Oggi il supplemento
QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA • DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK CONSIGLIO DI DIREZIONE: GIULIANO CAZZOLA, GENNARO MALGIERI, PAOLO MESSA
MOBY DICK
Parla il cardinale di Hong Kong: non dimenticare i crimini di Lhasa
SEDICI PAGINE e di h DI ARTI c a n o cr E CULTURA
Fa bene Bush ad andare a Pechino. Se non abbandona il Tibet
di Ferdinando Adornato
DOPO LA LIBERTÀ
colloquio con Joseph Zen di Francesco Rositano a decisione del presidente George W. Bush di presenziare alla cerimonia d’apertura delle Olimpiadi cinesi dell’8 agosto è stata accolta con una certa freddezza. Dentro e fuori il Congresso americano. I motivi sono molti, ma il primo è questo: a Washington temono che una scelta così importante sia letta come un’approvazione implicita del modo in cui il Dragone sta gestendo la delicata questione del rispetto dei diritti umani e della libertà religiosa. Eppure, anche uno come il cardinale Joseph Zen - cinese di Shangai e arcivescovo di Hong Kong, da sempre in prima linea per portare più libertà oltre la Grande Muraglia - approva la scelta del presidente americano. Ed avrebbe diversi motivi per sostenere il boicottaggio: Pechino non l’ha invitato ad assistere ai giochi, preferendo a lui il suo coadiutore per la diocesi di Hong Kong, monsignor John Ton Hon. E in più, tutti i sacerdoti della Cina continentale – sia quelli legati alla Chiesa Patriottica che quelli legati a quella clandestina - vivono sotto il rigido controllo di istituti legati al potere centrale, che impedisce loro di abbandonare il territorio nazionale. Ma a liberal afferma: «Penso che le Olimpiadi siano una grande occasione di fratellanza universale».
L
Salvatore o salvato?
9 771827 881004
ISSN 1827-8817 80705
Doveva rimettere in moto un Paese in declino. Si trova invece a difendersi da processi, sospetti e intercettazioni. E, come accadde già con Prodi, dopo appena due mesi il governo scricchiola
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ARRIVEDERCI A MARTEDÌ Come altri quotidiani anche liberal non esce la domenica e il lunedì. L’appuntamento con i lettori è dunque per martedì 8 luglio
Le ragioni e le prospettive dello scontro
La pericolosa guerra tra Giulio Tremonti e Mario Draghi
Il Segretario Usa sulle sfide del XXI secolo
Non siamo in declino. E in Iraq vinceremo
Le critiche dei rettori sui tagli agli atenei
«Così non va, università al collasso»
di Enrico Cisnetto
di Condoleezza Rice
di Francesco Lo Dico
In un Paese ossessionato dal gossip, quello tra Tremonti e Draghi è probabilmente un duello molto più gonfiato dai media di quanto sia reale. In tutti i casi, quello che è certo è che non serve a nessuno.
Ci occupiano del mondo perché dobbiamo, non perché vogliamo. È un modo vitale di pensare, proprio di una Repubblica, non di una potenza imperialista.
«Ci viene chiesto di sommare – dice il nuovo presidente della Conferenza dei rettori, Enrico Decleva – l’aumento inevitabile delle spese obbligatorie ai tagli che vengono ora previsti in crescita per cinque anni.
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NUMERO
126 •
WWW.LIBERAL.IT
• CHIUSO
IN REDAZIONE ALLE ORE
19.30
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prima pagina
Come già per Prodi, dopo soli due mesi il governo scricchiola e da “salvatore” Berlusconi deve diventare “salvato”
La maledizione della prima luna di Riccardo Paradisi
ROMA. Disinnescata, per ora, la bomba dell’intercettazione più imbarazzante – quella dove il premier avrebbe un colloquio “sostenuto” con un esponente del governo – archiviata ufficialmente l’intenzione di ricorrere a un decreto legge contro le intercettazioni e la loro pubblicazione, restano sul terreno politico tutte le altre mine giudiziarie. È vero: il presidente del Consiglio assicura di volere rinunciare ad avvalersi della norma salva-processi contenuta nel decreto sulla sicurezza perché, dice, ha l’autorevolezza per salvarsi da solo dai fendenti di una ”magistratura ideologizzata” diretti a colpire la sua
credibilità. Ma allora perché, chiede l’opposizione, non stralciare quella norma ad personam? Perchè sospendere dei reati per i quali si chiede di aggravare la pena? I sondaggi che girano nel quartier generale del Cavaliere parlano di un’indice di gradimento molto alto per il governo e il Pdl: «Nonostante il fango che ci vien gettato addosso il consenso nei confronti del Consiglio dei ministri e del Presidente del Consiglio nell’ultia settimana è cresciuto dello 0,3 per cento». Ma questo dato non sembra in fondo consolare l’intendenza berlusconiana: la popolarità del premier può reggere all’urto di un piccolo grande scandalo per ora evitato – anche se contorni e sostanza sono ormai scienza comune – ma reggerà ai rigori della regressione economica che s’annuncia per l’autunno che viene? A quel punto la spada di Damocle giudi-
ziaria che continua a pendere sul governo non tornerà a oscillare paurosamente assieme agli umori della pubblica opinione?
«Per la verità la luna di miele di questo governo con l’opinione pubblica e persino con l’opposizione è già finita», dice a Liberal Giovanni Sabatucci, docente di storia contemporanea alla Sapienza di Roma e editorialista del Messaggero, «non saprei se per colpa della nuova offensiva giudiziaria o perché fisiologicamente tutte le lune di miele a un certo punto, per definizione, finiscono. Quello che è certo è che siamo a una nuova resa dei conti tra politica e magistratura. È una storia che ricorre e che ci si era illusi di poter consegnare agli archivi del passato dopo un’inizio di legislatura disteso. Il fattto è che sia la politica che la magistratura italiana presentano entrambi dei profili di anomalia così gravi che sono destinate ad entrare in conflitto». Anomalia che secondo Sabatucci non nasce oggi visto che
Tra pornopolitica e lodi Schifani
Lo scambio politico tra il Cavaliere e i suoi nemici di Giancristiano Desiderio
la circostanza che l’ha portata ad emersione è stata la vicenda di Tangentopoli, il ciclone politico-giudiziario che ha investito il Paese più di quindici anni fa: «È da allora che la guerra continua. Che non ci si risparmiano colpi reciproci. È da allora che la precarietà politica del Paese è continua visto che qualsiasi governo italiano può essere travolto dal-
LUCA RICOLFI Il problema non sono le intercettazioni, che al limite possono farci sprofondare in una profonda malinconia, la questione vera è un’altra: viene rispettato o no il programma di governo?
prire un vuoto politico. È per questi motivi che si arriva ai nodi di oggi: che nasce per alcuni l’esigenza del Lodo-Schifani e della salva premier e per altri la necessità, il dovere morale di perseguire Berlusconi». L’effetto di questa nuova stagione di veleni per Sabatucci, compreso il condimento scandalistico-pruriginoso di certe intercettazioni con relativi rimandi poco eleganti ma efficaci al caso Lewinsky, non è lo spostamento di consensi dall’uno all’altro schieramento, semmai «la radicalizzazione dei rispettivi schieramenti e il rimandare sine die la soluzione del problema della guerra tra poteri dello Stato che sembrava essere matura».
l’iniziativa anche estemporanea di qualche magistrato». Poi c’è il caso Berlusconi: «Negare che Berlusconi sia portatore di un conflitto di interessi non è facile» continua Sabatucci, «lui non è un politico come tutti gli altri, presenta un profilo d’anomalia vistosissimo. Ma è un’anomalia che sorge dopo Tangentopoli, che dopo quel terremoto viene a co-
E la credibilità di questo governo? Subisce o no Berlusconi un danno d’immagine dalla partita politico-giudiziaria che si sta giocando in queste settimane? «In questo momento siamo in una situazione troppo incerta per poter rispondere – dice Stefano Folli, notista politico del Sole 24 ore – gli italiani sono in attesa di vedere i risultati dell’azione di questo governo. Io credo che se i risultati saranno anche solo discreti ci sarà una grande disponibilità a chiudere un occhio nei confronti di quello che è l’evidente tallone d’A-
Il salvatore della patria sarà salvato per carità di patria. Accade spesso, soprattutto in Italia. Limitiamoci agli ultimi due governi: Prodi e Berlusconi. Il governo del papà del fu Ulivo entrò in crisi dopo qualche mese. Il Professore voleva nientemeno che rendere più felici gli italiani, ma nel giro di un semestre il suo divenne il governo più infelice della storia della Repubblica e la vicenda del povero Sircana fotografato mentre, solo in auto, ammirava un viados fu la ciliegina su una torta uscita male dal forno elettorale. Caduto Prodi, riecco Berlusconi. Una vittoria netta, una forza politica invidiabile, un vero primo ministro pronto a lavorare per “rialzare l’Italia”. Chi poteva immaginare che in poche settimane il governo del presidente più forte di tutti i
presidenti del Consiglio si sarebbe improvvisamente indebolito? Sono passati due mesi e il governo che deve rialzare l’Italia deve a sua volta rialzarsi. Su quella che si chiama “pornopolitica” (la politica italiana è ricca di neologismi) si possono avere tutte le opinioni di questo pazzo mondo. E, forse, quasi tutte sono legittime. Per esempio: è legittimo pensare che ci si attenderebbe altro da un capo di governo. Ma è altrettanto legittimo pensare che anche i potenti sono uomini e hanno le loro debolezze, l’importante è che siano capaci di fare il loro lavoro istituzionale.Tutto molto comune, tutto ragionevole. Quindi, lasciamo stare la critica delle ragioni e dei torti della pornopolitica. Guardiamo le conseguenze, che sono più interessanti e importanti. In con-
prima pagina chille di Berlusconi, i suoi problemi cioè con la magistratura e il relativo corollario delle ultime intercettazioni». Che da sole non bastano secondo Folli a procurare un danno d’immagine serio al premier: «L’opinione pubblica per ora tende a derubricare questo genere di cose a questioni di poco conto, squallide magari, ma minime. ”Si sa che le cose vanno così”, ti dice l’uomo della strada. Altra cosa se i risultati per il Paese non arriveranno. Allora la musica potrebbe cambiare. La verifica sarà in autunno. Sarà quello lo snodo politico e psicologico: se verrà la crisi economica e finanziaria temuta, se il governo non avrà mantenuto le promesse che aveva fatto in campagna elettorale – tra tutte quella di far rialzare l’Italia – allora, come si dice a Roma, si farà tutto un conto». Anche per il sociologo Luca Ricolfi il punto è proprio questo: come ha scritto «Qui il problema non sono le intercettazioni, che al limite possono farci sprofondare in una profonda malinconia e possono solo confermarci il livello di questa classe politica, la questione vera è un’altra: viene rispettato o no il programma di governo?».
creto: Berlusconi era più forte ieri o oggi? Berlusconi vuole il decreto sulle intercettazioni, poi prende tempo e soprassiede. Berlusconi annuncia che andrà in televisione a spiegare agli italiani come stanno realmente le cose e poi, cambia idea, e resta a casa. Non bisogna essere un drago per intuire che dietro le dichiarazioni di occasione si è svolta una trattativa con il classico scambio: io do una cosa a te e tu dai una cosa a me. Bisogna menarne scandalo? Si scandalizzi chi vuole. Ma qui il punto politico è che il salvatore è stato salvato. E - particolare non irrilevante è stato salvato non da ingiuste persecuzioni giudiziarie, ma da casini e pettegolezzi che lui stesso ha creato, prodotto, alimentato. Ieri Berlusconi era forte, oggi lo è meno e la causa
del suo indebolimento non è extra-berlusconiana, ma tutta, proprio tutta berlusconiana. Il governo in carica è una creatura fatta a immagine somiglianza di Berlusconi. Ha deciso quasi tutto lui: i ministri e le ministre di Forza Italia, ma anche i ministri altrui. Nessuno, eccezione fatta per Bossi, poteva rompere le scatole. Da oggi le cose cominciano a cambiare: da oggi si sa che il presidente del Consiglio è meno forte. Lo sarà ancora di più se la crisi economica farà sentire i suoi effetti e se Giulio Tremonti non avrà la fantasia sufficiente per metterci una pezza. Berlusconi, che quando non usa il telefonino e non pensa alle veline, ragiona e lo ha capito. Avere il governo più forte e mandarlo a ramengo: quella sì che sarebbe pornopolitica.
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a litigare fra loro, si occupassero anche un po’ di alcune cose che stanno a cuore a noi: sicurezza, tenore di vita, servizi sociali».
STEFANO FOLLI L’opinione pubblica per ora tende a derubricare questo genere di cose a questioni di poco conto. Altra cosa se i risultati per il Paese non arriveranno. Allora la musica in questo caso potrebbe cambiare. La verifica sarà in autunno.
A preoccupare invece il professor Paolo Pombeni (politologo dell’Università di Bologna e editorialista del Messaggero) è il riverbero internazionale che possono avere le vicende italiane.
Potrebbe essere proprio qualche giornale europeo infatti a pubblicare le intercettazioni che in Italia non sono emerse – per non far cadere troppo di livello lo scontro politico si è detto o in virtù di uno scambio intercorso dietro le quinte pubbliche. «Poniamo l’ipotesi che su questo governo cali la delegittimazione morale internazionale e complice anche una difficoltà oggettiva a governare i problemi non solo economici del Paese entri in crisi. Facciamo questa ipotesi e poi chiediamoci: doEcco, la credibilità degli ese- po che succede? Si va a eleziocutivi per Ricolfi si misura su ni anticipate, come è avvenuto questo crinale, non sugli scan- dopo il naufragio del governo dali più o meno grandi in cui Prodi caduto anch’esso per esponenti di governi di destra problemi giudiziari? La doo di sinistra possono inciam- manda che pongo è di qualche rilievo mi sembra». PAOLO POMBENI Considerando Poniamo l’ipotesi che ad oggi nel che questo governo Paese non esistevenga rebbe nemmeno delegittimato una maggioranmoralmente e za alternativa a complice anche una quella attuale la difficoltà oggettiva domanda apre in a governare effetti a scenari i problemi non solo preoccupanti. economici del Paese L’ultima consideentri in crisi poi che razione Pombeni si fa? Si va a la dedica alla elezioni anticipate? moralità degli uomini della cosa pubblica: «La pare: «E pensare che in molti credibilità della politica in ci eravamo augurati che fosse tempi di crisi – dice il profesiniziata una nuova stagione sore – è un fattore importanpolitica», ha scritto Ricolfi nei tissimo. A politici decisori ed giorni scorsi, «forse non una efficaci, dunque credibili, si ristagione esaltante, di concor- sparmiano per le loro scivoladia nazionale e di rinascita te anche le sferzate moraliste. dell’Italia, ma almeno una sta- Il contrario però non avviene gione di proposte ragionevoli mai. Anzi». Del resto si sa che e costruttive. Una stagione in in politica la morale è una vacui i politici, pur continuando riabile dipendente.
Non si avvarrà della blocca processi
Il premier: «Io non devo essere salvato da niente» «Il premier non ha bisogno di essere salvato, si salva da solo, perché ha un’autorevolezza che è al di sopra di ogni possibile intervento di questi magistrati politicizzati e militanti. Ci hanno provato molte volte, qualche volta ci sono riusciti, ma ora - sottolinea - la gente ha capito”. «Gli attacchi dei giudici non ci impressionano. Rinuncio a ogni vantaggio, non ho bisogno di nuove norme giudiziarie: mi sono sempre difeso nei processi e sono un recordman con 2.500 udienze». «Questa deriva giustizialista va assolutamente fermata in nome della libertà». «L’attenzione di stampa e televisioni si concentra su fatti che nulla hanno a che vedere con il programma di governo e portano in primo piano l’attacco continuo di certa magistratura a chi deve governare scelto dal Paese, mentre si vuole sovvertire il voto popolare». «I sondaggi dimostrano che il fango senza fondamento dei pettegolezzi non ha scalfito la fiducia degli italiani nel governo e nella sua attività». «Abbiamo fatto un grande lavoro, che solo chi viene dal mondo dell’impresa poteva fare. Purtroppo però sui giornali è andata solo la vuota polemica politica priva di contenuti. Noi però finora ora abbiamo lavorato, vogliamo farlo sapere ai cittadini”. «Tra qualche giorno parteciperò al G8, anche come membro anziano. Spero di portare a nome del nostro paese soluzione ai grandi problemi che incombono sul mondo, come la crescita dei prezzi del petrolio, del gas, del grano con tutto ciò che ne consegue. Sono problemi non da poco, molto seri, che francamente fanno vedere come piccole cose da cortile le situazioni che invece invadono le pagine dei nostri provincialissimi giornali. Auguri...».
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politica Ragioni e prospettive dello scontro tra il Ministro e il Governatore
La pericolosa guerra tra Giulio e Mario di Enrico Cisnetto n un Paese ossessionato dal gossip, quello tra Tremonti e Draghi è probabilmente un duello molto più gonfiato dai media di quanto sia reale. In tutti i casi, quello che è certo è che non serve proprio a nessuno. Nell’attuale condizione del Paese – stagnazione conclamata ormai da tutti: Ue, Ocse, Confindustria, manca solo la certificazione Iso 9001 – servono diagnosi e ricette condivise, non certo una rissa tra medici al capezzale del paziente moribondo. Certo, l’alta tensione tra Via Venti Settembre e Palazzo Koch si fa sentire sempre di più. Tensione “antica”, quella tra l’ex banchiere di Goldman Sachs e il fiscalista di Sondrio, cresciuta però nelle ultime settimane soprattutto in occasione dei grandi summit globali, dove probabilmente i due si giocano avvertono di giocarsi quel topo di attenzione mediatica che incide anche sul loro standing internazionale. Naturalmente la differenza abissale tra i due caratteri in-
I
Via XX settembre ha torto a imputare la crisi di questi anni alle speculazioni figlie della globalizzazione selvaggia. Via Nazionale ha ragione ha chiedere una riduzione delle tasse
ROMA. «Vedere un governatore che spinge per una politica espansiva e un ministro dell’Economia che rivendica una politica restrittiva, è una novità per il nostro panorama». Carlo Dell’Aringa, ex presidente dell’Aran e ordinario di economia politica della Cattolica, più che dallo scontro tra Draghi e Tremonti, sembra preoccupato «da una crisi che avrà tempi lunghi di risoluzione». In un’Italia con i consumi ai minimi, l’aumento dei tassi voluto dalla Bce peggiorerà le cose? Non credo che avrà impatti sulla dinamica dell’economia o sul peso degli interessi passivi, visto che il mercato già sconta il 4,5 per cento. Quello della Bce è stato un segnale: dire che, con la core inflation ancora bassa, vigila, ma che è pronta a interventi più energetici. Che non si seguirà la politica accomodante degli anni Settanta. In Italia ci pensano già i prezzi a contenere la domanda e a ridurre i consumi. Il Tremonti del 2001 avrebbe tagliato le tasse… …invece quello del 2008 guarda alla spesa e al raggiungimento degli obiettivi di bilancio. E non farlo,
duce Tremonti a fare il primo passo. Infatti, l’escalation è partita dalla metafora farmaceutica («Le decisioni del Financial Stability Forum? Solo un’aspirina») per passare al vuoto di memoria in terra giapponese (a Osaka: «Financial che?») poi alla colorita espressione sui «topi a guardia del formaggio» e alla constatazione che «finalmente Draghi si è accorto che la crisi finanziaria esiste e non è soltanto un turbamento finanziario».
