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QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA • DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK CONSIGLIO DI DIREZIONE: GIULIANO CAZZOLA, GENNARO MALGIERI, PAOLO MESSA

Considerazioni pessimiste sulla pessima Italia di oggi

he di c a n o r c

La mia anima è sempre più lontana dalla mia Patria

IL DESTINO DI ALITALIA IN MANO AI PILOTI Una volta erano un mito sociale, oggi lottano per la sopravvivenza. Ma hanno comunque in mano il futuro della compagnia. Senza il loro accordo, infatti, c’è il fallimento

9 771827 881004

ISSN 1827-8817 80917

di Ferdinando Adornato

Leonardo Di Caprio pilota nel film “Prova a prendermi”

di Gennaro Malgieri n tempo, allontanandomi dai confini nazionali, avvertivo immediatamente una profonda nostalgia unitamente ad un sottile disagio, come se mi trovassi improvvisamente in terre ostili, abitate da esseri diversissimi da me per sensibilità, cultura, modo si sentire, stile di vita. Per quanto amassi viaggiare, mi sentivo sempre e comunque un esule accompagnato dal solo conforto della certezza del ritorno. Del resto, la spinta alla conoscenza era più forte di qualsiasi condizionamento psicologico o ambientale e, dunque, allontanarmi dal mondo che mi era familiare non ammetteva deroghe o mediazioni. Dovevo andare, e magari soffrire. Sofferenza acuita dalla solitudine, ma mitigata da ciò che scoprivo. Per molto tempo ho viaggiato portandomi dentro queste contraddizioni che talvolta mi facevano desiderare il ritorno più di quanto avessi desiderato la partenza. E poi, ad essere sincero, ciò che vedevo non sempre appagava la mia curiosità: tante volte rimanevo deluso e mi trasferivo con il pensiero alle mie terre accarezzate nelle lunghe giornate trascorse girovagando alla ricerca forse più di me stesso che di ciò che mi circondava. Ma questa era una sensazione del tutto letteraria, forse esistenziale.

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Provate a prenderlo alle pagine 2 e 3

s eg ue a p a gi na 12

Il Pd, da solo, corre in salita

Brown rischia un’incriminazione

Di Pietro pronto a colpire Veltroni. In Abruzzo

Guerra civile in casa Labour

Revisionati i libri di storia

Dopo il crollo-Lehman, tremano Aig e Goldman Sachs

In Russia è nato il Minculput

E adesso sui mercati in rotta scoppia l’effetto domino

di Errico Novi

di Silvia Marchetti

di Alessandro D’Amato

di Leon Aron

Alle Regionali abruzzesi del 30 novembre l’Italia dei valori correrà da sola. E la voce grossa di Di Pietro suona per Veltroni come ultimo avvertimento: «Ci pensi bene il Pd a dirci di no».

In casa Labour è ormai guerra civile. Il premier Gordon Brown si ritrova con le spalle al muro, tra la crisi economica che soffoca il Paese e le richieste pressanti di alcuni membri del suo Partito.

La tempesta diventa globale. E arriva fino a Washington. Il giorno dopo, il fallimento di Lehman Brothers fa ancora vittime sui mercati finanziari: a rischio Aig e Goldman Sachs.

Su ordine di Putin esce in Russia il nuovo manuale di storia per i licei. Che, come ai tempi del ministero fascista della Cultura, impone la visione del regime. Cancellati i gulag e rivista la figura di Stalin.

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MERCOLEDÌ 17

SETTEMBRE

2008 • EURO 1,00 (10,00

pagina 4 CON I QUADERNI)

• ANNO XIII •

NUMERO

pagina 14 177 •

WWW.LIBERAL.IT

• CHIUSO

IN REDAZIONE ALLE ORE

19.30


prima pagina Un accordo ”pilotato” o salta tutto

pagina 2 • 17 settembre 2008

Mentre si riaccende la polemica tra Berlusconi e la Cgil, il destino di Alitalia resta nelle mani dei comandanti

«Macché privilegiati: i tempi d’oro sono finiti, la verità è che ormai guadagnamo poco e rischiamo tanto» di Vincenzo Bacarani

ROMA. Ammirati, invidiati (negli anni Cinquanta e Sessanta) e poi criticati e attaccati (anni Settanta e Ottanta, ai tempi di “Aquila selvaggia”), ora accusati di essere una casta delle peggiori, vero e ultimo grande ostacolo alla rinascita della fenice Alitalia. I piloti dell’aviazione civile sono al centro del bersaglio da parte del governo, dei sindacati confederali (Cgil, Cisl, Uil, e ora c’è anche l’Ugl), della Cai (la Compagnia aerea italiana che dovrebbe rilevare l’ormai defunta compagnia di bandiera), del commissario Augusto Fantozzi, dei giornali e persino – in parte – degli assistenti di volo (steward e hostess) con i quali peraltro condividono quotidianamente il loro lavoro. Il tutto mentre, intorno, si riaccende con toni particolarmente aspri la polemica tra il premier Berlusconi («Quello dei sindacati è solo egoismo irragionevole: se fallisce la trattativa, addio garanzie») e la Cgil («Il premier si prenda le sue responsabilità»). Insomma, se l’Alitalia non verrà salvata, sarà colpa dei piloti. Questo si dice e questo viene proclamato da tutte le parti in causa. C’è chi invoca persino il ricorso a piloti stranieri e la messa a terra di quelli italiani. Ma è proprio così? Ma davvero questa “casta”di duemila perso-

Arriva la Guardia di Finanza Non una vera e propria perquisizione, ma la richiesta di acquisizione di bilanci e atti relativi. È questo l’obiettivo della decisione dei Pm di Roma Nello Rossi e Stefano Pesci di inviare ieri mattina nella sede di Alitalia il nucleo tributario della Guardia di finanza. Le Fiamme gialle hanno acquisito i bilanci consolidati degli ultimi 10 anni, insieme ai documenti relativi alle partecipazioni di via della Magliana in altre società, i contratti delle imprese fornitrici in esclusiva e tutta la documentazione legata alle offerte ricevute dal gruppo nel passato decennio. La scorsa settimana la procura aveva avviato un’indagine in seguito alla sentenza d’insolvenza pronunciata dal Tribunale civile lo scorso 5 settembre. L’indagine, tiene a precisare la procura, è relativa esclusivamente al passato della compagnia di bandiera e non attiene in alcun modo alle trattative di queste settimane. Il fascicolo al momento non ha nè indagati, né ipotesi di reato. Nel frattempo, niente riunione intersindacale per le nove sigle coinvolte nella trattativa per il rilancio di Alitalia: l’incontro, previsto per ieri pomeriggio al fine di raggiungere una posizione comune è saltato per impegni interni di alcune organizzazioni sindacali. Insomma, i tempi si allungano: un altro ostacolo nella difficile trattativa tra le forze sociali e la Compagnia aerea italiana che, invece, stringe i tempi e vuole chiudere subito, «entro mercoledì» come evidenzia il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, perché «giovedì si svolgerà l’assemblea Cai e in quella sede gli azionisti decideranno se andare avanti o ritirare l’offerta». In questa situazione, però, secondo i sindacati, manca il tempo per elaborare una posizione comune.

Preparazione, verifiche continue e grande resistenza: ecco la difesa d’ufficio. Ma il premier li accusa: «Se fallisce la trattativa, addio garanzie»

ne (il 10 per cento della forzalavoro Alitalia) mantiene ancora un potere tale da condizionare una trattativa che riguarda 20 mila famiglie? Davvero

vvolti in uniformi linde, coronate da berretti lustri, scendevano e salivano le scalette con aria compita. Cordiali ed eleganti, dalla voce ferma e dal piglio deciso, erano uomini che si immaginavano cortesi in ogni cosa. Piccoli reucci di una corte alata, che adesso, precipitati i tempi ed emersi i guasti, si aggrappano alle proprie prebende, gonfiando il petto in mezzo alle macerie». Non appena Francesco Alberoni, sociologo e saggista di lungo cor-

«A

questi comandanti, piloti e copiloti, che ogni volta che decollano sollevano da terra trecento tonnellate di aeromobile, sono intoccabili? «No, assolutamente - risponde Marco Berti, il presidente dell’Anpac, il potente sindacato autonomo che ha circa il 50 per cento dei piloti italiani iscritti -. Parlare di nostri privilegi è assurdo. Abbiamo gli stipendi più bassi d’Europa e il tipo di vita

che viene descritto riguardo a noi è finito da un bel po’di tempo». Sta di fatto che tutto è bloccato per il no di una classe lavoratrice che arriva a percepire di stipendio in alcuni casi 10 mila euro al mese, che può usufruire di un pulmino con autista dell’azienda sotto casa per andare a imbarcarsi sull’aereo, che viene alloggiata in alberghi a quattro o cinque

stelle e che lavora mediamente 560 ore all’anno rispetto al tetto massimo di 900 ore previsto dal contratto e a una media europea di 700 e passa ore. «Non è affatto così – replica Berti -. Questi sono attacchi mediatici. Molti di noi da tempo nelle trasferte dormono in alberghi lungo le autostrade. Senza contare la professionalità. L’Alitalia è sempre stata all’avanguardia per i corsi di specializzazione e i piloti italiani sono tra i più preparati al mondo. E noi ogni sei mesi ci sottoponiamo a check-up medici completi e particolareggiati. Chi non li supera, rimane a terra. Altro che casta privilegiata». «E poi – aggiunge Danilo Parma, vicepresidente dell’Unione piloti (l’altra organizzazione autonoma di categoria) – si parla di media di impegno orario. Da noi c’è anche chi arriva a sfiorare il tetto massimo delle 900 ore. Il sottoscritto, per esempio, è atterrato alle 7,45 da Chicago effettuando un servizio durato 24 ore di fila. Se questo vuol dire che non siamo favorevoli alla produttività, allora siamo all’assurdo».

Difficile, molto difficile trovare una soluzione. La prevista riunione con i sindacati confederali è saltata. «Ci sono delle preclusioni da parte loro nei nostri confronti», spiega Par-

Francesco Alberoni tratteggia l’immagine di una casta che può mandare sul lastrico migliaia di lavoratori

«Poveri ex re dell’aria. Il vostro mito è finito» colloquio con Francesco Alberoni di Francesco Lo Dico so, tratteggia con rapidi schizzi i piloti di Alitalia, la mente corre rapida alla dissoluzione degli antichi imperi. Professore, chi sono i piloti di Alitalia nell’immaginario comune? Sono stati per lungo tempo figure rassicuranti, cui si affidavano le proprie ansie in vista di un de-

collo. Attenti e disciplinati, capaci di infondere sicurezza nei passeggeri, venivano salutati spesso da un applauso di gratitudine, quando annunciavano all’altoparlante l’imminente arrivo a destinazione. Lei parla al passato. Ne deduco che lo scambio di amorosi sensi sia finito. Certamente. I piloti godono da tempo di innumerevoli privilegi. Voli gratuiti per i familiari,

lunghe ore di riposo, alberghi a cinque stelle e limousine sotto casa. Tanti piccoli lussi che il nostro Paese non può più permettersi, e loro si ostinano a pretendere, a scapito di migliaia di lavoratori. Un atteggiamento che ha effetti devastanti sulla loro immagine, e soprattutto sulla vita di migliaia di persone. Se la trattativa salta, rischiano di restare appie-

dati anche loro. Se in questi giorni i piloti facessero un giro sui tram, sarebbe meglio lo facessero in incognito, senza divisa. La gente è carica di livore nei loro confronti. Nessuno riesce a spiegarsi come una cerchia di sole cinquecento persone, possa essere così irresponsabile da mettere a repentaglio le sorti di altre ventimila in nome di una difesa anacronistica dei propri privilegi.


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Banca Intesa, la lezione di Bazoli e il «modello renano»

Ora anche da noi c’è il capitalismo sociale di Carlo Lottieri a scelta di Corrado Passera di giocare in prima persona la carta di Alitalia e quindi di piazzare Intesa Sanpaolo al centro del complesso puzzle politico-sindacale di queste ore non è figlia soltanto di calcoli imprenditoriali, rapporti personali e opportunità da cogliere. Già nel 2004 il presidente di Intesa Sanpaolo, Giovanni Bazoli, aveva annunciato una visione strategica del ruolo degli istituti di credito e, in particolare, della sua stessa azienda nella società italiana. L’idea che lanciò era quella di un modello sociale “renano” (ovvero, una sorta di schema franco-tedesco), basato su una forte collaborazione e solidarietà tra mondo dei partiti, imprese e poteri sindacali. Di seguito il banchiere bresciano è tornato ad esternare la propria“filosofia”: qualche settimana fa, così, un suo discusso intervento apparso sul Corriere della Sera ha enfatizzato soprattutto la dimensione etica della finanza, nella prospettiva della responsabilità sociale dell’impresa. L’universo bazoliano è figlio del cattolicesimo solidarista e progressista montiniano, e si regge su un mix fatto di rigore e solidarismo.Tale cultura immagina una società retta da una presenza capillare dei poteri pubblici, insieme a una forte enfasi sulla dimensione politica dei soggetti economici. Tradendo un poco l’ispirazione di Ludwig Ehrard o dello stesso Konrad Adenauer, tale cristianesimo politico propone insomma un’economia sociale di mercato in cui il “sociale”, comunque, prevale sul “mercato”. E non a caso le aziende sono pensate come agenzie morali, al servizio di un bene comune che vede nelle élite dirigenti i protagonisti principali.

L

Una hostess Alitalia piange per le sorti della Compagnia ma. Ma c’è anche un altro ostacolo, di natura tecnica, l’impossibilità di mettere in cassa integrazione i piloti. «Se andiamo in cassa integrazione – spiega Parma – perdiamo il brevetto e dobbiamo cambiare mestiere. Per mantenere il brevetto da pilota io devo effettuare tre decolli e tre atterraggi in 90 gior-

ni con lo stesso tipo di aeromobile per il quale sono abilitato. E dove li trovo i soldi per noleggiare una volta al mese, ad esempio, un Boeing 767 per poter continuare a fare il pilota? L’impressione è che stiamo trattando con gente che non conosce il mondo del lavoro dell’aviazione civile».

A tal punto da perdere il lavoro? È una condotta suicida, che tanto fa pensare a quella di certi aristocratici del passato. Pur di non rinunciare al loro blasone, strepitano fino all’ultimo, e che il popolo vada in malora. Se non c’è il pane, diceva qualcuno, che mangino le brioches. E magari finisce che ci si rimette la testa. I piloti, insieme ad altre caste e combriccole di notabili, non accettano che l’epoca degli sprechi è conclusa. Molte famiglie italiane non arrivano alla fine del mese e fanno enormi sacrifici. Nessun italiano riesce più a digerire certe rendite di posi-

zione o disparità troppo smaccate. Il disprezzo monta, e se i piloti non indulgono a più miti consigli la gente li ricorderà come tizi spregevoli, come quelli che hanno mandato sul lastrico migliaia di lavoratori. La sento vivamente preoccupato, per usare un eufemismo. Non sono preoccupato: sono inorridito. Inorridisco al pensiero di tanta protervia. Giocare d’azzardo con le sorti della gente, sbraitare e gettare il tavolo a gambe all’aria è davvero ignobile. Anche i re, quando giunge il tempo, devono sapere chinare la testa.

una partita pubblica, avendo acquisito quote dell’autostrada Brebemi e sforzandosi di avere uno spazio anche all’interno delle vicende legate alla Tav. Ma è l’operazione su Alitalia che appare, più di ogni altra, la traduzione in prosa di tutto ciò entro le dinamiche della politica e dell’economia italiane.Anche se tutti lo ricordiamo in coda di fronte ad un gazebo milanese del partito democratico, l’amministratore delegato Passera ha operato in perfetta coerenza con la predicazione del suo presidente nel momento in cui ha delineato una banca che va oltre il credito, ma predispone e gestisce un progetto industriale per l’ex compagnia di bandiera: scalzando anche Mediobanca, di cui Alitalia era un cliente storico.

