![](https://static.isu.pub/fe/default-story-images/news.jpg?width=720&quality=85%2C50)
19 minute read
11 VdC, III, VII,2, pag
La nominazione logica, ossia la determinazione, nasce dal thauma di fronte alla creazione divina. La meraviglia filosofica consiste nella constatazione della differenza ontologica tra il prodotto divino e quello umanamente possibile. Distinguere le cose del mondo dando loro un nome significa affermare la differenza ontologica tra ciò che è per potenza divina e ciò che è per volontà umana. Da questa distinzione ontologica nasce il filosofare, l‟attività distinguente del logos razionale. Nominare è commisurare la potenza di sé, la propria umana potenza, dalla potenza di Dio. da questa considerazione nasce la fede ontologica, cioè il rispetto e la credenza, nella esistenza di e nella differenza da Dio. La constatazione della potenza di Dio è congiunta alla possibilità della propria potenza. Circoscrivere il pensiero alla sola considerazione della propria potenza, ossia della sola datità della propria presenza, e dunque considerarsi come immagine separata dal suo modello eterno, è ciò che Agostino indica come appartenenza alla “città dell‟uomo”, alla realtà di Cesare, cioè la polis. La esclusiva considerazione della dimensione della presenza dell‟uomo in termini di realtà politica costituisce i contenuto della filosofia in senso greco. Filosofare significa rapportare l‟immagine dell‟uomo agli altri uomini, anziché a Dio, ossia costituire l‟essenza umana come auto-rivelazione di sé a se stesso attraverso gli altri. La grammatica del politico consiste infatti nella distinzione del potere di Sé da quello dell‟Altro. La fondazione filosofica della presenza di Sé nella relazione con l‟Altro si stabilisce attraverso la rimozione dell‟Origine divina, ossia dell‟uomo come immagine di Dio, come sua creazione. La filosofia assumendo la sola ed esclusiva immagine anziché l‟Origine di sé nasce orfana, e nomina il mondo a partire non da Dio ma dal niente. Questo peccato originale del pensiero filosofico consiste col parricidio metafisico della rimozione dell‟arché, dell‟Eterno, a favore del solo presente, della esclusiva presenza ontica dell‟uomo nel tempo che è presente. Pensare razionalmente, cioè in modo logico, equivale a pensare la presenza, cioè il presente, l‟ente, in maniera assoluta, cioè universale, come se fosse l‟unica dimensione del tempo. la logica dilata la presenza facendola diventare unica, ossia universalizzandola. Universalizzare la presenza significa farla derivare da sé stessa e perpetuarla, ossia che prima e dopo della presenza ci sia Niente. Dio, l‟Origine, come Niente. Il razionalismo greco è dunque in essenza nichilismo. Pensare l‟uomo come origine dal Niente, se esalta la creazione umana e la 255
potenza della sua possibilità di nominarla e de-finirla, nello stesso tempo la costituisce come una finzione: la finzione che prima del presente sia il Niente anziché l‟Eterno. A partire da questa Finzione ontologica, nasce la metafisica razionalistica occidentale come conoscenza (gnosis) dell‟Essere. Voegelin sostenne che
Advertisement
tutti i movimenti gnostici mirano a recidere i legami dell‟essere con la sua origine, cioè con l‟essere divino e trascendente, per proporre un ordine dell‟essere immanente al mondo, la cui perfezione sarebbe a portata dell‟azione umana. Si tratta di modificare la struttura del mondo (avvertita come inadeguata) in maniera così radicale che da quella modifica emerga un mondo nuovo, di piena soddisfazione”596
