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QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA • DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK CONSIGLIO DI DIREZIONE: GIULIANO CAZZOLA, GENNARO MALGIERI, PAOLO MESSA

Francesco D’Agostino critica la sentenza di Milano: «Pericolosa per la democrazia»

e di h c a n o cr

Giudici, il dramma non è solo di Eluana

di Ferdinando Adornato

di Francesco Rositano on ci sarebbe solo un problema etico, ma un vero e proprio vizio di democrazia nella sentenza con la quale la Corte d’Appello civile di Milano ha autorizzato l’interruzione del trattamento di idratazione per Eluana Englaro, la ragazza che dal 1992 è in stato vegetativo persistente dopo un tragico incidente stradale. Lo sostiene un noto giurista, nonché presidente onorario del Comitato nazionale di bioetica, come Francesco D’Agostino, che ha affermato: «Il Parlamento sarebbe stato espropriato di una delle sue più importanti potestà: quella di fare le leggi e regolamentare questioni che riguardano la collettività. E queste funzioni, che gli spettano di diritto, sono state affidate impropriamente alla Magistratura la quale si è ritrovata a ricoprire un ruolo di supplenza. Inadeguato, discutibile, e soprattutto privo di una legittimazione popolare come può essere quella del Parlamento». Secondo D’Agostino nella sentenza ci sarebbe anche un altro grave difetto: quello di essere stata costruita sulla base di dichiarazioni estemporanee rilasciate a parenti ed amici oppure su uno stile di vita ricostruito a posteriori. Possibile, si domanda il giurista, che queste affermazioni valgano come un testo scritto rilasciato davanti a un notaio o a un giudice? E soprattutto, aggiunge: è possibile che per quanti riguarda i beni materiali da vendere o lasciare in eredità siano necessarie volontà debitamente messe nero su bianco, mentre su questioni di vita o di morte siano sufficienti testimonianze orali di conoscenti e parenti?

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La vittoria di Pirro

9 771827 881004

ISSN 1827-8817 80711

IL LODO DEI LODI Cirami, Cirielli, Schifani, Alfano: da 15 anni Berlusconi promette di cambiare il sistema-giustizia ma fa votare solo “scudi” personali. Continuando così salverà se stesso ma non riformerà l’Italia...

alle pagine 2 e 3

seg ue a pagin a 4

Colloquio con Hamid Sadr

Dati preoccupanti dall’Istat

Aperta a nordafricani e mediorientali

Anche Marcegaglia lancia l’allarme

È nata l’Università del Mediterraneo

di Francesco Pacifico

di Raffaele Cazzola Hofmann

di Pierre Chiartano

di Valerio Venturi

Produzione industriale ai minimi, consumi soffocati dall’inflazione, lo spettro della rincorsa dei salari ai prezzi è imminente. Sempre più complesso aumentare la produttività del Paese.

Nasce un polo universitario per gli atenei di Palermo, Enna, Catania e Messina. Scopo dell’iniziativa, mettere a disposizione di studenti europei, nordafricani e mediorientali una robusta rete di strutture.

«Il no di Strasburgo non conta. È la Commissione Ue a decidere e sulla schedatura dei rom andremo avanti». Lo ha affermato ieri Maroni davanti ai giornalisti nella sede della Stampa estera.

Mentre Teheran continua a sfidare il mondo e a mostrare i muscoli, Ahmadinejad comincia a mostrare qualche crepa, rischiando di diventare troppo ingombrante dentro casa sua.

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Il governo si appella al giudizio della Commissione

L’Unione europea ferma le impronte di Maroni

VENERDÌ 11 LUGLIO 2008 • EURO 1,00 • ANNO XIII •

NUMERO

130 •

WWW.LIBERAL.IT

• CHIUSO

«Ahmadinejad a Teheran piace sempre meno»

IN REDAZIONE ALLE ORE

19.30


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La Camera approva il lodo Alfano che offre uno “scudo” senza sciogliere i veri nodi del sistema

L’incompiuta di Berlusconi di Errico Novi

ROMA. «Ci sono due sconfitti: Di Pietro e Ghedini». Curiosa sintesi. Che però circola eccome, dentro Forza Italia. È l’interpretazione del lodo Alfano come un «preambolo necessario». Un’operazione che libera il campo, lo prepara alla vera offensiva sulla giustizia. Quella, dicono le fonti azzurre, «verrà messa in atto dopo aver eliminato l’equivoco incombente: una volta cioè che sarà stato sottratto alla retorica giustizialista antiberlusconiana l’argomento delle leggi ad personam». Cosa vuol dire? «Che approvato il lodo passeremo agli interventi sulla separazione delle carriere, sulla composizione del Csm e la riorganizzazione del pubblico ministero sul modello francese. A quel punto non si potrà più dire che si tratta di iniziative a protezione di Berlusconi. Il presidente sarà legibus solutus per tutta la legislatura. E diteci quanti sono gli italiani disposti a seguire Di Pietro nella difesa delle toghe per partito preso». Partirà, dunque, la nave della grande riforma. È questo lo schema fisso del Cavaliere, dicono i suoi. Si tratterebbe della sconfessione di un’altra strategia, quella messa in campo finora. E fatta di interventi mirati come la ex Cirielli, con accluso emendamento cosiddetto salva-Previti, che riduceva i tempi di prescrizione. O la legge Cirami approvata il 5 novembre del 2002, nella prima era del precedente governo Berlusconi, con cui si introduceva il principio di remissione del processo penale in base al legittimo sospetto. Provvedimenti che rispondevano a urgenze immediate. Che avevano il solo effetto di impedire a Ilda Boccassini di vedere accolte le richieste di condanna contro Berlusconi e Previti. Ma che non affrontavano i veri nodi del sistema giudizia-

rio. E non impedivano il protrarsi della guerra civile fredda che si è combattuta negli ultimi quattordici anni tra le aule parlamentari e quelle di Tribunale.

Ed ecco perché l’altro“perdente morale” di ieri, secondo questa scuola di pensiero, è Niccolò Ghedini. L’avvocato simbolo che ha preparato buona parte delle leggi sulla giustizia sostenute negli ultimi anni dal centrodestra. È lui il principale fautore dell’idea secondo cui gli assalti delle Procure vanno re-

e agli ordini forensi. Poi toccherà alla separazione delle carriere, colpo che i giudici considerano mortale. Nulla verrà risparmiato. Persino gli scatti di stipendio delle toghe. Una guerra a tutto campo.

Ma seppure fosse così, non si rischia di ridurre la necessaria riforma a una soluzione finale dell’eterno conflitto? Nel lungo dibattito che ieri alla Camera ha preceduto il sì allo ”scudo” (Alfano preferisce che lo si chiami così), Massimo

che adesso passerà all’esame del Senato è il primo atto della stagione riformatrice, viene il dubbio che si tratti invece dell’ennesimo affannoso tentativo di mettere una toppa. Una vittoria di Pirro e nulla più. Potrebbe essere così, e se davvero fosse vorrebbe dire che Berlusconi continuerà a doversi difendere da attacchi più o meno imprevedibili, magari condotti attraverso intercettazioni diffuse

Secondo gli azzurri la norma sulle alte cariche consentirà di riorganizzare l’ordinamento «senza il pregiudizio della norma pro-Silvio». E invece il ddl approvato ieri perpetua il vecchio schema spinti con interventi normativi di pronta utilità processuale. Una difesa in trincea, una guerriglia permanente. Adesso invece, dicono le fonti azzurre, «il conflitto si sposta da un terreno sostanzialmente processuale al campo politico vero e proprio. Saranno regolati i conti con la magistratura in modo che non si comporti più come un potere eversivo». Si passerà dunque alla ristrutturazione costituzionale. Solo un terzo dei membri del Csm sarà eletto dai giudici. Il resto spetterà alla politica

D’Alema ha invitato il premier ad «affrontare serenamente le accuse che lo riguardano e a non spingere una leggina inutile». Perché per l’ex ministro degli Esteri «il principio della norma va discusso con calma». È l’idea sostenuta anche dall’Udc: non si possono presentare provvedimenti che sembrano confezionati su misura. E allora dove vanno a finire i propositi rivoluzionari della maggioranza? Di fronte all’interpretazione dei berlusconiani, secondo cui il lodo

via internet e ripubblicate sui giornali stranieri.

Sarebbe una sconfitta. Ne uscirebbe pesantemente indebolita la credibilità riformatrice del Pdl. Che finirebbe con l’aggiungere un altro pezzo alla collezione di leggi mai davvero risolutive. Nel quinquennio 2001-2006 è stata approvata, è vero, anche la riforma Castelli, che prevedeva la separazione delle funzioni e la modifica delle procedure

disciplinari. Ma tutto è avvenuto in un clima da guerra civile, e i due ddl Mastella hanno cancellato quasi completamente le misure precedenti. Nulla resta dunque nell’albo d’oro del centrodestra, in materia di giustizia, se non i provvedimenti che hanno istigato furori girotondini e guerriglie in Parlamento. Dalla depenalizzazione del falso in bilancio (2002) a quella sulle rogatorie internazionali, approvata il 3 ottobre del 2001, che ratificava l’accordo del ’98 tra Italia e Svizzera ma prevedeva anche la nullità degli atti per vizi di forma, principio esteso ai processi in corso. Nel 2003 fu la volta del lodo prima versione, quello intestato a Renato Schifani, bocciato pochi mesi dopo dalla Corte costituzionale. Si passa quindi al legittimo sospetto della Cirami e al tormentatissimo cammino del disegno di legge che porta il nome del deputato Edmondo Cirielli. Talmente aspre sono le polemiche che il parlamentare di An rinuncia al

Dopo passi falsi, autosgambetti e scelte sbagliate, sulla giustizia il Pdl finisce per praticare la politica dell’Udc

Se il governo adotta la linea di Casini di Giancristiano Desiderio a leadership del governo e del Pdl (che sono la medesima cosa) si sa chi è ma non cos’è. Berlusconi ha fatto il pieno di voti e ministri, costruendo un esecutivo a sua immagine e somiglianza per affermare la nuova strada del decisionismo. Tutto bene. Tranne una cosa non detta: il decisionismo va bene se le decisioni sono giuste. Se sono sbagliate tutto viene giù. Non siamo arrivati a questo punto, ma è fin troppo evidente come il governo sulla questione giustizia-sicurezza abbia fatto più di un passo falso e le scelte sbagliate hanno reso opaca e meno autorevole la leadership del presidente del Consiglio. In particolare, vale la pena notare un curioso paradosso: il Pdl è nato sulla esclusione dalla nuova versione dell’area geopolitica di centrodestra di Pier Ferdinando Casini e dell’Udc ma pro-

L

prio sulla delicata questione giustizia-sicurezza il governo e il Pdl hanno ora adottato la linea politica indicata a più riprese da Casini. Come a dire: quei rompiscatole dell’Udc sono fuori dal Pdl e dal governo, ma la leadership politica che “noi”del governo e del Pdl adottiamo è proprio quella di Casini e dell’Udc. Naturalmente, si tratta di un paradosso, ossia di un’esagerazione. Che, però, non solo ha un senso, ma soprattutto è in buoni rapporti con quella strana cosa che si chiama “realtà dei fatti”. Può darsi, infatti, che sulla specifica “questione giustizia” Berlusconi non abbia avuto lucidità e lungimiranza dimostrate invece sul “caso Napoli”; può darsi che si sia lasciato prendere la mano quando ha visto allungarsi su di lui l’ombra lunga della mai doma magistratura; può darsi che la confusione delle intercettazioni abbia fatto il resto. Può darsi un sacco di cose. Sta di fatto che un governo che sembrava aver iniziato con il piede giusto è si è auto-sgambettato. Insomma, mettetela come volete, ma il risultato, che è quel che conta, non muta: alla prima occasione seria, ossia quando in gioco sono entrati “affari di Stato”e non problemi tec-


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Pecorella avvisa la maggioranza: «Ora basta leggine, altrimenti buttiamo a mare una grande occasione»

«Il lodo è il dito la luna è la riforma» colloquio con Gaetano Pecorella di Riccardo Paradisi

ROMA. Il lodo Alfano come primo passo verso la Piuttosto la magistratura maltollera che esista un grande riforma dell’ordinamento giudiziario italiano. La maggioranza presenta così la norma che metterà al riparo della magistratura le più alte cariche dello Stato. Eppure di una grande riforma della giustizia finora si è solo molto parlato, concretamente si sono succedute leggi Cirielli, Lodi Schifani e Alfani. Con Gaetano Pecorella, parlamentare del Pdl considerato la mente giuridica di Forza Italia, ragioniamo sulle leggi salva-premier e sulla possibilità di una riforma condivisa della giustizia italiana.

ruolo di relatore e il suo cognome viene preceduto stabilmente dal prefisso ex.

Al filone si sono aggiunte subito dopo le elezioni di aprile le norme blocca-processi, quindi modificate in modo da non interferire con il caso Mil-

ls. «E anche questo è un modo per sconfessare la teoria del temporeggiamento affermata da Ghedini. Era stato lui a mettere a punto gli emendamenti». Eppure, che l’artefice della teoria sia o no Ghedini, è proprio il vecchio schema che sembra prevalere ancora.

nici, il decisionismo ha fatto cilecca. La conseguenza è l’indebolimento della leadership di governo o la messa in chiaro di un decisionismo, per così dire, superficiale o sui generis. Le due cose - leadership indebolita e decisionismo superficiale - vanno di pari passo. Quale sarà l’esito a cui metteranno capo lo sapremo con le prossime venture puntate autunnali. Ciò che qui, invece, ora merita di essere messo in luce è l’errore commesso da Berlusconi e da quanti alla vigilia delle elezioni giustificavano l’esclusione di Casini e dell’Udc dal “nuovo centrodestra” in questo modo: «Senza l’Udc il Pdl è più forte». I fatti - questi benedetti maledetti fatti che nessuno riesce ad annullare - dimostrano il contrario: senza l’Udc il governo è più debole. Può darsi che si sia semplificata la composizione della squadra di governo, ma si è indebolita la politica istituzionale dell’esecutivo e il carattere moderato del Pdl. I rapporti tra Forza Italia e Udc non sono mai stati un idillio e i torti e le ragioni si potrebbero saggiamente distribuire metà e metà. Ma oggi il governo-Pdl comincia a pagare il suo peccato di superbia e miopia: escludere dal centrodestra una componente essenziale del centrodestra. Uno sbaglio culturale, prima che politico. Pier Ferdinando Casini avrà buon gioco nell’impallinare il governo facendo una classica “opposizione di governo”. Francamente, è un po’ buffo vedere questo governo adottare la “linea Casini” dopo aver voluto con fermezza l’esclusione dell’Udc dal centrodestra.

Onorevole si annuncia la montagna della riforma dell’ordinamento giudiziario e si partoriscono sempre i topolini di lodi e leggi tampone. Come mai? Quello che lei dice è vero solo in parte: è vero che sono state fatte una serie di leggi o leggine che riguardano aspetti molto settoriali del sistema giustizia, però è anche vero che malgrado l’assenza di un intervento più complessivo sull’ordinamento giudiziario sono state anche leggi più di sistema. Come la riforma dell’ordinamento societario. Un po’ poco. Comunque lei crede davvero, Pecorella, che il Lodo-Schifani possa essere propedeutico a una riforma più generale della giustizia? Me lo auguro ma ripongo in questa possibilità anche un ragionevole ottimismo.Vede una legge come questa garantirà una maggiore stabilità politica e dunque anche la possibilità di fare le grandi riforme di natura costituzionale. Sarebbe sprecare una grande occasione l’avere recuperato stabilità politica e poi non occuparsi insieme dei grandi problemi della giustizia. Lei auspicava già nel 2002 un’unità d’intenti di destra e sinistra sulla riforma della giustizia. Sono passati altri sei anni e la giustizia è ancora la barricata sulla quale si consuma in Italia la battaglia politica. Mi sembra che però oggi le condizioni siano molto diverse. Dopo essere stata colpita da certe inchieste la sinistra italiana non è più il braccio armato della magistratura, ci sono anzi punti di convergenza molto forti. Veltroni si è detto persino d’accordo sull’ipotesi di separazione delle carriere. Il Lodo-Alfano ha soprattutto di positivo che toglie di mezzo il problema del conflitto intorno al premier. Quando c’è un processo in corso a carico di un premier infatti qualunque riforma può essere interpretata come strumentale. Dopo questa legge non avremo più condizionamenti nel conflitto sulla giustizia. Detto così sembra che l’unità debba fondarsi su un patto di complicità. Naturalmente intendevo dire tutt’altra cosa. Anche perché io non credo che la magistratura, a parte certi suoi settori, abbia una particolare ostilità verso questo o quell’altro schieramento politico.

potere politico che possa limitare le sue funzioni, che decida sulla sua testa le leggi che dovranno restare e quelle che dovranno essere modificate. Sono state poi le iniziative giudiziarie che hanno portato alla crisi del governo Prodi. «Mi chiedo, ha detto D’Alema, se davvero il ”lodo Alfano”faccia l’interesse del presidente del consiglio. Otterrebbe al massimo il beneficio di una sospensione restando nella situazione per alcuni anni di un capo di governo in attesa di processo per corruzione». Se il nostro fosse un Paese dove i giudici non sono politicamente condizionati D’Alema potrebbe avere ragione. Ma come la mettiamo con il fatto che qui si parla di un processo dove il giudice è un nemico politico dichiarato dell’imputato? Non solo: se Berlusconi ricevesse una condanna, quale alternativa avrebbe a quella di dimettersi il giorno dopo? Dunque la soluzione di giudicare un imputato che occupi un ruolo come quello della presidenza del Consiglio in un momento che non abbia effetti sul governo mi pare opportuna. Una norma opportuna: eppure gli organi costituzionali sono Parlamento, governo e presidenza della Repubblica. Non era meglio allora, per tutelare anche la presidenza del Consiglio o della Camera, senza alimentare il sospetto che si tratti di una legge ad personam, reintrodurre l’immunità parlamentare abolita negli anni Novanta? Certo, però per farlo occorrerebbe modificare la Costituzione e non ci sarebbe la maggioranza necessaria. Anche se io credo che l’obiettivo finale non può che essere quello di ricostituire il meccanismo dell’immunità: l’unico che sottrae dal fumus persecutionis chiunque è stato eletto dal popolo. È questo, insieme alla riforma, l’orizzonte da guardare insieme e non il dito del lodo Alfano. Senza immunità non c’è autonomia del parlamento verso la magistratura. Che tratti dovrebbe avere Pecorella la riforma dell’ordinamento giudiziario? Si dovrebbe partire da una riforma costituzionale. Ci sono dei punti della costituzione oggi obsoleti che richiedono un aggiornamento. Ma nella stessa Costituzione andrebbe inserita la responsabilità dei Magistrati. Il Csm non può essere assieme organo di disciplina e di autogoverno della magistratura: occorre un organo disciplinare autonomo che non sia composto solo da giudici e Pm ma anche da rappresentanze sociali elette direttamente. Credo poi che vada recuperato il grande ruolo della giuria popolare. A livello di leggi ordinarie è necessario un testo per la riforma del codice di procedura penale del 1930 e del codice penale. Ma il nodo principale, di cui si parla di meno, è il processo civile perché l’economia funziona se funziona il civile. E questa riforma si può fare nella legislatura? Se non ci riusciamo non perde Berlusconi, ma il Parlamento.

