Oggi il supplemento
QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA • DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK CONSIGLIO DI DIREZIONE: GIULIANO CAZZOLA, GENNARO MALGIERI, PAOLO MESSA
MOBY DICK
L’ex premier britannico spiega come trovare un accordo internazionale
SEDICI PAGINE DI ARTI E CULTURA
Propongo un nuovo patto per il clima
e di h c a n o cr
di Tony Blair
UN PAESE SENZA RIFORME
9 771827 881004
ISSN 1827-8817 80726
di Ferdinando Adornato
Il finto bipartitismo paralizza l’Italia. Anche una parola debole come “dialogo” diventa una missione impossibile. E la grave crisi sociale, combinata con l’impotenza della politica, può essere molto pericolosa. Dal seminario di Todi il Centro lancia l’allarme...
Cambiamo il gioco da pagina 2 a pagina 7
n questi ultimi anni abbiamo assistito a un mutamento radicale dell’opinione pubblica a favore di un’azione radicale contro i cambiamenti climatici. Di più: si registra una sovrapposizione di ansie: quella legata al clima e quella legata al prezzo del petrolio. Ma in entrambi i casi si punta a una riduzione della dipendenza dal carbonio. La sicurezza eneretica ha assunto un posto rilevante nell’agenda politica. Ed è arrivato il momento di agire. La sfida è fare in modo che il cambiamento si verifichi ad un ritmo che sia al contempo sufficiente, ragionevole e sensato. C’è ormai grande consenso sulla natura di questa sfida e sulla necessità di raccoglierla: la maggior parte della gente non deve più essere convinta del grave rischio rappresentato dal riscaldamento globale. Il petrolio ha superato i 100 dollari al barile e mancano le risorse: a questo punto tutti concordano nel ritenere la sicurezza energetica una questione cruciale e tutti convengono sul fatto che dovremmo ridurre la dipendenza dell’economia dal carbonio. Anche in questo caso, la maggior parte della popolazione ritiene necessario un quadro di azioni nazionali ed internazionali per incentivare, incoraggiare e rendere praticamente obbligatorio un cambiamento così radicale. La domanda vera allora è: come realizzare questo cambiamento?
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s eg ue a pa gi na 12
Presentato il Libro verde sul welfare La sua visione (naif) del mondo
Sacconi riapre il fronte sulle pensioni
Le parole vuote di Barack Obama a Berlino
Fini: «Ma il governo riferisca alla Camera»
L’immigrazione diventa emergenza nazionale
Un documento dopo il ”caso Eluana”
La vita oltre una sentenza
di Alessandro D’Amato
di John Bolton
di Francesco Pacifico
di Assuntina Morresi
Un libro verde per lanciare «un nuovo modello sociale». Il ministro Sacconi, che lo ha presentato, è certo sia la risposta contro la sfiducia di oggi e una leva per avviare un dibattito per riformare l’Italia.
Obama ha ancora molto da imparare sullepolitica estera. Anche se ben accolto a Tiergarten, il suo discorso rivela una visione del mondo ancora più ingenua di quelle con cui gli Usa abbiano mai avuto a che fare.
Stato di emergenza su tutto il territorio nazionale. E’ la decisione del governo per fronteggiare quello che viene definito un «eccezionale afflusso di cittadini extracomunitari».
Trentaquattro associazioni che si occupano di gravi cerebrolesioni hanno stilato un documento spiegando che lo stato vegetativo è una condizione assai lontana dallo stato di morte clinica.
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nell’inserto Creato a pagina 14
SABATO 26 LUGLIO 2008 • EURO 1,00 (10,00
CON I QUADERNI)
• ANNO XIII •
NUMERO
141 •
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• CHIUSO
IN REDAZIONE ALLE ORE
19.30
pagina 2 • 26 luglio 2008
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Il bipartitismo che non c’è
Molte risposte positive alle tesi del convegno di Todi. L’impegno dell’Udc
Un’alleanza per il cambiamento di Riccardo Paradisi
italiana perché prenda atto che questo bipolarismo è incapace di condurre il Paese fuori dalla crisi. Un invito ai “moderati coraggiosi”che vogliono costruire uno spazio politico e culturale dentro il quale dalla diagnosi del declino italiano si passi al lavoro per il suo superamento. Il seminario di liberal a Todi propone un’alleanza dei cattolici e dei liberali italiani per il cambiamento: «Oggi - dice Ferdinando Adornato, nella sua relazione d’apertura - protagonisti di queste culture sono presenti in tutte le aree politiche, in particolare nel Pdl e nel Pd. Occorre unire i moderati, gli in-
presente legislatura possa avere un carattere costituente e si augura che un partito come l’Udc «che ha dato dimostrazione di volersi confrontare e di voler connotare la propria azione alla responsabilità» possa contribuirvi. A non farsi invece troppe illusioni sulla legislatura costituente è Riccardo Nencini, neosegretario del Partito socialista: «Nessuno degli attori di questo bipartitismo vuole davvero una riforma elettorale e costituzionale».
re la storia democristiana e la storia socialista. Noi ci siamo difesi e siamo sopravvissuti. Agli amici socialisti è andata peggio. In questo presente così confuso però non si può fare a meno delle culture politiche. I partiti non possono essere senza identità». La Costituente di centro dunque come occasione per ricostruire un grande soggetto politico cattolico e liberale. «Dobbiamo spingerci tutti un po’ in avanti», ha detto come sempre allusivo Clemente Ma-
stella, «dobbiamo arrivare a un nuovo colore». Un’ipotesi che interessa anche il leader della Rosa per l’Italia Savino Pezzotta che però vuole vedere le carte di questa partita. «Sono anche io convinto che dopo le elezioni di aprile si è aperta una fase nuova», dice l’ex leader della Cisl, «il bipartitismo che ci volevano imporre non è passato e gli elettori, pur compressi da una pressa mediatica fenomenale non si sono ancora abbandonati al bipartitismo, al-
Il giudizio sui maggiori attori politici del Paese da parte di molti relatori del convegno è duro. La formula che lo sinte-
Gianni Fantauzzi
TODI. Un appello alla politica
Adornato: «Occorre unire i moderati, gli innovatori, i coraggiosi oltre gli schemi del finto bipolarismo. È l’orizzonte della Costituente di centro». novatori, i coraggiosi oltre gli schemi del finto bipolarismo. È questo l’orizzonte della Costituente di centro».
Orizzonte che si trova davanti il guado a cui il Paese è appeso, legato a quattro nodi decisivi, tutti ancora pericolosamente irrisolti: la questione istituzionale, la questione giudiziaria – esplosa in un pericoloso conflitto con la politica di settori della magistratura, dei media e dell’opinione pubblica – quella dell’unità nazionale e della modernizzazione liberale. «Ebbene», dice Adornato, «tutte queste questioni sono ancora davanti a noi incancrenite dal tempo perduto. E con questo bipolarismo si rischia di perderne altro: per questo dovremmo chiudere la transizione in un clima unitario di ricostruzione nazionale. Ma gli attuali strumenti non ce lo consentono. Perciò è necessario aprire un nuovo tempo della Repubblica». Un’analisi che trova sponde d’ascolto e di consenso a Todi e non solo all’interno dell’area politica di centro, presente in massa al seminario della città umbra. Il presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni, esponente del Pdl, è d’accordo sul fatto che «la transizione italiana non è compiuta: anzi è vero il contrario. Sui cambiamenti delle regole del sistema ci confrontiamo da anni senza risolvere nulla». Formigoni è però convinto che la
tizza è quella ormai nota e del veltrusconismo: «L’accordo tra Veltroni e Berlusconi», sostiene l’esponente dell’Udc Angelo Sanza «era perverso: far spari-
I circoli liberal, trait d’union tra cultura e politica
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uindici coordinamenti regionali, una struttura diffusa in tutt’Italia, un network cristiano liberale per essere trait d’union del lavoro politico della Fondazione liberal, dell’Udc e della Costituente di Centro. La funzione dei circoli liberal, spiega il loro coordinatore nazionale Vincenzo Inverso, è quella di consentire una partecipazione democratica nelle regioni e nelle provincie italiane a quelle persone che avvertono la difficoltà a incidere nella decisione politica in tempi di bipolarismo blindato e di chiusura a riccio dei grandi partiti. Al convegno di Todi sono intervenuti anche loro, i responsabili locali dei circoli, riconoscendovi «un luogo di confronto raro», come dice Ignazio La Grotta, responsabile regionale della Puglia, «dove i moderati possono finalmente trovarsi e discutere, in un Paese che non si confronta più, che ha abbandonato la prassi democratica della dialettica». Ecco, la funzione del centro, secondo Antonio Cossu, coordinatore dei circoli sardi, è proprio questo: «L’area moderata ha una funzione di ammortizzatore sociale nel Paese, di mediare spinte convergenti che rischiano di diventare estreme per mancanza di sintesi». Un bipolarismo finto dunque, non rappresentativo: questa è anche l’opinione di Federico Tondi, coordinatore dei circoli della Toscana: «Noi siamo riusciti a fare la diagnosi esatta: Berlusconi parla alla pan-
cia degli italiani,Veltroni lo segue su questo terreno. Noi moderati, dopo tante scissioni, dobbiamo ricostruire un grande soggetto politico dei cattolici italiani che parli al cuore e alla testa degli italiani, in nome di una tradizione culturale vera, non improvvisata». Gianluigi La Guardia dei circoli della Basilicata porta l’esempio della sua regione: «Dove siamo riusciti a unire i moderati che hanno capito che Pd e Pdl hanno paralizzato il dibattito politico italiano. Davanti all’Unione di centro ci sono spazi straordinari, temi che solo noi possiamo investire di intelligenza e azione politica: la famiglia, il Mezzogiorno, la bioetica. I moderati e i cattolici dispersi in tutti i partiti forse attendono proprio la costruzione di un perimetro dove incontrarsi». In Sardegna si voterà nella primavera del 2009: «Sarà», dice Cossu, «un importante banco di prova. I circoli liberal si stanno diffondendo velocemente in Sardegna, a dimostrazione che i cittadini cercano spazi di partecipazione altrove negati, e che i moderati, i cattolici e i liberali si sono messi al lavoro per la Costituente di centro». Si tratta, secondo Antonio La Rocchia, coordinatore dei circoli di Roma, «di cominciare a dare risposte ai problemi del Paese chiedendo il consenso per qualcosa, non per qualcuno». Una critica al leaderismo esasperato che è stata il leit motiv di tutto il convegno di Todi.
trimenti noi non ci saremo». Questa per Pezzotta è la base politica da cui ripartire: «Facciamo un percorso costituente, d’accordo, mi interessa. E mi interessa anche l’alleanza tra i moderati e i cristiani che propone liberal. Ma dobbiamo capire quale alleanza dobbiamo stabilire tra di noi prima di pensare ad alleanze con gli altri. La realtà della Costituente di centro è diversa dall’Udc. E possiamo pensare al partito nuovo in termini fusionisti».
Il presidente dei senatori del Pdl Maurizio Gasparri, habitué dei seminari di Todi, è convinto che tra destra e centro l’intesa non è finita per sempre. Un’apertura, anche se più decisa in questo senso, è la posizione di Paola Binetti molto interessata alla possibilità di marciare insieme con chiunque abbia valori condivisi sui temi di fondo: «Le alleanze di nuovo conio non saranno oggi, non saranno domani ma possono essere già oggi forza del cambiamento». Infatti per l’esponente dei democratici esiste in questo momento un bipolarismo etico all’interno stesso dei partiti tra una componente più propensa a portare i valori cattolici all’interno del dibattito politico e una componente di matrice opposta: «Sul conflitto di attribuzioni per il caso Englaro», ha ricordato la Binetti, «esistono in Parlamento due mozioni del Pdl, una a prima firma Boniver e l’altra a prima firma Bertolini che sostengono tesi opposte. Lo stesso vale su questi temi anche all’interno del Pd». Una contraddizione che alla lunga emergerà con forza secondo l’esponente teodem del Pd, e sarà destinata a risolversi in una nuova stagione di alleanze politiche. È dunque cominciato un processo di riaggregazione del centro italiano? Il senatore dell’Udc Totò Cuffaro ne è convinto: «Anzi proprio in questa fase l’Udc non deve cedere ai richiami del Pd e del Pdl, partiti dal consenso facile ma dalla vita breve». Una posizione quella dell’isolamento eburneo che Rocco Bottiglione non condivide: «Chi dice mai con Veltroni o mai con Berlusconi diventa un’appendice della destra o della sinistra. Certo è che chi vuole un rapporto con noi deve un po’corteggiarci».
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Il bipartitismo che non c’è
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Perché sono sbagliate le analisi di chi sostiene il finto bipartitismo
L’allegra brigata dei semplificatori di Renzo Foa ipensando a tutti gli appuntamenti che in questi anni ci siamo dati a Todi e alle intense discussioni che abbiamo avuto, non ricordo di aver mai sentito prefigurare scenari in qualche modo corrispondenti alla condizione politica italiana di oggi. Il Pdl non è certo quel soggetto unitario di cui tanto abbiamo parlato, da realizzarsi attraverso la convergenza delle culture moderate, neoconservatrici, liberali o della destra democratica e con la partecipazione attiva e non marginale delle forze che le rappresentano. La rottura che c’è stata fra Forza Italia e An da una parte e l’Udc dall’altra ha dato un segnale opposto, rivelando la profondità dei problemi irrisolti dopo la promessa in gran parte mancata della rivoluzione annunciata nel 2001 dalla Casa delle libertà. Sono problemi pesantissimi, anche se continuo a considerare il quinquennio 2001-2006 il meno negativo dell’infelice storia del nostro bipolarismo. Se mi chiedo perché mi ostino a dare questo giudizio, rispondo subito che quell’esperienza di governo ha avuto comunque il merito di dare una scossa al Paese, perdipiù su un punto chiave, quello della possibilità di attuare delle riforme, di poter affrontare l’eterna paralisi italiana e di vedere nel cambiamento un positivo fattore di stabilità.
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Sarà Pier Ferdinando Casini a chiudere oggi i lavori del Seminario di Todi, che sempre oggi ospiterà anche gli interventi di Francesco Rutelli, Fabrizio Cicchitto e Piero Fassino. Nella pagina a fianco un’immagine della giornata di ieri
Le nostre discussioni di Todi hanno sempre avuto questa caratteristica: come dare corpo, sostanza e continuità alla novità rappresentata dal centrodestra, come unirsi consensualmente in un partito democraticamente organizzato, la cui ragione sociale fosse l’innovazione e i cui valori di riferimento fossero liberali e popolari. Ma della sostanza di queste discussioni – dove è stato intenso l’intreccio tra ricerca culturale e analisi politica – nel progetto del Pdl c’è poco o nulla. E poi è molto difficile ritrovare nell’azione compiuta finora dal nuovo governo i segni della scossa e dei tentativi di rottura rispetto al passato compiuti tra il 2001 e il 2006. Sì, c’è stato l’eccezionale raccolto ottenuto da Silvio Berlusconi, c’è una maggioranza molto forte e finora molto compatta in Parlamento. Ma c’era da aspettarselo dopo la disastrosa esperienza prodiana e di fronte al ritardo e alle difficoltà con cui Walter Veltroni si è presentato sul mercato elettorale. Ma c’è stata soprattutto la semplificazione del sistema politico con la cancellazione di sigle e partiti, accolta con tanto entusiasmo, ma difficilmente destinata a prefigurare un assetto stabile e duraturo. C’è un unico argomento che è stato una costante dei nostri incontri di Todi: il ten-
tativo importante di costruire un clima di dialogo fra le forze contrapposte e di superare una lunga stagione di delegittimazione reciproca e di “guerra civile”a bassa intensità. Ma tutto il resto è andato in modo molto diverso. Il progetto politico e culturale del Partito delle libertà si è ridotto all’improvvisazione del Pdl, che al momento resta un semplice cartello elettorale. E poi è davvero difficile capire fino in fondo il carattere dell’azione del governo. Più che un’azione politica appare come un’intensa attività amministrativa, come il cipiglio decisionista nell’affrontare il problema della spazzatura in Campania o come l’accordo sulla Tav. Per il resto si tratta di incognite, in cui è impossibile leggere i tratti effettivi di una riforma liberale della società e in cui le novità vanno in una direzione molto diversa da quella che ci si deve aspettare da una maggioranza che rivendica un’identità liberale e popolare. Siamo molto lontani dalla svolta di cui c’è bisogno.
Perché? Intanto questo governo non ha un’identità politica coerente e precisa. Fatico in questi mesi a ritrovare la gran parte dei punti di riferimento che pure hanno contraddistinto il conflitto fra centro-
In Italia esiste una cultura più larga di quella rappresentata in Parlamento. E Todi è l’occasione per rilanciarla destra e centrosinistra dal 1994 in poi, se si escludono i ritorni di fiamma antiberlusconiani e il duello con la magistratura. Forse in questo Berlusconi è stato favorito dalla domanda che, negli anni del prodismo, è cresciuta a dismisura nell’opinione pubblica di veder risolti almeno dei problemi concreti, ciò che appunto si chiama amministrazione. Ma nessuna buona amministrazione, da sola, è in grado di affrontare la crisi strutturale di una società, senza il concorso attivo di una politica e di una cultura politica. Finora Pdl e Pd non hanno prodotto né l’una né l’altra. Con le ultime elezioni, in sostanza, è stato semplificato il sistema, anche sull’onda della campagna contro la “casta”, ma il vero prezzo pagato è stato finora quello di chiudere ogni spazio ad un dibatito reale sul futuro dell’Italia. Il rischio è quindi quello di proseguire sulla strada dello “spreco”. È questa una parola che nei dibattiti di liberal e quindi anche nelle discussioni a Todi abbiamo usato più vol-
te e Ferdinando Adornato l’ha riproposta anche quest’anno. Ma parlare di un decennio o di un quindicennio o di un ventennio sprecato ha senso se si esce dal terreno della denuncia e dell’allarme e si riesce a fissare un’agenda di azione. So che non è facile in una situazione in cui del vecchio bipolarismo restano le blindature parlamentari. Ma il tentativo che inizia con la discussione di Todi va apertamente in questa direzione: smettere di sprecare le occasioni. Oggi forse una prima rottura consisterebbe nel recupero a tutto campo di quel che è finora mancato, cioè la ricerca di un dialogo effettivo. Non solo quel dialogo bipartisan sulle tecniche riformatrici, annunciato per questa legislatura. Ma, per quel che riguarda liberal e i moderati che stanno all’opposizione, soprattutto un dialogo con le altre opposizioni, da allargare agli “esclusi del 2008”, cioè a quelle forze rappresentative reali nelle regioni, nei comuni, nelle organizzazioni sociali, nel mondo che si associa in primo luogo quello cattolico, e che hanno interesse a lavorare ad una vera riunificazione dell’Italia e a un recupero pieno del dibattito pubblico. Ci sono queste forze? C’è questa possibilità di riunire l’area moderata, se non altro per cercare un’idea comune di futuro? Difficile rispondere. Ma il tentativo va compiuto e non può che essere attuato da chi pensa che l’alternanza non sia un ricambio di potere, ma un cambiamento di progetto.
È questo essenzialmente il compito del Centro che si sta ricomponendo dopo il trauma della rottura della Casa delle libertà. A me sembra il compito su cui si misurerà la capacità di questo punto di incontro del moderatismo politico, culturale e sociale, di trovare uno spazio più largo di quello che ha in Parlamento. Con un rischio, ma anche un vantaggio: il rischio proviene dal modo in cui l’Udc, per salvare la propria identità, ha dovuto correre da sola ed è stata costretta ad uno strappo con la propria storia. Il vantaggio, al contrario, viene dall’essere una forza che ha invece salvato la propria identità in un sistema in cui il governo di centrodestra ha smarrito i suoi tratti originari e il centrosinistra ha perso il suo assetto di partenza.Todi può dunque essere davvero l’inizio di una riflessione capace di dimostrare che all’allegro gruppo dei semplificatori si possono cominciare a contrapporre una cultura ed una proposta dopo un triennio di grande disordine e dopo le improvvisazioni degli ultimi mesi di chi ha confuso la semplificazione della politica con la sua cancellazione.