Sull’altro fronte, il Governatore ha sempre risposto con l’aplomb britannico che gli è proprio, ma ribadendo le sue posizioni: le tensioni sulle materie prime ci sono ma non sono dovute alla speculazione finanziaria; che è costretto a pagare la Robin Tax potrebbe rifarsi sui consumatori finali; l’auspicabile riduzione delle tasse su lavoratori e imprese, se la performance è buona, rafforzerebbe gli interventi per la crescita. Si potrebbe discutere a lungo sulle ragioni e sui torti dei due. Certamente Tremonti ha torto quando individua nella “speculazione selvaggia” figlia della globalizazione il “male assoluto” di questi an-
ni, come se non ci fosse, alla base del “big game” delle materie prime di questi anni (non soltanto petrolio, ma anche le commodities agricole) l’eccesso di domanda sull’offerta, a causa soprattutto della locomotiva asiatica e dei mancati investimenti dei Paesi produttori cui si è sommata l’ignavia di quelli consumatori. Ha ragione Draghi, poi, quando dice che per rilanciare lo sviluppo occorre ridurre le tasse. Del resto, secondo la maxi manovra triennale tremontiana, la pressione fiscale dovrebbe salire ancora (nel 2009, dal 42,6 al 43 per cento), ennesima conferma che il centrodestra si propone “reaganiano” ma in realtà agisce da conservator-protezionista-populista con venature di paternalismo di sinistra. D’altra parte, è pur vero che dalla Banca d’Italia è più facile dare ricette di quanto non sia “sporcarsi le mani” con i problemi dal fronte Tesoro. Detto questo, non ci interessa emettere verdetti su chi dei due “litiganti” abbia ragione. Ciò che serve – disperatamente – è semmai una diagnosi condivisa della situazione per poi arrivare a
una “road map” sul problema fondamentale, ovvero come rilanciare la crescita. E qui è chiaro che, in primis, serve attuare un piano straordinario di investimenti di matrice keynesiana, per il quale le risorse possono essere reperite solo andando ad intaccare seriamente la dinamica della spesa corrente, che, come ha segnalato la Corte dei Conti, continua a correre.
Secondo, proprio per mettere un freno agli “animal spirits” della spesa impazzita, serve agire sui tre pilastri su cui questa si basa: la sanità, la previdenza, l’articolazione dello Stato e del decentramento. Rispetto a quest’ultima, serve intervenire chirurgicamente, e non solo con cosmeticheoperazioni
Dell’Aringa:«Un minimo di redistribuzione va fatta» colloquio con Carlo Dell’Aringa di Francesco Pacifico per il ministro, comporterebbe un altissimo prezzo in termini politici/ Il calo della produzione, e di conseguenza le ripercussioni sul gettito, non consente operazioni di deficit spending. Non permette di usare la leva fiscale contro la stagnazione. Cosa che in parte chiede Draghi. Non essendo più responsabile della stabilità, Bankitalia può occuparsi più liberamente di crescita o occupazione. Altrimenti, credo, sarebbe più prudente. Il governatore però chiede di tagliare la spesa prima delle tasse. Si rende conto che ci sono redditi bassi al limite della sopportazione sociale. E un po’ di redistribuzione andrà pure fatta con l’inflazione e il prezzo del petrolio che continueranno a salire. Serve davvero un intervento marginale? Sarebbe più utile innescare quel meccanismo che
unisce produttività ed efficienza. Coesione politica, patti sociali, relazioni sindacali più collaborative, un pubblica amministrazione funzionante sono passi obbligatori, ma non si risolvono nel breve periodo. Però qualcosa va fatta. Nessuno promette grosse redistribuzioni. Draghi ha chiesto perfino di “tagliare le pensioni”: si potrebbe dare più ai salari chiedere l’aumento dell’età pensionabile o la chiusura di qualche finestra. Ma chi ha il coraggio di andare dai sindacati a farlo? Nella manovra Tremonti, e penso a quelli per la scuola o per i ministeri, ha previsto tagli dolorosissimi. Ma non sarà facile ridurre il numero degli insegnanti in tre anni. Ci fosse ancora il clima bipartisan di inizio legislatura sarebbe tutto più facile. Invece si discute di intercettazioni. Non entro nel me-
politica schermaglie tra il ministro dell’Economia e il Governatore. Le quali, va ricordato, non hanno mai fatto bene a nessuno. Tantomeno alla politica, che quando si è lanciata in attacchi più o meno al calor bianco via contro Nazionale, ne è uscita quasi sempre con le ossa rotte. Lasciando da parte il caso-limite che ha visto lo protagonista stesso Tremonti contro Fazio, vi sono esempi illuminanti: i duelli tra Andreotti e Paolo Baffi (dove la politica, dietro una vittoria apparente, sul lungo periodo ha fatto una pessima figura) o quello tra Bettino Craxi e Carlo Azeglio Ciampi (dove il secondo dette prima le dimissioni, poi fu caldissimamente invitato a ritirarle).
Insomma, voyeuristiche come le pubblicazioni delle maxi consulenze, ma impostando invece una riflessione seria sull’elefantiasi dell’apparato pubblico, già impressionante così com’è, ma che rischia ulteriori stratificazioni se i progetti federalisti del governo in carica dovessero andare in porto. Questo è ciò che serve. Molto meno interessanti, ripeto, le
anche in vista dei prossimi show down, che attizzano particolarmente la verve polemica di Robin Hood-Tremonti (come l’Assemblea generale dell’Abi del 9 luglio prossimo), gli consigliamo prudenza. Naturalmente, resta il sacrosanto diritto della politica di criticare Palazzo Koch. E viceversa. Ma niente risse, please. (www.enricocisnetto.it)
rito, ma sono un bel macigno verso quel dialogo bipartisan, che in questa situazione aiuterebbe a superare i grandi problemi del Paese e porterebbe al necessario mutuo riconoscimento. Mai come oggi l’Italia è in balia della congiuntura internazionale. Non sono state fatte le riforme necessarie, così, non appena è arrivata la concorrenza mondiale, la nostra vecchia Italia ha pagato le sue storiche debolezze. Ha ragione Confindustria a dire che il problema è l’assenza del sistema Paese: mancano un’organizzazione nei trasporti, le infrastrutture, la pubblica amministrazione (non tanto per la troppa gente, ma perché non la si riesce a far lavorare). L’ambiente non deve essere molto sano, se gli investimenti stranieri sono sempre più bassi. Dimentica la speculazione? Amplifica problemi esistenti, infatti sono i fondamentali da correggere. Prenda il petrolio: c’è un aumento della domanda e la paura che una guerra all’Iran riduca la capacità produttiva. Che è bassa.
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La spinta propulsiva della legge Biagi si è esaurita
Si apre un altro fronte, cala l’occupazione di Giuliano Cazzola on si può continuare a correre a lungo in condizioni di apnea. Prima o poi bisogna fermarsi a prendere fiato. L’esempio calza con i tassi di occupazione, che cominciano a dare segni visibili di frenata. Fino a pochi mesi or sono i trend italiani erano i migliori nella Ue, non tanto per i valori (assoluti e in percentuale) che erano comunque modesti (in media in un range tra l’1 e l’1,5 per cento), quanto per il fatto che l’occupazione continuava a crescere ininterrottamente nonostante l’andamento depresso e stagnante dell’economia. In sostanza, la legislazione sulla flessibilità del lavoro (dal Pacchetto Treu alla Legge Biagi) aveva consentito di invertire una tendenza ormai consolidata agli investimenti «a risparmio di lavoro» e aperta una fase di nuove assunzioni in tutte le aree del Paese. Le aziende avevano assunto anziché investire in tecnologie sostitutive dell’occupazione.Tale situazione aveva inciso negativamente sulla produttività del lavoro, ma determinato un forte e costante incremento dei tassi d’impiego e la riduzione della disoccupazione.
N
tutele ma punta a una robusta emersione del sommerso «favorito» proprio dai problemi regolatori. Abolizione del cumulo tra pensione e reddito, ripristino della flessibilità nel contratto a termine, nuove regole per il lavoro occasionale accessorio, maglie più larghe per l’apprendistato: si tratta di misure che favoriranno sicuramente il lavoro. E ancora, sul fronte delle aziende: istituzione del «libro unico» per la contabilità del lavoro, la semplificazione del lavoro a domicilio, maggiore flessibilità dell’orario di lavoro, ecc. Potranno bastare senza una sostenuta ripresa della crescita? È questa la sfida vera anche per allargare la base occupazionale. Il governo ha voluto anticipare la manovra di bilancio in parallelo con la presentazione del Dpef, allo scopo di non fare solo delle promesse ma di indicare anche delle terapie. In tale contesto è molto importante il progetto di riordino della pubblica amministrazione da cui l’esecutivo si aspetta, nel medio periodo, il recupero dell’1,7 per cento del Pil: il piano Brunetta dovrebbe essere il maggior volano di recupero di competitività per l’azienda Italia. Il risanamento (pareggio del bilancio entro il 2011) e le riforme si tengono insieme all’interno del medesimo disegno strategico. Senza trascurare il contributo che potrà venire dall’abolizione dell’Ici e dalle misure di detassazione sperimentale su straordinari e premi. Per quanto riguarda la questione del tasso d’inflazione programmato, fissato all’1,7 per cento nel 2008 e all’1,5 negli anni successivi, la scelta del governo è stata fatta in coerenza con l’esigenza di contrastare la ripresa di saggi inflazionistici in accelerata e preoccupante crescita sotto la spina di processi ‘importati’ relativi al prezzo del greggio e in generale delle materie prime.
Gli interventi di Sacconi in ottica di deregolamentazione vanno accompagnati con un forte impegno sulla produttività
Oggi questo trend sembra accartocciarsi su se stesso. O comunque attenuare la «spinta propulsiva» a cui ci eravamo abituati (sia pure scontando standard inferiori a quelli di altri Paesi come la Spagna). Questi fenomeni non hanno ancora avuto una spiegazione approfondita. L’opposizione si limita a criticare il governo, come se ci fossero ricette virtuose per risolvere il problema. In verità, il Pd e i suoi alleati qualche autocritica dovrebbero farla, visto che alla base delle difficoltà di oggi stanno anche le misure di irrigidimento del mercato del lavoro adottate da Prodi nell’attuare il Protocollo del luglio del 2007. Ricordiamo per tutte (oltre alle misure sulla sicurezza e di carattere fiscale) le manomissioni della disciplina dei contratti a termine e del lavoro a chiamata, l’abolizione della somministrazione di lavoro, l’incremento dell’aliquota dei lavoratori parasubordinati (atipici) in via esclusiva (che arriverà al 26 per cento nel 2010). Interventi che – considerando soltanto la parte vuota del bicchiere – hanno contenuto i danni che – vista la composizione della ex maggioranza – ci si poteva aspettare. Ma il segnale al mondo delle imprese è stato comunque chiaro: si stava tornando a un regime maggiormente vincolistico. Ecco perché sono importanti le misure messe rapidamente in cantiere dal ministro Maurizio Sacconi, il quale ha predisposto una vera e propria «lenzuolata» di misure di deregolamentazione che non tocca le
Come fa notare il Dpef, negli accordi tra governo e parti sociali, di cui al Protocollo del 1993, furono previste disposizioni particolari per la cosiddetta inflazione importata, nell’ambito della contrattazione dei salari, per evitare effetti inflazionistici ulteriori attraverso la rincorsa della dinamica salariale ai prezzi. Del resto, il potere d’acquisto delle retribuzioni è sicuramente tutelato in maniera più adeguata se ha successo la strategia per il contenimento dell’inflazione che introducendo automatismi applicati surrettiziamente alla evoluzione delle retribuzioni. È questa l’eredità positiva di un’esperienza iniziata col decreto sulla scala mobile del 1984 e conclusasi col Protocollo del 1993, grazie al quale le parti hanno sempre trovato, nella loro autonomia negoziale, soluzioni equilibrate per quanto riguarda il rapporto salari/prezzi e fornendo un apporto al contenimento dell’inflazione. In coerenza con questo disegno, il negoziato sulla riforma della contrattazione dovrebbe affrontare e risolvere i problemi aperti nel comune interesse della stabilità e della salvaguardia del potere d’acquisto dei salari, in una logica di effettivo riequilibrio tra privato e pubblico.
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politica
Il presidente della Crui Enrico Decleva critica il decreto che prevede drastici tagli agli atenei
«Così non va,università al collasso» di Francesco Lo Dico
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Veltroni lancia petizione contro il governo «Cinque milioni di firme per dire no ad un governo che non rispetta le regole democratiche, forza la mano sui temi della giustizia e non fa nulla per far crescere salari e pensioni mentre l’Italia vive una pesante crisi e le famiglie faticano ad arrivare alla fine del mese». È la nuova iniziativa del segretario del Pd, Walter Veltroni. Il Partito democratico lancia dalla prossima settimana una petizione e punta a raccogliere milioni di firme tra gli italiani che stanno vedendo come il governo non mantiene gli impegni. «Avevano detto - afferma Veltroni - che le tasse sarebbero scese invece aumenteranno per tutta la legislatura, avevano fatto una campagna elettorale promettendo più sicurezza e ora tagliano le risorse proprio alle forze di polizia, parlavano di innovazione e la scuola avrà centomila insegnanti in meno». Quella del Pd, aggiunge il leader dei democratici, «è una iniziativa che durerà nel tempo».
Rifiuti: Galan apre all’idea di Bossi ROMA. Tasse che emulano la crescita record del barile, borse di studio ridotte per consistenza a vere e proprie pochette, biblioteche chiuse, sempre meno posti per i ricercatori e per gli studenti disagiati che vorrebbero vedere coronato persino in Italia il loro diritto allo studio con un alloggio universitario in cui squadernare i propri libri. Se la manovra finanziaria predisposta dal Governo il 25 giugno dovesse passare in Parlamento cosi com’è, c’è da scommettere che il decreto legge n.112 potrebbe aprire un fronte di rivolta tra i rettori italiani prima, e una mobilitazione massiccia dei nostri giovani universitari, già discretamente irritati dai risultati lavorativi prodotti dai loro studi, in autunno.
Nel tentativo di adeguarlo agli standard internazionali si era indicato perciò un piano pluriennale di investimenti che fosse in grado di rilanciarlo. Più che a spendere di più, inoltre, si era pensato a spendere meglio, razionalizzando le risorse e legandole a precisi obiettivi di rilancio. Un piano di ripresa che, sottoscritto dai rettori italiani, aveva poi ispirato nelle sue linee generali il Patto per l’Università. A distanza di dodici mesi, la prospettiva pare completamente rovesciata. Nonostante la conclamata inadeguatezza delle risorse, la manovra prevede una progressiva riduzione del Fondo di finanziamento ordinario (Ffo) – principale voce di entrata nei bilanci dei nostri ate-
«Il nostro sistema universitario
«Tagli quinquennali che arriveranno fino a 455 milioni nel 2013. Assunzioni e servizi a rischio. Costretti a mettere le mani nelle tasche degli studenti»
– ha fatto sapere il nuovo presidente della Conferenza dei rettori (Crui), Enrico Decleva – è già largamente sottofinanziato rispetto agli standard europei. Ci viene chiesto di sommare l’aumento inevitabile delle spese obbligatorie ai tagli che vengono ora previsti in crescita per cinque anni. L’università non reggerà l’impatto – ha avvertito Decleva – una situazione che determinerà inevitabilmente aumenti delle entrate proprie. Ivi comprese le contribuzioni studentesche. Ma che in ogni caso porterà inevitabilmente l’intero sistema universitario pubblico al dissesto». La misura dello sconcerto può essere facilmente indicata se si assume come riferimento lo scorso luglio. Esattamente un anno fa la Commissione per la Finanza pubblica operante presso il Mef, aveva riconosciuto, in sintesi, che il nostro sistema universitario fosse oggettivamente sottofinanziato.
nei – per i prossimi cinque anni. Tradotto in numeri, il Governo prevede un contenimento delle spese per 63,5 milioni di euro nel 2009, per arrivare alla considerevole cifra di 455 milioni nel 2013. « «Ma l’onerosità per gli Atenei – spiega la Crui in un documento stilato dai suoi rappresentanti con burocratico sgomento – sarebbe ben maggiore dal momento che, nel caso del personale delle Università le spese aggiuntive e obbligatorie per fare fronte agli aumenti automatici di loro pertinenza ricadono sui bilanci di queste ultime». Riceveremo molti meno soldi, e per di più
resteranno a nostro carico gli aumenti per i dipendenti.
Se le cose restano così dovremo mettere le mani nelle tasche degli studenti, dicono in buona sostanza i rettori. Secondo le prime stime dei tecnici della Crui, i giovani universitari di ritorno dalle vacanze potrebbero imbattersi quindi in un aumento delle tasse compreso fra il dieci e il venti per cento. Mediamente un surplus di cento euro a persona. Chiaramente a scapito della qualità, perché qui si tratterebbe di aprire il portafoglio per assicurarsi servizi base come un posto per terra a lezione e una sala lettura aperta per almeno un paio d’ore al giorno. Dietro i tagli del Governo ci sarebbe in realtà l’intento di limitare le assunzioni di personale a tempo determinato al 20 per cento. Per otto persone che andrebbero in pensione, cioè, potrebbero esserne assunte solo due. Una soluzione «che danneggerà gravemente la funzionalità scientifica e didattica degli atenei», fa sapere la Crui. E metterà a dura prova la pazienza di quanti, avendo già partecipato ai concorsi banditi di professore potrebbero vedersi rispediti a casa per assenza di fondi. La manovra del Governo prevede inoltre l’inevitabile possibilità che le università’ pubbliche si trasformino in fondazioni. Una seria privatizzazione del sistema universitario non può certo prodursi per decreto contabile. Occorrerebbe semmai una visione strategica e funzionale, e la chiara risoluzione di un dilemma. Lo Stato intende ancora occuparsi della formazione universitaria, o ha già intrapreso, verso giovani con i quali cui ha contratto – oggi come non mai – profondi obblighi morali, la strada del disimpegno?
«Umberto Bossi il 27 giugno ha detto che anche le regioni del Nord, purché compatte, e lo siamo, avrebbero fatto la loro parte sul problema dei rifiuti partenopei». È il commento del presidente della Regione Veneto Giancarlo Galan sulla questione rifiuti napoletani in Veneto. «C’è - ha detto Galan - volontà di porre fine all’emergenza anche da parte dei napoletani che vogliono porre fine a questa vergognosa pagina della storia italiana». «Non ho cambiato nessuna idea: ho sempre detto che davanti a un piano serio, di fronte a un programma di gestione della tragedia causata dall’incapacità di certi amministratori, in Veneto non si sarebbe tirato indietro».
Pd-Udc: Casini, per ora strade diverse «La collaborazione tra le forze responsabili dell’opposizione è nei fatti, è una scelta obbligata. Noi però siamo in Parlamento non in nome di un’alleanza col Partito democratico. Le nostre sono strade diverse. La mia è la collocazione di uno dei leader del Partito popolare europeo, mentre Veltroni e gli amici del Pd sono in gran parte nel movimento del Partito socialista. Se sarà qualcosa di più, sono i fatti che ce lo diranno». Lo ha affermato il leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini.
Al via il Congresso dei socialisti «Il presente è il futuro». È questo lo slogan scelto per il primo congresso nazionale del Partito Socialista che si è aperto ieri a Montecatini La convocazione del Congresso segna il ritorno ufficiale sulla scena politica dei socialisti. In prima fila erano seduti i diversi esponenti del gruppo dirigente: Enrico Boselli, Gavino Angius, Bobo Craxi, Ugo Intini. Il congresso entrerà nel vivo con la presentazione dei tre documenti congressuali: «Progetto e ricambio»; la seconda mozione «prima la politica» che candida alla segreteria l’eurodeputata Pia Locatelli e infine il terzo documento «un nuovo inizio per il partito socialista» che ha come primo firmatario e candidato alla segreteria nazionale Riccardo Nencini, presidente del Consiglio regionale della Toscana.