Per tornare all’immunità parlamentare occorre una legge costituzionale. Ma il vero obiettivo è questo


il caso di

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eluana

Il presidente onorario del Comitato Nazionale di Bioetica boccia la decisione della Corte d’Appello di Milano: «I giudici hanno espropriato il Parlamento»

«Una sentenza pericolosa» colloquio con Francesco D’Agostino di Francesco Rositano

segue dalla prima Professore, come legge questa sentenza della Corte d’Appello di Milano? La devo leggere per quello che io sono: un giurista. E mi meraviglia poco questa sentenza perché è la coerente applicazione dei principi stabiliti dalla Corte di Cassazione il 4 ottobre del 2007, quando aveva annullato una sentenza precedente e aveva rimandato alla Corte d’Appello la decisione sul caso, stabilendo questi criteri che la Corte D’Appello ha applicato. Quindi quello che per me è un vizio, se non un vero e proprio errore, non l’ha commesso la Corte d’Appello con la sentenza di ieri: l’ha commesso la Corte di Cassazione che ha vincolato il Giudice di secondo grado a prendere di fatto questa decisione. Perché qui ci sono almeno due errori bioetica un errore giuridico. Quali sarebbero questi errori? Il primo errore, di tipo etico, è stato quello di aver parlato di coma irreversibile, cosa che invece non si dà nella letteratura scientifica, dove si parla di coma permanente, senza poter qualificare il coma permanente come di principio irreversibile. Non abbiamo criteri per verificare se il coma sia irreversibile o meno. Abbiamo solo indicatori probabilistici. Cioè si suppone che è molto poco probabile che dopo 15 anni si esca dal coma. È molto più probabile che ci si esca dopo 2-3 giorni, ma non sappiamo perché: è solo un dato statistico che ci orienta in questo modo. Il secondo errore bioetica della Cassazione è in qualche modo aver ritenuto che questo coma permanente fosse una situazione incompatibile con la dignità umana: è come se una situazione estrema togliesse dignità alla persona. Il terzo errore di tipo bioetico è aver qualificato l’alimentazione del malato in coma come un atto medico, quando è un atto infermieristico che in molti casi viene compiuto in casa dai familiari del malato. Quindi la sospensione dell’alimentazione ad Eluana come un atto medico è bioeticamente discutibile. E l’errore giuridico? La Cassazione ha sbagliato nel ritenere sufficienti prove testimoniali per ricostruire la volontà della povera Eluana.

Cioè prove che noi non ammetteremmo mai per un testamento tradizionale, per indicare come si vogliono trasmettere i beni post-mortem. Quando mai si può andare da un giudice e dirgli: Tizio aveva dichiarato pubblicamente che mi voleva lasciare in eredità la sua automobile. E quando mai un giudice prenderebbe non una, ma anche dieci testimonianze in tal senso, come valide? Invece per una decisione di fine vita la Cassazione ha ritenuto sufficienti prove testimoniali. Oltretutto erano prove testimoniali molto curiose: sono emerse in contesto di ragazze molto giovani, molto spensierate. E sicuramente dopo non

Ora le Camere si devono prendere la responsabilità di legiferare su questo tema. In questo caso la magistratura ha esercitato, in maniera inappropriata, la supplenza

adeguate meditazioni o riflessioni sul tema. Se noi parliamo di consenso informato da parte di qualunque paziente, è discutibile che la povera Eluana fosse pienamente informata su che cosa significa “coma”, “coma persistente”, “alimentazione e idratazione”. Io non dubito che Eluana abbia detto, come probabilmente direbbe ciascuno di noi: preferirei morire che restare in coma per vent’anni. Però, una cosa è manifestare emotivamente questa intenzione, un’altra cosa è dire questa è una mia opinione informata che potrà e dovrà avere effetti giuridici. Pure volendo

credere ai testimoni – e io voglio farlo che la situazione del coma era una situazione atroce e che lei non la voleva vivere. Ma questo va da sé. Se mi dicessero: «Ti piacerebbe diventare cieco?», io risponderei che preferirei morire. Non c’è dubbio. Ma questo non significa niente. Per quanto riguarda il dibattito sul testamento biologico, cosa ne pensa? Penso che il Parlamento sia gravemente inadempiente in tema di testamento biologico. Il Comitato nazionale di bioetica, già nel 2003, aveva proposto al Parlamento un momento condiviso di testamento biologico, approvato da cattolici e da laici Certamente immagino non si riferisca a laici come Umberto Veronesi? Sicuramente non è né il modello di Veronesi, né quello del senatore del Pd Ignazio Marino. Però esisteva ed esiste tutt’ora. Quando il Parlamento – com’è il caso nostro – non prende posizione su tematiche di frontiera, nuove e complicate, alla fine arriva la Magistratura ed esercita attività di supplenza: inadeguata, discutibile, e soprattutto priva di una legittimazione democratica come può essere quella del Parlamento. Io sono d’accordo che le situazioni di fine vita che si pongono oggi, soprattutto in alcuni casi i malati che rifiutano le cure o quelli in stato di coma persistente richiedono l’intervento del legislatore. Ma non in senso eutanasico, ma nella direzione di fronteggiare la novità di queste situazioni con saggezza. Perché

Il significato del dolore per Benedetto XVI Nell’ultima enciclica, ”La Spe Salvi”, il Papa riflette sul significato positivo del dolore e della sofferenza. Ne pubblichiamo una parte: «Possiamo cercare di limitare la sofferenza, di lottare contro di essa, ma non possiamo eliminarla. Proprio là dove gli uomini, nel tentativo di evitare ogni sofferenza, cercano di sottrarsi a tutto ciò che potrebbe significare patimento, là dove vogliono risparmiarsi la fatica e il dolore della verità, del-

l’amore, del bene, scivolano in una vita vuota, nella quale forse non esiste quasi più il dolore, ma si ha tanto maggiormente l’oscura sensazione della mancanza di senso e della solitudine. Non è lo scansare la sofferenza, la fuga davanti al dolore, che guarisce l’uomo, ma la capacità di accettare la tribolazione e in essa di maturare, di trovare senso mediante l’unione con Cristo, che ha sofferto con infinito amore».

A lato Eluana Englaro, che da sedici anni è in stato vegetativo permanente a causa di un gravissimo incidente stradale. In basso il padre, Bebbino, da tempo in prima linea per ottenere l’interruzione del trattamento che tiene in vita la figlia. Nella pagina a fianco Piergiorgio Welby, diventato un simbolo nella battaglia per l’eutanasia

relazionarsi a problemi simili in questo modo produce più danni che benefici. Perché passa la palla alla Magistratura, la quale interviene, come in questo caso, usando criteri a mio avviso molto discutibili. E soprattutto non legittimati politicamente. In che senso? La Cassazione ha derubricato un testamento di vita rispetto ad un testamento economico: è più difficile far un testamento per trasmettere i beni patrimoniali – ci vuole l’atto scritto, ci vuol la sottoscrizione, ci vuole la data – di quanto non sia mandare agli amici l’idea che io preferisco essere ucciso se vado in coma. Io non l’accetto come cittadino. Pretenderei che un testamento biologico fosse molto più rigoroso del normale testamento olografo o del testamento che faccio dal notaio. Qual era il modello di testamento biologico che emergeva dalla pro-


il caso di

eluana

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I paradossi della legislazione italiana

Vita e morte:non basta un testimone di Assuntina Morresi la sconfitta della libertà di scelta e del consenso informato alle cure: la sentenza della Corte d’Appello di Milano che consentirà di interrompere idratazione ed alimentazione artificiale ad Eluana Englaro si basa non su una volontà scritta e consapevole dalla persona interessata, ma su una «volontà presunta» ricostruita a posteriori, su affermazioni fatte ad amiche e parenti quando ancora non aveva vent’anni, su commenti rilasciati di fronte al campione di sci Leonardo David, in coma dopo un grave incidente. «Eluana mi diceva che non sarebbe mai voluta sopravvivere così», testimonia una sua compagna di scuola. Ne siamo certi: chissà se esiste qualche diciottenne, sul pianeta, che di fronte a una tragedia del genere, avrebbe detto il contrario. La sentenza della Corte di Appello di Milano, però, non nasce dal nulla: è un esito non certo scontato ma in qualche modo prevedibile della sentenza della Cassazione dello scorso anno, sempre riguardo lo stesso caso, che prevedeva, fra l’altro, che la «presunta volontà della persona in stato di incoscienza» potesse essere «ricostruita, alla stregua di chiari, univoci e convincenti elementi di prova, non solo alla luce dei precedenti desideri e dichiarazioni dell’interessato, ma anche sulla base dello stile e del carattere della sua vita». Quindi le dichiarazioni estemporanee rilasciate a parenti ed amici, o anche addirittura il proprio stile di vita, esaminato a posteriori, valgono come un testo scritto rilasciato davanti a un notaio, o a un giudice. Nel nostro paese, d’ora in poi, per quanto riguarda i beni materiali da lasciare in eredità, o da vendere, continuano ad essere necessarie volontà scritte, debitamente redatte, e la cui autenticità deve essere validata dalle autorità competenti, mentre su questioni di vita e di morte sono sufficienti testimonianze orali di conoscenti e parenti.

È

posta del Comitato nazionale di Bioetica? Certamente il modello del Comitato nazionale di Bioetica era radicalmente contro l’eutanasia. Nel nostro documento, infatti, si ribadiva che mai e poi mai il testamento biologico avrebbe potuto avere contenuti eutanasici. I punti cardine di questo modello erano questi: il diritto del paziente a redigere un testamento biologico in una situazione garantita di competenza e di informazione; il diritto del paziente al fatto che il medico prendesse atto del testamento biologico e inserisse le dichiarazioni del testamento biologico nella cartella clinica. Ma nello stesso tempo, l‘autonomia del medico nell’ottemperare o meno alle direttive del testamento biologico in base alla situazione concreta di riferimento. Perché in questo caso qui se il papà di Eluana chiederà la sospensione dell’alimentazione, i medici avranno il dovere di adeguarsi alla volontà del curatore di Eluana. Il nostro modello, invece, diceva che l’ultima parola doveva comunque aspettare ai medici, perché in casi così complessi ogni caso è legge a sé stante. Ed è illusoria comprendere la situazione di un malato in coma sotto un unico paradigma. Preferisco che ci si

affidi alla saggezza dei medici, i quali se commettono un errore lo commettono su un caso singolo. Mentre la Cassazione ha stabilito dei criteri che valgono in generale. Valgono per Eluana, ma in futuro varranno per altri casi. È veramente stata una svolta, più che la sentenza d’Appello quella della Cassazione. La sentenza della Cassazione non era di per sé operativa per Eluana, mentre la sentenza della Corte d’appello lo è. Quindi a suo avviso quale sarebbe la soluzione? Sarebbe bastato introdurre nella legge sul testamento biologico una norma esplicita per impedire questa deriva. E il problema sarebbe stato risolto. Cosa risponde a chi controbatte che ci sono tante richieste di eutanasia? È vero che ci sono tante richieste di eutanasia, ma è pericolosissimo prenderle sul serio. Il paradosso viene subito fuori: arriva al pronto soccorso un ragazzo che ha tentato il suicidio. Allora, nel rispetto della sua autonomia, non dovrebbero soccorrerlo. È un paradosso dire che l’autodeterminazione è un valore: bisogna vedere il contenuto dell’autodeterminazione. E poi decidere. Altrimenti è semplice ideologia.

Il dibattito parlamentare sul fine vita - che non è mai sfociato in legge, in nessuna delle precedenti legislature, nonostante gli esecutivi di due orientamenti politici differenti - è sempre ruotato proprio intorno a questo snodo: il testamento biologico come espressione di una scelta personale e libera, proprio perché consapevole ed espressa chiaramente, senza ombra di dubbio. Il punto più delicato è sempre stato, com’è ovvio, l’accertamento della reale volontà della persona in stato di incoscienza. E adesso chiediamo: dov’è la libera scelta di Eluana Englaro? Dov’è scritto il suo consenso informato? Il caso di Eluana è stato impropriamente accostato a quello di Piergiorgio Welby. Impropriamente, perché Welby aveva espresso le sue volontà chiaramente, nel corso di una malattia diagnosticata con assoluta certezza, e dal decorso, purtroppo, altrettanto certo ed implacabile. Ma la vicenda di Welby non c’entra niente con il testamento biologico, riguardava invece il diritto al rifiuto delle cure, un diritto garantito dalla nostra costituzione tanto che Mario Riccio, il medico che ha “staccato la spina”a Welby, non è stato perseguito penalmente. La sentenza della Corte di Appello di Milano, poi, si allarga e straripa fino a indicare ai medici le procedure da seguire, suggerendo di proseguire la «perdurante somministrazione di quei presidi già attualmente utilizzati atti a prevenire o eliminare reazioni neuromuscolari paradosse (come sedativi o antiepilettici)». Una somministrazione necessaria, perché, come ha commentato Eugenia Roccella, Sottosegretario al Welfare, “come è noto, la morte per sospensione di idratazione e alimentazione artificiale è molto dolorosa: un nuovo caso Terri Schiavo, insomma, tutto italiano, di cui non si può sicuramente essere fieri”.

Per vendere un bene serve un testo scritto, per staccare la spina a un malato è sufficiente una dichiarazione


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politica

Dopo lo stop dell’Europarlamento, il governo si appella al giudizio della Commissione

L’Ue ferma le impronte di Maroni di Pierre Chiartano

ROMA. Strasburgo non conta è la Commissione Ue a decidere. Sulla schedatura dei rom il governo va avanti. Lo ha affermato Roberto Maroni, ieri, davanti ad una folla di giornalisti nella sede della Stampa estera. È «un atto di discriminazione diretta, fondata sulla razza e l’origine etnica», con queste parole il Parlamento europeo aveva bollato l’iniziativa del ministro degli Interni di prendere le impronte digitali a tutti i rom residenti in Italia. «Il voto dell’Europarlamento voluto dalla sinistra, provoca la nostra indignazione, perchè basato su presupposti falsi, conosciuti in quanto falsi». È stata invece la risposta del ministro in conferenza stampa. «È stato il governo Berlusconi ad attuare - ha ricordato Maroni - come “emergenza campi nomadi”, quel patto per la sicurezza che a Milano era stato il governo di centrosinistra a siglare con il sindaco Letizia Moratti, sotto il nome di “emergenza rom”». Quindi per il governo sarebbero le solite speculazioni politiche portate sul proscenio europeo.

La risoluzione - presentata dal Partito socialista europeo,Verdi, Liberaldemocratici e dalla Sinistra europea – è stata approvata dall’Assemblea di Strasburgo con 336 voti a favore, 220 contrari e 77 astensioni. Un vero fronte del «no» contro la schedatura degli zingari.Tirato in ballo anche l’articolo 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Insomma, mobilitazione generale. Però non si capisce perché Jaques Barrot, commissario Ue alla Giustizia, abbia poi precisato ciò che in-

tende la Commissione riguardo al rispetto della normativa europea. Raccogliere le impronte unicamente quando non sia possibile stabilire l’identità delle persone e, per quanto riguarda i minori, di procedere solo con l’avallo di un giudice. Per il Pdl sarebbe una delle peggiori pagine delle istituzioni Ue. Anche se l’impressione è quella di aver sventolato un simbolo - la risoluzione del parlamento Ue - a sostegno di regole che renderebbero solo più complicata l’operazione di schedatura, ma non impossibile. Il ministro ombra alle Pari opportunità,Vittoria Franco (Pd), ha invitato Maroni a «non sottrarsi alla richiesta di Strasburgo e di sospendere le misure di identificazione dei rom attraverso le impronte digitali». Sembrerebbe

resto dell’Europa, ad esempio in Germania o in Francia, dove la xenofobia e l’antisemitismo sembrano essere una condizione latente, nonostante la lezione della storia e il sangue degli uomini.

Il male oscuro dell’Europa, la sua fragilità sono forse la cifra con cui interpretare la risoluzione di Strasburgo, che è purtroppo ancora un corpo scollegato rispetto alla Commissione, il braccio esecutivo europeo. Infatti è stato il rappresentante agli Esteri, Franco Frattini, al fianco di Maroni e Andrea Ronchi, in conferenza stampa, a richiamare il confronto sulla concretezza politica: «la Commissione europea è l’unico organismo competente per valutare la legittimità del provvedi-

Il commissario europeo alla Giustizia, Jaques Barrot: «Si possono raccogliere le impronte unicamente quando non sia possibile stabilire l’identità delle persone. Per i minori occorre procedere solo con l’autorizzazione del magistrato» il copione rodato di sempre, dove far giocare fuori campo partite tutte nazionali. Ma c’è qualcosa in più oltre la presa di posizione del Vaticano che non può sottrarsi all’etica dell’accoglienza. C’è da sempre la sensazione che tanta sensibilità su certi temi in Europa sia figlia di una cattiva coscienza. È difficile immaginare Maroni e la Lega come dei discriminatori e dei razzisti - toni a parte - nel vero senso del termine. Più facile immaginare le conseguenze che una legge simile avrebbe nel

mento». Il «basta col garantismo a tutti costi» del presidente dei senatori del Pdl, Maurizio Gasparri, parla invece tutto italiano. È un’accusa verso la politica del non intervento. «Così si alimentano solo altre vittime innocenti, costrette a rubare o a prostituirsi. Serve un segnale forte che lo Stato c’è». Dal versante Lega la risposta è perfettamente in tono con le parole del responsabile dei giovani padani, il deputato Paolo Grimoldi. «L’unica cosa che si può rispondere ai soloni di Stra-

sburgo è un bel chissenefrega». Sarebbero tre «le falsità» contenute nella risoluzione europea. La prima - ha spiegato Maroni - è che «non abbiamo mai parlato di etnia rom, ma di campi nomadi abusivi». La seconda riguarda l’Unicef che si sarebbe schierata contro la proposta del ministro. «L’Unicef italiana si è invece detta disposta a collaborare. È dalla nostra parte». La terza entra nei rapporti fra Commissione ed Europarlamento. La prima avrebbe chiesto al secondo di non votare la risoluzione per la necessità d’ulteriori approfondimenti. Per il governo è dunque il pregiudizio politico ad aver gestito l’azione dell’Europarlamento, un ulteriore segnale di quanto la scarsa sintonia fra politiche nazionali e realtà europea si presti a mille interpretazioni. Ma i rom che dicono? «Domani formuleremo una richiesta scritta al ministro Maroni e ai tre commissari per l’emergenza nomadi, per chiedere un incontro. Se non avremo risposte siamo pronti ad iniziative clamorose, come lo sciopero della fame», lo ha annunciato Nazareno Guarnieri, presidente della “Federazione Rom e Sinti insieme”.


politica

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Dopo Draghi, Confindustria interviene sul governo. Dati preoccupanti dall’Istat

Anche Marcegaglia lancia l’allarme d i a r i o

d e l

g i o r n o

Ancora tensione tra Pd e Di Pietro È ancora gelo tra Veltroni e Di Pietro. Il giorno dopo l’aut aut del segretario del Pd, l’Italia dei valori non rinnega la piazza e lancia un messaggio chiaro: «Se divorzio deve essere, il Pd lo dica a chiare lettere». Insomma, i dipietristi rimandano al mittente: se Veltroni ha intenzione di rompere definitivamente l’alleanza, se ne assuma tutta la responsabilità. Fino al tardo pomeriggio di ieri tra i due leader non ci sarebbe stato alcun contatto. Di Pietro in aula alla Camera rivolgendosi agli «amici» del Pd ha lanciato un segnale sostenendo che «bisognerà tenere conto» anche della scelta fatta sul lodo «allorché ci sarà da ridiscutere del modo di stare insieme come da voi chiesto e da noi ancora di più». Il leader Pd rivendica la giustezza del suo modo di fare opposizione: duro quando serve ma nelle sedi giuste, cioè quelle parlamentari e non nelle piazze con toni insultanti. Ma Antonio Di Pietro non rinnega nulla e oggi nel suo blog scrive: «Il vero schifo di questa polemica è che si siano estrapolate parole piuttosto che contenuti di tutta la manifestazione dell’8 luglio. I media hanno guardato il dito piuttosto che la luna. Non avrebbero potuto fare altrimenti né loro, né i loro mandanti perché i contenuti sarebbero stati inconfutabili».

di Francesco Pacifico ROMA. Produzione industriale ai minimi, consumi soffocati dall’inflazione, lo spettro della rincorsa dei salari ai prezzi sempre più imminente. Mentre la riforma contrattuale è ferma al palo, diventa sempre più complesso il tentativo del governo di aumentare la produttività del Paese e ridare potere d’acquisto agli stipendi. E che il grande malato sia proprio la produttività, lo ha chiarito ieri l’Istat, evidenziando che a maggio, rispetto ai 12 mesi precedenti, la produzione industriale è calata dello 6,6 per cento. Un dato per molti analisti inaspettato. Un ennesimo campanello d’allarme che spinge anche la maggioranza a farsi domande sulla bonta delle misure messe in campo finora. «Considero la manovra di Tremonti», spiegava ieri Giorgio La Malfa ospite a “Omnibus” della 7, «come la metà del problema. Consiste nel rispetto degli accordi europei. Aspetto la seconda metà dal governo». Anche perché, per ora, mancano «misure da rilancio strutturale dell’economia italiana che non sono misure da decreto. Manca la riduzione della pressione fiscale». Dall’inizio dell’anno, e rispetto al 2007, la produzione industriale è scesa del1,1 per cento. Il centro studi Prometeia, sommando il rimbalzo positivo del Pil nel primo trimestre e dell’industria ad aprile (+0,4 per cento) ha previsto che l’economia italiana vivrà una fase di stasi fino ad autunno inoltrato. Soltanto a fine anno la ripresa, con il Pil in crescita dello 0,4 per cento. Secondo l’Istat l’attività manifatturiera è calata a maggio dell’1,4 per cento rispetto ad aprile. A livello

tendenziale la frenata passa al 6,6 per cento, che corretta per i giorni lavorativi si trasforma in un -4,1. Numeri preoccupanti se Emma Marcegaglia ha subito richiamato l’attenzione del governo. «Da tempo», ha spiegato la presidente di Confindustria, «sottolineiamo che l’economia sta andando male. Ora bisogna fare attenzione perché siamo in una fase di peggioramento della congiuntura».