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Il bipartitismo che non c’è
Enrico Letta concorda con le analisi di Adornato e fa un duro atto di accusa al “leaderismo senza partiti”
Sì, il bipartitismo è falso «È ora di metterselo alle spalle, mi piace l’alleanza tra Udc e sinistra riformista colloquio con Enrico Letta di Errico Novi
TODI. «Guardiamo agli ultimi anni: è tutto vero, indiscutibile. Sono irrisolti i nodi delle riforme istituzionali, della giustizia. Ma la tesi del seminario coglie nel segno anche rispetto al presente: bisogna buttare a mare questo finto bipartitismo, che non tiene conto delle reali forze in campo, impedisce a sua volta la soluzione dei problemi e nei fatti avvantaggia solo Berlusconi». Enrico Letta non interviene sul palco del seminario ma condivide in pieno l’analisi che Ferdinando Adornato fa nella relazione di apertura. Muove una forte critica al «leaderismo senza partiti» capace solo di «creare illusioni tra gli elettori, con l’idea che il leader da solo possa risolvere tutto». Uno schema che, dice Letta a liberal, «non lascia alcuna libertà ai parlamentari: così si creano partiti deboli, incapaci di raggiungere accordi e compromessi utili al bene del Paese. Nelle condizioni attuali è impossibile spiegare compromessi necessari, proprio perché i partiti sono così condizionati dal leaderismo». L’attuale assetto rischia di rendere irraggiungibili obiettivi che l’Italia fallisce da anni. Di sicuro il bipartitismo non risolve i problemi. I partiti quasi sempre non esistono. Il Pd è una eccezione: stiamo tentando di costruire una forza vera, radicata nel territorio, forte. Che non sia solo un comitato elettorale. Ma è un tentativo appena inizia-
I dati dell’ultimo sondaggio Ipsos: Udc al 6,3 - Idv al 6,8 - Lega al 10,5
«Il nostro sistema èsimile aquello tedesco» colloquio con Giovanni Sabbatucci di Francesco Capozza
to. Bisogna cambiare il metodo di selezione della classe dirigente, evitare la cooptazione. Oggi invece i parlamentari sono ridotti a una corte dei leader». E così tutto resta bloccato nel continuo rimbalzare degli slogan. E’ uno dei nodi del sistema. Abbiamo coniugato il leaderismo con una sorta di fixing quotidiano dei vertici di partito: sono costretti a stare sempre sulla cresta dell’onda, altrimenti il loro gradimento precipita. E’ una sorta di doping della comunicazione politica: ma non è così che si fanno le riforme. L’unica che sembra possibile oggi è il federalismo fiscale. In salsa leghista, però». Nella realtà il sistema si compone anche di altre forze, estranee allo schema bipartitico. E’ così: lo dimostra il quadro di alcune grandi regioni italiane come la Lombardia e il Veneto, dove troviamo tre formazioni del 30 per cento: Lega, Pdl e Pd. A questo aggiungiamo il peso dell’Udc a livello nazionale. Non si vede proprio la ragione per cui dovremmo alimentare questo finto bipartitismo, che oggi avvantaggia solo Berlusconi e che va buttato a mare. Viste le forze in campo, il sistema tedesco resta il modello più adatto al nostro Paese». Sul tedesco dalla maggioranza si tende ad alzare un muro Bisogna aspettare. Non credo che le
prossime settimane o i prossimi mesi saranno quelli della grande riforma istituzionale o elettorale. Deve venire meno nei fatti l’autosufficienza dell’attuale maggioranza. D’altronde nel campo delle riforme accumuliamo ritardi da anni. L’unica grande conquista ottenuta è il fatto di essere rimasti agganciati all’euro. Questi ultimi venti anni sono stati complicati, rispetto al decennio precedente. Ma è andata così perché, appunto, non si è più usata la leva del debito pubblico. Non abbiamo più vissuto al di sopra delle nostre possibilità. E grazie a questo siamo rimasti agganciati alla moneta unica. Al centro del seminario di Todi c’è anche la possibilità di un nuovo accordo tra cattolici e sinistra riformista. E
ROMA. A tre mesi dal voto, la politica Questo dato oggi non è sufficiente per italiana sembra cambiata, stando almeno all’ultimo sondaggio dell’istituto Ipsos di Nando Pagnoncelli. Pdl e Pd avrebbero perso entrambi circa 2 punti percentuali. Il primo, è passato da un punto di stallo a una graduale perdita di consensi. Il Pd, fin dall’inizio della legislatura ha continuato quasi costantemente a perdere consensi. A questo, corrisponderebbe un aumento del consenso per l’Idv (che sfiorerebbe il 6,8%), l’Unione di centro (che dal 5,6 passerebbe al 6,3%) e la Lega, che si assesterebbe intorno al 10,5% confermandosi terzo partito italiano. Ne abbiamo parlato con Giovanni Sabbatucci, docente di Storia contemporanea all’Università La Sapienza di Roma. Professore, siamo già alla deriva del bipartitismo?
affermare che il bipartitismo sia alla deriva. Certo se il prossimo anno, quando ci saranno le elezioni europee, dati come questi dovessero essere confermati, accentuerebbero una tendenza da non sottovalutare. Per quanto riguarda i dati del sondaggio, devo dire di non essere particolarmente stupito. Il nostro panorama politico è molto simile a quello tedesco dove, oltre a 2 grandi partiti che si alternano alla guida del Paese, ci sono altre 3-4 forze politiche radicate sia a destra che a sinistra. Franco Bassanini qualche giorno fa ha dichiarato che l’Italia non è per formazione culturale e storica pronta a un bipartitismo secco... Io ci vado più cauto. Concordo sul fatto che in Italia c’è una buona fetta di
elettorato che non si riconosce in nessuno dei due grandi partiti di riferimento. L’elemento che caratterizza il dato estremamente positivo dell’Idv è che gli elettori solitamente orientati a votare una sinistra di opposizione ferma e dura non si sentono rappresentati. Sul dato dell’Udc, poi, c’è da riflettere: se è vera quella percentuale di consenso del sondaggio, il partito di Casini potrà davvero giocarsi la carta del “grande centro” alla tedesca, su cui, chi in futuro si candiderà a governare, non potrà non rivolgere attenzione. Il dato della Lega, infine, è cosa diversa. Appunto: nonostante le sparate spesso fuori luogo, continua a mietere consensi. A cosa è devuto questo fenomeno? A un fattore di radicamento territoriale
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Il bipartitismo che non c’è
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Una nuova ricetta contro la crisi della democrazia italiana
Ci vuole un nuovo partito-holding
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aro Adornato, il concomitante inizio di “Cortina InConTra”, la kermesse politicoculturale che da sei anni organizzo in luglio e agosto al fresco ampezzano, purtroppo mi impedisce di essere al convegno dei Circoli Liberal di Todi. Ma non volendo mancare di dire la mia ad un appuntamento così importante – direi cruciale per chi immagina e intende concorrere alla salvezza del Paese attraverso la rifondazione (non esito a usare questo termine) del suo sistema politico e dei suoi assetti istituzionali – approfitto della disponibilità di Liberal per fare qualche ragionamento ma soprattutto per lanciare una proposta, intorno alla quale spero che a Todi si apra una discussione.
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quindi di un’alleanza tra Udc e Partito democratico. Ci si può arrivare davvero? Lo spazio c’è. Condivido l’idea di Adornato secondo cui bisogna approfondire innanzitutto la questione antropologica. Oggi certa sinistra si avvicina ai problemi di fondo della società con un approccio relativista. E il relativismo non aiuta a cogliere le inquietudini del nostro tempo. Se si supera questo approccio si può anche verificare la possibilità di incontri politico-elettorali tra cattolici e sinistra riformista. Parliamo di temi che sono al centro della riflessione interna al Pd. Una riflessione ancora non conclusa ma che sarà un grande tema dei prossimi mesi.
che, probabilmente, non è pari a quello di nessun altro partito italiano. Non mi è difficile paragonare la Lega ai nazionalisti irlandesi dell’800 o ai catalani in Spagna. Anche se la Lega non rappresenta una vera e propria minoranza etnico-linguistica, non si può negare che abbia un fortissimo appeal in una determinata area geografica del Paese. Berlusconi dovrà tenersi buono un alleato preziosissimo e indispensabile come Bossi, ce la farà? Berlusconi sarà costretto a “pagare” l’appoggio della Lega per due motivi. Il primo è perché senza la Lega il centrodestra perderebbe un numero enorme di collegi. Il secondo perché, pur non essendo all’ordine del giorno, la Lega non è una forza politica stabile e un eventuale ribaltone non credo sia impossibile.
Parto dalla tua relazione, caro Ferdinando, per dire che la condivido pienamente e che, in termini di analisi, c’è poco o nulla da aggiungere. C’è il declino, che definirei drammatico per i caratteri strutturali e permanenti della “crisi italiana”, del tutto estranea ai problemi mondiali – che comunque io considero “di crescita” – checché se ne voglia dire evocando il 1929 per far passare l’idea (alibi) che “è tutta colpa della globalizzazione se abbiamo la crescita zero, e noi non ci possiamo fare niente”. Ci sono i “quattro nodi irrisolti” – la questione istituzionale, quella giudiziaria, quella dell’unità nazionale e quella della modernizzazione – che giustamente denunci essere aperti fin dalla caduta della Prima Repubblica (e in certa misura anche prima). Nodi che oggi possono essere riassunti in quella che è giusto chiamare la “questione democratica”, di cui il leaderismo senza partiti e il giustizialismo sono gli aspetti più gravi di un sistema-paese che è ormai scivolato in quella che io definisco la“deriva putiniana”, cioè una democrazia che conserva i suoi tratti formali ma perde quelli sostanziali. Non si tratta, si badi bene, del “regime berlusconiano”di cui l’intellighenzia di sinistra straparla da anni, regalando al Cavaliere il lucroso ruolo di vittima. No, si tratta di una malattia grave e progressiva della democrazia, che investe l’intera classe dirigente e la mentalità collettiva del Paese, i cui sintomi più evidenti sono il superamento di fatto dei dettami costituzionali – la Costituzione, si badi bene, si può e si deve cambiare, ma occorre farlo nei luoghi deputati e con le procedure previste, non a strappi“di fatto”– e la creazione di una sorta di“decisionismo senza decisioni”, tutto di natura mediatica. Malattia che è il tratto distintivo della Seconda Repubblica nell’intero arco della sua (troppo lunga) durata. Ma questa diagnosi è ormai acquisita. Fateci caso: siccome con la “alternanza obbligatoria”che abbiamo inventato – dal 1994 in poi ha sempre perso le elezioni chi stava al governo – tutti sono stati a turno sia maggioranza che opposizione, in questa seconda veste tutti hanno finito col far
propria questa valutazione “radicale”. Salvo dimenticarsene quando sono stati al governo. In tutti i casi, il problema oggi non è la diagnosi, ma la condivisione della terapia.
E qui sta l’importanza dell’appuntamento di Todi: bisogna che dalla due giorni di lavori esca una proposta forte, intorno alla quale costruire il lavoro politico dei prossimi mesi e anni di tutti coloro che si sentono impegnati alla “rifondazione” della politica italiana. Prima di fare la mia, di proposta, voglio però esporre una premessa che ritengo fondamentale: la “rifondazione” non è tema di questa legislatura. Lo so che è già passato fin troppo tempo, che la “transizione”è ormai diventata infinita e soprattutto che il Paese non può aspettare a mettere mano al proprio declino. Lo so. Purtroppo, però, la ruota della Seconda Repubblica deve compiere ancora questo ennesimo giro. Non è detto che duri cinque anni, anzi, ma soltanto quando Berlusconi sarà uscito di scena – perché asceso al Quirinale o perché si torna a votare e lui passa la mano (cosa ovvia e certa, questa volta) – quando sarà uscito da quel “mercato del consenso” di cui in questi anni è stato insuperato (e purtroppo inutilmente imitato) protagonista, allora ci saranno le
Serve una formazione in cui le forze esistenti (partiti, associazioni, movimenti) possano federarsi senza perdere la loro identità condizioni per passare alla Terza Repubblica. E qui viene la proposta, che avanzo a nome di Società Aperta, il movimento che ho fondato e presiedo, e che danni si batte per una Terza Repubblica che nasca da un’Assemblea Costituente e che per sconfiggere il declino dia vita ad una stagione politica di “grande coalizione”. L’idea è: costruiamo un “partito holding”. Mi spiego. Con la fine dell’era berlusconiana – e considerando non trasmettibile per via ereditaria il Pdl, o quantomeno la grande maggioranza dei voti di cui dispone – l’orologio della politica tornerà al 1993, prima della “discesa in campo”del Cavaliere, riaprendo quella voragine di rappresentanza dei ceti medi e della borghesia, insomma della maggioranza moderata degli italiani, che allora rimasero orfani della Dc e dei partiti laici del centro-sinistra (quello vero). In più, ci sarà – anzi, già c’è ora – una voragine altrettanto grande a sinistra, visto che la pur allora perdente “gioiosa macchina da guerra”di Occhetto valeva mille volte di più della “sgangherata armata della pace”della sinistra oggi. Dunque due grandi serbatoi di voti, due
mondi – peraltro in rapida evoluzione e in via di mescolamento – che dovranno trovare un’offerta politica adeguata a rappresentarli, anche contemporaneamente in una certa misura. La risposta non può che essere un “nuovo partito nuovo”. Alla sua costruzione ho personalmente lavorato in questi anni, a più riprese e con diversi interlocutori, ma senza esito. Naturalmente non mi consola il fatto che laddove ho fallito io altri non abbiamo avuto migliore fortuna. Ma la “verginità”del tentativo gioca comunque a favore, induce a riprovarci. Un vantaggio questa volta c’è, ed è rappresentato dall’Udc. L’aver superato lo tsunami delle “elezioni della semplificazione”, e la sua attuale collocazione al centro del sistema politico, consente a Casini di mettersi a buon titolo alla testa di un complesso disegno di ristrutturazione dell’intera geografia politica italiana. Per far questo, l’Udc non basta. Né è pensabile che esso possa proporsi come sole intorno a cui far ruotare altri pianeti. Ma, nello stesso tempo, non è utile neppure il suo scioglimento a favore di qualcosa d’altro. No, in questa fase non c’è il tempo e non ci sono le condizioni per una “grande fusione” di forze diverse, né dentro l’Udc né in una nuova forza politica.
Ecco, allora, l’idea del “partito holding”, cioè di una nuova formazione in cui tutte le forze esistenti – partiti, associazioni, fondazioni, movimenti – possano federarsi senza per questo perdere la loro identità e rinunciare alla loro autonomia. Questo consentirebbe a laici e cattolici, e alle loro diverse anime, di incontrarsi intorno ad un progetto rifondativo del Paese, della sua democrazia, delle sue regole basilari – insomma, un grande progetto Italia che rappresenti il punto d’intesa su un programma di governo – ma nello stesso di mantenere intatta la loro capacità di iniziativa e battaglia politica sui temi più propri alle rispettive radici politico-culturali. Per capirci, sulle tematiche etiche liberi tutti, mentre sul programma di governo – che oserei definire con tre nomi: De Gasperi, La Malfa, Craxi – piena convergenza. Al primo lavoro ci penseranno i soggetti esistenti (o quelli che vorranno costituirsi intorno a delle specificità), al secondo dovrà badare la nuova forza, che poi sarà quella che dovrà presentarsi alle elezioni e riscuotere il consenso di quei tanti, la maggioranza degli italiani, che saranno politicamente orfani. A chi penso? All’Udc, ovviamente, e alle diverse realtà del cattolicesimo liberale. E poi ai socialisti, ai repubblicani e ai liberali di tutte le diaspore. Ma anche alle forze laiche e cattoliche dell’ex (?) Margherita, alle componenti maggiormente riformiste degli ex (?) Ds. Così come i settori non di matrice aziendalista di Forza Italia. Difficile, complicato? Sicuramente. Ma ci sono alternative? Enrico Cisnetto
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Il bipartitismo che non c’è
Maurizio Gasparri è convinto che l’Italia stia andando verso il bipolarismo e invita il centro a confrontarsi sui grandi temi
Comunque non rompiamo il filo tra Pdl e Udc di Riccardo Paradisi
TODI. Maurizio Gasparri, capogruppo al Senato del Popolo della Libertà, è un ospite fisso del convegno annuale di Todi. Quest’anno però l’esponente di Alleanza nazionale trova uno scenario diverso ad attenderlo nella cittadina umbra. All’ordine del giorno non c’è più la costruzione del partito unitario del centrodestra, piuttosto la Costituente dei moderati, l’idea di un percorso di fuoriuscita da un bipolarismo che secondo gli esponenti del centro ha fallito e ingessa il Paese.
«Qui abbiamo spesso parlato del partito unitario del centrodestra», dice appunto Maurizio Gasparri quando prende la parola, «ma in un anno molte cose sono cambiate e sono cambiati anche gli obiettivi di questo seminario. Però credo che confrontarsi costruttivamente resti
sieme. Sui grandi temi siamo sempre riusciti a trovare intese politiche a immaginare percorsi comuni». Però a differenza delle relazioni che si sono succedute dal palco della sala convegni dell’hotel Bramante, Gasparri è convinto che in Italia sia nato un bipolarismo vero. «La nascita di Pd e del Pdl ha segnato un’innovazione profonda che mi sembra difficile negare. Certo c’è stata un’accelerazione anomala nella co-
«Da quando sto in politica si parla di grande centro, ma invito questi amici a collocarsi a destra o a sinistra, altrimenti, rischiamo di invecchiare» per noi un dovere». Gasparri ammette infatti di trovarsi ancora tra amici. «Facciamo delle cose assieme da quindici anni, abbiamo anche governato in-
struzione del partito unitario e Casini e gli amici dell’Udc si sono trovati a un certo punto in imbarazzo contestando il metodo, la cifra mediatica di quel-
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l’avvenimento. Bisogna ammetterlo: il Pdl è nato con modalità più mediatiche che tradizionali e il Pdl non ha completato il suo percorso. Ma la politica ha i suoi tempi». Berlusconi un’anomalia? A suo modo sì, dice Gasparri «Ma è uno che ha vinto e perso tre volte le elezioni. Non mi sembra un oggetto estraneo alla politica democratica, una parentesi. L’Italia, aggiunge Gasparri, va verso il bipolarismo. Da quando sto in politica si parla di grande centro ed è legittimo trovarci, ma invito gli amici del centro a collocarsi a destra o a sinistra, altrimenti, aspettando questo treno rischiamo di invecchiare».
Il fatto che ci sia una visione diversa però non deve far recidere i rapporti tra la destra e il centro, secondo Gasparri. «Molte cose continuano a unire
questi mondi: il diritto alla vita, la difesa della famiglia, la bioetica. Del resto un sottosegretario di questo governo, Eugenia Roccella, era insieme a Pezzotta portavoce del Family day. In parlamento ci sarà un confronto serrato su questi temi, sui diritti dei tribunali a decidere sulla vita e sulla morte. Io credo al bipolarismo e al bipartitismo», sottolinea Gasparri, «ma sulle cose che ci uniscono si deve continuare un confronto. Per questo spero che questa rottura non sia irreversibile, anche se può essere comprensibile il motivo per cui è avvenuta». Il fatto poi che centro e destra governino in tante realtà locali e che nel Ppe abbiano ormai una casa comune, sono altri elementi, chiude Gasparri, «che dimostrano come in futuro questi mondi si possano ritrovare insieme».
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Il bipartitismo che non c’è
Per Paola Binetti la sfida dei cattolici consiste nel conquistare prima spazi di democrazia interna ciascuno nel proprio campo
«Cominciamo subito a lavorare insieme» di Errico Novi
TODI. Lo spunto più forte, l’aspetto più importante del seminario, per Paola Binetti è l’alleanza per il cambiamento invocata da Ferdinando Adornato nella sua relazione. Il senso che la deputata del Pd di area teodem assegna a questa prospettiva è però molto originale, valoriale innanzitutto: «Noi abbiamo bisogno di prendere coraggio gli uni dagli altri. Rafforzare la posizione di ognuno all’interno del proprio partito. E lottare perché possa crescere il grado di democrazia interna». C’è un avversario comune ai cattolici di Pdl e Pd, e secondo la parlamentare consiste nel laicismo. «È una forza ostinata, pervasiva, che crea una polarizzazione interna, anche nel partito di maggioranza relativa». Ed ecco la sua strategia: «Allearsi prima per migliorare il grado di democraticità interna, ciascuno nel proprio campo. E attuare così una vera grande rivoluzione del nostro sistema politico. Una volta attuata questa fase, per i cattolici sarà quindi possibile lavorare a quelle allean-
ze politiche di nuovo conio che possono e devono essere costruite sui valori».
