2008_04_15

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80415

QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA • DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK CONSIGLIO DI DIREZIONE: GIULIANO CAZZOLA, GENNARO MALGIERI, PAOLO MESSA

9 771827 881004

di e h c a n cro di Ferdinando Adornato

33,6(+4,3)

5,4

3,0

Veltroni (con Di Pietro) distrugge la sinistra radicale Casini resiste alla campagna di annullamento ed è il primo partito dopo Pdl e Pd

Bertinotti non riesce neanche ad entrare alla Camera e si dimette

36,2(+9,2)

Il Cavaliere per la terza volta a Palazzo Chigi ma deve fare i conti con l’exploit di Bossi

Poste italiane spa • Spedizione in abbonamento postale d.l. 353/2003 (conv. in L. 27-02-2004 n.46) art. 1; comma 1 - Roma

Vince Berlusconi. Come governerà? Ancora una volta gli exit poll sbagliano tutto. Dai risultati emerge una maggioranza di destra, condizionata però dai numeri determinanti della Lega VISTO DAL PDL

VISTO DAL PD

Il bipolarismo ha fatto il vuoto

La grande rimonta di Veltroni

di Gennaro Malgieri pagina 6

colloquio con Augusto Barbera di Riccardo Paradisi pagina 7

VISTO DALL’UDC

VISTO DALLA SA

Dovranno temerci entrambi

Tutta colpa di Prodi e di Pecoraro

colloquio con Rocco Buttiglione di Errico Novi colloquio con Luciano Canfora di Susanna Turco pagina 3 pagina 8

alle pagine 2, 3, 4 e 5

i dati riportati sono relativi a 48.972 sezioni scrutinate su 61.062

MARTEDÌ 15 APRILE 2008 • EURO 1,00 • ANNO XIII •

NUMERO

68 •

WWW.LIBERAL.IT

• CHIUSO

IN REDAZIONE ALLE ORE

22.30


pagina 2 • 15 aprile 2008

elezioni 2008

Domande e risposte su un risultato elettorale netto che riporta al governo il Cavaliere, con il supporto decisivo della Lega tornata agli antichi splendori, in un Parlamento semplificato da cui è rimasta esclusa la Sinistra arcobaleno

Che farà Berlusconi della sua terza vittoria? di Renzo Foa ilvio Berlusconi vince e torna per la terza volta a Palazzo Chigi. Incassa un risultato elettorale netto, supportato dal voto con cui la Lega torna ai suoi anni d’oro. La rincorsa di Veltroni, nonostante l’aiuto di Di Pietro, non supera gli ostacoli del Nord, del disastro campano e della memoria del biennio prodiano. Collassa la sinistra di Fausto Bertinotti che paga il disamore del proprio «zoccolo duro» e la mancanza di una proposta credibile. Casini riesce a difendersi dal tentativo di annientamento e conserva una presenza buona a Montecitorio e simbolica a Palazzo Madama. Questo è il dato strettamente politico di una consultazione il cui esito, comunque, era segnato in partenza e che la campagna elettorale non ha modificato.

S

Gli spunti di riflessione, ora, riguardano il futuro della stabilità e della governabilità. A cominciare dai numeri del Senato, dove il Cavaliere ha acquisito un buon vantaggio, anche grazie al fatto che la Sinistra arcobaleno contro ogni attesa non ha avuto propri eletti, che la rappresentanza dell’Udc è minima e che, quindi, la spartizione è avvenuta soprattutto fra le due mini-coalizioni (Pdl+Lega+Mpa e Pd+Idv). Il primo spunto nasce da un dato anche questo in larga parte inatteso: nella legislatura che si apre la Lega sarà decisiva. Berlusconi, in altri termini, dovrà comunque fare i conti con un alleato, perdipiù un alleato pesante, perché rappresenta interessi reali, perché ha una sua storia e soprattutto perché è sempre stato geloso della propria autonomia. È quindi una domanda diretta sulla governabilità, che dipenderà dalla stabilità dell’alleanza di centro-destra. Ancora una volta, come già nel 1994 e nel 2001, il vincitore non avrà le mani libere e dovrà fare i conti con un altro soggetto. Ed è lo stesso vincitore che già nel ’94 venne disarcionato anche dalla Lega e che, successivamente, ha scaricato su un altro alleato, Casini, la responsabilità dell’incompiutezza della stagione della Casa delle libertà. Siamo dunque lontani da quell’assetto bipartitico pieno che era l’obbiettivo primario di Pd e Pdl. E questo è un secondo spunto di riflessione. È vero che la vita parlamentare sarà semplificata rispetto al passato. Ci saranno pochi gruppi, tra l’al-

tro con il vantaggio di abbattere «i costi della politica» e del funzionamento delle istituzioni. A Montecitorio ci saranno quelli del Pdl, del Pd, della Lega, dell’Idv e dell’Udc, un vero e proprio record rispetto al passato. Resta la domanda se, in una stagione della vita italiana in cui tutte le grandi attese sono state più o meno deluse, questa sia davvero la soluzione del problema. Se la corsa, avvenuta negli ultimi mesi, alla semplificazione possa portare a qualcosa di solido o no. Il Pdl ha prevalso – e il discorso avrebbe riguardato anche il Pd – ma al momento appare ancora come a un contenitore che assomiglia più ad un patto elettorale che ad un progetto organico e duraturo. Certamente Berlusconi ha vinto la sua sfida. Così come Fini ha risolto, sullo slancio, i proble-

to è stato soprattutto a spese della Sinistra arcobaleno. Non c’è stato uno sfondamento al centro nè sul fronte opposto. Dal discorso del Lingotto ad oggi ha compiuto un percorso con il quale ha cercato di collocare su una strada di rinnovamento il polveroso patrimonio che è stato via del Pds, dei Ds, della Margherita, dell’Ulivo e, infine, dei radicali. Una linea di innovazione accompagnata dal tentativo di non perdere troppo del passato. Non gli è andata male. Conoscendo però gli equilibri fra i potentati del suo schieramento, c’è da chiedersi se il risultato non aprirà contese e contestazioni, soprattutto di fronte alla prospettiva di una stagione di opposizione, ma anche di necessarie responsabilità condivise per le necessarie riforme elettorali e istituzionali.

C’è da chiedersi in cosa il «berlusconismo» di governo del 2008 sarà diverso da quello del ’94 e del 2001. Soprattutto in quale modo intenderà affrontare i grandi e drammatici problemi del Paese che hanno bisogno di concordia, di responsabilità e di serietà mi postigli dalla scissione di Storace e dalle difficoltà che An incontrato negli ultimi anni. E i successi, come noto, aiutano a superare le difficoltà. Tuttavia il Pdl dovrà diventare un partito attraverso un’esperienza di governo, attraverso scelte chiare, attraverso l’esercizio del potere. Restano al momento sospese tutte le domande su un soggetto politico che è nato all’improvviso e che dovrà misurarsi con l’impresa titanica di affrontare la profondità della crisi italiana.

Un terzo spunto di riflessione riguarda il futuro del Pd. Veltroni – gli va riconosciuto – ha compiuto scelte importanti benché obbligate, ha remato duramente contro una corrente avversa. Ma, il risultato che ha ottenu-

Il quarto spunto di riflessione riguarda la sparizione della sinistra estrema che, soprattutto dopo il 1989, ha preso corpo fino ad avere, con le elezioni del 2006, un forte peso parlamentare e un consistente potere di condizionamento del governo. Per la prima volta, dopo decenni, questa sinistra torna ad essere extraparlamentare. E qui c’è un problema che riguarda la costituzionalizzazione di un’area politica e culturale che Bertinotti aveva fatto di tutto per trasformare, adeguandola alle esigenze del XXI secolo. Il vecchio leader ha fallito ed ora si apre un problema serio, in un paese abituato dal 1946 in poi ad avere rappresentate in Parlamento tutte o quasi le sue componenti politiche.

Quinto spunto: il futuro della «terza forza» che oggi è rappresentata dall’Unione di centro. È riuscita ad evitare il proprio azzeramento, ma non è stata capace di esprimere un appeal sufficiente per l’elettorato incerto, quello che non si riconosceva nè nel Pd nè nel Pdl. I numeri al Senato non le conferiscono un ruolo decisivo. Il suo problema è ora quello di costruirsi una prospettiva, di trovare una stabilità, di essere una responsabile forza di opposizione, sapendo che l’Italia ha bisogno di quel moderatismo politico e culturale che solo una forza centrista può esprimere. Ultimo spunto: cosa sarà il «berlusconismo» di governo nella sua versione 2008? È proprio difficile dare una risposta in partenza, considerando la complessità della figura del Cavaliere e riflettendo anche un po’ sulle sue precedenti esperienze a Palazzo Chigi. Questa volta non si è presentato all’elettorato promettendo una rivoluzione liberale. Si è limitato a proporre una sua rivincita personale – se si può dire così – e anche una tranquilla alternanza dopo le devastazioni provocate da Romano Prodi. Ha battuto il «più giovane» Veltroni. Si sente più libero dopo aver inglobato Forza Italia e Alleanza Nazionale e dopo aver chiuso «i nanetti». E, soprattutto, ha dimostrato di essere in grado di conseguire la sua terza vittoria. Di essere il vincitore di questa stagione della storia repubblicana. Un risultato davvero straordinario. Non ha però detto ancora cosa davvero intende fare. Ha oscillato, anche durante la campagna elettorale, tra un’aspirazione indefinita alle «larghe intese» e l’ambizione di tornare ad imprimere il proprio marchio personale alla politica italiana, come ha fatto quando ha riproposto «lo spirito del ‘94». È un discorso che va aldilà dei numeri al Senato e degli equilibri interni alla mini-coalizione che ha vinto. Quel che c’è da chiedersi è quanto il «berlusconismo», nella sua terza fase, sarà diverso dalle due altre precedenti. Cosa proporrà agli avversari sconfitti, sul terreno delle riforme. Come porterà avanti il progetto bipartitico. In quale modo intenderà affrontare i grandi e drammatici problemi del Paese che hanno bisogno di concordia, di responsabilità e di serietà. È una pagina ancora bianca, da riempire. E il Cavaliere vincitore è disposto ad ogni sorpresa.


elezioni 2008

15 aprile 2008 • pagina 3

Buttiglione: «Nasce un centro indipendente, una grande operazione politica»

«Dovranno temerci a destra e a sinistra» colloquio con Rocco Buttiglione di Errico Novi

ROMA. In un attimo cambia tutto. Anche il ruolo dell’Udc, che al di là delle cifre esce dalla competizione elettorale come l’unica forza alternativa alle due aggregazioni maggiori. Non può trattarsi solo di un partito destinato a interporsi, dice subito Rocco Buttiglione, «saremo chiamati a rappresentare una politica altra, completamente diversa, un’alternativa che non si esprime a partire da premesse ideologiche ma dalla verifica continua dei problemi reali e da una capacità spirituale». Sarete all’opposizione e forse il quadro generale vi chiama esplicitamente a una presenza meno media-

tica, più aperta alla partecipazione rispetto a Pdl e Pd. «Adesso ci aspetta un congresso straordinario, una Costituente di centro, con l’Udc ma anche oltre l’Udc, verso un partito completamente nuovo, capace di dare espressione a grandi potenzialità della società italiana che oggi rimangono fuori dalla politica: da una parte quelle voci che sono più radicate sul terreno dei valori, dall’altra alcune che sono tra le più inserite nei processi di modernizzazione». Serve un’innovazione pro-

fonda rispetto al modo di fare politica di tutte le altre forze.

Dalla nostra Costituente verrà un partito nuovo,aperto.La Lega? È decisiva perché non c’è l’Udc e non c’è neanche Fini.Nel senso che non ha più la forza di contenerla

«È uno sforzo che pagherà: attenzione, perché in questa tornata elettorale non si sono recate alle urne tante persone che svolgono una parte importante nella

vita del Paese e che non trovano un’interlocuzione per i propri problemi». Non è stato facile resistere. «Abbiamo subito pressioni incredibili perché ci mettessimo, come dire, in regola. Come la Sinistra alternativa, con la differenza che noi abbiamo resistito, tanto da compiere una grande operazione politica, la fondazione di un centro indipendente. Una cosa che è guardata con grande preoccupazione sia dal Partito democratico, perché è chiaro che se esiste un centro indipendente c’è un polo d’attrazione per tanti che sono adesso nel Pd, ma anche nel Popolo della libertà, perché l’elettore di centro sa adesso che non è condannato a stare con Berlusconi. È un primo grande risultato ottenuto a costo di un’enorme fatica e in condizioni davvero improbe». Adesso che succede? In Parlamento l’Udc sarà rigidamente vincolata al ruolo di forza d’opposizione o voterà i provvedimenti della maggioranza su cui si trova d’accordo? «Non saremo chiusi, faremo un’opposizione moderna, dina-

mica come avviene in tutti i Paesi civili: tradotto, vuol dire cercare di migliorare i provvedimenti della maggioranza. Berlusconi non può chiederci di votargli la fiducia, ma sulle singole leggi, volta per volta, faremo le nostre valutazioni e proporremo interventi migliorativi: se saranno accettati, potremmo anche votare a favore». Vediamo: quali sono le prime cose su cui solleciterete il governo? «Innanzitutto la politica fiscale per le famiglie: riproporremo la legge Galletti-Buttiglione, presentata sia alla Camera che al Senato nella scorsa legislatura. Il problema grosso in Italia sono le famiglie, sono loro a essere minacciate più di tutti dalla povertà». Iniziativa numero due. «È connessa alla precedente: la riforma della macchina dello Stato, indispensabile per ridurre seriamente il deficit e per fare gli investimenti necessari a difendere le posizioni del nostro Paese sulla scena economica internazionale». Visto il tracollo della Sinistra arcobaleno, è evidente che il Pd ha guadagnato voti su quel fronte e pochissimi tra gli elettori di centro. «Siamo stati noi a impedire che Veltroni si allargasse al centro». E forse in prospettiva i democratici potrebbero privilegiare nella propria identità la componente di sinistra, per assecondare la composizione del proprio elettorato, e così l’Udc… «…potrà trovare ancora maggiore spazio, certo. Il Pd deve decidere cosa fare del consenso raccolto. Noi abbiamo offerto un’occasione a chi non si sente berlusconiano e si percepisce d’altronde alternativo alla sinistra. Nessuno ci ha regalato questa posizione: noi e la Sinistra arcobaleno siamo stati sottoposti a un tentativo di annientamento. A Veltroni l’operazione è riuscita, ha eliminato un concorrente per la costruzione di una sinistra moderna. L’annientamento del centro invece non si è realizzato. E noi adesso siamo decisivi per qualsiasi tipo di futuro politico si voglia immaginare per l’Italia: non siamo decisivi in Parlamento ma nel Paese lo siamo eccome». In ogni caso per il Sud ci sono dei rischi oggettivi, con una maggioranza come quella che ha vinto queste Politiche. «Stavolta la Lega è decisiva. È non è tanto una questione di percentuali. Il Carroccio è decisivo perché Berlusconi ha voluto che lo fosse. Noi prima bilanciavamo la coalizione, adesso noi non ci siamo più e non c’è più Fini. Nel senso che non ha più la forza per contenere la Lega».


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elezioni 2008

Insieme alla Lega, il Popolo della Libertà fa il pieno al Nord e al Sud. E vince nelle regioni incerte

Maggioranza solida anche al Senato di Andrea Mancia

ROMA. La vittoria del PdL è netta, almeno sotto il profilo numerico. Quella alla Camera dei Deputati non era mai stata messa in discussione, anche se i primi exit-poll (sballati, come ormai accade sempre più spesso) avevano addirittura sperare i sostenitori del Pd in un clamoroso sorpasso in extremis. I risultati parziali, però, delineano un successo massiccio, al di là delle previsioni dei soliti “bene informati”. Con 50mila sezioni scrutinate su 60mila, la coalizione PdL+Lega+Mpa raggiunge il 46,4% dei voti, mentre Pd+Idv non vanno oltre il 37,9%. Una differenza dell’8,4% che sale addirittura al 9,1% al Senato, con PdL+Lega al 47,1% e Pd+Idv al 38,1%. Dai dati del Viminale ricaviamo anche i numeri dei singoli partiti alla Camera: PdL 36,4%, Lega Nord 9,0%, Mpa 0,9%, Pd 33,5%, Idv 4,34%. Un risultato straordinario della Lega, dunque, che alla Camera raddoppierebbe i propri consensi rispetto al 2006. E una buona affermazione anche dell’Italia dei Valori. Un altro dato numericamente rilevante è il crollo verticale della Sinistra Arcobaleno (dal 12,4% del 2006 al 3,0% del 2008!), mentre l’Udc resiste tutto sommato bene a questa polarizzazione del quadro politico, passando dal 6,8% del 2006 al 5,5% del 2008. Discreta, ma non eccezionale, anche l’affermazione della Destra (2,4%). Poco al di sotto dell’1%, infine, i Socialisti. Il vero nodo di queste elezioni politiche, però, era senza dubbio il Senato, in cui molti osservatori prevedevano la quasi matematica impossibilità, per il PdL, di raggiungere una maggioranza solida. Con 57mila sezioni scrutinate

Cancellata dal Parlamento la Sinistra Arcobaleno. Il partito di Bossi raddoppia i suoi voti rispetto al 2006. Almeno 3 senatori per l’Udc. Il PdL strappa la Campania al centrosinistra su 60mila, invece, il vantaggio di PdL e Lega su Pd e Idv si aggira intorno ai 9 punti percentuali (47,1% contro 38,1%). Un distacco che, combinato

con la disfatta delle Sinistra Arcobaleno (3,2%) anche nelle regioni rosse dovrebbe, a spoglio ultimato, garantire un numero di seggi al PdL non inferio-

CAMERA RISULTATI PARZIALI 2008

Deput.

2006

Pdl

36,2%

290

36,8%

Lega Nord

9,2%

41

4,6%

Mpa

0,9%

9

-

Tot. lista Berlusconi

46,3%

340

41,4%

Pd

33,6%

210

35,2%

Idv

4,3%

32

2,3%

Tot. lista Veltroni

37,9%

242

37,5%

Udc

5,4%

35

6,8%

Sinistra arcobaleno

3,0%

-

12,4%

la Destra

2,4%

-

-

Socialisti

0,9%

-

1,3%

Lista Ferrara

0,3%

-

-

Altri

3,8%

13

0,6%

I dati sopra riportati si riferiscono a 48.972 sezioni scrutinate su 61.062

re a 166 (e forse superiore a 170). Abbastanza, insomma, per avere a Palazzo Madama una maggioranza di tutto rispetto.