Roma: Storace, la maggioranza non c’è «La maggioranza non c’è, non si riunisce o se si riunisce lo fa nel segno dell’autosufficienza e della presunzione di alcuni suoi componenti. Alemanno è solo, mi pare di capire. È solo perché nel Pdl è sufficiente comandare. Ma governare è altra cosa». Lo ha scritto nel suo blog Francesco Storace, segretario nazionale e capogruppo in Campidoglio de la Destra.
costume
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Lolite sempre più precoci e le angosce degli adulti
L’età dell’incertezza e i cattivi esempi di Pier Mario Fasanotti l fatto di essere sempre più in linea con i costumi europei è una consolazione soltanto statistica. Prendiamo il caso dell’aumento della pillola anticoncezionale del giorno dopo, anzi “del lunedì” (il week end è tempo di sesso): nel 2007, secondo la Società italiana di ginecologia, si è passati a circa 400mila confezioni. A chiedere il “remedium concupiscentiae” (una volta così era chiamato il matrimonio) sono le adolescenti, dai 14 ai 20 anni. Leggerezza o libertà, dipende dai valori che uno coltiva. Sta di fatto che l’adolescenza vive una vita a parte, i genitori non sanno o fanno finta di non sapere. La cosiddetta “età dell’incertezza” è diventata, anche per ragioni non propriamente sessuali, una specie di bomba a orologeria. Gli adulti ne hanno paura. Non sanno come governare i figli, anche se sempre più spesso viene ripetuto dagli esperti che il “no”ha un altissimo valore educativo. In questi giorni anche chi non genitore è rimasto sbalordito, o angosciato, dalla notizia che Monica (nome inventato, ovviamente) di dodici anni fotografava col telefonino le sue parti intime e vendeva queste immagini. Il ricavato lo usava per comprarsi capi di abbigliamento griffato.
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Per la psicologa niscono sulle pagine dei giornali. TorAnna Oliverio nando alla dodicenne Monica, ci si chieFerraris de: è solo lei la responsabile di quel mercimonio tecnologico che assomiglia «la disposizione così tanto alla prostituzione? Risposta: a imitare è iscritta non del tutto. Oggi viviamo in un tempo nel nostro cervello. Nella corteccia in cui tutto viene erotizzato e mercificapremotoria to, con l’aggravante che i persuasori occulti e i maghi del marketing sono av- ci sono i neuroni a specchio che vantaggiati dalla proliferazione e dalla velocità dei mezzi di comunicazione. si attivano quando osserviamo Basti riflettere su un dato: l’osservatorio i movimenti, di Pavia, l’istituto che si occupa di ricerca e di analisi della comunicazione, ha i giochi, la mimica, calcolato che in un anno un bambino i gesti di un’altra persona ma italiano è raggiunto in media da 33mila anche quando messaggi pubblicitari via tv. Tutti (genil’ascoltiamo tori consenzienti) immersi in una sorta parlare» di sonnambulismo psicologico e consumistico. Anna Oliverio Ferraris tadina del Colorado due fratelli adolepone in primo piano la scenti (maschio e femmina) dopo aver seguito tanti show di wrestling hanno componente infierito “per gioco” sulla sorellina imitativa del di sette anni a colpi di karate. Lesiobambino. Un ni interne gravissime che l’hanno fattore acportata alla morte. Non a caso sui certato dalla palinsesti tv italiani i combattimenti neuropsidei guerrieri muscolosi sono scomchiatria. «La parsi o spostati in ore notturne. disposizione Uguale pericolo per il comportaa imitare» mento delle donne, bombardate spiega la studiosa «è iscritta oggi da una “campagna di seduzionel nostro cervello. Localizzati in ne” che non ha pari nella storia. Le un’area cerebrale chiamata corragazzine, è inevitabile, si uniforteccia premotoria ci sono i neuromano ai modelli che vengono proni a specchio che si attivano posti, magari su You Tube. Il conquando osserviamo i movimenti, testo è cambiato: «La differenza i giochi, la mimica, i gesti di tra la rappresentazione della un’altra persona ma anche donna degli anni Settanta e quando l’ascoltiamo parlare». quella di oggi è impressionante. Allora la donna doveva esQuesti “mirror neurons” si metsere intelligente almeno quantono in movimento anche to l’uomo, oggi le si chiede di quando i nostri figli sono daapparire seducente e sexy. vanti allo schermo del computer. Di per sé il fattore imitativo Sexy come le star della canrisponde alle esigenze della zone, del cinema, della tv». natura: il bambino ci metteProgrammi tv come Il rebbe troppo tempo a evolgrande fratello esaltano l’esibizione del sé, psiversi con il ragionamento, lo fa con maggiore velocologico e anche fisicità imitando la mamma co: il premio è la noo il papà. I rischi dell’itorietà. Poi c’è la mitazione negativa ogcommistione tra spettacolo e poligi si sono amplificati. tica: un passato Lo scorso anno in da velina può una cit-
L’aumento della pillola anticoncezionale del lunedì e il caso della dodicenne che vendeva le sue foto erotiche pongono seri interrogativi
Un editorialista di un quotidiano nazionale si è immediatamente scagliato contro alcune dichiarazioni, considerate assolutorie o comunque appartenenti a quella cultura di sinistra per cui tutto è colpa degli altri, ossia della società. E concludeva scrivendo che esiste anche una cosa che si chiama responsabilità individuale. Giusto solo in parte. La paternale giornalistica è superficiale. È quel che viene da pensare leggendo il saggio di Anna Oliverio Ferraris, La sindrome Lolita ( Rizzoli, 185 pagine, 17 euro). L’autrice insegna Psicologia dello Sviluppo all’Università La Sapienza di Roma, è stata membro della Consulta Qualità della Rai e del Comitato Nazionale per la Bioetica. Conosce a fondo le tematiche giovanili. Il suo ultimo libro può essere considerato un vademecum concettuale per analizzare certi comportamenti che fi-
aprire le porte dei ministeri o del Parlamento. Tutto ciò ha una forte ricaduta sulla percezione della donna da parte delle ragazze. È chiaro che il paragone tra sé e il modello è sempre perdente. Di qui la frustrazione o il ricorso all’erotizzazione dell’abbigliamento. Vogliono dominare un pubblico eccitato e sottomesso. Certi stilisti mettono a fuoco gli indumenti intimi femminili quasi a significare che il vestito è un accessorio di scarsa importanza. La famosa Barbie e la concorrente Bratz (sul mercato dal 2001) passano il tempo a preoccuparsi del look e dello shopping.
Le ragazzine erotizzano l’abbigliamento per attirare l’attenzione dei maschi. Ma lo fanno “sempre prima”, anche a nove-dieci anni. Le lolite, a volte confortate da un comportamento materno disinibito, sono condotte a “una rappresentazione del sesso ti tipo strumentale, nel senso che la sessualità può essere considerata alla stregua di una merce di scambio”. È il caso di Monica che vendeva immagini del proprio corpo. Lei è indubbiamente uno dei tanti soggetti dell’”infanzia assediata”. Da considerare anche il fatto che oggi la pornografia è dilagante. Internet può facilmente diventare una sorta di porno-shop cui si accede a tutte le ore. Anna Oliverio Ferraris sostiene che “l’esposizione alla pornografia (soft o hard) può modellare attitudini, valori e comportamento degli utenti, soprattutto nell’età evolutiva, quando è essenziale crescere e mettere al riparo l’intimità.
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L’arcivescovo di Hong Kong: «Non è giusto boicottare un avvenimento così importante. In Tibet però si è stati solo a guardare»
«Fa bene Bush ma... colloquio con il cardinale Joseph Zen di Francesco Rositano segue dalla prima
verno centrale». Quanto al suo mancato invito alla cerimonia d’apertura dei giochi olimpici, afferma con una certa ironia: « Forse non sapevano come classificare un cardinale nelle loro regole di protocollo». E aggiunge: «Sono molto contento che abbiano richiesto la partecipazione del mio coadiutore, monsignor Tong». Eminenza, ormai le Olim-
questo appuntamento, mossa anche dall’orgoglio nazionale e dalla speranza di aver successo. Questo è molto comprensibile. Ma sa benissimo che il mondo si aspetta un maggiore rispetto dei diritti umani, anche perché ha fatto delle precise promesse in questo senso. I giochi olimpici sono un avvenimento molto significativo non solo perché c’è lo sport, ma per questo valore di fratellanza universale, che ha un valore spirituale più alto del solo valore sportivo. Certamente sono convinto che da parte di Pechino c’è la buona volontà di fare passi in avanti in questa direzione. Ma quello che ha accaduto in Tibet ha messo di nuovo in discussione questa buona volontà. Di fronte alle proteste di Lhasa, il governo di Pechino ha sentito l’esigenza di mobilitare le la gioventù che si trovava in quelle città per motivi di studio o di lavoro. Purtroppo quello che
l loro significato va oltre lo sport. E poi, la Cina sa benissimo di essere al centro dei riflettori internazionali e di aver assunto l’impegno preciso di prestare più attenzione al rispetto dei diritti umani». Il porporato, che ha ricevuto la berretta cardinalizia, proprio da Benedetto XVI nel 2006 come segno dell’importanza che il Santo Padre attribuisce ad un miglioramento delle relazioni tra la Cina e il Vaticano, sa benissimo quanto sia delicata la situazione nel Celeste Impero. «C’è ancora da lavorare molto nella direzione di un’apertura al resto del mondo. Bisogna uscire da un piadi sono alle porte. E sonazionalismo esasperato, da un no una grande occasione orgoglio nazionale che spesso per la Cina. Che ne pensa? ha rasentato i limiti, come nel Avere la possibilità di ospitare i caso dei recenti fatti che hanno giochi olimpici è una grande scosso il Tibet. In quell’occasio- occasione di potersi far vedere ne abbiamo sfiorato una situa- sul palcoscenico internazionazione che avrebbe potuto con- le. La Cina si sta preparando a durre a quello che per l’Italia è stato il fascismo. O comunque un imperialismo dittatoriale». Oltre al nazionalismo il cardinale intravede altri ostacoli da superare per giungere ad una Nato nel 1932 si trasferisce giovanissimo maggiore democratizzada Shanghai a Hong Kong, dopo che l’abzione del Paese che, ribazia dove viveva era stata bombardata badisce «non potrà mai dalle truppe comuniste. Diventa prete nel essere identica a quella 1961 e fino al 1973 insegna al Seminario occidentali per ovvi mocattolico della ex-colonia inglese. tivi di storia e tradizioNel 1978 è nominato Superiore Provinne, nonostante ci siano ciale dei Salesiani per la Cina “esterna” dei criteri oggettivi che (Hong Kong, Macao e Taiwan). Presto lavalgono per chiunque». scia l’incarico e dal 1983 fino al 1996 inseTra gli ostacoli una «forgna nei vari seminari della chiesa ufficiate corruzione e una catle e di quella “clandestina”in diverse zone tiva amministrazione e della Cina. Quest’esperienza fa di lui uno uno scarso potere della dei maggiori conoscitori della realtà di stampa che ha il dovere tutte e due le chiese cattoliche cinesi. Nel di controllare il potere 1996 viene nominato vescovo coadiutore centrale». Il cardinale di Hong Kong. poi parla di un’altra spiDopo che, nel 2000, in pieno Giubileo, canosa questione quella rinonizzò 120 martiri cattolici vittime della guardante i cattolici ci“Rivolta dei Boxer”, per di più proprio il nesi. E lancia un forte 1° ottobre, anniversario della proclamaappello ai sacerdoti che zione della Repubblica popolare, gli fu vivono sotto il rigido impedito dal Governo cinese per ben 6 controllo di Pechino: anni di visitare il paese. Nel 2006, Bene«Alzino la voce e chiedetto XVI gli ha concesso la berretta cardano il dialogo con il godinalizia.
«I
“
La Cina deve uscire da un nazionalismo esasperato. In Tibet si è sfiorato il fascismo. Le Olimpiadi di agosto saranno una prova di democrazia
”
Il cinese che Ratzinger ha voluto cardinale
stava accadendo era molto pericoloso: si stava assistendo ad un escalation di violenza sempre maggiore. E ho avuto la sensazione che si stesse verificando qualcosa di molto simile a quello che è stato che è stato il fascismo italiano: un imperialismo dittatoriale. Proprio in quegli stessi giorni c’è stato però il terremoto in Sichuan Paradossalmente una catastrofe di misure gigantesche con già 40.000 vittime accertate ha avuto un effetto positivo: quello di far aprire la Cina agli aiuti internazionali. Il Paese è riuscito a mettere da parte quel falso orgoglio nazionale e ha accettato il contributo di tutti i paesi che si sono impegnati ad offrirlo. Anche quello degli Stati Uniti, mo-
strando con ciò che salvare una sola vita in più era più importante di qualsiasi considerazione politica. La catastrofe del terremoto ha anche mostrato una certa apertura ai mass-media che hanno avuto l’opportunità di documentare quanto stava accadendo. Ma purtroppo una tale catastrofe ha portato alla luce anche aspetti negativi. È vero. Questa circostanza ha messo in evidenza una diffusa situazione di cattiva amministrazione e corruzione, come la
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In alto il presidente americano Bush che parteciperà alle Olimpiadi di Pechino. A sinistra Benedetto XVI con il cardinale Zen. Nella pagina a lato, in basso, il presidente cinese Hu Jintao goglio nazionalista. Noi che abbiamo la fede, che riferiamo tutto all’origine di ogni bene della vita e di quello che consegue alla vita al suo creatore, non vediamo l’appartenenza nazionale in modo chiuso. Non vediamo nessuna difficoltà di unire il più sincero di orgoglio di della propria nazione con la più aperta accettazione della fratellanza universale, perché sappiamo che il Signore mi ha fatto uomo e mi ha fatto cinese. È una realtà che non si può separare ma mi permette di sentirmi fratello di tutta l’umanità, ma anche con particolare. Ma mi permette di sentirmi fratello di tutta l’umanità ma con un particolare attaccamento ai miei connazionali. Veniamo ai rapporti tra Cina e Vaticano. Eminenza, come è stata recepita la lettera che il Papa ha scritto ai cattolici cinesi? La lettera del Santo Padre è stata un capolavoro d’equilibrio tra la chiarezza dei principi e la delicatezza della maniera in cui si è detto, per la grande comprensione per tutte le persone coinvolte. Ora la situazione è molto lontana da quella dei principi ed è una situazione che perdura da tanto tempo. Forse bisogna essere realistici e non essere troppo impazienti nel pretendere un immediato successo di questa lettera. Ma certamente essa mette davanti ai fedeli e al clero i vero ideale di quella che sarebbe la situazione normale. Come l’ha presentato il Papa
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questo ideale della normalizzazione dovrebbe essere vista bene anche dal governo, ma purtroppo ci sono delle forze che resistono ad un cambiamento. E si tratta di quelli che in questa situazione normale hanno ottenuto e mantengono il potere sulla Chiesa. Oltre il potere anche i vantaggi, i loro interessi. E, data la lunga storia di questa oppressione, non è facile per i nostri vescovi e sacerdoti di alzarsi coraggiosamente e domandare un dialogo diretto coi veri dirigenti della nazione. La settimana scorsa, incontrando Benedetto XVI, per la visita ad limina, entrambi avete auspicato che presto possano parteciparvi anche gli altri vescovi cinesi. Quanto è lontano questo giorno? Sia io che il Papa auspichiamo che un giorno i vescovi che vivono nella Cina continentale possano venire a Roma. Purtroppo sia i membri della chiesa clandestina che quelli della chiesa ufficiale sono bloccati. I primi non hanno il permesso di uscire dalla territorio della nazione. I secondi, invece, sono rigidamente controllati dagli organismi della Chiesa patriottica che hanno il potere sulla Chiesa non vogliono mollare il loro controllo. Qual è il contributo che la Commissione Cina, istituita in Vaticano, può dare al riavvicinamento tra il Vaticano e il Dragone? Questa grande Commissione include molti esperti che da anni seguono la situazione in Cina. E per questa ragione è un grande aiuto a quelli della Santa Sede che hanno la responsabilità di portare avanti questi contatti. È un grande contributo per risolvere questi problemi molto complessi.
La lettera del Papa ai cattolici cinesi è stata un capolavoro. Ma siamo ancora lontani dalla sua attuazione
Per saperne di più scoperta che gli edifici che ospitavano delle scuole erano assolutamente lontane dal grado di solidità richiesta normalmente per la sicurezza degli utenti. Ma anche in questo caso si è vista la franca ammissione dei fatti da parte del governo e la promessa di indagare sulle responsabilità passate e di esigere un maggior rispetto per la sicurezza della popolazione. Quello di cui il Paese ha bisogno è un maggiore ruolo di controllo da parte dei massmedia, che devono osservare e riferire con scrupolo ai cittadini quello che accade. Insomma i mezzi di informazione devono diventare un alleato nel governo in questa sfida al servizio dei cittadini. Ma potrebbero diventare anche un temibile avversario Si suppone che da parte del governo ci sia la volontà di lavorare insieme con i mass-media nel vigilare sulla situazione del Paese. E questo potrà essere solo di aiuto. Quindi il terremoto ha
avuto, paradossalmente anch effetti positivi? È stata una scossa che ha fatto rivolgere l’attenzione cambiato a valori ben diversi: da quel falso senso di prestigio nazionale, anche di onnipotenza nelle proprie possibilità, all’improvvisa accettazione che di fronte a queste forze della natura. E questo ha permesso il risveglio per il valore della vita di ogni persona, per il significato dell’affetto familiare, per il valore della fratellanza universale. È una lezione dura, ma fruttuosa. Ovviamente questo senso di compassione e comunione davanti alle sofferenze deve proseguire anche ora che è cessata l’emergenza più stringente, perché dopo il primo momento di aiuto immediato rimane un bisogno immenso. Da cinese, secondo lei in che modo si possono conciliare l’appartenenza alla propria patria con il rispetto delle proprie credenze religiose? La popolazione cinese si è sempre chiusa in un or-
Consigliere di Benedetto XVI sulla questione cinese, appassionato difensore dei diritti umani in Cina, intrepido sostenitore della Dottrina sociale della Chiesa, beniamino dei media di Hong Kong, il cardinale Joseph Zen, arcivescovo dell’ex colonia inglese, per la prima volta in questo libro-intervista racconta la sua storia al giornalista de La Croix, Dorian Malovic. Dalle sue parole scorrono le immagini della sua infanzia povera nella città natale di Shanghai, la vocazione salesiana, l’esodo a Hong Kong sotto la spinta del potere comunista, gli studi e l’ordinazione presbiterale a Torino, l’insegnamento - da vero pioniere - nei seminari cattolici cinesi negli anni Ottanta, unico sacerdote dall’estero ammesso a formare i futuri preti del Gigante asiatico. Con la ruvida franchezza che molti gli riconoscono e che rifugge da ogni prudenza diplomatica, Zen dipinge la situazione attuale dei 12 milioni di cattolici cinesi, che vivono divisi tra l’appartenenza al governo di Pechino e la fedeltà al Papa.
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mondo
Per l’intelligence la minaccia atomica di Ahmadinejad è sempre più vicina
Israele potrebbe attaccare Teheran entro l’estate di Aldo Forbice Occidente non sembra preoccuparsi molto dell’atomica di Teheran. L’Europa, in particolare, minimizza la portata delle minacce di Ahmadinejad nei confronti di Israele, pensando che alla fine le deboli sanzioni decise dall’Onu possano acquietare i falchi iraniani. Ora però la nuova guerra sembra, purtroppo, molto vicina, a giudicare dalle notizie che abbiamo raccolto a Parigi nel corso di un meeting della resistenza iraniana, presieduto da Maryam Rajavi, presidente del Cnri (Consiglio nazionale della resistenza iraniana).