L’incontro tra Berlusconi e Tremonti, da un lato, e la finanza “renana”, dall’altro, risponde alle logiche di un matrimonio che s’ha da fare. Il centro-destra ha da sempre bisogno di accreditarsi nei salotti buoni, e ora dispone di leve di comando che possono garantire questo e altro. Ma va pure aggiunto che, con la nuova Europa, le finanziarie le detta in larga misura Bruxelles e quindi se si vogliono trovare risorse per soddisfare la richiesta di spesa pubblica e infrastrutture, è proprio con le banche che bisogna parlare. Ciò che Bazoli e Passera non erano riusciti ad ottenere dall’amico Prodi, ora lo potrebbero incassare da Berlusconi. Peccato, però, che le vie dell’Inferno siano lastricate di buone intenzioni, e in questo senso è interessante ricordare cosa scrisse su Regulation nel 1983 l’economista Bruce Yandle (allora executive director della Federal Trade Commission) in un articolo volto a mostrare il nesso tra interessi e ideologia nella “cattura”di rendite economiche. Yandle partiva dal fatto che all’inizio del Novecento l’interesse dei predicatori evangelici battisti, che chiedevano la proibizione della vendita domenicale degli alcolici, si saldò con quello dei contrabbandieri, che spingevano nella medesima direzione per poter guadagnare un nuovo “mercato”(ovviamente illegale). Nel caso che stiamo esaminando, è difficile dire se contrabbandieri e predicatori siano davvero figure distinte, oppure se vi sia un certo sottile cinismo che porta ad avanzare un modello di economia largamente politicizzata e sindacalizzata perché questo può aumentare la possibilità di evitare gli oneri della competizione di mercato. Certo è che con il “piano Fenice” lo Stato si accolla il debito e pure i lavoratori in esubero, mentre i “capitani coraggiosi”alla corte di Bazoli & Passera ottengono una chiusura del mercato che è destinata a strozzare gli aeroporti minori. C’è da augurarci che qualcuno ci salvi dunque dai predicatori e, perché no?, dai contrabbandieri che si mettono nella loro scia.

Il caso Alitalia è il primo banco di prova di una disciplina figlia del cattolicesimo progressista e che mescola rigore e solidarismo

A ben guardare, diversamente che negli Stati Uniti, in tutta Europa è diffusa l’idea che una buona società implichi una forte direzione politica, decisioni governative, strategie d’assieme che prescindono dalle opzioni degli attori di mercato. Lo stesso Tremonti ha appena incassato da Bruxelles il via libera a un fondo sovrano europeo, grazie al quale i politici potranno «giocare a fare gli imprenditori» con i soldi altrui. Tutta l’Europa è paese, insomma, se si guarda a ciò che da sempre fanno i gollisti francesi o i democristiani tedeschi. Tale prospettiva, ovviamente, rifugge ogni forma di mercato concorrenziale, poiché quest’ultimo separa nettamente il ruolo della politica (che al più ha il compito di proteggere le regole) e quello dell’economia, che deve muoversi liberamente e servire al meglio i consumatori. In questa versione “di sinistra” dell’anti-mercatismo tremontiano, grazie al quale una guida finanziaria con connotazione morale si candida a costruire una società “più giusta”, non mancano opportunità di fare affari e significativamente Intesa Sanpaolo appare impegnata in più di


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economia

Il giorno dopo il fallimento di Lehman, finiscono nella bufera anche Aig e Goldman Sachs. E ora iniziano le svendite, a partire da Merryl Linch

La tempesta globale Mario Draghi: «Stabilità dei prezzi per sostenere la crescita e garantire i bilanci. Anche delle famiglie» di Alessandro D’Amato a tempesta diventa globale. E arriva fino a Washington. Il giorno dopo, il fallimento di Lehman Brothers fa ancora vittime sui mercati finanziari, e ha definitivamente scoperchiato il vaso di Pandora sul quale inutilmente Fed e governo Usa sembravano aver messo una toppa. Sotto la lente è finita la compagnia di assicurazioni Aig (American International Group), colpita dal donwgrade delle agenzie di rating, che è crollata del 48 per cento a Wall Street: per salvarsi avrebbe bisogno di 75 miliardi di capitali freschi, ma per ora nessuno è disposto a fare da garante. Pari destino hanno avuto le Investment Bank come Goldman Sachs (che ha annunciato un calo di utili del 70 per cento) e Morgan Stanley: i costi di assicurazione sul debito per gli investimenti di entrambe le banche salivano in pochi di oltre 100 punti. Risultato: titoli a picco. E cominciano le svendite: Merryl Linch verrà rilevata a prezzi stracciati da Bank of America, mentre da Londra è rimbalzata la voce che Barclays sarebbe interessata a rilevare asset di Lehman. In più l’uragano ha riportato prepoten-

L

temente negli Usa al centro del dibattito il problema delle riforme delle autorità di controllo. Non è che il Congresso abbia le idee molto chiare. «Nuovi regolamenti per le banche d’affari e una nuova regolamentazione per il mercato del credito» sono in preparazione, secondo voci che arrivano da Washington; ma

extremis. La risposta dell’avversario è stata meno ficcante. Barack Obama ha detto che è necessaria una «ampia revisione» del regolamento delle Borse e favorire la stabilizzazione del mercato interno, al centro della crisi. A ben vedere, a parte i sussidi - che aveva già promesso durante le primarie, copiando la proposta della Clinton - nelle parole del candidato democratico c’è ben poco. Intanto, anche gli istituti centrali si muovono: da Berlino, il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, definisce la crisi come «una delle più dure e complesse dei nostri tempi». «Le sfide - spiega il governatore - saranno sostanziali: restaurare la stabilità dei prezzi per sostenere la crescita e garantire che i necessari aggiustamenti nei bilanci bancari e in quelli delle famiglie, oltre che la correzione degli squilibri mondiali, avvengano in modo ordinato». Secondo Draghi ciò richiederà «un’azione sul fronte monetario, su quello fiscale e su quello normativo», oltre che un’azione decisiva sul fronte privato. E Bernanke decide di accettare le azioni a garanzia di liquidità come garanzia per dare soldi alle banche, la Bce

Le banche italiane cominciano a contare i danni: Banca Popolare ha perso 10 milioni di euro, Mediolanum 213, il 5% degli asset del gruppo

Perché l’Italia si è difesa dalla turbolenza dei mercati e dalle crisi finanziarie

Una stabiltà pagata a caro prezzo da correntisti e risparmiatori

vedranno la luce soltanto l’anno prossimo. D’altronde, la risposta della legislazione è il riflesso pavloviano di ogni crisi finanziaria.

In ogni caso, la nuova linea di Paulson, “no ai salvataggi pubblici”potrebbe risultare una scelta giusta non soltanto da un punto di vista finanziario, ma anche politico per i destini della campagna elettorale repubblicana. Il candidato dell’elefante John McCain ha preso una posizione netta: «Ripuliremo Wall Street», ha fatto sapere, rassicurando i contribuenti che i soldi dello Stato, i loro soldi, non verranno utilizzati per poco chiari salvataggi in

ROMA.

Il fallimento di Lehman Brothers? Impatti minimi sul sistema. La crisi dei subprime? Quasi sconosciuta nei bilanci dei nostri istituti. L’emergenza principale – almeno a leggere le preoccupate note dell’Abi – sono il boom di rapine ai danni dei nostri istituti: soltanto nel 2006 ogni 100 sportelli si registrano 9,67 assalti contro gli 1,37 denunciati in Germania.

Da quattordici mesi a questa parte, da quando il mondo ha conosciuto la crisi finanziaria più irruenta e invasiva dell’ultimo trentennio (il parallelo con il ’29 è ancora sospeso) non passa giorno che Mario Draghi o Giulio Tremonti lodino la solidità dell’Italietta bancaria. Che, a rigor di cronaca, continua a crescere a differenza del Paese. Ma dietro ogni successo si nasconde sempre una debolezza e in questo caso la migliore diga all’invasione sta nell’arretratezza e nella chiusura del nostro sistema. Ufficialmente si magnifica

il duro processo di modernizzazione concluso nell’ultimo quindicennio, ma la realtà è diversa. Racconta un ex banchiere che chiede l’anonimato: «Le banche italiane sono pigre, forse inefficienti o comunque non all’avanguardia nell’ingegneria finanziaria. Ma soprattutto sono meno esposte alla concorrenza rispetto a quando avviene all’estero: perché dover rischiare con veicoli come i subprime o Cds quando puoi recuperare in casa dai tuoi clienti». Amplia, e spiega meglio il concetto, Elio Lannutti, oggi leader dei consumatori e presidente di Adusbef, ieri (e per oltre vent’anni) dirigente del Banco di Roma. «Se i conti non tornavano», ricorda, «la regola per qualcuno era quella di aumentare le spese: e addirittura si retrodatavano da dicembre a giugno i tassi d’interessi sugli impieghi». E così sembra di riascoltare le confessioni di Giampiero Fiorani, quando ammise davanti ai magistrati di aver sot-

presta 30 miliardi di euro, la Fed 50 di euro e la Banca d’Inghilterra 5 di sterline, lo stesso ha fatto il Giappone. Tutto inutile, le piazze finanziarie hanno aperto in flessione, e seguono la china. Perché a ben vedere il crack di Lehman è molto più “sistemico” di quello di un’impresa “normale”, che si può affrontare con i sussidi e l’aiuto ai bisognosi. Ed è il frutto malato del moral hazard, l’azzardo morale di banchieri e responsabili di società di credito che hanno deciso di prestare denaro a chi non lo meritava, e impacchettare prodotti finanziari di dubbia solvibilità tenendo fede all’adagio “too big to fail”: prima o poi qualcuno ci salverà.

Nel frattempo le aziende europee cominciano a comunicare le proprie esposizioni su Lehman. La Bpm ha confertratto liquidità dai conti dormienti (che in Italia sono pari a 10 miliardi) o recuperato altre risorse alzando le commissioni della clientela per scalare AntonVeneta. Alla procura di Torino è ancora aperta un’inchiesta, aperta su denuncia dei consumatori, per capire se le banche protagoniste del convertendo Fiat avessero ammortizzato le perdite dell’operazione (circa 4 miliardi di euro) in questo modo. Ma se questi sono casi limiti o sospetti mai dimostrati, è difficile smentire che le banche italiane offrono servizi a costi molto più cari rispetto all’estero. Non a caso l’Antitrust ha aperto venerdì scorso un’istruttoria sugli accordi interbancari predisposti dall’Abi per regolare alcuni servizi di pagamento come gli assegni. Qualche settimana prima aveva comminato maxi multe per un totale di 10 miliardi di euro a 23 istituti di credito, che di fatto non applicavano le norme sulla portabilità dei mutui a dispetto di quanto prevedevano le lenzuolate dell’ex ministro dello Svi-


economia

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Parla l’economista-matematico: «Mancano le regole»

«Risparmiatori, ora ribellarsi è giusto» colloquio con Beppe Scienza di Francesco Pacifico

Secondo le voci che arrivano da Washington, sarebbero in dirittura d’arrivo «nuovi regolamenti per le banche d’affari e una nuova regolamentazione per il mercato del credito» mato i suoi dieci milioni di euro, dovuti a «titoli in portafoglio di proprietà e rischio di controparte valorizzato al market to market», mentre Alleanza parla anche lei di dieci milioni, ma dichiarando di non ha in portafoglio azioni della banca né ha utilizzato obbligazioni della banca a garanzia di polizze; Mediolanum fa sapere che le sue polizze hanno un’esposizione di 213 milioni nei confronti di Lehman, pari allo 0,5% degli asset totali del gruppo, ma precisa che tutto è in carico ai clienti, non all’istituto. Già l’altroieri Generali e Unipol

luppo, Pier Luigi Bersani. Le associazioni dei consumatori da tempo monitorano il livello (sempre in aumento) dei costi fissi. E i numeri che hanno raccolto chiariscono meglio di altro le differenze di trattamento tra istituti italiani e quelli stranieri. Se in Olanda, per un conto corrente, si pagano ogni anno 30 euro di spese, in Europa si arriva a 70, mentre nel Belpaese si raggiunge la cifra monster di 150 euro. Stesso discorso per i mutui, con tassi più cari dello 0,70 per cento. Non va meglio per gli investitori, che registrano commissioni più alti del 20 per cento sull’acquisto di azioni o sottoscrizioni di fondi. «Ma il massimo si è raggiunto», ricorda Lannutti, «quando alcuni pensionati hanno denunciato di aver pagato fino a 300 euro come commissione di massimo scoperto per assegni da 700 euro!». Quel balzello che le banche hanno difeso quando Bersani ha provato ad eliminarlo. Sintetizza Lannutti: «Proprio il compu-

avevano comunicato esposizioni per 110 e 250 milioni rispettivamente, mentre per Unicredit si vocifera di 5-600. In Francia, Natixis, duramente colpita dalla crisi dei subprime, ha calcolato in 109 milioni la sua esposizione diretta al “rischio Lehman”. La banca ha precisato in un comunicato «di non aver depositi o prestiti interbancari». Il colosso di riassicurazione tedesca Munich Re ha valutato in 350 milioni la propria esposizione e ha definito non significativa la propria esposizione verso Aig, il gruppo assicurativo Usa in difficoltà, mentre l’olandese Aegon ha invece stimato 265 milioni. La svizzera Swiss Re ha invece dichiarato di non voler comunicare le proprie posizioni di esposizioni: un comportamento che la espone al rischio sanzione dei mercati. Ben più di chi ha parlato.

to dei costi fissi e un mercato dove nessuno si pesta i piedi permettono al settore creditizio di poter vantare qualcosa come un milione di miliardi nella raccolta a fronte di impieghi pari a 900mila miliardi».

Se questo è l’orticello di casa – dove tra l’altro i potenziali clienti sono possessori di patrimoni privati dieci volte superiori al Pil nazionale – perché andare rischiare pericolose esposizioni sui mercati esteri. E non a caso la banca che ha avuto maggior problemi con i subprime è stata l’Unicredit, player di primo livello in Germania e in tutto l’Est Europa. Arretratezza, scarsa concorrenza, poca propensione ai nuovi mercati diventano per il sistema creditizio il miglior antidoto alla turbolenza internazione. Conclude però Lannutti: «Davvero nessuna banca italiana, in un’era globalizzata come questa, non ha finito per comprare prodotti spazzatura come (f.p.) quelli di Lehman?».

ROMA. «In Italia c’è una chiara e forte volontà di impedire qualsiasi fallimento bancario». Ma è una sensazione, nulla di più, quella che scatta in Beppe Scienza quando gli si chiede se crede – come ripetono Mario Draghi e Giulio Tremonti – a una piena stabilità del sistema bancario italiano. Perché l’economista e matematico, che con il Risparmio tradito prima e la Pensione tradita poi ha messo in luce il rapporto quasi incestuoso tra banche e mondo del risparmio gestito, anche il crack di Lehman Brothers può ricadere sugli investitori. Eppure i bilanci delle banche italiane sembrano immuni dai subprime. Chissà se ne sono rimasti fuori solo perché frenati da una maggiore burocrazia interna o proprio davvero per una maggiore consapevolezza dei rischi che avrebbero corso. Senza scomodare i massimi sistemi, se guardiamo Pattichiari viene la pelle d’oca. Pattichiari? Il consorzio dell’Abi per aumentare trasparenza e informazioni tra la clientela? Sì, è indecente che Pattichiari fino a venerdì 12 settembre, quindi il giorno prima del crac, inserisse le obbligazioni della Lehman Brothers fra quelle a basso rischio! Questi non capiscono niente. Si affidano a una macchinetta che tira giù il rating, che fino a quel giorno era A2, e guardano solo quello. Per capire che quei titoli fossero rischiosi non ci voleva un genio. La morale? Che se le banche funzionassero come Pattichiari, sarebbe meglio scappare via. E di corsa. Neppure le vigilanze sono state leste a denunciare i pericoli. Che le istituzioni tendano a non aumentare l’allarmismo mi sembra logico. Il problema è che non si lavora per aumentare il livello di trasparenza. E questo accade in particolare nell’ambito del risparmio gestito. E nel fallimento di Lehman? Chi sottoscrive un fondo comune non ha diritto di conoscere tutti titoli che sono nel suo paniere e tanto meno quando e a che prezzo sono stati comprati. Bene, se il fondo ha comprato obbligazioni Lehman a 80 e oggi le vende a 28, il risparmiatore non saprà mai come e perché ha perso i suoi soldi. Il governatore Draghi però ha chiesto di recidere il legame perverso tra banche e Sgr.