Guardando ai singoli settori, rallentano soprattutto quelli più aggrediti dalla concorrenza come il calzaturiero o dalla congiuntura come il petrolifero. Soltanto le raf-

La Bce richiama i governi Ue: «Evitare indicizzazioni degli stipendi ai prezzi al consumo» finerie di petrolio hanno segnato un calo del 14,4 per cento. Performance negative per legno e prodotti in legno (-11,8), estrazioni di minerali (-11,7), lavorazione dei minerali non metallafera (-7,8%). Pelli e di calzature, se si considerano i primi 5 mesi dell’anno, subiscono una contrazione del 7,1 per cento. A maggio le sole variazioni positive riguardano mezzi di trasporto (+0,7 per cento) o macchine e apparecchi meccanici (+0,1). Per i prossimi mesi l’Isae stima per la produzione industriale un rimbalzo a giugno (+0,2 per cento), un nuovo calo dello 0,6 a luglio, in attesa di un’impennata (+2,4) ad agosto. Così i numeri dell’industria diventano così il paradigma per le re-

Csm contro Berlusconi: non può denigrare lazioni tra le parti, che va ben oltre la trattativa sulla riforma contrattuale. Tra i rinnovi delle intese scadute e le misure per lo sviluppo che da più parti si chiedono a Tremonti per la Finanziaria, si dovrà fare sempre i conti con un’inflazione che soltanto a fine anno dovrebbe calare e che deprime i consumi. Non a caso la Banca centrale, dopo l’ultimo aumento dei tassi di 25 punti base, ha mandato un chiaro messaggio ai Paesi europei nel suo ultimo Bollettino mensile. «Vi sono fortissimi timori che il processo di formazione dei salari e dei prezzi possa acuire le pressioni inflazionistiche e la Bce, con un richiamo al senso di responsabilità sia per il settore pubblico sia per quello privato, chiede che siano evitate forme di indicizzazione degli stipendi ai prezzi al consumo, per evitare uno choc al rialzo sull’inflazione, con ricadute negative sull’occupazione e sulla competitività nei Paesi interessati». Se dall’Eurotower è stato paventato che molti Paesi rischiano di non rispettare gli obiettivi di bilancio, Lorenzo Bini Smaghi, nostro rappresentante nel board della Bce, è stato ancora più chiaro: «La Banca centrale europea», scrive sul Corriere della Sera, «non consentirà di trasformare gli aumenti dei prezzi delle materie prime in inflazione permanente». Di rimando, Nicolas Sarkozy ha nuovamente criticato il rigorismo di Francoforte, ma Roma – con una procedura di infrazione sul deficit chiusa da poco – non può permettersi atteggiamenti simili. E il tanto auspicato taglio delle tasse che gravano sui salari rischia di essere rinviato.

I provvedimenti della magistratura possono essere criticati, ma non si può arrivare alla denigrazione. È il richiamo di cui si fa interprete la prima commissione del Csm, che ieri ha approvato la proposta di risoluzione «a tutela dei magistrati» di Milano del processo Mills, che il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha accusato di «politicizzazione» nella lettera inviata il 16 giugno scorso al presidente del Senato Renato Schifani. Contro il documento, che ora dovrà essere sottoposto al plenum, ha votato il consigliere laico del centrodestra Gianfranco Anedda. Saranno necessari alcuni giorni invece per conoscere la decisione dei giudici della quinta sezione della Corte d’Appello di Milano sull’istanza di ricusazione presentata da Silvio Berlusconi nei confronti di Nicoletta Gandus. Ieri gli avvocati del premier, Niccolò Ghedini e Piero Longo, hanno depositato altri 33 documenti a sostegno della «inimicizia grave» lamentata da Berlusconi per alcune prese di posizione, soprattutto apparse su Internet, riguardo a provvedimenti in tema di giustizia presi dal governo Berlusconi nel periodo dal 2001 al 2006 e sottoscritti dal giudice milanese davanti al quale è in corso il processo Mills.

Victor ammette: ho ucciso da solo L’assassino di Federica Squarise ammette: «L’ho ammazzata da solo». Da Tarragona, dov’era stato arrestato mercoledì, Victor Diaz Silva è stato trasferito ieri a Blanes, tra le urla della gente che gli urlava «bastardo». La polizia ha messo sotto sequestro la sua casa di Lloret del Mar, mentre i carabinieri di Padova risentiranno l’amica Stefania che era in vacanza con vittima. La salma di Federica rientrerà in Italia accompagnata dai fratelli. A segnare il suo destino potrebbe essere stato il micidiale ”mix di pastiglie e alcol” assunto dal carnefice la sera dell’omicidio. Victor avrebbe detto nei giorni scorsi di «aver ucciso una ragazza: un errore lo fa chiunque, lo sai», avrebbe aggiunto, «l’alcol, le droghe, il mix con le pasticche...».

Cassazione: più erba per i rasta Secondo la Corte di Cassazione i seguaci della cultura Rasta, diffusa anche grazie al mito di Bob Marley, possono detenere molta marijuana. Una sentenza ha stabilito che i giudici devono essere comprensivi in casi come quello di un giovane perugino arrestato nel 2004 con un etto di erba, dal momento che per gli adepti di tale religione fumare marijuana favorisce la contemplazione e la preghiera «nella credenza che l’erba sacra sia cresciuta sulla tomba di re Salomone».


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pensieri & parole

La nuova immagine del Ps di Nencini, guardando alle Europee

Il restyling socialista di Biagio Marzo iccardo Nencini, segretario del Ps. A Montecatini è iniziato il nuovo corso socialista. Era nelle cose che dopo la sconfitta elettorale si cambiassero il gruppo dirigente e la linea politica. Quella espressa nel corso della campagna elettorale è stata esiziale sotto tutti i punti di vista. Una cosa è certa: il Ps, con il Congresso, ha chiuso una volta per tutte con la politica delle scorciatoie, per troppo tempo usata per le alleanze di vario conio. Alleanze non strategiche, bensì tattiche e al tempo stesso variabili in ogni tornata elettorale. La nuova stagione inizia, invece, con il Ps che vola alto rispetto al recente passato per la ragione che il gruppo dirigente ha messo le ali a misura di una politica autonoma e aperta. Per troppo tempo la politica socialista ha navigato in un mare, al di qua delle colonne d’Ercole. Il che non ha permesso il confronto a largo raggio, mancan-

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do la materia del contendere e gli interlocutori. E, ironia della sorte, colui che era stato scelto come l’alleato privilegiato ha preferito sottrarsi proprio al momento opportuno. Romano Prodi non ha tirato la volata a Enrico Boselli per l’apparentamento con il Pd, per cui i socialisti si sono trovati spiazzati di fronte lo sbarramento di Veltroni. Il quale ha preferito Di Pie-

vona, Di Pietro e la sua compagnia di giro, partendo da questo presupposto, hanno sparato i fuochi pirotecnici delle volgarità e degli insulti gratuiti. Resta il fatto che lo sforzo congressuale del Ps è stato finalizzato all’individuazione di uno o più alleati idonei per stringere un “Patto riformista”. Tra questi c’è l’Udc di Casini, sicuramente. Si badi bene che potrebbe esserci il Pd, se Veltroni si liberasse di Di Pietro, la sua vera palla di piombo al piede. Dove vanno i socialisti? Nencini ha chiarito ogni dubbio tracciando da par suo il percorso politico, seppure di guerra. Tanto per intenderci, per i socialisti è iniziata una lunga attraversata nel deserto e bisogna vedere se alla fine arriveranno sani e salvi al traguardo. Insomma, si riconosceranno gli elettori nell’idea socialista e

Primo obiettivo, stringere un ”Patto riformista” con uno o più alleati idonei.Tra questi, l’Udc di Casini tro al loro posto, pensando, così, di mettere il suo partito a riparo dagli attacchi populisti e giustizialisti. Alla lunga, il Pd sta pagando un alto prezzo per come si sono messe le cose: mancata confluenza dell’Idv. Per di più, da questo partito viene accusato di essere connivente con Berlusconi. A Piazza Na-

nell’impegno politico dei socialisti? La risposta non potrebbe che essere positiva, sempreché l’una non sia banalizzata nel riformismo omeopatico e l’altro non sia ristretto in uno sforzo di mera sopravvivenza. Per questo il Ps, condannato a stare fuori del Parlamento, dovrà acquisire un’immagine piuttosto credibile, moderatamente aggressiva e fortemente innovativa. Giacché, dai tempi di Bettino Craxi, i socialisti sono stati la cartina di tornasole di un socialismo riformista proiettato verso il futuro, si sono guardati bene di non recidere le radici storiche della loro tradizione. Non c’era alcun motivo, visto che il socialismo è uscito, storicamente, vincitore, dal duello a sinistra. Dunque, sono usciti dal Congresso fondativo con le carte in regola, senza avere alcuna intenzione di cambiare pelle. Chi siamo? E’una domanda pleona-

stica per i socialisti, ma tanto vera per il Partito democratico di Veltroni. Lo sforzo non può che tendere all’affermazione della cultura riformista, come fattore di cambiamento. E comunque spetta proprio al Ps il compito di aprire su questo terreno un confronto a sinistra e a destra. Giocare a tutto campo, sfidando sul terreno riformista tanto gli alleati quanto gli avversari veri o di comodo, è l’ambizione del Ps. Insomma, dovrà essere il promotore di un patto riformista per modernizzare il sistema Italia e per riformare le istituzioni e la vigente legge elettorale. E’ vero che Nencini farà ogni sforzo per mettere il Ps in sintonia con il corpo elettorale, tuttavia, il tempo a sua disposizione è breve, visto che le elezioni amministrative e quelle europee sono alle porte. Speriamo in bene.

Prima propone il ritiro completo delle truppe Usa entro il 2008, poi entro 16 mesi dal suo eventuale insediamento (2010)

Obama si incarta sul nodo-Iraq di Alessandro Forlani a permanenza dei militari in Iraq è uno dei temi più controversi nel serrato confronto tra i due candidati in corsa per la Casa Bianca. La posizione più problematica resta quella del democratico Barack Obama. Quella di McCain, infatti, è apparsa chiara e lineare fin dagli inizi, mentre altrettanto non si può dire per il senatore afroamericano dell’Illinois che aveva impostato il suo programma elettorale rispetto alla politica estera, assumendo l’impegno del completo ritiro delle truppe entro il 2010. Il ciclone irresisitibile della sua candidatura fonda infatti il proprio impatto mediatico sull’evocazione di un nuovo corso che implichi il superamento del lungo incubo iniziato con l’aggressione alle Torri gemelle dell’11 settembre. L’invasione dell’Iraq e le successive iniziative ameri-

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cane in quel paese hanno suscitato polemiche e dissensi e sono stati certamente commessi gravi errori, ma da alcuni mesi gli osservatori più qualificati e la stessa amministrazione evidenziano miglioramenti. Occorre però una certa cautela. Si registra, è vero, una sensibile diminuzione degli attentati e delle azioni di guerriglia (il da-

greggio ottenuto nel 2008. Ancora centinaia di donne “giustiziate” in privato dai familiari per adulterio, mentre dall’Iran si sviluppano iniziative di destabilizzazione attraverso milizie che diffondono violenza e terrore. Occorrerà un adeguato monitoraggio dell’evoluzione di quello che è ancora, benché migliorato, un teatro di guerra e di instabilità. Una condizione che inevitabilmente presta il fianco a disegni di egemonia e destabilizzazione, interessati a fomentare il settarismo e lo scontro in funzione antioccidentale e antidemocratica. Obama è stato il presentatore di un disegno di legge, in Senato, che prevedeva il ritiro completo delle truppe Usa tra il 2007 e il 2008. Successivamente, già candidato alla presidenza, ha promesso il completo ritiro entro 16 mesi dal suo eventuale insediamento (quindi entro maggio 2010). Ora è stretto nella morsa tra il

Il candidato dell’Illinois alla Casa Bianca rischia di compromettere i progressi finora realizzati to più basso dal 2004) e contestualmente il processo di riconciliazione nazionale evidenzia significativi progressi. Il Paese versa però tuttora in condizioni particolarmente drammatiche, una media mensile di oltre un migliaio di attacchi della guerriglia, più di seicento morti solo nel 2008; l’energia elettrica è razionata, la sanità pubblica nel caos, si registra una diffusa povertà, nonostante l’incremento della produzione del

peso di questa promessa – che tiene conto dell’orientamento della maggioranza dell’opinione pubblica americana favorevole al ritiro – e la necessità di non compromettere, con un programma di disimpegno, gli obiettivi progressi che si sono realizzati. I miglioramenti che a distanza di cinque anni si stanno evidenziando non possono giustificare errori e contraddizioni riscontrati durante e dopo l’offensiva angloamericana, né indurci a dimenticare i costi in termini di vite umane per il popolo iracheno e per la coalizione. Ciò premesso, al nuovo inquilino della Casa Bianca – che sia il giovane senatore dell’Illinois o l’anziano dell’Arizona – deve essere richiesta flessibilità e prudenza (e quindi una certa gradualità nel ritiro) almeno fino a quando i dossier iraniano e arabo-israeliano resteranno aperti, per evitare che sulla partenza dei militari possano innescarsi speculazioni e colpi di coda della guerriglia e del terrorismo.


focus

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Palermo, Catania, Messina ed Enna danno vita a un polo didattico aperto agli studenti nordafricani e mediorientali

Nasce l’Università del Mediterraneo di Raffaele Cazzola Hofmann l 13 luglio, giorno del vertice parigino che dovrebbe sancire l’avvio del percorso di nascita dell’Unione del Mediterraneo, sarà l’ennesimo tentativo di rivitalizzare la mai dei tutto decollata partnership politica ed economica tra le sponde del Mare Nostrum. In effetti, il Processo di Barcellona sta segnando il passo. Pensare che entro il 2010, come previsto nella città catalana quindici anni fa, possa davvero nascere l’area mediterranea di libero scambio appare arduo. Ma anche a livello politico ed istituzionale si è lontani da una vera e propria integrazione. Lo stesso progetto dell’Unione del Mediterraneo fortemente voluto dal presidente francese Nicolas Sarkozy parte con molte incognite. Se sul fronte europeo pare esserci una certa unanimità da parte degli altri Paesi del bacino, infatti, su quello arabo si stanno evidenziando le divisioni e le spaccature di sempre. Il vertice di Tripoli dello scorso 10 giugno che avrebbe dovuto sancire una linea comune da parte del mondo arabo in vista dell’appuntamento parigino di luglio è stato un mezzo fiasco perché a partire dallo stesso Paese ospite, la Libia, si sono evidenziati distinguo e prese di posizioni contrastanti nei confronti dell’Europa. È in questo contesto che si tentano nuove strade, da percorrere in parallelo alle ini-

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ziative politiche ed economiche dei governi del Mediterraneo, per far lievitare i legami tra la sponda nord e quella sud. Una di queste strade riguarda la cultura e gli studi universitari. È infatti avvenuta a Roma la presentazione del Politecnico del Mediterraneo. Si tratta di un polo universitario che unisce i quattro atenei della Sicilia: Palermo, Enna, Catania e Messina. Scopo dell’iniziativa, a partire già dal prossimo anno accademico, sarà mettere a disposizione di studenti europei, nordafricani e mediorientali una robusta rete di strut-

nale ed economico del Processo di Barcellona. La cooperazione allo sviluppo si crea non solo a livello economico, ma anche tramite la cultura e la diffusione delle tecnologie».

In altre parole curare la dimensione culturale del Mare Nostrum significa «promuovere la circolazione delle idee nel bacino del Mediterraneo all’insegna delle sinergie e della piena parità tra le diverse anime che vi si affacciano. Quindi in modo del tutto opposto a un approccio di tipo “colonialistico” da parte

50 tra facoltà e dipartimenti, 62 laboratori e 45 biblioteche. Da settembre aprono dottorati di ricerca, master, corsi di laurea specialistici e di specializzazione. Le lezioni: in inglese e francese ture: 50 tra facoltà e dipartimenti per svolgere attività di didattica e ricerca, 62 laboratori e 45 biblioteche. Ognuna delle quattro università si specializzerà in altrettante discipline. L’offerta didattica è costituita da dottorati di ricerca, master, corsi di laurea specialistici, corsi di specializzazione. Le lezioni saranno in inglese e francese. «Creare un’università integrata nel cuore del Mediterraneo – dice a Liberal il rettore dell’Università di Enna, Salvo Andò - è la risposta migliore al mancato successo istituzio-

dell’Europa nei confronti della sponda sud». Il bacino potenziale di studenti interessati al Politecnico del Mediterraneo è molto elevato. «Si calcola che nei prossimi anni almeno tre milioni e mezzo di persone provenienti dalla macro-regione mediterranea si muoveranno dal proprio Paese per cercare opportunità di alta formazione», spiega al nostro giornale il rettore dell’Università di Palermo, Giuseppe Silvestri. Che inoltre sottolinea: «Ciascun ateneo ha già una solida rete di contatti

con il mondo delle imprese non solo regionale. In effetti uno dei grandi scopi del Politecnico è proprio quello di stabilire proficui rapporti di collaborazione col settore produttivo agevolando l’ingresso nel mondo lavorativo dei suoi laureati». «Con il Politecnico del Mediterraneo – aggiunge Andò a proposito di mobilità degli studenti nel bacino - cercheremo di rendere più attraente l’offerta formativa dell’Italia. Che invece oggi viene spesso saltata nel percorso che in prevalenza guida gli studenti della sponda sul del Mediterraneo verso l’Europa settentrionale». Particolare importanza verrà data alla ricerca e agli studi nei «settori tecnologici avanzati, dei progetti, delle scoperte, delle innovazioni e dei brevetti». Infatti le discipline dei quattro atenei siciliani più coinvolte nella “rete” del Politecnico saranno

ingegneria, architettura, scienze agrarie, biotecnologia.

La tappa romana di presentazione dell’iniziativa - finanziata con 6,5 milioni di euro in fondi europei e della Regione Sicilia è stata solo la prima di un intenso tour che durerà tutta l’estate e che sarà condotto insieme all’associazione Mediterraid che da anni, sotto l’egida delle Nazioni Unitte, organizza iniziative nei Paesi del Mediterraneo per promuovere i valori della cooperazione e degli scambi tra i popoli. Il progetto del Politecnico sarà illustrato tra luglio e settembre in Francia, Spagna, Grecia, Marocco, Tunisia, Libia ed Egitto nel corso di seminari presso università, Istituti italiani di cultura e Camere di commercio estere. L’ultima tappa, a metà settembre, sarà a Bruxelles nella sede della Commissione europea.