Le uniche incognite, nelle regioni che erano considerate “in bilico” alla vigilia delle elezioni, sono restate a lungo, durante lo spoglio, Lazio e Liguria. Alla fine, però, in Liguria si è imposto il centrodestra con poco meno di 10mila voti di vantaggio (44,1% contro 40,1%). Nel Lazio, mentre scriviamo, sono state scrutinate 4.613 sezioni su 5.235 e il PdL è in vantaggio di circa 80mila voti (44,0% contro 41,5%). Se alla fine dello spoglio il PdL dovesse confermare questo lieve vantaggio, si sarebbe aggiudicato tutte le regioni incerte, visto che ha anche vinto in Sardegna e Calabria. Oltre ad aver strappato nettamente la Campania al centrosinistra con una quindicina di punti percentuali di vantaggio. Cancellata la Sinistra Arcobaleno (3,2%) dal Senato, resiste invece a Palazzo Madama l’Udc (5,6%), che conquista almeno 2 senatori in Sicilia (probabilmente 3) e forse uno in Calabria. Rispetto a questi dati parziali (e soprattutto rispetto alle proiezioni per la Camera), i numeri potranno variare di qualche unità, ma il dato globale non è destinato a cambiare di molto: alla Camera, ma anche al Senato, la coalizione tra Popolo della Libertà, Lega Nord e Mpa avrà i numeri per governare con sostanziale tranquillità. Nell’immediata vigilia del voto, gli analisti pronti a scommettere su un risultato del genere si potevano contare sulle dita di una mano. Niente di nuovo sul fronte occidentale.


elezioni 2008

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LA RIPARTIZIONE DEI SEGGI A PALAZZO MADAMA PIEMONTE Pdl+Lega N. Pd+Idv

TRENTINO ALTO ADIGE Svp 3 2 Pd+Idv Pdl+Lega N. 2

13 9

VENETO Pdl+Lega N. Pd+Idv

Elezioni Senato della Repubblica

14 10

LOMBARDIA Pdl+Lega N. Pd+Idv

30 17 FRIULI VENEZIA GIULIA

VALLE D’AOSTA Uv 1

Pdl+Lega N. Pd+Idv

4 3

EMILIA ROMAGNA Pdl+Lega N. Pd+Idv

9 12 MARCHE 3 5

Pdl+Lega N. Pd+Idv

ABRUZZO LIGURIA TOSCANA Pdl+Lega N. Pd+Idv

5 3

Pdl+Lega N. Pd+Idv

Pdl+Lega N. Pd+Idv

7 11

4 3

MOLISE Pdl+Mpa Pd+Idv

3 3

UMBRIA Pdl+Lega N. Pd+Idv

PUGLIA

3 4

Pdl+Mpa Pd+Idv

12 9

LAZIO Pdl+Mpa Pd+Idv

SARDEGNA Pdl+Mpa Pd+Idv

5 4

15 12

CAMPANIA Pdl+Mpa Pd+Idv

Proiezione in base agli ultimi dati disponibili

BASILICATA Pdl+Mpa Pd+Idv

3 4

CALABRIA

TOTALE Pdl+Lega Nord+Mpa 168 Pd+Idv+Svp+Uv 143 4 Udc

17 13

Pdl+Mpa Pd+Idv Udc

SICILIA Pdl+Mpa Pd+Idv Udc

15 8 3

6 3 1


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elezioni 2008

Visto dal Pdl. Gli elettori hanno recepito il Popolo della Libertà come un vero partito

Il vincitore è il bipolarismo di Gennaro Malgieri bolite gli exit poll, per favore. Non servono e non valgono niente. Soltanto a fare chiacchiere inutili negli studi televisivi. Quanto siano sballati lo dimostra il successo in termini di voti, percentuali e seggi al Senato ed alla Camera del Popolo delle libertà. È sua la vittoria, indiscutibilmente mentre è altrettanto indiscutibile la sconfitta del Pd e dei partiti minori, molti dei quali non saranno neppure rappresentanti nel nuovo Parlamento. Ma è anche la vittoria del bipolarismo che è finalmente entrato nelle coscienze degli italiani e segna l’inizio di una nuova stagione politica. C’è un’affermazione chiara, limpida, della coalizione di centrodestra, con otto punti di vantaggio su quella di Walter Veltroni. Il Popolo della libertà e i suoi alleati avranno l’onore e l’onere di governare il Paese, larghe intese, inciuci, governissimi, grandi coalizioni alla tedesca sono allontanate. Il paventato pareggio è stato scongiurato. Occorreva una maggioranza politica che alla Camera non è stata in discussione neanche con i primi exit poll, il Pdl ha dimostrato di poterla assicurare anche al Senato? Forse l’8% della Lega potrà impedire al restante 39% della coalizione di imporre il suo punto di vista? Interrogativi oziosi destinati ad infrangersi contro la realtà dei numeri, i quali ci dicono che il Pdl ha vinto nettamente le elezioni e governerà con un margine di vantaggio tale da non essere costretto a raccattare voti qua e là come è accaduto al governo di Romano Prodi. Anzi, a Palazzo Madama si affaccia un bipartitismo inedito per il nostro Paese, che garantirà una navigazione tranquilla ed operosa a Berlusconi.

A

La lista del Pdl, dunque, è stata recepita dagli elettori come un vero e proprio partito, anche se ancora non lo è (e molto tempo passerà prima che lo sia), in grado di calamitare consensi “utili” per offrire al Paese la stabilità di cui ha bisogno. Perciò chi nelle scorse settimane ha messo in discussione la necessità di non frammentare il consenso soprattutto sul versante moderato è stato servito: gli italiani che si sono riconosciuti negli ultimi anni nella Casa delle libertà hanno avu-

to la netta percezione che la dispersione del consenso avrebbe favorito il Pd, che esce ridimensionato nelle ambizioni, e si sono affidati allo schieramento che garantisce un cambiamento effettivo, ma non trascurando la possibilità di intessere con l’opposizione un costruttivo dialogo per fare finalmente quelle riforme strutturali delle quali il Paese ha bisogno. Non soltanto per modernizzare le sue istituzioni, ma anche per arrestare la decrescita che sta attanagliando l’Italia e

Berlusconi e Fini hanno colto il valore di un percorso comune per una grande coalizione dei moderati e dei conservatori italiani che si farà sentire maggiormente dopo l’impatto che la recessione economica avrà sulla nostra società. Berlusconi e Fini hanno individuato nella ricerca di un percorso comune, mettendo da parte gli egoismi partitici, l’avvenire per una grande coalizione dei moderati, dei conservatori, dei popolari italiani, e quanti chiedevano a gran voce la realizzazione di uno schema del genere hanno mostrato di apprezzare. Sicché il progetto del partito unitario o soggetto unico, che dir si voglia, che sembrava archiviato nello scorso autunno, trae nuova linfa dal risultato elettorale che eleva Il Pdl a soggetto che non ha più alibi per procedere alla ricostruzione del Paese, poiché non deve me-

diare più con nessuno, come è stato detto in campagna elettorale, anche se la porta a chi intenderà collaborare alla definizione legislativa di particolari provvedimenti sarà sempre aperta.

Non crediamo che oggi ci sia tempo e voglia di indugiare nei festeggiamenti, al di là della rivendicazione dell’indubbia soddisfazione per il risultato ottenuto, poiché i gravissimi problemi lasciati sul tappeto dalla sinistra vanno affrontati presto e con determinazione. Il Pdl può farlo. Forte del consenso ottenuto nel Paese, neppure sfiorato dalla incertezza del risultato, incalzato soltanto dai cittadini che gli hanno tributato una fiducia che non ammette equivoci e di fronte alla quale Veltroni non ha potuto far altro che riconoscere la sconfitta, nonostante la cannibalizzazione delle altre forze della sinistra antagonista realizzata dal suo partito, al punto che la Sinistra arcobaleno non ha eletto neppure un suo rappresentante in Parlamento, con una esito negativo imprevedibile nelle sue dimensioni. Se poi si considera il voto regione per regione, il Pdl si può dire che l’abbia fatta da padrone anche nelle stesse regioni dove ha perso aumentando comunque i voti rispetto alle elezioni del 2006. In particolare il risultato della Campania che la volta scorsa fu determinante per far perdere la Casa delle libertà, è particolarmente significativo: oltre il 50% al Pdl, mentre il Pd si ferma a poco più del 30%: l’effetto Bassolino si è fatto sentire, ben al di là degli effetti speciali di Veltroni sul finire della campagna elettorale. E proprio dalla Campania, quale laboratorio del malessere nazionale e cartolina dello stesso che ha fatto il giro del mondo, il Pdl dovrebbe ricominciare, ben oltre i confini parlamentari, a prendere l’iniziativa politica e sociale per lanciare al Paese un grande messaggio di rinnovamento. L’ambizione è tutt’altro che velleitaria. Lo può fare sulla scorta del risultato ottenuto, degli otto o nove punti in più degli avversari i quali ancora fino alle prime ore del pomeriggio di ieri irridevano alla previsone che ha accompagnato il Pdl per tutta la campagna elettorale.

d i a r i o

d e l

g i o r n o

Berlusconi commosso: su riforme dialogo Quando Berlusconi e Fini si sono sentiti al telefono le proiezioni stavano confermando il netto vantaggio del Pdl sul Pd, e i due leader hanno espresso «profonda soddisfazione per il risultato». Ma è a ”Porta a porta” che Berlusconi ha affidato il commento ufficiale, dichiarandosi «commosso» ma soprattutto «disponibile a lavorare insieme con l’opposizione sulle riforme». Più tardi ipotizza addirittura un «recupero del lavoro compiuto negli anni scorsi con la Bicamerale». Per la squadra di governo ha fatto sapere che non ci vorrà molto tempo: «Ho già parlato con Bossi e Fini: ci saranno almeno quattro donne». E assicura di voler «restare nella storia del Paese come colui che ha fatto qualcosa di concreto. Non perderò tempo con le conferenze stampa, penserò a lavorare».

Bossi: Lega molto forte ma unita a Pdl Positivo anche il commento di Umberto Bossi, che analizzando il chiaro successo elettorale del suo partito ha dichiarato: «La Lega è forte e che con questo voto il Paese ha chiesto il federalismo fiscale». E circa la polemica secondo cui con questo risultato il Pdl sarà ostaggio della Lega: «Abbiamo fatto un programma con Berlusconi e sarà quello con cui governeremo assieme».

La Russa: nessuna Camera a opposizione «Nominare alla presidenza di entrambi i rami del Parlamento esponenti del centrodestra è la strada corretta da seguire». Lo ha dichiarato Ignazio La Russa: «Stimo Napolitano, ma siccome alla Presidenza della Repubblica c’è un uomo con una storia di sinistra, non c’è bisogno di equilibrare il sistema».

Calderoli: ampie intese su legge elettorale Un’apertura arriva comunque dall’ex vicepresidente del Senato Calderoli, certo che «sia sulla riforma elettorale che su quelle costituzionali dovrà essere trovata un’intesa con l’opposizione. In questi sette anni abbiamo capito cosa si vuole fare e trovato i punti di su cui si può realizzare un accordo».

Gasparri: crollo sinistra non avvantaggia Pd Fa un’analisi plausibile Maurizio Gasparri, che arrivando al quartier generale del Pdl a Roma si è prima dichiarato certo che «la Lega non creerà alcun disagio», e successivamente convinto che «il dato principale è che Veltroni non trae vantaggi dal tracollo del 5% della sinistra: il Pd non si discosta molto dai dati dell’Ulivo».

Lorenzin: Walter coraggioso come Silvio È una «stagione nuova», per dirla alla Veltroni, e lo si capisce anche dalle parole di Beatrice Lorenzin, responsabile dei giovani di Forza Italia, che dà un saggio del reciproco riconoscimento con i democratici: «È innegabile la semplificazione del quadro politico, frutto della scelta coraggiosa di Berlusconi e di Veltroni. Dal voto escono quattro forze politiche più forti e ciò risponde a una esigenza reale dell’elettorato».

Dini: abbiamo sostituito l’Udc «Un risultato straordinario che conferma come i liberaldemocratici abbiano interpretato correttamente quanto emergeva dall’opinione pubblica italiana, contribuendo alla chiusura anticipata della legislatura e collocandosi senza esitazione nel Popolo della libertà». Ha commentato così il risultato delle elezioni Lamberto Dini, che poi ha aggiunto: «Grazie alla nostra presenza sono stati compensati gli effetti dell’uscita dell’Udc, garantendo al Pdl una connotazione centrista che è la chiave del suo successo in questa tornata elettorale».


elezioni 2008

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Visto dal Pd. Barbera: «Siamo a un tendenziale bipartitismo»

Con Veltroni comincia una nuova storia colloquio con Augusto Barbera di Riccardo Paradisi

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Veltroni/1 Abbiamo recuperato terreno Walter Veltroni riconosce la sconfitta e lo fa sapere in stile molto british a Silvio Berlsuconi. Commentando il risultato elettorale sottolinea però “la grande rimonta” del Pd che partiva con una distanza dall’avversario di 22 punti. «Il nostro risultato è molto importante il 27,7 per cento al Senato segna un incremento di 6-7 punti rispetto alle scorse elezioni. Un risultato importante dai 22 punti di distanza che avevamo a settembre e che abbiamo recuperato. Ora in Parlamento ci sarà la più grande forza riformista che il paese abbia mai avuto».

Veltroni/2 Ora Berlusconi governi, se può «Per noi si apre una stagione di opposizione nei confronti di una maggioranza che avra’ difficoltà a tenere insieme ciò che è difficile tenere insieme». Il presidente del Pd Walter Veltroni manifesta tutti i suoi dubbi su una coalizione, quella del centrodestra, in cui la variabile leghista potrebbe riservare sorprese. «Non so dire quanto questa maggioranza potra’ durare nel tempo, ma la valutazione e’ che le differenze programmatiche di fondo che esistono tra le sue diverse forze permangono».

Realacci: cominica l’era del dopo Cav. Ermete Realacci responsabile comunicazione del Pd è convinto che malgrado la vittoria del Pdl sia conclusa l’era berlusconiana. «È iniziato il dopo Berlusconi», spiega Realacci, «perchè ora la golden share dell’alleanza è in mano alla Lega che condizionerà le scelte di Berlusconi premier».

Pannella: Pd perde perché senza i radicali Veltroni, secondo il leader radicale Marco Pannella ha di fatto impedito il ripetersi «del miracolo del 2006, quando l’Unione prese un milione di voti in meno di Berlusconi, ma aggiunse il milione della Rosa nel Pugno (radicale ben più che socialista)». Per Pannella «appare chiaro che una Nuova Sinistra di alternativa, europea, nonviolenta e non pacifista, socialista, liberale, laica, alla Loris Fortuna, Zapatero e Blair, radicalmente federalista e antinazionalista, è la visione del nuovo possibile che saprà, con noi, imporsi». E poi sui teodem: «La Binetti non rappresenta un solo voto cattolico, tranne il suo».

Trionfalismo nell’Idv di Di Pietro «Secondo la prima proiezione IdV triplicherebbe i propri consensi. Sarebbe un dato storico che contribuisce a una nuova fase della politica italiana». Così il portavoce nazionale dell’Italia dei Valori, Leoluca Orlando, commenta a caldo i primi dati elettorali. «Questione etica, costi della politica, lotta contro i condannati nelle liste, coerente opposizione contro ogni conflitto di interessi e una strategia politica incentrata sul fare senza ideologie di sorta -aggiunge Orlando - sono questioni che stanno alla base di un simile premio elettorale».

Reichlin (Pd): Lega è contro le istituzioni «Il dato della Lega è il segnale di un malessere profondo del Paese e mostra che il distacco dalle istituzioni è molto forte». Alfredo Reichlin uscendo dal Loft del Pd, commenta così il successo del Carroccio. Secondo il padre nobile del Pd c’è un problema di tenuta delle istituzioni ed è fondamentale che il Partito democratico presidi il Parlamento come forza democratica.

ROMA. Costituzionalista di area Ds, professore ordinario di diritto costituzionale all’Università di Bologna Augusto Barbea commenta con liberal il risultato del Partito Democratico. Risultato insufficiente per avere la maggioranza nel Paese e dunque per governare ma, secondo Barbera, da considerarsi molto buono, vista la novità del progetto e le condizioni da cui partiva Walter Veltroni: la sconfitta del governo Prodi e un indice di gradimento nel Paese assolutamente inferiore a quello che invece fa ora registrare questo risultato elettorale. Professor Barbera: il Partito democratico si assesta con Di Pietro intorno al 38 per cento dei consensi. È una percentuale che non basta per vincere, nemmeno per pareggiare. Il Partito democratico prosciuga la Sinistra Arcobaleno e alternativa – Fausto Bertinotti è il vero grande sconfitto di questa tornata elettorale – ma non ha sfondato al centro e tra i ceti moderati. Perché? Un attimo però. È vero che il Pd perde le elezioni – e per questo c’è una certa amarezza – ma io davvero non riesco a vedere in negativo il risultato conseguito da Veltroni. Noi dobbiamo tenere conto di un paio di cose infatti senza le quali non abbiamo la prospettiva di quanto è accaduto. Primo: l’intera Unione a novembre aveva raggiunto l’indice più basso di gradimento. Secondo: l’Ulivo, nel 2006, era al 31 per cento. Ora, se si conferma questo 33-34 per cento del Pd, che va poi sommato al risultato dell’Italia dei Valori di Di Pietro, non siamo affatto di fronte a una sconfitta tragica. Anzi è più il caso di parlare di una rimonta clamorosa che ha dovuto scontare l’impopolarità del governo Prodi, la rissosità interna a quella coalizione: cose che gli italiani non hanno dimenticato. Ora il Pd è il nuovo punto di partenza per costruire il grande partito della sinistra italiana. Lei parla di partito della sinistra e non del centrosinistra. Perché? Uso questa espressione perché a sinistra del Pd ora c’è soltanto il 3 per cento della Sinistra Arcobaleno. Un mondo che deve fare i conti con le proprie colpe, con la condotta tenuta durante il governo Prodi. Faccio una constatazione dunque quando dico che la sinistra oggi è quasi interamente occupata dal Pd. Inoltre, per rispondere alla sua domanda, non è vero che il Pd non abbia sfondato al centro. Nel dignitosissimo risultato ottenuto ci sono infatti i voti dell’ex Margherita, che sono voti moderati, di centro.

Che rapporti ci saranno secondo lei tra Pd e Sinistra Arcobaleno? Sta alla sinistra Arcobaleno ora porsi questo problema, trovare i modi e le forme per iniziare un dialogo con il Partito democratico visto che è lo stesso loro elettorato che si è rivolto al Pd. Si parla, dopo questo risultato elettorale, di una semplificazione del quadro politico. È d’accordo? Direi di si. È una cosa evidente. Piuttosto mi preme fare un’altra considerazione. Se si fosse andati non al voto ma al governo Marini forse oggi avremo

Ora si tratta di fare un’opposizione responsabile. Le riforme istituzionali si fanno insieme

un sistema elettorale di tipo tedesco che avrebbe portato l’Italia all’ingovernabilità e avrebbe dato un potere enorme al centro come ago della bilancia. La situazione in cui s’è determinata la situazione attuale invece porta all’avvento di un tendenziale bipartitismo. Che tipo di opposizione dovrebbe fare ora il Partito democratico? Un’opposizione europea. Senza tentazioni consociative ma con la consapevolezza di dover affrontare l’anomalia italiana. Anomalia che si supera solo con una stagione di riforme. A cominciare da quelle istituzionali immagino. A cominciare dalla riforma principale: la riforma del Senato, del bicameralismo perfetto. L’unico Paese che ha due camere con poteri così bilanciati sono gli Stati Uniti, ma con la differenza fondamentale che il presidente americano ha un potere di veto. Si faccia dunque un Senato regionale, federale ma si superi questa anomalia italiana.

C’è bisogno di un’altra bicamerale per riforme del genere? No. Ne sono già fallite abbastanza di bicamerali. Il luogo della discussione dovrebbe essere il Senato stesso. Dove tra l’altro esiste una forte rappresentanza di Pd e Pdl e quindi una composizione politica sufficientemente omogenea per fare le riforme senza troppi veti e ostacoli. Si tratta di vedere se ci sarà anche la volontà politica. Che altre riforme oltre quella del Senato ritiene urgenti? Le tre pagine lasciate aperte dalla costituente: sono il bicameralismo perfetto come abbiamo detto, un premierato debole – anche se per via politica questo aspetto è stato già rettificato – la riforma del titolo V introducendovi un sobrio principio di supremazia nazionale. Le riforme da fare, presto e bene, sono queste. Se invece si parte dal presupposto che bisogna cambiare la legge elettorale per evitare il referendum si parte col piede sbagliato. A proposito di titolo V e federalismo. Anche a lei, come ad altri esponenti del Pd, preoccupa l’affermazione della Lega? La Lega è la spina nel fianco nella maggioranza. Si tratta di vedere come si comporterà adesso Bossi. Se si mantiene sulle posizioni del ‘94 o se invece evolve come una variante locale di una formazione nazionale, modello Csu bavarese. In questo secondo caso non ci si dovrebbe preoccupare troppo. Quello che inquieta piuttosto è un altro aspetto dell’attuale messaggio leghista, la forte ostilità contro l’immigrazione clandestina. Un messaggio che fa una presa straordinaria anche a sinistra: molta gente che si dichiara di ispirazione democratica sente così forte il tema dell’immigrazione clandestina che stavolta ha votato Lega. Questo è un segnale che la sinistra deve cogliere dando a un problema reale risposte ovviamente diverse rispetto a quelle di Bossi. Ermete Realacci, portavoce del Pd, sostiene che il Pdl avrà difficoltà, con il risultato conseguito, a governare da solo le emergenze del Paese. Si tratta ancora una volta di capire come si comporterà la Lega. Nel ’94 si capì subito che Bossi sarebbe stato un grosso problema per Berlusconi. Stavolta chissà. Certo è che se io vado a vedere il consenso che la Lega ha preso anche in Emilia Romagna devo registrare che a Bossi sono andati anche voti che prima andavano a sinistra. La Lega prima si fermava a Piacenza. Oggi è molto più forte.