Non so quanto fosse davvero convinto di quello che diceva. Comunque il discorso va esteso anche alle assicurazioni. Esistono per esempio polizze vita index linked, dove la componente del capitale a scadenza è data da un’obbligazione magari di Lehman Brothers. Si è portata così tanta gente al disastro, per giunta spacciando prodotti finanziari per assicurativi e quindi sicuri. Tornando invece ai piani alti. Sempre nell’ottica del risparmiatore, la situazione è molto peggiorata da quando le banche non si occupano soltanto di credito. Il salvataggio di Alitalia mi sembra più un’operazione da Mediobanca, da una vera banca d’affari, che da IntesaSanpaolo. Il caso Lehman però finisce per mettere sott’accusa anche la regolamentazione americana, il non plus ultra in termini di trasparenza. Certo, l’America impone più trasparenza agli operatori ma con meno controlli pubblici, cosa magari opportuna per lo sviluppo economico, ma più rischiosa. Il modello europeo prevede maggiore controlli da parte degli organi di vigilanza. Ciò significa mettere i bastoni fra le ruote? Forse, ma i bastoni fra le ruote possono impedire a un’automobilista spericolato di schiantarsi. La crisi in atto almeno avrà reso più scafato il risparmiatore? Scafato no, non ha conseguito competenze specifiche. Vedo però che c’è più gente che, quando mi scrive, dice di accontentarsi di un rendimento basso ma sicuro. Prima mi spiegavano che gli “bastava l’8 per cento composto”… Per curiosità, lei cosa consiglia? I buoni postali legati all’inflazione. Garantiscono sempre il capitale e dopo diciotto mesi anche interessi e le rivalutazioni, a partire dalla sottoscrizione. Una cosa sicurissima per due motivi. Per l’emittente, la Cassa Depositi e Prestiti, con l’aggiunta della garanzia dello Stato. E per l’aggancio all’inflazione, che salvaguarda il potere d’acquisto. Chi ci guadagnato da questa crisi? Intanto qualche speculatore che gioca al ribasso. Piuttosto, dall’altro lato, della catena ci sono stati magari proprietari di casa, che le hanno vendute a prezzi molti alti e che non avrebbero realizzato senza la concessione baldanzosa di mutui subprime. Così, a discendere, si sono evitati conseguenze di pignoramenti, buchi in bilancio, fallimenti o insolvenze obbligazionazionarie.

Io consiglio i buoni postali legati all’inflazione. Garantiscono sempre il capitale e dopo 18 mesi anche interessi


pagina 6 • 17 settembre 2008

politica

Con il candidato dell’Idv Costantini c’è anche il Prc: l’inedita alleanza può far scivolare Veltroni al terzo posto alle Regionali

Di Pietro prepara l’agguato abruzzese al Pd di Errico Novi

d i a r i o

d e l

g i o r n o

Maroni: «Lo Monaco istiga alla violenza» Le parole dell’amministratore delegato del Catania, Piero Lo Monaco, nei confronti dell’allenatore del’Inter, Mourinho, sono «un’istigazione alla violenza e per questo il mondo del calcio deve intervenire». È il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, ad intervenire sul caso Catania. «Sono francamente stupito delle dichiarazioni di alcuni dirigenti di serie A. Non ho titolo per intervenire - continua Maroni - ma quando un dirigente dice di un allenatore della squadra avversaria che bisognerebbe bastonarlo sui denti, io mi aspetterei che il giudice sportivo o la Lega calcio o la Figc prendessero immediate decisioni in merito».

Di Pietro: «In Italia c’è una moderna dittatura»

ROMA. La voce grossa di Antonio Di Pietro suona come ultimo, inutile avvertimento: «Ci pensi bene il Pd a dire no al nostro candidato». E come farebbe, Veltroni, a consegnarsi armi e bagagli all’improponibile alleato? Non può, non potrebbe farlo in nessun caso, figuriamoci in Abruzzo. Alle Regionali del 30 novembre correrà da solo, con un aspirante governatore ancora impossibile da individuare. Dovrà battersela, appunto, anche con il candidato dell’Italia dei valori, che ha già un nome e un cognome: sarà il deputato di Chieti Carlo Costantini, annunciato dall’ex pm nello scorso fine settimana a Vasto. Il Pd è destinato a trovarsi tra due fuochi: da una parte quello giustizialista dell’Idv, dall’altra la probabile intesa tra Pdl e Udc. Sarà solo, il partito di Walter, a guardare il bidone di benzina lasciato in eredità dalla giunta Del Turco, a farsi carico dello scandalo sanità e di altre grane giudiziarie piovute sul capo dei democratici. Definirla trappola sarebbe riduttivo. Di certo Il Pd non può permettersi di accettare i diktat dipietristi, che prevedono la non candidatura anche per chi ha ricevuto un semplice avviso di garanzia. Buona parte dei maggiorenti pd travolti o scalfiti dalle inchieste è riconducibile alla componente mariniana, da sempre bacino di voti vitale per il centrosinistra abruzzese. Veltroni rischia di sommare l’inevitabile tracollo alle Regionali con il sospetto di sconvenienti contaminazioni. Se per assurdo dicesse sì a Di Pietro, il segretario democratico dovrebbe rinunciare a buona parte

dello zoccolo duro locale, e riporterebbe una percentuale da brividi. Ma con la campagna all’insegna del giustizialismo esasperato che l’Idv ha già fatto partire, c’è il serissimo rischio che il candidato del Pd prenda meno voti di quello dipietrista. Sarebbe un’umiliazione pesantissima, forse irrimediabile. Con le amministrative d’autunno si aprirebbe di fatto la campagna per le Europee: un lungo, estenunante calvario che può preparare la deposizione di Walter.

L’ala popolare di Franco Marini e Beppe Fioroni è il pilastro a cui Veltroni si aggrappa per reggere l’urto

Il crac nella terra di Sanitopoli può preparare il terreno per la deposizione di Walter,obbligato a difendere l’onore dei marinani dal furore giustizialista dei dalemiani. Dall’aria che tira in Abruzzo non sembra un connubio fortunato. L’ex presidente del Senato vuole essere l’ultimo ad abbandonare la trincea, nella sua regione d’origine: «Del Turco e gli altri amici indagati non possono essere considerati colpevoli», ha detto non più di due settimane fa. Sono di opinione ben diversa gli ormai ex alleati della sinistra radicale, che ieri si sono incontrati con i rappresentanti dell’Idv per definire l’intesa su Costantini. È dalle denunce del prc Maurizio Acerbo che

è partita la sanitopoli regionale e che è germogliata la sintonia con i dipietristi. L’unica alternativa, per Veltroni e Marini, sarebbe nell’intesa con l’Udc. Si è provato a costruirla sul nome del centrista Rodolfo De Laurentiis per la corsa a presidente della Regione. Ma da inizio settembre il Pdl si è messo al lavoro per individuare un candidato gradito al partito di Casini: in prima fila restano il teramano Gianni Chiodi e l’ex sindaco di Celano Filippo Piccone, entrambi di Forza Italia. An storce il naso e spinge per il proprio coordinatore regionale Fabrizio Di Stefano, considerato però fuori partita dagli azzurri proprio per il suo scarso appeal presso l’elettorato di centro.

Nonostante le fibrillazioni che coinvolgono anche i due “negoziatori” del futuro partito unico Denis Verdini e Ignazio La Russa (il primo ha riunito ieri a Roma tutti i notabili abruzzesi del partito, il secondo si è speso con vigore per Di Stefano), è inimmaginabile che il Pdl faccia harakiri a un passo dalla vittoria. Così come è impensabile che Di Pietro rinunci alla spietata ferocia esibita domenica scorsa durante la festa dell’Idv a Vasto: «Apriamo le porte al popolo democratico ma non ai dirigenti del Pd, che ancora devono capire cosa vogliono fare da grandi». Vogliamo i vostri elettori, non certo voi, è il messaggio di Tonino, che seconto un sondaggio nazionale di “Dinamiche” ha portato via altri quattro punti a Veltroni. Figuriamoci se si placa di fronte all’arrosticino abruzzese.

In Italia ormai c’è una «moderna dittatura, ancora più subdola e pericolosa perché non è fatta di costrizioni fisiche ma di coscienze addormentate». È il pensiero del leader dell’Italia dei Valori, Antonio Di Pietro. «Il concetto di dittatura - spiega - è un’idea che va modellata secondo il tempo in cui la si vive. C’è stato un periodo in cui la dittatura voleva dire olio di ricino, voleva dire violenza fisica, voleva dire addirittura deportazioni. C’è un periodo, oggi, in cui le libertà fondamentali vengono aggirate ai danni di coloro che hanno i diritti. Cominciamo - spiega Di Pietro - innanzitutto dal diritto del cittadino a essere informato e a poter informare. In Italia c’è il conflitto di interesse persistente, da una parte quello delle televisioni private del presidente Berlusconi e dall’altra, ancor più grave, quello del sistema dei partiti».

I giovani di An contro l’antifascismo di Fini «Ce l’ho messa tutta per trovare un motivo valido per essere antifascista ma non l’ho proprio trovato. Anzi ne ho trovati molti per non esserlo. Noi non possiamo essere, non vogliamo essere e non saremo mai antifascisti». È quanto scrive il presidente di Azione giovani Roma e consigliere provinciale del Pdl, Federico Iadicicco, nella «lettera aperta ad ogni Italiano» pubblicata sul sito www.azionegiovaniroma.org. La lettera arriva dopo le parole del presidente della Camera, Gianfranco Fini, che nei giorni scorsi aveva invitato tutti a riconoscersi nei valori dell’antifascismo. Dopo l’intervento di Iadicicco, però, Pina Picierno, ministro ombra delle Politiche giovanili del Pd, punta il dito contro il silenzio di Giorgia Meloni, attuale presidente nazionale di Azione giovani.

Mercato dell’auto in panne: -15 per cento Il mercato delle auto sull’orlo del baratro. Anche ad agosto prosegue il trend negativo in tutta Europa: immatricolazioni a -15,6 per cento rispetto allo stesso mese del 2007, mentre a luglio si erano fermate a -7,3 per cento e a giugno a -7,9 per cento. In flessione anche il mercato italiano: ad agosto -26,4 per cento, a luglio -10.9 per cento. Il gruppo Fiat ad agosto ha visto in Europa un calo del 13,1 per cento. Cause principali gli alti prezzi dei carburanti ed il calo di fiducia dei consumatori.

Romani: maggiori poteri al dg Rai «Sbloccare da subito le nomine sia per il presidente della vigilanza che per il cda Rai». Lo ha affermato il sottosegretario alle comunicazioni, Paolo Romani, alle commissioni competenti congiunte di Camera e Senato. «Poiché- spiega - la Rai è materia complessa e delicata non è possibile entrare nelle questioni specifiche ma un primo intervento immediato sulla governance è possibile per ridefinire ruoli e strategie». Per Romani «il primo intervento può definire i compiti del Cda e del direttore generale attribuendo a quest’ultimo maggiore potere».


politica

17 settembre 2008 • pagina 7

Qui accanto, il palco della Festa dell’Udc, a Chianciano: uno dei temi centrali è stato quello delle preferenze. Sopra, l’editorialista del “Sole 24 ore” Stefano Folli

ROMA. Dall’alto di quello che definisce un «imbarazzante consenso» del 67 per cento, Silvio Berlusconi è ormai determinato: «Coi numeri che abbiamo, possiamo varare una legge elettorale europea con uno sbarramento al 5 per cento, cinque circoscrizioni e le liste preparate dalle forze politiche», ossia bloccate, senza preferenze. Una impostazione fortemente criticata, sul palco della festa Udc di Chianciano, da Massimo D’Alema e Pier Ferdinando Casini, concordi nel condannare la decisione di togliere agli elettori la libertà di scegliere chi mandare a Strasburgo. Una impostazione, quella dipinta da Berlusconi, che l’editorialista del Sole 24 Ore Stefano Folli stigmatizza in maniera, se possibile, ancora più netta. Iniziamo dalle preferenze? Abolirle mi sembra un grandissimo errore. Votare in un sistema proporzionale senza la possibilità di indicare i candidati è una combinazione che non concepisco nemmeno per eleggere il Parlamento nazionale. Trasferire in Europa questa logica mi sembra improponibile. Tanto meno capisco uno sbarramento così alto: si giustifica poco, visto che a Strasburgo non esiste il problema della governabilità. Va bene impedire che nell’europarlamento sia rappresentato anche chi prende lo 0,3 per cento, ma decuplicare questo limite arrivando a stabilire un tetto minimo del 3 per cento mi sembra più che sufficiente. Alla festa dei centristi, Massimo D’Alema ha detto che le preferenze sono

L’editorialista del “Sole” spiega perché il disegno di Berlusconi è sbagliato

«Abolire le preferenze? Un grandissimo errore» colloquio con Stefano Folli di Susanna Turco una «questione di democrazia». Non so se si tratti di un attentato alla democrazia. Certamente però è una questione scivolosa, un qualcosa di poco chiaro che merita una posizione ferma da parte di chi a questi disegni si può opporre. Allude al Pd? Conosco gli argomenti di Berlusconi, non li ritengo convin-

Doveva farlo per forza? Non facendolo, sostiene due tesi incongrue: da una parte parla di democrazia a rischio e dall’altra apre alle modifiche della legge elettorale europea. D’Alema è più coerente: presenta una piattaforma nella quale c’è anche una certa idea di riforma del voto europeo. A cosa si deve il silenzio di Veltroni?

arrivare a un bipolarismo-bipartitico, c’era una logica immediata, di brutale semplificazione che permetteva di mandare in Parlamento chi volevi, senza avere fastidi. L’atteggiamento del centrosinistra, da questo punto di vista, poteva essere comprensibile. Qui il campo è leggermente diverso: proprio perché il progetto veltroniano si è arenato, la sua in-

Togliere a chi vota la libertà di scegliere chi mandare in Europa è improponibile. E ancor meno capisco il perché di uno sbarramento così alto. Ma più di tutti mi colpisce il silenzio di Veltroni: di questa battaglia dovrebbe fare una bandiera centi, ma non trovo sorprendente che voglia giocarsi questa partita. Mi colpisce maggiormente l’atteggiamento del partito democratico. Perché? Ha una posizione troppo cauta. Ho sentito lamentarsi soprattutto D’Alema, che però al momento non ha potere decisionale, non è né segretario, né presidente, e parla come se fosse a un convegno di studi. Mi colpisce che non abbia parlato Veltroni.

Al fatto che pensa di trarne un vantaggio. Il guaio, per lui, è che risulta poco comprensibile al suo elettorato. Non può fare il discorso sulla democrazia a rischio e, contemporaneamente, non indicare la legge elettorale come una bandiera. Tutto sommato, nemmeno quando si approvò il Porcellum con tanto di liste bloccate il centrosinistra fece grandi barricate. Però almeno sull’Italia c’era una giustificazione: serviva ad

coerenza mi stupisce. Come valuta un premier che, ignorando le critiche, dice: andiamo avanti, abbiamo i numeri? Quella è la loro logica. Il Pdl si sente sulla cresta dell’onda e si lancia in operazioni spregiudicate. Se ha la forza politica di farlo, ha il diritto di provarci. Non ritiene che ci sia una relazione tra quel che dice Berlusconi e quello che non dice Veltroni? Suppongo che ci sia un legame

tra i due atteggiamenti, certo. Veltroni ha bisogno di questa legge per salvarsi in Europa, per non avere troppi concorrenti a sinistra, ma è una logica assurda se dall’altro lato sei costretto da Di Pietro a fare il discorso sull’autunno della democrazia. Le conseguenze saranno amare. Amare? Una opposizione che denuncia i guasti del Pdl, ma sotto sotto è contenta che il centrodestra offra aiuti dal punto di vista dell’interesse elettorale, perde credibilità. Dopodiché, immagino, ci sarà una battaglia parlamentare: vedremo. Perché ha così paura delle preferenze? Non siamo più ai tempi della Dc, dove il meccanismo delle preferenze era inevitabile. In questo nuovo sistema, abolire le preferenze crea invece un grandissimo potere: si concentra tutto il potere al vertice, dove si decide chi c’è e chi non c’è, e si evitano tutta una serie di giochi interni fatti di feudi, cordate, ricatti.Tanto poi, in definitiva, i partiti monocratici di oggi non hanno bisogno dei singoli candidati: i voti li prendono quando si muove il leader.Tutto questo vale soprattutto per Berlusconi. Per Veltroni no? Il capo del Pd si trova in una situazione di estremo pericolo. Assediato da Di Pietro e dalla minaccia del ritorno della sinistra estrema da una parte, soffre dei problemi interni al partito dall’altra. Lui, più che l’assenza di preferenze, teme uno sbarramento troppo basso: però non apre il discorso per timore di creare problemi a questa legge.


