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Il grido della Terra

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“Pronta beva”

“Pronta beva”

SPAZIO LIBERO

di pasquale di lena Il giorno in cui la Terra, a partire dal 1971, avrà dato tutto quello che poteva dare, quello del sovrasfruttamento, meglio noto, come Overshoot day, è una scadenza importante perché racconta molte cose della realtà difficile che la Terra vive e, nel contempo, apre (ammesso ce ne sia ancora tempo…) una riflessione sul futuro del pianeta.

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Quest’anno – nonostante la pandemia, le guerre e la guerra in atto – il 28 luglio, un giorno prima, causa Covid, dello scorso anno, cioè 25 giorni prima della scadenza che c’è stata nel 2020. Una data, il 28 luglio, che sta a significare un ulteriore avvicinamento al 1° di gennaio, quando si ridurrà a zero la disponibilità, da parte del pianeta, di risorse naturali e servizi eco sistemici. Come dire che quel 1° di gennaio di terre ce ne vogliono due per soddisfare lo spreco di natura che sta caratterizzando il sistema delle banche e delle multinazionali, il neoliberismo, quello del dio denaro e della globalizzazione, del consumismo spietato, che lo anima al pari del non senso del limite e del finito. Un dato diverso per i cinque continenti e per i singoli paesi, col nostro che ha già dato, anticipando così la data nel mese di maggio scorso. La triste verità è che i “grandi” che s’incontrano e discutono apertamente della situazione che vive il mondo, ogni anno a Davos, in Svizzera (23 maggio scorso), e quelli, ancor più speciali, del Gruppo Bilderberg che, al chiuso di una sala in una città del mondo (il forum di quest’anno è di qualche settimana fa a Washington, Dc), alla presenza di 130 invitati, com’è noto hanno tutti l’obbligo assoluto della riservatezza, nella generalità dei casi ripagata con incarichi importanti. Questo per dire che è inutile chiedere a Stefano Feltri, direttore del quotidiano Domani, e a Francesco Storace, amministratore delegato di Enel S.p.a., i due italiani invitati a Washington, cosa hanno detto il presidente del Consiglio Europeo, il direttore della Cia, il segretario della Nato, l’eterno Kissinger e altri personaggi. Inutile, solo perdita di tempo, perché hanno dato la loro parola e assicurato il loro silenzio. Non è dato sapere se i due già citati italiani e il resto dei partecipanti all’incontro hanno ricordato l’”Eart Overshoot Day”, ma, a sentire quelli riuniti, due settimane prima, a Davos, qualche preoccupazione (la prima volta) di come sta andando il mondo, sulla strada da loro tracciata, c’è stata. Un primo sinistro scricchiolio, che è solo l’inizio dell’implosione annunciata di un sistema. Un’implosione che coinvolgerà anche noi tutti, se non troviamo una via di fuga che, a mio parere, sta in un’inversione di rotta e nella scelta di una strada, non importa se sterrata, che va in direzione opposta a quella imposta dal “virus dell’avidità”, come scrive Vandana Shiva, dei signori del denaro. Sulla news “Numeri pari” di qualche settimana fa valeva la pena leggere un articolo molto interessante “Fratelli tutti nell’ombra dell’Antropocene” di Wolfgang Sachs. Parla di una scelta obbligata, quella della “Prosperi-

tà frugale… combinando un’economia di risparmio delle risorse con stili di vita differenti in tutto il mondo”. Due parole “prosperità frugale” che dicono tutto e lasciano intravedere – diversamente dalle illusioni del denaro, nel momento in cui non è più un mezzo – orizzonti diversi che riportano la natura, a sorridere e l’uomo a vivere momenti veri di felicità. A partire dai valori, quali l’amore, l’amicizia; dalle buone abitudini, quale la convivialità data dall’atto agricolo che racconta la biodiversità, il cibo e, con esso, un bicchier di buon vino; un sorso d’acqua potabile e boccate d’aria pulita che lasciano respirare, a differenza del covid. Una fine che il sovrasfruttamento della natura annuncia e le fa dire: “In un giorno dell’anno, ti ho dato tutto quello che ho. Sappi, però, che, da oggi alla fine dell’anno, non ho più niente da darti!”. Quasi tutti riescono a vedere bene gli effetti, ma sono rari quelli che vanno alla causa scatenante, essenziale per interpretarli nel modo giusto e, con la politica e le scelte, correggerla o, se necessario, eliminarla del tutto. Torno, per spiegarmi, a Vandana Shiva e al suo libro “Dall’avidità alla cura – una rivoluzione necessaria per un’economia sostenibile”, da poco pubblicato dalla EMI editore nella Collana “Cittadini sul pianeta”. Riporto il primo capoverso che elenca e descrive le emergenze (gli effetti) e leggo “Siamo di fronte a una crisi esistenziale segnata da molteplici emergenze: la pandemia sanitaria, la pandemia della fame, la pandemia della povertà, la pandemia della paura e della disperazione, l’emergenza climatica, l’emergenza dell’estinzione, l’emergenza dell’ingiustizia, dell’esclusione e della disuguaglianza, l’espropriazione e lo sradicamento di larghe fasce della popolazione”. Continuo a leggere e, nel secondo capoverso, trovo la descrizione che l’autrice fa della causa dei sopraelencati effetti: “Queste emergenze sono interconnesse e affondano le radici in un paradigma economico basato sull’estrattivismo e sulla crescita senza fine. Un paradigma spinto da un’avidità senza freni, che non riconosce limiti ecologici o etici, non rispetta l’integrità e i diritti della Terra e dell’umanità”. Il riferimento della brava Vandana Shiva è al neoliberismo, il sistema delle banche e delle multinazionali, dei padroni del mondo descritti all’inizio di questa mia nota. Il sistema che nessuno nomina per la sua abilità a non apparire e, così, a non esser combattuto e abbattuto. Un esempio di questa straordinaria abilità del sistema a non apparire sta nel mostrare sempre gli effetti e mai la causa. L’acqua e la sua mancanza, col Nord e la Pianura Padana a patire la sua razionalizzazione per colpa della siccità, è l’effetto di una causa, il clima, che non solo non viene risolta, dopo le tante parole spese e i tanti incontri fatti, ma ancor più aggravata con la continuità delle azioni, quali le perforazioni, le aperture di miniere di carbone, l’agricoltura industriale e gli allevamenti superintensivi. Gli effetti di una causa, che, a una data scadenza dell’anno, porta la terra a gridare il suo dolore per non aver più altro da dare!

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