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elezioni 2008

Visto dalla Sinistra Arcobaleno. Canfora: «Personaggi squalificati»

«Tutta colpa di Prodi (e di Pecoraro Scanio)» colloquio con Luciano Canfora di Susanna Turco

ROMA. «È un disastro, non saprei come altro definirlo». Alle sei e mezza della sera, quando tra le ultime proiezioni e i primi risultati effettivi diventa sempre più netta la vittoria del Pdl sul Pd e la batosta della Sinistra arcobaleno, Luciano Canfora commenta i risultati elettorali con la pacatezza di chi vede soltanto confermati i pronostici della vigilia. Storico e filologo classico, già candidato con il Pdci alle europee del 1999, il professore non ha problemi a partire dal suo voto per un’analisi più generale. «Certo, perché per me si dovrebbe votare in modo palese, come per il Soviet supremo. Non potendo optare per Pecoraro Scanio per ragioni di stomaco, alla Camera ho votato Massimo D’Alema, e quindi il Pd. Al Senato, invece, ho votato Pietro Folena per evitare degli stolti che erano nel Partito democratico. Sinistra Arcobaleno al Senato, Pd alla Camera. Voto disgiunto. Che da ultimo è diventata una tentazione potente, soprattutto a sinistra. Beh, il tutto si fa sempre sapendo che è una scelta strumentale, per via di questa legge elettorale che rende il voto identitario un qualcosa di decaduto, incrinato. Non si può più esprimere una predilezione, si elabora piuttosto una tattica per cercare di produrre un certo effetto. Come se si giocasse una virtuale partita a scacchi. Risultato? Una bella sconfitta, in larga parte prevedibile. Quando ero molto più giovane era diverso. Si tenevano elezioni combattutissime, nelle quali alla fine tutti dicevano di aver vinto. Il che in parte era anche vero, perché l’elettorato era immobile. Nel 1958, per esempio, due anni dopo l’Ungheria, si pensava che il Pci avrebbe avuto un crollo, invece guadagnò lo 0,5. Oggi, invece, dato il meccanismo, è difficile che chi perde dica di aver vinto: Veltroni, per esempio, non ci ha provato nemmeno. Secondo lei a cosa si deve questa sconfitta tanto netta? Effetti inerenti alla memoria dell’elettore, che ricorda soprattutto le sofferenze più vicine nel tempo. Del resto accade a tutti, da sempre. Lucrezio diceva che le Guerre Puniche non ci fanno più effetto, perché - quando scriveva lui - erano passate «da un secolo». Veltroni ha perso dunque per colpa di Prodi? Le dolorose esperienze di Padoa Schioppa, di Visco, e gli altri episodi che hanno disamorato l’elettorato della sinistra, hanno dato sicuramente un

contributo. Aggiungiamo il flagello di Pecoraro Scanio e della Campania... Ma perché ce l’ha tanto con Pecoraro Scanio? Sarà sicuramente meglio il fratello, già eletto la volta scorsa con la qualifica di ex calciatore. Meglio, almeno lui ha uno specifico. Ma la Sinistra arcobaleno... Ecco, anzitutto non so cosa vuol dire “Arcobaleno”, me l’hanno chiesto spesso anche in Francia. Ma che c’entra l’arcobaleno? Dicono che sia stato un modo per segnalare la presenza dei Verdi nel cartello elettorale.

Non capisco cosa c’entrasse l’«arcobaleno», ma non rimpiango falce e martello. Vendola? Un eccellente letterato

Un doloroso tributo ai Verdi, dunque. Ma perché loro si identificano nell’arcobaleno? Secondo lei alla debacle della sinistra ha contribuito il tormentone del voto utile? Non credo di dire una cosa inesatta se partendo dalla mia esperienza segnalo che pur di aiutare l’unica forza capace di raggiungere una consistenza paragonabile a quella del Pdl, molti a sinistra hanno votato per il Pd. Una scelta non solo umana ma anche comprensibile, che secondo me ha pesato moltissimo. Poi certo, una piccola coalizione che contiene in sé personaggi negativi e squalificati, partiva male. C’è chi ha sentito la mancanza, nel simbolo, della falce e martello. Secondo lei l’averci rinuncia-

to ha danneggiato la Sinistra Arcobaleno? No, non credo. Nella Germania democratica, la Ddr, il simbolo era martello e compasso. Insomma: non bisogna essere feticisti. Semmai, molto potrà aver pesato quanto di sofferto c’è stato nella adesione delle due formazioni di sinistra, Prc e Pdci, al governo Prodi sul piano della politica sociale. Un atteggiamento che potrà aver determinato una ribellione del tipo:“Ma che vi votiamo a fare se poi quando andate al governo fate quello che vogliono i moderati?” Me li immagino, gli elettori: del resto non sono mica politologi. Ritiene che la Sinistra sia stata danneggiata dal fatto di non aver fatto un rinnovamento più profondo della sua classe dirigente, a partire dal leader Fausto Bertinotti.? Mah, sa: Storace, Fini, Berlusconi,Veltroni, Di Pietro, Bertinotti... Facce nuove non ne ho viste da nessuna parte in giro: erano tutte note, quindi temo che non sia stato questo il fattore determinante. Un volto nuovo si cerca invano, peraltro... Per la Sinistra è stato più volte fatto il nome di Nichi Vendola, pugliese come lei. Vendola è un eccellente letterato. Scrive poesie magnifiche. Svanite le ipotesi del testa a testa, pare che Berlusconi potrà contare su un governo stabile. Ce lo terremo per cinque anni. Più sette di Quirinale. Una parte del Paese ricomincerà a dire che è a rischio la democrazia? La storia in realtà non si ripete mai. E io sono convinto che il meccanismo democratico si sia già trasformato, e che non sia legato a una singola persona. La legge elettorale cambia già la sostanza della Costituzione: nel 1958 De Gaulle cambiò infatti prima il sistema di voto, e solo dopo la Carta. Quello è il punto vero che serve a dividere gli elettori inutili e utili, a costringere a determinati comportamenti, a fare tante azioni che spostano il meccanismo democratico su un altro piano. E poi ci sono altri fattori: quanta democrazia sopravvive nei nostri Paesi, così legati al sistema bancario, ma anche dipendenti da decisioni che si prendono a livello europeo? Conclusione? Se si guarda a tutto questo insieme di fattori, non sarà il fatto che Berlusconi sia così ignorante o così antipatico a modificare la democrazia o determinare la sua crisi.

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Sconfitta netta, Bertinotti lascia «La mia vicenda di direzione politica termine questa sera». Così Fausto Bertinotti conferma la decisione (presa a prescindere dai risultati del voto) di abbandonare ruoli di primo piano, dopo il crollo della Sinistra arcobaleno, che rischia di non avere rappresentanti né al Senato né alla Camera. «Una sconfitta netta, dalle proporzioni impreviste che la rendono anche più ampia», dice il leader Prc. Che sostiene che la Sinistra arcobaleno «deve rinascere» «con un lungo cammino» e una «fase costituente». Nell’analisi della sconfitta chiama in causa Veltroni: «Anche il Pd sarà chiamato ad una riflessione: la scelta di andare da solo e di confliggere con la sinistra, ha portato allo svuotamento della sinistra stessa senza però riuscire a vincere».

Verdi: «Congresso starodinario» Il leader dei Verdi, Alfonso Pecoraro Scanio, riconosce che «si tratta di una sconfitta evidente, oltre ogni previsione. L`astensione e la censura nell`informazione ci ha fortemente danneggiato. Come Verdi convocheremo un congresso straordinario per fare il punto della situazione. E` ovvio comunque che la Sinistra Arcobaleno non può e non deve naufragare».

Rizzo: «SA nasce morta». Pdci si smarca Il progetto della Sinistra Arcobaleno «nasce morto». Lo dice l’europarlamentare dei Comunisti Italiani, Marco Rizzo, osservando che invece avrebbe dovuto essere «anti-capitalista, anti-imperialista, antiliberista e alternativa rispetto al Pd e non lo e. Si è dimostrato che senza i comunisti non c’è la sinistra». A conferma della volontà di smarcarsi dal progetto della Sinistra arcobaleno, i dirigenti del Pdci non si sono fatti vedere fino a tarda sera nel quartier generale di via Veneto.

Tutti contro il voto utile Paolo Cento: «Siamo all’anno zero della sinistra, è prevalso il voto utile, è un dato politico con cui fare i conti, non possiamo fare finta di niente. E la costruzione della sinistra arcobaleno è arrivata tardi. Ora dobbiamo andare avanti, il problema è come». Cesare Salvi: «Il voto utile è un concetto che è stato introiettato dai cittadini senza che questo sia servito alla scelta di Veltroni».

E falce e martello? Per Pino Sgobio, già capogruppo alla Camera del Pdci, un gran danno è stato fatto dall’assenza di falce e martello: «Ha portato sicuramente un gran danno alla nostra lista, almeno il due per cento. Non c’è solo il problema di sinistra critica e del Partito comunista dei lavoratori, che l’avevano, ma c’è anche il problema delle schede bianche e nulle, dove è rimasta una parte del nostro voto».

Minoranza Prc: «Ora il congresso» Un risultato «disastroso», di fronte al quale il gruppo dirigente di Rifondazione «deve assumersi le proprie responsabilità». Così Claudio Grassi, coordinatore della minoranza Essere comunisti, attacca i vertici del partito e il progetto della Sinistra arcobaleno. «Chi ha parlato in queste settimane di una lista unica come primo passo verso la costruzione di un partito unico della sinistra e ha agito nella direzione di accelerare questo processo, non ascoltando la perplessità diffusa nel corpo del partito, deve trarne le dovute conseguenze. Ha commesso un grave errore politico. Per questo vanno convocati immediatamente gli organismi dirigenti e va dato avvio al congresso nazionale».


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Visto dall’Udc. Il partito di Casini è l’unico ad avere una rapprentanza parlamentare alternativa ai due blocchi

Il piccolo miracolo dell’Unione di Centro colloquio con Paolo Pombeni di Nicola Procaccini

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Casini: un risultato clamoroso! «Senza di noi si può vincere, ma difficilmente si riesce a governare. Se ci riescono, bene. Io sono sereno». Pier Ferdinando Casini ha commentato così il risultato elettorale, riconoscendo la vittoria del Pdl e promettendo «un’opposizione seria e costruttiva in cui certo non voteremo la fiducia al governo Berlusconi, ma i provvedimenti che riteniamo giusti, quelli sì». Il risultato complessivo viene letto dal leader dell’Udc come positivo, come «un dato clamoroso, dopo le sirene sul voto utile lanciate dai due maggiori partiti». E come un successo soprattutto alla luce del risultato della Sinistra arcobaleno. In base ai dati la sinistra infatti resterebbe fuori da entrambe le Camere: «L’effetto del voto utile - dice Casini - è stato fortissimo per loro, mentre noi abbiamo avuto una capacità di resistenza enorme. La nostra scelta è stato un grande investimento per il futuro. In Parlamento saremo in posizione centrale, dialogheremo con tutti e non saremo al laccio di nessuno». «La situazione che ora emerge per il governo è - secondo Casini - molto chiara. Berlusconi ha vinto e questo è un fatto tutto sommato positivo perchè così non avrà alibi: a lui spetta governare, noi faremo l’opposizione. Quanto a noi, saremo come il Pri per la Dc durante la prima Repubblica. L’Italia ha bisogno di scelte chiare e coraggiose, vedremo se le farà anche perchè c’è la Lega che avrà una posizione centrale, la golden share del governo. La quota attorno al 6% alla Camera - ha concluso Casini - dimostra che il nostro popolo ci è rimasto fedele e che nel Paese resiste la voglia di un centro politico moderato».

Cesa: orgoglio Udc. L’Udc rivendica l’orgoglio di sedere in parlamento e annuncia una opposizione ”costruttiva”. «Siamo fieri di stare in parlamento - ha detto il segretario Lorenzo Cesa - e di tenere alta la nostra bandiera. Quanto a Berlusconi, governi con la Lega. Spetta a lui dare risposte al Paese». Cesa ha poi ribadito la preoccupazione già espressa da Casini sul mancato ingresso della sinistra di Fausto Bertinotti in parlamento. «Non pensavo che la Sinistra Arcobaleno avesse un risultato cosi’ negativo e ritengo negativo non avere in parlamento i rappresentanti della sinistra massimalista, espressione di movimenti esistenti nel Paese».

Adornato: l’Udc, unica forza che resiste «Nonostante la campagna di azzeramento della nostra identità politica e culturale - ha detto Adornato - siamo l’unico partito presente in Parlamento al di fuori dei cartelli elettorali». «È una grande responsabilità ed un invito - continua Adornato - ad andare avanti con la Costituente per un partito di ispirazione cristiana e liberale, assolutamente necessario in Italia».

Pezzotta: bene, avanti con la Costituente «Ci siamo presentati senza allearci ai due schieramenti più forti e gli italiani ci hanno votato. Adesso andiamo avanti verso la Costituente». Lo dichiara Savino Pezzotta, presidente de la Rosa per l’Italia commentando i risultati elettorali. «Con l’Udc di Casini - aggiunge l’ex segretario della Cisl saremo forza di opposizione alla Camera e al Senato. La consapevolezza di essere l’unica forza fuori coalizione presente in Parlamento ci legittima a costruire in tutta Italia quella nuova formazione di Centro che era e resta il nostro obiettivo strategico».

ROMA. Il professor Paolo Pombe-

pria identità politica ed un radicamento effettivo su tutto il territorio nazionale. La sua presenza è costante in tutta Italia e possiamo dire che rappresenta sinceramente anche un pezzo di storia italiana. Alcuni ritenevano che l’Udc fosse soltanto un gruppo dirigente, fatto di quadri dirigenti che “non sa non stare al governo”, dunque, senza una base popolare. Il risultato li smentisce, direi che si è trattato di un piccolo miracolo politico.

ni, docente di Storia dei sistemi politici all’Università di Bologna, è considerato uno dei più acuti ed obiettivi politologi d’Italia. Intervistato da liberal commenta il risultato delle elezioni mentre il quadro complessivo è ancora instabile, ma consente già di elaborare una serie di riflessioni, senza paura di stravolgimenti significativi. Pombeni affronta la situazione determinata dal voto nazionale e si sofferma sul destino dell’unica formazione politica che elegge propri rappresentanti, in entrambi i rami del parlamento, al di fuori dei due grandi blocchi elettorali che hanno egemonizzato la competizione. Professor Pombeni, qual è la sua lettura generale del risultato uscito dalle urne? Innanzitutto, si conferma lo scollamento profondo verificatosi tra gli italiani ed il governo Prodi. Mi sembra si possa dire che c’è stato un voto contro Romano Prodi più che un voto di fiducia espresso nei confronti di Silvio Berlusconi. La sensazione di rifiuto nei confronti del centrosinistra era netta, soprattutto in alcune regioni come la Campania o la Calabria, dove la sua amministrazione è stata molto contestata. Come mai la Sinistra Arcobaleno di Fausto Bertinotti ha pagato più del Partito Democratico il brutto ricordo lasciato da Romano Prodi? Una rabbia poderosa ha spazzato via la sinistra perché l’ha ritenuta colpevole del sostegno all’esecutivo uscente e ciò ha scontentato il suo elettorato radicale. Nello stesso tempo, le frequenti ostentate critiche rivolte all’azione governativa hanno deluso il suo popolo più moderato. Viceversa, è stato risparmiato seppure parzialmente il Partito Democratico solo perché Walter Veltroni ha fatto di tutto per mostrarsi avulso dalla precedente esperienza di governo. C’è da riconoscere che siamo in presenza di una debacle storica: la scomparsa di una rappresentanza in Parlamento ufficialmente ed orgogliosamente legata alla sinistra italiana. Penso che il suo errore più grande sia stato quello di procedere frettolosamente ad una sintesi

Ha dimostrato di essere un partito vero, con una propria identità politica ed un radicamento effettivo su tutto il territorio nazionale

di direttivi partitici senza una partecipazione convinta da parte del suo popolo. Ma penso anche la gente si sia stancata dell’utopismo. Semplicemente non se lo può più permettere, dati i tempi in cui viviamo. Scomparsa la sinistra, c’è soltanto un’altra formazione politica in Parlamento al di fuori dei due blocchi Pdl-Pd: l’Unione di Centro. Come giudica il suo risultato? Mi sembra una performance molto significativa che va anche al di là del mero dato elettorale. Mi spiego: l’Unione di Centro ha dimostrato di essere un partito vero, con una pro-

Come pensa che dovrà comportarsi adesso la pattuglia di Pierferdinando Casini a Montecitorio ed in particolare a Palazzo Madama dove il numero di senatori di vantaggio del Pdl non è molto rassicurante per Berlusconi? Si intravedono all’orizzonte tempi difficili per il Paese, ma direi per tutto l’Occidente. La crisi del costo del cibo nel terzo mondo è destinata ad alimentare nuove ondate migratorie verso la nostra area geografica, ed in Italia i problemi erano già tanti e drammatici senza che vi fosse bisogno di nuovi fattori di destabilizzazione provenienti dall’esterno. Basti pensare alla crisi dei mutui: temo che se ne stia ancora sottostimando la portata sociale. In un contesto del genere credo che sia un dovere per tutti contribuire alla stabilità delle istituzioni. Penso che l’Udc possa giocarsi la sua partita all’opposizione di un eventuale governo Berlusconi senza per questo venire meno al proprio senso di responsabilità nei confronti del Paese. In conclusione, si apre oggi la stagione della Terza Repubblica? Non direi questo. Penso piuttosto che queste elezioni rappresentino la fase di trapasso dalla Prima alla Seconda repubblica. Si apre oggi la sua fase costruttiva.


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elezioni 2008

Visto dal Nord. Il risultato del Carroccio rilancia le istanze settentrionali alle quali non si è saputo dare una risposta

Il successo nel segno della Lega di Giuseppe Baiocchi e c’è un partito (forse l’unico) che non ha avuto bisogno degli “spot” elettorali, questo è certamente la Lega Nord. Sono ampiamente bastate le immagini planetarie sulla monnezza campana e sullo strangolamento di Malpensa.

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Tra qualche mese gli studiosi arriveranno a definirlo nei termini di corretta analisi dei comportamenti collettivi: e tuttavia si annusava esplicita negli ultimi giorni la sensazione di una ripresa nordista accentuata e diffusa, che toccava anche aree e ceti abitualmente refrattari. Il riferimento va a segmenti non piccoli di voto giovanile e di voto urbano, ben al di là dell’insediamento storico che si confinava nel popolo delle valli alpine e del contado. Potrà sembrare un ulteriore paradosso, ma il 31 marzo la sofferta vittoria di Milano per l’Expo 2015 ha restituito al Nord una nuova e forse inedita consapevolezza della propria forza. Una vicenda che alla fine non premia il buon lavoro internazionale di Letizia Moratti e Roberto Formigoni, ma accentua (nel contemporaneo “reality show” del calvario di Alitalia) gli elementi di separazione e di rancore.