Allude così la Binetti alla possibilità di un patto tra l’Udc e i democratici. Si può, ma a condizione di lavorare prima per far crescere le attuali formazioni in campo. Oggi c’è ancora una «eccessiva polarizzazione, una complessità di posizioni in ciascuna forza. A volte le differenze possono provocare persino solitudine e quindi depressione. Ed ecco perché sono tanto importanti le occasioni di confronto con i cattolici delle altre forze: si trovano punti di incontro, si lavora sulle stesse mozioni, ed è a partire da qui che si crea l’alleanza per il cambiamento di cui parla Adornato». Il cambiamento è innanzitutto una conquista: «La possibilità di coniugare il proprio vincolo di
coalizione con le idee che ciascuno si porta dietro e che deve poter affermare». Solo così le polarità che pure ci sono nel Pd tra cattolici come i teodem e le componenti più laiche diventano per la Binetti tollerabili e capaci di sviluppare una vera forma di democrazia interna ai partiti. «E attenzione che il discorso va-
«Per superare l’attuale schema politico in cui il punto di equilibrio è diventato la Lega ci si deve confrontare con coraggio. Dentro e fuori dall’Aula»
le persino per il Pdl. Sul caso Englaro ad esempio ci sono due diverse mozioni: una di matrice cattolica, l’altra di impronta laica con Margherita Boniver prima firmataria».
Lo schema politico attuale può essere superato? «Ci troviamo - sostiene - in un sistema in cui il punto di equilibrio è diventato la Lega. E i cattolici hanno da porsi questioni delicate, che precedono quelle sulle alleanze tra partiti. Per superarle si deve senz’altro dibattere e confrontarsi dentro e fuori gli spazi parlamentari. Questo seminario ci fa scoprire che c’è da parte di molti la volontà di basare la propria iniziativa politica sull’idea del coraggio. Non a caso mi sento vicina a molte delle posizioni espresse dall’area dei ‘Coraggiosi’ all’interno del mio partito. Ma credo che questa categoria sia presente ovunque. Ed è quella che può davvero consentire il cambiamento del nostro modello politico».
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Il bipartitismo che non c’è
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Clemente Mastella: Berlusconi attacca i magistrati, gli stessi che hanno fatto crollare l’ultimo governo Prodi
«Ci sto, non si può annullare l’area cattolica» di Francesco Capozza
TODI. «Tutto il male c’è di dietro, tutto il bene c’è davanti». Clemente Mastella inizia così il suo intervento, citando il romanzo di Carlo Cassola La ragazza di Bube, per porre fine «al purgatorio politico» che lo vede protagonista dal 19 gennaio scorso, giorno delle sue dimissioni da ministro della Giustizia. E’ un Mastella dimagrito «8 kg, ma che fatica!» e sorridente quello che si è presentato alla platea di Todi. Arriva in tarda mattinata, in tempo per godersi tutti gli interventi che precedono il suo. Prende appunti, annuisce spesso con la testa, applaude. Quando prende la parola, quel brusio che ha talvolta accompagnato alcuni interventi cessa: «Il bipartitismo non c’è, non c’è mai stato e non credo ci possa essere in questo panorama politico. Se guardiamo al centrodestra, la Lega è un protagonista che non rende il Pdl autonomo. Se poi guardiamo al centrosinistra, il Pd ha scelto un’alleanza – quella con l’Italia dei Valori - che oggi imbaraz-
za perfino i vertici del partito e, in modo del tutto arbitrario, ha scelto di non considerare quella con il Psi (il nuovo segretario del Psi, Riccardo Nencini, è seduto in prima fila e annuisce). Questo non è certamente un bipartitismo ma forse, come ha detto Ferdinando Adornato, di un sistema pentapolare». Con queste parole Mastella dà subito una sua visione del tema del seminario organizzato dalla Fondazione liberal. «Una cosa è certa: questo governo, che pure ha ottenuto grandissimi consensi e un’ampia maggioranza parlamentare, è frutto di un 47% di consensi popolari, ergo non rappresenta la maggioranza assoluta del Paese. Una volta se non si aveva almeno il 50% più uno dei consensi non si andava al governo». Con una battuta tagliente, poi, si attribuisce il merito del fatto che Silvio Berlusconi sia oggi al governo: «Se non fosse per 4 magistrati della procura di Santa Maria Capua Vetere, oggi questo governo non ci sarebbe». Poi inizia con le aperture al progetto della Costituente di centro, di
cui Todi è una tappa fondamentale: «Qui in sala c’è qualcuno che è in grado benissimo di rappresentare gli ideali cattolici e liberali e di guidare un progetto che, indipendentemente dal nome, può farsi portavoce della nostra politica: Pier Ferdinando Casini». Il sorriso di Clemente Mastella si spegne momentaneamente quando fa una riflessione sul-
la situazione dei cattolici in politica: «E’ bizzarro - dice Mastella - che i cattolici in termini politici abbiano pagato più degli altri, io posso stare tranquillamente fuori dal Parlamento, ma bisogna evitare di correre il rischio che l’intera area sia ridimensionata e appiattita». Non esita a dare poi un consiglio agli “amici” dell’Unione di centro: «Partecipate attivamente alla riforma della Giustizia, non date modo a Berlusconi di esserne protagonista: ogni volta che appare il fantasma neo-giustizialista, vince le elezioni. Cercate almeno di non passargli la palla».
Poi l’apertura all’Udc: «Sono pronto a tornare a vestire la maglia di giocatore: se quella di cui si sta parlando qui è la partita del cuore, allora io ci sto»
In conclusione Mastella apre definitivamente all’Udc: «Sono pronto a tornare a vestire la maglia di giocatore, non so ancora quale maglia, se quella di cui si sta parlando qui è la partita del cuore, allora io ci sto!».
Per Riccardo Nencini la sfida del Partito socialista è costruire un centrosinistra che ruoti attorno all’identità laica
È vero, il gioco a due è solo un’illusione di Alfredo Barbato
TODI. «È vero: il bipartitismo non c’è». Riccardo Nencini condivide l’impostazione del seminario di Todi fin dal titolo. Il nuovo segretario del Partito socialista parla di un inganno, sostenuto facilmente con una manipolazione comunicativa: «La risposta immediata che viene offerta all’opinione pubblica è che il bipartitismo fonda il suo successo sulla somma dei voti di Pdl e Pd, che arriva al 70 per cento».
«Ma questo è un dato che non rappresenta alcuna certificazione. Nel ’48 la somma dei voti della Dc e del Fronte popolare arrivava all’80. E nel ’76 Dc e Pci raggiungevano insieme il 73. Dal risultato del 13 e 14 aprile non si può ricavare dunque alcuna prova», secondo Nencini. Che aggiunge altri due elementi: «Abbiamo alcune forze localiste as-
sai influenti. La Lega innanzitutto, che lo è sia a livello locale che nazionale. Inoltre c’è un partito come l’Udc che è rappresentato in Parlamento e ha un carattere fortemente valoriale. Infine le stesse forze che ne sono rimaste fuori, compreso il Partito socialista, continuano a essere decisive nella maggior parte delle regioni. Non si può ignorare che il sistema è ancora strutturato in questo modo. Il bipartitismo nei fatti non esiste. Eppure si è creata una situazione che impedisce un passaggio, una evoluzione successiva».
Un passaggio che, sottolinea Nencini, non potrà mai essere guidato dall’attuale maggioranza. Poi lancia un messaggio anche all’opposizione: quello di non attardarsi nelle scorciatoie. Osserva che nelle fasi di transi-
sarebbero rappresentate da un riassetto istituzionale vero. E dall’altra le scorciatoie, che oggi sembrano offerte dalla rifoma elettorale».
«Sbaglia D’Alema se pensa che il modo migliore per impiegare la risorsa delle fondazioni sia nella ricerca del nuovo sistema di voto. Non ci si può limitare a questo. Bisogna invece condurre una battaglia vera per la revisione di tutto il sistema». C’è
Per il neosegretario socialista non ci si può limitare alla riforma elettorale ma serve un’intesa solida per un riassetto istituzionale zione ci sono due modi diversi per superare le difficoltà: «Le strade più lunghe, faticose e irte di ostacoli, che nel caso specifico
un rischio dietro l’angolo, sostiene: «Abbiamo esempi che dovrebbero fare impressione. La riforma dell’uninominale del
1919 con Giolitti: sappiamo a cosa si è arrivati in Italia partendo da quell’approccio riduttivo. E cosa pensate sia successo nel 1993, con il Mattarellum? Nulla autorizza a dire che quella riforma elettorale abbia portato benefici al sistema. In 14 anni abbiamo avuto 9 diversi governi: una media superiore a quella della Prima Repubblica. In alcuni casi ci sono stati cambi di maggioranza nella stessa legislatura, come con Dini e con Prodi nel ’98. Non ci si può lasciar illudere da un eventuale intervento sul sistema di voto». Così lancia la sua idea: restituire all’Italia «un bipolarismo equilibrato». E costruire un centrosinistra che ruoti attorno all’identità laica: a questo pensano i socialisti per tornare ad avere un peso nello scacchiere della politica.
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politica
Il ministro del Lavoro presenta il Libro verde sul welfare. Che per Bersani è «un libro nero»
Sacconi riapre il fronte sulle pensioni d i a r i o
di Alessandro D’Amato
d e l
g i o r n o
ROMA. Un Libro verde per lanciare «un nuovo modello sociale». Che, nelle intenzioni del governo e del ministro del Lavoro Maurizio Sacconi che l’ha presentato, è la risposta contro la sfiducia di questi tempi, la leva per avviare un dibattito per riformare l’Italia. E che fa dire al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi che l’esecutivo «sta attuando politiche di sinistra».
Di Pietro: referendum contro Lodo Alfano
Spiega il premier: «Il Libro
Benedetto XVI si recherà al Quirinale in visita di Stato il 4 ottobre prossimo, giorno di san Francesco patrono d’Italia. È la seconda visita ufficiale di questo Pontefice presso la Repubblica Italiana. Nel giugno 2005, a pochi mesi dalla sua elezione al Soglio, Papa Ratzinger era stato accolto da Carlo Azeglio Ciampi. I colloqui con Napolitano dovrebbero incentrarsi sulle tematiche della famiglia, della parità scolastica, della povertà e dell’equità in economia. Il Papa verrà ricevuto dal ministro degli Esteri Frattini su Piazza Pio XII, appena all’esterno del Colonnato del Bernini. Nuova sosta Piazza Venezia, dove a rendere omaggio al Pontefice sarà il sindaco di Roma, Alemanno. Giorgio Napolitano e Silvio Berlusconi lo attenderanno nel Cortile d’Onore del Quirinale, dove il Pontefice arriverà scortato da uno squadrone di corazzieri a cavallo in alta uniforme.
verde indica la nostra volontà di attuare una economia sociale di mercato. Uno Stato non può davvero considerarsi civile, moderno e democratico, se lascia una parte importante dei suoi cittadini nell’emarginazione, nella miseria e nella malattia. Questo governo, che è di centro, e ha messo insieme liberali, laici, cattolici e riformisti, intende procedere in quella politica che la sinistra aveva almeno nelle parole promesso e cercato di attuare». Suscitando così l’ironia dell’altra parte. «Se Berlusconi potesse, abolirebbe l’opposizione», dice Lorenzo Cesa dell’Udc. «Ma quale politica di sinistra e dialogo! Il lodo Alfano e l’aumento delle tasse, ecco la politica di Berlusconi», aggiunge Anna Finocchiaro del Pd. Dallo stesso fronte, se Pier Luigi Bersani parla di «Libro nero», Enrico Letta annuncia: «Siamo intenzionati a partecipare in modo serio e aperto al confronto». Difficile non collegare la presentazione del Libro verde di Sacconi con il negoziato sulla riforma dei contratti da parte di sindacati e Confindustria e al tentativo di legare salari e produttività nel secondo livello, rafforzandolo. Così le parti sperano che possa aiutare la querelle sull’inflazione programmata – il principale parametro per gli aumenti –, che il governo nel Dpef ha fissato all’1,7 per cento, contro una media del 4. E infatti nel testo si chiedono «più adeguate regole di tipo collaborativo nella contrattazione collettiva e forme di prevenzione e moderazione dei conflitti sindacali. È questa la sola strada per superare una strategia meramente difensiva , e di breve periodo, che non aiuta ad affrontare l’annoso nodo della produttività». In ogni caso, nel Libro Verde (che ha per sottotitolo un significativo «La vita buona nella società attiva») si parte dalle disfunzioni, dagli sprechi e dai costi del modello attuale di welfare per arrivare alla capacità di transitare verso un nuovo modello sociale, che consideri prioritario accompagnare le persone lungo tutto l’arco della vita. Anche se probabilmente alcune delle frasi presenti nel testo ne faranno ricordare altre: per esempio, l’asserzione “la spesa sociale non va tagliata ma riorientata”, che riecheggia le parole presentate in un altro “Libro verde”, quello di Tommaso PadoaSchioppa. «Una società attiva sia insieme anche più competitiva, caratterizzata da una alta dotazione di capitale umano ma anche più giusta ed inclusiva perché capace di connettersi e costruire solide relazioni sociali», ribadisce comunque il ministro.
«È un po’ complicato, ma ce la faremo. Insieme possiamo fermare il diavolo». Antonio Di Pietro ha lanciato un appello dal suo blog «a tutte le forze politiche, sindacali, associative e culturali» di unirsi all’Idv per «dimostrare che non facciamo solo parole» e annuncia: «Noi di Idv siamo da subito disponibili a rinunciare alle ferie e uniamo le nostre forze, ed entro il 30 settembre depositeremo 500, 600, 700mila firme» per il referendum contro l’«immorale» Lodo Alfano.
Ad ottobre il Papa incontrerà Napolitano
Tra le misure previste dal governo c’è l’innalzamento dell’età previdenziale a 62 anni. La spesa sanitaria cresce più del Pil Ma per il governo il cuore delle politiche sociali è il welfare to work: una serie di azioni tese a «un drastico innalzamento dei tassi di occupazione regolare, soprattutto di donne, giovani, e over 50, perché il tasso di occupazione del 70 per cento fissato da Lisbona non è un miraggio». E anche un «reddito minimo garantito alle persone in età di lavoro», così come l’ipotesi di 62 anni come età minima per la pensione. Capitolo a parte la salute. Secondo le ipotesi di vari osservatori, «al 2050, in assenza di politiche correttive e di riequilibrio, la spesa sanitaria potrebbe più che raddoppiare. Sono ben tredici le Regioni con deficit nella sanità, ma l’85 per cento del disavanzo si concentra in Lazio, Campania e Sicilia. In termini di incidenza sul Pil la spesa pubblica sanitaria in Italia assorbe il 6,8 per cento (1,5 del Pil quella privata)», contro il 7 della media europea.
Ad allarmare è la dinamica di crescita: «Nel periodo 1996-2005 la spesa in euro correnti è cresciuta del 6,9 per cento l’anno, a fronte di un incremento del tasso di crescita del Pil inferiore della metà». Ora la palla passa alle parti sociali. Una consultazione pubblica per un periodo di tre mesi. Al suo termine, ha spiegato il ministro, «le principali opzioni politiche identificate nelle risposte delle istituzioni centrali, delle Regioni e delle parti sociali e di tutti gli altri soggetti, inclusi i singoli cittadini che vorranno fornire un loro contributo, saranno condotte a sintesi in un Libro Bianco sul futuro del modello sociale». Soltanto dopo il governo «formulerà le proposte in materia di lavoro, salute e politiche sociali per l’intera legislatura”.
Capezzone: Idv ucciderà il Pd «Dalle prossime regionali in Abruzzo, Di Pietro svolgerà la funzione che si è assegnato: quella di killer del Pd». Ne è certo Daniele Capezzone, secondo cui «Di Pietro punta infatti a candidarsi da solo e a sparare a palle incatenate contro Veltroni e il Pd, suoi alleati elettorali di appena due mesi fa». Del resto il Pdl, sostiene Capezzone, «lo aveva detto a suo tempo: incatenandosi a Di Pietro, Veltroni sarebbe finito male. In Abruzzo se ne avrà una ulteriore prova».
”La Repubblica, recapitata busta con proiettile e minacce al premier Una lettera di minacce a Silvio Berlusconi, accompagnata da un bossolo di proiettile, è stata recapitata ieri mattina a Repubblica. La missiva, che si conclude con la frase «Allah è grande», annuncia l’intenzione di colpire il presidente del Consiglio, poi quello del Senato Schifani e della Camera Fini. La busta è stata consegnata ai carabinieri. Investigatori e inquirenti dell’antiterrorismo la giudicano molto generica e poco attendibile. Due giorni fa una lettera anonima era stata recapitata anche alla redawione del giornale Libero, a Milano. Anche in quel caso conteneva «minacce generiche» a Berlusconi, Fini, Schifani e altri esponenti della maggioranza.
Informazione, nasce «Governincontra» È partita la campagna di informazione istituzionale delle attività del governo «Governincontra». Lo ha annunciato ieri il ministro per l’Attuazione del programma, Gianfranco Rotondi insieme am presidente del Consiglio Berlusconi, durante una conferenza stampa a palazzo Chigi, al termine del Consiglio dei ministri. «È una necessità che aguzza l’ingegno - ha spiegato Rotondi - la comunicazione istituzionale o ha bisogno di soldi o di fantasia. I soldi non ci sono, e noi mettiamo in campo la fantasia». Si tratta di un format per la comunicazione che si regge sul territorio attraverso gli organismi istituzionali e organizza delle sessioni in cento città d’Italia, «che per metà saranno il racconto di quello che il governo ha fatto e per metà l’ascolto delle esigenze delle comunità locali». «Governincontra» si avvarrà della conferenza permanente presente presso tutte le prefetture.
politica ROMA. Dopo l’aggravante di clandestinità e il tentativo (poi esteso a tutti gli italiani) di prendere le impronte ai bimbi Rom, il governo decide una nuova stretta sull’immigrazione irregolare: proclamare lo stato di emergenza su tutto il territorio nazionale. Alla base della misura, secondo quanto ha riferito il ministro dell’Interno Roberto Maroni, l’aumento degli sbarchi negli ultimi mesi. Il Viminale ha annunciato che nel primo semestre del 2008 sono triplicati gli arrivi: 11.949 contro i 3.158 registrati nello stesso periodo dello scorso anno. Ma questa giustificazione non ha frenato le ire dell’opposizione («L’ennesimo spot», l’espressione più gentile) e le preoccupazioni del mondo del volontariato (in molti hanno ricordato che non ci sono picchi preoccupanti). Una ridda di polemiche – dovute anche al fatto che Berlusconi non ha accennato alla cosa durante la conferenza stampa del dopo consiglio dei ministri – che hanno costretto il presidente della Camera, Gianfranco Fini, a spingere l’esecutivo a presentarsi in Parlamento per riferire. Cosa che farà martedì prossimo lo stesso Maroni. Il provvedimento dovrebbe vedere presto la luce attraverso un decreto del presidente del Consiglio. Ed estende le norme varate dal precedente esecutivo, che avevano portato a introdurre lo stato di emergenza in Sicilia, Calabria e Puglia. Norme che, di fronte «a criticità ed episodi di alta drammaticità», garantivano deroghe amministrative per la gestione delle crisi. Non a caso dal Viminale, il prefetto Mario Morcone, fa notare che il decreto permetterà di accelerare «la costruzione dei nuovi centri di accoglienza nonchè interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria in strutture soggette a quotidiano degrado». Ma è complesso capire fino a dove potrebbero estendersi le deroghe alla normativa vigente, fino a quando il decreto non sarà pubblicato in Gazzetta ufficiale. Intanto il ministro ombra dell’Interno, Marco Minniti, dice che, «nonostate i proclami, la situazione non è sotto controllo». Il vicepresidente della Camera, Rosi Bindi parla di «clima da Stato di polizia», mentre Lorenzo Cesa (Udc) teme «l’ennesimo spot» del governo. E se il governatore Nichi Vendola chiede l’intervento della Consulta – «Questo è un pezzo di fascismo» – Monsignor Vittorio Nozza della Caritas teme «un utilizzo della situazione
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Maroni: «Crescono gli sbarchi». Fini costringe il governo a riferire in Parlamento
L’immigrazione diventa emergenza nazionale di Francesco Pacifico
Per il Viminale gli arrivi di clandestini sono passati in un anno da 11.949 a 3.158. Berlusconi non commenta, ma l’opposizione insorge. Bindi: «Stato di polizia». La Caritas: «Non usare spauracchi» per creare un nuovo spauracchio». Si è sorpreso dei toni – «polemiche della peggiore politica» – il ministro Maroni. «C’è stato un clamore infondato, senza motivo, anche perché è stata semplicemente prorogata un’ordinanza che era stata emessa per sei volte dal 2002, le ultime due dal governo Prodi. L’unica modifica è estendere l’emergenza a tutto il territorio nazionale. Il decreto del governo Prodi la restringeva a Sicilia, Calabria e Puglia». Quindi, secondo il responsabile del Viminale, è un provvedimento «a favore dei clandestini che altrimenti avremmo dovuto mettere sotto le tende. Vogliamo garantire a tutti un trattamento umano». Maroni non fatica poi a trovare una causa del picco registrato
negli ultimi mesi. Per lui gli sbarchi dei clandestini «si risolveranno quando Tripoli darà il via libera all’accordo del 2007» Intesa che Berlusconi ha provato a sbloccare qualche settimana fa, vedendo Gheddafi, e che da un anno a questa parte è ferma anche per i risarcimenti, come un’autostrada nel deserto, che la Libia pretende dall’Italia. Se il premier ha deciso di non intervenire – «Ha già parlato Maroni», ha detto ieri sera – tutto il centrodestra fa quadrato intorno al suo ministro degli Interni. «Non c’era e non c’è nessuna
mobilitazione dei militari», nota il responsabile della Difesa, Ignazio La Russa. «Le mistificazioni e la demagogia non ci interessano», aggiunge il ministro alle Politiche comunitarie, Andrea Ronchi. Di procedura
«assolutamente ordinaria», ha parlato il titolare dei Rapporti al Parlamento, Elio Vito. mentre Intanto, l’immigrazione è diventato l’ennesimo terreno di scontro tra maggioranza e opposizione, ieri mattina la Guardia costiera ha intercettato e soccorso a 4 miglia da Lampedusa 137 clandestini, arrivati dopo un lungo “periodo di tregua”. Invece a Bari la guardia di finanza ha scoperto 34 clandestini nel porto del capoluogo pugliese. Erano nascosti su un tir proveniente dalla Grecia. In ogni caso una goccia del mare, se come ha rilevato l’Eurispes e ricordato in più occasioni l’associazionismo, soltanto il 10 per cento arriva clandestinamente via mare.