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Il piano di attacco aereo sembra pronto. Israele si sta preparando da mesi. Esercitazioni e simulazioni dei bombardamenti dei siti iraniani (almeno una dozzina). L’attacco dovrebbe avvenire con ordigni che esplodono in profondità. Non è escluso neppure l’uso di piccole bombe nucleari per essere certi della distruzione totale degli impianti, che si trovano anche a 300-400 metri sotto il livello stradale mimetizzati come centrali elettriche, depositi di auto e padiglioni industriali. Queste informazioni provengono da fonti attendibili. L’attacco dovrebbe avvenire ad agosto, non si esclude nemmeno che si svolga durante le Olimpiadi di Pechino (il mondo sarebbe distratto dalle competizioni sportive con i riflettori puntati sulla capitale cinese). In ogni caso non si dovrebbe andare al di là della fine di quest’anno, prima però delle elezioni presidenziali Usa. Bush nei suoi più recenti discorsi ha chiaramente detto che «l’opzione militare» non è esclusa visto il sostanziale fallimento anche delle ultime sanzioni decise dall’Onu. Per il momento Washington ha frenato, ma due scadenze renderebbero improcrastinabile l’ora X. La prima è l’arricchimento dell’uranio prodotto negli impianti sotterranei di Natanz, di Lavizan-Shian e di Lashkar Ab’ad. Se questa sarà sufficiente a mettere a punto la bomba nucleare, l’aviazione di Tshal potrebbe avere il via libera. L’altra è rappresentata dall’installazione dei potenti missili russi SA (già acquistati da Teheran). L’Iran dispone già di missili a media e lunga gittata (Shahab 3 e Shahab 4) che possono centrare bersagli sino a 1300 miglia. I razzi russi potrebbero aumentare non solo le potenzialità difensive ma anche quello offensive di Teheran, essendo in grado di annientare sia gli obiettivi nello Stato ebraico che raggiungere le basi americane nel Golfo persico. Visti i tempi così stretti è com-
prensibile l’ansia di tutte le cancellerie europee, in allarme da settimane. Berlino, Parigi, Londra, le maggiori capitali del vecchio continente sono sul chi vive da tempo. Proprio due giorni fa il ministro della Difesa israeliano Ehud Barak ha ribadito con fermezza al congresso dell’Internazionale socialista a Lagonisi, Grecia, che «la minaccia nucleare dell’Iran non può essere permessa». Tra i più fortemente preoccupati vi sono anche molti iraniani, quelli impeganti nella resistenza, che da diversi anni combattono il regime teocratico di Teheran. Sabato scorso nei padiglioni della Fiera di Parigi oltre 70 mila iraniani, dati della polizia francese, sono arrivati da tutta Europa (ma anche dagli Usa, Canada, Australia, Iraq, Giordania, ecc.) in un meeting convocato anche per sollecitare una presa di posizione dell’Unione europea atta a cancellare la presenza dei mojahedin del popolo (che sono una componente del Consiglio della resistenza) dalla lista del terrorismo internazionale. Una mossa già fatta nei giorni scorsi dal parlamento inglese.
Mariam Rajavi, presidente storica del Cnri che ha la sua sede proprio a Parigi, è stata molto esplicita nel suo lungo discorso: «no» al regime islamico- fascista di Ahmadinejad, «no» a una nuova guerra in Iran, «potrebbe diventare più sanguinosa di quella dell’Iraq. Sì alla terza opzione come unica alternativa pacifica possibile per riportare la libertà e la democrazia in Iran, che deve tornare ad es-
Di fronte al pericolo Tshal non sta certo a guardare. Da mesi l’aviazione di Gerusalemme presenta studi e conferma esercitazioni. In caso di emergenza il bombardamento ci sarà sere «uno Stato laico, pluralista, rispettoso di tutte le etnie, culture e credi politici e religiosi e assolutamente non nucleare». Il clima che si percepiva anche tra i parlamentari italiani presenti, sia del Pdl, della Lega e del Pd, era di forte preoccupazione. Anche i rappresentanti del governo iracheno lo hanno confermato: «dalle notizie che abbiamo siamo certi di trovarci alla vigilia di un grande evento e pensiamo che, come ritorsione, l’Iran possa attaccare anche noi, coinvolgendoci in una guerra totale, allargata all’intera regione del Golfo Persico». Un ministro, chiedendoci l’anonimato, ha aggiunto: «Siamo oppressi dalla forte ingerenza dei pasdaran iraniani: dalle nostre frontiere ridotte a un colabrodo passa di tutto: armi, dollari, militari iraniani, tutti strumenti per armare e finanziare i gruppi armati, anche quelli vicini ad al Qaeda. Sono ormai oltre 300mila
gli iraniani, con nomi iracheni, compresi diversi parlamentari e alcuni ministri, sulla busta paga della Forza Qod, che fa capo al Corpo delle guardie rivoluzionarie di Teheran. Noi temiamo mille volte di più gli iraniani del regime dei mullah che gli americani».
Le notizie su un prossimo attacco israeliano, con copertura americana, vengono ora confermate dai mojaheddin, le cui informazioni si sono rivelate sempre molto attendibili. Ricordiamo infatti che le prime denunce pubbliche sui siti nucleari sono venute proprio da loro perché la resistenza dispone di una fitta rete di informatori. Anche nei cantieri dove si costruiscono le gallerie con gli impianti nucleari mimetizzati nel vasto territorio iraniano. Essi continuano a sfidare l’attivissima vigilanza dei pasdaran e sono consapevoli che, una volta sco-
perti, non potrebbero sfuggire alla tortura e alla morte. Questa sorte è stata riservata negli ultimi anni a 120mila uomini, donne e giovani iraniani che si sono ribellati alla tirannia del regime teocratico. Neppure l’Aiea, l’agenzia dell’Onu per l’energia nucleare, e il Pentagono conoscevano l’esistenza della vasta rete di impianti atomici, completati e in costruzione, prima dei dossier resi noti dalla resistenza iraniana. Non solo, ma sono stati sempre i mojaheddin a rivelare l’anno scorso la gigantesca ingerenza iraniana in Iraq e in Libano documentando i finanziamenti ai gruppi terroristici,compresi centinaia di migliaia di agenti clandestini ancora sul libro paga di Teheran. Ecco perché le informazioni, confermate a Parigi, sono credibili. Forse anche l’Italia, al di là di ogni dichiarazione di rito, dovrebbe fare qualcosa di più anche in sede europea .
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Spagna, si chiude domani il 37esimo congresso del Psoe. I socialisti chiedono anche la revisione dell’aborto
L’ultima di Zapatero: l’eutanasia di Benedetta Buttiglione-Salazar
d i a r i o MADRID. Non ci saranno sorprese al 37esimo congresso del Partito Socialista Operaio Spagnolo (Psoe) che si è aperto ieri a Madrid. Il congresso ratificherà la rielezione di Zapatero alla guida del partito senza candidati alternativi, e sarà l’occasione per rilanciare la discussione su una serie di temi sociali, su cui il governo sta subendo la pressione della sinistra del partito e dei media progressisti come El Pais e Publico. «Sarà un congresso di idee e non di immagine», dicono i socialisti spagnoli, polemizzando con il precedente congresso dei Popolari che è stato veramente un evento mediatico, per la riconferma quasi scontata di Rajoy, ma soprattutto per il taglio del cordone ombelicale di costui da Aznar. No, qui a Madrid non ci saranno colpi di scena, sembra addirittura che il leader del partito e di governo Zapatero non pronuncerà nemmeno un discorsone tipo «Il giorno migliore della nostra vita sta per arrivare» che pronunciò quando fu incoronato segretario del partito nel 35esimo congresso. Forse perché i giorni che attendono gli spagnoli non saranno proprio dei migliori.
tati, accompagnato da buona parte del suo governo, per cercare di rassicurare i parlamentari - quindi il Paese - e spiegare le ragioni della crisi. Secondo il premier spagnolo è tutta colpa della cattiva situazione internazionale, in particolar modo della crisi bancaria e del prezzo del petrolio. «I dati dell’economia spagnola e di quella internazionale sono eloquenti, ma voglio dire ai cittadini che recupereremo». Ha dichiarato che in sei mesi l’economia ha smesso di crescere dal 4 al 2 percento e che il settore delle costruzioni si trova in una situazione ancora peggiore ed ha ammesso che questa caduta libera peggiorerà ancora nei prossimi mesi. Si è rifiutato però di parlare di recessione, preferendo piuttosto la definizione di “crescita indebolita”. Con questi chiari di luna è meglio che il congresso socialista passi in
L’assemblea chiede entro l’anno una legge quadro che regoli il diritto a morire con dignità
possibilità che i socialisti presentino in Parlamento una legge-quadro che regoli l’eutanasia ed il diritto a morire con dignità. Il documento propone di garantire che i cittadini siano sovrani quando si tratta di decisioni personali e che nessuna istanza esterna possa interferire. Se l’emendamento venisse accettato, il Psoe potrebbe elaborare una legge-quadro già in questa legislatura e la Spagna diventerebbe uno dei primi Paesi europei ad avere anche l’eutanasia, oltre ai matrimoni tra persone dello stesso sesso. Accanto alla proposta sull’eutanasia si dovrebbe discutere anche la possibilità di riaprire il dibattito sul funzionamento dell’attuale legge sull’aborto, approvata nel 1985 e che permette l’interruzione volontaria di gravidanza fino alla 12esima settimana, se frutto di una violenza e fino alla 22esima in caso di gravi difetti fisici o psichici. Ai socialisti sembra poco permissiva e vorrebbero l’aborto libero, così come promesso da Zapatero nel programma elettorale del 2004 e poi misteriosamente depennato in quello del 2008. Intervistato da El País qualche gior-
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Colombia, 20 milioni di dollari per Ingrid? La radio Suisse Romane, Rsr, afferma che Bogotà e Washington avrebbero versato 20 milioni di dollari, per “convincere“, uno dei carcerieri a liberare i 15 ostaggi. Se confermate queste rivelazioni a Bogotà avrebbero l’effetto di una bomba. Citando una fonte, «affidabile, provata diverse volte negli ultimi anni» e vicina agli avvenimenti, l’emittente svizzera afferma che nella giungla del Paese andino non si sarebbe svolta nessuna operazione militare. Gli ostaggi «sarebbero stati invece acquistati a peso d’oro», mentre la liberazione sarebbe solo una messa in scena. Secondo la fonte, la moglie di uno dei carcerieri avrebbe svolto compiti di intermediazione in tutta la vicenda.
Gb, sharia e ordinamento giuridico Nell’ordinamento giuridico inglese la sharia fa passi da gigante. Dopo le controverse dichiarazioni di febbraio dell’Arcivescovo di Canterburry, Rowan Williams, il momento di gloria tocca ora al giudice supremo di Inghilterra e Galles, Lord Phillips. Per l’alto magistrato la sharia potrebbe entare a far parte dei metodi di risoluzione delle controversie nell’ordinamento giuridico inglese. In Gran Bretagna la sharia è incompresa, ha detto Phillips martedì.Tra queste incomprensioni vi sarebbe la credenza che la legge islamica permetta frustate, lapidazioni, taglio delle mani e pena di morte. Sarebbero stati gli estremisti islamici ha dare il via a questa interpretazione della legge islamica per giustificare gli attentati suicidi. Il presidente del collegio arbitrale musulmano, Shaykh Faiz Siddiq, si è detto d’accordo con le dichiarzioni del Lord inglese.
Bielorussia, attentato: 50 feriti In un attentato compiuto l’altra notte a Minsk durante un concerto all’aperto nel pieno centro della capitale del Paese, sarebbero state ferite almeno cinquanta persone. Alcune si troverebbero in gravi condizioni. Secondo quanto dichiarato dal ministro degli interni di Minsk, Vladimir Naumov, poco dopo la mezzanotte di ieri, uno sconosciuto avrebbe fatto esplodere una bomba artigianale tra gli spettatori della manifestazione musicale. Con l’avvenimento si festeggiava l’anniversario dell’indipendenza del Paese. Al concerto era presente anche il capo dello Stato, Lukaschenko. Nessun indizio farebbe, per ora, pensare a un attentato compiuto da organizzazioni terroriste.
Georgia, scontri con l’Ossezia del sud
Dopo aver vinto le elezioni lo scorso marzo, Zapatero stesso ha dovuto riconoscere che la Spagna sta attraversando una profonda crisi economica, la più dura degli ultimi anni. Secondo un recente sondaggio della Ocse (la Organizzazione della cooperazione e dello sviluppo economico) la Spagna si convertirà il prossimo anno nel Paese europeo con il tasso di disoccupazione maggiore, pari al 10,7 percento, che vuol dire 2 milioni e mezzo di persone senza lavoro, più che in Turchia, tanto per avere un’idea. Proprio tre giorni prima di inaugurare il congresso Zapatero si è presentato davanti la sessione plenaria del Congresso dei Depu-
sordina e si occupi di altre questioni, come per esempio «gettare le basi per un modello di partito che si adatti alla nuova società», come recita il programma del congresso che dovrà essere adottato alla fine dei tre giorni di lavoro. All’interno del piattaforma programmatica la parte del leone la fa la preoccupazione per il cambio climatico e le sue dannose conseguenze, ma dobbiamo aggiungere che al programma sono stati presentati ben seimila emendamenti.
Tra questi particolarmente interessanti sono quelli del Partito Socialista di Madrid, che punta a inserire nella discussione congressuale la
no fa, il premier spagnolo ha nicchiato sull’argomento aborto, sapendo benissimo che non gli conviene, in una Spagna già alla deriva economica, offrire al suo avversario Rajoy altri spunti per ricompattare il proprio elettorato di centro. Al centro della discussione anche il voto per gli immigrati nelle elezioni municipali e la laicità dello Stato (nel senso di non discriminazione per motivi religiosi). Temi che,secondo diversi osservatori, servono a Zapatero per distrarre - almeno in parte - l’attenzione dalla crisi economica del Paese, su cui l’esecutivo vede le sue capacità di influenza limitate dalla congiuntura internazionale.
Nei territori separatisti dell’Ossezia del sud le truppe di Tbilisi hanno attaccato diversi obiettivi. Vi sarebbero almeno tre morti. Una portavoce del governo autonomista ha detto ieri che i colpi di granata sarebbero durati molte ore e avrebbero preso di mira la città di Zchinvali e alcuni villaggi vicini. Secondo il generale georgiano Kuraschwili, sarebbero stati i separatisti ad innescare i combattimenti, attaccando un posto di blocco di Tbilisi. L’Ossezia del sud si è dichiarata indipendente nel 1992 e da allora si trova sotto la protezione di truppe russe. Secondo il diritto internazionale la regione è parte della Georgia.
Cina e Tibet: nessun cambiamento Nella prima informazione ufficiale sui contatti tra rappresentanti del Dalai Lama e il governo di Pechino finora apparsa sulla stampa cinese, si conferma un incontro nel quale Du Qinglin, presidente di una sezione del Pcc, avrebbe affermato che la porta del dialogo sarà sempre aperta. In compenso il Dalai Lama dovrebbe esplicitamente rinunciare all’indipendenza e, attraverso azioni concrete, far capire che il Tibet è parte integrante della Cina. Soprattutto durante le Olimpiadi i tibetani dovranno astenersi da ogni azione.
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XXIsecolo
La terza e ultima parte del saggio del Segretario Usa sulle sfide che attendono l’Occidente
Non siamo un impero in declino. E in Iraq vinceremo di Condoleezza Rice er risolvere la crisi israeliano palestinese non si può prescindere da un punto: finché non ci sarà un governo palestinese in grado di assumersi le responsabilità che la sovranità di uno Stato impone, che possa vivere fianco a fianco con Israele in pace e sicurezza, non si faranno passi in avanti. Questo Stato non nascerà solo attraverso i negoziati su questioni ardue come i confini, i rifugiati e lo status di Gerusalemme, ma anche attraverso la costruzione di istituzioni democratiche capaci di combattere il terrorismo e l’estremismo, rafforzare lo stato di diritto, combattere la corruzione e creare opportunità per i palestinesi. L’esperienza ci mostra un grave disaccordo nel cuore della società palestinese, tra quelli che rifiutano la violenza e riconoscono ad Israele il diritto di esistere e quelli che lo negano. È chiaro che sono loro a dover fare una scelta sul proprio futuro, ma gli Stati Uniti, Israele, gli altri Stati della regione e la comunità internazionale devono fare tutto ciò che è in loro potere per sostenere quei palestinesi che tendono
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AVREMO ANCORA A LUNGO LA LEADERSHIP Ci occupiamo del mondo perché dobbiamo, non perchè vogliamo. È un modo vitale di pensare, proprio di una Repubblica, non di una potenza imperialista
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a un futuro di pace (…). Detto questo, se Stati democratici e moderni stanno per emergere in Medioriente, come rapportarsi a gruppi extra-statali che guardano con sospetto alla democrazia, alla non-violenza e alle regole del diritto? A causa della lunga storia di autoritarismo della regione molti dei partiti politici meglio organizzati sono islamisti, ed alcuni di loro non hanno rinunciato all’uso della violenza. Quale dovrebbe essere il loro ruolo nel processo democratico? Prenderanno il potere democraticamente solo per sabotare il reale processo che li ha portati alla vittoria? Sono
dunque pericolose le elezioni in Medioriente? Queste domande non sono semplici. Quando Hamas ha vinto le elezioni nei territori palestinesi, il risultato è stato largamente visto come un fallimento della politica, ma - sebbene questa vittoria abbia certamente complicato la situazione - essa ha chiarito i problemi: Hamas ha dovuto assumersi delle responsabilità e la comunità internazionale, nonché i palestinesi stessi, la hanno pretesa. Il risultato è che, alla prova dei fatti, Hamas ha dimostrato di essere totalmente incapace di governare (…). Per quanto il problema sia complicato, non è possibile che alle persone venga negato il diritto di votare solo perché il risultato potrebbe non piacerci. Non sappiamo se i politici alla fine disarmeranno i gruppi violenti, ma sappiamo che escluderli dal processo politico garantisce loro un potere privo di responsabilità.
L’Iraq è probabilmente il test più difficile per la democrazia. Con il suo microcosmo di differenze etniche e settarie sta cambiando non solo il panorama del Paese, ma di tutto il Medioriente. Il costo di questa guerra, in termini di vite umane e di denaro, sia per gli americani che per gli iracheni è stato più grande di quanto avremmo mai immaginato.
Da sinistra: il premier israeliano Olmert, il presidente palestinese Abu Mazen, guerriglieri di Hamas e George W. Bus
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Da sinistra: il premier iracheno Nuri al Maliki e l’ex dittatore Saddam Hussein
Questa storia si sta scrivendo adesso, e sarà così per molti anni. Le sanzioni e le ispezioni sulle armi, i servizi segreti e la diplomazia prebellica, il livello delle truppe e i piani postbellici sono tutte questioni importanti che gli storici analizzeranno per decenni, ma la domanda fondamentale da porci ora è: rimuovere Saddam è stata la decisione giusta? Io credo di sì. Dopo aver combattuto una guerra contro di lui ed essere poi rimasti in un formale stato di ostilità per oltre un decennio, la nostra politica di contenimento ha cominciato a sgretolarsi. La comunità internazionale aveva perso dinamismo e il dittatore iracheno si stava arricchendo sempre più con lo sfruttamento di programmi come oil-for-food (…). Gli Stati Uniti non hanno defenestrato Saddam per democratizzare il Medioriente, ma per rimuovere un’antica minaccia alla sicurezza internazionale. E il nostro obiettivo dopo l’11 settembre è stato quello di affrontare i più profondi mali del Medioriente, non i loro sintomi. Abbiamo fatto degli errori, questo è innegabile, e l’esplosione di rimostranze a lungo represse ha sfidato le giovani e fragili istituzioni democratiche, ma non c’è un’altra via di riconciliazione possibile e pacifica. Appena gli iracheni usciranno dalle loro difficoltà, l’impatto della trasformazione si farà sentire nel resto della regione. I Paesi mediorientali hanno bisogno di riforme, ma devono anche rivedere i loro rapporti. Un riallineamento strategico è in atto in tutta l’area e sta separando gli Stati responsabili da quelli che alimentano l’estremismo, il terrorismo e il caos. Il sostegno ai palestinesi moderati, alla soluzione dei due Stati per il conflitto israelo-palestinese e ai leader e cittadini democratici del Libano ha
assorbito le energie dell’Arabia Saudita, dell’Egitto, della Giordania e degli Stati del Golfo Persico. Questi Paesi devono capire che un Iraq democratico può essere un alleato nella resistenza all’estremismo della regione, e quando hanno invitato l’Iraq ad unirsi ai Paesi del Consiglio per la Cooperazione nel Golfo hanno fatto un importante passo in questa direzione. Questi Paesi chiedono agli Stati Uniti di restare fortemente impegnati nella regione per contenere la minaccia iraniana, e il nostro impegno di lungo periodo con l’Afghanistan e l’Iraq, le nostre nuove relazioni con l’Asia centrale e la nostra antica collaborazione nel Golfo Persico producono solide fondamenta geostrategiche per il lavoro generazionale più importante: aiutare a creare un Medioriente migliore, più democratico e più prospero.