Certo, poi vanno sommate le tasse, il soffocamento del centralismo burocratico, la sicurezza, il disagio provocato dalla immigrazione di fatto sregolata, il ritardo nella realizzazione delle infrastrutture necessarie. In una parola la sorda inquietudine suscitata dall’incertezza per un futuro ignoto e comunque preoccupante, che tocca dolorosamente da vicino quei ceti medi che si scoprono a sorpresa impoveriti, senza ricevere dall’alto alcuna risposta.

ca sono stati a lungo scrollati dai grillismi e dalle ripetute polemiche sulla “casta”: ma si è ripetuta (e continuerà a ripetersi, come avviene dall’autunno della Prima Repubblica) l’illusione mediatico-giudiziaria che scuotere moralisticamente le fronde delle piante istituzionali possa indirizzare la sovranità popolare laddove si vuole. I frutti sempre più incarogniti dell’antipolitica, come è purtroppo ovvio che sia in questi casi, cadono sempre da un’altra parte. E la Lega Nord è or-

sufficiente a colmare rapidamente il divario. L’altro paradosso che emerge dai dati parziali è che ormai sparisce quel minimo di analisi critica che faceva considerare come acquisiti i limiti stessi della Lega. È stata al governo per cinque anni, non è riuscita a restituire un briciolo di autonomia ai corpi intermedi di sturziana memoria, si è acquattata felicemente negli anfratti di quel centralismo romano che tanto depreca e condanna, fino a

In epoca di antipolitica gli uomini di Bossi hanno saputo raccogliere la delusione di un Nord sempre più incattivito. E tanto è bastato per far dimenticare i limiti del movimento. Cose di cui Berlusconi dovrà tenere conto È un vuoto civile e politico che la Lega è abituata dal suo sorgere a saper riempire con messaggi semplificati e troppo spesso poco indagati: favorita in questo dal deficit di cultura politica e addirittura spirituale. Non sono pochi, purtroppo, i vescovi che appaiono abdicare al loro ruolo naturale e scomodo di “defensor civitatis” per rifugiarsi nel facile buonismo che porta automaticamente il plauso interessato del “politically correct”. Il vuoto da riempire è stato ben coltivato: gli alberi della politi-

mai uno sperimentato cestino di raccolta.

In questo contesto, quello che appare ineluttabile è che il processo riformatore inceppatosi da troppo tempo sarà comunque condizionato dal rancore di un Nord incattivito oltretutto da prospettive economiche che diventa eufemistico definire difficili. Il fossato tra Paese reale e produttivo e Paese legale bulimìco e sprecone si viene facendo largo ed è arduo immaginare uno scatto di fantasia politica

produrre con l’allora suo ministro delle Riforme questo “porcellum”elettorale fatto apposta per tener lontani i cittadini dall’esercizio della politica e dal controllo popolare sugli eletti. Tutto, invece, è stato cancellato, come se gli evidenti deficit culturali di un suo chiuso gruppo dirigente fossero consustanziali e quindi utilissimi al gattopardismo di un sistema consolidato di potere. E tuttavia le istanze di modernizzazione e di sicurezza del Nord (ma che sono di tutto il Paese se ben raccolte e guida-

te) restano inevase: questo non del tutto imprevisto successo della Lega (con dimensioni di massa nel Lombardo-Veneto) interpella l’intero sistema politico e impone risposte non procrastinabili. E soprattutto interroga di più il suo unico alleato sulle condizioni onerose che saranno inevitabili.

Se è permesso, si vorrebbe qui citare un precedente. Chi scrive ha seguito a lungo per il Corriere della Sera la nascita e i primi anni della Lega: e ricorda di non aver mai visto così furibondo l’onorevole Bossi (vero animale politico) come nella notte dei risultati del 1996, quando la Lega raggiunse il suo massimo storico, quasi quattro milioni di voti e il 10,8 per cento su base nazionale. Aveva aperto la via al primo governo Prodi-Veltroni (che mai lo ringraziarono), ma aveva fallito il disegno di costituire, come terza forza, l’“ago della bilancia”. Questa volta forse i voti saranno un po’meno ma averne ottenuti così (senza avere «né trombe che squillano né squillo che trombano», per riferire il rude detto che impazza sui blog), lo renderà per una volta davvero sorridente. Altri, pur vicini, molto meno.


elezioni 2008

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Visto dal Sud. Nel 2006 diede la vittoria nazionale a Prodi, oggi consegna il Paese a Berlusconi

Effetto Campania di Giancristiano Desiderio

a Campania è lo specchio d’Italia. La maggioranza politica e numerica era targata centrosinistra. Oggi la maggioranza è diventata minoranza. La situazione si è capovolta. Tutto era prevedibile e previsto, forse. Ma fa sempre un certo effetto passare dalle ipotesi alla realtà. E la realtà dice che oggi in Campania, anche se paradossalmente il Pd prende più voti del vecchio Ulivo, quella che fu la grande macchina da guerra e di consenso creata da Bassolino, Mastella, De Mita e Pecoraro Scanio, si è sfarinata, ancora prima del voto. Quel 46,9 per cento attribuito al momento al Pdl (mentre scriviamo ci sono ancora le proiezioni) era una volta il dato elettorale approssimato per difetto del centrosinistra. Oggi Bassolino governa la Campania (si fa per dire) ma è in netta minoranza. Solo qualche giorno fa ha detto: «Tra un anno mi dimetto». A questo punto della storia è molto probabile che le dimissioni potranno arrivare ancor prima. Ma il dato politico - come dicono quelli che se ne intendono è che la Campania fa tendenza.

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Silvio Berlusconi, infatti, porta a casa la Sardegna del governatore Soru, vince in Calabria con uno scarto (se i nume-

ri saranno confermati) molto alto che va oltre il 10 per cento, vince allo stesso modo anche in Puglia, lasciando a Walter Veltroni la Basilicata e il Molise di Tonino Di Pietro ma, come è noto, si tratta di regioni che hanno una rilevanza politica in termini di seggi molto inferiore rispetto alle altre. Se a queste regioni si vanno ad aggiungere anche i numeri della Sicilia, dove il Pdl va oltre il muro del 50 per cento, e la vittoria in Abruzzo, dove prima era in maggioranza la maggio-

va. Tre di queste regioni sono andate all’avversario di Veltroni. Anche il Lazio - da sempre una regione strategica per determinare il destino politico nazionale - potrebbe andare al Pdl e la candidatura di Francesco Rutelli non sembra aver portato acqua e voti al mulino veltroniano (almeno così stanno le cose al momento). Anche Veltroni, evidentemente, ha sottovalutato l’effetto Campania. Forse ha pensato che bastasse non candidare De Mita e nascondere Bassolino e la

definitivo il grave problema della spazzatura. Il voto del Sud era atteso perché al Nord era già quasi tutto scritto. Anche il grande passo avanti della Lega al Nord - in Piemonte, in Lombardia, in Veneto, in Friuli - era stato previsto. L’unica eccezione, l’unica cosa non vista e imprevista, è la sconfitta della Sinistra Arcobaleno. Ma il voto atteso era quello del Mezzogiorno e qui il governo Prodi è - si potrebbe dire - caduto per la seconda volta.Vale la pena ricordare che Veltroni ha cercato

Non è stato sufficiente nascondere Bassolino e la Iervolino per far dimenticare l’emergenza rifiuti: il Mezzogiorno ha bocciato il centrosinistra. Il Pdl vince in Calabria, in Puglia, in Sicilia e anche in Sardegna ranza di un tempo, allora si capisce che il Mezzogiorno ha decretato la vittoria del Popolo delle libertà. Tutto come previsto? Può darsi. Ma tutto lascia pensare che l’effetto Campania sia andato anche al di là del previsto e al di là dei confini di Napoli e del suo disastro ambientale. Solo qualche giorno fa Walter Veltroni diceva: «Mi gioco tutto in quattro regioni». E indicava il Lazio, la Sardegna, l’Abruzzo e le Marche come le regioni su cui la battaglia non solo appariva aperta, ma decisi-

Iervolino sotto il tappeto per far dimenticare agli italiani la spazzatura nascosta sotto i tappeti delle discariche campane. Un calcolo sbagliato. I numeri stanno lì a ricordarlo: se, infatti, ai voti del Pdl si aggiungono i voti dell’Udc (6.4 per cento mentre scriviamo) si va ben oltre il 50 per cento. Con questi numeri, a questo punto, Silvio Berlusconi non può non fare ciò che ha promesso ai napoletani a viva voce in Piazza del Plebiscito: il Consiglio dei ministri si sposta a Napoli per risolvere in modo

di opporsi al vento del Sud a lui contrario tornando, ad esempio, due volte in Calabria e cercando di calcare un po’ la mano sulla questione senz’altro fondamentale della criminalità organizzata. Ma qui va sottolineato anche un altro elemento significativo: il Sud determina la vittoria del Pdl, ma in campagna elettorale il Sud - la famosa, annosa e magari anche noiosa “questione meridionale” - è stato praticamente assente. Tanto che lo stesso presidente Napolitano, uomo del Sud, si è sentito in dovere di riportare

l’attenzione sul Sud dimenticato. Per il prossimo governo sarà un tasto delicato, perché bisognerà pur incastrare tra loro le “domande del Nord”, rappresentate dalla forte e determinate affermazione della Lega, e le “esigenze del Sud” che pur ha consegnato la vittoria politica al Pdl e a Silvio Berlusconi. È questo, oggi come ieri e più di ieri, il problema nazionale: mettere insieme Nord e Sud.

Il 9 aprile 2006, giorno della vittoria risicata di Prodi, fu proprio la Campania a decidere la vittoria. Quei famosi 24mila voti - un po’ come i 24mila baci di Cementano - vennero proprio dalla regione di Mastella. Precisamente vennero dalla provincia di Caserta e, con un po’ di fantasia e un po’ di perizia, si potrebbe sostenere che vennero proprio dal partito che non c’è più: quello di Clemente Mastella e consorte. Mettetela come vi pare, ma quei voti vennero dal grande serbatoio elettorale della Campania che in questi ultimi tre lustri ha funzionato per il centrosinistra come una grande e ben collaudata macchina produci consenso. Sembra quasi una nemesi storica: è da quella stessa regione che oggi viene la vittoria del Pdl e di Berlusconi. Effetto Campania, ancora una volta.


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speciale

economia

NordSud

L’allarme immondizia, la messa al bando delle mozzarelle e le previsioni negative sul sistema: va in crisi il marchio più famoso al mondo

C’ERA UNA VOLTA IL MADE IN ITALY colloquio con Umberto Paolucci di Francesco Pacifico assessore campano al Turismo, Claudio Velardi, ha lanciato come slogan per rilanciare la sua Terra: «Munnezza a chi?». Così è d’obbligo chiedere a Umberto Paolucci, pioniere in Italia dell’Ict e oggi alla testa dell’Enit, quale formula userebbe per rilanciare il made in Italy, che non è più sinonimo di bellezza e armonia. «Un bello slogan che abbiamo usato in passato nella comunicazione di Enit è stato “Italia, Opera Unica”. Che poi si è evoluto in “Italy for Life”. Si sta

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come la Campania che dal turismo trae benefici ingenti per l’economia e l’occupazione. È scattato un livello di allarme per il comparto turistico anche per quelle zone famose nel mondo, come la penisola sorrentina, per Capri o Ischia, che non soffrono di mal di rifiuti. E ora? Dovremo convincere i nostri interlocutori che l’emergenza è finita, e che in molte località non c’è mai stata, e che i nostri luoghi sono accoglienti e sicuri. Sembra facile: prima del-

Serve gioco di squadra per prendere decisioni condivise e vincolanti ora lavorando sulla prossima campagna, per la quale la gara è tuttora in corso». Sì, perché per il presidente di Enit e vicepresidente di Microsoft corporation, è proprio l’incapacità di fare sistema – forse più delle immagini di Napoli oppressa dall’immondizia – il maggiore ostacolo da superare. L’allarme rifiuti ha distrutto i made in Italy? Il problema rifiuti ha riguardato alcune zone di una Regione

l’immondizia eravamo stati bollati come un Paese poco sicuro. Per quanto riguarda la sicurezza dobbiamo lanciare un forte messaggio: l’Italia non è affatto un Paese a rischio particolare. Dopo l’ 11 settembre, il problema sicurezza dei turisti è ormai globalizzato.Abbiamo dato direttive precise ai nostri uffici all’estero per controbattere tutte le informazioni che spesso sono strumentali, che dipin-

gono l’Italia come paese che non offre sempre adeguati sistema di tutela degli ospiti. Oltre a turismo e agroalimentare quali altri settori sono stati colpiti? Mi sembra che l’Italia, in questo momento, non stia attraversando un periodo felicissimo. La situazione socio economica è sotto l’occhio di tutti, senza ricorrere ad analisi particolari. Ma prima vorrei fare un precisione. Prego. Anche nel settore turismo non siamo in recessione, ma si registrano segnali di difficoltà delle famiglie che possono ulteriormente ridurre la loro possibilità o propensione a concedersi qualche periodo di vacanza. La sensazione è che senza un vigoroso rilancio dei redditi e del potere d’acquisto, nel 2008 anche questo bene, che è in cima ai desideri di tutti, possa essere considerato fuori portata di molti. Un quadro pessimistico. No, rimaniamo ottimisti al momento sull’afflusso riguardante gli ospiti stranieri, che nel 2007 hanno speso nel nostro Paese 31.079 milioni di euro (+ 2,3 per cento rispetto all’anno precedente).Questo trend in crescita è confermato per il primo trimestre 2008, anche dai monitoraggi che i nostri uffici all’estero fanno sul turismo organizzato (l’ultimo per il periodo pa-

squale) che registrano segnali rassicuranti, per il forte appeal che l’Italia continua a esercitare sui flussi incoming, anche su quelli statunitensi che nonostante il dollaro debole e problemi di recessione, sembrano intenzionati a non rinunciare alle vacanze europee. Lei, intanto, ha annunciato un piano nazionale per il settore. Il piano strategico di lungo periodo che vorrei scaturisce da una visione sistemica globale dello sviluppo turistico, perché non possiamo non renderci conto che questo sviluppo è condizionato da tutto un insieme di politiche e di interventi: per l’ambiente, per la cultura, per i trasporti, per le reti di comunicazione, per le imprese, per la promozione, per la formazione, per la fiscalità etc. Dovrà mettere d’accordo tanti attori diversi? Intrecciare queste politiche di vario livello impone che tutti i soggetti titolari di politiche che influenzano il turismo debbano in qualche modo coordinarsi e raccordarsi. Noi come Enit siamo pronti a fare la nostra parte, al di là dei limiti delle nostre funzioni di promozione all’este-

ro. Per la verità nella legislatura che si chiude il turismo è diventato molto più centrale nell’agenda del Paese, e spero che il prossimo governo confermi questa tendenza nell’ambito della Conferenza Stato-Regioni. Lei ha dichiarato che formule come “pacchetto Italia”non vogliono dire e non servono a nulla. Allora come muoversi per vendere il made in Italy? Le interdipendenze del turismo con ogni altro aspetto della vita economica e sociale lo rendono non un prodotto specifico ma un prodotto globale, a tutto campo, che aggrega una miriade di altri settori di attività. La proiezione all’estero di questo sistema che raccoglie ed esprime interessi molteplici ma convergenti nel rendere l’Italia paese ad alta vocazione turistica, anch’essa deve essere vista come una politica di sistema. Il turismo dimostra che la delle parcellizzazione competenze sulla promozione e l’internazionalizzazione è un fortissimo ostacolo. È possibile superarla? E come? Sviluppando un gioco di squadra, finalizzato a prendere de-


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I ritardi dello Stato e le ricadute sui produttori

Il buon nome delle aziende di Manfredi Ricca on c’è ombra di dubbio che le recenti crisi abbiano intaccato il concetto di Made in Italy. Meno, tuttavia, di quanto si possa immaginare. Occorre infatti fare un’importante distinzione tra quella che è da un lato l’immagine del cosiddetto “Sistema Italia” e quella che è invece la reputazione del tessuto delle realtà aziendali che lo vi operano. Il “Paese reale”, come lo si definisce talora.

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cisioni condivise e, comunque, vincolanti per tutti in sede di Conferenza Stato-Regioni, lasciando allo Stato il compito di definire un quadro di riferimento generale per il settore. L’auspicio è che i problemi strutturali del settore, come quelli congiunturali, trovino finalmente una efficace sintesi in una politica nazionale e regionale che consolidi le prospettive dell’industria di cui il Paese non può fare a meno. Qual è il ruolo dell’Enit? Io veramente mi auguro che il turismo italiano veda nell’agenzia l’interlocutore privilegiato, il suo punto di riferimento fondamentale per accrescere le sue fortune. L’Enit è una cerniera tra le istituzioni pubbliche e gli organismi privati, tra Stato e Regioni, nel suo ruolo di strumento fondamentale nel sostenere nel mondo l’immagine e l’identità del nostro sistema turistico e dei suoi sottosistemi regionali e locali. Più in generale, come muoversi per recuperare il tempo perso? Rispondo facendo presente che in Italia da sempre c’è una moda: rappresentare le cose al peggio, dipingerle a tinte oscure, fa-

re una cattiva comunicazione di noi stessi in generale. Fa notizia. Questo atteggiamento autolesionistico non salva nemmeno il nostro turismo. C’è una contrazione dei consumi interni, tutta da misurare però con analisi serie. Non c’ è crisi attualmente nel turismo estero, come prima abbiamo rilevato. Tutta colpa del nostro innato pessimismo? Ci sono problemi di competitività con i nostri concorrenti, zone di difficoltà per le vacanze con potere d’acquisto meno alto. Io mi auguro che attraverso l’ammodernamento dei nostri strumenti di rilevazione e indagine del fenomeno – penso al lavoro che sta facendo il nuovo Osservatorio del Turismo – saremo in grado di fare analisi più precise e stabilire terapie più sicure. L’offerta italiana non sembra all’avanguardia. Per non perdere terreno ma per realizzare, invece, una crescita più intensa la via obbligata è quella di sfruttare la nostra offerta dilatando il catalogo dei nostri prodotti turistici, includendo tutti quegli elementi innovativi che ancora non abbiamo sufficientemente valorizza-

to. Sono un’arma che dobbiamo usare tempestivamente. Sono convinto che l’Enit-Agenzia potrà dare un forte impulso alla crescita di una cultura e di una scienza del turismo più adeguata, guardando ai fabbisogni specifici del marketing avanzato, affermandosi nella sua veste nuova, come struttura centrale di orientamento, indirizzo, consulenza, supporto informativo e formativo. Per concludere, e uscendo dalla retorica, come definirebbe oggi il made in Italy? Ci sono segnali che preoccupano, ma c’è anche una grande fiducia confermata dal fatto che le imprese investono, che vi sono risorse apprezzabili che bisogna saper utilizzare e che l’Italia negli indicatori di attrattività è in alto nella graduatoria. Basta? Deve esserlo anche negli indicatori di competitività. Qualità, innovazione, formazione, per noi sono fattori strategici. Concludo riaffermando la mia fiducia nel futuro, auspicando una politica del turismo come componente primaria di sviluppo, e quindi, come priorità dello sviluppo economico.