Egli caratterizza “tre casi esemplari” di movimenti gnostici nei quali un “fattore della realtà è stato omesso al fine di far sembrare plausibile la possibilità di un‟alterazione nello stato di cose insoddisfacente”,597 ma in realtà, come abbiamo visto, è la costituzione del discorso razionale stesso a de-finirsi come scissione dall‟unità del legein in forma oggettiva del logos. Ogni discorso razionale è una oggettivazione dell‟Essere, come determinazione del legein da parte del logos, ogni ragionamento è una elaborazione del Mito, una mito-logia, una intenzionale rappresentazione della realtà, che è oggetto della filosofia. Come afferma Hegel nella Prefazione alla Fenomenologia dello Spirito, “la filosofia è essenzialmente nell‟elemento dell‟universalità che chiude in sé il particolare”598 In realtà, la comprensione del “particolare” è il modo proprio del logos di rappresentare la realtà come “unità di tutte le cose”, che Aristile chiamava “anima”599 e che per Nietzsche è “quell‟imperioso qualcosa che è chiamato „spirito‟ dal volgo che vuole signoreggiarein sé e intorno a sée sentirsi padrone [e che] possiede la volontà di ridurre il molteplice ad unità, una vlontà allacciante, infrenante, avida di dominio e realmente dominatrice” nella sua “inclinazione ad
596 E. Voegelin, Ersatz Religion cit., pagg. 24-25. 597 Ivi, pag. 26. 598 G.W.F. Hegel, Die Phaenomenologie des Geistes (1807), tr. it. di E. De Negri, Firenze, 1960, vol. I, pag. 1. da ora FdS. 599 “L‟anima è in qualche maniera tutte le cose”: Aristotele, Dell’anima b, 21, tr. it. di R. Laurenti, in Opere, cit., vol. II, pag. 545. 256
assimilare il nuovo all‟antico, a semplificare il molteplice, a ignorare o a respingere quel che è del tutto contraddittorio” al suo “orizzonte che rinchiude”.600 Ma tale unità non riguarda veramente “tutte le cose” in quanto cose, ma solo la loro determinazione ideale. Ciò vuol dire che nella rappresentazione logoica le cose che sono, sono in quanto enti logici, e non concreti, cioè naturali, poiché nella loro concretezza le cose naturali non sono unificabili, ma conservano la loro inseità, cioè appunto la loro concretezza o naturalità, ossia la loro in-oggettualità. E quando Marx scrive che “l‟uomo è direttamente un essere di natura”, intendendo la sua appartenenza al “mondo esterno sensibile”, e che “l‟oggetto che il lavoro produce, il prodotto del lavoro, si leva di fronte ad esso come un essere estraneo, come una potenza indipendente dal produttore”, cioè che “il prodotto del lavoro è il lavoro che si è fissato in un oggetto, che è diventato cosa: è l‟oggettivazione del lavoro”,601 vuole intendere che l‟assunzione del prodotto umano in un ambito in-naturale quale il valore economico, è una considerazione astratta del lavoro, non naturale, ossia non finalizzata al suo utilizzo naturale, in-mediato. La in-mediatezza, cioè la condizione nella quale non interviene il logos oggettivante, e dunque astraente, sarebbe quella naturale, in cui le cose sono ciò-che-sono e non enti destinati dall‟uomo a essere altro da ciò che originariamente sono. Il cambiamento di status operato dal logos sulle cose consiste nella loro oggettivazione, ossia nella astrazione dalla loro origine naturale e inserzione in una destinazione altra da quella naturale originaria. Qual è tale destinazione logica altra da quella naturale? Appunto la loro con-prensione entro una identità razionale. Il passaggio estraniante dall‟in-determinatezza originaria alla determinazione razionale è l‟opera propria del logos. Il pensiero costruito sulla base di tale opera estraniante del logos è il pensiero filosofico, la cui “verità” è il concetto della sua con-prensione della realtà. Il “cominciamento del conoscere” filosofico coincide con la differenza ontologica dall‟unità in-distinta del Tutto, operata appunto dal logos. Come dice Hegel, “La differenza è il limite della cosa; essa è là dove la cosa cessa, o è ciò che questa non è”,602 ossia l‟ambito fuori del quale la cosa
600 F. Nietzsche, Al di là del bene e del male, af. 230. 601 K. Marx, Oekonomisch-philosophische Manuskripte aus dem Jahre 1844, tr. it. di F. Andolfi, Milano, 2016, pag. 56. 602 G.W.F. Hegel, Introduzione alla FdS, pag. 3. 257