Investire nelle potenze emergenti come azionisti dell’ordine internazionale e sostenere lo sviluppo democratico degli Stati deboli e poveri sono obiettivi ambiziosi e pongono una domanda: l’America è all’altezza della sfida o, come qualcuno teme ed afferma in questi giorni, è una nazione in declino? Noi siamo certi che le fondamenta del potere degli Stati Uniti sono e rimarranno solide perché la loro fonte è il dinamismo, il vigore e la resistenza della società americana; questo Paese possiede ancora la capacità – unica - di assimilare nuovi cittadini di ogni razza, religione e cultura nel tessuto della vita economica e nazionale, e i valori che portano al successo negli Stati Uniti producono lo stesso risultato anche nel resto del mondo: industrializzazione, innovazione e intraprendenza. Caratteristiche positive che, insieme ad altre, sono veicolate dal nostro sistema educativo, primo al mondo nell’insegnare ai bambini non cosa pensare ma come farlo, come affrontare i problemi criticamente e risolverli in modo creativo. Garantire un’istruzione di qualità a tutti, soprattutto ai bambini svantaggiati, è una sfida fondamentale, perché l’ideale americano è quello delle eguali opportunità, non degli eguali risultati. Questa è la colla che tiene insieme la nostra democrazia multietnica; se dovessimo mai smettere di pensare che il punto non è da dove si viene ma dove si va, perderemmo certamente molte delle nostre certezze, e un’America insicura non può essere una guida. Non solo: siamo sicuri che l’economia americana è e resterà forte. Nonostante le turbolenze finanziarie e le crisi internazionali, infatti, la nostra economia è cresciuta di più e più velocemente dal 2001 ad oggi, rispetto a quella di qualsiasi altra nazione industrializzata. Gli Usa rimangono il motore della crescita economica mondiale ma, per continuare così, devono trovare fonti di energia nuove, più affidabili e più compatibili con l’ambiente. Le industrie del futuro sono quelle dell’alta tecnologia (inclusa l’energia pulita), in cui il nostro Paese ha primeggiato per anni e in cui rimaniamo all’avanguardia; le altre nazioni vivono e accompagnano molto bene la crescita economica, ma gli Stati Uniti, probabilmente, rappresenteranno ancora la principale quota mondiale di Pil per decenni (…). Agli Usa non mancano le capacità per essere un leader a livello globale, manca la volontà di esserlo. Noi Americani ci occupiamo di politica estera perché dobbiamo e non perchè vogliamo, e questo è un modo vitale di pensare, proprio di una repubblica, non di un impero. Ci sono stati momenti negli ultimi otto anni, duante i quali abbiamo dovuto occuparci di cose nuove e difficili. Le nostre decisioni non sono sempre state popolari, tantomeno ben comprese. Le esigen-
ze del 12 settembre e oltre forse ora sembrano lontanissime. Ma le azioni degli Stati Uniti saranno guidate per anni dalla consapevolezza che siamo nel mezzo di un conflitto ingiusto. E nonostante le divergenze avute con i nostri alleati durante gli utlimi otto anni, loro vogliono ancora un’America sicura di sé e politicamente impegnata, perchè sono pochi i problemi al mondo che possano essere risolti senza il nostro aiuto. Questo è da riconoscerlo.
Infine, ciò che può determinare la riuscita degli Stati Uniti nel Ventunesimo secolo è la nostra immaginazione. È questa la caratteristica specifica che più giustifica il nostro ruolo nel mondo, nasce dal modo in cui noi pensiamo al nostro potere e ai nostri valori. La vecchia dicotomia tra realismo e idealismo non è mai stata veramente riconosciuta dagli Stati Uniti, perchè noi non accettiamo che i nostri interessi nazionali siano separati dai nostri ideali universali. Anche quando, nel breve termine, i nostri ideali e i nostri interessi entrano in conflitto, noi sappiamo che nel lungo periodo torneranno congiunti. È questo che ci spinge a credere nella costruzione di un mondo non perfetto ma migliore, più di quanto gli altri abbiano mai ritenuto possibile. L’America ha immaginato che una Germania democratica avrebbe un giorno rappresentato l’àncora dell’Europa intera, libera e in pace. L’America ha creduto che un Giappone democratico avrebbe rapresentato, un giorno, una risorsa di pace nell’Asia sempre più libera e prosperosa. L’America ha mantenuto la promessa fatta al popolo balcanico di diventare una realtà di Stati indipendenti, tanto da arrivare a tenere un summit Nato a Riga, in Lettonia. Abbiamo sempre preso in considerazione il mondo così com’è, ma non abbiamo mai accettato l’idea di essere impossibilitati a cambiarlo. Come spiegare questa nostra predisposizione? Con quello che io chiamo l’eccezionale realismo americano, che fa di noi una
IL SENSO DELLA NOSTRA STORIA Viviamo nel futuro, non nel passato. Un atteggiamento che ci ha portato a fare sbagli, ma che garantisce i nostri risultati più importanti negli Usa e all’estero
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nazione incredibilmente impaziente. Noi viviamo nel futuro non nel passato: non indugiamo sulla nostra storia. Un atteggiamento che ci ha portato a fare degli sbagli, ma è innegabile che sia questa cifra di impazienza a garantire i nostri risultati più duraturi, in casa e all’estero. Noi sappiamo quanto lunga e difficile sia la corsa alla democrazia e la supportiamo non perchè pensiamo di essere perfetti ma perchè sappiamo di non esserlo. Questo ci permette di essere umili nei nostri sforzi e pazienti con quelli degli altri.Vediamo già lo spiraglio di un mondo migliore. Lo vediamo nelle donne del Kuwait che hanno guadagnato il diritto di voto, in un concilio provinciale che si riunisce a Kirkuk, nel presidente dell’America che sta in piedi con i leader eletti democraticemente di fronte alle bandiere di Afghanistan, Iraq e il futuro Stato della Palestina. Plasmare questo mondo sarà il lavoro di una generazione, ma noi lo abbiamo fatto prima. E se continuiamo ad avere fiducia nel potere dei nostri valori possiamo riuscire a realizzare quest’opera di nuovo. © Foreign Affairs
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speciale bioetica
se la religione non fosse solo una sovrastruttura ideologica, se l’impulso verso il sacro fosse radicato nella biologia stessa del cervello umano? Insomma se l’uomo fosse una macchina fatta per credere? Del resto per quale motivo, si chiede Paolo Legrenzi in Credere, un saggio pubblicato recentemente dal Mulino, la selezione attraverso la quale ha preso forma la specie umana avrebbe plasmato dei meccanismi cognitivi che fabbricano credenze? «Grazie ad essi l’uomo ha sviluppato la
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pi, negli interventi di maghi e santoni sui canali televisivi minori. Ma la verità è che nella vita il credere non è riducibile alle sue patologie».
E soprattutto senza credere non si andrebbe avanti. Del resto che l’enorme complessità di idee, principi, credenze degli esseri umani sia derivabile dal comportamento animale lascia perplessi. L’ipotesi darwiniana della continuità per l’evoluzione della mente è il totem più sospetto della mitologia evoluzionista. «È vero che la vita
Il sistema limbico ha un ruolo fondamentale nell’esperienza religiosa cultura e la vita sociale e i nostri antenati sono riusciti a sopravvivere in ambienti pericolosi, incerti e competitivi». Eppure la funzione del credere resta ancora, nella stanca postmodernità occidentale, una forma di pensiero svalutata: «Negli ultimi secoli – scrive Ligrenzi – la scienza moderna ha relegato la fede a un passato fatto di credulonerie, di magie, di culture primitive e di imbonitori più o meno nobili. Oppure l’ha confinata nelle sottoculture mediatiche, negli orosco-
emotiva dell’uomo e di altri mammiferi presenta somiglianze mirabili – come dice Julian Jaynes ne Il crollo della mente bicamerale (Adelphi) – ma quando ci si concentra in misura eccessiva sulle somiglianze si finisce col dimenticare che un tale abisso esista veramente. È un po’ come se tutta la vita si fosse evoluta fino a un certo punto e poi, in noi stessi, avesse fatto un’improvvisa svolta ad angolo retto, esplodendo in una direzione diversa». Insomma la facoltà
Recenti ricerche negli Usa dimostrano che la fede è un impulso naturale del cervello umano e i medici americani affermano: «Pregare aiuta a guarire»
BIOLOGIA DELLA FEDE di Riccardo Paradisi coscienti dell’uomo, come ebbe l’onestà di notare anche Russel Wallace, padre con Darwin della teoria della selezione naturale (Darwinism, an esposition of Natural selection,1889) «non potevano essersi sviluppate per opera delle stesse leggi che hanno determinato il progressivo sviluppo del mondo organico in generale e anche dell’organismo fisico dell’uomo». Almeno in tre punti dell’evoluzione umana secondo Wallace «una qualche forza metafisica aveva diretto l’evo-
luzione, l’inizio della vita, l’inizio della coscienza e l’inizio della cultura civilizzata».
Per Andrei Newbeg membro dell’equipe di medicina nucleare nell’ospedale dell’università della Pennsylvania e per i suoi colleghi Eugene D’Aquili e Vince Rause l’impulso religioso è connaturato all’uomo, tanto che i tre ricercatori sono convinti di avere individuato un modello neurologico che offre un legame tra l’esperienza mistica e le funzioni osservabili
del cervello. I risultati di questa ricerca sono stati recentemente pubblicati in uno studio dal titolo «Why God Won’tt go away. Brain science e The biology of belief». L’equipe di ricercatori statunitensi ha sottoposto per anni all’esame di un tomografo SPECT (Single photon emission computer tomography) alcuni soggetti dediti a pratiche religiose: monaci buddhisti e monache francescane che praticano rispettivamente la meditazione e la preghiera cristiana contemplativa.
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Per anni l’esperimento è stato portato avanti – comprendendo anche un ampio studio della letteratura scientifica in campo neurologico e religioso – al fine di illuminare la qualità della relazione tra il cervello e le pratiche religiose. Il risultato di queste ricerche è che le strutture primarie del sistema limbico – il cervello delle emozioni – hanno un ruolo fondamentale nelle esperienze religiose e spirituali, ma soprattutto che il cervello umano sembra essere dotato della capacità innata di trascendere la percezione dell’io individuale limitato, una facoltà su cui si fonda l’impulso religioso e l’aspirazione spirituale. Aspirazione universale che ha portato le diverse civiltà in ogni tempo e sotto ogni latitudine, a reificare il sentimento religioso trasformandolo in esperienza: «Non è stata trovata ancora nessuna civiltà – ha scritto il mitografo Joseph Campbell – in cui i motivi mitologici non siano ripetuti in liturgie, interpretati da chiaroveggenti, poeti, teologi o filosofi, presentati in arte, glorificati in canti o sperimentati in visioni piene di vita». A spingere le civiltà verso questa realizzazione sono stati solo i benefici sociali che indubbiamente ne sono derivati oppure c’è qualcosa di più profondo della semplice utilità sociale del mito e del rito a spingere le persone e le culture a interpretare miti e credenze e a reificarli in riti, liturgie, preghiere?
Qualcosa come una predisposizione naturale verso il sacro, l’esistenza di categorie antropologiche della religione o, più semplicemente, una biologia della fede. Certe ricerche come quella condotta da un gruppo di ricercatori della Duke University nel Nord Carolina su pazienti con problemi cardiaci ricoverati in unità coronariche danno a pensare. Il risultato della ricerca infatti è che esisterebbe un legame tra la pratica religiosa e la pressione sanguigna, dimostrando che chi segue le funzioni religiose o legge i testi sacri con assiduità mantiene la pressione bassa anche nella terza età, quando i rischi di innalzamenti dei valori sono molto frequenti, diminuendo il rischio di infarto o altri problemi cardiovascolari. Il National Institutes of Health (Nih), il più importante ente di ricerca pubblica del mondo negli ultimi dieci anni ha promosso una lunga serie di studi sulla relazione tra medicina e spiritualità: tanto da creare un centro dedicato esclusivamente a questo campo di studio: il National center of Complementare and Alternative medicine. Dal 1998
il Nccam studia i meccanismi che intercorrono tra la mente e il corpo, indagando sulla gamma di reazioni fisiologiche e psicologiche prodotto da pratiche spirituali come la meditazione, lo yoga, il Tai Chi o la preghiera. Reazioni riscontrate puntualmente.
E anche al netto del fatto che gli Stati Uniti sono un Paese percorso da forti movimenti religiosi fa pensare che il 99 per cento dei medici di famiglia pensi che la fede abbia un effetto benefico sulla guarigione dei pazienti e che il 75 per cento di loro ritiene utile la preghiera anche per intercessione, cioè quella fatta dagli amici del malato o da gruppi di preghiera che rivolgono pensieri alla sua guarigione. Come fa riflettere il fatto che più di trenta università americane, compresa la prestigiosa Harvard Medical School abbiano inserito nei programmi di laurea delle facoltà di medicina anche corsi di religione, spiritualità e salute. Ci sarà un motivo, d’altra parte se nessuna civiltà, fatta salva la parentesi che si è aperta negli ultimi tre secoli, abbia mai nemmeno immaginato di escludere la religione e il sacro della sua vita quotidiana. E il fatto che si torni a interrogare questa Tradizione invece di contestarla pregiudizialmente, nell’idea che ciò che viene dopo è sempre migliore di ciò che è stato prima, lascia pensare che la non breve parentesi di scetticismo metodologico e ateismo programmatico che ha egemonizzato la cultura ufficiale dell’Occidente fino ad oggi sia prossimo a chiudersi. «Anche nella civiltà più tecnologica», ha scritto lo storico delle religioni Mircea Elide, «c’è qualcosa che non può mutare. Fintanto che ci sarà il giorno e la notte, l’inverno e l’estate, l’uomo non potrà essere cambiato. Senza volerlo siamo integrati in questo ritmo cosmico… L’uomo più a religioso vive in questo ritmo cosmico, lo ritrova nella sua stessa esistenza: la vita diurna e il sonno con i sogni: ci sono sempre dei sogni. Siamo condizionati, si intende, dalle strutture economiche e sociali e le espressioni dell’esperienza religiosa sono sempre condizionate dal linguaggio e dalla società: tuttavia questa condizione umana noi la assumiamo qui, in questo cosmo in cui i ritmi e i cicli sono dati a partire da questa condizione fondamentali. E questo uomo fondamentale lo si può definire religioso, quali che siano le apparenze, perché si tratta del significato della vita» (M. Eliade, La prova del labirinto, intervista con Claude_Henri Rocquet).
Parla Alessandro Meluzzi, scrittore e psichiatra
Se l’Occidente riscopre l’anima colloquio con Alessandro Meluzzi di Alfonso Piscitelli lexander Solgenitsin avrebbe dovuto morire in campo di concentramento come uno dei tanti ex-esseri umani che il gulag aveva inghiottito. Colpito da una grave forma tumorale, fu liberato: gli aguzzini lo rimandarono a casa confidando nel decorso della malattia. Ma appena scarcerato, l’esausto Alexander fu raggiunto da una notizia meravigliosa: la morte di Stalin! Tale fu la gioia per l’evento che l’organismo si rigenerò a ritmi tumultuosi. Il tumore era scomparso… come il tiranno. «È la dimostrazione – ci dice il professor Meluzzi – che uno stato d’animo profondo può influenzare le dinamiche del corpo». Alessandro Meluzzi, medico e psichiatra, è divenuto celebre al grande pubblico per le sue apparizioni televisive, per la sua parentesi parlamentare. Ma Meluzzi è anche l’uomo coraggioso che in questi mesi sta aiutando don Pierino Gelmini a portare la sua croce personale. Ed è anche l’autore di studi interessanti che nella selva di neuroni e di ormoni colgono lo scintillio di luce dell’anima. Ippocrate diceva che è la mente a far ammalare il corpo. Sì, tracciava addirittura dei profili comportamentali, dicendo ad esempio che le donne malinconiche erano più soggette ai tumori alla mammella. I greci avevano inteso perfettamente che la serenità dell’anima era la fonte principale della salute del corpo. Il cristianesimo va anche oltre l’idea della salute come frutto di una mente libera e giunge fino a dare senso al dolore. Il dolore, la morte sono eventi ineludibili della avventura umana: non possono essere cancellati, ma il Dio fatto uomo e morto sulla croce valorizza queste realtà crudeli nel nome dell’amore, del dono, della promessa. Spesso le grandi correnti spirituali hanno anticipato le scoperte scientifiche riguardanti l’uomo. Oggi l’endocrinologia studia le ghiandole ormonali, ma queste ghiandole si trovano in esatta corrispondenza con i centri vitali che gli Indù chiamavano “Chakra”. In perfetta corrispondenza. L’ipofisi, l’epifisi, la tiroide, il surrene, le gonadi rappresentano la controparte fisica di quei centri sottili che sono oggetto di meditazione in India. Del resto, ricorda Cartesio? …la ghiandola pineale? Cartesio aveva identificato nella ghiandola pineale il punto di contatto tra la res cogitans e la res extensa, tra mente e corpo; oggi noi sappiamo che questa ghiandola funziona un po’ come un antenna in relazione ai campi elettromagnetici, all’alternarsi della luce e dell’oscurità. La ghiandola pineale corrisponde al settimo chakra: quello della “corona”, alla sommità del capo. Oggi tutto un interessante filone di ricerca etnomedica ed etnofarmaceutica, sta recuperando le conoscenze intuitive della medicina indiana, cinese, tibetana. Tutte queste pratiche, misconosciute dal positivismo occidentale, pongono al centro del processo di guarigione la sog-
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gettività: ovvero la persona umana, che non può essere paragonata a una macchina, a un orologio e non può essere ridotta a determinismi genetici o a catene di stimolo-risposta. D’altra parte emergono posizioni che si potrebbero definire di conservatorismo illuminista, pensiamo a Odifreddi, o al gruppo di Piero Angela che combatte le sue facili battaglie contro i più rozzi truffatori. Essi si battono in nome di una razionalità che vedono gravemente minacciata. In realtà il loro è un filone ideologico, che ha poco a vedere con la scienza e soprattutto con il desiderio di una reale ricerca. La scienza si sviluppa storicamente e i suoi paradigmi sono transitori, non ha senso trasformarla in dogma. Oggi il filone scientista non solo è sterile, ma produce disperazione esistenziale. Per quanto riguarda Odifreddi è un ottimo esperto quando si parla di equazioni e numeri primi, ma quando legge i vangeli è risibile… Prendiamo il modo in cui uno scientista valuta i miracoli, tipo quelli che si sono verificati a Lourdes. Se proprio non può negare l’evidenza del fatto, liquida il fenomeno dicendo: si tratta di suggestione, di immaginazione. Ma rimane da capire cosa sia questa forza così profonda (“la suggestione”) che addirittura produce delle modificazioni in organismi che erano dati per spacciati. È sempre difficile capire il miracolo: va al di là della dimensione dell’ordinario e nell’ordinario rientrano anche i fenomeni della psicosomatica. Tuttavia il contributo della preghiera e della spiritualità alla guarigione è ormai acclarato: la ricerca scientifica ci dimostra che i pazienti che pregano e i pazienti per i quali si prega tendono ad avere un decorso postoperatorio statisticamente migliore. Interviene qualcosa che ha a che vedere con l’emozionalità e lo scambio d’amore e forse anche con la “risposta”che viene data a chi prega... Lei ha scritto più di un libro sugli animali; davvero crede che le milioni di specie viventi che oggi noi vediamo sulla terra siano il frutto di mescolanze casuali di molecole. Assolutamente no. Statisticamente, se tutto quello che va da un organismo unicellulare al cervello umano fosse avvenuto come intendeva Darwin sarebbe stato necessario un miliardo di miliardi di anni. Ma a parte questa considerazione, il processo evolutivo evidenzia chiaramente una intenzionalità e una direzione, che non hanno a che fare con la competizione darwiniana, ma con la cooperazione, con la capacità della vita di moltiplicarsi e di donarsi. Poi ci sono delle cose che non possono avvenire alla cieca: lo sviluppo di un’ala, di un occhio… Ritengo più certa la prospettiva evolutiva di Tehilard de Chardin che vede la storia naturale come un processo che dagli organismi unicellulari tende alla Noosfera, ovvero alla dimensione del pensiero umano e da questo al punto Omega (“Cristo”).Trascinata dall’Amore Divino.