L’immagine del “Sistema Italia”è da anni compromessa, ed è sufficiente un’occhiata alle principali testate internazionali per rendersene conto. L’evidenza messa a nudo senza troppi sforzi è quella di un sistema politico e istituzionale che, indipendentemente dal colore del governo, appare totalmente incapace di capitalizzare sui numerosi punti di forza e di unicità del Paese e che, al contrario, agisce da freno allo sviluppo economico e sociale. Oltre dieci anni fa, in un gustoso resoconto dei suoi viaggi in Italia, il popolarissimo scrittore Bill Bryson osservava che, considerando il funzionamento delle istituzioni italiane, la presenza dell’Italia tra le principali economie mondiali era un vero e proprio miracolo e che, «se gli italiani avessero l’etica giapponese, sarebbero i padroni dell’universo». Se osserviamo con attenzione, i recenti motivi di imbarazzo per il nostro Paese sono legati al risultato di cattiva amministrazione e gestione della cosa pubblica più che a colpe della realtà produttiva di per sé. Due esempi su tutti. Con il caso Alitalia, il sistema industriale e politico italiano ha mostrato tutte le proprie debolezze e lentezze decisionali. La crisi dei rifiuti in Campania ha altresì messo sotto i riflettori internazionali decenni di malgoverno e un’incapacità da parte delle istituzioni di localizzare, e assumersi, le responsabilità di un disastro ecologico. Dall’altra parte, invece, abbiamo innumerevoli realtà aziendali che esportano qualità e innovazione in tutto il mondo. Ognuna di queste è un esempio straordinario di intuizione, creatività, rigore, passione per

l’eccellenza; si va dai grandi brand consolidati a livello internazionale ai distretti industriali in grado di garantire livelli qualitativi inimitabili. I risultati sono prodotti che circolano per il mondo, e che dipingono con i fatti un quadro completamente differente: quello di un Paese in grado di creare e primeggiare. Uno scollamento paradossale, come si vede, che ricalca perfettamente la distanza così spesso evocata tra sistema politico e realtà produttiva (e non solo) del Paese. Ed è proprio questa divergenza che può rappresentare lo scoglio di salvezza del Made in Italy: a livello internazionale si delinea una marcata separazione di responsabilità, che vede le aziende italiane “vittime”, e non parte integrante, di un sistema con numerosi ritardi e lacune. In altri termini, i casi di successo vengono salutati come ancor più ammirevoli considerando il contesto di riferimento. Una vera e propria “corsa in salita”.

Lo si osserva nei fatti: i brand italiani godono oggi, nel complesso, di un successo e una desiderabilità che non sembra conoscere fine o confini. È tuttavia chiaro che, alla lunga, alcune crisi di sistema non possano non rappresentare un forte pericolo anche per la realtà produttiva del Paese: il caso dei caseifici campani è da questo punto di vista emblematico. L’unica risposta possibile consiste nell’assenza di qualsiasi compromesso qualitativo, poiché la competitività italiana nel complesso – e lo stesso concetto di Made in Italy – si fonda su qualità ed eccellenza più che su prezzo e volumi. Un patrimonio di immagine e competenza da custodire “senza se e senza ma”. Non resta che sperare in un progressivo allineamento del sistema amministrativo e politico alle punte di eccellenza quotidianamente toccate da numerose realtà del sistema produttivo. Un cambiamento che renderebbe la conservazione del Made in Italy non un atto di eroismo, bensì il nucleo dello sviluppo economico del nostro Paese. Business Director di Interbrand


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speciale economia

NordSud

L’agroalimentare segna danni per 45 milioni

Turismo in calo a Pasqua del 20 per cento

NEL MIRINO Troppe bufale Un Belpaese tra i nostri sapori

che é poco low cost

di Giuseppe Latour on solo vestiti e scarpe. Ma vino, olio, formaggi. Il made in Italy all’estero è molto più legato a questi prodotti di quanto si pensi. E non è un caso che, secondo l’Istat, l’export agroalimentare valga qualcosa come 25 miliardi di euro. Quasi tutti nell’Unione europea, ma con quote di mercato in prepotente ascesa verso Cina, Russia e Paesi dell’Opec. Ma il tesoro racchiuso nella terra italiana sta perdendo valore. E questo patrimonio da 25 miliardi rischia di subire, di qui a pochi mesi, duri contraccolpi. In questi giorni si scrive mozzarella, ma si legge crisi. In tre mesi, da gennaio a marzo del 2008, sono stati bruciati 45 milioni di euro, una cifra vicina al fatturato annuo derivante dall’export, più o meno 48 milioni di euro. E ogni giorno che passa, stima Coldiretti, se ne va in fumo almeno mezzo milione di euro. Con conseguenze soprattutto sulle esportazioni. Per l’associazione è sui mercati stranieri che si sta giocando la partita più importante: «Il prodotto originale rischia di venire sostituito dalle circa due milioni di tonnellate di falsa mozzarella made in Italy».

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A causa della crisi, soltanto in Campania, a rischio ci sono circa mille posti di lavoro. Lo dice il presidente del Consorzio Mozzarella di Bufala campana, Franco Consalvo. «Intorno a questa produzione tipica ruotano tra diretta occupazione e indotto oltre 20mila posti, la metà legata alla lavorazione della mozzarel-

falso che sta tirando giù, anno dopo anno, le nostre quotazioni sulla scala internazionale. Se a questo aggiungiamo i recenti casi del vino adulterato, il danno è fatto ed è gigantesco.

Per capirne le proporzioni, basti pensare che, mentre il ministero dell’Agricoltura minimizzava l’accaduto, un Pm parlava di «sofisticazione attuata mediante addizioni di sostanze acide e/o estranee alla natura del vino». Un danno d’immagine di proporzioni incalcolabili. Che per Coldiretti mette

a rischio il fatturato prodotto dall’Italia con le esportazioni, circa un terzo delle entrate totali di settore, più o meno 3 miliardi di euro. E sta per scoppiare un nuovo scandalo: quello dell’olio di oliva. Lo ha denunciato Tom Muller, giornalista del New Yorker, in un’inchiesta sulle sofisticazioni che sta per diventare un libro. Nel quale racconta: «L’olio di oliva è di gran lunga il più pregiato fra gli oli vegetali, ma per produrlo occorrono molto tempo e risorse ed è sorprendentemente facile da sofisticare. L’adulterazione è particolarmente frequente in Italia. Negli ultimi dieci anni, la Spagna ha prodotto più olio dell’Italia, ma molto di questo viene inviato da noi per essere imbottigliato e venduto, legalmente, come olio italiano.“Il maggior numero di frodi scoperte nel settore food and beverage riguarda questo prodotto”, mi disse il Colonnello Leopoldo Maria De Filippi, comandante dei Carabinieri Nas».

Mozzarella, vino e olio: le tante vittime della sofistificazione la. Tradizionalmente la domanda del mercato cresce in primavera e in estate. È ragionevole ritenere che nel 2008 non sarà sufficiente a farci recuperare le perdite di questi 100 giorni di allarme. Quindi la quota di stagionali, generalmente pari al 10-15 per cento di quei 10mila lavoratori di cui parlavo, sarà tagliata». Sembrava impossibile, ma il settore del vino è riuscito a superare in pochi giorni queste difficoltà. Anche se gli allarmi recenti partono da lontano. E affondano le radici in un mercato del

di Marco Palombi onnezza, euro forte, stipendi bassi. E poi il sistema Italia. Sono questi, detti brutalmente, i fattori che stanno causando difficoltà al settore “travel and tourism” nazionale. Una bazzecola che complessivamente ha prodotto il 10,8 per cento del Pil 2007. L’anno scorso il comparto ha vissuto un anno di stagnazione foriero di cattivi pensieri per gli operatori: +0,1 per cento l’incremento delle presenze negli alberghi con una forte contrazione della domanda interna e un peggiora-

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così dire contingenti c’è la debolezza del dollaro: gli arrivi dagli Usa sono ancora circa un quinto delle presenze straniere nel nostro Paese. Se gli americani cambiassero destinazione, sarebbero dolori: non è un caso che a Firenze abbiano cominciato a offrirgli sconti del 10 per cento e all’Harry’s bar di Venezia addirittura del 20. È difficile coniugare i termini turismo italiano e crisi alla luce del fatto che gran parte del patrimonio culturale del pianeta si trova qui, che le bellezze naturali non mancano, e che in Italia esiste un’antica e consolidata tradizione dell’accoglienza e del buon vivere. Tre bei punti a nostro favore, soltanto che il primo è malgestito, le seconde non valorizzate quando non deturpate, la terza messa alla prova da un progressivo incrudelimento dei rapporti sociali. Risultato il turismo, come detto, genera in Italia il 10,8 per cento del Pil, in Spagna il 18,2. E siamo al 28esimo posto della classifica del World economic forum per la competitività nel travel & tourism.

Che fare? Si potrebbe cominciare con piccoli accorgimenti tecnici per rendere il sistema un po’ meno logoro e disfunzionale. Intanto venendo incontro al “nuovo” turista: meno schiavo delle agenzie e incline ad acquistare da solo, spesso su internet, i servizi che desidera. Servono siti web ben fatti con numerosi e sicuri servizi online. Non guasterebbe una sterzata nel marketing, magari sfruttando come all’estero la leva cinematografica. Ci vuole, insomma, una promozione seria e finalizzata, anche perché le Regioni, senza coordinamento, nel 2006 hanno speso 1,8 miliardi, cinque volte più della Spagna, senza risultati apprezzabili. Da migliorare il rapporto qualità/ prezzo, spesso inaccettabile se comparato a quello di altri Paesi europei e i servizi locali. Da non dimenticare la voce trasporto aereo. Molte ricerche dimostrano che le rotte low cost in questi anni sono state un eccellente volano per la crescita. Ovviamente anche in questo campo l’Italia è in ritardo: in Gran Bretagna le rotte a basso costo rappresentano il 36 per cento del mercato, in Spagna il 26,8, in Italia il 18,8.

Da rinnovare servizi, promozione e offerte per risalire la china mento del 7,5 della bilancia turistica. In parole povere, sempre più italiani non si possono permettere di andare in vacanza e quelli che lo fanno scelgono spesso l’estero. Se non è crisi, poco ci manca.

I primi mesi del 2008 non sono stati incoraggianti. Il tasso di occupazione delle camere di albergo, (il Toc) peggiora e in Campania – difficile meravigliarsene – è andato a picco: le associazioni imprenditoriali parlano di una flessione delle prenotazioni che si aggira attorno al 20-30 per cento. Recuperare coi last minute è possibile, ma sono quelli delle prenotazioni, gli incassi certi, i numeri su cui gli operatori basano previsioni e investimenti. Ad aumentare le preoccupazioni per


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MERCATO GLOBALE

La lumaca americana e il gambero italiano

La trasformazione del settore raccontata da Mario Boselli

«La moda regge perché è di qualità» colloquio con Mario Boselli di Alessandro D’Amato

di Gianfranco Polillo na lumaca a tutta pagina giganteggia dalla copertina dell’Economist. Reca sul dorso i colori della bandiera americana. Il titolo, in alto, lancia un grido d’allarme: «La grande gelata americana». Che rimbalza nell’occhiello «…e ciò che significa per l’economia mondiale». È la sintesi preoccupante del nostro incerto futuro e di quanto potrà accadere nei prossimi mesi.

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Alla base di tutto c’è la fine di una grande illusione: quella di un paese che sembrava aver vinto ogni legge di gravità e che, grazie al debito, si era garantito un tenore di vita superiore alle proprie possibilità. Poi il brusco risveglio. Mentre a Washington, in un’atmosfera densa di preoccupazione, i grandi della Terra tentano un primo bilancio della crisi: la peggiore – parola del Fmi – dall’epoca della Grande Depressione. Un lungo periodo trascorso – 9 mesi – dal suo avvio, e una fine ancora lungi dall’arrivare. Un suo bilancio, necessariamente provvisorio, parla di perdite pari a mille miliardi di dollari: una cifra che supera il 40 per cento del Pil italiano. Che ha coinvolto Paesi di mezzo mondo. Nel solo Giappone le perdite ammontano a 5,5 miliardi di dollari. E non è detto che questo sia il conto finale. Le banche e le grandi istituzioni finanziarie cercano di attenuare la botta, ricorrendo alle sofisticazioni di bilancio. Invocano una sorta di moratoria nella loro contabilizzazione. Che non si faccia più ricorso al mark to market: la tecnica che vuole che le attività finanziarie siano valutate a prezzo di mercato. È troppo poco liquido – si sostiene – e i prezzi che esprime non corrispondono al valore effettivo degli assets. Mario Draghi, come presidente del Financial Stability Forum, non è d’accordo. È necessario, si

legge in uno dei 65 punti del suo rapporto, che le perdite emergano in tutta la loro portata. Il tempo a disposizione è limitato: cento giorni. Soltanto allora sarà possibile un bilancio effettivo e una diagnosi realistica, che è presupposto per una qualsivoglia terapia. Nello stesso giorno a New York, la General Electric, terza società del mondo per capitalizzazione dopo PetroChina ed Exxon Mobil, denunciava una riduzione degli utili del 5,8 per cento, perdendo in borsa il 12,79 per cento del suo valore. Non era mai successo, negli ultimi venti anni. Nel settembre del 2001, dopo l’attentato alle Torri gemelle, la perdita – 10,7 per cento – era stata minore. Come meravigliarsi, allora, del nervosismo che ha contagiato l’intera Wall Street? Un diluvio di vendite, che ha portato a una flessione generalizzata, superiore al 2 per cento. La speranza – anche questo è un segno dei tempi – è che tengono le economie della periferia del mondo: Asia, Cina, Brasile e Russia.

Soltanto il loro maggiore tasso di sviluppo è in grado di scongiurare una recessione di carattere mondiale. Ma questa speranza non è priva di controindicazioni. Le loro popolazioni continueranno a consumare una maggiore quantità di prodotti alimentari. Le loro industrie divoreranno materie prime ed energia, spingendo ulteriormente al rialzo i relativi prezzi. Lo spettro dell’inflazione torna a turbare i sonni delle Banche centrali, imponendo loro cautela e politiche restrittive. Il ricordo, o meglio l’incubo, della stagflation torna prepotente a gelare le attese soprattutto dei consumatori. Situazione non facile, quindi, specie per un paese come l’Italia, al centro del tifone.Tommaso Padoa Schioppa, incrociando le dita, spera che il pessimismo sia eccessivo. Auguriamoci che abbia ragione.

rodotto, prodotto, prodotto. Puntare tutto sulla qualità: senza non si va da nessuna parte». Mario Boselli, presidente della Camera Nazionale della Moda, è categorico: l’industria italiana del tessile, dell’abbigliamento, della pelle e delle calzature ha superato il momento difficile. Resta un baluardo del made in Italy. Ma c’è ancora tanta strada da fare per oltrepassare definitivamente l’impatto della globalizzazione sul settore. La sua soluzione? La strada è ormai tracciata: “Produrre in serie abbastanza limitate e migliorare sempre. Questa è la chiave per guardare con speranza al futuro. Per la moda l’annus horribilis è stato il 2005, poi la risalita. Cosa è accaduto? La causa sta tutta nel 31 dicembre del 2004. Quel giorno è scaduto l’accordo multifibre con il sistema delle quote: i cinesi hanno invaso il mercato con incrementi che arrivavano a due o tre cifre. L’industria sapeva e ha cercato di prepararsi, ma l’entità non era così attesa. Le difficoltà sono durate per tutto il primo semestre di quell’anno, poi a giugno il commissario Mandelsson ha negoziato un nuovo sistema di quote che è durato fino a quest’anno, e la situazione si è prima stabilizzata, poi è migliorata. E le aziende come hanno reagito? Le realtà italiane subivano già da anni la perdita della competitività, iniziata con il sistema a cambi fissi delle Sme. Le migliori imprese si sono perciò riposizionate nella fascia alta di mercato; quelle che non avevano questa possibilità sono andate verso una sempre maggiore specializzazione. Soprattutto nel tessile, e questo è importante perché la loro dimensione aziendale era (ed è ancora in molti casi) talmente piccola che si potevano salvare soltanto così. Hanno migliorato la produttività, e si sono salvate. Il consuntivo 2007 per il comparto moda segnala però un rallentamento. Sì, ma non drammatico. In questo periodo tende ad accentuarsi il problema dei tassi di cambio, che ci penalizza molto. In generale, il nostro settore va bene quando “tirano” gli Usa, l’ Europa a 15 e il Giappone. I nostri mercati di riferimento. Oggi, nel commercio extra Ue soffriamo sia per la moneta sia per la congiuntura statunitense, in rallentamento. E con il Giappone abbiamo gli stessi problemi. E in Europa? Il nostro terzo grande acquirente, ovvero il Vecchio Continente, non soffre per il cambio, ma per il fatto che Paesi che nel passato erano i nostri primi clienti, come la Germania, oggi sono diventati terzi, sorpassati da Francia e Russia. Che cosa vi aspettate per l’anno in corso? Come diciamo nel Fashion Economic Trend del

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mese scorso , «sulla base dei dati ad oggi disponibili e a condizione che nei settori a valle l’evoluzione sia quella più positiva sopra delineata, è possibile stimare per la prima parte del 2008 una variazione del fatturato dell’industria della moda prossimo allo zero, con risultati più positivi nella parte finale del 2008 che porteranno ad una crescita complessiva annua del fatturato intorno all’uno per cento». E pensate che arriverà presto, la svolta? Ci aspettiamo un cambio significativo del trend verso la metà dell’anno, quando forse potrebbe arrivare un taglio dei tassi d’interessi da parte della Banca Centrale Europea. E un’ulteriore, significativa svolta con le elezioni americane. Cosa deve fare la moda italiana per continuare ad alimentare il circolo virtuoso? La parola d’ordine dev’essere “Bello e ben fatto”. Basta con le guerre tra poveri, il posizionamento nella fascia bassa del mercato non porta nulla. Il prodotto italiano deve distinguersi per stile e qualità, come sta già facendo da qualche anno. È un po’ una retorica? Mi piace parlare, a proposito della singolare dinamica del Made in Italy nei settori legati ai consumi per la persona (vestiario, mobili, arredamento, etc.), di “effetto Rinascimento”, che tuttora persiste nella cultura, nel senso estetico e nelle abilità artigianali degli italiani. Lo abbiamo nei nostri cromosomi. Dobbiamo sfruttarlo. Sarà la delocalizzazione l’arma finale? No, più che altro è un male necessario. Alcune nostre produzioni sono indifendibili: o si scompare o ci si rassegna a delocalizzare mantenendo il controllo delle aziende, almeno per quanto riguarda le produzioni labour intensive. Faccio l’esempio della Basic Net, un ex maglificio torinese che prima aveva qualche centinaio di operai, e adesso ha qualche centinaio di impiegati: quella è la strada giusta. Consigli alla fascia intermedia? Come dico nel documento “Il bello ben fatto”, anche per le produzioni della fascia media, possano esistere delle buone possibilità di difesa e persino di crescita grazie a un sistema di sinergie produttive, fra produzioni in Italia e quelle delocalizzate, da sviluppare a centri concentrici in funzione dei tre punti citati in precedenza: prodotto, quantità, velocità, avvalendosi, quindi, in primis dei paesi più vicini: gli ex Paesi Peco recentemente entrati nella Cee e quelli dell’area Euro-Mediterranea. In conclusione? E poi, ma questo vale per tutti, ricordiamoci di “amare”la moda che è la manifestazione più bella, più visibile, più positiva della globalizzazione o per altri versi drammaticamente “scomoda”. È vera democrazia a disposizione di tutti.