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mondo

Per l’intellettuale iraniano il leader è in un vertiginoso calo di consensi e in grave difficoltà dentro il partito

Ahmadinejad mostra i muscoli ma a Teheran piace sempre meno

L’idea dell’artista Antony Gormley

Boris sale sulla colonna di Trafalgar di Silvia Marchetti

colloquio con Hamid Sadr di Valerio Venturi

LONDRA. L’estate prossima i entre Teheran continua a sfidare il mondo e a mostrare i muscoli, Ahmadinejad comincia a mostrare qualche crepa rischiando di diventare troppo ingombrante dentro casa sua; così i progressisti raccolgono il malcontento di una politica totalmente egocentrata e cominciano a guardare, timidamente ma inesorabilmente, al domani. La notizia del giorno è che l’Iran ha testato nove missili a lungo e medio raggio per avvertire gli Stati Uniti e Israele di essere pronto a reagire nel caso in cui fosse attaccato a causa del suo programma nucleare. Le foto dei missili hanno fatto il giro del mondo, anche se con tutta probabilità sono state“taroccate”per dimostrare di avere un arsenale più poderoso. Possibile, visto che non è la prima volta che i pasdaran tendono ad esagerare le potenzialità dei loro apparati. In febbraio, ad esempio, hanno annunciato il lancio di missile Sahab 3 in grado di mettere in orbita un satellite. Ma alcuni esperti americani, dopo aver analizzato le immagini, hanno concluso che il vettore non aveva queste capacità. Detto questo, ai nuovi test di ieri Washington ha subito risposto per voce della Rice: se l’Iran vuole riconquistare la fiducia del mondo deve sospendere qualsiasi test missilistico e comunque, in caso di blitz verso un alleato, la risposta non si farebbe attendere. Il clima di tensione aumenta, dunque, ma da più parti comincia a circolare una voce importante: la fiducia interna verso Ahmadinejad dà qualche segnale di stanchezza. A darne conferma, ieri, anche Il ministro degli Esteri Franco Frattini, che ha spiegato il crollo di credibilità del regime visto “da fuori”: «Se continueranno le sanzioni economiche all’Iran, in particolare nel settore bancario che sono più efficaci, e se a questo si aggiungerà anche un segnale molto chiaro sulla fermezza della comunità internazionale, io credo che non ci sarà una tenuta alla lunga di Ahmadinejad al potere. Il regime oggi fronteggia uno scontento crescente anche in patria, dobbiamo farne tesoro». Hamid Sadr (nella foto), sceneggiatore e autore dissidente – vive in Austria – conferma e spiega perché il regno del terrore ira-

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Il regime oggi fronteggia uno scontento crescente, la stella del presidente è appannata, rischia di trasformarsi in supernova ed esplodere niano cadrà “dall’interno”. La stella di Ahmadinejad è appannata, rischia di trasformarsi in supernova e di esplodere. «Il popolo ha perso la direzione, la bussola: i membri del regime hanno smarrito le ragioni della loro alleanza e non riescono più ad immaginare come superare le tensioni e le divisioni interne. Ma il problema è che oltre a non capire più cosa desidera questo regime, non sanno nemmeno verso quale direzione andare». Quali sono i problemi più urgenti per la gente? Tanti e a tutti i livelli, perché questo sistema non solo crea problemi: è fatto apposta per non risolverli. Faccio un esempio: a Teheran, uno dei numerosissimi parchi cittadini è stato reso accessibile solo alle donne. Questo luogo recintato non permette la vista a nessuno e consente a mogli, madri e figlie di fare sport in libertà e senza velo. Una cosa buona, secondo molti. E invece no. La trovata ha rafforzato il sessismo nella società iraniana, così come gli autobus divisi e le scuole separate. Iniziative che

approfondiscono il solco tra uomo e donna, anche se in apparenza sembrano soluzioni di mera praticità. Ogni volta che il regime tenta di risolvere un problema ne crea altri. In tutti i settori: sociale, economico, stampa. Servirebbe un intervento deciso degli attori internazionali? La gente in Iran pensa che le soluzioni che vengono da fuori sono negli interessi di qualche nazione e contro di loro. Tutta la propaganda del regime ha avuto un certo successo in tal senso. Io sono libero di pensare e dire qualsiasi cosa, ma questo non incide sull’opinione pubblica. Come intellettuale penso che occorra perseguire contemporaneamente un progetto di democrazia e di pace: tradotto in parole spicciole, al momento serve mantenere lo status quo finché il sistema stesso, che è avviato verso l’autodistruzione, si sgretoli dall’interno. Sono convinto che ogni azione militare possa ritardare il processo democratico in Iran, dove il sistema sta perdendo la sua coesione.

Qual è il ruolo giocato dalle donne? Importante: stanno rendendo manifeste le contraddizioni del potere nell’intento di aiutare la crisi. Il loro è un compito arduo e di prim’ordine. Non a caso ho portato l’esempio del sessismo. Le richieste femminili mettono il sistema sotto pressione. Per chi ha un pensiero fondamentalista ogni accenno all’emancipazione ed alla modernizzazione è inammissibile. Le donne minano il sistema alla base. E la religione? Strumento di costruzione o disgregazione? La religione in Iran svolge un’azione disgregatrice perché è troppo pervasiva nella struttura sociale. È endemica ma non unisce. Questo non è un bene, perché gli spazi vuoti sono sempre pericolosi e insidiosi. Il vuoto è contro natura. Noi stiamo pagando un prezzo altissimo, ma il popolo ha capito e sta cercando di evolversi affinché l’essere musulmano sia una parte della vita e non il tutto. Così come accade in altri Paesi.

turisti che visiteranno Londra potrebbero vedere il neo-sindaco Boris Johnson in cima al quarto piedistallo di Trafalgar Square. In posa, silenzioso, con i biondi capelli al vento che dall’alto guarda e protegge la sua città come un eroe moderno. Non si tratterà di una sua effigie in cera ma del sindaco in carne e ossa. È il desiderio dell’eccentrico artista Antony Gormley, tra i vincitori della gara per “arredare” a suo piacimento il quarto piedistallo della famosa piazza londinese, simbolo dell’Inghilterra imperiale, e Boris Johnson potrebbe accontentarlo. La quarta colonna di Trafalgar Square, fatta eccezione per un breve periodo, è sempre stata spoglia di qualsiasi statua o monumento fino al 1999, quando la Royal Arts Society ha iniziato ad “appaltare” ad artisti contemporanei la realizzazione di un’opera per decorarla. Gormley vuole inscenare un happening che duri 24 ore al giorno per 100 giorni consecutivi. Ogni ora sul piedistallo salirà una persona diversa (scelta tra il pubblico su internet) che dovrà esibirsi in qualsiasi attività (mangiare, leggere, prendere il sole, cantare o dormire) per poi lasciare il posto a un’altra. Ad inaugurare quest’opera “rotante”, intitolata “One and Other” in omaggio ai mille volti di una megalopoli come Londra, potrebbe quindi essere proprio il sindaco di Londra, un personaggio alquanto particolare ed eclettico che certo non si tirerà indietro a una simile impresa artistica, anche se si tratterà di fare la statuina vivente. In ogni caso, per salire sul podio vacante Johnson, come qualsiasi altro cittadino, dovrà essere pescato a sorte. «Le possibilità che ho di salire sul quarto piedistallo sono poche ma ammetto che per me sarebbe un grande onore. - confessa Boris al Daily Telegraph - La sua particolarità simbolica è che unisce il moderno all’antico degli altri monumenti presenti a Trafalgar Square».


mondo

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Si apre in Venezuela il vertice fra i due presidenti con Chavez in difficoltà, ma a tenere banco sui media è un sexy scandal

Uribe vola, Caracas vede nudo di Maurizio Stefanini

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Turchia 1 / Linea dura di Berlino contro Pkk Berlino non accetta «pressioni dal Pkk»: a metterlo in chiaro è il ministro degli Esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier, riferendosi alle condizioni poste dai ribelli del Partito dei lavoratori curdi per rilasciare i tre alpinisti tedeschi rapiti ieri sul Monte Ararat, nell’est della Turchia. «La Repubblica federale tedesca non si lascia ricattare», ha affermato Steinmeier a Berlino, chiedendo la liberazione immediata e senza condizione dei tre ostaggi bavaresi. I ribelli, che hanno rivendicato il rapimento, hanno chiesto alla Germania di «mettere fine alla sua politica ostile nei confronti del popolo curdo e del Pkk». In caso contrario i tre ostaggi - Helmut Johann, Martin Georpe e Lars Holper Reime - non verranno rilasciati.

on è proprio l’equivalente del caso “nostrano”, ma dopo la gloria della brillante risoluzione del sequestro di Íngrid Betancourt anche la politica colombiana corre il rischio di avvitarsi su una vicenda sexy-politica. Proprio ieri un sondaggio del survey “Barometro iberoamericano della governabilità” confermava che è Álvaro Uribe Vélez il presidente più popolare del continente: dal 62% di un anno fa all’85% di oggi. E sono dati di marzo-giugno: quando c’erano già stati i contraccolpi positivi delle morti di tre dei massimi leader delle Farc, ma non dell’Operazione “Scacco” per la liberazione degli ostaggi. I successivi sondaggi per il voto del 2010 gli danno un 72% di voti se si candidasse, contro il 9% della stessa Betancourt e un 3% del ministro della Difesa Juan Manuel Santos. Se invece non si ricandidasse sarebbe la leader verde in testa, con un 31% contro il 15% di Santos. Ma il 77% dei colombiani si dichiara a favore di una riforma costituzionale per permettere la terza candidatura, contro un 23% appena di contrari. E pompato dalla popolarità interno Uribe si presenta oggi a Caracas, a un vertice con Chávez.

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Nulla di più altalenante delle relazioni tra questi due personaggi, passati dall’inaugurare assieme un importante oleodotto a dicembre alla quasi guerra di marzo, dopo l’uccisione in territorio ecuadoriano del numero due delle Farc Raúl Reyes, in un blitz all’israeliana. Ma sembra che proprio il materiale compromettente sulle sue relazioni con la guerriglia trovato nei laptop dello stesso Reyes abbia indotto Chávez ai più miti consigli, fino a fargli consigliare pubblicamente alle Farc di consegnare le armi. Comunque, la morte di Tirofijo ha precipitato una dissoluzione che non rende più le Farc un soggetto militarmente affidabile. Poichè ormai gli ostaggi più pregiati

I sondaggi sulle presidenziali 2010 danno il leader colombiano al 72%, contro il 9% della Betancourt

Turchia 2 / Attacco Consolato Usa, 4 fermi La polizia turca ha fermato ieri mattina quattro persone sospettate di avere collegamenti con l’attentato di ieri davanti al consolato americano che è costato la vita a tre poliziotti e in cui sono morti anche tre terroristi. Le indagini sono ancora in corso. Già mercoledì a ridosso dell’attentato la polizia aveva fermato una persona. Il ministero dell’interno non ha specificato se fra le persone fermate ieri c’è anche il quarto uomo, il terrorista riuscito a fuggire ieri a bordo della Ford Focus subito dopo l’attacco. Da sinistra: i presidenti Alvaro Uribe (Colombia) e Ugo Chavez (Venezuela). In centro, la ministra Ydis Medina ritratta per SoHo, rivista patinata per soli uomini

sono stati liberati senza la sua mediazione, Chávez cerca di capitalizzare quel che può: anche perchè il governo colombiano vuole ora una trattativa diretta con le Farc, visto che uno svizzero della mediazione europea è stato accusato di collusione coi guerriglieri.

Íngrid Betancourt, che dice di non volersi tagliare i capelli fino a quando tutti i residui ostaggi non saranno liberati, ha indetto sul tema una grande manifestazione a Bogotá e a Parigi in contemporanea per il 20 luglio, data della festa nazionale colombiana. E la stessa Betancourt si propone a sua volta come mediatrice tra Chávez e Uribe, dicendo che rappresentano due popoli fratelli e che per liberare gli ostaggi c’è bisogno della buona volontà di tutti. D’altra parte, in questo momento l’asse delle alleanze chaviste è ridotto abbastanza male. Il boliviano Evo Morales ha sei dipartimenti su nove in rivolta contro di lui e aspetta per agosto l’esito di un referendum revocatorio dall’esito incerto, se perderà il quale promette di “tornare al suo campo di coca”. L’ecuadoriano Rafael Correa, che deve affrontare a sua volta un referendum su una nuova Costituzione, ha appena perso il ministro delle Finanze, dimessosi per protesta dopo che il governo ha messo le mani su due televisioni. E nell’Argentina di Cristina Kirchner, paralizzata dallo sciopero degli agricoltori e a rischio di default, sono

tornate come nel 2001 le reti di baratto, per chi non può più permettersi di fare la spesa in denaro.Insomma, è un momento di grande effervevescenza.

Ma come l’Italia si agita per i pettegolezzi sulla ex-soubrette diventata ministra, così anche in Colombia l’argomento del giorno sono le sette foto nuda che la trentottenne ex-deputataYdis Medina si è fatta scattare per la rivista per soli uomini SoHo. Ydis, il cui fisico più che giunonico è boteriano, ad aprile ha confessato di essersi fatta corrompere nel 2004, al momento di esprimere un voto decisivo alla riforma costituzionale che ha permesso la rielezione di Uribe. Dopo di che è finita agli arresti domiciliari per 47 mesi.Va ricordato che in seguito era passata a sostenere avversari politici del presidente: perché non le erano stati dati i benefici promessi, dice ora. In principio fragoroso, lo scandalo della cosidetta Ydispolitica era passato in secondo piano, quando dai laptop di Reyes era esploso l’altro scandalo della Farcpolitica. Ydis tenta allora di recuperare protagonismo in questo modo. «Vengo da una famiglia molto umile che mi ha insegnato valori che ho tentato di perdere in politica e che oggi sto recuperando», ha detto a SoHo. Qualche sostenitore di Uribe ha commentato che se è questo il tono di quel che Yidis può “svelare”, allora il Presidente è bello e scagionato.

Rapporto Ue, i giovani leggono poco I giovani leggono poco e circa un terzo dei lavoratori europei continuano ad avere un titolo di studio molto basso. È quanto evidenzia il rapporto 2008 presentato ieri dal commissario europeo per l’istruzione, la formazione, la cultura e la gioventu’ Jan Figel. Finlandia, Irlanda ed Estonia hanno riscontrato la più bassa percentuale di quindicenni che non leggono, sotto il 14%. L’Italia invece è al 26,4%, ma il Paese con i giovani che leggono meno sono la Romania e la Bulgaria con il 51% e il 53,5%. Repubblica Ceca, Polonia, Slovacchia e Slovenia hanno il più alto numero di studenti che completano la scuola secondaria superiore: quasi il 92% nel 2007. In Italia ci fermiamo al 76,3%. I Paesi con una minore quota di abbandoni scolastici sono la Repubblica Ceca, la Polonia e la Slovacchia, tutte sotto il 10%. In Italia la percentuale relativa al 2007 è invece del 19,3%.Per quanto riguarda l’educazione permanente: Svezia, Danimarca e Regno Unito hanno ottenuto i migliori risultati, con un tasso di partecipazione a programmi di istruzione permanente pari rispettivamente al 32%, 29,2% e 26,6%. L’Italia raggiunge soltanto il 6,2% per il 2007. Il livello europeo che si vuole raggiungere nel 2010 è del 12,5%

Spagna, muoiono 9 bambini clandestini Quattordici immigrati originari dell’Africa sub-sahariana, tra i quali nove bambini tra i 12 mesi e i 4 anni, sono morti a bordo di un battello che li trasportava verso il Sud della Spagna. Lo ha annunciato la radio spagnola aggiungendo che un’unità della polizia marittima aveva intercettato l’imbarcazione durante la notte al largo della provincia D’Almeria (Sud del Paese) con 35 sopravvissuti a bordo, tra i quali tre donne incinta. I sopravvissuti hanno detto che quattordici compagni erano morti durante il viaggio.

«Obama è parte del sogno di Luther King» Barack Obama, candidato democratico alla presidenza degli Stati Uniti, «rappresenta una parte del sogno di mio zio Martin Luther King che si realizza»: lo ha affermato Isaac Newton Farris junior, presidente del Martin Luther King Center di Atlanta e nipote del grande predicatore nero


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speciale approfondimenti

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Pubblichiamo l’introduzione e due capitoli di un saggio dedicato alle radici del pensiero liberale

LA FILOSOFIA E LO SPIRITO DELLA LIBERTÀ di Giancristiano Desiderio a domanda, in vero polemica assai, senz’altro animosa,“A cosa serve la filosofia?” è giunta alle mie orecchie ben presto, fin da quando frequentavo il liceo e facevo la conoscenza di quei filosofi antichi i cui nomi - Socrate, Platone, Aristotele, Epicuro, Parmenide, Eraclito, Protagora - continuano ad affascinare quotidianamente la mia mente. Quella domanda - riconosciamolo subito, insieme, io e te, caro lettore - ritorna sempre appena la filosofia salta fuori: «Sì, ma a che cosa serve in concreto la filosofia?». E ritorna con maggior forza oggi che viviamo in una particolare stagione che è stata giustamente definita età della scienza e della tecnica. La scienza è così utile e pratica, la tecnica è così po-

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con se stesso e con gli altri è stato Socrate che ha riconosciuto di sapere solo di non-sapere. Facendo questo tipo di anamnesi o di confessione in pubblico Socrate ha mostrato a tutti e una volta per sempre due cose: 1. il sapere ha le sue radici nella vita e, dunque, ogni sapere è ignorante e limitato, e la filosofia non è una dottrina ma vita filosofica ossia vita che fa esperienza dei suoi limiti; 2. se ogni sapere è limitato, allora anche ogni potere – politico, tecnico,scientifico, religioso, militare – deve essere limitato. Da questo limite, sia conoscitivo sia politico, dipende la nostra libertà.

La filosofia, dunque, non riguarda il sapere ma il nonsapere. La filosofia ci mette in guar-

Se ogni sapere è limitato, allora anche ogni potere deve essere limitato tente, entrambe risolvono i nostri problemi. E la filosofia? Voglio dirlo subito con chiarezza: la filosofia serve a salvare la nostra libertà e a mostrare la nostra condizione. In che modo lo fa? Mostrando come ogni sapere umano sia limitato e, in definitiva, sia fondato sul nonsapere. E come si giunge a questa consapevolezza? Senza bluffare, senza mentire a se stessi e, con sincerità, accettando la nostra umana fallibilità. Chi per primo è stato sincero

dia dagli abusi del sapere e del potere: dal potere del sapere e dal sapere del potere. La filosofia “serve a salvare Socrate” nel senso che limitando i saperi e i poteri e mettendo in rilievo la fallibilità dei saperi e dei poteri degli uomini fa risaltare la libertà e la responsabilità dei singoli individui. Il fatto che Socrate raggiunga questo scopo, ossia la salvezza delle nostre vite morali e intellettuali, sacrificando la sua stessa esistenza è la dimostrazione più

diretta che la filosofia non è un sapere ozioso e “serve”, nel duplice senso della parola: è utile e è al servizio di ciò che va oltre sé. La filosofia è coraggio. Ecco un altro elemento sorprendente. Perché di solito il filosofo lo si immagina come un tipo tranquillo che vive al sicuro nel suo studio e tra i suoi libri. Ma questa figura è più quella del professore che non quella del filosofo. Ogni filosofo non può filosofare senza rischiare e mettere in gioco la vita. Nel duplice senso che non c’è pensiero senza vita e non c’è libertà senza opposizione della vita al potere. La lezione di Socrate è qui: non si sottrae al dovere di mostrare al potere di essere ignorante e quindi di dover essere limitato. Si oppone con la vita all’ingiustizia di un potere del più potente, che non è una buona educazione per i giovani.