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speciale bioetica no dei capitoli più belli del Vangelo di Matteo – e per chi ha fede, più entusiasmante – è il numero sei, quello delle “buone opere”. S’insegna, in quelle pagine, quale spirito occorre per vivere le espressioni di pietà personale (l’elemosina, il digiuno, la preghiera) e perché la Provvidenza, quindi, si manifesti. Con parole mirabili, si esorta l’umanità a non affannarsi nella vita quotidiana - «perché il domani avrà già le sue inquietudini” e “a ciascun giorno basta la sua pena» – e a cercare, invece, momento dopo momento, il Regno di Dio e la sua giustizia, attraverso la preghiera.
U
«Pregare è una gioia. – diceva Madre Teresa. La preghiera è la luce dell’amore di Dio, la preghiera è la speranza della felicità eterna, la preghiera è la fiamma ardente dell’amore di Dio per voi e per me. Preghiamo l’uno per l’altro, poiché questo è il modo migliore per amarsi». Il capitolo sei del Vangelo di Matteo propone la preghiera perfetta, come la chiamava Sant’Agostino, che contiene in poche parole tutto quel che l’uomo può chiedere a Dio – il Padre Nostro – e delinea i requisiti essenziali che danno efficacia alla preghiera del cristiano. Il primo di questi requisiti, è il tratto personale della preghiera, che integra, in maniera essenziale, la preghiera pubblica. È, questo, il dialogo intimo con Dio, nel chiuso della propria stanza o in solitudine dalla folla, come faceva Gesù. Oltre ad essere preghiera di lode perfetta al Padre, la preghiera solitaria di Gesù – descritta ed evocata moltissime volte nel Vangelo – è preghiera di domanda ed anche esemplare per il cristiano che intende, mentre compie le sua attività ordinarie, coltivare un suo rapporto filiale con Dio. Un dialogo, quello con Dio, che non ha bisogno in realtà di molte parole, «perché il Padre Vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate» (Mt., 6,8). A questo proposito, Madre Teresa, diceva: «Anche se non apro bocca, posso parlarvi con gli occhi per una mezz’ora buona. Guardandovi negli occhi posso dire se nel vostro cuore c’è pace oppure no. Ci sono persone che irradiano gioia e nei loro occhi si vede la purezza. Se vogliamo la calma della mente, osserviamo il silenzio degli occhi. Usate i vostri occhi per pregare meglio». Se si usano le parole, queste devono essere chiare e semplici, come quelle del-
Le scritture sono piene di esempi sulle risposte che arrivano a chi crede
La preghiera guarisce parola di Madre Teresa di Ernesto Capocci che chiede Gesù, quando dice «…chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato» (Lu, 18,9-14) o che vive, con la sua fede, il lebbroso (Mt, 8-2). La preghiera ha bisogno di convinzione. Come diceva San Giovanni Crisostomo, «quando manca la nostra cooperazione, anche l’aiuto di Dio viene meno»; quando, ad esempio, Pietro, per la violenza del vento, s’impaurisce e dubita di poter camminare sulle acque, chiede di salvarlo e Gesù lo apostrofa, dicendogli: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?» (Mt, 14,24-33). È ancora la parola di Matteo a raccontarci la forza che può avere la preghiera fatta con fede: «…se avrete fede pari a un granellino di senape, potrete dire a questo monte: spostati da qui e là, ed esso si sposterà, e niente vi sarà impossibile». In qualche modo, con la fede, si partecipa della stessa onnipotenza di Dio; in Gv, 14,12, Gesù infatti dice «Anche chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre». Il prodigio di “spostare i monti” accade ogni giorno, per chi ha fede, nella santificazione personale, che lo Spirito Santo realizza nell’anima umana con i sacramenti, dai quali si trae profitto, in misura maggiore o minore, proprio grazie alla fede, che fa ottenere tutto quel che si chiede.
Perché la preghiera sia autentica, è necessario che sia accompagnata alla continua lotta per adempiere la volontà di Dio; non basta dire “Signore, Signore (…)” (7, 21-23), occorre “dare mano all’opera”, come dice l’Enciclica Gaudium et Spes. L’efficacia della preghiera non conosce limiti. È lo stesso Gesù a dirlo, in un passo memorabile del Vangelo (Mt, 7, 7-11): «Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto. Chi tra di voi al figlio che gli chiede il pane darà una pietra? O se gli chiede un pesce, darà una serpe? Se voi dunque che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele domandano!». Spesso, però, la preghiera, per sua natura infallibile, non dà il risultato sperato e Sant’Agostino spiega che questo avviene perché si chiede “aut mali, aut male, aut mala”, perché si chiede senza fede, senza perseveranza, senza umiltà, perché si chiedono cose cattive, quello che è conveniente e che quindi può ar-
Affidarsi a un potere superiore scioglie i limiti del piccolo io umano la donna cananèa, che sa rivolgersi a Gesù, lei, presumibilmente pagana, in modo perfetto, dicendogli “Pietà di me, Signore, figlio di Davide” (Mt. 15,22) e mostra di saper perseverare nel suo dialogo – struggente e bellissimo – con Gesù, mantenendosi umile. La stessa umiltà che esprime il centurione romano, «…comanda con una parola e il mio servo sarà guarito» (Lu, 7,7) o quella
Creato
recare danno. Qualche anno prima di morire, Madre Teresa raccontò del “biglietto da visita”che donava ai tanti visitatori della Casa Madre di Calcutta. Quel biglietto diceva così: «Il frutto del silenzio è la preghiera, il frutto della preghiera è la fede, il frutto della fede è l’amore, il frutto dell’amore è il servizio, il frutto del servizio è la pace». Madre Teresa aggiungeva: «qualche vol-
ta mi chiedono di spiegarlo. Ma capite, tutto ha inizio con la preghiera che nasce nel silenzio dei nostri cuori». La Santa della Carità, conosceva bene quel che scriveva San Paolo nella Lettera ai Corinzi: «E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla».
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Tanti film raccontano che la vita vale più di una fredda diagnosi
Quando il cinema soccorre la fede di Fabio Melelli i sono film in cui la medicina non viene ridotta a mero dato razionale ma viene integrata dal sentimento, dall’umanità e dalla fede. Abituati a un’immagine ridanciana o consolatoria degli ambienti ospedalieri, in cui i medici vengono presentati come imbarazzati praticoni o sciamani infallibili, dimentichiamo che spesso la professione consacrata da Ippocrate non può abdicare a qualcosa che vada oltre la scienza propriamente detta. Come succede in
C
ni, Sacks/Sayer ingaggia la sua battaglia, affrontando lo scetticismo dei colleghi e l’ostracismo delle strutture, riguadagnando alla salute mentale (anche se temporaneamente) il cinquantenne Leonard, un ottimo ancorché enfatico Robert De Niro, vittima di una disabilizzante epidemia.
E un’altra storia vera è quella racontata ne L’olio di Lorenzo, un film del 1992 diretto da George Miller con Nick Nolte e Susan Sarandon nei panni dei
Anche Hollywood ha aiutato ad allontanare i verdetti asettici della medicina un ormai lontano film di Penny Marshall del 1990, Risvegli, storia vera di un medico, Oliver Sacks (ma nel film si chiama Sayer), interpretato da Robin Williams, che sperimentando un farmaco rivoluzionario riporta letteralmente alla vita alcuni pazienti caduti in una sorta di profondo coma intellettivo, simile allo stato vegetativo. Contro il parere delle istituzio-
coniugi Odone, genitori del piccolo Lorenzo, un bambino affetto dalla sindrome di O’Malley Greenburg, una malattia mortale che non lascia scampo. Per tutta la pellicola assistiamo ai tentativi dei genitori di salvare il piccolo, ricorrendo a ogni espediente, rifiutandosi di accettare il verdetto asettico della scienza, convinti che la vita umana valga più di una fredda
diagnosi: li muove la fede e il sentimento, che alla fine risultano più forti della diffidenza e della commiserazione che respirano intorno a loro. E in una strana mistura, a base di olio di colza e olio di oliva trovano un efficace (sebbene relativo) rimedio alla rara patologia. Anche un grande del cinema come Martin Scorsese affronta di petto l’argomento nel crudo e spietato Al di là della vita, film del 1999 che vede Nicholas Cage nel ruolo di un paramedico che gira di notte con l’ambulanza la città di New York, scontrandosi con i fantasmi di una metropoli agonizzante, in cui dominano il vizio e la perdizione, tanto che la sua diventa quasi una missione “salvifica”. Ma a doversi salvare è prima di tutto lui, tormentato dai sensi di colpa per non essere riuscito a strappare alla morte una ragazza. La New York di Scorsese assomiglia alla terra dei morti viventi di Romero, ormai ridotta a simulacro di realtà urbana, vero e proprio inferno urbano in cui latitano la carità cristiana e i valori essenziali di ogni civile convivenza. La connesione religiosa non è certo azzardata, tanto che in una delle ultime immagini, Cage viene tenuto tra le braccia di Patricia Ar-
In alto una scena di Risvegli, film con Robin Williams e Robert De Niro Sopra un’immagine dalla locandina di Parla con lei di Pedro Almodovar quette in una posa che rimanda direttamente alla Pietà di Michelangelo, autorizzando la lettura “cristologica”della pellicola. Tutti i temi abituali di Scorsese sono presenti in un film amaro e disilluso, in cui c’è poco spazio per il tipico ottimismo di stampo americano, prova del fatto che ogni tanto anche a Hollywood è possibile riflettere sul senso profondo della vita senza ricorrere alla melassa o all’ovvio. In Parla con lei di Pedro Almodovar, uscito nel 2002, è l’umanità di un infermiere, Benigno, a sottrarre dal coma la ballerina Alicia, accudita con amore e trasporto, fino al prodigioso e miracoloso risveglio. Risveglio che ha qualcosa di “magico”, non essendo altrimenti comprensibile.
D’altra parte Almodovar come già il suo riconosciuto maestro Bunuel non è certo impermeabile al sentimento religioso, dietro la conclamata, e perciò stesso sospetta, professione di ateismo. E a proposito di ”risvegli” poco convenzionali, arrivando a tempi a noi più vicini, è opportuno ricordare quello di Edith Piaf ne La vie en rose di
Olivier Dahan, pomposa e sfavillante biopic sospesa tra retorica e folclore, in cui la cantante, interpretata con perfetta aderenza fisica dalla brava Marion Cotillard, torna alla vista grazie all’intercessione di una santa, Teresa di Lisieux, dopo essere caduta in cecità.
E tutta la vita dell’artista francese sembra toccata da qualcosa di soprannaturale, da una singolare forma di grazia, difficlmente interpretabile con i canoni del corrente razionalismo. Chiudiamo questa breve carrellata con un intressante film di genere del 2005, The Exorcism of Emily Rose, robusto horror non privo di originalità, nel quale si narra di una giovane sventurata cui viene diagnosticata una forte forma di epilessia. In realtà la poveretta, che viene curata con massice dosi di farmaci, è posseduta dal demonio e solo un prete, Padre Moore, sembra in grado di salvarla. Il film ci lascia con il dubbio che la scienza possa dare una spiegazione plausibile a ogni fenomeno che cade sotto i nostri occhi: qualche volta la semplice ragione non è sufficente per leggere a fondo la realtà.
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cultura
Il protagonista del romanzo di Ottavio Jemma è ossessionato dall’ombra dell’attore americano
Ora è Woody Allen lo psicanalista di Massimo Tosti Ottavo Jemma con ”L’ombra di Woody” è al suo esordio come romanziere, ma, nella sua lunga carriera, ha firmato moltissime sceneggiature per il cinema e la televisone
apete come funziona la psicanalisi: è una specie di filiera, nella quale l’analista – per diventare tale – deve sottoporsi (per un tempo piuttosto lungo) all’analisi. Per conquistarsi la poltrona del medico occorre stendersi prima sul divano del paziente. Come se un ortopedico, prima di ottenere la specializzazione, dovesse necessariamente rompersi una gamba, o un braccio. È piuttosto normale, dunque, immaginare che un attore in crisi esistenziale (riscuote grande successo, ma è incatenato a un personaggio comico di bassa lega) si rivolga – nel subcosciente, si capisce – a Woody Allen, uno che di psicanalisi se ne intende più di Freud, di Jung e di Reich messi insieme.
S
È quel che capita a Roberto Speranza, protagonista di un romanzo di Ottavio Jemma, che s’intitola appunto L’ombra di Woody (L’Autore Libri Firenze, 140 pagine, 11,30 euro). È il primo romanzo di Jemma, che non è davvero uno scrittore alle prime armi: nell’arco di una quarantina di anni ha firmato una quantità industriale di sceneggiature per il cinema e la televisione.Tre anni fa ha pubblicato un saggio sul cinema, intitolato Sunset boulevard, come il celebre film di Billy Wilder, con Gloria Swanson, William Holden ed Erich von Stroheim: il titolo svelava il pensiero di Jemma, convinto che – salvo miracoli improbabili – il cinema italiano sia avviato sul viale del tramonto, esattamente come la Swanson in quella pellicola di quasi sessant’anni fa. Anche L’ombra di Woody rivela le passioni (e le delusioni) dell’autore. Le passioni sono condensate nella
miriade di citazioni dei film che maggiormente ama (quelli di Allen, in primo luogo, e quelli americani più in generale) e le delusioni sono descritte attraverso i personaggi che contornano il protagonista: produttori cafoni e ignoranti, sceneggiatori a gettone, addetti stampa avidi e imbroglioni, giornalisti superficiali e canaglie. Insieme con i personaggi immaginari ci sono anche i registi e gli attori degli anni Ottanta, l’epoca nella quale è (presumibilmente) ambientato il romanzo. C’è per esempio – ed è casuale che il libro sia uscito pochi giorni dopo la sua morte – un cameo di Dino Risi, che fa un provino per un nuovo film a Roberto Speranza. Per inciso, il nome è la traduzione letterale di Bob Hope, il comico che gli americani amarono di più nel secolo scorso. Roberto è ricco, famoso e infelice, perché condannato a ripetere all’infinito il personaggio comico di Tontolini. La gente, ormai, lo chiama Tontolini, e non con il suo nome e cognome. La gente lo ama, gli intellettuali lo disprezzano (è accaduto così anche per Franchi e Ingrassia, e persino per Totò). Sarebbe difficile per chiunque convivere con una parte di se stesso che non si ama. Bela Lugosi – dopo aver interpretato più volte sullo schermo il ruolo di Dracula – «finì per credere di esserlo davvero. Si presentava nei salotti indossando il pipistrello e dichiarando di essere il conte Dracula; rilasciava intervi-
ste sdraiato in una bara…». Divenne morfinomane, e impazzì. Fu sepolto con il costume di scena, nel rispetto delle sue ultime volontà
Roberto-Tontolini è perseguitato dall’ombra di Woody Allen (che si costruisce da solo, per cercare un equilibrio). Con Woody discute e si confronta, gli chiede consigli e suggerimenti, ma lo trova piuttosto scettico sull’efficacia della psicanalisi, tentato dall’idea di convertirsi al cattolicesimo “per ridurre le spese”, ricorrendo al confessore che «è praticamente la stessa cosa e non ti costa niente; in più ti dà anche l’assoluzione e qualche consiglio. Accetta l’assoluzione e rifiuta il consiglio.Tanto il risultato è il medesimo: resti con i tuoi problemi”. Quarant’anni fa l’attore e regista americano, presentando il suo primo libro (Getting even, tradotto in italiano Saperla lunga) spiegò di avere un solo rimpianto nella vita: “non essere qualcun altro”. È la stessa sindrome di Tontolini. Ed è forse (sia detto affettuosamente) il problema anche di Jemma, che fatica a riconoscersi nel cinema di oggi e nella tv di oggi. Uno che ha passato una vita a spremersi le meningi (con indiscutibile successo, peraltro) per sfornare sceneggiature e copioni di qualità, prova un plausibile imbarazzo assistendo alla trasformazione (o degenerazione?) dello spettacolo. «Per noi che lo
Roberto Speranza, prigioniero del suo personaggio Tontolini, cerca di liberarsene grazie a un rapporto immaginario
spettacolo lo facciamo come professione - fa dire al suo protagonista - questa dilagante invasione di volti, di voci, di gesti anonimi che affolla schermi e pagine è diventata una concorrenza pericolosa, sleale e logorante. Per restare a galla nell’attenzione generale siamo angosciosamente costretti a incrementare massicciamente, ossessivamente, ogni opportunità di apparire. Oggi, più si appare e più si ha. Siamo schiavi dell’auditel, della citazione, dell’intervista, dell’invito a partecipare a questa o quella trasmissione. E se si riesce a conquistare uno spazio sempre più grande e frequente nella radio o in televisione, esso vale più potere di quanto ne offrissero un secolo fa la proprietà di un giornale o il possesso del pacchetto azionario di controllo di una grande industria. I mass media hanno la facoltà di imporre chiunque e qualunque cosa: persino un vero artista, una vera opera d’arte. Ma – osserva il nostro saggio autore - quasi sempre preferiscono evitarlo».
Sono considerazioni che riguardano tutti. Non solo Tontolini, che cerca di risolvere il suo problema con un’idea che non vi riveliamo, per non privarvi del gusto di sapere come andrà a finire. Non che sia un thriller: è “soltanto” un bel romanzo che vale la pena di leggere fino in fondo, gustandolo in poltrona come un buon bicchiere di sherry (avrebbe scritto uno degli scrittori, o degli sceneggiatori, che piacciono a Jemma).
sport l ritorno di Marcello Lippi alla guida della Nazionale di calcio è stato salutato con un peana di consensi, in particolare di tutto quel circuito mediatico sportivo che non tollerava la serietà e l’asciuttezza di Donadoni, un commissario tecnico arrivato quasi per caso, senza il coinvolgimento di tutto quel circo, più o meno autorevole, che ruota intorno al gioco più amato e seguito. Eppure il “salvatore” Lippi aveva dovuto difendere la sua panchina a suon di soli risultati: sembra passato un secolo, ma alla vigilia dell’avventura mondiale del 2006 proprio la nazionale era immersa nella bufera di Calciopoli. E lo stesso allenatore era considerato un precario di lusso, che anzi in molti volevano cacciare con disdoro (a cominciare dalla ministra dello Sport, Giovanna Melandri, poi prontissima a saltare cinguettante sul carro dell’inatteso vincitore).
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ternazionali una messe di medaglie pregiate mai raggiunte in un secolo. Con la stessa struttura a rete il nuoto si avvia con fiducia all’appuntamento di Pechino.
I
Quel successo di allora contro tutto e contro tutti, con la struttura della federazione in crisi di credibilità e commissariata, non ha però fatto riflettere sulla natura sostanziale del nostro miglior carattere: e cioè che, quando crollano gli apparati e le incrostazioni anche di potere, il “genio” italiano riesce improvvisamente a dare il meglio di sé, dal traendo profondo energie, determinazioni e creatività riposte sufficienti a portare a compimento, facendo gruppo e comunità, imprese apparentemente impossibili.