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l giorno dopo il suo discorso di Berlino, il senatore Obama ha detto in’un intervista che l’occasione “gli ha consentito di mandare un messaggio agli Stati Uniti: le valutazioni fatte e quelle che farò renderanno più sicuro il popolo americano”. Se questo è quello che il senatore pensa, significa che ha ancora molto da imparare riguardo sia la politica estera sia riguardo le opinioni degli americani perché, anche se è stato ben accolto a Tiergarten, il suo discorso oggettivamente rivela una visione del mondo ancora più ingenua di quelle con cui gli Stati Uniti abbiano precedentemente avuto a che fare. Mentre la maggior parte del discorso è stata sostanzialmente priva di contenuti, come le altre dichiarazioni elettorali, quel poco di concretezza che ha fatto capolino, da un punto di vista americano, è stato veramente radicale. Questi commenti critici non sono stati generalmente riportati negli spazi che i media, molto compiacenti, hanno dedicato al discorso, ma meritano egualmente un attento esame. Bisogna vedere se i giudizi sul vero pensiero del senatore Obama avranno qualche impatto sulla campagna presidenziale, ma chiaramente non sono state osservazioni casuali; questo discorso, che cercava l’enorme pubblicità che infatti ha ottenuto, riflette il suo pensiero politico più attentamente ponderato, quindi non si possono ignorare le implicazioni delle sue dichiarazioni. Due esempi. Primo, l’esortazione ad una maggiore cooperazione tra Europa e Stati Uniti; Obama ha detto che le responsabilità della cittadinanza globale continuano a legarci, e da “cittadino del mondo”, ha spiegato che la caduta del muro di Berlino e la riunificazione dell’Europa sono la prova che “non c’è sfida troppo grande per un mondo che agi-
mondo usato la metafora del muro di Berlino per illustrare le sue priorità in politica estera in qualità di presidente: “Non possono esserci muri tra vecchi alleati di entrambe le sponde dell’Atlantico. Non possono esserci tra Paesi che hanno quasi tutto e quelli che non hanno niente, tra razze ed etnie, autoctoni e immigrati, tra cristiani, musulmani ed ebrei. Questi sono i muri che dobbiamo abbattere oggi”.
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L’ex ambasciatore Usa attacca la visione naif del candidato democratico
«Ma io contesto Obama a Berlino» di John Bolton sce come un soggetto unico”. Forse il senatore Obama ha bisogno di un corso di riparazione in storia della guerra fredda, ma il muro di Berlino non è caduto perché il mondo “ha agito insieme”; il muro è caduto grazie a decenni di battaglie esistenziali. È stata una battaglia in cui la leadership dell’America, forte e determinata, è stata messa in dubbio sia in Europa che da parte di importanti settori dello stesso partito democratico. In Ger-
Forse il senatore dell’Illinois ha bisogno di un corso di riparazione in storia della guerra fredda. Il muro di Berlino non è certamente caduto perché il mondo “ha agito insieme”
mania, in particolare negli ultimi anni della guerra fredda, l’“Ostpolitik” ha continuamente rischiato di spaccare l’alleanza occidentale, il che avrebbe potuto consentire al comunismo di sopravvivere, e il presidente americano che ha dato l’assalto definitivo a questo totalitarismo, Ronald Reagan, è stato da molti in Europa dipinto come un uomo non molto brillante, unilaterale e troppo provocatorio.
Ma ci sono implicazioni più ampie nella riscoperta di Obama del concetto del “mondo unico”, proclamato per primo in America da Wendell Wilkie, il repubblicano che fallì le presidenziali del 1940 e che fu successivamente schiaccia-
to dalla realtà della guerra fredda. I riferimenti di successo del discorso di Obama – la sconfitta del nazismo, il ponte aereo di Berlino e il collasso del comunismo – sono stati ottenuti da una forte alleanza che ha battuto con determinazione i nemici della libertà, non da una sorta di “mondialismo”. Per quanto l’intenzione del senatore fosse quella di distinguere se stesso dalla percezione della politica di Bush all’interno dell’Alleanza Atlantica, ha di fatto delineato una politica post-alleanza, un tipo che potrebbe evolversi in organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite. Secondo, il senatore Obama ha
McCain annuncia: nominerò il mio vice presidente prima dei Giochi di Pechino
Potrebbe venire dall’Ohio l vicepresidente di John McCain potrebbe venire da uno dei tre Stati chiave che rappresentano il cuore dei 270 voti elettorali di quest’anno: Ohio, Michigan e Pennsylvania. Quest’uomo dovrebbe possedere un centro commerciale, una fabbrica, qualche interesse nella Walmart e una certa cedibilità in questioni culinarie; dovrebbe essere determinato e combattivo, avere un finissimo talento televisivo e richiamare alla mente il meglio della leadership repubblicana come nella esilarante rivoluzione del 1994. Dovrebbe inoltre disdegnare gli spendaccioni repubblicani e
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di Michael Novak quelli democratici, apparire e parlare come un Reagan, essere un vero patriota con la spilla della bandiera americana sul bavero della giacca e non permettere a nessuno di insultare l’America. Dovrebbe insomma voler essere degno degli eroi, dei soldati, degli uomini e delle donne con alto senso dell’onore, ed essere anche, come molti di loro, una persona religiosa e di alta morale. Dovrebbe infine essere brillante, spiritoso, tenace e sobrio. L’uomo che corrisponde a questo profilo lo abbiamo visto tutti molte
volte in televisione negli ultimi anni: è nato in Pennsylvania, è cresciuto in Ohio (che ha anche rappresentato al Congresso), e sarebbe perfettamente credibile tanto a Detroit quanto tra le belle colline di una zona rurale come il Michigan. È il perfetto candidato di questi tre Stati: John Kasich. Non sono il primo a consigliare il suo nome, ma io lo faccio con pacata fiducia nelle sue qualità superiori, il suo senso comune e il suo gusto per i ragionamenti politici concreti. È il tipo di persona – come eravamo soliti dire dove sono cresciuto in Pennsylvania – di cui puoi fidarti durante una rissa.
Si tratta, a dir poco, di un insieme confuso e incoerente, che mischia le tensioni in seno alla Nato con antichi conflitti storici. Fortunatamente anche il senatore Obama, per quanto inesperto, non considera tutti questi “muri” uguali in dimensioni e portata. Ma, oltre all’incoerenza, c’è un problema più profondo: i “muri”non esistono solo per una mancanza di informazioni su chi sta dall’altra parte, ma in quanto ci sono vere differenze di valori e interessi che sfociano in conflitti. Lo stesso muro di Berlino non è stato dovuto a una mancanza di comunicazione, ma all’implacabile ostilità del comunismo; il muro era un riflesso della realtà e abbatterlo è stato possibile perché una parte ha sconfitto l’altra. Le differenze nei livelli di sviluppo economico o nel modo di trattare le questioni razziali, religiose e inerenti immigrazione non sono suscettibili alla stessa analisi o alle stesse soluzioni. In una parola, le sfide alla nostra civiltà, come certamente fu la guerra fredda, non sono vincibili con l’ingenuo desiderio di “tirare giù i muri” insieme ai nostri avversari. Il discorso di Obama a Berlino è stato ricco di dichiarazioni politiche, tutte però vaghe e non specifiche, nessuna nuova o diversa da quanto già detto durante la lunga campagna delle primarie, ma l’ambito in cui egli ha inserito queste idee, per la prima volta, è davvero radicale per un potenziale presidente americano. Che abbia raccolto una grande folla all’estero, forse, non è sorprendente, perché il pubblico si aspettava da lui una visione meno rigorosa del ruolo degli Usa nel mondo, almeno a prima vista; tuttavia, anche gli europei antiamericani deplorerebbero un’America che vede se stessa solo come una nazione in più in un mondo “unito”. Il massimo che possiamo sperare è che la retorica del senatore Obama sia stata solo questo, compiacimento del pubblico, come molti politici spesso fanno.Vedremo anche se questa retorica lo seguirà al ritorno in America, o perché continuerà ad usarla, o perché il senatore McCain chiederà agli elettori americani se è davvero questo quello che vogliono dal loro prossimo presidente.
mondo
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La presidente del Consiglio nazionale della resistenza incontra politici e industriali umiliando il presidente
I dissidenti battono Teheran.Due a zero di Aldo Forbice
d i a r i o eno clamore ma più risultati. E’ il bilancio della visita a Roma di Maryam Rajavi, nettamente superiore a quello di Mahmoud Ahmadinejad. Forse non tutti conoscono la signora Maryam. Si tratta della presidente eletta (scelta dalla dissidenza) del Consiglio nazionale della resistenza iraniana. È una donna di età indefinibile, comunque vicino ai 50 anni, sempre elegante e perennemente col “rosari”(un foulard colorato come copricapo in ossequio alla sua religione, l’Islam). Dichiara apertamente di essere musulmana, moderata. Più di una volta ha infatti citato la sura 62 del Corano che dice: «In verità, coloro che, Ebrei, Cristiani e Sabei (presulmani ndr), credono in Dio e nel Giorno del Giudizio e se compiono le buone opere, avranno la loro ricompensa presso il loro Signore. Essi nulla avranno da temere da lui e non vivranno nella tristezza». Non la pensa certamente così il capo del regime teocratico iraniano che quasi tutti i giorni minaccia di lanciare missili a testata nucleare contro Israele. La signora Maryam è profondamente laica e assertrice della “netta separazione” tra Stato e chiese, favorevole al pluralismo politico e religioso, alla libertà di stampa e alla parità assoluta uomo-donna. A Roma è stata accolta con grande entusiasmo dai parlamentari italiani. Da una raccolta di firme dei deputati si è scoperto, ad esempio, che la grande maggioranza della Camera dei deputati risulta solidale con la resistenza iraniana e favorevole alla cancellazione dalla lista nera del terrorismo dell’organizzazione dei mojaeddin del popolo, che fa parte del Consiglio della resistenza, da molti anni in disarmo anche nella loro base in Iraq, Asraf. Pochi giorni fa il Parlamento della Gran Bretagna, dopo due sentenze della Corte d’appello, ha deciso di cancellare definitivamente il gruppo dei “combattenti per la libertà” iraniana dalla famigerata lista. Anche la Francia, per iniziativa di Nicolas Sarkozy, si sta accingendo a fare altrettanto.
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numerosi (amministratori pubblici, imprenditori, intellettuali, parlamentari europei, giornalisti...), mentre, come si ricorderà, il presidente Ahmadinejad, che era arrivato a Roma con proclami trionfalistici e un programma di incontri organizzati da mesi dalla sua ambasciata, ha trovato un muro di “no”: dal governo, dal parlamento, dalla Chiesa cattolica, dal Comune di Roma, dagli imprenditori… Un incontro con i rappresentanti del mondo della produzione e della finanza si è rivelato un flop. Vi hanno partecipato solo funzionari di terza fila. Il presidente iraniano è rimasto fortemente contrariato e si è vendicato individuando il capro espiatorio nell’ambasciatore a Roma, che è stato richiamato in patria e forse verrà processato, anche se ancora non è stato chiarito per quali reati. Non solo, ma forse per attenuare gli effetti negativi del viaggio fallimentare, l’ambasciatore ha “spontaneamente” dichiarato che Ahmadinejad ha corso il rischio di essere ucciso da attentatori, che però si sono rivelati fantomatici: la nostra polizia non è riuscita a individuare alcuna traccia di questo presunto disegno terroristico.
Tornando alla visita di Maryam Rajavi c’è anche un piccolo giallo da raccontare. Durante la sua visita romana, la signora, controllata dalla scorta di polizia, discretissima ma efficiente, si è recata in Vaticano. O meglio, da musulmana è andata a S. Pietro per pregare. È facile immaginare che il segretario di Stato vaticano, se non proprio Benedetto XVI, abbia voluto segretamente incontrarla. Se la notizia verrà confermata (ma, per il momento, ne dubitiamo) il bilancio della visita in Italia della leader della resistenza italiana ci sembra di grande valore,anche per i futuri sviluppi della lotta per la democrazia nella repubblica iraniana. Infatti, il rischio di bombardamenti dei siti nucleari iraniani (dagli israeliani e dagli Usa) si fa ogni giorno più concreto. La Rice lo ha ripetuto più volte in questi giorni dopo il sostanziale fallimento delle tre serie di sanzioni economiche dell’Onu. A questo punto la “terza via” prospettata dalla signora Maryam ci sembra quella più idonea: la conquista della libertà e della democrazia in Iran da parte dei dissidenti, soprattutto dei giovani nelle università, all’interno e di tutta quella generazione di iraniani costretti a vivere all’estero negli ultimi 30 anni per sopravvivare alle persecuzioni di Khomeini, di Khamenei e dell’ex pasdaran e agente dei servizi segreti Ahmadinejad. L’Occidente – e l’Europa in particolare – deve fare la sua parte, uscendo dalle ambiguità e sostenendo con più coraggio e decisione la lotta della resistenza iraniana.
I successi della Rajawi fanno infuriare il governo iraniano, che arresta l’ambasciatore a Roma
E l’Italia? Il ministro degli Esteri Franco Frattini, che ha mostrato simpatia per la resistenza iraniana, non si è ufficialmente pronunciato. Ha però fatto capire che la “partita”si deve giocare a Bruxelles e che l’Italia può fare molto per influenzare il vertice europeo. È stata questa anche la posizione del presidente della Camera, Gianfranco Fini, che ha incontrato Maryam Rajavi (non senza qualche protesta). La leader della resistenza è stata ricevuta, sia pure in forma privata, anche dal sindaco di Roma, Gianni Alemanno. Ma gli incontri, ufficiali e ufficiosi, della signora Maryam, sono stati
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Brown perde nella “sua” Scozia Sempre peggio per Gordon Brown: il primo ministro di Sua Maestà appare a crescente rischio di defenestrazione dopo che il partito laburista ha perso ieri una cruciale elezione suppletiva in una circoscrizione scozzese Glasgow est - che è stata per decenni un imprendibile feudo della sinistra. Sembrava che il Labour dovesse farcela per il rotto della cuffia salvando la pelle all’impopolare e traballante Brown, diventato primo ministro nel giugno scorso quando è finalmente riuscito a fare le scarpe a Tony Blair, e invece no: a Glasgow est, una delle zone più povere di tutto il Regno Unito, ha vinto a sorpresa il candidato del partito indipendentista scozzese Snp, John Mason, con 11.277 voti contro i 10.912 della laburista Margaret Curran. Il risultato è clamoroso perché alle ultime elezioni parlamentari nel 2005 i laburisti avevano trionfato in quella circoscrizione (al 26esimo posto nella liste dei feudi più sicuri per la sinistra) con una maggioranza di 13.057 voti. I politologi concordano sul fatto che l’esito della suppletiva non va letto come la spia di un rafforzamento degli umori secessionisti nel Paese delle cornamuse ma come una protesta nei confronti del governo centrale. A questo punto si fa più probabile che in autunno incomincino all’interno del Labour le manovre per una estromissione di Brown, che secondo tutti i sondaggi degli ultimi mesi sarebbe sbaragliato dai conservatori di David Cameron se si andasse ad elezioni politiche nella congiuntura attuale.
Iraq-Vaticano, basta violenze Una «rinnovata condanna della violenza che quasi ogni giorno continua a colpire le diverse parti del Paese, senza risparmiare le comunità cristiane, che sentono fortemente il bisogno di una maggiore sicurezza» e «l’auspicio che l’Iraq possa trovare decisamente la strada della pace e dello sviluppo attraverso il dialogo e la collaborazione di tutti i gruppi etnici e religiosi, incluse le minoranze». Sono stati questi i contenuti più importanti dell’udienza che stamane papa Benedetto XVI ha concesso a Nouri Kamel AlMaliki, primo ministro della Repubblica d’Iraq ricevuto nel Palazzo apostolico di Castel Gandolfo.
Libano, scontri a Tripoli: tre morti È di tre morti e 22 feriti il nuovo bilancio degli scontri a fuoco scoppiati nella notte di ieri a Tripoli, la grande città nel nord del Libano, fra militanti sunniti sostenitori della maggioranza anti-siriana e i rivali alauiti (sciiti) vicini all’opposizione guidata da Hezbollah. Cominciati nella notte, i combattimenti sono proseguiti almeno fino alle prime ore del pomeriggio, implicando l’uso di razzi di tipo Rpg. Teatro degli scontri anche questa volta sono stati i quartieri sunnita di Bab al Tebbaneha, feudo della maggioranza anti-siriana, e alauita di Jabal Mohsen, i cui abitanti sostengono il movimento sciita Hezbollah.
Cipro, via ai negoziati il 3 settembre I negoziati diretti per la riunificazione dell’isola di Cipro inizieranno il 3 settembre prossimo: lo hanno deciso il presidente greco-cipriota Dimitris Christofias e il leader turco-cipriota Mehmet Ali Talat, incontratisi oggi a Nicosia.
Sarkozy accoglie “l’amico Obama” Il candidato democratico alla Casa Bianca, Barack Obama, è arrivato nel pomeriggio di ieri a Parigi, per una visita di alcune ore ed un colloquio con il presidente francese Nicolas Sarkozy. Questi, prima dell’arrivo del senatore dell’Illinois, lo ha definito “un amico” ed ha aggiunto di aver sempre saputo che avrebbe vinto la nomination democratica. Dopo il ’blitz’ nella capitale francese, Obama è atteso in serata a Londra, per l’ultima tappa di una missione che lo ha portato anche in Afghanistan, Kuwait, Iraq, Giordania e Israele.
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Riscaldamento globale. L’ex premier britannico spiega come trovare un accordo internazionale per un futuro a basse emissioni di carbonio. E avverte: l’appuntamento di Copenaghen 2009 è cruciale
Un nuovo patto per il clima di Tony Blair segue dalla prima e non saremo sufficientemente radicali nel modificare la natura della nostra crescita economica, non riusciremo ad evitare potenziali disastri climatici. Se non saremo abbastanza realistici nel definire un quadro che ci consenta di conseguire questo obiettivo, non riusciremo a giungere ad un accordo. La popolazione è molto preoccupata per i crescenti danni al clima e per la radicale portata delle azioni da intraprendere per prevenirli. Ed è compito dei leader politici identificare le giuste azioni nazionali ed internazionali per porre l’economia mondiale sui binari di una crescita a bassa intensità di carbonio, senza tuttavia ostacolare le aspirazioni legittime delle popolazioni – in particolare dei Paesi più poveri del mondo – a beneficiare dei vantaggi materiali e sociali della crescita e del consumo. Data la complessità delle questioni in gioco - la scarsa precisione di buona parte dei dati disponibili e l’interazione straordinariamente complessa dei fattori politici, tecnici ed organizzativi - definire le modalità per la soluzione del problema presenta lo stesso grado di difficoltà registrato dalla comunità internazionale nella definizione delle istituzioni economiche di Bretton Woods nel dopoguerra. La Convenzione Onu sui cambiamenti climatici (Unfccc) deve definire questo nuovo corso, che non può essere tracciato al di fuori della sua autorità. L’obiettivo del rapporto è delineare questioni, raccogliere le informazioni attualmente disponibili e proporre una strategia di soluzione, ovvero un ausilio al corretto processo formale nell’alveo dell’Onu. Ma dovremo anche considerare i notevoli rischi politici che attualmente esistono. Vi è il pericolo che si spalanchi un vero e proprio abisso fra la comunità scientifica, le Ong e gli esperti che auspicano immediate azioni radicali per ri-
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durre le emissioni di gas a effetto serra e i leader politici che temono siano loro richieste azioni che vanno ben al di là di quanto essi possano intraprendere senza danneggiare la crescita economica.
