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SUPPLEMENTO DI ARTI E CULTURA DEL SABATO
di Pier Mario Fasanotti periamo che i signori accademici di Stoccolma, che probabilmente non daranno mai il premio Nobel a Philip Roth, si ravvedano nel prossimo futuro, che si tolgano dalla pelle quell’odiosa diffidenza verso gli scrittori americani di pelle bianca, come se il colore epidermico coincidesse sempre con il progressismo, lo stare contro il diavolo colonialista e la ferocia del mercato occidentale. Un’occasione ce l’avrebbero: premiare Paul Auster che all’età di sessant’anni ha dato alle stampe (in Italia mirabilmente tradotto e pubblicato da Einaudi, 223 pagine, 17,30 euro) il suo sedicesimo romanzo intitolato Invisibile. Secondo il New Yorker è «il suo migliore libro». Critici autorevoli hanno applaudito. In Italia anche, malgrado qualcuno, in un quotidiano a forte tiratura, sia incappato nell’incomprensione del ritmo stilistico di Auster, che ha come propria caratteristica artistica quella di raccontare storie da più di una visuale, di renderle credibili e allo stesso tempo relegarle nel mondo onirico, quello del possibile, anzi del verosimile. Nessuna «civetteria stilistica (abbastanza insopportabile)», come è stato sciattamente scritto, nel passare dalla prima alla terza persona laddove l’episodio, scandalosamente forte e imbarazzante come un incesto tra fratelli, è collocabile sia in Il suo una realtà della quale nuovo romanzo, non s’afferra mai
S
“Invisibile”, lo candida definitivamente alla laurea mondiale che il discusso premio svedese conferisce. Un intreccio di realismo e visionarietà intriso di cultura completameneuropea ma di stampo te il senso, sia nel newyorchese bacino delle pulsioni in-
Perché lo scrittore americano meriterebbe il Nobel
AUSTERFILIA 9 771827 881301
00220
ISSN 1827-8817
Parola chiave Memoria di Sergio Valzania Non delude il ritorno di Sade di Stefano Bianchi
NELLE PAGINE DI POESIA
Ungaretti, la parola come riscatto dalla caducità di Filippo La Porta
time e segrete. Le quali hanno un’ambientazione che s’intreccia con quelle della vita quotidiana. Ma come non capirlo? Verrebbe da dire. Sorge a questo punto una domanda più che lecita: si deve ancora conferire il solenne credito alla giuria svedese che in questi ultimi anni, a parte il grandissimo Orhan Pamuk, ha compiuto scelte alquanto discutibili? Ammettiamo comunque che il «marchio Nobel» è indelebile e ha un’eco strabiliante. È una sorta di laurea mondiale. Che poi il plauso accademico e della critica non sia internazionalmente unanime è certo da tener conto. Ed è un segnale, sempre più robusto.
Chi ha paura di Federico II? di Mario Bernardi Guardi Lupi mannari e testimoni protetti di Anselma Dell’Olio
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L’Estetica secondo Grace di Marco Vallora