cessa di essere un ente di ragione è l‟unità con-prendente razionale, l‟unità operata dal logos a seguito della sottrazione delle cose dal loro essere naturale. Ciò vuol dire che l‟unità logica è diversa dall‟appartenenza di ogni cosa all‟Uno originario, al Tutto, il quale costituisce appunto una unità diversa dall‟Essere oggetto del logos filosofico. Il peccato originale di cui è macchiata la conoscenza razionale consiste nella rappresentazione della realtà quale Essere del mondo umano, anziché quale opera di Dio. ed è questo il senso originario della distinzione operata da Agostino tra le due città, tra le due realtà. E poiché, come afferma Heidegger, “l‟Essere è sempre l‟essere di un ente”,603 l‟essenza della realtà onto-logica è una essenza esclusiva della totalità, ossia non la con-prende, ma si costituisce come realtà diversa e in-dipendente da quella stessa totalità originaria. Come afferma Hegel, “la vera figura nella quale la verità esiste, può essere soltanto il sistema scientifico di essa”, la cui “interiore necessità […] sta nella sua natura”,604 ovvero nella ragione stessa della sua costituzione differente, esclusiva, filosofica. La costituzione della verità filosofica come realtà razionale dell‟Essere esclusiva della alterità rispetto ad esso, affermando sé come differenza dal non-Essere, afferma che il Tutto da cui l‟Essere del logos proviene, sia Niente. E in tale negazione del Tutto per l‟Essere esclusivo, che è inscritta nella genesi stessa del logos apofantico, è per sua natura a-tea, differente dalla considerazione di Dio quale creatore della Natura e dell‟uomo stesso naturale. Se Dio aveva bisogno dell‟uomo per affermare la Sua potenza creatrice, creando l‟immagine di Sé, l‟uomo, per affermare la sua immagine del mondo, la sua rappresentazione razionale, ha bisogno di Dio come termine di alterità negativa del suo proprio Essere. E pertanto, se il Tutto (o Dio) si afferma come determinazione positiva di sé stesso, divenendo altro da sé, questa immagine del sé originario divenuta Altro da quel sé, per affermare il proprio sé deve negare il suo Altro, ossia il Tutto di Dio. La ragione dell‟esistenza dell‟uomo, la sua onticità differente, cioè la sua essenza ontologica, si costituisce nel limite di tale differenza ontologica, entro il cui orizzonte il prodotto della sua oggettivazione della realtà ha valore di verità. Ciò implica che il valore di verità razionale, ossia la sua
603 M. Heidegger, Sein und Zeit (1927), tr. it. di P. Chiodi, Milano, 1976, pag. 24. 604 G.W.F. Hegel, Introduzione alla FdS, pag. 4. 258
“universalità”, che è la condizione per la quale “solo nel concetto la verità trova l‟elemento della sua esistenza”,605 tanto più si afferma la sua differenza quanto più nega la sua origine arcaica, trascendente l‟Essere. L‟espansione del razionalismo come metodo di conoscenza della realtà è il risvolto gnostico della rimozione della realtà di Dio dalla realtà umanizzata del mondo razionalizzato, rappresentato come Essere di ragione, come marxiana “natura antropologica”.606 La Finzione ontologica, sul cui fondamento si rappresenta l‟immagine della verità del logos, è l‟immagine di Dio che si rappresenta negandoLo, e in questo paradosso si sviluppa l‟intero discorso razionale della conoscenza filosofica in quanto tale, ossia della “pura ragione”. L‟aspetto paradossale della rappresentazione logica della realtà non inerisce soltanto al parricidio divino operato dall‟uomo attraverso il logos, ma alla stessa costituzione ontologica dell‟Essere come ente di ragione, “essenza” che è “presenza universale”,607 la cui universalità consiste cioè nella pretesa anticipazione nel concetto di tutti gli “adesso” costitutivi della presenza (parousia) originaria quale atto creativo della potenza di Dio. Attraverso la rimozione di quella potenza arcaica e l‟assunzione della creazione come fare oggettivato nel prodotto, la coscienza forma la realtà razionale in cui abita, ossia il mondo antropologico della socialità politica e della parola. Ma alla base di questa realtà oggettivata dalla coscienza razionale c‟è l‟atto di fede nella verità dell‟obiettivazione, che Hegel chiama il “sentimento dell‟essenza”,608 per cui la rappresentazione sé creduta vera a esclusione di ogni altra possibile. E proprio in questa esclusione di possibilità consiste la negazione con cui il logos afferma la necessità della sua determinazione apofantica, la sua potenza ontologica. La realtà oggettiva di tale potenza esclusiva è il Potere politico, il giudizio politico che si manifesta come forza sociale istituzionalizzata, in “rappresentazione” (Schmitt). Il destino, ossia la necessità, che ispira il processo fenomenologico del Logos, èdi dover tornare sempre all‟origine della sua posizione ontologica, come al rifugio di una trincea dietro la quale il Logos sarebbe sospinto
605 G.W.F. Hegel, Introduzione alla FdS, pag. 5.
606 K. Marx, Manoscritt del 1848, cit. da E. Voegelin, Wissenschaft, Politik und Gnosis, tr. it. cit., pag. 70. 607 G.W.F. Hegel, Introduzione alla FdS, pag. 6. 608 Ibidem.
259
verso l‟abisso nel Niente. Questo “eterno ritorno” all‟inizio della posizione ontologica, è una ripartenza dalla Finzione della originaria presenza, dalla “immediatezza del sapere” che per Hegel è lo stesso Essere.609 Voegelin distingue “tre stadi dell‟inganno”: quello del “giudizio erroneo”, quello della “consapevole perseveranza” in cui l‟errore diventa “truffa intellettuale”, quello infine della “rivelazione” e del “riconoscimento che la truffa è causata dalla rivolta contro Dio”, in cui l‟inganno diventa “menzogna demoniaca”.610 Quest‟ultimo è lo stadio dell‟odio prometeico verso gli dèi, il nosos spirituale che colpì l‟eroe negativo di Eschilo, che Platone chiama “follia” (nosema), e che consiste nella volontà di confermare scientemente la rinuncia a ogni origine del pensiero che non sia auto-posizione di sé, ossia volontà di essere se stesso anziché l‟Altro, cioè potenza. Il destino di tornare in una “seconda navigazione” della coscienza all‟orgine del suo cominciamento, consiste nel ri-posizionare l‟inizio per atto non più ingenuamento ingenuo ma volontariamente voluto. Questa auto-posizione della coscienza filosofica costituisce per Voegelin il passaggio hegeliano dalla filosofia, come “amore della conoscenza” (Liebe zum Wissen) alla gnosi quale “vera conoscenza” (wirkliches Wissen).611 Voegelin stesso raffronta la posizione hegeliana con quella platonica del Fedro in cui si stabilisce la differenza tra il sophos, che è “colui che conosce”, e il philosophos, che è il pensatore secondo il Logos. 612 Dal raffronto “dovremo concludere che, mentre è possibile un progresso, in fatto di chiarezza e precisione, nella conoscnza dell‟ordine e dell‟essere, il salto oltre i confini del finito nella perfezine della conoscenza vera è impossibie. Se un pensatore tenta tale salto, non fa progredire la filosofia, ma l‟abbandona per diventare uno gnostico”, che è colui che, attraverso la “scienza”, ossia un pensiero sistematico e coerente di comprensione universale dell‟Essere emancipato da ogni origine trascendente, “svela la sua volontà di farsi signore dell‟essere”613 La gnosi, dunque, consisterebbe per Voegelin, nella sistematica volontà della filosofia di costituirsi come
609 G.W.F. Hegel, Introduzione alla FdS, pag. 13. 610 E. Voegelin, Wissenschaft, Politik und Gnosis, tr. it. cit, pagg. 82-83. 611 Ivi, pag. 90. 612 Platone, Fedro, 278d, cit. da E. Voegelin, Wissenschaft, Politik und Gnosis, pag. 91. 613 Ivi, pagg. 92-93.