pagina 8 • 17 settembre 2008

focus

Storia di un popolo con il quale è difficile coabitare

Rom, città aperta? L’Ue chiede una “rapida integrazione” e Soros attacca l’Italia. Fischi alla Roccella di Ahmad Vincenzo l prossimo 20 settembre sioni contenute. Lo scorso giu- rom in Italia: per la strumentaavrà luogo in Ungheria la gno è stato visitato da Thomas lizzazione del disagio rom da più grande manifestazione Hammamberg, commissario parte dei poteri forti e dell’Unidella storia degli zingari. per i Diritti umani del Consi- versità, per il plagio di un’iniLo ha annunciato il presidente glio d’Europa, il quale non ha ziativa già realizzata a Padova del Consiglio nazionale dei potuto far altro che definire le e per la localizzazione della Sa500mila tzigani ungheresi, Or- condizioni di vita nel campo vorengo Ker in un’area come il ban Kolompar. Non una festa, “inaccettabili” e “quasi disuma- Casilino 900. Una vera e proma una protesta contro la ne”. pria inaugurazione non ha mai Magyar Garda, la Guardia naavuto luogo. Al suo posto si sozionale, che perseguita i rom Al Casilino 900 il colmo dei no tenute, invece, una riunione con provocazioni e violenze paradossi si è raggiunto con il tra il sindaco di Roma Gianni quotidiane. Si tratta di un’orga- progetto Savorengo Ker, la Ca- Alemanno e il comitato di nizzazione paramilitare fonda- sa di tutti, prototipo di abitazio- quartiere, e una serie di sopralta da Gabor Vona, leader del ne prefabbricata sviluppato da luoghi. Il giorno stesso, il sindapartito antisemita Jobbik, che docenti dell’Università di Ro- co dichiarava che «il Consiglio ha raccolto solo il 2,2% alle ul- ma Tre con il sostegno della d’Europa ha perfettamente ratime elezioni, ma che sembra in Biennale di Venezia, della Co- gione. La situazione nei campi grado di destabilizzare l’intero munità di Sant’Egidio e dell’a- nomadi è realmente degradaPaese. In Europa [vedi scheda a zienda Stalker/On. Si voleva di- ta». Secondo l’Opera Nomadi, a fianco] il problema degli zinga- mostrare che, con un costo Roma attualmente ci sono circa ri non sarebbe così rilevante se analogo a quello di un contai- 20mila rom; la città potrebbe non riflettesse ospitarne al masanche il pluralisimo 11mila. Il smo interno delnucleo più antico la società: vale a è costituito da dire, il grado di abruzzesi e natolleranza della poletani, i napudiversità. Il nolegre, un tempo stro Paese, benfinissimi artigiaché abbia alle ni del ferro batspalle una lunga tuto, giostrai e tradizione di inmusicisti. Sono terscambi cultucirca 2mila e virali, vanta la mavono quasi tutti glia nera nelle in case proprie o politiche di accopopolari. Fino a glienza dei noqualche anno fa madi, un immonon avevano bibilismo che non sogno di manfavorisce, anzi ghél, elemosina. Thomas Hammamberg, commissario per i Diritti umani peggiora, la sicuGli equilibri sodel Consiglio d’Europa, che ha visitato i campi di Roma. rezza. In Italia, i no saltati con Nella pagina a fianco, la santa di Saintes Maries de la Mer rom sono 150mil’ingresso dei nola, metà dei quali madi provenienti cittadini. Un numero limitato ner di 32 mq., era possibile co- dalla Romania, dopo la sua ense si pensa ai 500mila della struire una villetta in legno di trata nella Ue, e con l’arrivo dei Francia, ai 700mila della Spa- circa 70 mq. per piano, su due profughi dalla ex-Jugoslavia. In gna, fino ai due milioni della livelli, tale da permettere una Italia sono considerati extracoRomania e della Turchia. Alle vita accettabile a una famiglia munitari e se vengono espulsi porte di Roma, però, c’è il cam- numerosa. L’inaugurazione era non sanno dove andare. Per dapo nomadi più grande d’Euro- prevista per il 28 luglio scorso: re loro un po’ di sicurezza, la pa, il Casilino 900, paradigma la sera precedente, il comitato Comunità di Sant’Egidio ha dei problemi di un popolo e del- di quartiere di via Palmiro To- proposto che gli venga concesle contraddizioni degli Stati gliatti è insorto contro la “Casa so lo statuto di apolidi. Storicamoderni. Si tratta di un insedia- per tutti”, interpretandola come mente, i rom hanno pagato un mento abusivo, che esiste or- il tentativo di rendere stabile il prezzo molto alto per mantenemai da 40 anni. All’interno vi- Casilino 900, da anni in predi- re la loro identità, a cominciare vono una cinquantina di fami- cato per uno sgombero. A nu- dal Porrajmos, il Grande Divoglie, circa ottocento persone: trire dubbi sul progetto era sta- ramento nazista. Nel 1929 a gli accampamenti degli zingari, ta già la stessa Opera Nomadi, Monaco di Baviera venne creainfatti, hanno sempre dimen- principale organizzazione dei to l’Ufficio centrale per la lotta

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Il Consiglio d’Europa ha definito le condizioni di vita nel campo rom di Roma «inaccettabili» e «quasi disumane»

contro gli zingari in Germania. Era solo l’inizio. Il 16 dicembre 1941, Himmler ordinò che tutti gli zingari d’Europa fossero deportati ad Auschwitz-Birkenau per essere sterminati. Ancora oggi non si conosce il numero esatto dei nomadi vittime del nazismo: una cifra che oscilla tra le 500mila e il milione e mezzo di anime. I rom sterminati dagli ariani: un ulteriore paradosso. Se mai è esistita una razza ariana, vale a dire “nobile”dal sanscrito arya, i nomadi ne dovrebbero far parte, vista la loro provenienza indoeuropea e l’attaccamento alla lingua romanì, che deriva direttamente dal sanscrito.

Si dice, infatti, che i rom siano partiti dall’India più di mille anni fa e che si siano affacciati in Europa occidentale solo a partire dal XIV secolo. Si racconta che si siano salvati dal diluvio universale, perché Dével, Dio, aveva loro indicato una cima altissima e così, da allora, scelgono sulle vette i loro santuari: in Europa ve ne sono in Macedonia, nel Kosovo, in Serbia, in Austria e in Sicilia. Si profetizza, infine, che alla fine dei tempi usciranno da un re-

gno situato nelle viscere della terra, chiamato Agarthi, per seguire il Re del Mondo e annunciare la Rivelazione primordiale, di cui sono custodi. Gli stessi nomi che sono stati loro attribuiti esprimono profonda ignoranza della cultura nomade. Sono chiamati zingari, dal greco athinghanos, “eretico, straniero”, termine dispregiativo usato dai bizantini, oppure gitani, poiché un tempo si riteneva erroneamente che provenissero dall’Egitto. Da poco si è cominciato a chiamarli con il loro vero nome: rom, uomini, o sinti, da un’omonima regione indiana, oppure, come in Francia, Manuches, figli di Adamo. In Europa sono arrivati alla fine del Medioevo, trovando una collocazione presso i nobili dell’epoca come fabbri, musicisti e allevatori di cavalli. Nel 1340 erano a Corfù, dove è attestata una “Baronia degli Zingari”, mentre in Sicilia appare per la prima volta l’appellativo cingaro. Quindi in Abruzzo e più su fino in Francia, nel 1409, a Sisteron. Qui vengono anche chiamati bohémien per via di un salvacondotto concesso loro da Sigismondo d’Ungheria e di Bohemia e con il quale si reche-


focus

Le polemiche di Bruxelles ranno anche a Roma, dopo il 1422, per ottenere protezione papale. La cultura rom troverà ampio spazio in Europa, ma sarà condannata all’anonimato. Come le loro grandi feste, che quasi nessuno conosce, ma alle quali partecipano tutti: kosovari e abruzzesi, bohemi e rumeni, e ancora francesi, spagnoli e napoletani, indipendentemente dalla loro religione: ortodossa, cattolica, protestante o musulmana, condita di sufismo. Una delle ricorrenze più singolari è quella di Ederlezi, la “Verde”, che si festeggia il 6 maggio di ogni anno per celebrare la primavera, assumendo un carattere diverso in ogni Paese. A Palermo, per esempio, inizia con la raccolta dalle acque sacre nella grotta di Santa Rosalia, sul Monte Pellegrino. I rom dicono che Santa Rosalia abbia, in realtà, sette sorelle.

La settima è Sara, la santa zingara di Saintes Maries de la Mer, in Camargue, dove ogni anno il 24 e il 25 maggio si celebra un altro importante raduno. Il domenicano Jacopo da Varazze (XIII secolo) ha narrato che due discepole di Gesù in fuga da Gerusalemme, Maria

Fischi al governo italiano e una protesta colorata. Si è aperto così il vertice sull’inclusione dei rom in Europa. A Bruxelles, diversi zingari hanno sfilato con magliette di diverso colore per protestare contro l’iniziativa di schedatura del governo italiano. I fischi sono stati rivolti dai rom al sottosegretario italiano al Lavoro, Eugenia Maria Roccella, che si è vista inoltre sventolare davanti dei cartellini rossi. Durante il vertice, però, il Presidente della Commissione europea Barroso ha affermato: «L’integrazione dei rom è urgente a livello politico e umano. Molti vivono in condizioni non accettabili nel XXI secolo». Barroso ha sottolineato come il 77% degli europei ritenga «che essere rom sia uno svantaggio» e ha disposto un intervento da parte dell’Ue. Il milionario ungherese George Soros ha poi dichiarato: «Sono estremamente preoccupato per la schedatura in Italia. Temo che possa diventare uno standard in Europa. Queste misure dovrebbero essere illegali, dappertutto».

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Salomé e Maria Jacobé, sarebbero sbarcate in quel luogo assieme a Sara, la loro serva. Sara, in lingua romanì, è chiamata Kalì, la Nera, come la celebre dea indù, presso la quale, ancora oggi, lunghe file di fedeli effettuano il sacrificio dei capretti. Così il cerchio delle tradizioni si chiude. Sul piano politico, solo recentemente i Paesi europei hanno intrapreso politiche attive di integrazione. La Francia, per esempio, ha iniziato già a partire dal 1990, con la Legge Besson, rivista nel 2000, a realizzare un passaggio graduale dal nomadismo alla sedentarizzazione, attraverso la costruzione di campi nei Comuni con più di 5mila abitanti. Progressivamente, ha previsto un’edilizia agevolata da dare in affitto a rom stanziali e la messa a disposizione di terreni per costruire piccole case. Fa da contrappeso una rigorosa politica di espulsioni in caso di violazione delle norme. In Italia, invece, ci si può trovare di fronte a un ennesimo paradosso. Gli zingari che vogliono costruire strutture più dignitose nei loro campi sono ostacolati dalle amministrazioni comunali che considerano abusive quelle costruzioni. In pratica, quanto è avvenuto anche per il Casilino 900. Si innesca così un circolo vizioso. Senza integrazione, non c’è lavoro stabile e, soprattutto, legale. In Italia la disoccupazione maschile tra i nomadi raggiunge il 70%, quella femminile supera l’80%. Senza un lavoro, i rom extracomunitari non hanno permesso di soggiorno e per i loro figli diventa ancora più difficile andare a scuola.

Senza istruzione, non c’è possibilità di integrazione. «L’operato italiano in relazione ai nomadi è sotto osservazione da parte della Commissione Eu-ropea», ha dichiarato il 13 luglio scorso Vladimir Spidla, il Commissario europeo per l’occupazione, gli affari sociali e le pari opportunità, agli eurodeputati radicali Marco Cappato e Marco Pannella, che avevano chiesto un intervento della Ue in merito alla situazione del Casilino 900. Gli eurodeputati italiani, però, dovrebbero impegnarsi maggiormente a Bruxelles: tra il 2000 e il 2005, l’Italia ha ottenuto solo ¤ 1.200.000 di fondi europei, mentre i Paesi Bassi ne hanno ricevuti ¤ 3.700.000,

pur avendo una popolazione nomade che è meno di un terzo di quella italiana. Alla fine del maggio scorso il Ministro dell’Interno, Roberto Maroni, ha emesso un’ordinanza per il censimento degli zingari in Lombardia, Lazio e Campania, le regioni con la più alta presenza di nomadi. Fin qui nulla di particolare. Il 26 giugno successivo, però, Maroni ha dichiarato alla Commissione Affari Costituzionali della Camera che ai minori rom sarebbero state prese anche le impronte digitali. La polemica si è scatenata immediatamente. Sono intervenuti duramente la Fondazione Migrantes della Cei e il settimanale Famiglia Cristiana. Il moderatore della Tavola valdese, Maria Bonafede, si è detta sconcertata all’idea di una schedatura su base etnica. Se Carlo Cardia, dalle pagine di Avvenire, invitava al dialogo e al confronto, la diatriba non si è placata: anche le Acli, Amnesty International, Save the Children e la Comunità di Sant’Egidio hanno espresso critiche severe. Il 1 luglio il ministro ha ribadito che la raccolta delle impronte avrebbe avuto esclusivamente l’obiettivo di «sottrarre i bambini allo sfruttamento di genitori che costringono i figli a rubare sotto la minaccia delle violenze». Le sue parole non hanno convinto monsignor Vittorio Nozza, direttore della Caritas italiana, che ha definito la schedatura “eticamente inaccettabile”. Il segretario generale dell’associazione Intellettuali musulmani italiani, Karim Mezran, ha

fatto notare, però, che la schedatura non avrebbe comunque risolto il problema dello sfruttamento dei minori stranieri non accompagnati, quasi 10mila in Italia, in massima parte nordafricani e albanesi. Il 15 luglio è stato presentato al Senato un disegno di legge, già previsto dal precedente Ministro Giuliano Amato, per aderire al trattato europeo di Prum, in merito alla costituzione di una banca dati del Dna. «È il nuovo sistema - ha dichiarato il ministro Maroni - che sostituirà le impronte digitali». Il 4 settembre il Governo incassa il sì della Ue, che ha giudicato non discriminatori i provvedimenti adottati in Italia. Soddisfazione in casa Pdl, anche se il Pd ricordava come non si sarebbe arrivati all’approvazione senza le modifiche al testo apportate dall’opposizione, che avevano fatto sparire ogni riferimento alle impronte digitali dei bambini. Don Virginio Colmegna, direttore della Casa della Carità di Milano e autore del libro “Ho avuto fame”, però, si è detto perplesso dai «proclami demagogici» letti sulla stampa. Di fatto più della metà della popolazione italiana sembra nutrire profonda diffidenza verso i rom e non vuole campi nomadi vicino casa. Negli altri Paesi europei, Ungheria a parte, l’integrazione e l’accettazione dell’“altro” sono decisamente migliori e gli episodi di razzismo sono rari. Vivere in campi autorizzati è il primo passo verso l’integrazione.

In Italia i rom sono 150mila, metà dei quali cittadini in regola. Pochi, rispetto al resto d’Europa

L ’e d u c a z i o n e d e i r a g a z z i rappresenta il secondo nodo cruciale. Con l’avvio del nuovo anno scolastico, il ministro dell’Istruzione, Ma-riastella Gelmini, ha annunciato un piano per la scolarizzazione dei bambini rom. La frequenza scolastica dei ragazzi che provengono da insediamenti regolari e vicini alle città, infatti, raggiunge e supera la media europea del 50%, mentre è quasi irrisoria quella dei ragazzi che vivono nei campi abusivi. A Roma ce ne sono un centinaio, contro solo 22 autorizzati. Un giovane consigliere comunale capitolino, Federico Rocca, sta elaborando un progetto per meglio definire lo status dei nomadi, responsabilizzando gli anziani della Kris, il tribunale interno dei rom, e mettendo a punto una tessera di ingresso per i campi. Quelli autorizzati aumenterebbero, mentre quelli illegali dovrebbero sparire. Questa volta in meno di quarant’anni. Tanti quanti quelli del campo Casilino 900.


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mondo

Previsto un raduno di migliaia di militanti di estrema destra contrari alla costruzione del luogo di culto

Colonia, la moschea dello scontro di Angelita La Spada

d i a r i o

d e l

g i o r n o

Ucraina, crolla il governo La moschea di Baden-Baden. La costruzione di luoghi di culto islamici ha infiammato l’opinione pubblica tedesca, e soprattutto ha richiamato l’attenzione di gruppi di estrema destra, che intendono compiere diverse manifestazioni per fermare la costruzione di quella di Colonia

a coalizione filo-occidentale che sostiene il governo ucraino è crollata. «Annuncio ufficialmente la fine della coalizione che raggruppa le forze democratiche», ha detto ieri il presidente del Parlamento, Arseny Yatsenyuk, ai deputati riuniti per ascoltare la conferma di uno scenario in realtà dato per certo già alla vigilia. L’Ucraina ufficializza così l’annunciato divorzio tra il premier Yulia Timoshenko e il presidente Viktor Yushenko - ex alleati nella rivoluzione arancione, poi diventati acerrimi nemici - ed entra in una nuova fase di tempesta politica, che proietta il Paese verso elezioni anticipate per un nuovo governo e verso le presidenziali (da fissare tra fine 2009 e inizio 2010), che vedranno con ogni probabilità Timoshenko sfidare Yushenko. I comunisti, intanto, chiedono l’avvio di una procedura di impeachment per il presidente: ”E’ fuori da qualsiasi dubbio che debba essere fatto, perché Yushenko ha causato troppi danni all’economia e al potenziale politico dell’Ucraina negli ultimi tre anni”, ha dichiarato il leader del partito comunista ucraino, Petro Symonenko, nel corso della seduta in Parlamento.