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mondo Il presidente dello Zimbabwe, Robert Mugabe, stringe il braccio di Thabo Mbeki, presidente sudafricano, durante la visita di quest’ultimo alla State House di Harare. Mbeki, duramente criticato in casa per il suo sostegno a Mugabe, ha detto che «nel Paese non c’è nessuna crisi»

La Corte Costituzionale respinge il ricorso dell’Mdc. I voti si ricontano. Indetto uno sciopero generale a oltranza

Mugabe si prepara alla guerra? di Luisa Arezzo obert Mugabe sarebbe pronto a lanciare un intervento militare in Zimbabwe per porre fine alla lunga querelle sul risultato elettorale che, seppur mai fornito ufficialmente, pende a favore di Morgan Tsvangirai. Lo ha rivelato ieri un militare dissidente al quotidiano sudafricano Sunday Times. Attraverso un intermediario, il militare - che ha partecipato a un briefing delle Forze Armate ad Harare - ha fatto sapere che il presidente sarebbe pronto a dare l’ordine anche entro un paio di giorni. Con la scusa di far marciare i veterani di guerra, (manifestazione tenutasi la scorsa settimana) Mugabe avrebbe fatto fornire ai militari tutto l’equipaggiamento necessario al colpo di mano, utile a cancellare il risultato elettorale del 29 marzo scorso, data delle elezioni. Non solo: avrebbe piazzato uomini chiave in ogni angolo del Paese e infliltrato i suoi uomini fra le forze dell’ordine per scoprire e neutralizzare eventuali bastian contrari. Sale dunque la tensione, mentre l’opposizione zimbabwese conferma la convocazione di uno sciopero generale a partire da domani. La decisione, anticipata dal Movimento per il cambiamento democratico

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(Mdc) già venerdì scorso, era sospesa in attesa del pronunciamento dell’Alta Corte in merito alla diffusione immediata dei dati richiesta dall’opposione. In un clima arroventato dall’attesa, il verdetto arrivato ieri nel primo pomeriggio ha il fragore di una folgore e la voce di Tendai Uchena, il giudice della Corte Costituzionale: «Il ricorso è respinto e le spese giudiziarie sono a carico del ricorrente». Immediata la risposta dell’Mdc, che invoca lo sciopero a oltranza, fino a quando i risultati non verranno comunicati. «Chiamiamo a raccolta il popolo - dice in una conferenza

posizione aveva (finora) vinto, strappando 109 seggi contro i 97 del partito di Mugabe. «Ci sono motivi sufficienti in 23 ripartizioni elettorali su 210 per dire che si sono registrati errori» ha affermato la commissione che l’opposizione accusa di stare col partito al potere. Quindi si riconta. Nonostante l’Mdc si sgoli e rivendichi la vittoria del suo leader, Morgan Tsvangirai, con il 50,3 percento dei consensi. Un vantaggio sempre negato sia dalla State House del presidente Mugabe che dalla coalizione di gruppi della società civile, Zimbabwe Election Support Network, che

scere, in qualsiasi parte del Paese». Amaro in bocca anche per il vertice di Lusaka dei 14 Paesi dell’Africa australe tenutosi nel week end. Chi si immaginava un processo a Mugabe o almeno una vigorosa presa di posizione per la trasparenza elettorale è rimasto scornato. Ma a deludere, ulteriormente, è stato il presidente sudafricano Thabo Mbeki. Accusato nel suo Paese di sostenere di fatto Mugabe, non ha certo smentito con le sue parole i sospetti. Come interpretare altrimenti le sue incredibili dichiarazioni: «Non c’è nessuna crisi in Zim-

Con la scusa di far marciare i veterani di guerra il presidente avrebbe fatto fornire ai militari tutto l’equipaggiamento necessario al colpo di mano, utile a cancellare il risultato elettorale del 29 marzo scorso stampa convocata d’urgenza Thokhozani Khupe, vicepresidente dell’Mdc - affinché faccia sentire la propria voce contro la Commissione elettorale. Manifesteremo compatti finché sarà necessario». Un termine impossibile da stabilire, visto che la Commissione elettorale ha annunciato due giorni fa di voler procedere al riconteggio delle schede delle legislative: ovvero delle elezioni che l’op-

sostengono quantomeno il pareggio e dunque la necessità di un ballottaggio. Ma nessuno, nemmeno fra gli osservatori occidentali, ritiene più plausibile tale affermazione. Resta dunque il rischio che lo sciopero possa precipitare in un bagno di sangue se - come dice l’informatore al Sunday Times ogni tentativo si protesta e ogni capannello di gente - «sarà immediatamente bloccato sul na-

babwe». E ancora, intervistato in merito alla rivolta contro i farmer bianchi perpetrata dai veterani di guerra, ha aggiunto e glissato sull’argomento: «Non descriverei tali atti come un’emergenza. In Zimbabwe è in corso un normale processo elettorale. Non dobbiamo fare altro che attendere i risultati della Commissione». Tanto che l’editorialista di punta del Sunday Times, Justice Malala, ha

detto a liberal «Quello che il governo sudafricano sta facendo nei confronti dello Zimbabwe non ha nulla a che fare con la politica estera. Assistiamo alle prese di posizione di un uomo che non ascolta né la voce del suo partito né tantomeno quella del suo popolo. La nostra politica estera è ostaggio di Mbeki». La situazione in Zimbabwe è ormai al collasso, migliaia di uffici, negozi e fattorie hanno chiuso. L’80 percento della popolazione è disoccupata, mentre un quarto ha già lasciato il Paese per sopravvivere. Un terzo dei bambini ha cessato di andare a scuola perché le famiglie non possono sostenere i costi. Un quinto dei cittadini è infetto da Aids e ogni giorno sono falcidiate dall’epidemia 400 persone. L’aspettativa di vita è passata dai 61 anni del 1991 ai 34 del 2007. Il tasso di inflazione è alle stelle e un chilo di pane costa milioni. Ciononostante, lo scorso compleanno Mugabe ha indetto delle celebrazioni per oltre un milione di dollari. I cittadini del Paese sono arrivati a piedi da ogni dove: non per festeggiarlo, ma per mangiare un pezzo della magnifica torta di compleanno che il presidente aveva promesso.


mondo

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Evangelici e cattolici tedeschi si schierano con i fratelli perseguitati

Con i cristiani d’Iraq di Alessandro Alviani BERLINO. «I cristiani in Iraq vivevano meglio in passato, sotto il dominio di Saddam Hussein, che oggi, sotto il protettorato Usa». A parlare non è né un oppositore della politica di Washington, né un difensore del regime, bensì un vescovo, Wolfgang Huber. Il presidente della Chiesa evangelica tedesca durante l’omelia del venerdì santo ha gridato il suo sconcerto di fronte a quanto sta avvenendo in Iraq ai danni dei cristiani. Persecuzioni, rapimenti, omicidi mirati. Una “pulizia etnica e un genocidio”, ha detto Huber. Parole scelte con cura per provocare una reazione, in primo luogo politica. L’omelia del venerdì santo è stata infatti soltanto l’ultima mossa di una strategia che la Chiesa evangelica, e la Conferenza episcopale tedesca, portano avanti da settimane. L’obiettivo: convincere il governo federale ad aprire le porte della Germania a diverse migliaia di profughi cristiani iracheni, così in una lettera inviata al ministro degli Interni, Wolfgang Schäuble.

La situazione in Iraq non fa sperare in un rapido rientro dei rifugiati. Lo ricordano il sequestro e l’uccisione, un mese fa, dell’arcivescovo caldeo di Mosul, Faraj Rahho, poi l’assassinio di un sacerdote a Baghdad. Per non parlare dei tanti che varcano il confine per rifugiarsi nei Paesi vicini. Dall’inizio della guerra circa la metà degli 1,5 milioni di cristiani iracheni ha abbandonato l’Iraq. I campi profu-

to trapelare il suo sì nel corso di una riunione della commissione per i diritti umani, e l’ha poi ribadito in un editoriale pubblicato sulla Bild am Sonntag. La presidente della commissione, Herta DäublerGmelin, Spd, ha lanciato un appello per sostenere i programmi dell’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati. Secondo l’Unhcr, del resto, dalla metà degli anni Novanta il numero dei richiedenti asilo in Germania è crollato dell’84 per cento. Questa settimana Schäuble ne discuterà con i ministri regionali degli Interni.

Wolfgang Schäuble ghi in Siria, Giordania e Libano, sono ai limiti. Per questo Berlino dovrebbe agire, quanto più in fretta possibile e accogliere i profughi cristiani. Quanti, non è ancora chiaro: stando ad alcune stime, si tratterebbe di un contingente di 20 o 30mila persone. Bernard Kouchner, l’unico ministro degli Esteri europeo ad aver annunciato una misura simile, ne ha promesso l’arrivo in Francia di 500. La proposta delle due chiese ha già incontrato il favore di larga parte del governo e del parlamento tedesco. Il ministro Schäuble ha lascia-

BASTONE E CAROTA

Nucleare iraniano, non solo sanzioni L’incontro programmato per domani a Shanghai è ancora al livello tecnico, eppure potrebbe rappresentare l’inizio di una svolta nell’atteggiamento delle maggiori potenze mondiali sul caso del contestato e temuto programma nucleare iraniano. Nella metropoli cinese si riuniranno i rappresentati dei cinque Paesi che sono membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu (la Cina, appunto, gli Usa, la Russia, la Gran Bretagna e la Francia) più un inviato della Germania e uno dell’Unione europea. Obiettivo dell’incontro: elaborare una nuova proposta che convinca Teheran a rinunciare alla costruzione di un impianto per l’arricchimento dell’uranio. Non più soltanto minacce di nuove sanzioni, insomma, ma un’ipotesi di collaborazione. Un modo per mettere alla prova il regime di Ahmadinejiad: se davvero l’Iran vuole svilup-

Schäuble avrebbe in mente una soluzione “europea” della vicenda. Anche altri membri Ue dovrebbero seguire l’esempio di Parigi e Berlino e accogliere sul loro territorio i profughi iracheni. In Germania Verdi ed esponenti Spd chiedono un’azione per tutte le minoranze perseguitate in Iraq. Al momento l’iniziativa dovrebbe essere limitata ai cristiani, i più esposti alle persecuzioni. I cristiani iracheni «hanno un orientamento “occidentale” nel loro modo di vivere e di pensare, si potranno integrare», chiarisce a liberal Ulrich Pöner, direttore della sezione internazionale della Conferenza episcopale. Comunque dice Pöner «anche se ci impegniamo per una soluzione generosa a favore dei profughi iracheni, non possiamo rassegnarci all’idea che la storia del cristianesimo in Iraq si concluda».

d i a r i o

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Benedetto XVI negli Stati Uniti Il Papa parte oggi per gli Usa da Fiumicino. L’arrivo del pontefice è previsto a Washington alle 16, ora locale. La visita del Papa è legata al discorso all’assemblea generale delle Nazioni Unite che si terrà il 18 aprile, e alla celebrazione dei 200 anni dalla nascita di cinque grandi diocesi della costa orientale. La parola del Pontefice sui temi etici e’ attesa dall’opinione pubblica d’oltroceano. Banedetto XVI vedrà il presidente americano George Bush con quale si raccoglierà in preghiera sul luogo che ricorda le vittime dell’attentato dell’11 settembre 2001.

Il primo ministro della Sassonia si dimette Svolta nel Laender tedesco della Sassonia, Georg Milbradt primo ministro di Dresda porge le dimissioni anticipate dal suo incarico. Il politico della cdu era sotto pressione a causa dei problemi con la banca del Land. Secondo quanto annunciato a maggio dovrebbe abbandonare il ruolo di capo della Cdu e quello del capo dell’esecutivo regionale. Il suo successore dovrebbe essere l’attuale ministro delle Finanze del Land, Stanislaw Tillich.

Dichiarazione di guerra di Parigi ai pirati Dopo l’attacco militare la Francia ha iniziato l’offensiva diplomatica contro la pirateria. Parigi si è fatta promotrice di una iniziativa dell’Onu per la creazione di forze militari multinazionali in grado di pattugliare le acque di Paesi non in grado di intervenire autonomamente. Nei prossimi giorni dovrebbe essere una risoluzione in questo senso verrà presentata al Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite.

Nuovi contatti tra Cina e Taiwan Il contrasto con quanto avviene nel Tibet non potrebbe essere più clamoroso. Dopo l’incontro del vicepresidente di Taiwan con il capo dello Stato cinese Hu Jintao, Pechino e Taipei hanno espresso la loro volontà di proseguire il dialogo. Lo ha affermato Vincent Siew, vice presidente dell’isola dopo il colloquio con Hu. Se Hu durante la fine della settimana scorsa aveva messo in guardia il mondo dall’escalation del conflitto tibetano, ieri ha invece definito «storico» l’incontro avuto con Siew.

Trionfo maoista in Nepal Gli stessi ex ribelli sono sorpresi dalle dimensioni del loro successo e ora temono un colpo di coda degli ambienti nazionalisti e monarchici. Il loro leader Prachanda ”il feroce”, destinato a diventare presidente del Paese himalayano, si è detto ”sorpreso” del risultato: ”Sapevamo di avere il sostegno di gran parte del popolo”, ha dichiarato, ”ma non speravamo in una vittoria cosi’ ampia”. La vittoria maoista manda in soffitta la monarchia indù per fare largo alla repubblica. Le elezioni di giovedì, i cui risultati finali si sapranno solo dopo il 20 aprile - vista la lentezza dello spoglio - serviranno ad eleggere i 601 membri dell’Assemblea Costituente, che avrà il compito di riscrivere la Costituzione del Paese.

vi si dirà di Enrico Singer

pare un programma nucleare civile per la produzione di energia - come dichiara ufficialmente - allora perché non dovrebbe accettare la cooperazione di chi ha già la tecnologia necessaria? Nel giugno del 2006 a Teheran era stata fatta per la prima volta questa offerta in linea di principio senza entrare, però, nei dettagli di un vero e proprio piano di assistenza per la realizzazione di centrali nucleari civili. Dalla riunione di Shanghai ci si attende un primo passo in questa direzione. Anche perché la linea delle sanzioni non ha dato, finora, risultati apprezzabili sia per la risposta dura del regime iraniano, sia per le divisioni tra Stati Uniti, Russia e Cina ed anche tra gli Stati Uniti e l’Europa. Tanto che uno dei più influenti columnist conservatori americani,

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Charles Krauthammer, ha scritto la scorsa settimana sul Washington Post che «il tentativo di George W. Bush di bloccare i programmi nucleari iraniani con le sanzioni è fallito e gli Usa farebbero bene ormai a prenderne atto e a preparare misure di deterrenza».

IL TURKMENISTAN OFFRE GAS

Nabucco non c’è ma trova fornitori Il gasdotto Nabucco esiste soltanto sulla carta, ma ha già guadagnato un altro fornitore. Dopo l’Azerbaijan, il Turkmenistan ha offerto ben dieci miliardi di metri cubi del suo gas all’Europa da immettere nella pipeline che dovrebbe

attraversare Turchia, Bulgaria, Romania e Ungheria per raggiungere (in 3.300 chilometri) il grande centro di smistamento austriaco di Baumgarten che rifornisce anche l’Italia. Ma, in attesa di Nabucco che nelle migliori previsioni sarà pronto per il 2013, il gas turkmeno potrebbe anche essere liquefatto e spedito via mare. Al di là dellke soluzioni tecniche, è molto importante la decisione politica che sta dietro l’operazione. Fino a che il Paese, ex Repubblica dell’Urss, è stato dominato dal presidente-dittatore Saparmurat Niyazov fedelissimo di Mosca, un contratto di questo genere sarebbe stato impossibile. Tutto il gas turkmeno è sempre andato alla Russia che, poi, lo rivende assieme al suo attraverso Gazprom. Niyazov è morto nel dicembre del 2006 e il nuovo presidente, Gurbanguly Berdymukhammedov, ha avviato un sia pur timido programma di autonomia economica e politica da Mosca. Sul quale punta l’Europa per diversificare le sue fonti energetiche.


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economia Dopo il fallimento della Northen Rock il sistema inglese pensava di aver superato la maggiore crisi politico-finanziaria registrata da qui a 30 anni. Ma il sistema teme di dover fare di nuovo i conti con l’instabilità portata dai subprime

La crisi immobiliare colpisce le istituzioni finanziarie e le famiglie: verso quota 45mila il numero di case espropriate

I subprime frenano il treno britannico di Pierre Chiartano e le società di recupero crediti sponsorizzano i programmi di news sulle radio londinesi, qualcosa vorrà dire? Il “veleno” dei subprime continua a circolare nei sistemi finanziari mondiali, esplodendo qua e là, in maniera che, a volte, parrebbe frutto di un’attento crisis management, altre il prodotto di una dinamica fuori controllo. In Inghilterra, dopo lo scivolone della Northern Rock e l’intervento pubblico, sembrava tornata una certa tranquillità. Ma gli eventi smentiscono questa analisi. Infatti è arrivata la “mazzata”Bear Stearn dei cugini americani e la paura ha ripreso a serpeggiare.

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Sono più di 5 milioni le famiglie britanniche considerate a rischio, per i mutui a tasso variabile, come risulta dalla classifica della Experian, agenzia di rating molto conosciuta e utilizzata locale, perchè conosce a fondo debitori, consumatori ed elettori. L’età dell’oro promessa da Gordon Brown sembra giunta al termine, mentre i sudditi della Regina Elisabetta gridano «ridateci la Thatcher», come è emerso da un recente sondaggio del Daily Telegraph. Ma cerchiamo di leggere i dati con più attenzione. Il Primo ministro inglese alla fine di marzo aveva tranquillizzato l’opinione pubblica sottolineando come nel 2007 fossero state solo 27mila le case espropriate dalle banche ai possessori morosi, non più in grado di onorare mutui sempre più cari. Ma se-

condo Experian, si viaggia verso quota 45mila. Dal punto di vista geografico le aree a rischio maggiore sono il Nord e le Middlands; da un punto di vista elettorale, il grosso è formato da potenziali elettori del Labour party e sicuramente influenzerà le scelte dell’esecutivo. Gordon Brown, il 7 aprile scorso, dichiarava la necessità di «ristrutturare» l’International monetary fund in modo che possa funzionare come sistema di primo allarme per l’economia mondiale.

Al G7 di Washington i ministri finanziari hanno affrontato il problema nel Financial stability forum, dove il segretario al Tesoro americano, Henry M. Paulson, ha presentato il suo piano a lungo termine di rifor-

ma. Sul tavolo ci sarà da effettuare una scelta precisa. La finanza è lo strumento che mette in comunicazione il lavoro col capitale e che permette agli investitori di suddividere e commerciare il rischio. Meglio è congeniato il sistema, maggiori sono i guadagni. Oggi, con la crisi che non colpisce soltanto la credibilità dei meccanismi finanziari ma la serenità e il futuro di milioni di famiglie, la tentazione di varare normative che mettano le briglie al sistema è forte. La scelta sarà tra un meccanismo sofisticato, ma soggetto ai cosiddetti boom and bust (da cicli di forte espansione a quelli di forte contrazione), e un modello fortemente regolato che condanna l’economia a una crescita minima.

La storia ci viene in soccorso, perché crisi cicliche (quasi decennali) il capitalismo le ha sempre sofferte, anche in un passato remoto.

Che fossero i regnanti spagnoli o francesi del XVI secolo che non volevano restituire i debiti, oppure le speculazioni azionarie sui grandi progetti ferroviari del XIX secolo cambia poco, le crisi sono sempre esistite. L’unico dato veramente sensibile di quella attuale, la prima del XXI secolo, è che colpisce direttamente la classe media in un ambito sensibile come quello della casa. Se il boss di Deutsche bank, Josef Ackerman, non crede più alla capacità d’autoregolamentazione del sistema, sarà sicuramente la via di mezzo quella

Inflazione, crescita e liquidità: il taglio dei tassi della BoE non sembra sufficiente

L’ossigeno della banca d’Inghilterra È un esercizio d’equilibrismo quello messo in atto dal Monetary policy committee (Mpc) della Bank of England (BoE). La scorsa settimana – un giorno prima del ferale annuncio dell’Imf sulla crisi mondiale – la BoE ha abbassato il tasso di sconto sulla sterlina di un quarto di punto, portandola al 5 per cento. È la terza volta in cinque mesi che si agisce sulla leva monetaria. E in presenza di un movimento inflattivo in salita, rispetto all’obiettivo programmato del 2 per cento, potrebbe sembrare una scelta non ortodossa, ma la previsione è che la crisi riporterà l’inflazione, in quei limiti, nel medio periodo. Leggendo il report della BoE di febbraio, ciò che preoccupava – e preoccupa ancora – i

banchieri centrali di sua Maestà, è il combinato disposto del rallentamento nella crescita, con e quella che veniva definita un’inflazione «above-target», spinta dai costi dell’energia, del settore alimentare e delle importazioni. Oltre ai segnali allarmanti da Usa e resto del mondo sulla crisi subprime, con l’abbassamento dei valori immobiliari e del mercato equity collegato, venivano registrati i primi segnali di un rallentamento nei consumi. In quella sede è stata presa la decisione dell’ulteriore abbassamento del costo del denaro, poi avvenuta giovedì scorso, nel difficile tentativo di bilanciare gli effetti negativi dei problemi di crescita e di un sistema finanziario in crisi, con quelli inflattivi.

che prevarrà: la riforma Paulson non sarà operativa nel breve periodo e non sarà così semplice vincolare un sistema tanto complesso. Oggi ci preoccupiamo dei subprime, ma all’orizzonte si dovrà fare i conti con l’instabilità prodotta dai credit default swap (Cds). L’Inghilterra, secondo le stime di Abn Amro, sembrerebbe più a rischio degli Usa. Negli ultimi cinque mesi il valore immobiliare è sceso costantemente e l’indice di supervalutazione del settore sarebbe del 50 per cento in Gran Bretagna, rispetto al 25 degli Stati Uniti.