260
scienza degli unversali, lasciando supporre l‟innocenza dello statuto filosofico non sistematico, puramente discorsivo e circoscritto entro il suo orizzonte noetico. Eppure, comeabbiamo visto in diversi momenti della nostra ricerca, la posizione filosofica ha in sé latente la dis-posizione a costituirsi come valore universale, inclusivo nella sua con-prensione ogni aspetto inerente all‟Essere. questa tendenza latente veniva mitigata in Platone, ma rigettata quindi da Aristotile, da quelle “distinzioni del pensiero” in molteplici idee quali “il Bello, il Sacro, l‟Eterno, la Religione, l‟Amore”, che Hegel considera delle “esche” teoretiche adatte a “stuzzicare non il concetto ma l‟estasi”, che però non soddisfanolo spirito scientifico, il quale “pretende ora dalla filosofia non tanto di sapere che cosa esso è, quanto di riuscire, mediante lei, alla ricostituzione della perduta sostanzialità e della compattezza dell‟essere”.614 La filosofia, dunque, nella prospettiva scientifica di Hegel, diventa strumento teoretico finalizzato a una conoscenza superiore, conseguita la quale il medesimo philosophos platonico diventi theophilos, cioè “amante di Dio”.615 La conoscenza razionale, dunque, per conservare il suo precipuo statuto filosofico doveva mantenersi all‟interno di un orizzonte teoretico in cui la logica non trasmodasse in ideo-logia, ossia in un sapere che da universale diventasse totale, occupando perciò ogni ambito di conoscenza.616 Ma questa pretesa limitatezza del pensiero razionale già in Platone mostra la sua impossibile affermazione allorquando il metodo dialettico esce dall‟ambito contemplativo del cenacolo sapienziale esoterico per diventare tecno-logia politica, sapere applicato alla prassi sociale. E‟ pur vero che l‟ipotesi di un elitario Governo filosofico pare conservare una differenza tra il valore in sé e il valore riconosciuto dalla massa dei sudditi, ma la comune vigenza erga omnes degli stessi principi veritativi attestava quella differenza nei termini puramente sociologici di una aristocrazia al potere dominante sulla
614 G.W.F. Hegel, Introduzione alla FdS, pag. 6. 615 E. Voegelin, Wissenschaft, Politik und Gnosis, pag. 92. 616 Questa tesi filosofica fu sostenuta in Italia da B. Croce, in polemica costante con l‟attualismo dell‟altro neo-hegeliano G. Gentile. Ma sia l‟esito platonico del sistema crociano, per cui le categorie ideali del giudizio sono esse stesse in-definibili e quindi riportano a un‟unità indistinta originaria, che l‟esito prassistico della autoctisi gentiliana, per cui l‟assoluto pensiero si converte nel suo opposto reale, stanno a dimostrare l‟impossibile trascendimento dell‟orizzonte razionalistico del filosofare per concetti. Ved. C. Marco, Benedetto Croce filosofo della libertà, Lungro di Cosenza, 2003. 261
moltitudine. Infatti, una volta ammessa l‟universalità del valore sociale, la forma storica della costituzione politica era puramente contingente e reformabile, potendo allo stesso titolo razionale l‟unità politica essere rappresentata tanto dal monarca che dal popolo sovrano, entrambi titolari della sovranità razionale, strappata agli dèi appunto dal Logos. L‟aporia cui giunge il pensiero razionalistico è quella già avvertita da Platone della in-definibilità del Bene, di cui le azioni buone sono testimonianza empirica e significativa ma non risolutiva. L‟illusione filosofica di poter attingere razionalmente, cioè attraverso il concetto, al Bene mostra tutta la sua inanità nel momento in cui si perviene alla constatazione dell‟insuperabile