La parola a Luca Battaglio e Raffaele Spreafico sulle prospettive del mercato bananicolo. L’Ecuador resta la prima origine ma crescono i competitor

Nonostante le difficoltà riscontrate sui mercati, il gruppo Battaglio lo scorso anno ha registrato un aumento di fatturato del 13% superando i 150 milioni di giro d’affari. Da una parte è continuata la crescita sul canale della gdo, che rappresenta l’80% del commercializzato (i mercati all’ingrosso occupano il restante 20%). Dall’altra Battaglio ha aperto lo stand al Centro Agroalimentare di Roma, “in sinergia con il magazzino limitrofo che ci apprestiamo ad ampliare nel breve ter-

mine per rafforzare la nostra presenza distributiva nel Centro Sud”, spiega sempre l'imprenditore torinese. Battaglio importa banane da Costa Rica, Colombia ed Ecuador che commercializza con il proprio brand, mentre per il marchio Alba si affida alle produzioni del Camerun. Per le banane biologiche e fair trade invece il gruppo piemontese si rifornisce in Repubblica Dominicana. Dal punto di vista logistico Battaglio si serve dei porti di Genova e Vado Ligure

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Luca Battaglio e Raffaele Spreafico, insieme a GF Group le loro aziende sono i principali importatori di banane

per rifornire il magazzino di Torino, e lo scalo di Civitavecchia per quello di Roma. Anche per Raffaele Spreafico, manager dell’omonima azienda lombarda con sede e centro distributivo a Dolzago (Lecco) e altri centri in Emilia Romagna, Lazio e Toscana oltre a posteggi nei Centri agroalimentari di Milano, Verona e Bologna, il 2015 è stata un’annata dalle due facce, “caratterizzata da una situazione produttiva normale per il primo semestre, mentre la parte finale della stagione ha riscontrato un eccesso di produzione che insieme ai problemi di alcuni mercati ha generato pressione sul mercato europeo ed in particolare in quello del Mediterraneo. La media prezzi finale è stata solo sufficiente rispetto alle attese”. Per Raffaele Spreafico - manager di un’azienda che matura e distribuisce banane da Colombia, Costarica, Ecuador e Messico (appoggiandosi per l’arrivo della merce ai porti di Vado Ligure, Livorno e Civitavecchia) e collabora da distributore con le multinazionali di settore - ci sono buone aspettative: “Il 2016 è partito con una buona domanda ed una disponibilità più contenuta, complice l’effetto del fenomeno El Niño sulla produzione di tutto il Centro e Sud America”. Per l’immediato futuro non manca una certa dose di ottimismo: “I prezzi in questa prima fase sono in linea Marzo 2016

Nel 2015 l’Italia ha importato circa 650 mila tonnellate con un esborso superiore ai 300 milioni con le aspettative ed è probabile che si mantengano elevati per diverse settimane a venire”. Per quanto riguarda le importazioni da parte dell’Italia il 2015 ha visto comunque crescere le quo-

tazioni. Il Belpaese importa circa 650mila tonnellate di banane all’anno con un esborso che supera i 300 milioni di euro. Nei primi dieci mesi del 2015 le importazioni dell’Italia sono diminuite di circa il 2% rispetto allo stesso periodo del 2014, mentre la spesa è aumentata del 7% a causa dell’aumento del 9% del prezzo medio all’import, cresciuto molto velocemente tra gennaio ed aprile 2015, raggiungendo quota 0,70 euro al chilo.