Mettiamola in questi termini. La richiesta fondamentale che molti fanno è fissare un obiettivo ad interim per il 2020 da concordare durante il processo negoziale di Copenhagen alla fine del 2009. L’obiettivo dei Paesi sviluppati è una riduzione delle emissioni pari al 250%. Si tratta di un impegno molto coraggioso. Ma esso è ben più coraggioso di quanto potrebbe apparire. L’obiettivo è fissato sui parametri del 1990: quindi, i nostri progressi nei prossimi 11 anni dovranno essere misurati sulla base di quanto è accaduto quasi 20 anni fa. Ma, a partire dal 1990, molto Paesi sviluppati hanno registrato un aumento e non una diminuzione delle emissioni. Negli Stati Uniti, più 16 %; in Giappone, più 7 %. Alcuni Paesi europei hanno registrato diminuzioni. Ma negli ultimi 3 anni, in Europa esse sono state fondamentalmente statiche. Pertanto, considerare il 1990 un parametro rende l’o-
LE MIE PRIORITÀ
1. Modificare le modalità della crescita e ridurre la dipendenza dal carbonio, puntando per il 2050 ad una riduzione delle emissioni pari al 50%. Stabilire una direzione chiara per tutti. Innescare il processo consapevoli che da qui al 2050 cambieranno molte delle nostre azioni e delle nostre conoscenze. Definire al vertice delle Grandi economie (2009) l’accordo utile a conseguire l’obiettivo entro il 2050 ed individuare gli elementi del nuovo corso mondiale. Confrontare le varie ricerche ed analisi in modo che gli elementi di base abbiano un fondamento reale e sostanziale tale da sostenere l’accordo su di essi. In Italia, il G8+5 e le altre grandi economie devono giungere ad un accordo sugli elementi di base e su come metterli insieme.
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Sta per aprirsi un abisso fra gli scienziati, le Ong e gli esperti che auspicano azioni immediate per ridurre le emissioni di gas a effetto serra e i leader preoccupati di danneggiare le economie biettivo ancor più difficile. Essenzialmente, si chiede a Usa, Ue e Giappone di passare da una situazione di emissioni in aumento o statiche, tipica degli ultimi 12 anni, ad una diminuzione significativa e senza precedenti nei prossimi 12 anni, per consentire alle emissioni mondiali di raggiungere il livello massimo entro il 2020. Gli scienziati diranno che è essenziale. I leader politici si chiederanno se sia possibile. Non aiuta il fatto che molte delle cifre utilizzate sono via via dibattute, mentre aumentano le nostre conoscenze. Ad esempio, parliamo di una riduzione del 25 e dello 0% entro il 2020. Ma 25 è molto diverso da 0. Alcuni sosterranno che per avere una qualche ragionevole
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L’accordo di Copenhagen deve puntare al massimo risultato possibile. Convenire su revisioni periodiche: quanto è stato fatto e quanto si deve fare per adeguare l’accordo. Impostare un Trattato in divenire, non una risoluzione una tantum di un problema che non potrà concludersi nel 2009. Copenhagen deve fare il suo lavoro, sapendo che non ci si aspetta che risolva tutto. Sarà impostato un costante processo politico per adottare ulteriori misure radicali.
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possibilità di limitare il riscaldamento a circa 2°C, dobbiamo far sì che la concentrazione di gas a effetto serra raggiunga un massimo di 500 parti per milione in volume (ppmv); altri parleranno di un livello di 50 ppmv ed altri di un livello ancora inferiore. Alcuni insistono sul fatto che il 2020 sarà l’ultimo “picco” che potremo permetterci, oltre il quale i danni arrecati al clima diventeranno irreversibili; altri – anche se quasi tutti non scienziati – affermano che potremmo arrivare al 2025 o anche il 2030.
Vi sono poi fatti importanti e profonde realtà politiche che rischiamo di non valutare appieno L’efficienza energetica fornirebbe circa 1/4 dei risparmi necessari e consentirebbe di risparmiare denaro, ma la sua importanza viene spesso ignorata. La maggioranza delle nuove centrali in Cina e India saranno alimentate a carbone. Pertanto sviluppare la tecnologia che consente di catturare e immagazzinare il carbonio non è opzione facoltativa, ma è il cuore del problema. Se almeno un certo numero di Paesi non si impegnerà a perseguire una strategia che porti alla rinascita del nucleare, è difficile comprendere come questo nuovo corso mondiale possa funzionare. Circa il 70-80% delle attuali riserve di emissioni di anidride carbonica (CO2) nell’atmosfera è creato dal mondo sviluppato. Se gli Usa cercano di ridurre le emissioni, ma Cina ed India continuano la strategia attuale, danni irreversibili sarebbero comunque arrecati al clima. Affinché i Paesi in via di sviluppo possano crescere in misura significativa avranno bisogno di fondi e tecnologia, o non potranno raggiungere il livello massimo e successivamente ridurre le emissioni nei tempi necessari. La deforestazione rappresenta circa il 15-20 % del problema delle emissioni. Alcuni settori fondamentali (cemento, acciaio e elettricità) rappresentano quasi il 50%. Le linee aeree e quelle di navigazione, oggi soltanto al 5%, sono in cresci-
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ta. Con una strategia ben congegnata, i costi di riduzione saranno gestibili e forse minori del previsto; potenzialmente vi sono reali opportunità di dar vita ad una nuova economia a bassa intensità di carbonio. Un’altra realtà politica è d’importanza cruciale: la scienza continua a svilupparsi. Una cosa è certa: quello che si dice nel 2008, non è quello che si dirà a Copenhagen, nel 2012 o nel 2015. Le nostre conoscenze aumentano. Un’altra facile previsione che si può fare con ragionevole certezza è che la tecnologia si svilupperà in modi che non possiamo prevedere. Ma, se verranno forniti incentivi chiari, il mercato rea-
Per Blair possibile incarico ufficiale alla Ue
Sulle orme di Al Gore e Bill Clinton? di Silvia Marchetti
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girà: la creatività e l’ingegno umano si rimetteranno in moto e daranno risposte che ora non si possono contemplare. Vi è anche un immenso pericolo politico che chiunque abbia partecipato a negoziati multi-
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riunione con posizioni minimaliste, sapendo che verranno loro strappate delle concessioni, piuttosto che definire un obiettivo possibile e realistico. Si arriverà quindi a un accordo di basso profilo, con un mini-
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È arrivato il momento di agire. La sfida è fare in modo che il cambiamento si verifichi ad un ritmo che sia al contempo sufficiente, ragionevole e sensato
laterali complessi e delicati comprende. Se la riunione di Copenhagen avrà luogo senza una chiara direzione politica, si trasformerà nell’incubo di ogni negoziatore. Inoltre, i Paesi potrebbero affrontare la
mo comune denominatore ed un miscuglio di complicati meccanismi che migliorano di poco il mondo e lasciano l’opinione pubblica disillusa ed insoddisfatta. Vi è un modo diverso e miglio-
LONDRA. Lo stallo del Trattato europeo potrebbe tornare a vantaggio dell’ex premier britannico Tony Blair. Stando ai rumors nei corridoi di Bruxelles e ad alcune indiscrezioni uscite sulla stampa anglosassone, per Blair si profilerebbe un nuovo incarico come “ambasciatore”europeo per le questioni climatiche. Una missione internazionale che lo renderebbe, sul tema, rappresentante personale di Manuel Barroso, presidente della Commissione. La lotta al cambiamento climatico è sempre stata una “carta”dell’ex primo ministro britannico e ora gli si presenta come una “àncora di salvezza”per sopravvivere a un turbolento periodo politico. Il suo ruolo, fin’oggi di mediatore del Quartetto per il processo di pace in Medioriente, non gli ha concesso grandi spazi di manovra né i riflettori internazionali che sperava, mentre il “no”irlandese e l’impasse del processo di ratifica del Trattato di Lisbona hanno seppellito definitivamente il suo sogno di essere incoronato primo presidente del Consiglio Ue. Già alcuni mesi fa Sarkozy, forte dell’appoggio tedesco, bocciò le aspirazioni presidenziali
re per impostare questo nuovo corso mondiale. È essenziale che il mondo, in particolare quello economico, ottenga da Copenhagen una direzione chiara, inequivocabile e radicale. La velocità per intraprendere questo viaggio verso il cambiamento può variare ed adeguarsi nel tempo. Ma tutti devono sapere che la direzione è chiara ed esplicita. Tale nuovo corso potrebbe basarsi su: A. Modificare le modalità della crescita e ridurre radicalmente la dipendenza dal carbonio. Ecco perché dovremmo convenire su un obiettivo mondiale
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di Blair, ma adesso l’ex capo del governo inglese potrebbe trovare a Bruxelles una ricollocazione importante. Smessi l’anno scorso i panni governativi, Tony Blair si è subito lanciato in un restyling per accreditarsi sia come mediatore a livello internazionale, sia come key-speaker a conferenze su commercio e clima, collezionando una serie di consulenze top e ben pagate. Alla Bill Clinton e Al Gore, per intenderci.
Ma a prospettare la possibilità di un suo impegno diretto è stato l’incontro di martedì scorso con Manuel Barroso per discutere di clima e della necessità di giungere a una road map internazionale contro le emissioni nocive da presentare alla conferenza di Copenhagen del 2009 che dovrebbe fissare i nuovi obiettivi di riduzione dei gas serra per il post 2012, ossia alla scadenza del protocollo di Kyoto. Un vertice tutt’altro che facile, dove Blair dovrebbe mediare e convincere i Paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo a collaborare, assicurando all’Europa una posizione privilegiata di “garante dell’accordo”. Insomma, a Copenha-
per il 2050 di una riduzione pari ad almeno il 50%. B. Stabilire una direzione chiara per conseguire tale riduzione, sia per i Paesi sviluppati che per quelli in via di sviluppo. Dobbiamo innescare il processo di cambiamento rendendoci conto che da qui al 2050 cambierano molte delle nostre azioni e delle nostre conoscenze. C. Definire al vertice delle Grandi economie (2009) l’accordo utile a conseguire l’obiettivo entro il 2050 ed individuare gli elementi del nuovo corso mondiale. D. Confrontare le varie ricerche ed analisi in modo tale che gli elementi di base abbiano un
gen l’Ue dovrà portare a casa un buon risultato e Barroso crede che la persona “giusta” per ottenerlo sia il suo “amico” Blair. Non è un mistero, d’altronde, che tra i due sia sempre corso buon sangue. Non solo: al recente vertice G8 giapponese Blair ha annunciato le linee di quella che potrebbe essere una prima bozza di piano per il vertice di Copenhagen, il rapporto del “Gruppo sul Clima” (che oggi presentiamo in esclusiva). Che all’orizzonte ci fosse una nuova missione per Tony Blair si deduce anche dalle interviste rilasciate a inizio mese al quotidiano Independent. Ricordando che la presidenza di turno inglese nel 2005 fu la prima a inserire il clima tra le priorità dell’azione Ue, Blair parla dell’iniziativa Breaking the climate deadlock (rompere l’impasse), tesa a realizzare «un patto politico tra i governi che unisca la difesa del clima al progresso dei loro Paesi e alla prosperità dei cittadini». Blair ammette che il miglior modo per dare il suo contributo è «usare la mia esperienza e i miei contatti» per persuadere i piccoli e i grandi della Terra. «Perché mi piacciono le sfide impossibili».
fondamento reale e sostanziale per sostenere l’accordo su di essi. E. In Italia, il G8+5 e le altre grandi economie devono giungere ad un accordo sugli elementi di base e su come metterli insieme. F. L’accordo di Copenhagen dovrebbe conseguire il massimo di quanto realisticamente possibile in quel momento, vale a dire nel 2009. G. Per adeguare l’acordo si dovrebbe poi convenire su revisioni periodiche di quanto è stato fatto e di quanto è necessario fare. Ciò dovrebbe verificarsi in un consesso più ristretto delle principali economie ed alimentare il processo delle Nazioni Unite. L’idea è quella di un trattato in divenire, non di una risoluzione una tantum di una questione che non potrà concludersi nel 2009. H. Copenhagen può quindi fare il suo lavoro, ben sapendo che i Paesi responsabili del 75% delle emissioni hanno impartito una direzione politica; che non ci si aspetta che risolva, una volta per tutte, ogni questione; che ci sarà un costante processo politico che consentirà di adottare ulteriori misure radicali, man mano che si chiariscono sempre più le nostre azioni e le nostre conoscenze.
Un tale processo si fonda su un assunto fondamentale, che il problema climatico deve essere affrontato dalla politica ponendosi un dilemma: non “se”ma “come”.Vi sono fondate motivazioni per questo assunto. L’atteggiamento di Paesi come la Cina e l’India non è più “visto che avete creato voi questo problema, risolvetelo”. Sanno che il cambiamento climatico è un’emergenza mondiale e non solo del primo mondo. Ma sanno anche che affrontare tale emergenza impone equità: i più vulnerabili alle conseguenze dei cambiamenti climatici vivono nelle aree più povere del mondo. Ugualmente, oggi negli Usa vi è ampio consenso sul fatto che la principale responsabilità in termini di tagli alle emissioni grava sul mondo sviluppato. Nel Giappone del premier Fukuda le opinioni sono cambiate. Nella Ue si registra un ampio consenso sulla necessità di agire. Insomma, la volontà c’è. Resta da definire come giungere ad un accordo che avvii un nuovo corso caratterizzato da un futuro a bassa intensità di carbonio: un nuovo corso che sia equo e fattibile, radicale e realistico. (prefazione al rapporto Breaking the climat deadlock)
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speciale bioetica fondamentale considerare che la persona in stato vegetativo non presenta un elettroencefalogramma piatto e non è un malato terminale; è una persona che una volta raggiunta la stabilità clinica non è più da considerare paziente o malato ma persona con gravissima disabilità; è forse la persona con il massimo livello di disabilità . È persona a tutti gli effetti a cui restano tutti i diritti di cittadino».
«È
Con queste parole ben trentaquattro associazioni che si occupano di gravi cerebrolesioni hanno definito in cosa consiste lo stato vegetativo, spiegando che è la forma più grave di disabilità di fronte a cui ci si può trovare, ma che è una condizione totalmente diversa, e comunque lontana, dallo stato di morte clinica. Stiamo parlando di ventitrè associazioni aderenti alla Federazione Associazioni Traumi Cranici, di dieci associazioni che fanno capo alla Rete Associazioni riunite per il Trauma Cranico e le Gravi Cerebrolesioni Acquisite, e dell’Associazione Vi.Ve (Vite Vegetative) a cui sono iscritti venti professionisti fra neurologi, esperti del settore, compresi bioeticisti. Si tratta della rappresentanza più vasta di persone gravemente cerebro-
Creato
Trentaquattro associazioni, che si occupano di gravi cerebrolesioni, redigono un documento a favore di tutte le persone in stato vegetativo
LA VITA OLTRE UNA SENTENZA di Assuntina Morresi lese, unite in un comune giudizio riguardo al caso di Eluana Englaro.
Lo scorso 23 luglio, a Roma, presso la Biblioteca del Senato, queste associazioni hanno organizzato una conferenza stampa per rendere pubblica la loro richiesta al procuratore generale di Milano di presentare ricorso avverso alla sentenza della Corte di Appello, che ha consentito la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione artificiale ad Eluana Englaro, da 16 anni in stato ve-
getativo. Alla conferenza stampa è intervenuto il sottosegretario al Welfare, Eugenia Roccella, che ha condiviso molte delle perplessità delle associazioni sulle sentenze che stanno facendo discutere l’Italia quella della Cassazione dello scorso ottobre e quella della Corte di Appello di Milano di qualche settimana fa - ma che ha anche spiegato che quella non era appena una conferenza stampa sul caso Englaro: insieme alla lettera al procuratore generale di Milano, infatti, le associazioni hanno presentato
alcune richieste al sottosegretario, in particolare la creazione di un Osservatorio e di un registro nazionale per monitorare la situazione delle persone gravemente cerebrolese nel nostro paese. A tutt’oggi il numero di italiani che versano in
queste condizioni è solamente stimato sulla base di dati statistici: considerando la distribuzione di queste cerebrolesioni rispetto alla popolazione, si ipotizza che in Italia ci siano circa 1500 “Eluane”, la maggior parte delle quali vive in fami-
In Italia ci sono circa 1.500 “Eluane” e la maggior parte delle quali vive in famiglia
IL DOCUMENTO Gentilissimo Procuratore generale della Repubblica di Milano. I soggetti: Federazione Associazione Trami Cranici (23 associazioni aderenti) La Rete Associazioni riunite per il Trauma Cranico e le Gravi Cerebrolesioni Acquisite (10 associazioni aderenti) L’associazione VI.VE. (20 aderenti tra neurologi, professionisti, esperti di bioetica) sono da anni associazioni tra le più rappresentative in Italia che si occupano di coma e stati vegetativi, tematiche connesse ai loro esiti ed alle gravi cerebrolesioni; hanno al loro interno comitati scientifici e consulenze di esperti anche stranieri, che seguono gli aspetti clinici e formativi, rappresentano alleanza terapeutica con strutture di eccellenza e sono direttamente coinvolte nei processi di trasformazione sociale sui temi della «qualità di vita nelle negli esiti di coma» e della necessità di «tutelare diritti civili di assistenza e dignità di vita» in maniera uniforme sul territorio nazionale e che hanno dimostrato in questi anni anche di saper dialogare
in modo costruttivo ed operativo con i competenti organi parlamentari, ministeriali ed istituzionali in genere anche a livello locale.
Le associazioni hanno dimostrato in questi anni di essere in grado di svolgere un ruolo in tre funzioni: - saper intercettare da alcuni decenni una serie di bisogni e comprenderli nella loro globalità e nelle loro priorità, a partire da una esperienza vissuta e saper essere propositivi; - saper raccogliere intorno a questi bisogni risorse; - saper sperimentare modelli di intervento innovativo con una buona collaborazione tra le famiglie e la comunità tecnico scientifico, una alleanza con il personale medico, nel progettare, nel disegnare, nel validare queste costruzioni di percorso, soluzioni che dimostrano la forte capacità delle famiglie di dialogare con i professionisti. Le chiedono appello per presentare senza indugio ricorso avverso alla sentenza della Corte di Appello sul caso Eluana Englaro. Ritenendosi contrari al concetto di irreversibilità dello stato vegetativo. Uno Stato vegetativo non può essere definito con assoluta certez-
za irreversibile e permanente. Nella sentenza si cita una definizione della Multisociety Task force on Pvs del 1994 ormai ampiamente datata che fa riferimento alla distinzione ormai da troppo tempo desueta tra stato vegetativo permanente e persistente. Non viene invece menzionata una ampia letteratura medica successiva e contraria.
ticolare con le tecniche di neuroimaging e dei potenziali cognitivi, hanno mostrato un panorama di situazioni molto più complesso di quel che si pensava fino a non molto tempo fa. Tracce di qualche tipo di elaborazione cognitiva sono presenti in un certo numero di pazienti con diagnosi clinica di Stato Vegetativo.