Russia, più 28% per le armi vrebbe dovuto essere la moschea del dialogo e dell’integrazione: è divenuta il fulcro di una campagna anti-islamizzazione che rischia di coinvolgere le destre radicali europee e che spacca l’intera Germania. Tra il 19 e il 21 settembre, decine di migliaia di militanti di estrema destra provenienti da tutto il Vecchio Continente sono attesi nella cattolicissima città tedesca di Colonia, in risposta all’invito lanciato dal movimento nazionalista tedesco ProKöln (Pro-Colonia) per partecipare al congresso contro l’islamizzazione della società tedesca e contro la costruzione di una moschea nella città renana. Lo scorso agosto il consiglio comunale di Colonia, grazie al “sì” di socialdemocratici, verdi, liberaldemocratici e dei consiglieri della Linke (contrari i cristianodemocratici e la lista civica di destra, Pro Köln), ha dato luce verde alla costruzione entro il 2010 di quella sarà la più grande moschea d’Europa, in grado di surclassare i due luoghi di culto islamici di Duisburg e Berlino.

A

L’edificio, in stile post-moderno, sarebbe in grado di ospitare almeno duemila fedeli islamici e il progetto, ad opera dell’architetto Paul Böhm, prevede la costruzione di due minareti (alti 55 metri ciascuno) e di una cupola di circa 35 metri. Minareti e cupola controversi e svettanti, se si pensa che le due torri-campanile del Duomo di Colonia, simbolo della Germania cattolica, sono alti 157 metri, circa tre volte l’altezza dei due minareti in

progetto. Nei cieli di Colonia, rasa al suolo durante la II Guerra mondiale, le torri cattoliche sono l’unica vetta visibile a distanza.

A cui ora si affiancheranno i simboli dell’islam. Secondo lo scrittore ebreo Ralph Giordano, «il progetto tradisce manie di gigantismo. È un pugno nell’occhio all’ambiente urbano». Giordano è stato protagonista nel maggio scorso di un acceso dibattito sulla questione e per questo è stato minacciato di morte diverse volte: inoltre, si è attirato le critiche dei cristianodemocratici.

Il Consiglio comunale ha approvato la costruzione del più grande minareto d’Europa: torri alte 55 metri e una cupola di 35 L’ubicazione designata per quella che è stata oramai denominata come “la moschea della discordia” è l’ex quartiere industriale di Ehrenfeld – che dette i natali a Konrad Adenauer, il padre della democrazia postbellica – e dove 30 abitanti su cento oggi sono turchi, arrivati ormai alla terza generazione. Intorno, su circa 20mila metri quadrati, sorgerà un’area con centro commerciale e luoghi d’incontro. Il costo complessivo della struttura oscillerà tra i 20-25 miliardi di euro, grazie a finanziamenti frutto di do-

nazioni private e grazie all’apporto della Unione turco-islamica per la promozione della religione (Ditib), che ha stretti legami con Ankara, e che rappresenta un milione dei circa 2,5 milioni di musulmani che vivono in Germania. Recenti sondaggi hanno rilevato che il 50% dei tedeschi non è favorevole alla costruzione di moschee e l’80% degli abitanti di Ehrenfeld non approva la decisione del consiglio comunale di Colonia sul nuovo luogo di culto islamico.

La spinosa questione dell’islamizzazione della società europea, alla luce di segnali che registrano una nuova ondata di attività xenofobe in Germania, costituisce un tallone d’Achille per l’Unione europea, in crisi di legittimazione e sensibile all’avanzata di gruppi di estrema destra, specie alla vigilia dell’avvio della campagna elettorale per le elezioni europee del 2009. È sempre più in gioco il futuro dell’Europa. I Partiti contrari all’integrazione multiculturale guadagnano forza. Si guardi, ad esempio, al Vlaams Belang in Belgio, al Front National in Francia, al Freiheitliche Partei Österreichs (il Partito della libertà) austriaco, al Partij voor de Vrijheid (il Partito della libertà) nei Paesi Bassi e al Dansk Folkeparti (Partito del popolo danese). La prospettiva dell’Eurabia è un allarmismo? Per dare una risposta bisognerà magari attendere un decennio, perché l’evoluzione del Continente diventi chiara man mano che i rapporti tra il Vecchio Continente e i musulmani prenderanno forma.

Primi accenni da Mosca di una nuova corsa agli armamenti. La Russia moderna, rivitalizzata dalle risorse energetiche, punta a tornare superpotenza. Per questo incrementerà le spese militari per il 2009 del 28%. Lo ha annunciato il premier Vladimir Putin spiegando che «per la sicurezza e la difesa nazionale saranno stanziati quasi 2.400 miliardi di rubli». La somma totale è comunque pari a poco più di un quinto del bilancio complessivo del Pentagono per il 2008 stimato in 459,754 miliardi di dollari, senza contare gli stanziamenti per la guerra in Iraq e Afghanistan. L’annuncio di Putin arriva all’indomani delle dichiarazioni del premier e del presidente russo, Dmitri Medvedev, contro gli Stati Uniti: «L’Occidente non è omogeneo, non è un monolite. Le decisioni unilaterali americane lo stanno distruggendo. Nessuno ne può più di questo modo di agire».

Accordo in Zimbabwe, Mugabe dimezzato Robert Mugabe, padre padrone dello Zimbawe, al potere dall’indipendenza nel 1980, prima come capo del governo e poi come presidente assoluto, e leader dello Zanu-Pf (Zimbabwe Africa National Union – Patriotic Front), e Morgan Tsvangirai, capo dell’opposizione del dell’Mdc (Movement for Democratic Change), hanno raggiunto una accordo per formare un governo di coalizione nazionale. Terzo firmatario del patto, solennemente sottoscritto davanti a tremila persone ad Harare, Arthur Muthambara, boss di una fazione dissidente dell’Mdc.I dettagli dell’accordo non sono noti. È prevista una spartizione del potere al 50% tra lo Zanu-PF (con 15 ministri) da una parte e i due MDC (con 13 più 3) dall’altra. Mugabe resta presidente, Tsvangirai diventa primo ministro con Muthambara suo vice.


mondo

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Il primo ministro britannico Gordon Brown e il capo del Tesoro, Alistair Darling, fanno un’offerta a due ragazze davanti al numero 10 di Downing Street. Il tasso di inflazione inglese è cresciuto del 3,3 percento, il più alto livello da quando il Labour ha preso il potere. La Banca di Inghilterra ha avvertito i consumatori di un nuovo aumento dei prezzi, che resteranno ai massimi livelli per tutto il resto del 2008. Fra i beni in aumento vi sono benzina, cibo, gas ed elettricità. Nella foto sotto: David Cameron, il gran rivale di Brown

n casa Labour è ormai guerra civile. Il premier Gordon Brown si ritrova con le spalle al muro, stretto tra la crisi economica che soffoca il Paese e le richieste pressanti provenienti da alcuni membri di Partito di fare un passo indietro e rinunciare alla leadership, che perde consensi giorno per giorno. Aumenta infatti senza tregua il numero dei ribelli che chiedono la sua testa, convinti che l’unico modo per vincere le prossime elezioni sia trovare un candidato alternativo che sappia traghettare il Labour fuori dall’attuale paralisi. Un ministro si è già dimesso, e altri sono pronti a seguirlo. Ieri, nel corso della Commissione esecutiva nazionale del Labour, i vertici del Partito hanno difeso il premier. Ma la resa dei conti è stata soltanto rimandata a sabato, quando si aprirà la Convention annuale laburista. Nei giorni scorsi i “frondisti” (arrivati oltre quota 20) hanno manifestato apertamente il loro malcontento e hanno chiesto la presentazione di schede con possibili nomi di candidati alternativi a Brown. Insomma, per il premier britannico è già iniziato il conto alla rovescia: la base vuole poter nominare un nuovo leader e se la presentazione delle schede di candidatura venisse ostacolata i ribelli sono pronti ad appellarsi alla giustizia. Insomma, trascinare Brown in tribunale con la colpa di negare un turn-over nella leadership. È già successo in passato che due Segretari

I

Se non si fa da parte, Brown rischia un’incriminazione

Prima della Convention guerra civile in casa Labour di Silvia Marchetti generali abbiano ricevuto un avviso legale a favore della presentazione di schede di candidatura. Si tratta di un rischio che getta ancora più ombra sulla Convention di sabato, durante la quale potrebbe venire fuori finalmente un rivale che scalzi il premier dalla sua poltrona. Il ministro per la Scozia David Cairns si è dimesso ieri e la fuga di altri mi-

realtà verterà sul futuro del partito e sul dopo-Brown. Molti laburisti sono pronti ad appoggiare come leader David Miliband, ministro degli Esteri, e Charles Clarke, responsabile agli Interni, tra i più critici di Gordon Brown. In questo clima di altissima tensione interna, il primo ministro cerca di mantenere un profilo basso focalizzandosi sugli strumenti

per risollevare il Paese dalla caduta economica. Con un indice di popolarità ai minimi, Brown ha bisogno di rispolverare la sua immagine pubblica con operazioni strategiche. Sabato si è incontrato nella sua residenza privata di Chequers con la ex-Lady di Ferro Margaret Thatcher, che nonostante soffra ormai da più di sette anni di demenza senile

Per risollevare le sue sorti, il premier è ricorso persino a un incontro con Margaret Tatcher, l’ex Lady di ferro ancora nel cuore degli elettori inglesi. Che tuttavia non si sono fatti intenerire nistri (altri due sarebbero pronti ad andarsene) per Brown significherebbe una crisi di governo.

La base del Labour chiede una netta rottura con il passato e un rilancio del partito, pena la sconfitta alle prossime elezioni. La convention annuale, ufficialmente incentrata sulla lotta alla diseguaglianza sociale in Gran Bretagna (aumentata negli ultimi dieci anni di era laburista) in

rimane pur sempre un punto cardine dell’universo politico inglese. La Thatcher non ha mai smesso di catalizzare su di sé le simpatie dell’elettorato conservatore e farsi vedere insieme a lei per Brown significa un notevole ritorno di immagine.

I due hanno discusso dell’attuale congiuntura politica e dei problemi socio-economici del Paese, Brown ha cercato consigli dalla donna che ha af-

frontato le peggiori condizioni economiche dell’Inghilterra del dopo-guerra. Insomma, chi meglio della Thatcher può fornire preziosi suggerimenti a un premier ormai in caduta libera? Poco importa se i due non si siano detti in realtà nulla di rilevante. Stando a quanto racconta la figlia Carol, lo stato di salute mentale della signora Thatcher è in continuo peggioramento. Ma l’importante per Alistair Campbell, ex- spin doctor di Blair oggi reclutato da Brown, era pubblicizzare l’incontro privato. Un pranzo con la Lady di Ferro, la cui leadership negli anni Ottanta fu messa in pericolo da un’impennata nella disoccupazione, è la prova che per il premier la preoccupazione numero uno è il benessere del Paese e non la guerra civile interna al Labour.

In questo momento Brown deve lanciare un segnale forte ai cittadini: deve far sapere a tutti gli elettori del Labour che il premier si sta occupando dei loro problemi quotidiani. L’incontro con la Thatcher era finalizzato non soltanto a intenerire (per quanto possibile) l’elettorato conservatore, ma soprattutto a mostrare un low profile alla vigilia della Convention laburista. L’unica carta che può giocare oggi Brown è quella di focalizzare sui dossier economici (trovando al più presto delle soluzioni) e neutralizzare così l’offensiva in atto contro di lui dai suoi stessi uomini.


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polemiche

UNA PATRIA SENZA P segue dalla prima

Restava il fatto che del mio Paese non potevo fare a meno. Perciò viaggiando mi sono divertito poco, ma ho appreso molto.

Oggi, senza attribuire all’età che si fa grave, mutamenti interiori che sorprendono perfino me stesso quando ci rifletto, provo sensazioni assolutamente diverse da quelle appena accennate in riferimento alla lontananza dal mio Paese. Pochi giorni fa, tornato in Italia da un lungo viaggio in alcune nazioni europee, ho avvertito, mettendo piede all’aeroporto di Fiumicino, un disagio lacerante: quello stesso disagio di quando partivo sia per mete lontane che piuttosto vicine. E mi sono quasi spaventato. Nella mente si è acceso il ricordo della prima volta che sbarcai in un affollatissimo e tetro aeroporto sudamericano dove ogni sguardo mi sembrava ostile, anche se naturalmente non era così. Ho pensato che la natura del mio rapporto con l’Italia si sia negli ultimi anni soprattutto progressivamente modificata. Robert Brasillach diceva della sua Francia «questo Paese mi fa assai male». Lo amava almeno quanto lo amo io, naturalmente. Eppure c’è qualcosa che me lo fa sentire estraneo. Come se entrambi fossimo cambiati: la mia patria e la mia anima sono terribilmente distanti, insomma. E la colpa, paradossalmen-

Viaggio di ritorno in Italia, un grande paese “invertebrato” di Gennaro Malgieri

te, non è di nessuno dei due. Siamo amanti delusi e stanchi, probabilmente. Ed il peggio è che non vedo uno sbocco accettabile sia pure al fine di una difficile convivenza.

Che cosa è accaduto dentro di me? Che sta succedendo alla mia terra che fatico a riconoscere al punto di rifugiarmi sempre più lontano o rinchiudermi nel mio guscio originario, il paesello natale dove passo più tempo di quanto ve ne abbia mai trascorso in compagnia delle mie memorie, delle mie storie infantili, delle care

Pochi giorni fa, tornato da un lungo giro in Europa, mettendo piede all’aeroporto ho avvertito un disagio lacerante. E mi sono spaventato

presenze/assenze che mi aiutano nel difficile cammino nel tempo che si fa breve? In me è dilagata la disperazione di vedere finalmente, dopo decennali delusioni, un Paese pacificato e ordinato, tollerante ed efficiente, legato alle sue tradizioni e pur proiettato in un avvenire ricco di promesse nel quale la modernità ed i valori della mia gente potessero in-

trecciarsi in una sintesi armonica. Al di fuori, nella realtà che mi avvolge, si assottigliano gli spazi di libertà, cresce l’invadenza nella sfera privata, si afferma una concezione prepotente ed arrogante dell’esistenza che deborda dai giornali e

dai programmi televisivi, che s’insinua nelle pieghe dei rapporti interpersonali, che si tinge di volgarità esibita nei costumi e nel disprezzo di tutto ciò che è pubblico, dai monumenti alle scuole. Per non parlare della Pubblica ammini-

strazione, in tutte le sue branche, diventata la vera nemica dei cittadini. Se avessi il genio di Ortega y Gasset descriverei questa Italia come lui descriveva la sua Spagna negli anni Trenta: invertebrata. Sono soltanto un modesto osservatore dei mutamenti della mia epoca con qualche sensibilità. Queste poche “qualità”, peraltro molto diffuse, bastano comunque a farmi concludere che all’estero, nelle contrade d’Europa che ben conosco ritrovo quanto meno, sia pure in un contesto non proprio entusiasmante dovuto alle aporie della modernità, lo sforzo per tentare di superare il disagio della civiltà in una materialità che se non appagante è pur sempre meglio del degrado che connota le nostre città fiorite di eredità tramandate e trascurate, offese e negate, pericolanti e devastate dall’insipienza di chi non è più in grado di riconoscere il sacro nella bellezza.