E non è finita, perché anche l’indice dei fallimenti aziendali sta dando segnali poco rassicuranti. Nel primo trimestre 2008 c’è stato un incremento del 8,5 per cento. Rispetto allo stesso periodo del 2007, ben 374 imprese in più hanno “portato i libri in tribunale”nel Regno Unito. Il settore più colpito è quello edilizio e dei servizi alle imprese, ma non sono gli unici: anche il comparto agricolo è di quelli terremotati. Il totale delle imprese che hanno chiuso i battenti nel primo quarto dell’anno è di 4.798, il dato più alto dall’ultimo del 2006. In ogni caso, il potere normativo delle istituzioni nazionali e internazionali non sarà in grado di controllare tutte le dinamiche della finanza globale. Rischia di essere solo un’illusione. Non solo, ma è molto difficile valutare la “pericolosità” di nuovi strumenti e idee che si affacciano periodicamente sul mercato.


economia

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Secondo rumors raccolti da “Le Tribune” gli italiani avrebbero presentato l’offerta migliore

Eni in prima fila per la corsa a Distrigaz d i a r i o

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Alitalia, la Iata chiede garanzie Nuove incognite sul futuro di Alitalia. Ieri l’amministratore delegato della Iata, Giovanni Bisignani, ha fatto sapere: «Se Alitalia entrerà in amministrazione controllata, dovrà darci delle garanzie finanziarie, oppure la compagnia non potrà più partecipare al sistema finanziario gestito dall’associazione, senza il quale continuare ad operare sarà molto difficile». Intanto la Consob ha comunicato che il fondo TT International ha ridotto la sua quota nel vettore dal 2,370 al 2 per cento.

Telecom: Bernabè rivede il piano Dopo le richieste arrivati dai soci e dal mercato, Franco Bernabè è pronto a rivedere in anticipo il piano industriale di Telecom Italia, presentato in marzo. «Intendiamo», ha spiegato l’amministratore delegato, «rivedere il piano nell’ambito di un processo di pianificazione regolare, anticipando i tempi rispetto a quest’anno. Punteremo sul tema dei costi dove c’è molto da fare, con tutta la struttura che è impegnata». Bernabè ha anche annunciato un aumento delle sinergie con Telefonica, stimate finora a 1,3 miliardi di euro, quindi ha detto di volersi rafforzare in Germania, Brasile e Argentina e ha confermato che non ci saranno spin off o quotazioni sulla rete.

di Vincenzo Bacarani

Generali: Benetton non vota la sua lista ROMA. È ancora in fibrillazione il grande risiko europeo dell’energia e l’Eni sembra vicina a mettere a segno un altro colpo grosso: Distrigaz, società belga per la distribuzione del gas che controlla l’85 per cento del mercato locale. Da alcune indiscrezioni pubblicate dal quotidiano Le Soir, nella gara per l’acquisizione del 57,25 per cento della Distrigaz, il gruppo guidato da Paolo Scaroni sembra essere il favorito, forte dell’offerta migliore rispetto agli altri concorrenti della “short list”(la francese Edf e la tedesca E.On). Non solo, l’Eni – secondo indiscrezioni – godrebbe del «favore del governo belga», che, soprattutto per quanto riguarda la sua forte componente fiamminga, non vedrebbe di buon occhio un’apertura alla francese Edf. La corsa al mercato europeo dell’energia è partita in seguito all’acquisizione da parte dell’utility francese Suez della Gdf (Gas de France), acquisizione che ha dato vita al quarto gruppo mondiale (il terzo per capitalizzazione) nel gas e nell’elettricità. Un gigante voluto fortemente anche dal presidente francese Sarkozy, con 72 miliardi di fatturato e una partecipazione dello Stato pari al 35 per cento. Quest’operazione ha spinto la Commissione europea a invitare Suez, per motivi di antitrust, a cedere la propria partecipazione nella belga Distrigaz per una quota del 57,25 per cento. E così è scattata la corsa sul Belgio. L’Eni si è presentato ai nastri di partenza con un curriculum di tutto rispetto: presenza in 70 paesi

Il gruppo guidato da Paolo Scaroni otterrebbe per l’operazione l’appoggio del fronte fiammingo al governo, che non vuole fare regali ai francesi di Edf con 73 mila dipendenti e un giro d’affari che l’anno scorso è stato di 111 miliardi di euro.

«Ormai», dice Andrea Bollino, presidente del Gestore servizi elettrici, «lo scacchiere del mercato dell’energia è diventato europeo e non più soltanto nazionale. Se la partita su Distrigaz vedrà vincente l’Eni, il gruppo italiano avrà ottenuto un consolidamento della sua posizione e una diversificazione dei suoi obbiettivi, aspetto molto importante di questi tempi».

Del resto la stessa Enel con l’acquisizione della spagnola Endesa e con l’attiva partecipazione nel settore energetico ceco e slovacco ha già seguito una strada simile a quella imboccata dall’Eni. Ma c’è un’altra componente strategica: la frontiera belga è vicina a importanti fonti di approvvigionamento come l’Olanda e il Mare del Nord, per non parlare della Russia. «Questo», aggiunge Bollino, «consente all’Eni di avere linee di sviluppo diversificate, se riuscirà ad aggiudicarsi la rete di distribuzione belga, e in un periodo di forte competizione globale ciò rappresenta senza dubbio un’arma in più. Si tratta pertanto di una visione strategica del mercato che darà i suoi frutti».Considerando anche le intenzioni di Gazprom, che produce oltre il 93 per cento di gas in Russia, di integrarsi nel mercato internazionale. La partita sulla belga Distrigaz potrebbe dunque essere fondamentale per stabilire una sorta di gerarchia fra i grandi gruppi europei, ma soprattutto potrebbe rappresentare una svolta importante per il colosso italiano. Nel frattempo, Gerard Mestrallet, presidente e Ad di Suez, ha spiegato che il vincitore della gara si conoscerà prima dell’assemblea straordinaria degli azionisti della sua società, in programma il 30 giugno per voterà la fusione con Gaz de France. Nel frattempo la Borsa appare da tempo molto tiepida e nemmeno queste anticipazioni sembrano scaldarla più di tanto: le azioni dell’Eni continuano a scendere, seppur lievemente.

Ennesima puntata nella lista di Edizione Holding per il collegio sindacale di Generali. Dopo i dubbi segnalati dalla Consob e il ricorso di Algebris, il gruppo Benetton ha comunicato che «non esprimerà il suo voto per i candidati alla nomina del collegio sindacale inclusi nella lista da essa presentata» in vista dell’assemblea degli azionisti del Leone, che si terrà il prossimo 26 aprile.

Pirelli Re fa slittare il business plan Pirelli Re smentisce ufficialmente le ipotesi di delisting circolate in questi mesi. L’amministratore della società, Carlo Puri Negri, ha poi annunciato che il nuovo piano industriale slitterà alla seconda parte dell’anno. Una decisione che non è piaciuta al mercato. Intanto il consiglio di amministrazione , riunitosi ieri dopo l’assemblea, ha confermato Marco Tronchetti Provera presidente e Puri Negri come vicepresidente come e Ad.

Fiat denuncia il blocco a Pomigliano Nuove tensioni tra la Fiat e i lavoratori dello stabilimento di Pomigliano d’Arco. L’azienda si è rivolta alla magistratura – con un ricorso ex articolo 700 – per chiedere l’intervento dopo il blocco organizzato da un gruppo di lavoratori, che impedisce dalla scorsa settimana l’ingresso di componenti e l’uscita di prodotti finiti.

Wall Street penalizza Piazza Affari Chiusura debole a piazza Affari (-1,06 per cento), sulla scia di Wall Street e Tokyo. In calo Telecom (-4,11) nel giorno dell’assemblea. Bene Mondadori (+3,27), ma non Mediaset (-0,74).


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compleanno

Inizia a recitare giovanissima «per caso», calamitando su di sé l’attenzione di maestri come Visconti e Fellini

Claudia Cardinale, l’eleganza e il fascino all’italiana di Priscilla Del Ninno film. ovantasei Sono stata puttana e principessa. Dalla Russia all’Australia, dall’Africa all’America»: così Claudia Cardinale, alla soglia dei settant’anni che compirà oggi, (è nata il 15 aprile 1938), in una recente dichiarazione riassumeva la sua brillante carriera cinematografica cominciata, come il rituale divistico impone, davvero un po’ per caso. Occhi scuri penetranti, una cascata di capelli neri, due fossette sulle guance e un’inconfondibile voce roca indice di un’innata sensualità, sono i tratti peculiari del suo fascino. L’intensità del volto, la caparbietà dello sguardo e l’impulsività della sua indole, le note distintive di un carattere, cui avrebbe attinto nel corso della sua ricerca attoriale.

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ormai d’adozione, con ogni angolo di mondo ha un legame particolare.

Claudia Cardinale, allora, è tutto questo e molto di più. E’ la ragazza con ambizioni da insegnante che si ritrova a fare i conti con un talento da attrice e un’iscrizione fatta controvoglia al Centro Sperimentale di Cinematografia. E’ la nuova scoperta lanciata ai suoi esordi come risposta mediterranea alla bionda Brigitte Bardot. Lei, esile e profondamente intensa, che mostra sin dalle prime

L’intensità del volto, la caparbietà dello sguardo e l’impulsività della sua indole, le note distintive di un carattere cui avrebbe attinto nel corso della sua ricerca personale di attrice

Una bellezza e un talento naturali le chiavi di un successo che malgrado l’internazionalità dei suoi riscontri ancora la vede coinvolta e coinvolgente come quella «ragazza con la valigia» che Valerio Zurlini immortalò nel ’61, struggente protagonista di quella sorta di «Traviata adriatica», senza i maledetti sviluppi del caso, artefice e al tempo stesso vittima di un’iniziazione sentimentale raccontata con pudore e limpidezza a fianco di un allora esordiente Jacques Perrin. Ma, soprattutto, Claudia Cardinale è da sempre e incarna tutt’oggi - a dispetto di un suo convinto rifiuto della chirurgia estetica, motivato anche dalla constatazione che il tempo non sembra essersi accanito sulla sua bellezza - quell’icona di freschezza e spontaneità, simbolo di una passione apolide, lei che, tunisina di nascita, siciliana di origine, francese di cultura e

esperienze la predisposizione per una recitazione popolaresca e tuttavia sottilmente interiore, quasi disarmata perché esente da artifici e dal rischio della standardizzazione artistica, e capace di ricreare, malgrado un avvio di carriera che agli esordi le affida parti di secondo piano anche se in film comunque molto importanti, i connotati esistenziali e le caratterizzazioni espressive della figura della protagonista. Tanto da rivelarsi come l’interprete capace di calamitare su di lei, e sin dagli inizi, l’attenzione di maestri del calibro di Luchino Visconti e Federico Fellini, che la chiedono in contemporanea per Il Gattopardo e per Otto e mezzo, contendendosela in una vera e propria diatriba diplomatica, con l’attrice chiamata a dividersi a settimane alterne, ora mora, ora bionda, su due set. Per la letteratura spettacolare

dunque, come dicevamo tutto ha inizio per caso, secondo la più classica e ormai desueta delle trame del destino, quando Pietro Notarianni la incrocia – la sua persona per strada o la sua immagine su un settimanale, le teorie in proposito sono diverse - restandone folgorato, tanto da farle ottenere subito un contratto con la Vides di Franco Cristaldi, (di lì a poco suo primo marito), che le affida la parte di Carmelina ne I soliti ignoti di Mario Monicelli (1958). A quel mitico titolo di ieri seguiranno altri intramontabili successi: Un maledetto imbroglio di Pietro Germi Il (1959), bell’Antonio di Mauro Bolognini (1960), fino all’incontro con Visconti che le affida una parte importante in Rocco e i suoi fratelli (1960), e che poi la vorrà, come detto, nelle sublimi vesti di Angelica del Gattopardo (1963), primo ruolo grazie al quale l’attrice, che fino a quel momento aveva esaltato spontaneità e tenacia caratteriale ed interpretativa, si inserirà con veemenza ed eleganza in un mondo di celluloide aristocratico. Un ingresso solennizzato

in quella sontuosa ricostruzione viscontiana del passaggio della Sicilia dai Borboni ai sabaudi, e della conciliazione tra due mondi «affinché tutto cambi perchè nulla cambi», che ha il suo apice nelle indimenticabili sequenze del ballo tra la Cardinale e Alain Delon, con cui la nobiltà palermitana festeggiava la scongiurata rivoluzione. Un esordio da antologia, per l’attrice, cui

avrebbe fatto seguito, due anni dopo, l’impegnativa parte borghese sostenuta in Vaghe stelle dell’Orsa, sempre di Luchino Visconti. Fiera dei suoi natali arabi: «sono nata in un Paese che si affida molto al destino» è solita dire.

Icona mai tirata per la giacchetta, con la sua personalità ha marchiato a caratteri di fuoco ogni scelta artistica, senza doversi mai schierare politicamente in maniera plateale, pur avendo sempre assunto decise posizioni liberali, battendosi fieramente per i diritti delle donne e dei più deboli, dando un contributo a tutt’oggi ininterrotto a molte cause umanitarie. Stella internazionale che ha saputo declinare il glamour del suo impegno professionale con una gelosa difesa della privacy familiare, Claudia Cardinale ha segnato con il suo carisma istrionico il lavoro di molti


compleanno

15 aprile 2008 • pagina 21

In alto, Claudia Cardinale stringe la mano alla regina d’Inghilterra durante la Royal Film Performance all’Odeon, nel febbraio del 1962. Qui a fianco, l’attrice durante una scena del film Il Gattopardo del 1963, con Alain Delon. In basso, insieme a Sergio Leone e Paolo Stoppa sul set del film C’era una volta il west, girato nel 1968

grandi autori del cinema di casa nostra: da Zurlini, come detto, a Luigi Comencini, per cui diventa l’esile Ragazza di Bube (1963), da Bolognini, che la sceglie per La viaccia (1961) e Senilità (1962), a Francesco Maselli che la dirige ne Gli indifferenti (1964), fino alla performance regalata ad Antonio Pietrangeli con il Magnifico cornuto (1964), e al ruolo di quell’indimenticabile popolana siciliana cui, sotto la sapiente direzione di Damiano Damiani, ha conferito spessore drammatico ne Il giorno della civetta (1968). Passando con disinvoltura, senza per questo perdere in intensità, dal film inchiesta alla chicca per amatori, dal più tipico canovaccio della commedia all’italiana alla più classica pellicola in costume, confrontandosi sempre con compagni di set di altissimo livello: come nel caso di Alberto Sordi in Bello, onesto, emigrato in Australia

sposerebbe compaesana illibata di Luigi Zampa (1971), o come con il surreale Enzo Jannacci dell’Udienza (1971) di Marco Ferreri. E con la stessa camaleontica abilità, Claudia Cardinale si è districata tra successi italiani e set internazionali, come quando Blake Edwards la sceglie accanto a Peter Sellers e David Niven per girare La Pantera Rosa, (1963), o come quando Richard Brooks la chiama nel ’66 per il western I Professionisti, dove recita insieme a due giganti hollywoodiani come Burt Lancaster e Lee Marvin, solo un assaggio di quello che preparerà per lei Sergio Leone due anni dopo con C’era una volta il west.

Poi il decennio ’70-’80 la vede al centro di inversioni di marcia, sia sul fronte privato che su quello professionale: e dopo intere stagioni artistiche passate

a conciliare un istintivo temperamento drammatico con proposte cinematografiche votate soprattutto alla commedia brillante, nel 1975, a seguito del discusso Libera, amore mio di Bolognini, e dopo Il comune senso del pudore di Alberto Sordi (1976), i tempi sono maturi per l’incontro con Pasquale Squitieri al quale, dopo la separazione da Franco Cristaldi, Claudia si era unita sentimentalmente. Un uomo e un regista capace di far emergere nell’arco di un’intensa collaborazione, ancora in corso – e da I guappi a Claretta, da Li chiamarono briganti al Prefetto di ferro – le doti più genuine e recondite della donna e dell’interprete. Una sinergia, quella trovata e rafforzata nel tempo con Squitieri, che la Cardinale alterna – giocando su registri diversi - al lavoro con il cast internazionale del film di Werner Herzog,

Fitzcarraldo (1981); con il ruolo della principessa napoletana Consuelo Caracciolo definito con Liliana Cavani per La pelle (1981); al contesto pirandelliano destrutturato da Marco Bellocchio nell’Enrico IV (1984).

Trasferitasi a Parigi, dagli anni ’90 ha diradato molto la sua attività, che comunque la porta nel ’96 sul set del kolossal tv Nostromo e nel 2002 su quello di Claude Lelouch, regista di And now ladies and gentleman. Un impegno sempre a tutto campo cinefilo, il suo, coronato con Leoni a Venezia (quello alla carriera attribuitole nel 1993), Orsi a Berlino (sempre alla carriera, vinto nell’edizione del 2002), riconoscimenti a Cannes e celebrazioni ovunque, che naturalmente il prossimo compleanno, insieme alle conquiste individuali e ai traguardi familiari, Claudia non potrà non festeggiare.


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LA DOMANDA DEL GIORNO

Quali i provvedimenti per debellare il bullismo? OCCORRONO INTERVENTI DELLA POLITICA PRO FAMIGLIA, PRO SCUOLA E PRO INSEGNANTI Da nessun partito è annoverato tra le priorità che il nuovo governo dovrà affrontare, eppure certamente è un problema esistente, che va risolto e anche presto, prima cioè che assuma le proporzioni raggiunte in altri Paesi, vedi Usa e vedi Gran Bretagna. Il bullismo dilaga, e non solo nell’ambiente scolastico, ormai il fenomeno delle baby gang si diffonde in ogni ambiente e non è più appannaggio dei maschietti, ma appartiene anche alle femminucce, sempre più mascoline e sempre più violente. Che fare dunque? Innanzi tutto risalire alle cause che lo determinano. E io penso in proposito che il fenomeno sia dovuto soprattutto al declino della famiglia quale nucleo fondante della società. Divorzio,famiglia allargata, donna in carriera, figli unici. Ragazzi dunque sempre più soli, sempre più preda di falsi valori. Scuola sempre più insufficiente, insegnanti sempre più indifferenti perché svuotati di ogni autorità, e derisi dagli studenti che vedono in loro - anche per i salari che prendono - soggetti non da prendere ad esempio, ma personaggi destinati al fallimento. Ripeto: e allora che fare? Interventi pro famiglia, pro scuola, pro insegnanti. Restituiamo a costoro l’autorità di cui necessitano, ricordiamo a tutti e sempre che agli in-

LA DOMANDA DI DOMANI

L’Italia adesso potrà sperare in un governo stabile? Rispondete con una email a lettere@liberal.it

segnanti è affidato il gravoso e basilare compito di formare la società di domani. In Francia hanno già iniziato: i ragazzi dovranno ricomincare ad alzarsi all’ingresso dell’insegnante in aula. Un recente sondaggio ha sancito che otto italiani su dieci vogliono una scuola più severa. Il nuovo governo prenda atto di questa voglia di serietà.