Socrate sa che dobbiamo vivere secondo ragione, ma allo stesso tempo sa che non si può vivere secondo una ragione illimitata e, dunque, che la ragione non serve ad accrescere il potere ma a limitarlo facendo così spazio alla libertà e alla “cura dell’anima”. Socrate propone un nuovo modello di educazione dei giovani che non si basa più né sul potere della poesia che produce incantesimo e in generale oblio di sé, né sul diritto del più forte. Socrate propone un’educazione che è innanzitutto un sapere critico e, dunque, un sapere limitato che proprio basandosi sulla conoscenza del limite e dei limitati poteri umani consente di difendere la libertà del singolo, la

sua capacità di giudizio e il rapporto con la comunità e con quel “senso” che lo lega e lo apre agli altri. La filosofia è il contro del potere perché ne è una critica ironica costante. Ma la cosa più importante è che tutto ciò, ossia questa filosofia, Socrate prima di teorizzarla, la testimonia. Se non l’avesse testimoniata con la sua vita e con la sua morte, il valore della sua filosofia sarebbe stato pari a zero. La sua morte vale tutti i libri di filosofia del mondo perché ci dice che la filosofia è lotta per la libertà. Qual è la differenza che c’è tra Socrate e Gesù? Voglio dire: qual è la differenza che c’è tra i due nel fatto specifico e più importante della loro vita esemplare, ossia nell’esser morti per salvare gli altri? Nessuna. Entrambi sono morti per salvare ossia per mostrare la libertà e la responsabilità degli uomini che per superare le loro colpe e ingiustizie non possono credere di farlo condannando a morte un innocente che paga per tutti. Entrambi hanno testimoniato questa verità umana, entrambi sono stati dei martiri). Hanno vissuto in tempi, luoghi e culture diverse, ma le loro vi-

te e le loro morti convergono su una verità che si rivela universale: gli uomini non possono salvare se stessi uccidendo, condannando o additando alla folla o alla società un innocente. L’opera di René Girard ha messo in luce la verità che si rivela con la morte di Gesù: la fine del sacrificio come capro espiatorio. Non è dunque compito di queste righe parlare di ciò che altri hanno già fatto e meglio. Ciò che si vuole mettere in luce, invece, è che non c’è filosofia senza vita in gioco, non c’è libertà senza una vita che si oppone al potere o anche solo alla tentazione dell’abuso di potere che sempre si annida in chi può e in ciò che può.

La risposta alla domanda “Come vivere?” è sempre provvisoria e sempre individuale e, quindi, non c’è un sapere-potere che possa dare una risposta universale che valga per tutti e per sempre. La vita è sempre in gioco. Socrate, come Gesù, l’ha giocata fino in fondo proprio per salvare le condizioni di possibilità del gioco. La filosofia, alla lettera, salva la vita. La filosofia è lo spirito liberale. Questo è il tema del libro.


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Chi accusa Socrate vuole farlo tacere scelto di vivere secondo la ricerca della virtù e il dialogo con gli altri. Lo farà fino alla fine: aspettando la morte converserà con i suoi amici in carcere. Anche la morte, soprattutto la morte, è parte della sua filosofia, cioè del suo modo di vivere: Socrate sceglie di non fuggire e di bere la cicuta per difendere la cura dell’anima, della virtù. Si può morire per difendere una ignoranza dotta? Qui risiede il valore morale della filosofia, cioè della mortale sapienza umana. (...)

onviene iniziare con la domanda che Cherefonte rivolse all’oracolo di Delfi: «Esiste uomo più sapiente di Socrate?» La risposta fu netta: «No». Il responso, però, fu strano, bizzarro, perché Socrate non s’illudeva di possedere una infallibile sapienza o una conoscenza certa. Il paradosso della figura socratica, dunque, è evidente da subito: sapienza e non-sapienza, conoscenza e ignoranza (o, se si vuole, incertezza) coincidono. È il cuore del «problema Socrate» e da qui bisogna partire per tentare di capire l’importanza della sapienza umana di Socrate, ossia della sapienza mortale che gli umanisti chiamarono «dotta ignoranza». L’Apologia di Socrate non ci presenta una teoria o, peggio, un sistema, bensì una vita filosofica. L’Apologia ci parla di una vita che ha messo se stessa alla prova perché una vita che non fa di queste prove o ricerche, ossia come migliorarsi, non merita di essere vissuta. Questa è la filosofia di Socrate e questa la sua vita: in lui pensiero e azione, filosofia ed esistenza si sovrappongono. Tentare di separare il suo pensiero dalla sua azione per cercare di intendere la sua filosofia senza la sua vita è insensato, più che impossibile. Socrate ha

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La condizione di Socrate, dunque, è universale: gli uomini in quanto sono mortali non sono sapienti e la sapienza alla quale possono aspirare è quella che parte dalla consapevolezza della loro non-sapienza. Karl Popper direbbe più o meno così: non sappiamo nulla, dobbiamo essere umili, non dobbiamo bluffare dicendo di sapere ciò che non sappiamo. La frase «Socrate sa solo di non sapere» si può rendere con «gli uomini possono sapere solo di non sapere». Dal non-sapere socratico dipende, come si vedrà, la nostra libertà. La rivoluzione cognitiva di Socrate – che più avanti approfondiremo – non è fine a se stessa e ha importanti conseguenze etiche e politiche che sono a loro volta una rivoluzione spirituale. Nell’Apologia, subito dopo aver interpretato l’enigma di Apollo, Socrate aggiunge: «Io ricerco e indago, in base a ciò che ha detto il dio, se io possa giudicare sapiente qualcuno dei cittadini e degli stranieri. E, dal momento che non mi sembra che sia tale, venendo in soccorso al dio, dimostro che non esiste un sapiente» (Apologia, 23 b). Non ci vuole molto a capire dove si va a parare: c’è in gioco la politica, il potere, lo Stato, la Città. È un crescendo: «Per giunta, i giovani che mi seguono di loro spontanea volontà, quei giovani che più di tutti hanno tempo libero e che sono figli dei più ricchi, gioiscono nell’ascoltare come questi uomini vengano da me sottoposti ad esame, e più volte essi stessi mi imitano, e quindi cercano di sottoporre ad esame anche altri. E allora – credo – trovano una grande abbondanza di uomini che sono convinti di sapere qualche cosa e che, invece, sanno poco o niente» (Apologia, 23 c). Socrate è imitato. Non è solo lui a mostrare come chi dice di sapere in realtà non sa: anche i giovani fanno altrettanto. Il sapere è sottoposto a pubblica critica. Il potere è sottoposto a pubblica critica. E il sapere-pote-

re reagisce: «Di conseguenza, quelli che vengono sottoposti ad esame da loro, si adirano contro di me e non già con se medesimi, e affermano che Socrate è in sommo grado abominevole e che corrompe i giovani. E allorché uno domanda a loro che cosa fa e che cosa insegna Socrate, non hanno nulla da dire e non lo sanno» (Apologia, 23 d). A questo punto scatta l’accusa: «E per non far la figura di non saperlo, dicono le solite cose che dicono contro tutti i filosofi, e cioè che fa ricerca sulle cose che stanno sotto terra, che non crede nell’esistenza degli dei e che rende più forte il ragionamento più debole» (Apologia, 23 d). È un’accusa classica: è un filosofo, è un ateo, è uno strano tipo, è un corruttore. Proprio quando Socrate mostra che la sapienza umana non è né certa né divina né infallibile, il potere, tracotante, lo accusa di tracotanza. Il potere reagisce perché si sente minacciato dalle ricerche socratiche, cioè da un discorso pubblico che prova a giustificare nel confronto del dialogo i saperi e le azioni degli uomini.

Il sapere di Socrate è un sapere sui generis: il sapere morale. Socrate si chiede: «Cosa devo fare?», «Come devo agire?», «Come devo vivere?», «Come devo pensare?» o, se si vuole, «Cos’è il Bello?», «Cos’è la Giustizia?», «Cos’è il Bene?». Sono domande per le quali non abbiamo a disposizione delle risposte pronte, come se potessimo aprire un libro, un dizionario, un codice o una cassetta degli attrezzi che ci dà uno stru-

fare gli altri, né può sapere cosa deve fare lui in assoluto: cioè sempre e comunque. Ciò che sa con certezza è che non deve commettere ingiustizia. Il sapere morale ha a che fare con la vita che essendo un misto di essere non-essere è sottoposta al divenire. La vita umana è contingente e non c’è un sapere mortale che possa sapere in anticipo sempre e comunque cosa fare. Il sapere morale è di per sé un miscuglio di essere nonessere, sapienza e ignoranza, e nessun uomo può racchiudere in una proposizione il senso della vita. A cosa serve, allora questo strano sapere socratico? Suo scopo è quello di far emergere la persona e la sua libertà di scelta. Nessuno si può sostituire a nessuno. Come dice Sartre ne L’essere e il nulla l’uomo è ciò che progetta di essere: se io sono mobilitato in una guerra, questa è la mia guerra, me la sono meritata, perché potevo non arruolarmi e se per un motivo o per l’altro mi arruolo, quella guerra in fondo l’ho scelta. La scelta è mia e dire di essere obbligato è malafede. Volgarmente noi diciamo: «Nessuno mi può dire quello che devo fare.» Signifi-

Avrebbe potuto salvare se stesso rinunciando alla sua scelta di vita mento pronto per l’uso. Il sapere di cui Socrate va alla ricerca o, meglio, il sapere che Socrate mette in questione con la sua ironia e con il suo metodo dialettico della domanda e della risposta non è il «sapere che» né il «sapere come» perché non è un oggetto né un calcolo. È un sapere che riguarda la vita dell’individuo e ogni uomo deve rispondere a queste domande con la vita. Da questo punto di vista, Socrate è assolutamente sincero quando dice di non sapere. Non può sapere cosa devono

ca: il potere non mi può imporre il sapere perché il potere non è onnisciente. Così interpretato, il non sapere socratico è il padre della nostra libertà e di sua sorella la responsabilità. Perché allora Socrate non disobbedì alle leggi? Perché non fece prevalere la legge non scritta su quella scritta? Quella giusta su quella ingiusta? Perché fece decidere il suo destino alle leggi, cioè allo Stato, quando persino i suoi giudici gli riconoscevano una via di fuga. Siamo davvero sicuri che non fu Socrate

a scegliere il suo destino? Proprio perché gli fu offerta più di una possibilità di salvare la pelle, non scelse lui consapevolmente di morire? Socrate non aveva paura di morire. Questo è il punto capitale, insieme al non-sapere, della sua filosofia, ossia del suo modo di vivere. Nei Dialoghi si contano a decine e decine i passi in cui Socrate spiega perché non ha paura di morire, mentre teme di commettere ingiustizia. L’Apologia, cioè la difesa della vita filosofica di Socrate, è tutta impostata su questo tema: «Ma badate bene, o cittadini, che non sia questa la cosa più difficile, ossia sfuggire alla morte, ma che molto più difficile sia sfuggire alla malvagità. Infatti, la malvagità corre molto più veloce della morte» (Apologia, 39 a-b). Il tema centrale della vita socratica è questo: che cosa è meglio, morire ma far vivere il bene e un’idea libera dell’umanità o vivere ma far morire la verità e far vivere un’idea ingiusta e asservita dell’esistenza umana? È la paura della morte a fare la differenza. Chi accusa Socrate ha un obiettivo: farlo tacere. Socrate non può tacere perché lo scopo della vita filosofica è migliorarsi attraverso il necessario dialogo con gli altri uomini. Socrate avrebbe potuto salvare se stesso rinunciando alla filosofia (alla sua scelta di vita). Ma se avesse «abiurato» (è difficile parlare di abiura per Socrate dal momento che Socrate non ha una dottrina, non ha una verità, sa solo di non sapere) avrebbe negato il valore della sua filosofia che consiste proprio nel salvare l’individuo dalla violenza del potere (...).


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speciale approfondimenti

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Vigilare sulla libertà contro gli abusi di potere el 1939 Croce scrisse un saggio in cui analizzava i motivi del declino dell’ideale della libertà e formulava la necessità di una compiuta teoria filosofica della libertà. In quel saggio, intitolato Principio, Ideale, Teoria. A proposito della teoria filosofica della libertà, che gli fu richiesto dalla direzione della Science of culture di New York, il filosofo dice che «un pensatore, che non soffra il suo problema e non viva il suo pensiero, non è un pensatore, ma un retore, ripetitore di formole che furono pensieri già pensati in passato o da altri». Davvero Croce soffriva il suo problema e viveva il suo pensiero. Alla vigilia del secondo conflitto mondiale (vigilia italiana, perché la guerra di Hitler e Stalin era già iniziata) Croce ripensava il problema della libertà cercando di comporre in una «teoria» quella «religione della libertà» che aveva già enunciato nella Storia d’Europa. Tutta la sua attenzione era dedicata a illuminare i molteplici aspetti della libertà. E cercava di ricondurli a tre filoni o gradi. Il primo: la libertà come forza creatrice della storia. Egli ripeteva il noto detto di Hegel, ma «in senso alquanto diverso da quello hegeliano», che la storia è storia della libertà. L’illibertà, infatti, è sterile. Così anche sotto i regimi autoritari gli oppressori sono costretti, loro malgrado, a promuovere opere di libertà perché hanno bisogno di servizi e servigi per mandare avanti lo stesso loro ordinamento sociale: non si può fare a meno di medici, di ingegneri, di giuristi, di amministratori, di scienziati, di scrittori e poiché l’opera di costoro non si può formare sotto una pressione meccanica, si è costretti a lasciarli più o meno liberi nella formazione e nell’azione. D’altra parte, nota Croce che parla per esperienza diretta, ci sono gli sforzi degli oppositori ed oppressi che, «aperti, nascosti o taciti» ci sono sempre e lavorano oggi per domani. Si capisce, allora, che cos’è la libertà intesa come forza creatrice della storia: senza libertà umana non c’è storia o non c’è storia autentica che meriti di

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essere ricordata e additata come esempio e a sua volta come suscitatrice di storia ed elevamento. Il secondo: la libertà come ideale pratico. È questa la libertà che si oppone a chi le si oppone e che si afferma con «costumi, istituti e leggi che valgono a garantirla». Croce dice che se si va al fondo di questo ideale si vedrà che esso non è punto diverso dalla coscienza morale, e alla volontà di essere liberi si riconducono tutte le virtù morali e le definizioni che sono state date dell’etica, le quali, infatti, «ne ripongono il fine nel rispetto della persona altrui, nel bene dell’universale, nell’accrescimento della vita spirituale, nel procurare che il mondo si faccia sempre migliore, e via discorrendo, cioè, in ultima analisi, nel volere che contro avversioni e impedimenti trionfi la libertà e spieghi la sua forza creatrice di vita». La libertà per Croce è qui la libertà dagli «impedimenti» e dagli «ostacoli», siano essi interiori o esteriori.

Il terzo: la libertà come forza e come ideale pensata nel suo concetto filosofico. Qui Croce pensa, e lo dice espressamente, al suo storicismo assoluto che presenta come il superamento della passata filosofia metafisica e trascendente. Sennonché, lo storicismo assoluto di Croce spesso e volentieri è stato interpretato come la trascendenza capovolta nell’immanenza che, per quan-

quale più alta garanzia ci può essere della libertà se non sapere che la verità stessa è indisponibile alle manipolazioni di un presunto sapere assoluto? Il fondo oscuro del male totalitario nasce proprio da questa indebita pretesa di aver messo le mani sulla verità dell’essere in modo tale da poter realizzare la vera natura dell’uomo. E così vanno lette le critiche che Croce muove al liberismo economico e ai concetti di «eguaglianza» e «giustizia» usati dal comunismo: critiche mosse a dei concetti che sono illogicamente e ingiustamente utilizzati come un sistema di vita o una visione del mondo, mentre la libertà umana, sfuggendo a ogni riduzionismo, ci permette di concepire e comprendere una pluralità di conoscenze e valori. Sarebbe da sciocchi, allora, andare a cercare una teoria della libertà nei sistemi economici o nelle ideologie di partito o negli espedienti politici degli interessi degli Stati o negli istituti giuridici. In riferimento a questo ultimo esempio, Croce dice con grande acume non solo filosofico, ma anche politico e giuridico, che l’assenso morale che si dà a particolari istituzioni non si riferisce alla loro astratta forma, ma alla loro efficacia pratica «in dati tempi e luoghi e circostanze e situazioni», tanto che congegni di libertà che sembrano perfetti giuridicamente possono essere anche strumenti di il libertà e oppressione e, viceversa, strumenti im-

Tutta l’attenzione di Croce era dedicata a illuminare i molteplici aspetti della libertà to capovolta, sempre trascendenza rimane. Là dove, invece, nello storicismo assoluto la trascendenza non diventa una trascendenza immanente, bensì una trascendenza libera, ossia una verità sulla quale la filosofia non mette le mani come se l’avesse a sua disposizione, ma si limita a riconoscerla in ciò che conosce (la storia, la realtà del momento) e in ciò che potrà essere, ma anche non essere (il futuro, l’azione dei singoli). In fondo,

perfetti giuridicamente possono essere strumenti di libertà. E citando Montesquieu, che formulò la teoria dei tre poteri (esecutivo, legislativo e giudicante) ma non poté dimostrare che dal meccanismo istituzionale si genera la libertà, Croce dice in sostanza che lo spirito liberale non nasce dallo spirito delle leggi e, semmai, è l’inverso, lo spirito delle leggi nasce dallo spirito liberale: «Le concrete istituzioni liberali le crea di volta in volta il genio politi-

Benedetto Croce

co ispirato dalla libertà o (che è lo stesso) il genio liberale fornito di prudenza politica. E tener vivo questo genio in un popolo è il supremo dovere, sebbene non si possa aspettare che ciò accada consapevolmente nei più, richiedendo esso profondità di sentimento e forza sintetica del pensiero che è delle schiere elette, delle legioni devote all’ideale».

Benedetto Croce è il filosofo della libertà che nel secolo dei totalitarismi non ha tradito la libertà e proprio nella non breve stagione di nascita e sviluppo del male oscuro è rimasto fedele al suo ideale difendendolo nel pensiero e nell’azione. In due parole, non è caduto in tentazione. Ralf Dahrendorf ha dedicato il saggio Erasmiani a questo specifico tema: gli intellettuali (pochi) che hanno resistito alla tentazione totalitaria. Dahrendorf indica Karl Popper, Raimond Aron, Isaiah Berlin come gli intellettuali esemplari che hanno resistito attivamente al totalitarismo. Vengono definiti «erasmiani» perché con Erasmo condividono le virtù della libertà e sono i rappresentanti di quello spirito liberale che nasce dal rispetto delle virtù cardinali (coraggio, giustizia, temperanza, saggezza). Erasmo da

Rotterdam, l’umanista Erasmo, è visto come «un precoce rappresentante del moderno spirito liberale» proprio perché in lui le virtù cardinali diventano virtù della libertà. Erasmo non ebbe timore della solitudine e dimostrò coraggio nell’affrontare anche in solitudine la sua battaglia (fortitudo); non credette di poter sciogliere tutte le contraddizioni e i contrasti del mondo in una visione unitaria e, anzi, ritenne suo dovere vivere, pensare e lottare nelle contraddizioni della vita e nei conflitti del mondo umano (iustitia); fu un osservatore attento e ironico del suo tempo (temperantia); il suo Elogio della follia è un elogio della saggezza e, dunque, della sapienza pratica dei mortali (saggezza). Il discorso di Dahrendorf è interessante e importante per il nostro. La domanda che ci guida è: quale l’origine dello spirito liberale? In Croce abbiamo trovato una risposta nella teoria della libertà come storicismo assoluto. Le virtù cardinali ripensate da Dahrendorf sono molto distanti?