imperfezione del prodotto umano, che origina dalla stessa impotenza a de-finire il modello ideale che lo ispira. L‟unica possibilità che la ragine finita ha di restare sé stessa è di trascendersi, ossia di riconoscere il proprio limite ontologico, perdendo l‟ambizione di poter de-finire universalmente la realtà. Ovvero, in altri termini, ammettendo che l‟orizzonte di con-prensione razionale della realtà non sia intrascendibile, ma che esiste qualcosa di altro dal proprio oggetto, che non è dominabile con la ragione e dunque non è disponibile all‟uomo. “La gnosi”, scrive Voegelin, “aspira a dominare l‟essere [e] lo gnostico costruisce il suo sistema con questo scopo. La costruzione di sistemi è una forma gnostica di ragionamento, non una forma filosofica”.617 Egli vuol dire che l‟ordine del discorso razionale quando viene sistematizzato in senso universale, diventando così legge di ragione e modello valoriale di comportamento scientifico, perde il suo carattere filosofico, di contemplazione dell‟Essere, per diventare gnosi, cioè ideo-logia. Ciò significa, altrimenti detto, che la ragione permane nel suo pensiero filosoficamente giusto se si auto-limita, rifiutando di diventare “sistema”. “Se, dunque, io possono costruire un sistema, la verità della premessa ne risulta provata; il fatto che io possa costruire un sistema su una premessa falsa non è neppure preso in considerazione. Il sistema è giustificato dal fatto di venir costruito […]”.618 Ma il limite della ragione non può essere ammesso dalla ragione stessa, la cui validità gnoseologica consiste nella sua pretesa universalità, che è la
617 E. Voegelin, Wissenschaft, Politik und Gnosis, cit., pag. 93. 618 Ivi, pag. 94.
262
fede epistemologica del razionalista. Affermare un giudizio che non fosse universalizzabile equivarrebbe a porre un principio fintamente vero, una ipotesi o “congettura” destinata a essere confutata empiricamente. E pertanto il filosofare stesso, allorquando volesse affermare la propria universalità, verrebbe a perdere il suo carattere veritativo, che, a questo punto, non si capisce più quale sia. Ma l‟ambizione di Socrate e poi ancora più smodata di Platone, era quella di determinare un pensiero non soggetto a confutazioni empiriche, e dunque diverso dall‟opinione molteplice dei retori chiacchieroni, dei sofisti. E‟ esattamente questa ambizione ciò cui dovrebbero rinunciare i filosofi, e che costituisce l‟obiettivo di Hegel. Ma perché il filosofo non prende in considerazione l‟ipotesi che egli ragioni a partire da una premessa falsa? Per la semplice ed essenziae ragione che quella premessa, quel principio di ragione, per il filosofo è vero, ed egli crede nella sua verità. Senza quela fede, non soltanto non ci sarebbe alcun sistema, ma neppure alcun ragionamento razionale, poiché quella fede nella verità del principio di ragione costituisce la differenza tra il ragionare filosofico e il raccontare mitografico, tra il pensiero e l‟affabulazione. La fede nel logos costituisce il discrimine tra la realtà e la fantasia, per cui il principio filosofico è lo stesso principio di realtà, venuto meno i quale, confutato o negato, lo stesso ragionamento, compreso lo stesso sistema, viene a cadere, a perdere la sua credibilità, divenendo solo cimento letterario, fabula. Il filosofo non può mettere in dubbio la veridicità del suo principio di ragine senza screditare lo stesso suo ragionamento. Ammettere la finzione iniziale, ossia attribuendo alla conoscenza razionale un valore puramente ipotetico, nn significa conoscere la realtà ma appunto