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Il mercato mondiale delle banane influenzato dal cambiamento climatico. In difficoltà le Filippine Uno dei Paesi produttori in grado di influenzare maggiormente il mercato delle banane è l’Ecuador, primo esportatore al mondo, per il quale l’Italia stessa rappresenta il terzo mercato in Europa, dietro solo a Germania e Belgio, con un export di 240 mila tonnellate e un fatturato di 120 milioni di dollari. Per il Paese sudamericano questa prima parte di 2016 potrebbe non essere semplice, complice la debolezza del rublo, la concorrenza in Europa e il pericolo rappresentato da El Niño. Vicino a Guayaquil, il cuore produttivo ecuadoregno, si trovano le vaste piantagioni di banane della Hacienda Mateo che lavora per il colosso statunitense Dole. Il ritmo di raccolta, imballaggio e trasporto dei caschi di frutta è frenetico in questa tenuta di 290 ettari, uno degli oltre 7.000 produttori che fanno della banana una voce di esportazione agricola fondamentale per il Paese andino. Pesano la svalutazione del rublo e le difficoltà della Russia, che compra in Ecuador il 95% delle banane e acquista il 23% della produzione. Altro fronte aperto è il mercato europeo sul quale fino a poco tempo fa, l'Ecuador è stato il leader indiscusso, mentre ora sta subendo la concorrenza di Colombia e Perù. El Niño potrebbe ancora causare forti piogge nelle zone di coltivazione delle banane: in uno scenario estremo, interesserebbe tra il 20% e il 30% della produzione, secondo AEBE, l'Associazione degli esportatori di banane dell'Ecuador che ha lanciato diversi gridi d'allarme. Ma anche in Africa, il clima, in una prospettiva più lunga, potrebbe riservare brutte sorprese. In alcune aree dell’Africa subsahariana è necessaria una signi-

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ficativa trasformazione agricola per preservare la futura produzione delle principali colture alimentari. A sottolinearlo è uno studio dell’Università di Leeds pubblicato sulla rivista Nature Climate Change, secondo cui mais, fagioli e banane sono le coltivazioni più a rischio a causa del cambiamento climatico. Lo studio prende in esame, regione per regione, i probabili effetti del riscaldamento del pianeta su nove colture che rappresentano il 50% della produzione nell’Africa subsahariana, e individuano le aree e la tempistica con cui intervenire per tutelare la sicurezza alimentare e i piccoli coltivatori. In base all’indagine, sei delle nove colture resteranno stabili anche in scenari moderati ed estremi di cambiamento climatico. Tuttavia il 30% delle zone in cui si coltivano mais e banane, e il 60% delle terre dedicate alla produzione di fagioli, rischiano di diventare impraticabili entro la fine del secolo. In alcune aree, evidenziano gli esperti, le trasformazioni agricole vanno messe in campo entro il 2025. Tali trasformazioni includono cambiare colture nell’area in questione, migliorare i sistemi di irrigazione o rinunciare all’agricoltura. “L’agricoltura necessita di essere flessibile per rispondere al cambiamento climatico”, spiegano i ricercatori. “Entro la fine del prossimo decennio molte aree non saranno più adatte a talune colture. Il tempo per trasformare l’agricoltura africana sta per scadere”. Non è da sottovalutare nemmeno la malattia che ha colpito negli ultimi anni le banane, la cosiddetta “malattia di Panama”, anche se ad oggi non sembrano esserci particolari allarmismi. Per gli operatori la cosiddetta

“Panama Disease” viene vissuta come un problema serio da non prendere sottogamba, certo, ma dal quale non farsi sopraffare, anche se purtroppo non è ancora stata trovata una soluzione. Tornando ai Paesi produttori, per quanto riguarda le Filippine una minore produzione causata da El Niño e l'ingresso di Paesi come l'Ecuador sui medesimi mercati d'esportazione, potrebbe ostacolare quella che sembrava una stagione favorevole. Secondo la Confederazione degli esportatori filippini di Davao, i prezzi al cartone per le banane hanno quasi raggiunto i 10 dollari, una quotazione nettamente migliore rispetto ai 2,22 euro a cartone (13 kg) dell'anno scorso. Il presidente della Confederazione, Ferdinand Marañon, ha dichiarato che la produzione normale per ettaro è di 4.000 cartoni, che l'alterazione climatica de El Niño ha ridotto a meno di 2.000 cartoni. A inizio aprile (giorni 1 e 2) si terrà il secondo congresso nazionale sulle banane, in occasione del quale si riuniranno circa 600 delegati e coltivatori di tutto il Paese. Quest'anno il congresso tratterà le dinamiche locali e internazionali di mercato e la logistica, oltre a suggerire soluzioni per rafforzare la posizione sul mercato estero, per difendersi dall'ingresso dei Paesi sudamericani nei mercati più importanti per le Filippine come Cina, Corea e Giappone. La qualità delle banane per l'export subirà un doppio controllo, dato che si continuano a esportare prodotti non adatti all'export, causando lamentele sulla qualità da parte dei consumatori internazionali e danneggiando così la reputazione delle banane filippine. E Z.

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