Ma anche i livelli della vita civile sono modesti ed, in alcuni casi, perfino raccapriccianti. Il tono all’epoca lo danno i cafoni arricchiti, non so se sempre “furbetti del quartierino”o meno. Mentre la cultura è nelle mani di manipolatori che inzeppano di suggestioni effimere le librerie. Non a Parigi, non a Berlino, non a Vienna, non a Madrid, non a Praga ho visto tanta pornografia sui banchi dei librai quanta in Italia spacciata per letteratura e in nessun Paese ho constatato un uso tanto strumentale come da noi dell’intellettualità che ormai si ritrova in festival im-


polemiche

17 settembre 2008 • pagina 13

Pagine ritrovate. Un brano del grande studioso

Quando la Nazione riemerse dalla storia di Gioacchino Volpe Qui di seguito pubblichiamo un significativo stralcio dell’opera Italia ed Europa, dello storico italiano Gioacchino Volpe

PIÙ ANIMA probabili dedicati ad ogni cosa, a qualsiasi attività che abbia un sapore ancorchè lontano di cultura. Cinema, teatro, musica, arte ristagnano come non mai. La crisi della creatività fa il paio con il dissesto delle strade e l’immondizia che sommerge le città. L’acre odore della dissoluzione ha impregnato le nostre giornate che nascono leggendo frettolosamente i giornali (anche quelli “autorevoli”) alla ricerca dell’ultimo gossip, della più irrilevante intercettazione telefonica, dell’avviso a mezzo stampa dell’amore conquistato o dissoltosi tra questo e quello. Lo happy end, la vita da fellah, come preconizzava Spengler, ha spianato l’orizzonte dei desideri italiani. E su questo orizzonte non trovo più parole per la politica, e mi mancano spesso anche quelle per la poesia (circostanza ben più grave). Ma è la politica, nonostante tutto,o meglio la cultura politica che dovrebbe rinascere se trovasse qualcuno capace di farla rinascere, che sola può riformare ciò che s’è sformato e anche se con difficoltà e con il tempo ne-

Qui sopra, un’immagine di Napoli sommersa dai rifiuti. Sotto, un hot dog da fast food. In alto, la sfilata delle concorrenti a Miss Italia. Nell’altra pagina, una fermata della metropolitana di Roma chiusa per sciopero. Tutte istantanee di un’Italia che sembra aver smarrito la sua anima

cessario dovrebbe tornare a riannodare i fili di una matassa che s’è disfatta, indicando prospettive che valgano la pena di essere coltivate, come si fa con un campo nell’attesa dei frutti. Il dubbio che ciò che accada, naturalmente resta.

E restano le malinconie appese alle illusioni svanite. L’ottimismo degli imbecilli è il solo chiodo piantato in un muro senza immagini: questa è l’idea dell’Italia che mi perseguita e mi allontana, mentre altrove vedo realizzazioni imponenti, straordinarie sfide o, anche più modestamente, soltanto buona amministrazione che soddisfi minimamente i bisogni dei cittadini. Perciò torno di malavoglia. E non so poi dove ancora andare perché, innegabilmente, questo è il mio Paese che non posso non amare. Talvolta mi fanno compagnia spesso dei versi del vecchio Gottfried Benn: «Tutto è solo un continuo fuggire, /non terra promessa, non sosta, /forme, difformità / sconnesse /di scorcio». Ma io avrei voglia di fermarmi qui.

osì gli Italiani entravano anche essi, come del resto tutta la vita europea o di tipo europeo, nell’era della consapevolezza e volontà. E sempre più cresceva lo sforzo loro di foggiarsi essi il loro destino, di entrare nei quadri vivi del mondo, di adeguarsi ad esso ed insieme farlo servire ai propri fini. Che cosa altro è il vivere di ogni uomo e di ogni particolare società o Stato, anche piccolo? Nell’insieme gli italiani trovarono, in questa fase conclusiva della loro formazione nazionale, larga ostilità attorno a sé: ostilità fatta di interessi opposti o non collimanti, di incomprensione di spirito conservatore o restauratore contrapposti vittoriosamente allo spirito rivoluzionario del ventennio precedente.

C

Roma e Medio Evo italiano; ma per l’Italia del loro tempo erano in generale, quando non ostili ed ironici, indifferenti. [...] Pochi Stati di nuova formazione, nel XIX secolo, hanno perciò incontrato tante e così diverse contrarietà: paese di tutti, campo di battaglia di tutti, zona di influenza o colonia di tutti. Ma quegli stessi interessi ad un ordine politico capace di sottrarre la penisola al predominio dell’una o dell’altra grande potenza, che noi abbiamo visto affiorare in Europa già nel XVI secolo, non sono scomparsi. Anzi sono cresciuti, con il crescer stesso della consistenza del popolo italiano e con il crescer dell’importanza del Mediterraneo come luogo di transito. Si vede già negli ultimi anni della lotta contro Napoleone, quando l’Inghilterra e l’Austria provocarono ad insurrezione gli Italiani in nome della indipendenza. [...] L’Italia «creazione dell’Europa»? Sì certo, se si intende che anche l’Italia ha tessuto la sua storia nell’àmbito della Storia degli altri. [...] Sintetizzando: dal giorno che l’Europa, organizzatasi in Stati nazionali, si accostò alla penisola; dal giorno che iniziò la conquista e gli italiani entrarono in più stretto contatto con gli altri, cominciò allora la formazione degli organi di difesa e di collaborazione, cioè il processo verso lo Stato nazionale. Il quale emerse nel 1860, ricevé suggello nel 1870, quasi divina consacrazione nel 1915-18.

Nelle parole di Volpe, ecco come il nostro Paese divenne Stato nazionale nel 1860, ebbe «suggello nel 1870», «divina consacrazione nel 1915-18»

Anche il rinnovato senso della storia, proprio del XIX secolo, se per un verso poteva dare alimento e incitamento a chi credeva di operare nelle direttive del passato e secondo i comandi di una tradizione, per un altro verso forniva argomenti a chi sosteneva che anche i vecchi governi avessero diritti storici ed inclinava a credere che la realtà dovesse maturare lentamente e spontaneamente, senza che le si facesse violenza. Si ricordi, non dirò l’Austria che, trionfatrice in Italia dopo il 1815, era direttamente in giuoco e combatteva nella penisola una lotta per essa decisiva, principio contro principio, oltre che interesse pratico contro interesse pratico; ma anche le altre Potenze e gli altri popoli solo indirettamente toccati dalla questione italiana. La Russia è, fino al ’49, legatissima all’Austria. I Tedeschi di Germania lavorano, sì a scalzare gli Asburgo dalla Confederazione, ma consideravano interessi propri gli interessi austriaci in Italia, e sé eredi necessari di tutto il patrimonio della Monarchia. Molti di essi coltivavano alacremente storia antica di

La terra che era stata sommersa, è riemersa lentamente, per opera di uomini e per opera della storia, cioè di forze che trascendono l’uomo singolo, i gruppi, i popoli. E via via che essa emergeva, il solerte agricoltore costruiva argini intorno. Quale l’avvenire? Ci sarà ora un’altra ondata, ma dal di dentro verso il di fuori? E sarà, anziché di letterati, come fu nel ’400 e ’500, di popolo, cioè di tutte le forze organicamente fuse che formano una nazione? Non lo sappiamo; ma vogliamo avere la fede che sarà così.


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il caso

Su ordine di Putin esce in Russia il nuovo manuale di storia per i licei. Che, come ai tempi del famigerato ministero della Propaganda, impone la visione del regime: cancella i gulag, inneggia a Cuba e condanna gli Usa. Un grande storico lo ha letto per noi

Il Minculput di Leon Aron

o scorso anno, di giugno, a Mosca si è tenuta una conferenza nazionale di storici ed insegnanti delle scuole superiori. Ma quello che doveva essere un dibattito sul «sentito problema dell’insegnamento della storia moderna russa» si è subito rivelato un consesso utile a presentare ai delegati due “manuali didattici”appena completati. Uno di essi – da pubblicare di lì a poco in un’edizione pilota di 10mila copie – era Storia Moderna della Russia: 1945-2006; Manuale ad uso didattico (da adesso in poi indicato con il suo titolo breve, Istoriya), da questo settembre adottato come manuale nelle scuole superiori. Ma torniamo allo scorso giugno e “all’artiglieria”pesante messa in campo per convincere della bontà dell’operazione: il ministro dell’Istruzione e della Scienza, Andrey Fursenko e

L

Vladislav Surkov, il principale tore riportato in copertina, è il pera. L’autore di uno dei capito- Komsomol - Unione Comuniideologo del Cremlino, primo vice-direttore del Laboratorio li - Pavel Danilin - è il redattore sta della Gioventù - del partito vice-Capo di Stato Maggiore ed Nazionale di Politica Estera capo di Kremlin.org e vice-di- “al potere”nella Russia Unita) è inventore del concetto di ”de- che, per sua stessa ammissio- rettore della fondazione per stato citato per aver affermato: mocrazia sovrana”, principio ne, «coadiuva gli organi di Sta- una Politica Efficace, guidata «Il nostro obiettivo è quello di cardine dell’ideologia di regi- to, ivi compresa l’Amministra- dal principale propagandista redigere il primo libro di testo me. (Come affermano le perso- zione presidenziale, nell’elabo- del Cremlino, Gleb Pavlovsky. nel quale la storia russa non ne particolarmente argute, “la razione ed attuazione delle de- Danilin (che è anche membro appaia come una deprimente democrazia sovrana” sta alla cisioni di politica estera» ed è della Giovane Guardia della sequenza di sventure ed errori, “democrazia” come la “sedia stato «invitato» a compilare l’o- Russia Unita, l’aiutante stile bensì come un qualcosa in graelettrica” sta alla ”sedia”). L’origine Da sinistra: Nicolaj Ezov, capo della polizia politica sovietica, l’NKVD e fra i principali artefici del Grande Terrore del 1937 del progetto e la sotto Stalin; la torretta di un gulag: nel nuovo manuale di Storia nemmeno un accenno ai campi di sterminio dell’ex Urss provenienza degli autori sono stati subito messi in rete dai vari siti web di matrice liberal, sempre più simili al samizdat sovietico (vale a dire la diffusione clandestina di scritti illegali perché censurati dalle autorità). Il curatore del testo, Alexandr Filippov, unico au-


il caso

17 settembre 2008 • pagina 15

Da sinistra: Andrej Fursenko, ministro russo dell’Istruzione e della Scienza; il presidente Medvedev assieme a Vladislav Surkov, principale ideologo del Cremlino e sostenitore del nuovo manuale scolastico; l’ultima statua di Stalin rimasta, a Gori, in Georgia

do di instillare orgoglio nei confronti del proprio Paese. È sotto questa luce che i docenti devono insegnare la storia e non denigrare la madrepatria gettando fango su di essa». Rivolgendosi nel suo blog ad insegnanti e studiosi dubbiosi, Danilin - che ha trent’anni ed a quanto si sa non ha mai insegnato alcunché - ha scritto: «Vi mangerete pure il fegato dalla rabbia, ma con questi libri che vi sono forniti insegnerete ai ragazzi nel modo giusto per la Russia. E per quanto riguarda le nobili sciocchezze che vi portate dentro in quelle deformi zucche vuote, o ve le cavate fuori o sarete voi stessi espulsi dall’insegnamento».

La buona volontà del Cremlino nei confronti del libro di testo si era manifestata già ad aprile 2007 con l’invito rivolto ai partecipanti a recarsi presso la residenza dell’allora presidente Vladimir Putin a NovoOgarevo, nelle vicinanze di Mosca. In una lunga introduzione al dibattito che ne è seguito, Putin dichiarò, fra l’altro, che vi era “confusione” (kasha) nelle teste degli insegnanti di storia e che questa terribile situazione avrebbe dovuto essere corretta con l’introduzione di “standard comuni” per l’insegnamento di queste materie. (Quattro giorni dopo, una nuova legge – presentata alla Duma ed approvata a tempo di record in undici giorni – autorizzava il ministro dell’Istruzione e della Scienza a decidere quali libri di testo avrebbero dovuto essere “rac-

comandati” per le scuole e quali editori avrebbero dovuto pubblicarli). In quell’occasione, le conclusioni di Putin furono “istruttive”: «Abbiamo avuto pagine problematiche nella nostra storia, come tutti. Ma meno di altri. E soprattutto non altrettanto orribili. Certo, sono accadute cose terribili: ad esempio gli avvenimenti del 1937; non dimentichiamoli. Ma altri hanno osato di più: noi non abbiamo riversato sostanze chimiche su migliaia di chilometri di territorio o lanciato su un piccolo Stato un numero di bombe sette volte maggiore rispetto a quelle lanciate nel corso di tutta la Seconda Guerra mondiale, come è accaduto in Vietnam. Noi non abbiamo avuto il Nazismo. Ogni Paese ha la sua storia e non possiamo permetterci di farci sopraffare dal senso di colpa». Ovviamente, in quell’occasione non voleva marcare solo la distanza nei confronti degli Stati Uniti. L’obiettivo era quelle di definire le linee guida della nuova storiografia russa incarnate dal manuale.

Il primo postulato appare essere questo: sebbene vi siano stati qua è là “errori”e “lati oscuri”, ciò che importa è la soprav-

vivenza ed il rafforzamento dello Stato – con qualunque mezzo necessario. In secondo luogo, l’Urss era una sorta di “fortezza assediata”, da sempre vittima dell’incessante minaccia di un attacco da parte dell’Occidente (Stati Uniti in primis), e le macchinazioni dell’Occidente erano non soltanto la causa della politica estera sovietica, ma anche di molte altre dolorose politiche inflitte dal regime al Paese. In ultima analisi – aspetto ancor più importante – l’agenda complessiva che doveva plasmare gli attuali ed i futuri resoconti storici era la “normalizzazione” della mostruosità del totalitarismo sovietico – il procurarsi giustificazioni ed alibi per i suoi crimini. Pertanto, se da un lato pagine e pagine di Istoriya traboccano di statistiche ufficiali che attestano gli stupefacenti risultati dell’economia sovietica – il sestuplicarsi della produzione di fertilizzanti minerali, il quintuplicarsi della produzione di elettricità ed il raddoppio della produzione di acciaio nei soli anni Cinquanta del secolo scorso - e di mirabili narrazioni della qualità e portata dell’apparato militare - dall’altro il Gulag è menzionato per nome una so-

L’ORGOGLIO DI PUTIN

Ogni Paese ha le sue pagine buie. Ma noi non abbiamo avuto il nazismo, né abbiamo lanciato sul Vietnam più bombe che in tutta la II guerra mondiale

I GULAG DIMENTICATI Fra le tante testimonianze, non una parola sui campi di sterminio ricordati da Solzhenitsyn o Grossman, nulla sulle confessioni estorte con le torture, nulla sulle purghe etniche

la volta. Fra i tanti resoconti dei testimoni - inseriti nella narrazione all’interno della rubrica “Come mai” - non ve ne è neppure uno che, nel fiume di memorie pubblicate alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, faccia riferimento all’inferno delle “prigioni investigative”, dove le “testimonianze”venivano estorte agli arrestati a furia di botte; neppure uno che citi i campi di sterminio ricordati nei Racconti di Kolyma di Varlaam Shalamov’s, né Un giorno nella vita di Ivan Denisovich di Aleksandr Solzhenitsyn, né La Facoltà delle cose inutili di Yuri Dombrovsky, un altro splendido scrittore russo che era miracolosamente sopravvissuto a tre campi di lavoro e ad un quarto di secolo nel Gulag; neppure uno che ricordi i capitoli con le minuziose descrizioni delle prigioni e dei campi di lavoro nel più grande romanzo russo del XX secolo, Vita e destino di Vassily Grossman. Il cosiddetto Complotto dei Medici del 1953 avrebbe meritato un paragrafo, ma non ciò che ne seguì e che solo la morte di Stalin rese vane: le impiccagioni pubbliche dei medici ebrei traditori sulla Piazza Rossa ed un pogrom in tutto il Paese seguito dall’esilio di più

di 2 milioni di ebrei sovietici in Estremo Oriente.