La prima virtù è il coraggio. Ad un intellettuale, anzi, ad un filosofo non si richiede il coraggio di Socrate di bere la cicuta, ma dovrà certamente mostrare un carattere fermo e deciso nel


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difendere la ricerca della verità. Più un potere (non importa quale, quello politico o quello tecnico o quello religioso...) si presenta come il detentore della verità e più il filosofo dovrà difendere la ricerca della verità che, nella realtà delle cose umane, altro non è che la possibilità di sbagliare. Virtù curiosa, questa, perché si basa sulla certezza dell’incertezza delle umane cose.Va tenuta ferma quando tutti intorno si agitano e fanno rumore e si accodano e perdono la testa e diventano fanatici. La virtù del coraggio intellettuale sarà una virtù anticonformista praticata non per il gusto di fare il Bastian contrario ma con la consapevolezza di difendere la libertà di scelta e di opporsi. La seconda virtù è la giustizia. Per giustizia Dahrendorf intende «la consapevolezza che nel convivere umano ci sono contrasti e contraddizioni che non possono essere eliminati, ma devono essere sopportati in maniera conveniente». Popper diceva che «non può esistere società umana senza conflitto». Senza conflitto non c’è libertà. «Come devo vivere?» Abbiamo visto che non esiste una e una sola necessaria e razionale risposta a questa domanda del terzo tipo. Ci sono più risposte e sono tra loro in conflitto, ma questa pluralità conflittuale che non riguarda solo mondi e culture diverse ma anche la stessa società e persino un solo uomo è la base della nostra libertà e delle nostre azioni. L’esistenza è coesistenza. La terza virtù è la temperanza o la moderazione. Temperanza e moderazione hanno a che fare con la vita e con le sue passioni. Riferita all’intellettuale questa virtù è definita da Dahrendorf, che si riferisce soprattutto ad Aron, come la virtù dell’osservatore impegnato. Chi è l’osservatore impegnato? Colui che non è troppo distante e distaccato dai fatti o dalle situazioni, come se fosse un accademico o un esteta, ma neanche immerso fino al collo nei fatti e negli interessi, come invece sono i devoti di una causa o propagandisti o attivisti. L’osservatore impegnato sarà allora colui che guarderà ai fatti e vi prenderà parte ma che nel contempo, in forza della sua moderazione ma anche della sua partecipazione, potrà esprimere un giudizio, come lo spettatore attento di uno spettacolo. Anzi, l’esercizio del giudizio si potrà fare proprio perché c’è partecipazione allo spettacolo e alla storia della vita. L’intellettuale virtuoso per ben giudicare metterà in gioco la vita con la consapevolezza che ciò gli consentirà di giudicare ma non di esprimere la verità che

sapere di non sapere. Anzi, l’immagine classica del filosofo, quella espressa dal Simposio, è tutta giocata su questa consapevolezza: il filosofo, ossia l’uomo, può essere un amante del sapere, ma non il possessore del sapere. La sua dimensione è quella storica del desiderio, che è destinato a essere appagato e riapparire in tutto il corso dell’esistenza, e non quella divina della contemplazione. L’uomo è a metà strada. Credere di poter diventare divino significa uscire di strada. Persino le idee di Platone sono un modo per restare sulla buona strada umana piuttosto che una via privilegiata per arrivare nel mondo della verità. La vita è di per sé sottratta alla razionalità, mentre è aperta alla ragionevolezza e al dia-logo e nessuno può rispondere una volta per sempre e per tutti alla domanda «Come vivere?».

Erasmo da Rotterdam

«è ineluttabilmente sottratta alla nostra presa» (qui Dahrendorf esprime un concetto quanto mai importante). La verità sarà allora la possibilità di esprimere un giudizio sulla vita

litarismo. Tuttavia, ancora non è ben chiaro il perché? Perché un «erasmiano» – per utilizzare l’espressione di Ralf Dahrendorf – è immune dalla malattia politica e filosofica che si è ma-

classico di un Gorgia: «La verità non esiste e se esiste non è conoscibile e se è conoscibile non è comunicabile.» No. Non si tratta di questo. Sia che neghiamo sia che affermiamo la verità, sia che sosteniamo la sua conoscenza e la sua possibilità o meno di comunicazione siamo sempre nell’ambito dello stesso modello o paradigma: ossia quello del puzzle o del rompicapo che vuole che si concepisca la verità e la realtà della natura umana come un mosaico da costruire una volta che ne è stata trovata la chiave di lettura. Se, invece, diciamo che la verità unica è inconcepibile e che la realtà è da sempre sottratta alla nostra volontà di costruirla ci muoviamo su di un piano diverso in cui né la verità né la realtà (ossia l’azione umana) sono delle cose su cui mettere le mani. Alla base delle virtù della libertà c’è, dunque, quella che possiamo chiamare una rivoluzione cognitiva che, proprio come il paradigma del puzzle, appartiene alla tradizione del pensiero occidentale e, anzi, si è manifestato da subito con la consapevolezza socratica del

La vita è di per sé sottratta alla razionalità, mentre è aperta alla ragionevolezza e al dialogo e sulla sua verità. La quarta virtù è la saggezza o la «fede nella ragione». La ragione a cui fare appello non è né illimitata, né acritica, né priva di passione. Al contrario, la ragione dovrà essere ragionevole e, quindi, dovrà riconoscere i suoi limiti; dovrà per forza di cose essere critica e, quindi, essa stessa sottoposta a critica; dovrà essere appassionata e, quindi, non astratta ma vissuta. Così intesa la ragione sarà soprattutto un atteggiamento, un abito, la disponibilità al confronto, più che la disponibilità di una facoltà.

Le quattro virtù cardinali sono le «virtù della libertà» e se esercitate consentono di non cadere nelle tentazioni del tota-

nifestata nel Novecento? Le virtù della libertà in cosa effettivamente lo immunizzano? Perché sono virtuosi e non tradiscono la libertà e la verità? Perché non indossano, come tanti altri, le uniformi di una verità che pur è condivisa da tanti, forse dalla maggioranza anche se non da tutti, e così ha preso partito? In cosa consiste effettivamente la virtù di un erasmiano? Le quattro virtù hanno un fondo comune che non è il riconoscimento di questa o quella verità o della verità, quanto l’opposto: la inconcepibilità della Verità che, una volta afferrata concettualmente, si tramuta in Realtà o in Potere. Non è semplicemente una formulazione scettica del tipo

La filosofia così concepita è di per sé critica del potere, condanna di ogni abuso di potere che si fonda proprio su una presunzione fatale: il possesso della verità e, dunque, il dominio dell’esistenza. Il ruolo del filosofo o, se si vuole, dell’intellettuale, dovrà essere quello dell’esercizio della critica e dell’ironia. Il compito dell’intellettuale non sarà quello di dire cosa si deve fare, bensì l’altro che dice cosa non si deve fare. Per certi versi l’intellettuale è un custode o un guardiano. Il suo ruolo non potrà non essere quello di resistere perché è la libera vita dei mortali che resiste all’insana idea di essere ricondotta a un piano universale di azione, quale in fin dei conti voleva essere il totalitarismo nella sua stessa distinzione dal classico regime dispotico. È proprio questo che lo spirito liberale mette in luce: l’azione – le azioni degli uomini – risponde all’uomo e non a una superiore conoscenza. Lo spirito liberale ha la sua forza nella formazione della cultura come consapevolezza del limite. In questo senso la cultura è la vera politica perché non c’è servizio più alto e necessario della cultura come conservazione della libertà e dignità umana. Lo spirito liberale è la forza umana della temperanza che si oppone alla tracotanza del potere nelle sue varie espressioni: politiche, tecniche, religiose, filosofiche, militari. Lo spirito liberale vigila sulla libertà affinché sia sottratta ai deliri di onnipotenza e agli abusi di potere che inevitabilmente sorgono in tutti coloro che detengono un potere e hanno scarsa attitudine con l’ironia. Il fondo dello spirito liberale è lo spirito socratico. La filosofia.


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economia

Sempre più complessi i rapporti tra le parti sociali mentre torna lo spettro dell’autunno caldo

Contratti, la riforma langue tra imprese timide e diktat della Cgil di Giuliano Cazzola dire la verità è difficile capire come evolverà il quadro delle relazioni industriali in autunno. Alcuni dei protagonisti hanno messo sul tavolo le loro carte. Lo ha fatto il governo, prima di tutto, il quale – la cosa non era affatto scontata – ha compiuto delle scelte molto radicali all’interno della manovra anticipata anche per quanto riguarda la materia del lavoro.

A

Intanto la predisposizione, sempre per decreto, di un provvedimento come quello della detassazione del lavoro straordinario e dei premi aziendali che, se verrà reso strutturale dopo il periodo della sperimentazione, inciderà moltissimo sulla struttura della contrattazione in vista di una piena valorizzazione di quella «complicità» tra datori e lavoratori a cui fa sempre riferimento il ministro Sacconi. Poi la manovra ha previsto, da un lato, alcune misure di deregolazione del lavoro che possono dare nuovo impulso all’occupazione; dall’altro, assume un ruolo strategico il piano industriale della pubblica amministrazione del ministro Brunetta. Nel Dpef è soprattutto quest’ultima riforma ad avere in carico la sfida di dare maggiore competitività al Paese, poiché si calcola che una riduzione dei costi dello Stato nell’ordine del 25 per cento, da realizzare entro il 2012, produrrebbe un impatto complessivo potenziale stimato in 75 miliardi di euro. Ecco perché non corrisponde a verità che nel Dpef manchi lo sviluppo, dal momento che non vi è ricetta migliore per la crescita

del risanamento, in vista del pareggio di bilancio. Il Documento punta proprio sulla riduzione della spesa corrente per recuperare margini notevoli di competitività. Anche in questo campo il governo non si nasconde dietro le enunciazioni general-generiche e «buoniste» della lotta agli sprechi. È evidente che un contenimento del peso della pubblica amministrazione richiede anche politiche più rigorose nella gestione del personale pubblico. A partire dagli organici e dalle retribuzioni. Negli ultimi otto anni, dal 2000 al 2007 compresi, le retribuzioni di fatto dei dipendenti pubblici sono aumentate del 35 per cento, il doppio dell’inflazione

Sacconi ha provato a imprimere un’accelerata con le sue deregolamentazioni e il ripristino delle parti della Biagi eliminate da Prodi. Ma la svolta potrebbe arrivare con il piano Brunetta sul pubblico impiego. Intanto Cisl e Uil soffrono l’asse tra Pd ed Epifani che si è fermata al 17 per cento e molto più dei lavoratori privati che hanno conseguito incrementi del 20 per cento. Se i vari governi di questi anni fossero riusciti a retribuire i dipendenti pubblici con gli stessi criteri dei privati avrebbero risparmiato una somma pari a 60 miliardi di euro, 7,5 miliardi l’anno. Quanto al tasso d’inflazione programmato, è impossibile non preoccuparsi di una ripresa preoccupante dell’inflazione. Non sarebbe una politica saggia consolidarne gli effetti una rincorsa attraverso salari/prezzi, tanto più che si tratta largamente della cosiddetta inflazione importata. Ma il governo è andato oltre: Sacconi ha voluto ripristinare alcune delle misure della legge Biagi, corrette o abolite nella precedente legislatura. Brunetta poi intende misurarsi a viso aperto (anche nei più recenti emendamenti al decreto n.112) e con alcune scelte di ca-

rattere emblematico con il kombinat sindacale tanto presente e influente nella pubblica amministrazione. I sindacati – altri protagonisti del confronto – sono stati colti di sorpresa. Cisl e Uil avvertono (e soffrono) una sostanziale sintonia tra Pd e Cgil. Non è un caso che la confederazione di Epifani abbia lasciato intravedere una stagione di conflittualità per l’autunno in piena sintonia con le scadenze indicate dall’opposizione, mettendo in imbarazzo i leader delle altre organizzazioni sindacali. Intanto, la trattativa sulla riforma contrattuale langue. Anche la Confindustria non ha ancora assunto una linea di condotta precisa. Emma Marcegaglia eredita la situazione determinata dalla gestione Montezemolo, molto attenta al rapporto con la Cgil e con lo schieramento di centrosinistra. Per adesso la neopresidente si muove ancora lungo un solco

continuista. A Parma si è messa in mezzo tra Sacconi ed Epifani in nome di una generica raccomandazione «buonista» a scongiurare un «autunno caldo». Ma almeno, nell’audizione sul Dpef, ha riconosciuto la correttezza della scelta di un tasso di inflazione programmato all’1,7 per cento nel 2008 e all’1,5 negli anni successivi. Sono queste le posizioni dell’establishment, delle nomenclature associative. Ma quale sarà il comportamento delle imprese e dei lavoratori in autunno? Sono in vista imponenti processi di ristrutturazione produttiva: l’Alitalia, le telecomunicazioni, alcuni settori della chimica e quant’altro. Le imprese sanno benissimo che per affrontare questi processi la collaborazione dei sindacati è estremamente utile.

Ma se questa collaborazione non ci fosse, se le ragioni della politica prendessero il sopravvento sulla gestione della crisi, se i sindacati (o alcuni di essi) si sottraessero a ogni ragionevole assunzione di responsabilità, come reagirebbero le imprese? A sentire alcuni tra i più importanti manager si ha l’impressione che i tempi si siano fatti brevi e urgenti.


edizioni

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VITTORIO STRADA ETICA DEL TERRORE Da Fëdor Dostoevskij a Thomas Mann

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el decalogo del terrorismo

il comandamento supremo è «Uccidi». A differenza che in guerra, dove lo scontro col nemico avviene ad armi pari, l’attetato terroristico contro un singolo o un gruppo è asimmetrico, anche quando l’omicidio coincide col suicidio dell’attentatore. L’imperativo categorico «Devi uccidere!» investe però non soltanto il corpo, bensì anche l’anima del terrorista, la sua responsabilità morale. L’assassinio terroristico, se non è prezzolato, viene compiuto in nome di un Valore assoluto, religioso o laico, che legittima chi lo perpetra contro i principi dell’ordine che vuole annientare. Questa problematica ha trovato la sua espressione più intensa e profonda nel terrorismo russo dell’Otto e Novecento, prefigurando situazioni attuali. Attraverso l’analisi di figure, vicende, riflessioni della storia del populismo e del bolscevismo Etica del Terrore illumina in modo nuovo un passato tuttora presente, grazie anche alla lettura di grandi opere letterarie aperte a questo drammatico tema.

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idee Negli Usa, in cui a giugno cadeva il terzo anniversario della sentenza del caso Kelo vs New London, in cui la Corte Suprema (foto piccola) stabilì che per motivi di public use la proprietà privata può essere espropriata, si accende la ribellione dei libertarian americani che, promuovendo leggi contro la sentenza, si sono dati all’edilizia e hanno dato vita a ”Paulville”, città che prende il nome del candidato americano Ron Paul (a sinistra durante un comizio)

In Texas i fan di Ron Paul si danno all’edilizia e costruiscono una città che porta il suo nome

Il sogno libertario riparte da ”Paulville” di Giampiero Ricci o scorso 23 giugno cadeva negli Usa il terzo anniversario della sentenza sul caso Kelo vs New London. Un caso entrato per i libertarian americani nella Dirty Dozen della storia contemporanea della Corte Suprema.

L

Nel caso Kelo la Corte, riferendosi al quinto emendamento della Costituzione americana, che come l’art. 42 della nostra Costituzione contiene una norma secondo la quale per motivi di public use la proprietà privata possa essere espropriata, sentenzia senza se e senza ma a favore della disponibilità di tale potere da parte del governo. La pronuncia ha messo sul piede di guerra tutti i jeffersoniani d’America che sostengono come così facendo sia stata imposta e d’imperio una immunità di fatto circa i poteri demaniali del governo che apre la porta ad abusi incontrollati. L’importanza del caso non è tanto dovuta alle conseguenze – pure importanti – nell’equilibrio dei rapporti tra cittadini e governo, quanto alla reazione che dalla ennesima battaglia persa, l’America liberista ha tratto nella lotta per preservare i diritti naturali, vita-libertà-proprietà, inalienabili per chi come loro la pensa. Proprietà e intervento governativo diventano quindi oggetto di dibattito e ciò in un momento in cui da più parti ci si affretta, speculando sulla crisi finanziaria scatenata dal Credit Crunch legato ai mutui subprime, a parlare di fine del

ciclo liberista. Naturalmente il concetto di proprietà che va sul tavolo della discussione è una visione allargata di esso, non una pura dissertazione economicista. Va ricordato che i libertarian americani sono stati strenui oppositori all’interno del partito repubblicano dell’intervento governativo per calmierare le espropriazioni immobiliari in corso, ovvero per modificare rapporti contrattuali esistenti tra cittadini in difficoltà e istituzioni bancarie, rimanendo fermi sulla necessità in tempo di crisi di preservare patrimoni aziendali come sono quelli delle banche, rinviando infine alla contrattazione volontaria e al suo luogo naturale di incontro, cioè il Mercato, il cal-

presenta una risorsa primaria per tutelarla e deve disporre degli strumenti necessari.

Una distanza siderale non solo da Barack Obama quindi. Così, come per la reazione anti-Kelo che nel prendere corpo ha abbracciato le legislature di numerosi Stati promovendo leggi contro la sentenza della Corte Suprema, i libertarian sembra abbiano oramai scelto la strada della ribellione a tutto campo contro questa ondata di ritorno complusiva da destra a sinistra verso il caro vecchio Big Government. L’attivismo infatti non si ferma qui. Si fondano commu-

Nelle intenzioni dei fondatori sarà una “contea” completamente libera, dove i dettami di Murray Rothbard, Milton Friedman e Ayn Rand verranno rispettati dogmaticamente colo del prezzo che andrà pagato per gli errori commessi, come al governo il compito invece di sanzionarli adeguatamente perseguendo duramente le responsabilità che si rinverranno.

In una recente lecture apparsa sul sito dell’Heritage Foundation, Robert A. Sirico, presidente dell’Acton Institute for the study of Religion and Liberty, influente Think Thank della destra religiosa americana, firma un esemplare documento di sintesi tra le linee programmatiche della destra conservatrice americana e di quella religiosa, che si conclude con l’asserzione che la libertà è un bene raro e prezioso, ma il governo rap-

nity come quella in Texas denominata “Paulville”, dal nome di Ron Paul, recentemente sconfitto nelle primarie presidenziali (il quale sembra non abbia gradito troppo il gesto). In particolare “Paulville” è e sarà nelle intenzioni dei fondatori una contea, una sorta di Comune completamente libero, dove i dettami dei vari Rothbard, Friedman, Ayn Rand verranno rispettati dogmaticamente. E “Paulville” racchiuderà quindi tutte le persone che sceglieranno di vivere secondo tale stile di vita. In una società come quella americana

storicamente dalla elevata propensione alla mobilità, ai trasferimenti intrastatali, agli esperimenti urbanistici, casi come quello di “Paulville” non dovrebbero sorprendere. Ma proprio osservando “Paulville” e le attitudini nei confronti dell’esercizio del diritto di proprietà e le condizioni di vita abitative contemporanee americane, Bill Bishop e Robert G. Cushing sostengono invece si comprenda molto delle spaccature della presente società degli Stati Uniti d’America. In The Big Sort: Why the Clustering of like-minded America is tearing us apart (2008, Houghton Mifflin Company , pagine 384) gli autori vedono un Paese a stelle e strisce che si stia clusterizzando oltre il naturale, un Paese che sta diventando luogo ideale per chi non ne vuole sapere di ascoltare le ragioni dell’altro, spingendo le persone a scegliere la dimora in funzione del vicinato, con il risultato di una evidente radicalizzazione sul piano sociale e quindi politico.

Altro che decadenza! Se è vero che il nostro è l’evo dell’individuo e della sua ricerca della massima espressione delle sue potenzialità, per lo meno a giudicare dalla battaglia e dai principi ideologici in gioco, l’America e il suo suolo restano pur sempre il laboratorio principe, the lands of the free.


cultura i nuovo insieme. L’impero romano e quello egiziano rivivono nei loro antichi, ma mai passati splendori a Castel Sant’Angelo: nella mole architettonica che domina il Tevere e che, in origine, era il mausoleo di un imperatore immortale, Adriano. La Lupa e la Sfinge: Roma e l’Egitto dalla storia al mito, è il titolo della mostra allestita proprio a Castel Sant’Angelo e che rimarrà aperta fino al 9 settembre. Le opere esposte raccontano lo stretto rapporto che legò Roma e l’Egitto. L’arco cronologico va dal I secolo avanti Cristo fino all’Età dei Lumi, durante il quale l’Egitto da “storia” diventa mito e l’“Egittomania” si trasforma in “Egittofilia”.