Spiace davvero che su questo punto incontrovertibile la sentenza della Corte d’Appello milanese si sia (troppo ed unicamente) rifatta ad un datato documento di una commissione ministeriale subito avversata dalla stragrande maggioranza del mondo scientifico, al punto che da quel documento ha preso subito le distanze lo stesso ministero; e tutto ciò quando invece sull’argomento si dispone di altro e più recente documento di una successiva commissione ministeriale, questo sì ufficialmente riconosciuto dal ministero, dove si ribadisce l’attuale impossibilità scientifica di procedere ad una diagnosi di stato vegetativo permanente, tanto che quest’ultimo documento stesso suggerisce di eliminare la definizione «stato vegetativo permanente» per sostituirlo con quello scientificamente più corretto «stato vegetativo prolungato». Le evidenze degli ultimi anni, in par-
Le evidenze sono così significative che non solo è stata introdotta la diagnosi di stato di coscienza minima ma addirittura alcuni studiosi hanno ipotizzato una categoria intermedia di ”stato di coscienza minima senza comportamenti” che mimerebbe clinicamente uno stato vegetativo completo. Anche se si trattava di uno stato di coscienza minima e non di uno stato vegetativo, vale la pena ricordare il caso di Terry Wallis che si è sostanzialmente modificato dopo 19 anni! Inoltre è dimostrato l’elevato rischio di diagnosi errata (oltre il 40 per cento in alcune casistiche). Infine nella maggior parte dei pazienti piccole modificazioni del profilo di reattività ambientale avvengono nel corso degli anni, segno di processi di adattamento e di plasticità che restano attivi nel tempo. Pertanto una prognosi di Stato Vegetativo irreversibile non è applicabile scientificamente.
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glia. Ma il numero è veramente indicativo, tenendo conto anche del fatto che dal 20 al 40 per cento delle diagnosi di stato vegetativo sono errate.
sone che in Italia si trovano nelle stesse condizioni della Englaro, ed a tutti coloro che si adoperano per sostenerle, insieme alle loro famiglie.
Tutti gli intervenuti alla conferenza stampa sono stati concordi nell’esprimere profondo rispetto per i sentimenti e la battaglia di Beppino Englaro, il padre di Eluana, il quale è convinto che la sospensione di idratazione e alimentazione artificiale sia la migliore soluzione per sua figlia. Allo stesso tempo, però, la critica alla sentenza della Cassazione e a quella della Corte di Appello è stata durissima, sul piano scientifico, giuridico e anche dell’esperienza.
È indubbio che se la vicenda Englaro si risolvesse con la rimozione del sondino naso gastrico e la morte per fame e per sete della donna, alle migliaia di famiglie che si prendono cura dei loro congiunti gravemente cerebrolesi giungerebbe un messaggio devastante, e cioè che è meglio morire piuttosto che vivere in quelle condizioni. Eppure proprio le storie dei familiari di chi si trova in stato vegetativo, o comunque in situazioni di gravissima disabilità, sono lì a dimostrare che siamo di fronte a una vita diversa, di cui ancora c’è tanto da comprendere, ma che è, indubbiamente, ancora una vita.
Il documento delle associazioni sottolinea innanzitutto che la letteratura scientifica a cui si fa riferimento nelle due sentenze è oramai superata, e che, per esempio, lo stato vegetativo non viene più definito «permanente» dagli esperti del settore - come riportato in entrambe i testi - perché non è possibile dimostrarne con certezza l’irreversibilità. Viene contestato poi che la nutrizione artificiale sia una terapia, si critica il fatto che le volontà di Eluana siano state dedotte da “semplici frasi di commento”, ma soprattutto si fa riferimento alle migliaia di per-
Trattasi piuttosto di una prognosi di carattere probabilistico. Inoltre è fondamentale considerare che la persona in Stato Vegetativo non presenta un elettroencefalogramma piatto e non è un malato terminale; è una persona che una volta raggiunta la stabilità clinica non è più da considerare paziente o malato ma persona con gravissima disabilità; è forse la persona con il massimo livello di disabilità . È persona a tutti gli effetti a cui restano tutti i diritti di cittadino.
Alla Nia (Nutrimento Idratazione Artificiale) come medicamento non è condiviso in letteratura medica il concetto sostenuto dalla Cassazione che la Nia sia un medicamento, pertanto rifiutabile ex art. 32 Cost. L’uso dei presidi sondino nasogastrico e/o della sonda enterale (Peg) per l’idratazione e nutrizione, non sono da considerarsi una terapia per una persona comunque impossibilitata a provvedervi per suo conto. Se non c’è terapia, non può esserci dunque accanimento. E come non considerare che: impiantare detti presidi non è assolutamente invasivo: sono usati per lo scopo per cui sono stati concepiti (nutrire ed idratare); la somministrazione di cibo e acqua può essere effettuata da chiunque (sono i familiari che lo fanno a domici-
lio) attraverso un semplice collegamento del contenitore del cibo o della bevanda al sondino; i preparati alimentari di tipo chimico implicanti procedure tecnologiche (peraltro di uso comune) possono essere sostituiti da alimenti assolutamente naturali che possono essere ridotti ad una giusta densità tramite elettrodomestico (sono moltissime le famiglie che somministrano elementi naturali). Infine appare a questo proposito alquanto contradditoria la modalità indicata in sentenza di esecuzione della sospensione della Nia nel punto in cui viene comunque imposta oltre che una indispensabile umidificazione frequente delle mucose, anche una somministrazione di «sostanze idonee ad eliminare l’eventuale disagio da carenza di liquidi». Vale a dire che la paziente deve essere idratata. Ad autorizzare l’utilizzo del“bene vita”. Rimangono disattesi alcuni principi cardini del nostro ordinamento giuridico, quali ad esempio l’indelegabilità di atti personalissimi e di beni indisponibili come il bene vita, partendo dal presupposto che allo stato attuale non esiste alcuna normativa che autorizzi il rappresentante legare a far valere in tal senso la volontà espressa in precedenza del soggetto sotto tutela.
Quindi appare davvero fuori da ogni logica giuridica e da ogni precedente giurisprudenziale oltre che fuori da ogni buon o normale senso ricavare il convincimento della precisa volontà di Eluana Englaro di lasciare una sorta di “testamento biologico” nel senso di rifiutare cure nel caso, poi purtroppo verificatosi, di condizione personale di stato vegetativo, da un carattere giovanile amante della libertà e da semplici frasi di commento ad episodi simili assolutamente tipici e ordinari in una giovane donna come in un giovane uomo; è davvero sconcertante e pericoloso trarre da tutto ciò una sentenza volta all’accoglimento di una istanza di soppressione di una vita amorevolmente portata avanti per 15 anni! I soggetti facenti appello, nel rispettare l’umana vicenda di Eluana Englaro e della sua famiglia, si sentono profondamente colpiti da una sentenza che mette in discussione: - la vita di migliaia di persone che in Italia soffrono le stesse condizioni, che sono accudite da familiari con viva passione e condivisione, con prospettive di benessere per il loro futuro, senza alcuna giustificazione di ordine giuridico, etico e scientifico, rendendo peraltro ancora più precari e più deboli i diritti attuali e in particolare futuri delle migliaia di persone con dia-
Nelle pagine che seguono, oltre che il testo del documento presentato in conferenza stampa, possiamo leggere la storia di una delle 34 associazioni firmatarie: Gli amici di Luca. Se si riuscisse ad ascoltare innanzitutto la voce di tutti coloro che vivono in prima persona queste situazioni, uscendo dalle secche dello scontatissimo scontro laici-cattolici, sicuramente ne guadagnerebbe il dibattito pubblico, ma anche i tanti Luca ed Eluane e tutti coloro che se ne prendono cura.
gnosi di Stato Vegetativo e delle rispettive famiglie; - la stessa vita di migliaia di persone con gravi disabilità o con patologie diverse tra cui quelle degenerative del sistema cerebrale, laddove si considerasse una dichiarazione fatta in epoca giovanile come manifestazione di volontà e quindi come forma di testamento biologico; - l’operato di associazionismo, cooperazione sociale e mondo del volontariato che si adoperano con progettualità e strategie per la qualità di vita di soggetti con gravi cerebrolesioni, esiti di coma e in stato vegetativo, per il loro reinserimento sociale e la tutela del loro valore sociale; - valutazioni scientifiche internazionalmente acclarate, che fondano la base di un percorso terapeutico per i soggetti trattati. Le porgiamo i più distinti saluti e ossequi. Fnatc (Federazione Nazionale Associazione Traumi Cranici); La Rete - presidente dott. Paolo Fogar; Associazioni riunite per il Trauma Cranico e le Gravi Cerebrolesioni Acquisite - presidente dott. Gian Pietro Salvi Vi.Ve. (Vite Vegetative) presidente dott.Giuliano Dolce
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speciale bioetica sette mesi, a Luca viene diagnosticata una grave forma di idrocefalia tetraventricolare: il suo cervello non è in grado di far defluire il liquor cerebrale e in questo modo si rischia una compressione che può ledere l’encefalo. Dopo tre mesi, occorre intervenire chirurgicamente, per creare un sistema di deflusso artificiale dal cervello al peritoneo; sistema che presenterà poi alcuni inconvenienti e sarà riparato in tre successivi interventi di neurochirurgia a tre, sette e undici anni. Grazie alla valvola che regola la circolazione del liquor, Luca vive normalmente, anche se ha un ritardo motorio molto grave. Non è in grado di camminare a tre anni, ma è un bambino molto sveglio e chiacchierone. Gli piace moltissimo la musica, che resta ad ascoltare a lungo, quasi estasiato. Dopo cinque anni di fisioterapia quotidiana, il suo camminare è ancora insicuro ed ha bisogno sempre di appoggiarsi a qualcuno che lo sorregga. Ha grande voglia comunque di muoversi e girare, perciò i genitori lo portano in Sardegna, in aereo.
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Una patologia cardiaca blocca il moto del bambino, non la sua intelligenza
Deciso ad amare fino all’ultimo di Ernesto Capocci
A cinque anni, seduto ancora su un passeggino, ha pochissima autonomia nel movimento, legge, anzi divora, fumetti: rimarranno sempre la sua grande passione! A sei anni, quando è in grado di tenere la posizione eretta e può cominciare a muovere i primi passi da solo appoggiandosi a qualche cosa, occorre mettergli un busto che dal collo gli cinga tutto il tronco fino ai fianchi, per tenere controllata e diritta la sua colonna vertebrale che mostra
Una grave forma di malformazione cerebrale ha bloccato l’infanzia di Luca già una grave scoliosi. Con tanta pazienza e sopportazione, tiene addosso questa “gabbia” anche di notte: è sempre allegro e affronta con spirito sereno la costrizione del busto. Grazie al supporto artificiale alla schiena, può partecipare con la mamma ad alcune spedizioni in montagna: come lei ama salire e trovarsi in mezzo a fantastici paesaggi alpini (seggiovie e funivie danno una mano). La musica gli piace continua a piacergli anche quando è più grande, cosi come ama ballare: così si cimenta in danze sfrenate con gli amici, alle feste. Lione, Francia, diven-
ta per Luca una seconda patria, perché lì c’è la clinica dove viene curata la scoliosi e due o tre volte all’anno (per nove anni), Luca si reca con i genitori a Lione per i controlli del busto e per il programma di fisioterapia cui continua a sottoporsi da quando aveva tre mesi di vita. Quando arriva l’estate, ogni anno, Luca va al mare, dove può mostrare quanto è «fusto senza il busto»; si gode la spiaggia e l’acqua liberamente, senza ingabbiature. Il suo corpo, ancora impacciato nei movimenti, in acqua si libera e si rilassa e lui ama molto stare a lungo immerso con la maschera a guardare i fondali. Fin da piccolo Luca piacevano molto i travestimenti e il suo papà coltiva vo-
lentieri questa tua passione. Il gioco dei travestimenti arriva alla sua massima espressione quando Luca e il suo papà scrivono un libro dove, trasformati in due detective con impermeabili e cappelli, cercano di catturare Babbo Natale in cento modi differenti: un successone! Viaggiare ti è sempre piaciuto tanto: in treno, in macchina, in aereo, in tutti i modi; la tua specialità è quella di viaggiare anche per ore in automobile leggendo sempre, inginocchiato davanti al sedile posteriore, instancabile, un «lettore infinito».
La scuola elementare è un’importante esperienza che dà a Luca maggiore autonomia e lo aiuta ad aprirsi agli altri bambini; anche lì si manifesta la sua passione per i fumetti: a carnevale si traveste da Gambadilegno. Alla scuola media frequenta una classe di pochi ragazzi, ma si crea un bel gruppo affiatato e con alcuni dei compagni
rimarrà un forte legame di amicizia anche successivamente. La sua passione per il mare, per due estati successive, si arricchisce di un’esperienza esaltante: in barca a vela con papà e i suoi amici; tuffo libero (mamma non c’è!) e lezioni di pilotaggio della barca da parte dello skipper che lo nomina suo secondo pilota. Ormai Luca è adolescente, frequenta già il liceo classico e, all’inizio del secondo anno di ginnasio, deve assentarsi da scuola per un mese per sottoporsi a Lione ad un periodo di quattro settimane di “gesso di allungamento”: restare in trazione per mezzo di un’ingessatura al tronco allo scopo di tirare la colonna vertebrale e darle quanto più possibile una forma diritta . Ancora una volta, i genitori di Luca, un pò allarmati per questa “cattura ” veramente impegnativa, si rendono conto che col carattere che Luca ha si superano tutti gli ostacoli e le difficoltà: è costretto a stare tutto il giorno sdraiato su un lettino a rotelle, ma Luca impara a muoverlo e dirigerlo per i corridoi, lì disteso legge continuamente e, inoltre, riesce anche a scrivere (di latino e di greco!) per non rimanere troppo indietro rispetto alle lezioni. Tutto questo sempre col sorriso sulla bocca e quel fare ironico che sdrammatizza anche le situazioni più impegnative. Luca ha quindici anni e quattro mesi, quando, a causa di un piccolo intervento precedente quello più impegnativo alla colonna, cui deve sottoporsi dopo due mesi, va in coma: qualcosa che non è andato durante l’intervento (non si sa ancora cosa) gli ha massacrato il cervello. La sua vita è compromessa irrimediabilmente. Comincia la sua battaglia più impegnativa, ma Luca dimostra di essere veramente il piccolo, grande guerriero che i suoi genitori hanno sempre visto coraggiosamente combattere nelle tante prove che la sua giovane vita gli ha dato: in otto mesi di coma e stato vegetativo i genitori lo assistono nella lunga battaglia e Luca compie progressi inaspettati, arrivando all’auspicato risveglio. E quando a Natale i suoi amici lo vanno a trovare finalmente a casa, pur ancora lontano da loro nella sua situazione di cerebroleso gravissimo, Luca fa il gesto di vittoria e sorride leggermente con quel sorrisetto ironico che lo ha accompagnato tutta la sua vita. Questi è Luca, questa la sua espressione più caratteristica, che rappresenta il suo modo di essere, che ha dato coraggio anche a coloro che gli sono stati vicini e l’hanno accompagnato in un’avventura così impegnativa.
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Il padre racconta l’esperienza dell’Associazione legata al ricordo del figlio scomparso
Trasformare il dolore in impegno colloquio con Fulvio De Nigris a storia, breve ma intensa, di Luca dimostra come a volte gli sconosciuti percorsi dei destini di una vita possano fortificare chi li affronta con coraggio. A Fulvio De Nigris - padre di Luca, il ragazzo bolognese di quindici anni, rimasto in coma per duecentoquaranta giorni e poi scomparso nel 1998 - oggi direttore del Centro Studi per la Ricerca sul Coma, che nasce dal percorso d’esperienza legato al progetto della Casa dei Risvegli Luca De Nigris, A De Nigris chiediamo innanzitutto come nasce l’associazione volontariato onlus Gli amici di Luca. Noi genitori, io e Maria Vaccari, oggi Presidente dell’associazione, ci siamo trovati nel ‘97 con un ragazzo di quindici anni in coma. All’improvviso, abbiamo dovuto affrontare un percorso sconosciuto per noi. Abbiamo cercato soluzioni tra amici, su internet, dappertutto. In quel momento, non esisteva nessuna realtà italiana che volesse aiutare Luca. Abbiamo individuato una clinica ad Innsbruck, per accedere alla quale occorreva molto denaro. L’abbiamo raccolto, tra amici, parenti – in seguito, una parte di questo denaro ci è stato restituito dalla Asl dell’Emilia Romagna - e siamo partiti per l’Austria, dove abbiamo compreso che cosa volessero dire i processi di miglioramento per i casi come quello di nostro figlio. Quali miglioramenti ci sono stati in Luca? Dopo qualche tempo dall’inizio della terapia, Luca si è risvegliato. Il risveglio non è quello che viene descritto nei film, natural-
L
Da allora avete deciso, lei e sua moglie, d’intraprendere un’iniziativa di carattere sociale… La storia di Luca ci ha colpiti quando mia moglie ed io eravamo già separati. Ci siamo uniti per affrontare la vicenda di nostro figlio e per fare per lui tutto quanto era possibile. Ora, che Luca non c’è più, abbiamo deciso, in suo nome, di continuare insieme quest’impegno civile e sociale. Avevamo già costituto l’Associazione Gli Amici di Luca per diffondere un appello alla solidarietà per affrontare le spese del viaggio,
La Casa dei Risvegli De Nigris è testimonianza di una esperienza utile a tutti mente. Luca ha cominciato con gli occhi, poi con i movimenti della testa, i cenni con un dito, col quale indicava il sì e il no. Tutto questo si è accompagnato ad una ripresa di mobilità. Il suo corpo, già così provato sin dalla nascita, non ce l’ha però fatta, e Luca ci ha lasciati nella notte tra il 6 e il 7 gennaio del 1998.
del soggiorno e delle cure necessarie a Luca in Austria. Ci erano rimasti cento milioni di vecchie lire. Abbiamo deciso d’investire il denaro in quest’impresa, che nel tempo ha trovato l’attenzione delle istituzioni, dell’Azienda Usl di Bologna, del Comune e della Provincia di Bologna, della Regio-
ne Emilia Romagna, dell’Università degli studi di Bologna. Abbiamo tramutato il dolore per la scomparsa di nostro figlio, in impegno civile, con un obiettivo: dedicarci, con la nostra Associazione e con il suo progetto, totalmente agli altri. Che cosa è nato attraverso la storia di Luca? È germogliata una promessa: la nascita della Casa dei Risvegli, dedicata a Luca, un centro innovativo di riabilitazione e di ricerca inaugurato il 7 ottobre 2004 a Bologna nell’area dell’Ospedale Belluria in occasione della sesta «Giornata nazionale dei risvegli per la ricerca sul coma- vale la pena» sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica. La struttura è diretta dal prof. Roberto Piperno (responsabile clinico dott. Loris Betti). Affiancato alla struttura, abbiamo creato il Centro Studi per la Ricerca sul Coma, che nasce dal percorso di esperienza legato al progetto della Casa dei Risvegli Luca De Nigris, dove si prevede la necessaria integrazione fra competenze medico – riabilitative, psicopedagogiche, volontariato formato e tecnologie innovative. Infatti, la ricerca e lo sviluppo implicati nel progetto impongono non solo una forte transdisciplinarità all’interno del singolo gruppo di ricerca, ma soprattutto
una costante collaborazione tra gruppi di ricerca. Quali sono le altre attività dell’Associazione? Vengono svolte attività di informazione e sensibilizzazione sul tema, di formazione di volontari qualificati per aiutare chi si trova in condizioni di estrema difficoltà, per sorreggere le famiglie e lavorare insieme ad esse, per contrapporre una cultura della cura a una prassi dell’abbandono. L’Associazione, che ha un suo sito internet (www.amicidiluca.it) ha anche attivato dal 2001 il servizio Comaiuto (numero verde 800 998067), un servizio di assistenza gratuito per le famiglie, diffonde gratuitamente la rivista Gli amici di Luca Magazine e le guide per le famiglie edite da Alberto Perdisa, grande sostenitore dell’associazione e della Casa dei Risvegli Luca De Nigris. Avete anche ideato la Giornata dei risvegli per la ricerca sul coma. Sì. Si svolge ogni anno il 7 ottobre e la prossima sarà la settima edizione. L’obiettivo è quello di sensibilizzare il sistema sanitario nazionale per creare una rete di Case dei risvegli in Italia. Un determinante contributo a questo tema è dato dalle campagne sociali patrocinata da Pubblicità Progresso e realizzate dal l’attore Alessandro
Bergonzoni testimonial dell’associazione e della Casa dei Risvegli Luca De Nigris. Qual è l’obiettivo a medio termine dell’Associazione? Vorremmo contribuire, con la nostra azione, a migliorare la qualità della ricerca nel nostro paese, a diffondere le buone pratiche mediche, a creare una rete di centri di eccellenza come il nostro. Speriamo di poterci riuscire, perché sarebbe un traguardo estremamente importante. Da ultimo, una domanda di attualità: che cosa pensa della vicenda che vede coinvolta Eluana Englaro? Rispetto molto la famiglia, suo padre, la sua voglia di libertà per la figlia. Quello che trovo preoccupante è che la recente sentenza sulla vicenda di Eluana, questo modo di agire, sia in qualche modo pregiudizievole nei confronti di altre famiglie, che desiderano il benessere, la cura, il sollievo, l’accompagnamento dei propri cari. Io credo che ci sia il rischio che attraverso il caso di Eluana - e da quel che sta avvenendo attorno alla vicenda di questa povera ragazza - l’opinione pubblica possa essere tratta in inganno e indotta a credere che persone in quelle condizioni debbano, possano, essere abban(e.c.) donate.