Ecco come si esprime il manuale a proposito delle relazioni interetniche ai tempi di Leonid Breznev, segretario generale del Partito Comunista sovietico dal 1964 al 1982: «Il grado di consolidamento delle nazionalità sovietiche ed il loro desiderio di reciproca vicinanza erano particolarmente marcati in confronto agli altri Stati multietnici. Negli Stati Uniti, ad esempio, le organizzazioni assimilabili al Ku-Klux-Klan operavano quasi apertamente, e di tanto in tanto si verificavano sanguinosi scontri di massa per motivi di natura razziale o nazionale». Così si esprime il manuale a proposito di una società nella quale l’etnicità di ciascuno era il fattore notato in primis (e spesso decisivo) nelle relazioni interpersonali – una società dove gli azeri odiavano gli armeni, gli azbachi i georgiani, gli uzbechi i kirghizi (che avrebbero iniziato ad ammazzarsi a vicenda non appena venne meno il controllo esercitato dal totalitarismo, mentre altri, come i moldavi, i lituani, i lettoni, gli estoni ed i georgiani se ne andarono da questa allegra unione prima ancora che

Da sinistra: lo storico bacio a Berlino, nel 1979, fra Leonid Breznev e il leader della DDR Erich Honecker, al potere dal 1971 al 1989; un’immagine spettrale del Muro di Berlino; l’Armata Rossa durante un’esercitazione militare


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il caso

Da sinistra: la “Primavera di Praga”, con i carri armati sovietici che entrano nella capitale della Repubblica Ceca per sfollare la protesta studentesca. Uno dei manifestanti affronta il tank. Nella foto accanto: alcuni momenti degli scontri fra sovietici e cechi. Nell’ultima foto: Fidel Castro insieme a Ernesto “Che” Guevara, nei primi giorni della Rivoluzione cubana

se ne andarono da questa allegra unione prima ancora che essa si frantumasse) e dove le “masse” etniche russe sembravano disprezzare tutte le altre nazionalità ed utilizzavano termini dispregiativi quali khokhly per gli ucraini, armyashki per gli armeni, o chernozhopye per tutti coloro che provenivano dall’Asia centrale o dal Caucaso. Neppure una parola sull’anti-semitismo di Stato all’epoca di Breznev e sulla discriminazione nei confronti degli ebrei sul lavoro e nei viaggi all’estero; neppure una parola sui passaporti ad uso interno, nei quali la “nazionalità”seguiva nome ed indirizzo, o sulle politiche di ammissione alle università come quel-

futazione, gli studenti russi sembrano destinati a dover prendere alla lettera le parole di Stalin: Pravda: «Si può ritenere che il discorso di Churchill metta a repentaglio la causa della pace e della sicurezza»? Stalin: «Sì. Churchill ha adottato una posizione da guerrafondaio e lui ed i suoi amici sono né più né meno come Hitler e la sua cricca». Così gli studenti delle scuole superiori apprenderanno che nel maggio 1945, Churchill non solo esaminava un piano di guerra contro l’Unione sovietica ma già pochi mesi dopo, a novembre, aveva individuato gli obiettivi di un attacco nucleare nei confronti della stessa. Istoriya non si sofferma su ciò

LA CORTINA DI FERRO La guerra fredda è liquidata in tre frasi: gli Usa volevano dominare il mondo; la forza sovietica si opponeva al progetto; ne derivò un grave scontro. Churchill è descritto con le parole di Stalin

la di Mosca, quando i richiedenti dovevano elencare nella domanda non solo il cognome dei loro genitori, ma anche quello dei loro nonni per poter scoprire se nelle loro vene scorressero tracce di sangue ebreo.

Nel nuovo manuale le parti sulla Guerra fredda potrebbero essere direttamente prese dai libri di testo sovietici. Le origini della Guerra Fredda vengono liquidate in tre frasi: gli Stati Uniti avevano un’inclinazione a “dominare il mondo”; la forza sovietica si frapponeva ai disegni americani e ne “derivò un grave scontro”. Il discorso sulla “Cortina di Ferro” pronunciato da Winston Churchill il 5 marzo 1946 a Fulton nel Missouri fu una vera e propria dichiarazione di guerra e, a tale proposito, viene citata in lungo e in largo l’intervista rilasciata alla Pravda da un testimone affidabile del calibro di Stalin. Senza analisi alcuna e neppure opinione alternativa, per non parlare di una vera e propria con-

che potrebbe aver reso gli ”exalleati” sospettosi nei confronti delle intenzioni di Mosca sull’Europa orientale occupata dall’Unione sovietica e pertanto plasmò quella che divenne nota come “mentalità da Guerra Fredda”: l’arresto ed il processo (con l’accusa di “sabotaggio dell’Armata Rossa”) dei sedici leader del movimento clandestino polacco anti-nazista, fedele al governo in esilio di base a Londra, dopo che era stata loro promessa l’immunità; la repressione dei non-comunisti in seno ai governi dell’Europa dell’Est; i brogli elettorali in Polonia, contravvenendo palesemente alla promessa fatta a Yalta dai sovietici che si sarebbero indette libere elezioni in quel Paese, alle quali “avrebbero potuto partecipare tutte le forze anti-naziste e democratiche”; il successivo insediamento di feroci satrapie in Europa dell’Est e l’arresto di centinaia di migliaia di appartenenti alla borghesia e all’intellighenzia e di notabili politi-

ci locali (in particolar modo ed innanzitutto della sinistra noncomunista) o i processi e le esecuzioni a fini dimostrativi, dopo terribili torture, dei leader comunisti locali quali Traicho Kostov in Bulgaria, Laszlo Rajk in Ungheria e Rudolf Slansky in Cecoslovacchia. (Gli ultimi due, ebrei, furono accusati di sionismo, oltre che di altri atti di tradimento).

Niente. Gli studenti russi leggeranno di come i regimi di «democrazia del popolo» furono creati «con l’ausilio dell’amministrazione militare sovietica» in Polonia, Cecoslovacchia, Ungheria, Romania e Bulgaria; di come «i comunisti salirono al potere»; e di come, «nel complesso, la popolazione che voleva le riforme sociali sostenne l’ascesa dei comunisti al potere». La sovietizzazione dell’Europa dell’Est viene spiegata con la necessità di difendere vitali interessi di sicurezza a livello nazionale: «Era impossibile sacrificare la sicurezza dell’Unione Sovietica. Nessun governo russo avrebbe potuto permetterselo. Stalin non avrebbe potuto convenire sulle richieste americane e britanniche di un ritorno ai governi precedenti al conflitto in Polonia, Cecoslovacchia o Yugoslavia, in quanto un tale ritorno avrebbe ripristinato il cosiddetto cordone sanitario (vale a dire una fascia di Stati “cuscinetto”borghesi e favorevoli all’Occidente lungo i confini occidentali della Russia bolscevica) eretto in funzione anti-sovietica in quelle terre. Stalin voleva creare una vasta fascia di Stati comunisti, che doveva estendersi nell’area fra l’Unione sovietica e l’Europa occidentale. L’accesso polacco era costato enormi sacrifici all’Urss ed il governo sovietico non poteva permettersi di cederne le chiavi a Washington. Gli autori del manuale asseriscono che, sin dall’inizio, la Guerra Fredda fu un fatto unilaterale, con l’Occidente che attaccava e l’Unione sovietica che si difendeva come meglio poteva. «Non essendo riusciti a

far crollare il regime sovietico con la forza, gli Stati Uniti scatenarono una guerra ideologica il cui “strumento principale” fu Radio Europa Libera». Immaginate quale maligna ed immeritata pugnalata alla schiena queste radio possano aver inflitto mentre cercavano di farsi largo fra le varie interferenze e rivelare alle nazioni stordite e zittite cosa stava accadendo nei loro Paesi! Che cosa stava accadendo con Radio Mosca che veniva trasmessa da decenni, sia prima che dopo, in tutte le lingue del mondo, con migliaia di quotidiani e riviste filo-sovietiche (e spesso finanziate dall’Unione sovietica) in tutto il mondo e con gli incessanti congressi, conferenze, movimenti ed appelli di pace degli anni Quaranta e dei primi anni Cinquanta del secolo scorso. (Alcune pagine dopo, Istoriya prende atto della dottrina sovietica imperante e dell’impossibilità di una coesistenza pacifica fra le ideologie socialiste e quelle borghesi - vale a dire la guerra ideologica permanente nei confronti dell’Occidente fino alle estreme conseguenze, nel corso della quale, fra le altre vittime, ritroviamo Boris Pasternak braccato e perseguitato fino alla morte dopo aver pubblicato il Dottor Zivago ed aver ricevuto il Premio Nobel nel 1958).

Ma indipendentemente dai problemi che la Guerra Fredda possa aver causato sul suo cammino, fino all’avvento di Mikhail Gorbachev, l’Unione Sovietica marciò di vittoria in vittoria nel campo degli affari internazionali. Si afferma che anche il ritiro dei missili a testata nucleare da Cuba nel 1962, a seguito dell’ultimatum lanciato dagli Stati Uniti, si sia risolto in una sconfitta per questi ultimi. Un’altra vittoria fu registrata in occasione della Guerra del Vietnam, causata dall’aggressione degli Stati Uniti contro il Vietnam del Nord con l’obiettivo di «liquidare il regime comunista». In veste di «garante della stabilità mondiale», l’Unione sovietica non aveva scelta se non quella

di «offrire al Vietnam del Nord l’assistenza necessaria ad opporsi a quell’aggressione». Nel manuale non si fa alcun riferimento ai massicci invii di armamenti e materiale bellico all’Egitto ed alla Siria fra il 1966 ed il 1967; neppure una parola sull’ammassarsi di truppe egiziane nel Sinai e siriane sulle alture del Golan nel maggio 1967, sul blocco del Golfo di Aqaba da parte dell’Egitto o su quello dei rappresentanti sovietici in seno al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che ostacolava ogni possibilità del Consiglio stesso di affrontare le gravi preoccupazioni d’Israele (e risolvere pertanto la crisi con mezzi pacifici). Al contrario, il manuale ripete la solita fandonia dell’imminente attacco d’Israele nei confronti della Siria - la stessa menzogna che Mosca comunicò all’epoca all’Egitto ed alla Siria, spingendo in tal modo l’Egitto ancor più sull’orlo della guerra. In un commovente resoconto del sentimento di pace che animava l’Unione sovietica, si racconta la storia del dittatore egiziano Gamal Abdel Nasser, che, avendo «spostato le truppe egiziane nel Sinai al fine di prevenire l’attacco d’Israele nei confronti della Siria, auspicava di consultare gli amici sovietici e ricevere il loro assenso ad un attacco preventivo nei confronti d’Israele ed inviava il proprio ministro della Difesa a Mosca». Gli interlocutori sovietici dissero agli egiziani che non avrebbero tollerato un’aggressione, anche se di tipo “preventivo”. Il secondo giorno di negoziato, Nasser cercò di nuovo di assicurarsi il sostegno sovietico che gli fu nuovamente negato. Infine, il terzo giorno, il ministro Badran comunicò la risposta di Nasser: «Se gli amici sovietici rimangono di questo parere, non ci sarà alcun attacco dell’Egitto nei confronti d’Israele. «Pertanto, nel 1967, Israele attaccò l’Egitto, la Siria, e la Giordania senza che vi fosse stata alcuna provocazione da parte di questi Stati». La parte relativa alla guerra dei Sei Giorni si conclude con Israele condannato come «ag-


il caso

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Da sinistra: truppe Usa sbarcano in Vietnam; il presidente egiziano Gamal Abdel Nasser Nasser, leader del panarabismo e fondatore con Nehru e Sukarno dei Paesi non allineati; la guerra dei sei giorni del 1967

gressore» dalla risoluzione 247 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e con l’Unione sovietica che - amante della pace fin nel profondo e non certo desiderosa di restare in compagnia di guerrafondai di siffatta natura - interrompe le relazioni diplomatiche con lo stato ebraico. (La risoluzione Onu 247, adottata nel marzo 1968, ri-autorizzava la forza di pace delle Nazioni Unite a Cipro. Gli autori di Istoriya intendevano pro-

babilmente riferirsi alla Risoluzione 237 del 14 giugno 1967 eccetto per il fatto che non c’è alcun riferimento in queste pagine ad Israele come Paese aggressore). La guerra del Kippur del 1973, quando l’Egitto armato dall’Unione sovietica attaccò Israele, non è neppure menzionata. La corsa al riarmo nucleare fu tutta colpa dell’America. Non si fa alcun riferimento al fatto che ogni anno l’Unione sovietica sfornasse più carri armati di qualsiasi altro Paese al mondo, che andavano ad aggiungersi a quelli già dislocati nell’Europa dell’Est e per i quali gli occidentali non vedevano alcuna spiegazione o obiettivo razionale se non quello di attaccarli. Nessun riferimento allo spiegamento degli SS-20 missili mobili a gittata intermedia, armati di tre testate e puntati contro l’Europa occidentale – e neppure all’abbattimento dell’aereo civile coreano (volo Kal 007) da parte dell’Aeronautica sovietica il primo settembre 1983.

Quando ormai non c’è più altro da dire e fare perché tutto è già stato detto e fatto, il «carattere rigorosamente centralizzato del sistema politico ed economico di governo dell’era sovietica» – e va rilevato che il termine “totalitario”, che è divenuto praticamente inscindibile dalla definizione del regime sovietico durante la rivoluzione incarnata dalla glasnost della fine degli anni Ottanta e che ha trovato spazio nei discorsi di Gorbaciov e Yeltsin (e nelle critiche al manuale), non viene utilizzato neppure una sola volta - non è affatto il risultato della mortale ideologia di una “utopia al potere”. Assolutamente no, la responsabilità del bestiale regime, secondo Istoriya, è da ricercarsi nelle «condizioni obiettive»: storiche, sociali ed economiche. La tradizione nazionale russa è quella della «centralizzazione» al servizio della «modernizzazione» e lo Stalinismo non fa differenza, se non per il fatto che la costante minaccia

dell’invasione necessitava che la «modernizzazione» fosse particolarmente rapida, rendendo il regime «più duro». Non c’è niente di insolito in tutto questo. Stalin non era più «duro e spietato» di quanto non fosse Bismarck, che unì le terre tedesche con «le armi ed il sangue». Perché anche presunti sistemi politici «morbidi e flessibili» quali quello degli Stati Uniti – si notino le virgolette riprese dall’originale – tendono ad evolvere verso «dure forme di organizzazione politica» nei momenti in cui si sentono minacciate, come è avvenuto dopo l’11 settembre. Nella colonna dei “meriti”, in un bilancio ed in una valutazione della figura di Stalin, il manuale afferma che è stato «il leader di maggior successo dell’Unione sovietica, al quale vanno ascritti i grandi risultati dell’industrializzazione, della rivoluzione culturale, del miglior sistema d’istruzione del mondo, dell’eliminazione della disoccupazione e di un apparato di potere ultra-efficace. Al contrario, l’incapacità di Breznev di dare vita ad una gestione dell’élite altrettanto “efficace” – nonostante il fatto di aver conseguito la parità nucleare con gli Stati Uniti, eroica impresa che gli assicurerà per sempre il suo posto nel “pantheon” dei più grandi leader russi - «ha svolto un ruolo fatale» nel crollo dell’Unione sovietica.

Ovviamente non vi è nulla di nuovo nelle normali distorsioni della storia russa o nel fatto che lo zar funga da storico principale. «Un po’ come una sorta di provvidenza alla rovescia, il governo russo cerca di definire al meglio, a proprio uso e consumo, non il futuro, bensì il passato», ebbe a scrivere Alexander Herzen, il primo vero, ed ancora piuttosto solitario, liberale russo. Il primo capo dell’infame Terzo Dipartimento della Cancelleria di Sua Maestà (la polizia politica segreta o Gendarmeria, creata da Nicola I nel 1826), il Conte Alexander von Benchendorff, impartì il seguente ordine agli storici russi:

LE VIRTÙ DEL PICCOLO PADRE Stalin è stato il leader di maggior successo dell’Unione Sovietica. Suo il merito di aver industrializzato il Paese, sconfitto la disocuppazione e creato il miglior sistema d’istruzione al mondo

«Il passato della Russia è stato meraviglioso, il suo presente più che superlativo e, per quanto riguarda il suo futuro, esso è ben al di là di quanto una pur audace e fervida immaginazione potrebbe concepire. È questo il punto di vista in base al quale deve essere considerata e scritta la storia russa». Per inciso: Putin ha fatto aggiungere un ritratto di Nicola I ai busti e ai ritratti di Pietro il Grande, Caterina la Grande ed Alessandro II nell’anticamera dell’ufficio presidenziale al Cremlino. Ancora: Stalin iniziò ad inserire punti interrogativi ed esclamativi a margine di un manuale di storia del 1934 per le scuole superiori e, quattro anni dopo, provvide a lasciare lunghe note editoriali e ad inserire lunghi brani nelle bozze del Breve Corso di Storia del Partito Comunista di tutta l’Unione (bolscevica), che dettò le linee guida per la scrittura della storia sovietica dei successivi 50 anni. (Gli appunti e le interpolazioni di Stalin, redatte con calligrafia nitida e chiara, potranno essere presto osservate presso la Yale University – progetto degli “Archivi della Guerra Fredda”, guidato dall’infaticabile Jonathan Brent). In verità, si è tentati di descrivere l’intervento di Putin sulla storiografia russa, sessant’anni dopo quello di Stalin, utilizzando il cliché del rifacimento dell’affermazione di Hegel da parte di Marx, secondo cui i fatti storici ed i personaggi storici si ripetono due volte - la prima volta in tragedia, la seconda in farsa. Ma non vi è nulla di farsesco in un altro tentativo di voler cambiare ed addomesticare la verità nella presentazione del passato russo. La posta in gioco è troppo alta. La Glasnost (1987-1991) fu una rivoluzione morale d’immensa

portata e fervore, saggezza spirituale ed intuizione. Accelerò ed affrettò una coraggiosa ricerca della propria anima, una vera e propria esplosione di decoro, dignità, coraggio civico e ricerca dell’eccellenza in campo giornalistico, che quasi riscattò i settant’anni precedenti caratterizzati da crudeltà, mediocrità coatta, menzogne e turpitudine morale ed affermò il principio che la vera storia è la condicio sine qua non della rinascita russa. Così «mostruosamente distorta» - per usare un’espressione di Izvestia – era la versione della storia nazionale precedentemente insegnata nelle scuole che l’esame di storia per il conseguimento della maturità fu abolito nel 1988. Ripristinato l’anno successivo, vide la messa al bando di quei libri di testo e la stampa di nuovi, perché la perestroika aveva bisogno di spazzare via ogni sorta di auto-illusione nel modo più equilibrato, ma spietato allo stesso tempo. «Ciò che nascondiamo e ciò che temiamo – ha scritto un autore che ha contribuito alla redazione di quella che è forse la migliore raccolta di saggi sulla glasnost, Non c’è altra via, pubblicata nel 1988 - sono una cosa sola e sempre la stessa. Se il nascondere la verità è sintomo di paura, rivelarla è qualcosa d’inscindibile dal porre fine al terrore. La strada verso una Russia nella quale possa fiorire una libera individualità risiede soltanto nella verità». Ancora un altro infrangersi di questa magnifica speranza, un altro ritardo di questa gloriosa trasformazione, un’altra interruzione della rinascita morale si aggiungeranno in cima al lungo elenco di accuse con il quale prima o poi la storia russa metterà sotto accusa il Putinismo.