Paradossi. I migliori risultati con le federazioni commissariate
Vinciamo solo quando non c’è governo di Giuseppe Baiocchi
Con Silvio Berlusconi presidente del Consiglio l’Italia non ha vinto mai, non va meglio al basket da quando il segretario del Pd, Walter Veltroni, è presidente onorario della pallacanestro
Che il modello “meno Stato e apparato e più comunità e società” sia non solo vincente nel mondo ma particolarmente consentaneo alla natura peculiare e originaria del Paese non è una scoperta che si può fare qui. Molto se ne è già parlato e tuttavia troppi anni sono passati perché le “iniezioni di più società” in ogni campo riescano ad imporsi contro spaventose resistenze corporative, burocratiche e soprattutto culturali. E’ comunque significativo che addiritlo sport, tura mestraordinaria tafora della vita, ne offra in continuazione esempi in-
contestabili, con la forza inequivocabile dei risultati conseguiti. Infatti a questo proposito il calcio non è per nulla un caso isolato: ecco qualche altro esem-
pio di sport diversissimi tra di loro. A metà degli anni Novanta la Federazione del Nuoto, che stava negli uffici del Foro Italico, venne sconvolta da brutte storie di corruzione e praticamente chiusa. Nel vuoto di potere e di apparato emersero naturalmente le società presenti sul territorio, con dirigenti e tecnici motivati e preparati. Ed è dal silenzioso lavoro dal basso che sono poi arrivate, senza più la cappa centralistica e dirigista, nuove generazioni di allenatori e di atleti che portarono in particolare alle Olimpiadi e nelle altre grandi manifestazioni inIn alto Giovanna Melandri e Guido Rossi e a destra Lippi festeggiano la vittoria del mondiale 2006; a sinistra Roberto Donandoni
Altro esempio: lo sci alpino che è arrivato al disastro agonistico alle recenti Olimpiadi invernali di Torino. Anche lì c’era stato un accentramento dirigista favorito dalla mentalità di una grande casa che a Torino è di casa. Una volta che, passata l’occasione della vetrina, e con una Federazione in perenne astinenza finanziaria, sono stati lasciati più liberi i comitati e le società locali e i corpi militari che nello sport hanno investito con intelligenza e onestà, sono riemersi al podio e alle vittorie in Coppa del Mondo atleti che sembravano condannati soltanto a dignitose mediocrità. Si potrebbe continuare a lungo: e tuttavia lo sport, che rappresenta comunque un importante biglietto da visita di un Paese, sembra aver più che mai bisogno di essere aiutato da lontano: senza apparati e sovrastrutture che portano fatalmente con se uno strano circuito di mediatori e opinionisti, di parassiti e chiacchieroni che ne zavorrano il lavoro, l’applicazione e spesso i traguardi. E soprattutto di sfuggire a quella bassa politica che non sa sottrarsi alla tentazione di “mettere il cappello” sulle imprese riuscite. Perché alla fine va sempre male, per gli sportivi e per l’Italia. Fa bene a questo riguardo la “Velina Rossa”a far maliziosamente notare che con Berlusconi a Palazzo Chigi la nazionale è stata presto eliminata sia ai Mondiali del 2002 che agli Europei del 2004 e del 2008. Potrebbe però, per semplice completezza d’informazione che, da quando Walter Veltroni è presidente onorario della Federazione di Pallacanestro, il basket italiano non è mai andato così male: per la prima volta, dopo quattro decenni, né il mabasket schile né quello femminile sono riusciti a qualificarsi per le imminenti Olimpiadi di Pechino.
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società
Tribù estive. Usi e costumi del variegato mondo che segue i concerti. E quest’anno i protagonisti sono i vecchi gruppi
Rock amarcord di Alfonso Francia
estate è la stagione più amata dal bravo cittadino italiano fin dall’invenzione delle ferie pagate e delle villeggiature al mare o in montagna, ma per gli appassionati di musica rock è qualcosa di più. Per loro l’estate è una categoria dello spirito, il tempo in cui sfogare in due-tre giorni intensi tutta la passione musicale coltivata durante i lunghi mesi di ascolti invernali. È nel periodo che va dalla metà di giugno alla fine di agosto che l’Europa si popola di decine di festival rock più o meno importanti, piccole Woodstock durante le quali sarà possibile trascorrere ore e ore davanti a un palco dove si avvicendano decine di gruppi. I frequentatori di questi happening devono attenersi ad alcune regole di comportamento per godere di un’esperienza davvero piacevole. Vediamo di scoprirle.
L’
Chi parte per affrontare 72 ore o più di musica ininterrotta sa che la vicinanza costante e gli inevitabili contatti di alcune decine, se non centinaia di migliaia di corpi che grondano sudore, costretti a convivere all’aperto con temperature che spesso superano i 30 gradi, rappresentano una grande sfida ai tradizionali canoni dell’igiene personale. I festival meglio organizzati offrono campeggi dotati di docce, bagni attrezzati e piccoli negozi, ma nel corso dei concerti allontanarsi dalla propria postazione, magari conquistata dopo ore di attesa sotto il sole battente, sarebbe una vera resa. Per questo gli zainetti dei fan dovranno contenere numerose bottiglie d’acqua, utili non solo a dissetarsi ma anche a darsi una veloce rinfrescata. Non sarà rilassante come la doccia di casa propria ma ci si può accontentare. Più facile risolvere il problema del cibo: gli amanti della cucina mediterranea e i fondamentalista di quella ipocalorica però restino a casa, perché la dieta del fan durante queste epiche giornate è composta esclusivamente da panini. Intendiamoci, non di panini semplici, ma di quegli insuperabili concentrati di grassi saturi venduti ai chioschi ambulanti, attratti come mosche da queste manifestazioni. Il cliente può scegliere tra ripieni a base di insaccati alla griglia, hamburger e porchetta; starà poi al suo fegato (da intendersi sia nel senso di
virtù del coraggio che in quello di organo) decidere se arricchire il sandwich con salse o verdure sott’olio. Il pasto viene in genere accompagnato dalla immancabile birra: consigliamo vivamente di sceglierne una in bottiglia, perché quella alla spina è allungata in maniera inverosimile e spesso ha un sapore non dissimile dal panino appena descritto. Una menzione meritano però gli individui che gestiscono questi chioschi. Esistono tre tipologie di appalto: la conduzione familiare, il ricorso lavoratori stranieri e alle ragazze attira-clienti. Nel primo caso siamo di fronte a una famiglia composta da tre o quattro persone. Il padre si trova invariabilmente a sudare davanti alla griglia delle salsicce, resistendo stoicamente davanti a una fonte di calore che, unita agli effluvi provenienti dalla carne sfrigolante, potrebbe causare danni permanenti. La sua struttura corporea è invariabilmente massiccia, tendente a una pinguedine stabile ma dall’apparenza sana. La consorte controlla solitamente la cassa, intrattiene i clienti e si dimostra profonda conoscitrice della musica
Migliaia di corpi che grondano sudore, costretti a convivere all’aperto con temperature che spesso superano i 30 gradi, rappresentano una grande sfida di resistenza fisica sotto il logo di Woodstock; a destra: in basso Amy Winehouse e in alto i Sex Pistols re dalla terribile realtà di chi intorno alla musica, come loro, ci lavora. Nel caso dei lavoratori stranieri ci si trova di fronte a professionisti estremamente precisi e affidabili. Non sbagliano mai ordinazioni e non tentano di alzare i prezzi, ma la loro capacità di conversazione è pari a zero. Si trovassero in una catena di montaggio nessuno noterebbe la differenza. Se dovete invece affidarvi a delle belle fanciulle, ricordate che loro non si trovano lì per le loro competenze professionali…
passato tutta la giornata ad ascoltarne dai palchi dei concerti, ma il senso di questi appuntamenti è proprio qui: se ami la musica tanto da accettare di stare relegato in un prato fangoso per tre o quattro giorni, non puoi vivere senza.
Risolte le questioni vitali, bisogna riflettere sull’abbigliamento. Lo stile ricercato o complesso, di qualunque genere esso sia, è vivamente sconsigliato. Per resistere ore e ore in piedi sotto un palco serve un vestiario semplice, che
Magliette ricordo dell’evento o quelle storiche con il logo del gruppo, scarpe comode, zainetto con acqua e panini: è questo il look tipico dei fan che si accalcano per ore a seguire i loro idoli Queste manifestazioni dispongono
in cartellone, anche se potrebbe avere l’età delle vostre vecchie zie che confondono i Franz Ferdinand con l’arciduca Francesco Ferdinando. Dall’aria affabilissima, questa signora va tenuta d’occhio perché, impegnata com’è a discorrere, spesso si confonde nel battere i numeri sul registratore di cassa e presenta scontrini involontariamente gonfiati. Il figlio o i figli della coppia si dividono tra il banco delle bibite, la consegna delle patatine fritte e il posto guida del furgoncino, dove tanto per cambiare ascoltano lo stereo per fuggi-
spesso di ampie zone per campeggiare: le regole vigenti per il pernottamento sono però molto diverse da quelle vigenti nei camping normali. Se ad esempio normalmente è vietato fare chiasso di notte strimpellando le chitarre, alla ricerca di una versione decente di qualche canzone di Battisti, in questi “campeggi rock” per ogni tenda devono esserci almeno tre o quattro strumenti musicali. Chitarre, bonghi, ukulele e persino apparecchi percussivi costruiti sul momento sono indispensabili per trascorrere le ultime ore notturne in attesa dell’alba, quando ogni buon campeggiatore si sente finalmente autorizzato ad andare a dormire. Può sembrare strano che queste persone sentano il bisogno di produrre musica dopo avere
mantenga però dei caratteri identitari. Per andare sul sicuro si può optare per l’abbinamento, sempre uguale dalla fine degli anni ’70, che prevede scarpe Converse, jeans e t-shirt del gruppo di riferimento. Le magliette con il logo e la foto del gruppo sono migliaia, alcune appesantite da scritte e riferimenti al tour in corso, altre più semplici e ormai leggendarie, come la banana gigante di Andy Wharol che fa bella mostra di sé nel primo album dei Velvet Underground, il logo dei Ramones o la linguaccia dei Rolling Stones. In ogni caso, una maglietta così è obbligatoria in queste occasioni; se non ne indossate una farete la figura degli inguaribili snob, categoria affine a quella dei critici musicali che ai concerti sono trattati come appestati. Non possiamo però fingere di dimenti-
società
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Tutti i concerti dell’estate
Sex Pistols e dintorni Glanstonbury Glanstonbury, Bristol (Inghilterra) 27-29 giugno 200 concerti: Verve, Amy Winehouse, Leonard Cohen, Manu Chao, Racounters, Editors, James Blunt Gods of metal Bologna 27-29 giugno Iron Maiden, Judas Priest, Yngwie Malmsteen, Slayer, Carcass, Meshuggah, At the gates, The Dillinger Escape Plan Roskilde Festival Roskilde (Danimarca) 3-6 luglio 175 concerti: Radiohead, Chemical Brothers, Neil Young, Grinderman, My Bloody Valentine, Slayer, Motorpsycho, Hellacopters
care che in questi posti, forse in memoria delle stagioni psichedeliche che fecero da scenario ai primi grandi festival, circola una grande offerta di prodotti stupefacenti. Le droghe disponibili variano lievemente a seconda del genere di happening, ma in genere è possibile trovare di tutto. Ci sentiamo, se ce ne fosse bisogno, di sconsigliare fortemente questo genere di acquisti. Se ingerite, certe sostanza potrebbero farvi perdere quello per cui vi siete imbarcati nella vostra impresa, la musica. Di ritorno a casa avrete collezionato un’infinità di malesseri fisici e forse anche qualche bella sensazione, ma difficilmente ricorderete cosa è stato suonato e da chi. Inoltre questi appuntamenti sono delle vere e proprie sagre della truffa. Forse storditi dall’ambiente, i malcapitati acquirenti credono di comprare prodotti che diano “buone vibrazioni”ma si ritrovano con camomilla condensata, dentifrici secchi e pastiglie per il mal di gola.
La filosofia dei festival pone poi un problema che non si presenta quando si assiste a concerti di un solo gruppo o artista: la pacifica convivenza tra appassionati con ideologie musicali opposte. A parte le manifestazioni settoriali, che ospitano un solo genere di musica, come il Gods of Metal che si tiene a Bologna, i festival sono un pot-pourri di gruppi, tendenze, scene musicali senza alcuna connessione tra loro. Queste offerte musicali pantagrueliche ma schizofreniche possono creare spiacevoli incidenti quando si esibiscono, uno dopo l’altro, gruppi che contano su audien-
ce differenti. Pur essendo quello degli appassionati di musica un mondo tendenzialmente tollerante, non sono rari i casi in cui le divergenze musicali sfociano in risse da stadio. Alcuni ammetterebbero più facilmente di veder offesa la loro ragazza piuttosto che il loro cantante preferito. Le cose non vanno meglio quando la platea è omogenea ma non gradisce alcuni degli artisti presenti. Ne sanno qualcosa quelli che nel corso degli anni si sono esibiti all’Heineken Jammin’ Festival prima di Vasco Rossi. La quasi totalità degli spettatori in quelle serate era fan del rocker nostrano, e tributò agli altri gruppi accoglienze che variavano dal lancio di pezzi di anguria nel migliore dei casi a quello di bottiglie (piene) di birra nei peggiori. È quindi consigliabile armarsi di pazienza e non manifestare eccessivo entusiasmo o al contrario fastidio esagerato per la musica suonata da chi si sta esibendo. Potreste avere accanto a voi il fondatore di un suo fan club.
Venendo al vero motivo per il quale dovreste essere lì, cioè la musica, è bene scegliere con
attenzione il vostro festival ideale. Se amate le novità e le facce nuove, potete cominciare a prenotare le vostre ferie al mare. Quest’anno l’età media degli artisti più acclamati va ben oltre la soglia pensione prevista in Italia anche dopo le tante riforme degli ultimi governi. Oltre agli ultra cinquantenni Sex Pistols si segnalano in giro per l’Europa Iggy Pop (60 anni ben portati), Neil Young, Siouxsie e il canadese Leonard Cohen, classe 1934. Il clima passatista è rafforzato da una serie di reunion che coinvolgono gruppi entrati da tempo nei manuali di storia del rock; i Police di Sting, i My Bloody Valentine (fondatori alla fine degli anni ‘80 del fenomeno shoegazing, che letteralmente significa “suonare guardandosi le scarpe”), gli stessi Sex Pistols. Insomma, nel mercato dei grandi festival rock è meglio puntare sull’usato sicuro: spesso gli appassionati comprano i biglietti mesi prima, quando ancora non sono stati definiti gli artisti in cartellone, ed è meglio non deludere chi ha sborsato 200 euro per vedere tutti i concerti in programma. Perché è vero che l’importante è esserci, ma anche la musica ha diritto alla sua parte.
Metarock Festival Pisa 5-6 luglio Rita Marley, Cristina Donà, Siouxsie, Yossou N’Dour, Lilith and the Sinnersaints, Marcia Griffith, Yo la tengo Traffic Torino 8-12 luglio Wire, Sex Pistols, Tricky, Patti Smith, Afterhours, Massimo Volume Italia wave Livorno 16-19 luglio Chemical Brothers, Verve, Elio e le storie tese, Freshly ground Fib Benicassim Benicassim, Valencia (Spagna) 17-20 luglio Sigur Ros, My Bloody Valentine, Babyshambles, Tricky, Racounters, Morrissey, Leonard Cohen, Siouxsie Neapolis Festival Napoli 23-24 luglio Massive Attack, Rem, Almamegretta, Elio e le Storie Tese, Editors, Baustelle, Bluvertigo Sziget festival Budapest (Ungheria) 12-18 agosto Rem, Sex Pistols, Alanis Morrissette, Babyshambles, Kaiser Chiefs, Iron Maiden, Jamiroquai Carling weekend Reading e Leeds, Inghilterra 22-24 agosto Racounters, Queens of the stone age, Bloc Party, Slipknot, Metallica, Rage against the machine, Killers
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LA DOMANDA DEL GIORNO
Ha fatto bene Berlusconi a rinunciare a Matrix? BERLUSCONI HA FATTO BENE A RIFIUTARE, PARTECIPARE A MATRIX POTEVA ESSERE RISCHIOSO
PECCATO, IL PREMIER HA PREFERITO TUTELARSI INVECE DI SPIEGARE LE SUE SCELTE AGLI ITALIANI
Certo che il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha fatto bene a rinunciare a Matrix. Diciamo anche che questa è proprio la decisione più sensata che potesse prendere in merito, visto che partecipare avrebbe portato l’intero governo a dover rispondere di cose piuttosto frivole e di basso profilo. I giornali hanno risportato la nota in cui il premier ha spiegato tutte le motivazioni che lo hanno condotto a rinunciare all’intervento nella trasmissione di Enrico Mentana, e devo dire che alla fine le condivido in pieno. Proprio perché è assoltamente vero che «il governo ha lavorato tanto e benissimo in questi primi due mesi di attività. Non mi pare opportuno e producente - ha sottolineato infatti il premier - intervenire sui temi proposti da Matrix (giustizia e intercettazioni) che farebbero passare in secondo piano le tante cose realizzate dal governo per cedere il passo ad argomenti e gossip negativi che inquinano ed ammorbano il dibattito politico e parapolitico di questi giorni, deviando l’attenzione del Paese dai problemi concreti e dai risultati dell’azione di governo». Cos’altro aggiungere?
Da grande mi piacerebbe fare la giornalista. E se riuscissi a fare la giornalista proprio nel bel mezzo di un caso nazionale come quello delle intercettazioni che ha coinvolto anche il nostro attuale presidente del Consiglio... beh, mi piacerebbe davvero poterlo avere come ospite nella mia trasmissione. Capisco dunque benissimo i commenti al rifiuto di Belrusconi di partecipare a Matrix che il giornalista Mentana ha divulgato in una nota pubblicata dai giornali. Infatti è proprio un «vero peccato un’occasione perduta». Ma comunque è anche vero che sarebbe stata peggiore «un’occasione onorata solo a metà». Spiega infatti, giustamente, Mentana: «Sarebbe stato giornalisticamente inconcepibile un incontro con il Presidente del Consiglio, da tempo assente dalla televisione, senza che venissero affrontate le questioni che campeggiano sulle prime pagine dei giornali e che sono sulla bocca di tutti in questo periodo. Per questo avevo prospettato un’intervista a tutto campo che comprendesse i temi della giustizia, delle intercettazioni, del ”blocca-processi”, dello scontro con i magistrati, della vicenda Mills, al caso Saccà». Berlusconi ha semplicemente detto: «Non mi conviene». E ha chiuso con una battuta: «È stato il regalo di compleanno a Veltroni». Peccato. Poteva essere una bella occasione davvero.
Corrado Tomassi - Asti
LA DOMANDA DI DOMANI
Il caro prezzi vi farà rinunciare alle vacanze? Rispondete con una email a lettere@liberal.it
Danila Peronace - Roma
LA CONDUZIONE DI ENRICO MENTANA ERA UNA GARANZIA DI PROFESSIONALITÀ Non credo che Berlusconi abbia fatto bene a rinunciare a Matrix. È vero che il rischio di scadere nel gossip di basso profilo (come se ne esistesse uno di alto profilo poi) c’era eccome, ma il nostro presidente del Consiglio penso abbia sprecato l’occasione di poter spiegare agli italiani anche altre scelte, ben più più importanti rispetto a quelle di attricette e starlette da raccomandare in giro qua e là. Credo inoltre che la conduzione di Mentana potesse anche essere una garanzia di trasparenza e professionalità. Lo aspetteremo ancora.