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classica
In alto, Simone Bernardini, primo violinista di spalla dei Berliner Philharmoniker e protagonista con gli Ensemble Le Musiche del Festival di Bobbio Classica. A sinistra, il ponte Gobbo, gioiello italiano dell’architettura medievale. Sotto, dall’alto in basso, Beethoven, Brahms, Mozart e Schumann
Da lunedì, e per tutta la settimana, il borgo di Bobbio si immerge nelle melodie di Mozart e Beethoven
La musica da camera va in piazza di Francesco Pacifico l lento scorrere del Trebbia per sei giorni sarà accompagnato dalle melodie di Mozart, Brahms, Schumann e Beethoven. Da lunedì a venerdì prossimi Bobbio – memoria storica della Val Trebbia e “capitale” circestense del Nord Italia nel Medioevo con la sua biblioteca ricordata anche da Eco nel Nome della Rosa – ospita il “Festival di Bobbio Classica 2008”. E offre le sue viuzze, i palazzetti signorili con i cortili interni circondati da portici e i mulini che spuntano all’improvviso nel borgo, per trasformarsi in un grande auditorium per la musica da camera. In questo microcosmo del piacentino, dove la leggenda vuole che san Colombano si accordò con il demonio per costruire il ponte Gobbo, si sono dati appuntamenti i virtuosi dall’Ensemble Le Musiche: parti delle più grandi orchestre europee che tra una pausa e l’altra si riuniscono e si dedicano alla loro passione, la musica da camera. E spaziano dal repertorio barocco a quello contemporaneo, passando con nonchalance dal trio all’orchestra.
I
A guidarli – se di guida si può parlare in un consesso che si fonda soprattutto sulla complicità artistica e amicale – è il giovane Simone Bernardini, primo violino di spalla dell’Orchestra dei Berliner Philharmoniker. Con lui, ai violini, Christophe Horak (Berliner Philharmoniker) e Annette von Hehn (Atos Trio), alle viole Thomas Rössel (prima spalla dell’Opera di Francoforte) e Robin Hong (prima viola spalla dell’orchestra di Hong Kong), e al violoncello, il solista Umbert Clerici e Ulrike Hofmann (Chamber Orchestra of Europe).Tutti insieme per riportare in Val Trebbia le note che hanno incantato la Konzerthaus di Berlino, la Carnegie Hall di New York o il Salzburger Osternfestspiele.
Con l’apporto della Banca di Piacenza e del suo presidente Corrado Sforza Fogliani e con la collaborazione del comune di Bobbio, al centro del festival finisce la basilica di San Colombano e il suo chiostro. E l’abbazia fondata nel 614 dal monaco irlandese, il quale con le sue preghiere, e in sostegno di quelle della regina Teodolinda, riuscì a convertire il re longobardo Agilulfo. Il programma prevede per la serata di lunedì il quintetto per pianoforte e fiati Kv 452 di Mozart e il quintetto per pianoforte e fiati opera 16 di Beethoven. Mercoledì 30 luglio l’Ensemble Le Musiche sarà impegnata nel trio per corno, violino e pianoforte opera 40 di Brahms e nel quartetto per pianoforte e archi opera 87 di Dvorak. Si chiude venerdì primo agosto con il quartetto per pianoforte e archi Kv 478 di Mozart e il quintetto per pianoforte e archi opera 44 di Schumann. Ma questi tre concerti sono soltanto una parte della manifestazione. Se la musica di camera nasce in età classica per puro dilet-
prove. E, se sarà possibile, a tenerle nelle piazze di Bobbio, per offrire al pubblico uno spettacolo nello spettacolo. Ad accompagnarli ci sarà il pianista Alessandro Commellato, tra l’altro direttore artistico della manifestazione, che a in Val di Trebbia, dal 1988, organizza i Corsi di Perfezionamento di Bobbio. In un luogo dove la tradizione è sinonimo dell’oboe ad ancia doppia, del piffero, e di ballate come la giga Bala Ghidon, che qui scandisce da secoli nascite e matrimoni.
Racconta Commellato: «Le prove sono il momento essenziale. Alla Scala assiste un pubblico ad hoc. È il momento dell’amalgama, anche perché si incontrano scuole diverse, un musicista berlinese o un pianista milanese, che cercano un terreno comune, intese stimolanti. Per il pubblico è un dietro le quinte nel quale si colgono tanti aspetti, per gli appassionati è un voyeurismo sul senso di un’interpretazione». Così, per tutta la prossima settimana, e in una logica che ricorda tanto le atmosfere del festival di Montreaux e dell’Umbria Jazz, il Castello, la piazza del Duomo, il ponte Gobbo, le dimore gentilizie come Palazzo Olmi, il mulino Ocelli del Borgo e tutti quegli anfratti che amplificano le ossessioni dei protagonisti de I pugni in tasca (film d’esordio e capolavoro del bobbiese Marco Bellocchio), diventano protagoniste e scenario per improvvisazioni cristallizzate o assoli. Si offre un posto in prima fila per comprendere quanto le esperienze esistenziali e professionali possano incidere sulla perfezione di un’esecuzione.
Protagonista del Festival piacentino l’Ensemble Le Musiche guidata da Simone Bernardini, primo violino dei Berliner Philarmoniker. Prove aperte al pubblico per svelare la magia delle esecuzioni to, nel romanticismo gli eroi dello Sturm und Drang se ne impossessano per ridurre la distanza tra la propria anima e l’infinito. Nascono così capolavori come i Quartetti di Beethoven. E all’inizio del secolo scorso Stravinskij, Britten o Boulez riscoprono il genere introducendo voci e percussioni, per innovare e uscire dagli stilemi imposti dalle mode dell’epoca. Forti di questo passato i virtuosi dell’Ensemble Le Musiche hanno deciso di aprire le porte delle loro
personaggi
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Oggi il chitarrista californiano conclude il suo tour al Rome Rock Festival
Ben Harper, menestrello sulle orme di Dylan di Valentina Gerace na miscela di soul californiano, spiritul e funky avvolgerà la notte romana. Ben Harper, il grande chitarrista americano, conclude oggi il suo tour italiano all’ippodromo delle Capannelle in occasione del “Rome Rock Festival”. Dopo aver lasciato il suo segno inconfondibile a Verona e ad Arezzo, la Capitale sarà l’ultima tappa europea dell’artista statunitense. Dalla prossima settimana ritornerà negli States dove sarà impegnato in una serie di concerti nelle principali città americane. Chitarrista, autore, compositore, leader del gruppo Ben Harper and The Innocent Criminals, sin dall’infanzia è stato “ossessionato”dalle figure musicali di Jimi Hendrix e Bob Marley. È difficile definire Harper se non come un eclettico folk-singer afro-americano che ha cominciato suonando blues vecchia maniera in una caffetteria della sua Los Angeles. Lo stile originale, basato sull’uso del bottleneck, di culto fra i chitarristi hawaiani per il suono esotico delle amatissime chitarre weissenborn e in generale per le chitarre lap-steel suonate con lo slide, sfugge a volte a ogni definizione. Sin dagli esordi ha affascinato per quella sua abilità ad assorbire differenti e contrastanti generi musicali, facendoli confluire in un unico e autentico progetto melodico che ha al suo interno il blues, come punto di partenza, ma che non dimentica il folk, di “dylaniana”memoria e il rock con le sue venature funky e reggae. Certo, sarebbe una bestemmia affermare che nel sound di Harper mancano gospel e soul. Come dimenticare gli album Lifeline e There will be a light impregnati dei due generi.
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Una serie di dischi formidabili e inimitabili, densi di sonorità e originalità, che coniugano generi musicali diversi, una vita fatta di esibizioni dal vivo, come tutte le vite dei veri musicisti, fanno di lui uno dei protagonisti più credibili, coerenti e concreti della scena rock degli ultimi 10 anni. Ben Harper pensa ancora, come ai tempi di Woodstock, che la musica possa cambiare il mondo, o comunque, possa consentire di esprimere stati d’animo e convinzioni sociali e politiche importanti da poter infondere coraggio e speranza a chi la ascolta. In una delle sue ultime dichiarazioni ha sostenuto che la pubblicazione di un nuovo album «dà le stesse emozioni, lo stesso entusiasmo, la stessa eccitazione del debutto». Grazie al suo primo disco Pleasure and pain, uscito nel 1992, Ben Harper si fa notare da alcuni produttori con i quali firma un buon contratto che gli consente di pubblicare, nel 1994, Welcome to the cruel world. L’anno dopo è la volta di Fight for your mind, album considerato più maturo e impegnato politicamente. Ma è il 1997 a segnare la svolta per il chitarrista. Accompagnato dal gruppo, The Innocent Criminals, incideranno l’album The will to live che avrà grande successo di pubbli-
co e di critica. Dopo una serie di concerti, nel 1999 esce Burn to Shine, che scalerà in poco tempo le classifiche musicali di tutto il mondo. Steal my kisses e Suzie blue sono tra i brani più apprezzati. Nel 2001 esce il disco registrato durante il tour Live from mars. L’album Diamonds on the Inside, del 2003, evidenzia quello che Harper riesce a fare meglio: ispirarsi al grande Bob Marley, con With my own two hands, il pezzo portante del disco, e farsi guidare dal sound sublime di Bob Dylan con la canzone When it’s good.
Nel 2004, dalla collaborazione con The Blind Boys Alabama uscirà un ottimo album gospel: There will be a light. Mentre nel 2006, Ben Harper, insieme con The Innocent Criminals, incide l’album Both sides of the gun. E nove mesi dopo il tour, registra in soli 7 giorni nella capitale francese Lifeline. Come dice lo stesso titolo, Ben Harper, con questo ultimo lavoro, traccia una linea sicura, quasi come fosse arrivato a una meta. È Parigi, questa volta, ad aprirgli la strada dell’ispirazione. Città
Sin dagli esordi ha affascinato per l’abilità di assorbire differenti e contrastanti generi musicali, facendoli confluire in un unico e autentico progetto. Per un suono mistico, poetico e sensuale amata da tutti i più grandi jazzisti, da Duke Ellington a Miles Davis, a Charlie Parker. Una città delicata, viva. Tanto da portarlo ad ammettere che Parigi è una città che ha sempre amato. «Ho sempre desiderato incidere un album lì. C’è una sorta di elettricità nell’aria e volevo catturarla in un disco. Desideravo inoltre incidere un disco alla fine di un tour. Arrivi alla fine di un intenso lavoro, sei al massimo dell’affiatamento, hai tutti gli strumenti che preferisci a disposizione. E non potresti essere più attento e pronto di quando sei stato sulla strada per così tanto tempo ed è stato quello che io e il mio gruppo abbiamo fatto dopo 9 mesi di tour, registrando in una sola settimana».
Il risultato è un disco acoustic-soul, sia nelle melodie sia nei testi, che ricalca il mood del periodo successivo alla tournée, quando, dopo mesi di isolamento forzato, «la musica inizia a fluire fuori dalla tua mente senza troppe razionalizzazioni». L’immediatezza è un’altra caratteristica di Lifline, reso unico dalla presenza di Oliver Charles alla batteria, Leon Mobley alle percussioni, Juan Nelson al basso, JasonYates alle tastiere e Michael Ward alla chitarra. Una libertà musicale che ricorda lo spirito folle e creativo del maestro Otis Redding, dei Byrds, dei Rolling Stones e delle varie band rock degli anni Settanta. Prerogativa essenziale di un musicista senza dubbio libero e pieno di talento che ha anche saputo scegliere il luogo adatto per esprimersi al meglio. Un lavoro discografico che ripropone quel soul californiano anni Settanta con cui Ben Harper è cresciuto. Quel feeling creato da una musica psichedelica ma soffusa, in grado di distinguersi per una delicatezza e un fascino fuori dal comune. Una serata da non perdere, dunque, quella di questa sera a Roma. Ultima data in Italia, un’occasione per rivivere delle forti emozioni attraverso le composizioni di un musicista mistico, poetico e sensuale.
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cinema
Da Roma a Barcellona, da Milano a Napoli. Ecco come gli operai della ”fabbrica del sogno” lavorano ai nuovi progetti cinematografici della prossima stagione
Un’estate... al set Il grande schermo alle prese con storie di cronaca, camorra, precarietà e sentimenti di Priscilla Del Ninno ome ogni estate cinematografica che si rispetti, il Bel Paese, quest’anno più che mai snobbato dai turisti per inflazione e caroprezzi, riserva bellezze naturali, scenari urbani e scorci di vita ai tanti set che, a partire da giugno in poi, lo trasformano in un cantiere a cielo aperto dove gli operai della fabbrica del sogno lavorano ai nuovi progetti filmici della successiva stagione. E allora, tra riflessioni generazionali, script intimisti, pellicole d’impegno civile e spunti letterari, dalla capitale a Barcellona, e da Milano alla Toscana, passando per Napoli e dintorni, è tutto un pullulare di storie, volti, personaggi, echi di un mondo in fibrillazione che sembra sempre sul punto di cedere alla marcia trionfante della fiction tv e che, invece, con l’arrivo del caldo, dimostra di saper rispolverare fascino affabulatorio e carisma spettacolare irrinunciabili.
C
Così un fitto calendario produttivo registra il trio comico di Aldo, Giovanni e Giacomo nel pieno delle riprese de Il cosmo sul comò (in uscita il 19 dicembre), prodotto da Paolo Guerra e diretto da Marcello Cesena. Il plot, tra il comico surreale e l’irriverente cabarettistico, si snoda in quattro episodi legati tra loro dai bislacchi insegnamenti di un maestro orientale
ri più o meno plausibilmente riconducibili a una variopinta galleria di tipi. Tutt’altro genere, e opposte atmosfere, invece, sul set di Una questione di cuore, l’ultima fatica di Francesca Archibugi, ispirata al romanzo omonimo di Umberto Contarello, già sceneggiatore di Amelio, Mazzacurati, Bentivoglio, nonché amico di vecchia data della regista.
Il film, le cui riprese sono iniziate a giugno a Porto Ercole nell’Argentario, è incentrato sull’incontro tra due quarantenni molto diversi tra loro - cui prestano volti e mimica Antonio Albanese e Kim Rossi Stuart – l’uno proveniente da una classe sociale colta e benestante, l’altro discendente più o meno diretto di quel sottoproletariato nato da una costola del pasoliniano Accattone, carrozziere arricchito che abita nel quartiere capitolino del Pigneto, balzato recentemente alle cronache per il raid punitivo mirato a un regolamento di conti tra abitanti romani ed extracomunitari. La regista di Mignon è partita e Lezioni di volo, non nuova alla fascinazione per l’apologo sociale, torna dunque con questo lavoro prodotto da Cattleya e Rai Cinema, su temi e corde a lei congeniali, cui attingere per il racconto dell’incontro tra
Aldo, Giovanni e Giacomo sono nel pieno delle riprese de ”Il cosmo sul comò”, pellicola articolata in quattro episodi, a metà tra il comico surreale e l’irriverente cabarettistico (Giovanni) – una strizzatina d’occhio ironica alle mode ayurvediche e alle manie new age pronte a rinvigorirsi con l’arrivo del caldo – e dei suoi due discepoli (Aldo e Giacomo), che con le loro improbabili avventure, diventano protagonisti di storie verosimili che azionano, tra iperboli ed equivoci, una giostra di avvenimenti attorno a cui girano esempla-
questi due mondi, apparentemente lontani tra di loro, che intersecano esistenze e risvolti in un ospedale, dove i due protagonisti arrivano colpiti da un infarto. Ne nasce un’amicizia che cambierà la vita di entrambi e delle rispettive famiglie: Alberto (Antonio Albanese), lo sceneggiatore, sta per recidere il suo legame con la fidanzata (Francesca Inaudi); e anche An-
gelo (Kim Rossi Stuart), l’aitante carrozziere in attesa del terzo figlio con la moglie (Micaela Ramazzotti), subirà i contraccolpi dei cambiamenti in agguato, mentre il sodalizio al maschile tra i due assumerà i contorni di un debito da onorare…
Per ora non è dato sapere molto di più: quel che è con una indeterminata certezza possibile capire dalle note di regia e dalle prime indiscrezioni dal set che circolano in Rete, è che ancora una volta a guidare la mano della cineasta alle prese dagli esordi a oggi con un cammino di ricerca interiore, prima ancora che estetica, sono la curiosità pervicace, lo scetticismo quasi indelebile, l’humour secco e quella miscela di scorci umani, suoni, parole e, soprattutto, esistenze acerbe o insolute, che animano il suo cinema. Elementi chiamati a comunicare per immagini e imprimere su pellicola interrogativi e riflessioni mai apodittici, frasi di una partitura cinematografica che, tra dissonanze e pause, prosegue da anni – anche se con i dovuti distinguo per prove proposte ed esiti raggiunti – sugli stessi binari narrativi. E dunque, se l’Archibugi torna a piazzarsi, almeno a giudicare dal soggetto, a metà strada tra il sociale e il privato, vira dalla spettacolarità del melodramma biografico su Maradona verso la più impervia rotta dell’impegno civile, limitrofo alla linea di confine con l’attualità della cronaca, il nuovo progetto filmico di Marco Risi, Fortapasc, il cui piano di lavorazione, al via da giugno, dovrebbe quasi volgere al termine. Il plot, incentrato sulla figura del giornalista Giancarlo Siani, ucciso dalla camorra nel 1985, e sullo schermo interpretato da Libero De Rienzo, (nel cast con Valentina Lodovini, Michele Riondino, Daniele Pecci, Ennio Fantastichini ed Ernesto Mahieux), è prodotto da Rai Cinema con la Bibi Film Tv di An-
cinema
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Nella pagina a fianco, l’attore Kim Rossi Stuart, impegnato nelle riprese del film ”Una questione di cuore”, di Francesca Archibugi (in basso). A sinistra, il trio comico Aldo, Giovanni e Giacomo, attualmente sul set della pellicola ”Il cosmo sul comò”, prodotto da Paolo Guerra e diretto da Marcello Cesena spietata di quella attuale, dalla rigida mentalità imprenditoriale. Per i risvolti autoriali e le implicazioni critiche però, dichiarazioni d’intenti a parte, non resta che aspettare l’arrivo del film nelle sale.
gelo Barbagallo. «Ci sono voluti sedici anni e un paio di pentiti per comprendere il perché di questo omicidio», ha dichiarato recentemente il regista, che firma la sceneggiatura con Jim Carrington e Andrea Purgatori. La storia segue Siani negli ultimi quattro mesi della sua vita e, in un’ideale salto temporale, è dedicata, come confermato dallo stesso Marco Risi, «alla Napoli umiliata di oggi, in cui Siani può incarnare il segno di una nuova speranza».