soltanto dominarla per mezzo del pensiero. L‟esito pragmatistico del razionalismo moderno, e quello probabilistico dello scientismo, derivano dalla sconfessione, non già del principio di realtà, ma del suo valore universale. Ma la contestualizzazione del sapere in un ambito situazionale riporta la conoscenza nei termini delle “visioni del mondo” (Weltanschauungen) proprie delle culture locali e degli orizzonti di coscienza che la filosofia intendeva superare in vista di un sapere universale. Questo processo di neutralizzazione del valore universale delle forme di pensiero filosofico consegna i “sistemi” alla dimensione del Mito, dell‟affabulazione fantastica, mentre la conservazione del principio di realtà sul quale quei sistemi erano costruiti destina la metodica teoretica del logos alla sua mera fruizione tecnica. L‟esito paradossale del sapere filosofico a tecnica del 263
pensare per causas è già inscritto nella originaria Finzione metafisica del logos, il cui svelamento la rivela, poiché la sua ammissione di in-potenza universale non l‟ha negato come principio di realtà, ma lo ha soltanto ridimensionato alla sua destinazione di potenza, diventata consapevolmente tale, ossia consapevole “volontà di potenza”. E dunque, questa volontà, celata sotto la fede noetica del filosofare, era inscritta sin all‟origine dell‟assunzione del logos a principio di realtà. Ed è bastato svelarne la pretesa universalistica per neutralizzarlo nei termini neutri di una tecnica di dominio del mondo. A questo punto sorgono due questioni essenziali. La prima riguarda la possibilità che il logos svolta una funzione puramente tecnica, e considerati gli esiti dell‟espansione della scienza come accreditato sapere universale, parrebbe di sì. L‟altra questione inerisce invece alla possibilità stessa del logos a costituirsi come sapere. Nel primo caso, si ammette la tecnica razionale ma non la possibilità di un sistema razionalistico. Nel secondo caso, si nega più radicalmente ogni possibiità al logos di essere fondamento di realtà. L‟opzione di Voegelin è la prima, ma in entrambi i casi la sorte della filosofia quale conoscenza di valore universale è segnata. Ora, che la pretesa fideistica della filosofia di costituire il principio di realtà fosse “follia” al cospetto della vera fede, era convinzione già del cristiano Paolo, e dunque non è una novità assoluta. Ciò che è nuovo in Nietzsche è che tale consapevolezza emerga all‟interno dell‟orizzonte di fede razionalistica, cioè all‟interno della filosofia, e non fuori di essa, ossia nel campo della fede cristiana. E‟ lo scienziato Nietzsche, e non l‟uomo di fede religiosa, ad assumere la “follia” come cifra originaria del filosofare, come fondamento menzognero e illusorio del discorso razionale. Da parte cristiana questo lo si sapeva ab origine. L‟aspetto problematico di tale consapevolezza cristiana è l‟adozione del metodo filosofico, ossia della sua tecnica procedurale del logos, ai fini di giustificare razionalmente la fede cristiana. L‟inserzione della follia della ratio nel corpus fidei cristiano ha dato origine alla teologia del cristianesimo, alla cristologia quale rappresentazione escatologica del mondo. L‟innovazione fondamentae di tale rappresentazione cosmica, rispetto a quella della filosofia pagana, è nel suo fondamento ontologico, inteso non più come una ipotesi teoretica o una finzione cosmologica, cioè come un Mito, ma come la Verità stessa, ossia come la vera universalità, sul fondamento della quale il logos poteva finalmente manifestare tutte intere 264