D

La mostra, ricca di sculture, perché di pietra fu la civiltà nilotica, si apre con il tema della doppia immagine, egizia e classica, in cui si fecero raffigurare, imitando Alessandro Magno, gli imperatori romani. Come i busti e le statue di Nerone, di Domiziano e del giovane Antinoo. E trovandosi nel Mausoleo di Adriano, come non ricordare la tragica storia d’amore dell’imperatore con il giovanetto che an-

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Venti secoli di storia in una mostra a Castel Sant’Angelo

Cleopatra a Roma Un mito d’Egitto di Rossella Fabiani zioni di Palazzo Altemps. Anche Villa Adriana a Tivoli ha sempre avuto un ruolo fondamentale nelle memorie del rapporto tra le due civiltà. Da lì provengono le statue-personificazioni del Nilo, simboleggiato dalla sfinge, e del Tevere, con la lupa, Romolo e Remo.

L’eredità e la fascinazione del mondo egizio a Roma e della sua eterna carica estetico-simbolica è tracciata anche durante il Medioevo: leoni egittizzanti e sfingi, come quella del Museo civico di Viterbo, impreziosiscono chiostri e monumenti sacri del Patrimonium Petri. Il mito di Ermete Trismegisto e di Iside, rinvigorito

cui Nicolas Poussin. E una tela dell’artista francese, raffigurante La fuga in Egitto (Hermitage, San Pietroburgo), in cui si riprendono alcune immagini del mosaico nilotico di Palestrina, eseguito nel II secolo avanti Cristo, apre la sezione dedicata al Seicento e al primo grande egittologo, il gesuita Athanasius Kircher. Di quest’ultimo sono esposti, fra i diversi pezzi, la statua magica in basalto nero divisa in due frammenti (uno a Torino e l’altro a Firenze) e riunita esclusivamente per la mostra, le incisioni tratte dall’Oedipus Aegyptiacus e i modelli lignei degli obelischi romani (provenienti dal Liceo Visconti di Roma). Da non perdere l’Artemide Eresia (conservata ai Musei Vaticani), la cui iconografia ha suscitato l’interesse di Raffaello, Pirro Logorio, Giulio Romano e anche del geniale gesuita.

Il Settecento, secolo dei Lumi, è documentato dalle note incisioni di Piranesi, tratte dall’opera: Diverse maniere di decorare i camini..., in cui i capricci egittizzanti attestano la diffusione dell’“Egittomania”. In mostra anche reperti e opere provenienti dalla Collezione Borgia-

Dalle passioni di Marc’Antonio, che si fece quasi faraone, alla vera e propria mania dell’epoca illuminista: un’esposizione di dipinti e sculture che raccontano due millenni di suggestioni culturali negò nelle acque del Nilo? Il bellissimo fanciullo si incarna a grandezza naturale nella statua della collezione Farnese del Museo Archeologico Nazionale di Napoli; svetta nelle vesti di Osiride nella scultura che ispirò Raffaello, Pirro Logorio, e Piranesi; appare divinizzato nel busto in pietra rossa, proveniente da Dresda. Un’altra famosissima storia d’amore, quella tra Antonio e Cleopatra, ricorda gli intensi rapporti intercorsi tra Roma e l’Egitto. La battaglia di Azio del 31 avanti Cristo mise fine ai sogni della coppia egizia, rappresentata da due rare teste marmoree. Roma si riempie di capolavori, di tesori e dei primi obelischi. Si riaffermano anche i culti orientali rappresentati dalla più antica figura di Iside (terracotta del I secolo avanti Cristo), da uno splendido sacerdote in marmo rosso e dalla enigmatica statua del Cronocrator, trovato alle pendici del Gianicolo e appartenente alle colle-

dal ritrovamento della Tabula Bembina o Mensa Isiaca (uno dei pezzi più famosi del Museo Egizio di Torino), per la prima volta a Roma dai tempi del sacco del 1527, seduce committenti e artisti del Rinascimento, trovando spazio alla corte papale, come testimoniano i disegni provenienti dallo Städel Museum di Francoforte e utilizzati da Pinturicchio per gli affreschi degli appartamenti Borgia in Vaticano e il raffinatissimo Messale Colonna, conservato a Manchester. Passando per i molti testi ritrovati o pubblicati, come gli Ieroglifica di Orapollo, la Hypnerotomachia Poliphili, I misteri degli egizi di Giamblico, le Antichità di Annio daViterbo, si giunge ai disegni di Pirro Logorio e del Primaticcio. E ancora. Ecco le suggestive immagini dell’innalzamento, voluto da Sisto V, degli obelischi che diverranno, insieme a sfingi e piramidi, un elemento caratterizzante del paesaggio romano, dipinto in una tavola di Benvenuto Tisi, detto il Garofalo, e in seguito anche da pittori stranieri, tra

In alto Iside tra Mosé e Ermete Trismegisto (Pinturicchio) Al centro il mosaico del Nilo (Palestrina) In basso la personificazione del fiume Tevere con la Lupa, Romolo e Remo. A lato Artemide Efesia

na (conservata al Museo Archeologico di Napoli), di cui sono esposti antichissimi pezzi dal 2700 avanti Cristo (III Dinastia), come la cosiddetta “Dama di Napoli”, (in realtà raffigurante un funzionario), fino ad altri più recenti, tra cui alcuni curiosi falsi settecenteschi. E per finire le atmosfere del Flauto Magico rivivono nella ricostruzione della sala egizia della Galleria Borghese, la più nota tra le molte realizzate nel Settecento, con tre tele di Tommaso Conca, dipinte per il principe Marco Antonio Borghese, e due statue di Antoine-Guillaume Grandjacquet, provenienti dal Louvre. La mostra è promossa dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Catalogo Electa.


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personaggi

Cinema. In Italia il doppiaggio ha raggiunto vette di perfezione impensate in altri paesi: eppure i suoi protagonisti spesso sono sconosciuti al grande pubblico

L’arte di prestare la voce di Fabio Melelli

è almeno un campo in cui l’Italia può orgogliosamente rivendicare un primato mondiale, è quello del doppiaggio, una pratica in uso dai primi anni Trenta, giunta negli anni ad assoluta perfezione. All’inizio si trattava di dare una voce ai divi di Hollywood, muti fino al 1927 - l’anno del mitico The jazz singer con Al Jolson - e poi improvvisamente parlanti. Tanto che negli anni Trenta sono pochissimi i film italiani doppiati, mentre quelli d’Oltreoceano s’impongono sul nostro mercato grazie anche al calibrato connubio tra il volto dell’attore e la voce del suo doppio autarchico.

C’

Ma è con il Neorealismo che il doppiaggio diventa sistematico anche per i film italiani: d’altra parte buona parte dei protagonisti di quella felice stagione vengono letteralmente presi dalla strada. Sono spesso operai, come Lamberto Maggiorani, il protagonista di Ladri di Biciclette, impiegato alla Breda di Milano, op-

pure calciatori come Raf Vallone, che ne Il cammino della speranza di Pietro Germi viene doppiato da Mario Pisu. Ma nel dopoguerra si doppiano anche attori giovani di belle speranze con voci troppo ”singolari” per imporsi al primo ascolto: e così in Domenica d’agosto di Luciano Emmer, del 1950, il vigile Marcello Mastroianni viene doppiato da una ancora semisconosciuto Alberto Sordi, già voce di Oliver Hardy, ne I diavoli volanti, e di tanti altri inter-

Tutto cominciò nel 1927, quando il cinema scoprì il sonoro e da Hollywood arrivarono delle voci da ”tradurre” e da reinterpretare preti a stelle e striscie, come il John Ireland di Fiume rosso. E ne La domenica della buona gente di Anton Giulio Majano un ”imberbe” Nino Manfredi parla con lavoce di un tal Corrado Mantoni, in seguito mattatore radiofonico de La corrida. In Poveri ma belli, sorta d’incrocio tra neorealismo rosa e incipiente commedia all’italiana, tutti i giovani protagonisti vengono doppiati: da Renato Salvatori, ex bagnino viareggino doppiato da Giuseppe Rinaldi a Lorella De Luca, doppiata da Flaminia Jandolo, passando per Maurizio Arena, ex barista romano, doppiato da Sergio Fantoni e Marisa Allasio, non ancora duchessa Calvi di Bergolo, doppiata da

Maria Pia Di Meo. Con il cinema di genere, spesso girato in inglese, il doppiaggio diventa una necessità, e tanti eroi del nostro schermo vengono doppiati: Giuliano Gemma e Terence Hill da Pino Locchi, Franco Nero da Sergio Graziani, Bud Spencer da Glauco Onorato. E perfino i cantanti che negli anni Sessanta si cimentano con il grande schermo, pur avendo l’ugola d’oro hanno qualche difficoltà nel porgere la battuta: così i vari Bobby Solo, Al Bano e Little Tony parlano con la voce di Massimo Turci. Senza citare le bellissime della commedia sexy anni Settanta: Gloria Guida si avvale delle sensuali inflessioni di Serena Verdirosi, Edwige Fenech della voce matura e suadente di Rita Savagnone. Proprio quella Rita Savagnone che è stata la moglie di Ferruccio Amendola, voce di Pacino, De Niro, Stallone e Hoffman, ma soprattutto geniale doppiatore di Tomas Milian nella lunga serie di Monnezza e dell’ispettore Giraldi, in cui mette a punto uno slang entrato ormai nel linguaggio comune, fatto di toni sanguigni e impennate romanesche. Solo da pochi anni gli attori italiani hanno ripreso pieno possesso della loro voce, ma a sentire i dialoghi di certe fiction ci sarebbe da invocare un ritorno al doppiaggio anche per gli interpreti nazionali.

Doppiaggio che oggi interessa i soli film stranieri. In alcuni casi l’identficazione dell’attore straniero con il suo doppiatore è tale che nel momento in cui si decide di cambiare voce, ecco sollevarsi le proteste dei fans. È il caso di Roberto Chevalier, simpatico bambino prodigio dei telesceneggiati degli anni sessanta, storico ”doppio” di Tom Cruise, recentemente sostituito da un collega, il pur bravo Riccardo Rossi nell’edizione nostrana de La guerra dei mondi e Mission Impossibile III. Sembra che ci sia stata la necessità di provvedere Cruise di una voce più giovanile di quella di Chevalier, classe

Qui accanto, Marlon Brando in Apocalypse now e in piccolo Sergio Fantoni che in quel film gli diede la voce italiana. Poi, in senso orario: Ferruccio Amendola e gli attori da lui doppiati; Pino Locchi e Sean Connery; Oreste Lionello fotografato insieme a Woody Allen; RIta Savagnone accanto a Edvige Fenech, alla quale prestò la voce quando era agli esordi; infine Gualtiero De Angelis accanto a Cary Grant e con James Stewart

1952: si sa che i divi non invecchiano e l’ultraquarantenne Cruise deve parlare, secondo i decision maker hollywoodiani, sempre come un ragazzino ad onta del tempo che passa. Ma la voce squillante di Rossi non è andata giù agli spettatori italiani che per anni hanno attribuito all’attore la voce di Chevalier fino a considerarla un attributo insostituibile.

Un po’ quello che accadeva un tempo a Oreste Lionello, la voce per eccellenza di Woody Allen, o ancora prima a Carlo Romano, impareggiabile ”doppio” di Jerry Lewis. O a Giuseppe Rinaldi, grande voce di Marlon Brando ne Il padrino e in Ultimo tango a Parigi e ”doppio” di Peter Sellers ne La pantera rosa, dove aveva letteralmente inventato lo strampalato francese dell’ispettore Closeau. E proprio Rinaldi, scom-

parso qualche mese fa, e Chevalier sono stati oggetto di un omaggio al festival ”Voci a Sanremo”, la più importante manifestazione europea dedicata alle voci nell’ombra, diretta da


personaggi

11 luglio 2008 • pagina 21

come Gualtiero De Angelis, voce di James Stewart, Emilio Cigoli, voce di John Wayne e Cary Grant, e Lidia Simoneschi, voce di Ingrid Bergman sono sconosciuti anche ai cultori del cinema. Forse solo negli ultimi tempi qualcosa sta cambiando, e lo dimostra la proliferazione di scuole in cui si impara l’arte del doppiaggio, e la popolarità che godono doppiatori come Pino Insegno e Francesco Pannofino (doppiatore di George Clooney). Finalmente si scopre la bravura dei nostri doppiatori e paradossalmente lo si fa nel momento stesso in cui il livello della recitazione di fiction e film italiani è ai minimi termini: non che un tempo non ci fossero attori cani ma quantomeno le loro carenze erano in parte occultate da qualche ”nobile” voce di doppiatore. Così il peggiore interprete di film d’azione poteva magari avvalersi di Pino Locchi, il doppiatore di Sean Connery, è la più imbarazzante delle bellone della voce di una Rita Savagnone. Sarebbe bello anche oggi pensare a riutilizzare questa pratica per le nostre produzioni televisive: se non altro delle belle voci stornerebbero l’attenzione dalla pessima qualità dei dialoghi e delle sceneggiature.

Claudio G. Fava e Bruno Astori. A Sanremo sono sfilati i migliori doppiatori della stagione, da Saverio Moriones, voce di Tommy Lee Jones in Non è un paese per vecchi (ma anche storica voce di Fritz Wepper, l’Harry Klein de L’ispettore Derrick) a Paila Pavese, doppiatrice di Marianne Faithfull in Irina Palm (è nipote del grande doppiatore Luigi). Ed è stata anche l’occasione per dare visibilità a professioni spesso dimenticate, ma di grande importanza nel campo del cinema. Come quella dell’adattore di dialoghi che deve rendere recitabili in italiano le battute della versione originale, attraverso un complicato lavoro di trasposizione. O come quella del direttore di doppiaggio, un

vero e proprio regista della versione italiana, che deve scegliere le voci più adatte a rimpiazzare quelle originali, facendo spesso un vero e proprio casting.

E tutto questo, almeno in Italia, deve essere fatto a tempo di record e con budget risicati, sacrificando qualche volta la qualità. Qualità, che a onor del vero, è sempre altissima, tanto che difficilmente ci si lamenta

di un doppiaggio italiano, segno del fatto che nel nostro paese c’è una tale competenza in materia da rasentare la perfezione. Sì, perché forse il doppiaggio migliore è proprio quello che non fa sentire la propria presenza, ma si amalgama alla perfezione con le immagini, la musica e i rumori della versione originale, mai sovrapponendosi ma riempendo gli spazi lasciati vuoti dal dialogo. Una professione di servizio che abbisogna anche di tanta umiltà e dedizione, un po’ come quella degli stuntmen che devono surrogare l’azione dell’attore quando questi è impossibilitato o incapace a compierla. Infatti quasi mai il doppiatore diventa una star, e oggi i grandi nomi dei dopiatori del passato -

E del nostro doppiaggio sembrano accorgersi anche all’estero, se è vero come è vero che la notizia della morte di Claudio Capone, pochi giorni fa ha conquistato la prima pagina dell’ autorevole ”Wall Street Journal”. Il nome di Capone dirà forse poco a molti, ma certo la sua voce ha accompagnato tutti noi almeno una sera o un pomeriggio della nostra vita: è stato lui, infatti, lo stentoreo speaker dei documentari di Quark e la voce del bel Ridge in Beautiful. La sua è stata una voce nell’ombra, uscita allo scoperto troppo tardi, da sempre lontana dalle luci della ribalta. Ma d’altra parte la professione del doppiatore ha qualcosa di artigianale, che si tramanda quasi di padre in figlio: non è un caso che Daniela Nardini direttrice del doppiaggio di Non è un paese per vecchi, premiata a Sanremo, sia figlia

di Maria Fiore, attrice e doppiatrice, e che siano tutti doppiatori i componenti della famiglia Izzo. E un mestiere che sembra quasi rifuggire dalle facili celebrazioni, forse perchè ancora oggi al centro di diatribe e polemiche, apertamente osteggiato dai fautori della versione originale e dai puristi, i quali sovente dimenticano che un film non si deve leggere ma vedere. E i sottotioli impediscono la piena fruizione dell’immagine. Forse la soluzione migliore sarebbe vedere ogni film due volte: doppiato e sottotitolato, per non perdere neppure una virgola delle intenzioni dell’autore. Ma sarebbe uno sforzo eccessivo e allora accontentiamoci del doppiaggio, del nostro doppiaggio, che è il migliore del mondo. Un male minore per qualcuno, una grande riserva di professionalità e arte per chi sa cogliere il lavoro oscuro di magnici attori vincolati al buio di una sala per ore e ore, condannati a non mostrare quasi mai il loro volto. Eroi dell’oscurità, degli benefattori spettatori italiani, che ogni tanto dovrebbero ricordarsi che dietro il volto glamour di un divo c’è una voce che aderisce perfettamente, con i toni più giusti e più adatti.


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LA DOMANDA DEL GIORNO

Qual è la vostra opinione sullo scorso No Cav Day? PIENAMENTE D’ACCORDO CON GIANFRANCO FINI: «I MANIFESTANTI ERANO SOLO DEGLI ESIBIZIONISTI»

IL MIO GIUDIZIO? SEMPLICE PACCOTTIGLIA, QUELLA PIAZZA NON MERITA ALTRI COMMENTI

Sulla manifestazione in Piazza Navona e in particolare sugli interventi di Sabina Guzzanti e Beppe Grillo, mi trovo pienamente d’accordo col giudizio del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi (che la ha semplicemente definita «spazzatura»), ma ancora di più concordo con quanto affermato dal presidente della Camera Gianfranco Fini, che molto duramente ha dichiarato che «in piazza Navona sono state pronunciate espressioni oscene nei confronti del Papa e insulti osceni al capo dello Stato. Comportamenti, questi, che nulla hanno a che vedere con la satira: chi se ne rende responsabile non è un comico, ma un esibizionista che va trattato come tale». Mi auguro che tutti questi signori e signoruncoli del girotondo d’accatto e dell’ultima ora riflettano su questo aspetto. E ancora una volta ha centrato bene il nocciolo della questione Gianfranco Fini, definendo gli onorevoli manifestanti del No Cav Day come «uomini politici che adesso si poi dissociano, ma che hanno dato modo a questi personaggi di dar corso a queste espressioni di cui oggi tutti sottolineano la gravità».

Il mio giudizio? Semplice: paccottiglia bella e buona. Anzi, brutta e cattiva. Quello che è accaduto lo scorso martedì nella romana piazza Navona è un’oscenità che, ahimé, non sarebbe potuta andare in scena negli altri paesi europei. E che dire poi degli orribili e strumentali attacchi alla Chiesa? Lo credo che poi il ”day after” delle offese al Papa abbia provocato anche la durissima reazione della Diocesi di Roma, che ha espresso il suo «profondo dispiacere per le parole offensive riferite al Santo Padre» durante la manifestazione in piazza Navona. «Quanto è avvenuto non merita ulteriori commenti» si legge nel comunicato del Vicariato pubblicato da tutti i media itamiani e diffuso anche in Vaticano. La «coscienza laica» del Paese si ribella alle offese rivolte ieri al Papa dal palco di piazza Navona, offese che «nascono e crescono» in una palude di «menzogna e ignoranza». Come al solito, la politica italiana si è resa protagonista di una brutta pagina che passerà alla storia come la solita pagliacciata del paese di Pulcinella, degli spaghetti e del mandolino. Cordialità.