Per concludere allora questa rapida, e senz’altro non esaustiva panoramica sui set aperti e disseminati per lo Stivale, non poteva mancare l’appuntamento cinefilo con Giuseppe Piccioni, che dal 7 luglio sta girando a Roma Il premio, il suo nuovo impegno d’autore scritto a quattro mani con Federica Pontremoli, e prodotto da Lionello Cerri per Rai Cinema e Lumiere & Co. Plausibile ipotizzare che la pellicola, con Valerio Mastandrea e Valeria Golino, (accanto a loro, Sonia Bergamasco, Antonia Liskova, Piera Degli Esposti), nel raccontare la storia di Guido - uno scrittore di successo il cui ultimo libro è entrato nella cinquina dei finalisti di un prestigioso premio letterario - e del suo incontro con Giulia, una donna affascinante quanto misteriosa, declina la radice della commedia garbata dai risvolti inattesi, con la desinenza creativa della caratterizzazione dei personaggi, maschere realistiche quanto romanzate della personale dimensione di celluloide piccioniana. Il tutto aggiornato, ne siamo certi, alla rituale finezza psicologica e all’inventiva della scrittura registica a cui da tempo ormai l’autore di Chiedi la luna e Fuori dal mondo ha abituato pubblico e addetti ai lavori, vincendo le iniziali reticenze della critica che, ai suoi esordi e
Grande attesa anche per ”Una questione di cuore” di Francesca Archibugi, il cui set (messo in piedi all’Argentario) vede Kim Rossi Stuart vestire gli insoliti panni di un carrozziere arricchito Speranza magistralmente annegata sotto l’onda d’urto del successo cine-letterario di Gomorra, rispetto al quale Risi coraggiosamente si distacca però nella trattazione del suo lavoro, raccontando una realtà affine eppure, al tempo stesso, inaspettatamente diversa da quella descritta da Saviano e poi messa in scena da Garrone. La camorra che permea l’universo nel quale si muove l’antieroe Siani, ieri archiviato tra le vittime di un passato ancora troppo vicino, e che rivive oggi grazie al film di Risi è, infatti, più antica e, se possibile, più
poco dopo, ha frettolosamente bollato con il marchio della “carineria”il lavoro di questo raffinato autore, portavoce di un minimalismo nostrano capace di elevare il discorso filmico dalla base intimista alla radice sociologica, portando spunti e personaggi lontano da quell’enfasi spicciola che ha siglato la lunga stagione minimalista del nostro cinema dagli anni Ottanta in poi. Protagonista, anche se sullo sfondo, di un viaggio intorno all’universo dei sentimenti – amicizia, amore, incontri di solitudini, reciprocità esistenziali e dialettica pro-
blematica – raccontato attraverso voci e volti da cui fanno capolino la visione e l’esperienza del cineasta, rilette magari in bilico tra commedia e impegno, e con la lente del fascino discreto per le figure marginali, quasi “fuori dal mondo”, che tanto hanno segnato e continuano a segnare la sua poetica cinematografica, popolando un singolare microcosmo autoriale di esistenze non vincenti, spesso schiacciate da un senso di inadeguatezza profonda, afflitte da un’infelicità media ma mai mediocre, a cui, nel percorso di maturazione cinefila di Piccioni, hanno saputo dare credibilità istrionica e veridicità sociale soprattutto interpreti come Margherita Buy e Silvio Orlando. Attesi alla prova, dunque, Valerio Mastandrea e Valeria Golino, protagonisti di questa nuova avventura piccioniana: le riprese de Il premio, allora, che si sposteranno dalla capitale alla Toscana, dureranno in tutto dieci settimane, e procederanno di pari passo con quelle di Generazione Mille euro, produzione Andrea Leone Films e Rai Cinema, al via dal 10 luglio a Milano, con la regia di Massimo Venier. Il film, scritto dal regista con l’infaticabile Federica Pontremoli, snoda il racconto interpretato da Alessandro Tiberi, Valentina Lodovini, (e, tra gli altri, Carolina Crescentini, Paolo Villaggio, Francesca Inaudi), tra Milano e Barcellona, ispirandosi liberamente all’omonimo libro di Antonio Incorvaia e Alessandro Rimassa. Le coordinate narrative sono, come è facile dedurre dall’ingegnoso titolo, la precarietà di vita e la difficoltà di scegliere della “generazione mille euro”, che sullo schermo avrà il volto di un trentenne di nome Matteo, che malgrado una laurea in tasca e un gran talento per la matematica, tra rossi in banca, sfidanzamenti e sfratti, fatica a pagare l’affitto dell’appartamento che divide con il suo migliore amico e a fare progetti per il futuro…
La grande macchina cinematografica, invece, di progetti ne fa e ne produce, per fortuna. Guardandosi indietro, superando a destra la realtà e incrociando, dai tg alla pellicola, e dalla cronaca al romanzo, camorra, vita, precarietà e sentimenti: tutti frammenti di un discorso di celluloide che tornano a comporre il mosaico autoriale e a invadere, prepotentemente, i set di questa lunga estate calda.
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LA DOMANDA DEL GIORNO
Sport estremi, brivido innocuo o incoscienza? BISOGNA METTERE SOTTO PROCESSO GLI SPORTIVI IMPRUDENTI, NON GLI SPORT (SIANO PURE ESTREMI)
COSA TI PUÒ LASCIARE UNA DISCIPLINA IN CUI NON DEVI FATICARE NÉ GIOCARE DI SQUADRA?
In un momento come questo, nel quale le tragedie da sport estremi si consumano quasi tutti i giorni e sono tristemente agli onori delle cronache nere dei quotidiani, verrebbe fin troppo facile dire che questi tipi di sport si fanno per provare la trasgressione da brivido ma si trasformano spesso in atti di cieca incoscienza. Eppure, non riesco ad esserne convinto fino in fondo. A pensarci bene, sono solamente degli sport portati all’eccesso, ma sempre di sport si tratta. Insomma, non può essere lo sport a essere messo sotto processo, ma tutti quegli sportivi che non prendono le dovute e necessarie precauzioni per la propria (ma spesso anche altrui) incolumità. Ovviamente poi ci sono casi in cui neanche tutte le accortezze del caso bastano a salvare la pelle, e in quei casi verrebbe proprio da dire «ma chi glielo ha fatto fare!». Ma quei casi, più che tragedie che potevano evitarsi, sembrano più dei veri e propri appuntamenti col destino. Dunque quanto meno dico questo: va bene praticare gli sport estremi, ma che sempre ci si protegga e si proteggano gli altri. Il resto, si chiama sorte.
Sono definiti sport estremi quegli sport di estrema difficoltà, ai limiti delle leggi fisiche e della sopportazione del corpo umano. Qualche esempio? Bungee jumping, Parapendio, Paracadutismo, Rafting, Hydrospeed, Canyoning, Base jumping, Kitesurfing, Arrampicata, Tuffi, Surf da Onda (o Surfing), Windsurf, Downhill (ciclismo), Maratona estrema. Non tutti, ma praticando molti di questi sport elencati, sono morte decine e decine di persone in tutto il mondo. Fatti salvi poi rari casi, in quasi tutti gli sport estremi non esiste il gioco di squadra, ma solo un agonismo ormai individuale. Insomma manca uno dei principali ingredienti di uno sport che sia davvero degno di chiamarsi così. Dunque credo che praticarli non solo sia da incoscienti (attratti da chissà quale brivido, ché la trasgressione poi è altro ancora), ma soprattutto sia da antisportivi. Cosa mai ti può lasciare uno sport in cui non devi faticare neanche un po’, tipo il Bungee jumping? Si può davvero rischiare la vita e farla rischiare agli altri per un batticuore da lancio nel vuoto che dura appena una manciata di secondi?
Nicola Verdini - Firenze
LA DOMANDA DI DOMANI
Berlusconi: «Io faccio politiche di sinistra. Da opposizione solo fumo». Che cosa ne pensate? Rispondete con una email a lettere@liberal.it
Arianna Perfetti - Genova
UN’ATTIVITÀ CHE METTE IN PERICOLO LA VITA NON È ”ESTREMA”, MA SOLO TANTO STUPIDA Se fai la scelta di uscire dal gruppo, lo fai per te stesso, per qualcosa che senti dentro, che tu sia su una barca a vela o un puntino su una parete di roccia, non lo fai per ”farti vedere” altrimenti è solo uno stupido rischio. Certo poi non puoi lamentarti che gli altri non capiscano. La scelta è stata tua. Io arrampico da circa 17 anni, ho fatto scialpinismo, ho provato la vela, altre attività e prima o poi proverò parapendio. Il motore è sempre lo stesso, la presa di coscienza che quello che fai lo fai per te stesso, per trovare un equilibrio, una linea di vita, la tua vita. Non capisco, cos’è uno sport estremo? Solo un’attività che mette in pericolo la vita? Che ti permette di metterti in mostra o di provare ”sensazioni forti” e adrenalina? Allora è solo stupido!
L’UNIONE DI CENTRO, VERO RIFERIMENTO PER IL SUD ANCHE SUL FEDERALISMO FISCALE Chi difende il Sud con la lega nel “mezzo” tra Partito democratico e Popolo della Libertà, Alleanza nazionale fuori gioco, Berlusconi che, per ovvia convenienza, fa finta di niente, se non l’Unione di Centro? Il ministro Roberto Calderoli pochi giorni fa in commissione Affari regionali con “piglio” sicuro ha illustrato le “tavole scolpite a fuoco” delle tappe che dal prossimo settembre il federalismo fiscale, e non, deve compiere per arrivare entro gennaio 2009 al decreto legislativo che avvia l’iter e, contemporaneamente, dà al Parlamento la possibilità di cominciare il lavoro sulla riforma costituzionale, con il rafforzamento dei poteri del premier. Tutto sembra ok. Invece c’è un dettaglio allarmante: il federalismo leghista non è certamente calibrato sull’interesse generale del Paese, né tanto meno riserva un trattamento adeguato alle regioni meridionali. L’Unione di Centro, anche su questo tema, è chiamata ad uno sforzo importante.
MASSIMA ASPIRAZIONE Tra i record più bizzarri del mondo, quello stabilito dall’austriaco Marco Hort, che ha tentato di battere (riuscendoci) il Guinness dei Primati infilandosi contemporaneamente in bocca 259 cannucce. SE FAMIGLIA CRISTIANA È ANTIBERLUSCONIANA… Non ce n’è. Nessuno, nemmeno don Sciortino, con la sua garbata grazia e il sorriso composto, ci potrà mai convincere che è giusto che Famiglia cristiana, il settimanale paolino da lui diretto, sia da vendere in canonica e in chiesa. Troppo conservatore e moderato il target, ci vuole qualcosa di più rivoluzionario e brillante per fare notizia e business. Forse il canale giusto per aumentare la tiratura, la diffusione e la vendita delle copie, è metterlo in vendita, col giusto gadgeting e merchandising, nelle sedi, nelle feste e nei ritrovi dei partiti dell’opposizione, in particolare in quelli del Partito democratico di Walter Veltroni e dell’Italia dei valori di Antonio Di Pietro. Lì si che sarebbe davvero apprezzato
dai circoli liberal Carlo Pagliara - L’Aquila
La Costituente deve essere e deve avere anima e corpo proprio al Sud. Deve essere garanzia di unità politica e valoriale. Con riferimenti forti e di salvaguardia contro la deriva leghista. Certo non può, non vuole e non deve alimentare contrapposizioni né ulteriori divisioni nel Paese, ma rappresentare un consenso e un sentimento diffuso, questo sì. Un consenso che vuole semplicemente che una parte del Paese, o meglio un partito che li rappresenta, non imponga all’intero sistema geo-politico-economico nazionale, i propri voleri e valori, non proprio di garanzia per tutti. Todi serve anche per porre l’accento su questo argomento che non può cogliere impreparati,ma bensì pronti e disponibili a stare insieme, dalla stessa parte e in difesa dell’interesse nazionale e dei valori cristiani, laici, liberali e moderati che hanno fatto grande il nostro Paese. Tutto intero cosi com’è. Vincenzo Inverso SEGRETARIO ORGANIZZATIVO CIRCOLI LIBERAL
e andrebbe a ruba. Già lo immaginiamo: Famiglia cristiana la trionferà. Grato dell’attenzione. Distinti saluti.
Lettera firmata
GIANNI ALEMANNO ”GREENKEEPER” A ROMA Egregio direttore, pare che il nuovo sindaco di Roma, Gianni Alemanno, sia stato nominato commissario ai debiti comunali. Sì, una nuova figura, quella del greenkeeper, l’addetto alla manutenzione delle buche nel bilancio, resa necessaria dalle oculate gestioni dei suoi predecessori, baciati dai soliti soloni, che rispondono ai nomi dei monsieur Rutelli e Veltroni. E’ proprio vero: ovunque ci giriamo, lo troviamo. Cosa? Lo spettacolo.
Pierpaolo Vezzani Correggio (Re)
APPUNTAMENTI SEMINARIO DI TODI - OGGI LA CHIUSURA DEI LAVORI Seminario, Hotel Bramante, in via Orvietana 48, Todi Si chiudono alle 14 di oggi i lavori del seminario di Todi, che ha visto la partecipazione, tra gli altri, di Casini, Cesa, Buttiglione,Vietti, Volontè, Cicchitto, Gasparri.
ATTIVAZIONI Il coordinamento regionale della Campania ha attivato un numero verde per aderire ai circoli liberal del territorio
800.91.05.29
opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog La tua gelosia mi ha avvelenato l’esistenza Non ho voglia di polemicare. Mi scrivi una lettera che non meriterebbe neppure una risposta tanto è ingiusta e falsa.Tu colla tua gelosia morbosa mi hai avvelenato l’esistenza e pretendi che io mi prostri chiedendoti scusa, sei pazza! Io parto dolente di aver trovato in te la medesima creatura fatta di puntigli superbi e infarcita di cose false; tu sai la verità su tutto ma la nascondi; non puoi convenirne e cerchi caricarmi le spalle di cose che io non ho commesse per coprire altri. Se vuoi tornare con me, sarò sempre pronto riprenderti , e se vuoi difenderti come tu dici fallo pure, io non ho nulla a temere. Nulla! 1.000.000 di persone son lì, ad attestare l’onestà e la probità e la sincerità della mia vita d’uomo e di artista. Io non ti scriverò più, sta sicura, dopo questa lettera; e me ne vado. E se tu vuoi procedere ad accomodamenti, esponi le tue idee e che la situazione finalmente si debba regolare. Giacomo Puccini a Elvira Bonturi
IL VIZIETTO DI STIPENDIARE LE AZIENDE MUNICIPALIZZATE Vorrei spendere due parole sul disastroso buco in bilancio del Comune di Roma. Credo che uno dei reali problemi del Campidoglio, quello dell’era Veltroni intendo, sia stato in realtà rappresentato dalle spese derivate dai compensi ai componenti dei vari consigli di amministrazione delle aziende municipalizzate, che gravano sulla pubblica amministrazione, per circa 2 milioni e mezzo di euro annuali, oltre a una ulteriore aggiunta costituita da gettoni di presenza e compensi connessi a specifici obiettivi non meglio identificabili. a questo, inoltre, vanno aggiunti i 19 milioni di euro (notizia tratta da alcune cronache romane di quotidiani nazionali ben informati) stanziati nel passato per le consulenze più svariate, in materia architettonica, attività legali e altro. Ad esempio, solo il dipartimento VI Roma-Capitale, ha avuto uno stanziamento di fondi per tali consulenze pari a 5 milioni e mezzo di euro l’anno. Per non parlare infine delle varie delibere della giunta Veltroni che riguardano l’assunzione a tempo determinato di consulenti ad alta spe-
e di cronach di Ferdinando Adornato
Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Gennaro Malgieri, Paolo Messa Ufficio centrale Andrea Mancia (vicedirettore) Franco Insardà (caporedattore) Luisa Arezzo Gloria Piccioni Nicola Procaccini (vice capo redattore) Stefano Zaccagnini (grafica)
ACCADDE OGGI
26 luglio 1882 Bayreuth, Germania: prima esecuzione di Parsifal di Richard Wagner 1936 Le Potenze dell’Asse decidono l’intervento nella Guerra Civile Spagnola 1945 Annuncio dei risultati delle elezioni generali nel Regno Unito; il Partito Laburista ottiene il 48% dei voti e una maggioranza parlamentare di 146 seggi (la più ampia nella storia britannica dal secondo dopoguerra). Questo nonostante la popolarità del leader conservatore Winston Churchill. 1947 Guerra Fredda: il Presidente statunitense Harry S. Truman tramuta in legge l’Atto di Sicurezza Nazionale, creando tra gli altri la Central Intelligence Agency e il Dipartimento della Difesa 1953 Fidel Castro guida un attacco infruttuoso alla Caserma della Moncada, dando il via alla Rivoluzione cubana 1956 Il leader egiziano Gamal Abd el-Nasser nazionalizza il Canale di Suez attirandosi il biasimo internazionale
Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Antonella Giuli, Francesco Lo Dico, Errico Novi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Susanna Turco Inserti & Supplementi NORDSUD (Francesco Pacifico) OCCIDENTE (Luisa Arezzo e Enrico Singer) SOCRATE (Gabriella Mecucci) CARTE (Andrea Mancia) ILCREATO (Gabriella Mecucci) MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei, Giancristiano Desiderio,
cializzazione, prevista dall’articolo 110 del D.L. 267/2000 e dagli articoli 8 e 28 del regolamento uffici e servizi del Comune di Roma. Un esempio? Nel 2001, sono stati spesi circa 6 milioni di euro a fronte di retribuzioni individuali annuali che vanno da 25 mila a oltre 100 mila euro. C’è proprio da dirlo: Veltroni ha massacrato la Capitale. Distinti saluti.
Claudio Panepinto - Roma
NON SI DEVE LUCRARE SULLA PENA DI MORTE Credo sia giusto aver sequestrato il manichino sulla sedia elettrica, l’«attrazione» che per una decina di giorni ha spopolato al Luna EuroPark di Segrate. Il pm di Milano Antonio Sangermano ha anche indagato il giostraio, Renzo Biancato, per «atti contro la pubblica decenza», applicando l’articolo 725 del codice penale («Commercio di scritti, disegni o altri oggetti contrari alla pubblica decenza»), e affidando il manichino al proprietario dell’area. Trovo infatti a dir poco inammissibile che si possa anche solo immaginare di creare un business sfruttando una piaga dell’umanità quale è la pena di morte.
Franca Cherubuini - Lecce
PUNTURE Goffredo Bettini ha detto che il Pd ha due giornali ma entrambi sono contro la linea del partito. Quale?
Giancristiano Desiderio
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Filosofia è quando colui che ascolta non capisce colui che parla e colui che parla non sa cosa stia dicendo VOLTAIRE
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Alex Di Gregorio, Gianfranco De Turris, Luca Doninelli, Rossella Fabiani, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Pier Mario Fasanotti, Aldo Forbice, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Alberto Indelicato, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Adriano Mazzoletti, Angelo Mellone, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo, Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Claudio Risé, Eugenia Roccella, Carlo Secchi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania
il meglio di QUOTIDIANI A 1,20 EURO Dite la verità: sareste disponibili a pagare il vostro quotidiano di fiducia 1 euro e venti, invece che 1 euro? Io penso di si. Si tratterebbe di circa 6 euro al mese di aggravio, e probabilmente non sarebbe un ostacolo insormontabile. Non ci sarebbe un crollo nel mercato della stampa quotidiana, insomma. Perchè faccio questa domanda proprio ora, che il ”carovita” preoccupa parecchio? La risposta è semplice: quel livello di prezzo sarebbe assolutamente compatibile con un’abolizione totale dei contributi pubblici alla stampa periodica. Facciamo due calcoli. Attualmente, lo Stato italiano spende ogni anno 700 milioni di euro di contributi in conto capitale per la stampa periodica. Si tratta di una somma limitata, se paragonata al totale della spesa pubblica (700 miliardi), pari allo 0,1%. Rappresenta il doppio, invece, rispetto alle tasse sborsate di tasca dai contribuenti italiani, ovvero lo 0,2%. In pratica, nel bilancio lordo di un capofamiglia operaio, si traducono in circa 30 euro annue di tasse (su circa 15000) pagate per finanziare tutti i quotidiani. Poco, certamente. Ma che sale a 50 euro per un impiegato, a 100 euro per un dirigente. A molto di più per un imprenditore, che versa allo Stato cifre da capogiro rispetto ad un lavoratore dipendente, per motivi differenti (il fisco non è solo imposta sul reddito...). Ogni giorno in Italia vengono venduti meno di
8 milioni di quotidiani (questa è la cifra dichiarata...) All’anno fa un totale di circa 3000 milioni di quotidiani venduti. Lo Stato, versando 700 milioni di euro, di fatto regala agli editori 25 centesimi (scarsi) a copia venduta. Se quei soldi fossero gestiti direttamente dai clienti, per acquistare i giornali, per il ”sistema stampa” non cambierebbe nulla. Lo Stato si troverebbe a dimagrire un poco, mentre i consumatori avrebbero una piccola riduzione delle tasse. Per sopravvivere alle stesse condizioni, quindi, gli editori dovrebbero aumentare il prezzo a 1,25 euro. La concorrenza innescata dalla mancanza di intervento pubblico, probabilmente, limiterebbe tale aumento a 20 centesimi. Certo, rischierebbero di scomparire molti titoli storici: Liberazione, il Manifesto, l’Opinione, l’Unità e molti altri. Il rischio fa parte dell’attività di impresa. Se un prodotto non ”tira”, vuol dire che non è indispensabile. D’altronde, se nemmeno i comunisti comprano il Manifesto, perchè dovrei finanziarlo io... Altrimenti, facciamo uno scambio. Io non chiedo l’abolizione di tali contributi, per salvare ”il pluralismo dell’informazione” pagato coi soldi di tutti. Però poi trasformo il mio blog in un quotidiano politico e chiedo 5-6 milioni di euro di finanziamento pubblico... Provate a immaginare cosa accadrebbe se tutti i blogger d’Italia facessero altrettanto.
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