IL VALORE DELLA COSTITUENTE DI CENTRO La Costituente di Centro, varata a Roma a livello nazionale dai leader dei rispettivi movimenti, che attualmente compongono l’Unione di Centro, è certamente un dato incontrovertibile. Essa non solo deve rappresentare l’inizio di questo nuovo percorso ma certamente quello che di più ci unisce in questo momento, al di là di ciò che ci divide. Sui territori la Costituente nazionale, purtroppo, subisce delle interpretazioni diverse o perlomeno ad uso e consumo a seconda di chi le riporta. Il rischio e il danno maggiore che potremmo infliggere a questa iniziativa, fortemente sentita e voluta dai leader nazionali dei rispettivi schieramenti dei moderati italiani, è proprio quello di non spiegarla bene a chi in periferia sente di condividere e partecipare alla costruzione di un unico grande soggetto politico moderato, democratico e liberale. Oggi più che mai questa iniziativa ha la necessità e il bisogno di essere accompagnata con onestà intellettuale, mettendo da parte le proprie singole aspirazioni ed aspettative. Il progetto della Costituente di Centro non è un’idea che vuole promuovere fazioni o alimen-
QUESTIONE DI LIFTING
Questo buffo faccione appartiene all’anfibio più “grinzoso” che ci sia: la rana peruviana del Lago Titicaca. Non è un caso se la natura l’abbia dotata di una serie infinita di pieghe cutanee, visto che la rana assorbe la maggior parte dell’ossigeno proprio dalla pelle
LA SABBIA E IL SALICE DI OSCAR LUIGI SCALFARO Ci sentiamo le lagrime agli occhi. Oggi come in passato, il pensiero di Oscar Luigi Scalfaro sui magistrati di sinistra che inquisiscono Silvio Berlusconi da tre lustri è prodotto dalla sola composizione di sabbia e silice. E’ chiaro e trasparente. Proprio come il vetro. Grato dell’attenzione. Distinti saluti.
Pierpaolo Vezzani Correggio (Re)
L’ESTATE? IN COMPAGNIA DI MOCCIA E DI BATTIATO Vorrei rispondere alla vostra domanda di due giorni fa. Anzi alle ultime due. Il libro al quale proprio non rinuncerei mai (in spiaggia come altrove, d’estate come d’inverno) è proprio un libro che un vostro lettore ha
dai circoli liberal Greta Gatti - Milano
tare ulteriori personalismi. È un’iniziativa per il Paese che rappresenta oggi, non solo l’unica novità dello scenario politico degli ultimi anni, ma anche la sola in grado di poter rimettere al centro l’uomo e i suoi valori. Ridare insomma la possibilità a questo Paese di poter tornare a parlare di politica e non di pettegolezzi. Rilanciare il confronto, casomai anche duro, serrato, ma nelle aule parlamentari e non in quelle dei tribunali. Dare la possibilità attraverso un sistema elettorale veramente rappresentativo, indicare da chi e in che modo si vuole essere governati. Questo dovrebbe essere il lievito del ragionamento all’interno e all’esterno della Costituente. Perlomeno a noi giovani altre discussioni non interessano e se qualcuno ha voglia di alimentarle o di continuare a crearne delle nuove, può andarlo a fare comodamente da qualche altra parte, ma non tenga in ostaggio un’iniziativa che la stragrande maggioranza del popolo dei moderarti italiani vuole che nasca subito. Vincenzo Inverso SEGRETARIO ORGANIZZATIVO CIRCOLI LIBERAL
sbeffeggiato: Scusa, ma ti chiamo amore di Federico Moccia. E’ romantico ma non smielato, avvincente ma non ”poco credibile” come tanti altri in circolazione. Un libro che può essere letto davvero a tutte le età, perché affronta temi cari ai giovanissimi come ai trentenni e quarantenni. La mia colonna sonora dell’estate invece si chiama Franco Battiato. Possibilmente l’opera omnia di Franco Battiato. E’ lui l’unico, vero e completo cantautore italiano. Non il ”cantore del luogo comune”Ligabue, non la camaleontica (ma da quanto si trasforma ormai?) Madonna, né i vezzosissimi Negramaro. Per il resto, soltanto musica cafonal-chiassosa da balera di quart’ordine. Cordialmente ringrazio per l’attenzione.
Antonella Lalli - Roma
COMUNICAZIONE PER I CIRCOLI LIBERAL TODI - VENERDÌ 25 LUGLIO 2008 - ORE 11 Prossima riunione dei presidenti e dei coordinatori regionali liberal all’Hotel Bramante di Todi. A seguire, l’inizio dei lavori del seminario Vincenzo Inverso segretario organizzativo circoli liberal
APPUNTAMENTI SEMINARIO DI TODI - VENERDÌ 25 E SABATO 26 LUGLIO 2008 Seminario, ore 15.00, Hotel Bramante, in via Orvietana 48 I lavori del seminario, che vedrà la partecipazione tra gli altri di Casini, Cesa, Buttiglione, Vietti, Volontè, avranno inizio il venerdì a partire dalle ore 12.00 e si chiuderanno per le 14.00 di sabato
opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog Il pieno proporzionale al vuoto Sai, quando mi hai detto di pensare a te, mi sono vergognata di pensare a te cosi tanto, di pensare solo a te è troppo forse. Devo dirtelo? Mi sembra che nessun uomo sia mai stato per nessuna donna quello che tu sei per me, il pieno deve essere proporzionale al vuoto, lo sai e solo io so cosa c’era dietro l’ampio deserto senza fioritura di rose e la capacità di felicità, come un buco nero spalancato, davanti a questa argentea inondazione. Fu mai qualcuno tratto improvvisamente fuori da una cella buia e portato sul picco di una montagna, senza che gli girasse la testa e gli mancasse il cuore, come a me? Come proverò mai cosa è per te il mio cuore. Come vedrai tu mai cosa provo? Mi interrogo invano. Abbi sufficiente fiducia in me, mio unico amore, da usarmi semplicemente per il tuo vantaggio e la tua felicità, e per i tuoi fini senza preoccuparti degli altri è tutto quello che ti potrei chiedere senza timore. Elizabeth Barrett a Robert Browning
IL G8 DI GENOVA: UNA PAGINA NERA DELL’ITALIA Perché non si parla più della questione G8 di Genova? Quello che è successo quel giorno rappresenta una delle pagine più nere della storia democratica d’Italia, una vergogna che l’Italia si porterà sulle spalle ancora per tanto tempo. E questa storia continuerà ad essere alimentata dal centrosinistra nostrano solo per esclusiva colpa del centrodestra. Perché? La risposta è semplice: nessuno ha voluto appurare la verità. Anzi, si è cercato in ogni modo di insabbiare la vicenda. Torture, pestaggi, violenze. Questo è stato il G8, questo è successo alla Diaz e a Bolzaneto. Se lo Stato vuole avere qualche credibilità e l’Italia tutta liberarsi da questa onta bisogna dare una punizione esemplare a chi ha sbagliato. Altrimenti, perché mai gli italiani si dovrebbero fidare dei tutori dell’ordine? Quale fiducia ci possono dare?
Andrea Gaudenzi - Livorno
PERCHÉ NON DARE L’AMNISTIA AI TERRORISTI? Sembra oramai caduta nel dimenticatoio del silenzio tipico dell’Italia la provocazione che
e di cronach di Ferdinando Adornato
Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Gennaro Malgieri, Paolo Messa Ufficio centrale Andrea Mancia (vicedirettore) Franco Insardà (caporedattore) Luisa Arezzo Gloria Piccioni Nicola Procaccini (vice capo redattore) Stefano Zaccagnini (grafica)
ACCADDE OGGI
5 luglio
Napolitano lanciò affermando che, secondo lui, i terroristi italiani non dovrebbero andar più in tv a raccontare, spiegare, magari anche scusarsi. Vorrei solamente far notare una cosa. Esistono due paesi civili in Europa: la Spagna e l’Irlanda. Entrambe le nazioni in questioni hanno vissuto, come noi, guerre civili che hanno spaccato in due il proprio popolo. Madrid e Dublino però, alla fine dei combattimenti, hanno amnistiato i reati dei combattenti e, addirittura, hanno costruito alcuni posti dove poter onorare tutti i caduti. L’Italia ha vissuto la guerra civile dal ’43 al ’45 che poi si è protratta negli anni ’60 e ’70. Perché mai i ”terroristi” italiani non dovrebbero poter parlare in tv? Sarebbe ben più intelligente farla finita con quegli anni chiedendo la verità ai protagonisti in cambio della libertà. Questo sarebbe un discorso serio. Ci sono tanti ”combattenti”che possono raccontarci storie e fare ragionamenti molto più alti di quelli di tanti che stanno normalmente in tv. Cordiali saluti e a presto.
Franco Lupi - Lecce
1687 Viene pubblicato il Philosophiae Naturalis Principia Mathematica di Isaac Newton 1811 Il Venezuela è la prima nazione Sudamericana a dichiarare l’indipendenza dalla Spagna 1903 Parte dalla periferia di Parigi il primo Tour de France 1946 Nasce il bikini 1950 La Knesset passa la Legge del ritorno che garantisce a tutti gli ebrei il diritto di immigrare in Israele 1954 Elvis Presley esegue la sua prima sessione di registrazione. Canta That’s All Right (Mama) e Blue Moon of Kentucky 1962 L’Algeria ottiene l’indipendenza dalla Francia. Ahmed Ben Bella è il nuovo capo dello Stato 1971 L’età minima per votare negli Stati Uniti viene portata da 18 a 21 anni (effetto del XXVI emendamento certificato formalmente in questo giorno dal Presidente Richard Nixon) 1975 Arthur Ashe diventa il primo nero a vincere il titolo del singolare nel Torneo di Wimbledon
Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Antonella Giuli, Francesco Lo Dico, Errico Novi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Susanna Turco Inserti & Supplementi NORDSUD (Francesco Pacifico) OCCIDENTE (Luisa Arezzo e Enrico Singer) SOCRATE (Gabriella Mecucci) CARTE (Andrea Mancia) ILCREATO (Gabriella Mecucci) MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei, Giancristiano Desiderio,
PUNTURE Anche l’astrofisica Margherita Hack sostiene il ritorno dei Girotondi. È proprio vero: solo le stelle stanno a guardare.
Giancristiano Desiderio
“
L’uomo è in grado di fare ciò che non è in grado di immaginare. La sua testa solca la galassia dell’assurdo RENÉ CHAR
”
Alex Di Gregorio, Gianfranco De Turris, Luca Doninelli, Rossella Fabiani, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Pier Mario Fasanotti, Aldo Forbice, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Alberto Indelicato, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Adriano Mazzoletti, Angelo Mellone, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo, Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Claudio Risé, Eugenia Roccella, Carlo Secchi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania
il meglio di PACIFISMO: ESSO È... Sinteticamente il pacifismo lo si definisce come ”Rifiuto della violenza e della guerra come strumento per la soluzione di conflitti.” Questo semplice concetto è riportato anche nella Costituzione italiana. Quindi, l’Italia può definirsi una nazione pacifista. Il pacifismo ripudia, pertanto, l’idea che si possa attaccare un’altra nazione, aggredire un popolo ed usare le armi per sopraffarlo, conquistare dei territori o privare altri della propria libertà. Tutto procede a meraviglia in tempo di pace; ovvero, in assenza di conflitti. Le nazioni ”pacifiste”non si aggrediscono a vicenda e tutti vivono a lungo felici e contenti, come nelle favole. Ma non tutti i popoli e le nazione del mondo sono ”pacifisti”. Allora, cosa succede se una nazione ”non pacifista” aggredisce o minaccia una nazione pacifista? Come bisogna regolarsi? Se, per qualche motivo, ci troviamo di fronte ad un conflitto in atto, più o meno grave, più o meno dichiarato (come nel caso del terrorismo), cosa significa rifiutare la violenza come strumento di risoluzione dei conflitti? Cosa succede se un ”non pacifista” aggredisce un pacifista? Bisogna difendersi o no? Come si risponde a qualcuno che ti spara addosso? Gli si lancia un bouquet di fiori di campo? Essere pacifisti significa rinunciare a difendersi? Significa rinunciare a tutelare la famiglia, i figli, la casa, i beni, la libertà e la propria vita? Ma questa posizione rinunciataria si chiama vigliaccheria, si chiama codardia, incoscienza, autolesionismo, ed altro ancora. In tempo di guerra, l’atteggiamento di chi scappi davanti al nemico o si rifiuti di combattere e di difendere la patria o, in qualunque modo, aiuti o favorisca il nemico, si chiama tradimento o complicità col nemico. E si finisce dritti dritti davanti alla Corte marziale. E in
tempo di pace? Beh, in tempo di pace questa connivenza col nemico la chiamano ”pacifismo”. Ed al massimo si finisce alla marcia Perugia-Assisi.
Torre di Babele torredibabele.blog.tiscali.it
ARCHITETTURA E DECADENZA (...) L’architettura, come in genere l’arte, è un indicatore importante della storia, essa cambia nel tempo e fotografa la società e perciò attraverso le “lenti dello stile architettonico” si può analizzare un periodo storico. Se lo stile architettonico di un periodo ci appare bello e gradevole significa che, in sostanza, la società e politica sono sane, sviluppate all’interno di uno stato valido ed efficiente e quindi amato dal popolo. Al contrario adesso viviamo in un periodo di profonda decadenza, una situazione confermata anche dallo scarsa qualità della architettura. Anche molti architetti ritengono che l’edilizia del nostro Paese è pessima, alcune giungono addirittura a dire che, per motivi estetici ed energetici, il 70% degli edifici dovrebbe essere abbattuti, ma difendono la propria professionalità dicendo che la colpa è della Politica e che si dovrebbe rottamare l’edilizia e sostituirla con l’architettura. E’ evidente che la decadenza è causata da molti fattori, politica, architetti, artisti, sociologi, intellettuali, giornalisti, cittadini.... anch’io però penso che la colpa principale sia della Politica, in effetti gli architetti interpretano la volontà del Potere, hanno il compito di trasformare le idee e le visioni dei politici in edifici, lo stile architettonico è, in un certo senso, dettato dal Regime Politico vigente, l’architettura è figlia della cultura politica e della storia sociale del Paese (...).
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PAGINAVENTIQUATTRO L’idea, sponsorizzata dagli Arizona Diamondbacks, è stata del campione Milciade Arturo ”Junior” Naboa
Santo Domingo,ecco l’università del di Maurizio Stefanini ilicon Valley del Baseball la chiamano ormai tutti, ma il nome originario è Baseball City. E l’idea è stata di Milciade Arturo “Junior” Naboa: dominicano, classe 1964, e giocatore tra 1984 e 1994 nelle massime serie nord-americane. Seconda Base per Cleveland Indians, California Angels, Montreal Expos, New York Mets, Pittsburgh Pirates e Oakland Athletics. Lo hanno sponsorizzato gli Arizona Diamondbacks, ma lui ci ha messo anche un bel po’ di milioni che aveva guadagnato in questi dieci anni, oltre che un altro capitale in termini di esperienza e immagine. E il risultato è appunto questa immensa Università del Baseball, con ben 18 Accademie che si ammucchiano nel raggio di 10 chilometri: ognuna col suo contorno di campi, palestre e locali. Il tutto, più o meno a metà lungo l’autostrada che porta da Santo Domingo, con il suo aeroporto internazionale, a San Pedro de Macorís: seconda città del Paese, e il posto al mondo con la più alta proprozione mondiale pro capite di giocatori nelle massime serie nord-americane.
S
La Repubblica Dominicana, va ricordato, si trova in quella porzione di America adagiata sui Caraibi in cui il baseball è lo sport più popolare, in contrapposizione a quell’altra area aperta sull’Atlantico e il Pacifico dove invece prevale il calcio: una situazione che segnala come in una faglia geologica quella che era l’influenza economico-culturale predominante, statunitense o inglese, in quel momento tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo in cui decollò lo sport di massa. Poi, tra Prima e Seconda Guerra Mondiale, il Regno Unito sgomberò definitamente il campo, e tutte l’Emisfero si traformò nel’”Cortile di Casa” dei cugini yankees. Ma ormai quella duplice eredità era rimasta. In particolare, oltre alle World Series di Usa e Canada campionati di basebal professionistici esistono anche in Messico, Repubblica Dominicana, Venezuela, Porto Rico e Panama. E dell’aristocrazia del baseball fa parte di diritto anche Cuba, che è il Paese ad aver vinto più competizioni internazionali. Lì il professionismo fu formalmente abolito da Fidel nel 1960, ma per sostituirlo con un sistema di “dilettantismo di Stato”tipo la vecchia Unione Sovietica, con gli atleti insigniti di alti gradi militari o burocratici. Una classifica dei risultati di Coppa del Mondo, Coppa Intercontinentale e Torneo Olimpico, riservati appunto ai soli dilettanti veri o fittizi, vede la Repubblica Dominicana al quinto posto: dietro a Cuba,Venezuela, Usa e Colombia, e davanti a Porto Rico, Nicaragua e Messico. Ma in Colombia e Messico la popolarità del baseball ha in realtà un limite regionale alle rispettive coste caraibiche, con il calcio che prevale invece nell’interno e sulla Costa Pacifica. Cioè, la maggior parte dei due Paesi. E anche in Venezuela il calcio sta crescendo ai danni del baseball, espandendosi dalla sua originaria roccaforte nello Stato andino di Táchira. Tant’è che ormai nelle stra-
BASEBALL Nel raggio di 10 chilometri ci sono 18 Accademie con campi e palestre, un polo di ricerca e un distretto industriale. Già sei squadre della Major Leagues Usa vi hanno stabilito una base
de della stessa Caracas si vedono in strada più ragazzini a tirar calci a un pallone, che non con mazza e guantoni.
Negli Stati Uniti e in Canada bisogna poi ricordare che il baseball deve competere con l’altrettanto grande popolarità di football americano, basket e hockey su ghiaccio: a parte che pure lì sta montando la passione per il calcio. La Repubblica Dominicana, dove questo gioco fu portato a fine ‘800 da marinai e tagliatori di canna cubani, resta dunque il principale Paese con passione unica per il baseball ad avere anche un campionato professionistico. Se si ha presente la differenza di mezzi tra le squadre locali e quelle nord-americane, è evidente la ragione per cui, a poco più di mezzo secolo di distanza dal loro primo approdo, almeno il 10 per cento dei giocatori delle World Series è ormai costituito da dominicani: cubani, venezuelani, panamensi, nicaraguensi, colombiani, messicani, portoricani e giapponesi messi tutti assieme non oltrepassano un altro 15 per cento. Ma nelle serie minori si arriverebbe addirittura a un 40 per cento: cioè, ci sono ormai più dominicani che statunitensi e canadesi, a riprova della sempre maggior diffi-
coltà del vivaio indigeno. E a questo movimento corrisponde in termini di rimesse dei giocatori e di investimenti delle squadre nordamericane una pioggia di dollari che arriva addirittura al 10 per cento del flusso di valuta nell’economia nazionale.
È questo appunto il business che Junior Naboa ha fiutato, e sul quale si è buttato con la sua Baseball City: polo di ricerca e distretto industriale a un tempo, appunto proprio come la Silicon Valley californiana. Per il momento sono sei le squadre delle Major Leagues Usa che vi hanno stabilito una base, ma altre già si preparano a seguire il loro esempio. Oltretutto, tra le varie scuole funziona una rete di comunicazione informale per cui quando ad esempio l’una adotta una nuova tecnica di preparazione anche le altre vi si adeguano in breve tempo, rivoluzionando il modo di giocare delle World Series. Quanto all’interesse locale, va ricordato che un contratto negli Usa significa almeno 60.000 dollari all’anno, in un Paese dove il reddito pro capite non oltrepassa gli 8000. E anche quell’85-90% di ragazzi che non ce la fanno a ricevere il sospirato ingaggio, può consolarsi con due anni gratuiti di alimentazione abbondante e equilibrata, cure mediche, istruzione e abitudine alla disciplina. In una realtà come quella dominicana, davvero un capitale di salute fisica e mentale da far poi fruttare per tutta la vita.