Amedeo De Simone - Asti

LA DOMANDA DI DOMANI

Fa bene Napolitano a firmare il Lodo Alfano? Rispondete con una email a lettere@liberal.it

Arianna Lombardi - Lecce

L’UNICO EFFETTO CONCRETO DEL NO CAV DAY È LA PESANTE ROTTURA TRA VELTRONI E DI PIETRO Al di là dei giudizi circa il No Cav Day dello scorso martedì, l’unica cosa concreta che rimane all’indomani della manifestazione sembra essere in realtà la fine della travagliata alleanza tra Pd e Idv. Ha detto infatti Veltroni: «Molte cose da adesso cambiano, perché ciascuno risponde di quello che fa. La nostra era solo un’alleanza elettorale e poi per fare un gruppo parlamentare unico. La vita è così: bisogna essere in due». L’opposizione che urla in piazza, ha aggiunto duramente, si oppone «a chiacchiere, perché le parole sono parole, mentre i fatti li abbiamo fatti noi». Il gelo tra Pd e Idv renderà ancora più complicata la partita che avrebbe dovuto portare all’elezione di Leoluca Orlando alla presidenza della commissione di Vigilanza sulla Rai?

IL RUOLO DEL TERZO POLO Non c’eravamo mai sentiti così soli noi cittadini Italiani, come in questi ultimi anni. L’impossibilità di assecondare un’inclinazione squisitamente innata, quella di riconoscersi in un gruppo o in un ideale di civiltà comune, ha generato una vera e propria psicosi da abbandono. Lontani dai passionali tempi in cui ci identificavamo in avversari leali, oggi, da destra a sinistra, siamo asfissiati dalla consapevolezza di non poter esprimere una coscienza politica a squarciagola né esibire alcun orgoglio nazionale. Il deserto vizioso nel quale le nostre menti sono state isolate è sovrastato da una cappa pesantissima di nuove ossessioni, e ogni nascente avversità nazionale e planetaria ci coinvolge inermi.Solo tre mesi fa avevamo tirato un sospiro di sollievo dinnanzi all’annunciazione dell’arrivo di una “nuova fase politica”, quella basata sul dialogo e sulla condivisione delle scelte tra maggioranza e opposizione, quella concepita sotto la stella illuminata del Dr. Frankenstein che aveva urlato: «Si-può-fare!”». Ora siamo di nuovo con il fiato sospeso dinnanzi alla notizia del divorzio in casa: chi dav-

CANI E CANICOLA Simpatico scatto lo scorso pomeriggio lungo Madison Avenue (Manhattan), dove camminando ci si poteva imbattere in questa insolita famiglia canina di razza Shitzu: madre, padre e un cuccioletto, con la lingua di fuori per via del caldo torrido

ARROGANTI CON LA FACCIA TOSTA, ALTRO CHE GIROTONDINI

L’ANTIBERLUSCONISMO TIRA PIÙ DEL CHIKI CHIKI

Ha detto Flores D’Arcais a piazza Navona: «Qui in piazza c’è l’altra Italia, quella della coscienza civile e democratica». Questi hanno la faccia proprio tosta... (i puntini sono d’obbligo). Adesso non resta che qualche ritocco e la terza Repubblica è pronta. Primo: Walter Veltroni, per essere credibile, deve rompere con Antonio Di Pietro; secondo: gli arroganti di piazza Navona devono essere tenuti occupati con un mare di querele; terzo: ricordare ai cittadini, almeno ogni mese, le loro porcherie, come hanno fatto e fanno con la destra da sessanta anni, rimescolando sul fascismo e via discorrendo. Grazie per l’attenzione e buon lavoro.

Egregio direttore, i più giovani ci dicono che il tormentone e il ritmo travolgente dell’estate sarà il chiki chiki. Una volta andava di moda la macarena. Ma il giochino oramai ha fatto il suo tempo. La verità è che ognuno ha il suo di ballo e motivetto preferito, che ripete con instancabile passione, intensità e tanta dedizione. Ad esempio, la nostra sinistra, Antonio Di Pietro, buona parte dei giornalisti, dei sindacalisti, dei professori, degli intellettuali e dei magistratati preferiscono «Abbasso il Cavaliere e presidente del Consiglio Silvio Berlusconi». Praticamente, usano ballarlo in tutte e quattro le stagioni. Grato dell’attenzione. Distinti saluti.

L. C. Guerrieri Roseto degli Abruzzi (Te)

dai circoli liberal Gaia Miani - Roma

vero creda che il problema tra i Veltr-usconi siano la norma blocca processi o la questione intercettazioni, scagli la prima pietra. L’asservimento a scopi politici di questioni importanti, quali quella delicatissima dei rapporti tra i poteri dello Stato, in Italia è tristemente di casa, è regola e causa madre della nostra solitudine, nell’assistere e fronteggiare questa infinita Iliade di vittorie da ottenersi con l’inganno. Quale coerente sussulto ideologico può esserci tra il sentimento pro-magistratura anti-premier di queste ore e il colpo gobbo tirato a Forleo o a De Magistris, in regime di centrosinistra? Il bipolarismo, forse, non fa per noi Italiani attratti da quella zona intermedia fatta di franchezza, equità e fiducia. Il Centro o un terzo polo possono intercettare i tanti delusi di un falso bipolarismo se saprà essere interprete reale di una iniziativa politica forte. I Circoli liberal sono impegnati a ridare nobiltà ai valori della Politica. E a Todi lo diremo a voce alta. Elisabetta Pennacchia CIRCOLO LIBERAL POTENZA DAL COORDINAMENTO REGIONALE BASILICATA

Pierpaolo Vezzani Correggio (Re)

COMUNICAZIONE PER I CIRCOLI LIBERAL TODI - VENERDÌ 25 LUGLIO 2008 - ORE 11 Prossima riunione dei presidenti e dei coordinatori regionali liberal all’Hotel Bramante di Todi. A seguire, l’inizio dei lavori del seminario. Vincenzo Inverso segretario organizzativo circoli liberal

APPUNTAMENTI SEMINARIO DI TODI - VENERDÌ 25 E SABATO 26 LUGLIO 2008 Seminario, ore 15.00, Hotel Bramante, in via Orvietana 48 I lavori del seminario, che vedrà la partecipazione tra gli altri di Casini, Cesa, Buttiglione, Vietti, Volontè, avranno inizio il venerdì a partire dalle ore 12.00 e si chiuderanno per le 14.00 di sabato.


opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog La lingua francese, signora amabile e graziosa Trovo che l’impudicizia è una cosa orribile. Mi sembra perfino peggiore della dissolutezza. Le mie opinioni morali mi consentono di credere che i piaceri dei sensi sono un’ottima cosa. Esse mi raccomandano anche di rispettare certi sentimenti, certe delicatezze dell’amicizia, e in particolare la lingua francese, signora amabile ed infinitamente graziosa, la tristezza e la voluttà della quale sono egualmente squisite, ma a cui non bisogna mai imporre delle pose indecenti. Sarebbe disonorare la sua bellezza. Non trattarmi da pederasta, mi fa dispiacere. Io cerco di restare puro moralmente, anche solo per eleganza. Puoi chiedere al signor Straus quale influenza io abbia avuto su Jacques. E la moralità di una persona la si deduce dalla sua influenza sul suo prossimo. Io…ti abbraccio, se mi consenti questa casta dichiarazione. Marcel. Marcel Proust a Daniel Halévy

LA CITTÀ DI NAPOLI NON È UNA PROSTITUTA Sono rimasto amareggiato da quanto accaduto martedì 8 Luglio 2008 a Napoli ore 21.30. Tutto pronto per il mega concerto di Pino Daniele per i suoi trent’anni di carriera, ma appena cominciato si è visto subito che mancava un protagonista: il presente. Lo spettacolo è stato proposto dai media, dal comune di Napoli e addirittura dal governo - attraverso il beneplacito della Prestigiacomo - come evento dell’anno e momento di speranza e di riscatto per una città ferita, concetto ripreso spesso dal protagonista della serata. Ma quale messaggio di speranza può arrivare da chi è stato napoletano fino all’arrivo del successo e poi è andato via? La festa dei disertori che cercano gloria per sé. Napoli ancora una volta è stata trattata come una prostituta. Se fosse stato uno spettacolo musicale nessuno avrebbe avuto da dire niente. Ma per il fatto che ci si è arrogati la facoltà di dare una speranza, allora qualcosa va detto. La speranza di un popolo che vive la vita non risparmiandosi la lotta quotidiana alla ”sopravvivenza” vuole ben altri interlocutori ed

e di cronach di Ferdinando Adornato

Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Gennaro Malgieri, Paolo Messa Ufficio centrale Andrea Mancia (vicedirettore) Franco Insardà (caporedattore) Luisa Arezzo Gloria Piccioni Nicola Procaccini (vice capo redattore) Stefano Zaccagnini (grafica)

ACCADDE OGGI

11 luglio 1798 Viene istituito il Corpo dei Marines degli Stati Uniti 1811 Lo scienziato italiano Amedeo Avogadro pubblica i suoi scritti sul contenuto molecolare dei gas 1859 Viene pubblicato Storia di due città di Charles Dickens 1899 Nasce a Torino la Fabbrica Italiana Automobili Torino, meglio conosciuta come Fiat 1937 Muore George Gershwin, compositore statunitense 1955 La frase In God We Trust (In Dio noi confidiamo) viene aggiunta su tutte le banconote statunitensi 1979 Milano: Giorgio Ambrosoli, commissario liquidatore della Banca Privata Italiana, dopo aver testimoniato davanti a giudici statunitensi sui traffici di Michele Sindona, viene assassinato mentre rientra a casa. 2006 Attacchi terroristici sconvolgono la città indiana di Mumbai, oltre 180 morti

Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Antonella Giuli, Francesco Lo Dico, Errico Novi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Susanna Turco Inserti & Supplementi NORDSUD (Francesco Pacifico) OCCIDENTE (Luisa Arezzo e Enrico Singer) SOCRATE (Gabriella Mecucci) CARTE (Andrea Mancia) ILCREATO (Gabriella Mecucci) MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei, Giancristiano Desiderio,

esempi. Interlocutori che interessano e colpiscono, al di la di un sentimentalismo, sono coloro che non scappano ma sacrificandosi quotidianamente e vivendo dentro un contesto storico e culturale preciso, danno letteralmente la vita per lo sviluppo di una realtà. Guardare qualcuno così può generare un cambiamento di mentalità. Le istituzioni dovrebbero individuare sul territorio punti di eccellenza artistica, intellettuale e tecnica che siano in grado di sostenere la speranza di un popolo e dargli risalto attraverso qualcunque tipo di iniziative i cui protagonisti siano i napoletani di Napoli. Queste realtà di novità che pur ci sono, il presente in sostanza, erano assenti perché c’è una certa visione borghese della città che, tenendola in ostaggio, relega Napoli ad una immagine di incapacità di cui sono espressioni le ormai abusate e diffuse immagini del mal governo e dell’immondizia. C’è bisogno di qualcuno che venga dal di fuori, “esperto”, che metta a posto le cose. Una sorta di statuto Albertino attraverso cui il popolo, chi vuole rischiare veramente con la propria professionalità e vita, sono sistematicamente fatti fuori a scapito del potente di turno.

Ubaldo Molinari

PUNTURE Dopo la manifestazione dei Girotondi la celebre piazza Navona è stata ribattezzata piazza Cafona.

Giancristiano Desiderio

Sostengo che le idee sono eventi. E’ più difficile renderle interessanti, ma se non ci si riesce, la colpa è dello stile FLAUBERT

Alex Di Gregorio, Gianfranco De Turris, Luca Doninelli, Rossella Fabiani, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Pier Mario Fasanotti, Aldo Forbice, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Alberto Indelicato, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Adriano Mazzoletti, Angelo Mellone, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo, Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Claudio Risé, Eugenia Roccella, Carlo Secchi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania

il meglio di SINISTRA COMICA E SINISTRA POLITICA La manifestazione di Piazza Navona segna il divorzio definitivo tra il Partito Democratico e l’Italia dei Valori. Non si sa bene se si tratti di un divorzio consensuale o per colpa. Se Antonio Di Pietro abbia cercato la rottura lasciando le briglie sciolte ai comici estremisti ed ai professionisti del moralismo d’accatto d’intesa con un Walter Veltroni ben felice di trovare il pretesto per abbandonare al suo destino lo scomodo soggetto dell’incauto connubio delle ultime elezioni. O se, invece, l’ex Pm di Mani Pulite abbia inconsapevolmente commesso la colpa di lasciarsi sfuggire di mano una adunata che doveva servire solo a rafforzare il ruolo dell’Italia dei Valori come lancia di punta dell’opposizione e non provocare la spaccatura del fronte antiberlusconiano. Nessuno, probabilmente, conoscerà mai la verità in proposito. Di sicuro, però, il divorzio si è consumato. E la sua conseguenza principale è che grazie alle intemperanze piazzaiole dei comici e dei giustizialisti il Partito Democratico può uscire dallo stallo in cui era caduto a causa della sconfitta elettorale e può iniziare la sua lunga marcia di partito d’opposizione democratica nella legislatura segnata dal governo del Cavaliere. Il percorso non si presenta facile. La presenza del nemico a sinistra rappresentato da Antonio Di Pietro eroderà sicuramente una fetta consistente dell’elettorato del Pd. Qualcuno parla addirittura di quattro o cinque punti e prevede alle prossime europee un sostanziale raddoppio dei voti per l’Italia dei Valori. Inoltre è

facile prevedere che la marcia sarà caratterizzata da una continua lotta interna tra le varie componenti del partito. E che questa lotta andrà avanti fino a quando la traballante leadership di Veltroni non verrà sostituita dall’avvento di un personaggio in grado di coagulare una larga e solida maggioranza interna. Ma, a dispetto di tutti i pericoli e le difficoltà che si prospettano, il fatto che grazie alla demenzialità dei girotondini il Pd abbia sciolto gli ormeggi costituisce sicuramente un bene per il funzionamento della democrazia italiana. Il divorzio, naturalmente, non significa che da oggi in poi il Pd si converta al berlusconismo o rinunci a svolgere il ruolo di opposizione che controlla l’operato della maggioranza. Significa, al contrario, che rispetto alla scelta dipietrista di cavalcare le pulsioni del giustizialismo moralista che si pone volontariamente fuori del sistema politico, il Pd sarà obbligato a svolgere in termini esclusivamente politici la propria azione d’opposizione. E, quindi, non solo ad elaborare proposte, progetti e strategie concretamente alternative a quelle del centro destra ma anche a dialogare con la coalizione di governo sulle future riforme istituzionali e sul quadro di garanzie entro cui maggioranza ed opposizione debbono esercitare la reciproca concorrenzialità. Chiusa definitivamente la fase dell’alleanza con Di Pietro, in sostanza, il Pd è ora libero di fare l’opposizione politica. Alla sua sinistra, infatti, c’è solo l’opposizione dei comici. Che non fa politica ma fa solo ridere.

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Questo numero è stato chiuso in redazione alle ore 19.30


PAGINAVENTIQUATTRO Terremoti, tsunami e asteroidi dalla cronaca alla storia

E le montagne danzarono come...

CAPRETTI di Emilio Spedicato egli ultimi tre anni la terra ha sperimentato tre catastrofi che vanno ritenute come le più gravi, in termini di vittime, degli ultimi tre secoli. L’elevato numero delle vittime non significa che si sia trattato degli eventi maggiori come potenza distruttiva, ma è relazionato al fatto che la popolazione delle terra nell’ultimo secolo è cresciuta di circa quattro volte e che si è avuto un trasferimento da regioni inospitali come le montagne verso regioni più fertili o più vicine alle vie di comunicazione, molte di queste lungo le coste degli oceani. Gli eventi sono stati: - il maremoto che ha colpito il Golfo del Bengala, dovuto a un terremoto sottomarino al largo di Sumatra. La devastazione ha colpito Indonesia, Sri Lanka e Birmania, dove il conteggio delle vittime è stato dato per difetto. Il totale morti deve avere superato i 300 mila, quindi almeno due volte superiore all’evento che colpì il Portogallo e in particolare Lisbona nel Settecento.

N

per il calore si disfano presto o possono essere coperti dal fango, non è facile e lo è meno in un paese poco modernizzato (un fatto per certi aspetti non negativo, quando si pensi a come lo sviluppo in Tailandia e in Vietnam abbia portato all’immensa prostituzione, anche di giovanissimi, finalizzata ai turisti europei, giapponesi e americani). Questo è forse stato il primo tsunami da vento in tempi recenti, come ha notato anche la professoressa Cita, decano dei geologi italiani.

Le recenti catastrofi di Sumatra, Birmania e Cina, nonostante il numero di vittime, sono in realtà di piccola scala. La scomparsa di Atlantide e l’esplosione di Fetonte furono infatti conseguenza di eventi di maggior effetto distruttivo. Sempre che Apophis...

- Lo tsunami da ciclone, che ha colpito la Birmania, nella regione piatta e ampiamente popolata del delta dell’Irawaddi, provocando un numero di morti non ancora stabilito, forse superiore a 200 mila. I conteggi in regioni povere, difficilmente accessibili, dove i corpi

- Il terremoto che ha colpito la parte sud-occidentale dello Szechuan, la provincia più popolosa della Cina, circa 180 milioni di abitanti, concentrati nella parte centrale che appare come un cerchio nelle foto satellitari, forse per via di un antichissimo impatto, e che comprende a oriente parte dell’antico Tibet. La regione colpita non è fra le zone più densamente popolate, ma la violenza del terremoto, circa scala 8 Richter, ha distrutto migliaia di villaggi, danneggiato centinaia di città e cittadine, interrotto le strade, parzialmente danneggiato istallazioni atomiche (questa parte remota fu scelta negli anni Cinquanta per localizzarvi impianti militari difficilmente raggiungibili per via aerea da Taiwan… Deng Xiao Ping si occupò della vicon cenda, grandissima efficienza, fatto che lo lanciò ai vertici del partito come il dirigente con le maggiori capacità manageriali). Il numero dei morti anche qui non sarà noto con esattezza (la stima di quelli del terremoto del ‘76 che distrusse Tangshan varia fra 200 mila e 800 mila!), ma cresce ogni giorno e potrebbe superare i 300 mila. Quindi fra le cifre più alte degli ultimi secoli, tenuto

conto che dopo Tangshan il più distruttivo sembra essere stato quello di Messina e Reggio Calabria, circa 200 mila morti, seguito da un maremoto e dove l’esercito sparò contro gli abitanti che facevano razzie e contro chi veniva sospettato di essere fuggito dalla prigione. Va anche detto che come energia questo terremoto non è stato il più violento degli ultimi secoli, primato che spetta a un terremoto che a inizio Novecento colpì il Cile meridionale, regione assai poco abitata (i locali indios sconfissero ripetutamete gli spagnoli impedendone l’insediamento). Considerando tempi più antichi, gli eventi descritti sono certamente di piccola scala: - da un passo di Orosio si può arguire che l’esplosione di Fetonte, del tipo super Tunguska, sulla Germania del Nord nel 1447 a.C. provocò uno tsunami da vento che devastò parte del Mediterraneo (diluvio di Deucalione e distruzione di Creta) e spinse le acque del Maro Rosso verso sud, provocandone un abbassamente a nord (che permise a Mosè di superare una frana che bloccava la strada, camminando su un tratto di mare diventato asciutto) e devastando lo Yemen, desertificato per tre secoli.

- colossali maremoti hanno devastato il pianeta in occasione del passaggio ravvicinato di un grande corpo, causa più probabile della fine dell’ultima glaciazione e della civiltà di Atlantide, nonché di altri eventi quali l’inversione dell’asse di rotazione terrestre (senza variazione dei poli geografici). - terremoti con onde terrestri sono attesi nel caso di grandi impatti con asteroidi. La stessa esplosione di Fetonte deve avere provocato un fortissimo terremoto, descritto in uno dei salmi con le parole prima del passaggio le montagne danzarono come capretti… E a differenza di quanto Lyell affermava, non è il presente la chiave per conoscere il futuro, ma lo è assai di più il passato. Auguriamoci che Apophis, l’oggetto in rotta di collisione con la Terra recentemente individuato, non la colpisca.


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