Claudio Belli - Savona

IL NUOVO GOVERNO PERMETTA AI GENITORI DI TRASCORRERE PIÙ TEMPO CON I PROPRI FIGLI E’ sempre esistito il bullismo. Soprattutto nel mondo della scuola, dove il più fragile o forse il più educato viene preso di mira. Oggi però questo fenomeno è diventato più comune. Perchè? Penso che sia dovuto al fatto che i nostri giovani hanno meno valori in cui credere,sono più annoiati e più trascurati dai genitori e quindi tendono a fare branco e a scaricare sui più deboli le proprie insoddisfazioni. Allora mi auguro che il nuovo governo creda di più nella famiglia, anche con aiuti che potrebbero permettere ai genitori di stare più in casa, e inoltre la scuola dovrebbe diventare più seria, facendo recuperare agli insegnanti la professionalità che spetta loro e quindi la credibilità sugli studenti.

Anita Morrone - Arezzo

BISOGNA TENER D’OCCHIO I GIOVANI E IMPEGNARSI IN POLITICHE PIÙ ”COLLABORATIVE” Il bullismo è una delle grandi piaghe della nostra società, sempre più diffuso tra i giovanissimi e anche tra i bambini della scuola elementare. La causa che contribuisce a determinare questo fenomeno è da ricercarsi non solo nella personalità dei giovani bulli, ma anche nei modelli familiari a cui si ispirano, negli stereotipi imposti dai massa media, nella società di oggi troppo disattenta alle relazioni sociali. Da un lato i giovani sono sempre più arrabbiati, autonomi, aggressivi; dall’altro emozionalmente fragili, bisognosi di protezione. Il bullismo è da debellare, per poter crescere in armonia con se stessi e con gli altri. Affinché la cultura e le abitudini collaborative prendano il sopravvento sulla cultura della sopraffazione, della prepotenza e della violenza.

I MASS MEDIA E LA SCARSA ATTENZIONE VERSO IL CENTRO Da troppo tempo oramai in Italia non prevalgono le buone idee. Non prevalgono quelle nuove idee al punto da avere una forza tale da essere utili agli interessi del Paese. Il sistema informativo, e in modo particolare quello televisivo, è senza ombra di dubbio la prima causa. La televisione, oramai è noto, ha la capacità, soprattutto per la sua forza emozionale, di creare quella che oggi siamo abituati a chiamare ”realtà virtuale”. Tuttavia, quando l’argomento non è un fustino di dash o un fatto di cronaca nera, ma la politica, le nefaste conseguenze si ripercuotono non solo sugli assetti particolari di potere, ma anche e soprattutto sulla possibilità o meno di risolvere i diversi problemi. Al punto che il popolo può addirittura iniziare a pensare che la democrazia liberale non sia un sistema adeguato ai nuovi tempi. Un lento ma inesorabile avvio verso forme, sia pur miti, di culto della personalità del leader politico quale salvatore (poi rivelatosi ine-

LA MURAGLIA ITALIANA Arte contemporanea a Pechino: questo ”groviglio” di carta si chiama «Il labirinto» ed è un’opera realizzata con 2.100 metri di cartone, presentata in Cina dall’artista italiano Michelangelo Pistolleto

QUEI FALSI LIBERISTI DI VELTRONI E FRANCESCHINI

I LIBRI DI STORIA? SCRITTI DA STORICI VERI

«Il liberismo è nel nostro giardino». Questo è stato il tema della campagna elettorale di Veltroni e Franceschini. Dinnanzi alla passione e alla cura con la quale i Nostri hanno vestito la pelle del leone e ne imitano pure il ruggito, ci ripetono che la sinistra statalista e sindacalista è morta e sepolta, ci spiegano grammatiche di politica economica eleganti e raffinate e inneggiano alla curva di Laffer in tutti modi e le accezioni, gli animi sensibili possono fondere in lacrime commossi. Peccato che le loro orme continuino a indicare chi sono veramente e a rivelare quanto il Pd e il liberismo abbiano in comune: niente. Grato dell’attenzione, distinti saluti.

Vorrei rispondere circa la domanda lanciata tre giorni fa sui libri di testo. E dico sì: i testi di storia andrebbero riscritti. Non in modio fazioso al contrario, ovviamente, faremmo esattamente come hanno fatto quei signori che li hanno scritti e quei baroni che li hanno fatti studiare. Semplicemente andrebbero approfondite quelle parti lasciate per lo più all’oblio (vedi le Foibe) e completate quelle altre che hanno messo in evidenza solo alcuni aspetti dei crimini verso l’umanità (Nazismo e Comunismo). Bisognerebbe metter su una bella squadra di storici e intellettuali veri, preparati e soprattutto non di parte, e metterli al lavoro. Tutto qui. Cordialità.

dai circoli liberal Silvia Moretti - Potenza

vitabilmente e inesorabilmente inutile) della Patria. Le ultime elezioni Politiche del 13 e 14 aprile ne sono l’ennesima schiacciante prova. Chi non si accontenta della vendetta verso Prodi è un elettore frustrato. Sa bene che anche con una larga maggioranza al Senato, le contraddizioni di Berlusconi non sono inferiori a quelle del governo Prodi. C’è un partito, l’Unione di Centro, che non si è mai posta ovviamente l’obbiettivo di vincere. Bensì quello di avere la forza per avviare un processo virtuoso per la politica italiana. Il processo virtuoso è la cosidetta Costituente di Centro. In fin dei conti è realmente l’unica novità. Eppure non esiste. Nella televisione, nei mass media, è un fatto inesistente. E quindi non esiste. Ma si danno i toni giusti e necessari alla situazione per contrastare questo annullamento mediatico? E’ sempre affermato con vigore, come primo punto del programma, in ogni luogo e da ogni candidato questo progettosperanza? Si è dichiarato nei diversi comizi di ogni genere, in modo chiaro e incorruttibile, che Berlu-

Pierpaolo Vezzani

Greta Gatti - Milano

sconi oramai rappresenta solamente una rovina per l’area moderata, e che la politica tanto paventata del ”Veltoberlusconismo”, o ”Veltrusconi”, doveva essere punita dagli elettori. Ma in questo modo, solo in questo modo, si sarebbe reso davvero utile il voto? Leri Pegolo CIRCOLO LIBERAL PORDENONE

APPUNTAMENTI ROMA - VENERDÌ 18 APRILE 2008 Ore 11, a Palazzo Ferrajoli, in piazza Colonna Riunione nazionale dei Presidenti dei Circoli Liberal.


opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog M’ingaglioffo tutto dì giuocando a cricca Tu,Vettori, hai nove servitori e sette cavalli? Bene! Io devo arrangiarmi a costruire da solo le panie per uccellare i tordi, e me ne vado in giro a piedi carico di gabbie come un mulo. Tu ti alzi alle nove del mattino e poi, con tutta calma, vai a palazzo a tirare l’ora di pranzo discorrendo di politica con papa, cardinali e ambasciatori? Io mi lievo la mattina con el sole et vommene in uno mio boscho che io fo tagliare, dove sto dua hore a rivedere le opere del giorno passato, et a passar tempo con quegli tagliatori. Tu ti lamenti di non poter ragionare di politica e di massimi sistemi, dopo pranzo, per non avere con te persone all’altezza di farlo? Sai di che ragiono io, dopo pranzo, e con chi? Mangiato che ho, ritorno all’hosteria: quivi è l’hoste, per l’ordinario, un beccaio, un mugnaio, dua fornaciai. Con questi io m’ingaglioffo per tutto dì giuocando a cricca, a triche-trach, et poi dove nascono dispetti di parole ingiuriose, et il più delle volte si combatte un quattrino. Niccolò Machiavelli a Francesco Vettori

UN APPELLO CHE CADRÀ NEL VUOTO Non sopporto il vizio, la mania, di voler a tutti i costi fare del telegiornale un momento di accanimento sui sentimenti dei genitori delle vittime di morti violente. Provo un sincero senso di fastidio personale nel dover vedere il cronista che spia nelle case o si accanisce con primissimi pani degli occhi inondati di lacrime di mamme disperate e di papà distrutti dal dolore. Credo derivi da quella strana forma di “curiosità maniacale”che spinge milioni di persone a spiare alcune persone rinchiuse in una casa accettando che lo strano “gioco” sia orchestrato da chi, in nome dell’audiance fa di tutto affinché i protagonisti possano mostrare nel modo più veritiero possibile i loro più estremi sentimenti di rabbia, sconforto o amore. Il pubblico dunque premia le lacrime, le liti violente e tutto ciò che in nome “dell’estremo” fa audiance. Se questo è un gioco, allora sia, ma un Tg a parer mio non lo deve essere. Dovrebbe innanzitutto “informare” e nel modo più onesto possibile, non credo proprio sia normale trattare la disperazione familia-

e di cronach di Ferdinando Adornato

Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Gennaro Malgieri, Paolo Messa Ufficio centrale Andrea Mancia (vicedirettore) Franco Insardà (caporedattore) Luisa Arezzo Gloria Piccioni Nicola Procaccini (vice capo redattore) Stefano Zaccagnini (grafica)

ACCADDE OGGI

15 aprile 1452 Nasce Leonardo da Vinci, artista e scienziato italiano

1783 Usa: ratifica degli articoli preliminari che pongono termine alla Rivoluzione americana 1874 Parigi, 35 boulevard des Capucines, si inaugura la Prima mostra degli impressionisti 1912 Muore Benjamin Guggenheim, imprenditore statunitense 1919 A Milano squadre di nazionalisti, allievi ufficiali e arditi danno alle fiamme la redazione del giornale socialista ”Avanti!” 1923 Introduzione sul mercato della insulina per diabetici 1982 Giustiziati al Cairo cinque dei responsabili dell’assassinio del presidente Anwar al Sadat 1989 Cina: inizia la protesta di Piazza Tien an men che si concluderà in giugno 1994 124 paesi e dell’Unione Europea firmano l’Accordo di Marrakesh per riorganizzare i traffici mondiali e gettare le basi per il prossimo Wto (World Trade Organization) che diventerà effettivo il 1° gennaio 1995)

Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Antonella Giuli, Francesco Lo Dico, Errico Novi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Susanna Turco Inserti & Supplementi NORDSUD (Francesco Pacifico) OCCIDENTE (Luisa Arezzo e Enrico Singer) SOCRATE (Gabriella Mecucci) CARTE (Andrea Mancia) ILCREATO (Gabriella Mecucci) MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei,

re come fosse un qualsiasi “reality”, non credo che sia giusto approfittare della debolezza umana affiorata da un normale momento di disperazione per fare chissà poi quale scoop. Chiedo, ma so che sarà un appello che cadrà nel vuoto, che si ponga un freno a questa perversione, un freno non legiferato ma dettato dal buon senso comune che primo fra tutti dovrebbe partire dai direttori di telegiornali.

Alberto Moioli - Lissone (Mi)

I CENTRI SOCIALI ISTIGANO ALL’ODIO Quello che continua a succedere a Giuliano Ferrara è qualcosa che provoca sdegno e un forte senso di rabbia. I centri sociali si sono dimostrati essere, una volta di più, centri di istigazione all’odio per le idee altrui, centri di indottrinamento in cui una sorta di pensiero-poltiglia è imposto come verità indiscutibile, per cui per chi la pensa diversamente non può esistere che il linciaggio personale. Il punto è: siamo ancora disposti a credere che questi centri sociali siano un male minore rispetto a qualcos’altro?

Massimo Bassetti

PUNTURE Il governo Zapatero 2 conta nove ministre, una mascotte di 31 anni e una incinta di 7 mesi. Un governo gravido di futuro.

Giancristiano Desiderio

Il governo è come tutte le cose del mondo: per conservarlo bisogna amarlo CHARLES DE MONTESQUIEU

Giancristiano Desiderio, Alex Di Gregorio, Gianfranco De Turris, Luca Doninelli, Pier Mario Fasanotti, Aldo Forbice, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Alberto Indelicato, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Adriano Mazzoletti, Angelo Mellone, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Claudio Risé, Eugenia Roccella, Carlo Secchi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania

il meglio di L’OM 92 E I SOLDI DELLE FAMIGLIE Pilotato dalla pingue supponenza del Viterbese più presenzialista d’Italia il Ministero ha emanato la famigerata Ordinanza n.92 con cui si è stabilito che i ragazzi che non recuperano il debito non saranno promossi alla classe successiva. E non solo. Fioroni ha diffuso un malinteso senso di burbanzoso rigore che alcuni docenti hanno passivamente applicato. Risultato? Ci sono numerosi ragazzi che, alle soglie dello scrutinio finale si trovano con quattro o cinque insufficienze (compresa l’Educazione fisica). E, come se non bastasse, le scuole non sono in grado di attivare i “corsi di recupero” per mancanza di fondi, che non sono stati stanziati, con i fondi disponibili i ragazzi possono ottenere uno o due corsi gratuiti, mentre per le materie ulteriori devono arrangiarsi con lezioni private o altre modalità artigianali. Insomma Fioroni ha dettato disposizioni ma non ha dato strumenti, e non solo. Fioroni, che ha deciso che le famiglie degli studenti paghino le conseguenze in termini di bocciature e denaro, non spostato nemmeno una virgola per migliorare le prestazioni dei docenti, non si è chiesto perché ci siano così tante insufficienze, non si è posto nessun problema di ordine didattico o educativo. Per di più ha ipocritamente detto che le scuole devono predisporre le modalità di recupero facendo uso della loro autonomia. In altri termini e semplificando: se ci sono insufficienze non recuperate si boccia e dovete essere severi, però non ci sono soldi per pagare docenti che tengano corsi di recupero. Allora

come fare? Beh siete autonomi, arrangiatevi. Nessuno si era mai comportato così. Che accadrà tra poche settimane con gli scrutini di fine anno? E’ evidente che i danni deliberatamente causati dal Fioroni saranno pesanti. E’ chiaro che di lui e dei suoi simili la scuola e le famiglie possano e debbano fare a meno. E’ altrettanto chiaro che tutto ciò doveva essere evitato.

Pratico pratico.splinder.com

FIAMMA ESTINTA Harry Edwards, ideologo delle proteste dei neri d’America contro la segregazione razziale alle Olimpiadi di Citta’ del Messico nel 1968, ha detto ieri intervistato da Repubblica: «L’assegnazione dei Giochi e’ politica. Serve a lucidare i nazionalismi, a manifestare la superiorita’, non democraticita’. La mia idea e’ che i Giochi dovrebbero farsi sempre a Olimpia, in Grecia, dove sono nati…Cosi’ la gestione resta allo sport e non ai paesi che sfruttano le Olimpiadi per il loro trionfalismo». A Parigi la fiaccola e’ stata spenta dai manifestanti e sembra che il suo viaggio continui a fiamma estinta per tutte le proteste che ha sollevato. Non solo Tibet pero’, non dimentichiamo di parlare di Darfur, le persecuzioni e le uccisioni di massa che il governo del Sudan ha gia’ commesso per far spazio ai capitali cinesi che succhiano il nettare nero di quella terra. Non solo Tibet ma anche la mancanza di democrazia e liberta’ d’espressione in cina, dal lavoro schiavista e minorile al regime del partito unico.

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Questo numero è stato chiuso in redazione alle ore 19.30


PAGINAVENTIQUATTRO Candidato al David di Donatello e rinviato sine die da Rai1

Quel documentario su Chavez non s’ha da fare di Maurizio Stefanini l documentario di 70 minuti candidato al David di Donatello, La minaccia, è la storia di tre pentimenti. Quello del popolo venezuelano: che prima ha creduto a grande maggioranza Hugo Chávez come strumento di riscatto e poi si è spaventato di fronte alla sua sempre più evidente vocazione autoritaria, dandogli lo scorso 2 dicembre un clamoroso no al referendum che gli avrebbe consentito di perpetuarsi al potere in maniera indefinita. C’è il pentimento dei due autori Silvia Luzi e Luca Bellino: due free lance che sono andati in Venezuela pieni di simpatia e interesse per la rivoluzione bolivariana, per poi cambiare rapidamente idea quando hanno visto cosa vi si celava sotto. E c’è il pentimento più clamoroso di tutti, quello di Raiuno Speciale Tigiuno: che prima ha commissionato l’opera per mandarla in onda il giorno stesso del referendum, e poi l’ha sostituita con un commemorazione di Gianni Brera, rinviandola sine die. A tuttora, in tv La minaccia non è ancora andata, ed a vederla sono stati solo un po’ di addetti ai lavori nel corso di dibattiti e incontri di studio.

I

Una censura di quell’imprevedibile asse filoChávez che in Italia corre da Bertinotti a Berlusconi? Un rinvio per valorizzare il prodotto, che però si è invece all’improvviso deprezzato quando si è visto che l’astro nascente del Terzomondismo mondiale era stato ridimensiona-

LA MINACCIA della Cisl Giuseppe Iuliano: uno degli addetti ai lavori ai cui consigli e contatti Luzi e Bellini si erano affidati per realizzare il documentario. E il particolare va a onore della loro professionalità. Loro infatti si erano presentati ammanicatissimi col regime, e Chávez se li era portati in giro dappertutto: anche sul suo aereo e nel programma Aló Presidente. Si fossero chiamati Gianni Minà o Oliver Stone, dunque, avrebbero potuto accontentarsi di uno scoop che avrebbe consacrato la loro carriera. Volendo fare non una glorificazione ma una ricerca vera, però, si sono rivolti anche a altre campane: come quelle critiche di Chávez che attraverso la Cisl potevano essere contattate, nella comunità italiana e nel movimento sindacale.

Mamma Rai ha commissionato l’opera per mandarla in onda il giorno stesso del referendum venezuelano, quel 2 dicembre in cui il presidente ha incassato un sonoro no dal suo popolo. E poi l’ha sostituita con una commemorazione di Gianni Brera to? Un semplice disguido editoriale, come accade in realtà per tanti servizi sia nella stampa scritta che in quella radiotelevisiva, destinati a perdersi senza che vi sia un vero motivo? Certo è che la cosa si fa intrigante, quando si pensa che i due autori a un certo punto avevano dovuto ricorre addirittuta a un canale diplomatico della nostra ambasciata per far uscire le sessanta ore di materiale filmato, evitando un sequestro. Lo racconta il responsabile America Latina

D’altra parte, lo stesso Chávez ci ha messo del suo per sconcertarli. Ad esempio, facendo ostentazione della sua passione armamentista; o vantandosi della sua amicizia con Berlusconi. A un certo punto lo stesso leader venezuelano ha cominciato a rendersi conto del loro crescente disincanto, e a far

sentire loro il fiato sul collo. Fino al punto che c’è stato appunto bisogno del già citato corridoio diplomatico. Una minaccia, quella percepita da Luzi e Bellino, che confluisce dunque anch’essa nel titolo. Come la minaccia che Chávez attribuisce all’“imperialismo nordamericano”: «quando finirà il petrolio in tutto il mondo, al Venezuela ne resterà ancora molto. Per questo dobbiamo difenderci. Con la Bielorussia ci siamo accordati per la realizzazione di un sistema di difesa aerea integrale...

Che fine ha fatto Saddam Hussein? Non aveva bombardieri né missili per difendersi, noi ci stiamo armando... Perché il più grande governo terrorista di questo pianeta è il governo degli Stati Uniti». E come la minaccia che invece Chávez fa pesare su tanti venezuelani non conformi: a partire dal movimento studentesco che si è mobilitato “contro una patria a pensiero unico”. «Il tentativo - sostengono gli autori - è quello di accompagnare lo spettatore attraverso contrasti sempre più evidenti, lasciando il giudizio sospeso e inafferrabile». Con la certezza, però, che nel Paese divenuto lo stendardo di “un altro mondo possibile”questo nuovo mondo in realtà non sta nascendo affatto.


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