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letture

Con l’ultimo lavoro, «Die Box», lo scrittore prosegue l’autobiografia

Così la Germania contesta la scatola magica di Grass di Francesco Cannatà «Ho vissuto passando da una pagina all’altra, circondato da libri. In un mondo carico di personaggi. Per poter raccontare ancora mancano però voglia e cipolle». Cosi terminava Sbucciando la cipolla l’ultimo romanzo di Gunter Grass. Smentendo parole tanto sconsolate, dallo scorso agosto nelle librerie tedesche è possibile trovare, Die Box, La scatola, il nuovo volume del vincitore del Nobel della letteratura 1999. A Grass è dunque tornata presto non solo la voglia di scrivere, ma di farlo nella forma particolare cui costringe l’autobiografia: lasciare il racconto al tempo. Die Box, non è però la semplice prosecuzione di Sbucciando la cipolla. Nel suo primo libro autobiografico il romanziere di Danzica rivelava una componente della sua vita fino a quel momento negata e nascosta: il periodo trascorso, da ragazzo, nelle SS nazionalsocialiste.

Rivelazione gestita, parallelamente al lancio del libro, in modo mediaticamente perfetto. Nell’agosto del 2006, ormai settantottenne, lo scrittore tedesco dichiarò, in un’intervista al giornale Frankfurter Allgemeine Zeitung, di aver militato durante la guerra nella 10. SSPanzer-Division Frundsberg delle Waffen-SS, come volontario e non precettato come si era fino a quel momento creduto. Anche se in realtà arruolatosi con il desiderio di diventare sommergibilista. «Il motivo fu», racconta lo scrittore, «comune per quelli della mia generazione, un modo per girare l’angolo e voltare le spalle ai genitori». La rivelazione, e il modo in cui lo scrittore la spiegava e giustificava, davano il via a notevoli polemiche fino a dividere la Germania e il popolo tedesco tra chi pretendeva la restituzione del Nobel e chi invece difendeva Grass sostenendo che il passato

non poteva compromettere le sue opere. Un furore polemico che ha accompagnato tutto il percorso di Sbucciando la cipolla. Qualcosa di simile sta accadendo con Die Box. In realtà nella settimana successiva al 23 agosto, giorno in cui il lavoro di Grass è apparso nelle librerie tedesche, sembrava che critici e pubblicisti volessero ignorare l’opera. Un silenzio voluto dalla casa editrice, la Steidl di Gottinga, che per sette giorni ha imposto il divieto delle recensioni. Un silenzio finito insieme all’estate. Il due settembre alla prima lettura pubblica del romanzo al teatro Halia di Amburgo, un gruppo di attivisti ha cercato di disturbare l’evento contestando la cosiddetta istanza morale rappresentata in Germania dallo scrittore polacco-tedesco. Contestazione guidata da Götz Kubitschek, leader di un nuovo movimento “conservatore-sovversivo”, o neo neocon tedesco. Un personaggio definito dai suoi avversari «fascista da salotto». Pur iniziando dal punto in cui la Cipolla

«La mia macchina scatta immagini che non ci sono. Racconta cose mai esistite. Con lei potrete vedere ciò che accade solo nei sogni». Così Marie, con parole che farebbero la gioia di ogni apparecchio fotografico, presenta una vecchia Agfa del 1930. Una “scatola magica” con poteri soprannaturali

probabilmente il solo,“senza missione”, dello scrittore di Danzica. Forse è questa la ragione per cui molti, nel suo Paese e all’estero, sono stati presi in contro-

Accoglienze fredde e qualche polemica per il romanzo ambientato a Berlino durante la seconda guerra mondiale. Qui, un uomo e la sua donna con la guerra hanno perso tutto terminava – il 1959 l’anno in cui appare il Tamburo di latta - Die Box non è però la semplice prosecuzione dell’autobiografia dell’autore. Sbucciando la cipolla rappresentava l’incidere della storia nella vita del singolo con tutto quello che ne consegue, compreso l’«entrar nel male se necessitato». Con Die Box invece al lettore viene servita su un piatto d’argento la faccia meno dell’esirazionale stenza umana. Sbucciando la cipolla, è uno dei pochi libri,

piede da questa opera di Grass. Storie di una macchina fotografica è il sottotitolo del nuovo volume. In realtà è la storia di una macchina fotografica che racconta storie. Atelier distrutto dalle bombe cadute su Berlino durante la seconda guerra mondiale. Archivio in fiamme. Luci spente per sempre. I proprietari della “scatola”, un uomo, Hans, e la sua donna, Marie, con la guerra hanno perso tutto.

Solo la vecchia Agfa del 1932 è miracolosamente riuscita a sopravvivere ai gironi infernali del conflitto mondiale. Solo la macchina fotografica esce arricchita dal disastro europeo. Da allora la “scatola”, diventata

magica, possiede poteri soprannaturali. «La mia macchina scatta immagini che non ci sono. Racconta cose mai esistite. Con lei potrete vedere ciò che accade solo nei sogni». Così Marie, con parole che farebbero la gioia di ogni apparecchio fotografico, presenta Die Box. La vecchia Agfa del 1930 ripaga la sua proprietaria raccontando, dopo la morte della fotografa berlinese, la storia di Marie cui anche il libro è dedicato. È in «ricordo di Maria Rama» che un vecchio scrittore nel 2007, per il suo ottantesimo compleanno, desidera discorrere con i suoi otto figli. Sentire cosa essi, in sua presenza, dicono di lui. Mentre padre e figli raccontano, la “scatola-Marie” riprende tutto. Perché in fondo Die Box non è solo la storia, negli anni 1959-1995, dello scrittore vista dai figli del patriarca, alias Gunter Grass. È soprattutto il racconto del rapporto tra Marie Rama e di suo marito Hans famoso fotografo berlinese - ambedue presenti anche in Sbucciando la cipolla - con la famiglia Grass. Rapporto soprattutto fotografico che se con Hans termina nel 1967, con Marie prosegue per altri trenta anni. Certo con un autore sensuale come Grass non si può fare a meno di chiedersi se i rapporti con Marie siano sempre rimasti sul piano della pura professionalità. Una domanda che anche i figli dello scrittore si pongono. In Die Box, il gioco letterario tra verità e letteratura comporta la scelta di un linguaggio infantile e spersonalizzato che, come per la sua precedente opera autobiografica, anche questa volta è alla base delle accuse fatte a Gunter Grass di mistificare la propria storia personale e quella della Germania, impedendo l’incontro tra le differenti generazioni del Paese.


cultura

17 settembre 2008 • pagina 19

A sinistra e qui in basso, due immagini del ”padre dell’evoluzionismo” Charles Darwin. In basso a sinistra, monsignor Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura

Monsignor Gianfranco Ravasi respinge l’ipotesi di riabilitare il padre dell’evoluzionismo: «La Chiesa non l’ha mai condannato»

«Non dobbiamo chiedere scusa a Darwin» ROMA. «La storia certamente va interpretata ma non è un tribunale che va continuamente allestito. Quindi non bisogna dibattere sul fatto se sia o meno opportuno chiedere scusa a Pierre Teilhard De Chardin, quanto sull’importanza e sulla fecondità di allacciare un dibattito costruttivo con la scienza, sapendo che esistono delle differenze di partenza tra questo mondo e quello della fede. Ciò però non ci impedisce di dimostrare che, spesso, gli equivoci che ci allontanano gli uni dagli altri possono essere in parte ridimensionati. E che scienza e fede possono incontrarsi anche perché la necessità di comprendere, di capire il senso delle cose è anche parte integrante della fede. Non è un caso che all’interno del Pontificio Consiglio per la Cultura abbiamo allestito un dipartimento che si occupa proprio del mondo scientifico». Con queste parole monsignor Gianfranco Ravasi, titolare del dicastero vaticano per la Cultura, ieri, ha chiarito la sua posizione sull’idea che la Chiesa cattolica, seguendo le orme di quella anglicana, debba chiedere scusa allo scienziato e gesuita francese Pierre Teilhard de Chardin, che cercò di conciliare la teoria dell’evoluzione con il cristianesimo e nel 1962 venne colpito da un richiamo del Sant’Uffizio che rilevava nelle sue opere gravi errori. Quest’anno ricorre il centocinquantesimo anniversario dalla pubblicazione del testo Sull’origine della specie di Charles Darwin. E il

di Francesco Rositano Pontificio Consiglio per la Cultura ha deciso di ricordare questa ricorrenza patrocinando un convegno internazionale sull’evoluzione organizzato per marzo dalla Pontificia Università Gregoriana insieme alla Notre Dame University. Un’iniziativa che mostra come la Santa Sede non sia pregiudizialmente chiusa rispetto alle teorie della scienza e abbia quindi l’intenzione di tenere aperto il dibattito sulla vita. Questo, però, non significa nemmeno voler “santificare” il naturalista inglese. Presentanto il convegno, il presule ha anche respinto al mittente l’ipotesi di una riabilitazione del gesuita

francese. «Leggendo un quotidiano ho appreso che mi sarebbe stata indirizzata una lettera aperta affinché io chiedessi scusa a Teilhard de Chardin. Ma la Chiesa non ha mai condannato Darwin né messo all’indice le sue opere. Ritengo quindi che il nostro compito sia quello di favorire una dimensione positiva del confronto. Certamente questo non equivale a costruire a tutti i costi dei concordismi estremamente facili, sbrigativi, semplificatori: non è detto che bisogna per forza trovare per forza questa mirabile intesa, facendo finta che non esistano differenze tra questi due mondi. Le

differenze esistono, ma vogliamo verificare fino a che punto, in realtà, gli equivoci di distinzione, siano più accentuati di quanto essi siano in realtà».

Insomma la Chiesa è pronta ad affrontare in maniera costruttiva le importanti domande aperte dall’evoluzione. Ma allo stato attuale delle cose, come ha spiegato monsignor Ravasi, la richiesta del teologoVito Mancuso (che ha detto di volergli scrivere affinché De Chardin sia riabilitato) non può essere accolta. Ciò però non implica una chiusura assoluta nei confronti della scienza e quindi delle teorie evoluzioniste di Darwin. Insomma per il vescoil Gesuita proibito vo è possibile aprire un nuovo corso tra Pierre Teilhard de Chardin (Orcidue universi poi non nes, 1° maggio 1881 – New York, così lontani. La strada 10 aprile 1955) è stato un presbipassa, come ha spietero, filosofo e paleontologo frangato, «da una comunicese della Compagnia di Gesù. Fu cazione sempre più conosciuto in vita soprattutto cofranca, efficace e senme scienziato evoluzionista, ebbe za ideologie tra due invece notorietà come teologo solpunti di vista che tanto dopo la pubblicazione postuma dei suoi princiguardano alla stessa pali scritti come ”Le Phénomène Humain” del 1955, realtà, quella dell’uoconsiderato da molti il suo principale lavoro. L’impormo e del suo mondo». tanza del lavoro del teologo-scienziato è anche quella Il primo passo da di aver collaborato al progetto di tessere un ponte di compiere, sostiene il collegamento tra pensiero scientifico e pensiero religiovescovo, è quello di so. E fu proprio per questo suo tentativo di conciliare la superare le confusioni teoria dell’evoluzione con il cristianesimo che, nel generate dalle con1962, venne colpito da un richiamo del Sant’Uffizio trapposizioni ideoloche rilevava nelle sue opere gravi errori. Dopo la scogiche sul rapporto tra perta del Teilhard anche teologo, questi venne sopranfede ed evoluzioninominato il ”gesuita proibito”, dal titolo di un libro di smo. «Non c’è nessuGianfranco Vigorelli del 1963. na incompatibilità a priori - ha affermato

monsignor Ravasi - tra la dottrina dell’evoluzione e il messaggio della Bibbia e la teologia. Anche perché bisogna ricordare che in passato sulla teoria dell’evoluzione ci sono stati pronunciamenti significativi da parte del magistero ecclesiale». Più che incompatibilità tra i due ambiti si è invece creata una confusione. Una confusione quella tra scienza e fede che - secondo il gesuita padre Marc Leclerc, professore di filosofia della natura all’università Gregoriana e tra gli organizzatori del convegno è stata provocata sia dai creazionisti che dai sostenitori dell’Intelligent Design. «I primi - ha spiegato padre Leclerc - negano l’evoluzione delle specie e credono nella creazione diretta del mondo da parte di Dio: si tratta soprattutto di gruppi evangelici nordamericani. I secondi, invece, sono coloro che pur ammettendo il fatto massiccio dell’evoluzione delle specie, intendono fare leva sulle insufficienze della teoria neodarwiniana per proporsi in qualche modo in spiegazione alternativa, allo stesso livello: come se solo il disegno intelligente di Dio potesse spiegare i processi dell’evoluzione. In questo modo, però, accade che l’Intelligent Design arrivi a confondere i due piani distinti della finalità e del meccanismo». Il dibattito è quindi estremamente complesso ma la Chiesa ha intenzione di affrontarlo senza nessun preconcetto di tipo ideologico. Ecco perché al Convegno di marzo interverranno scienziati, teologi, credenti e atei.


pagina 20 • 17 settembre 2008

personaggi

Lascia un vuoto incolmabile nel mondo della musica la scomparsa del tastierista dei Pink Floyd, la band più innovativa del rock psichedelico inglese

Il talento di mr.Wright di Valentina Gerace l mondo della musica è in lutto. La scomparsa di Richard Wright avvenuta «dopo una breve battaglia contro il cancro», all’età di 65 anni, colpisce profondamente tutti. Amanti della musica e non. Tastierista e compositore della band più innovativa e di successo sulla scena del rock psichedelico inglese, i Pink Floyd, ha costruito il muro sonoro oltre il quale si stagliavano gli epici assoli del chitarrista David Gilmour. Di estrazione jazzistica, ma molto influenzato anche dalla tradizione blues folk, è riuscito ad evolversi sino ad entrare in ambiente psichedelico con naturalezza e sensibilità. I suoni creati col suo organo hammond, e successivamente con l’organo farfisa, sono immortalati per sempre in brani epici quali Money, Time o Sheep. E hanno fatto di lui uno dei pionieri del piano elettrico e dei sintetizzatori. I suoi momenti più alti possono essere considerati per intero i primi due album del gruppo, The Piper at the Gates of Dawn (1967) e A Saucerful of Secrets (1968). Inoltre Wright scrive alcuni dei titoli di maggior successo della band, come Echoes, da Meddle (1971), Shine on You Crazy Diamond (dall’album omonimo del 1975) e The Great Gig in the Sky e Us and Them da The Dark Side of the Moon del 1973.

I

Nato in una famiglia benestante di Londra, nel 1943 appena adolescente Wright entra al London College of Music, e lì ha il suo primo impatto con la musica. Abbandona le lezioni di piano dopo appena due settimane. In seguito si iscrive al politecnico di Regent Street alla facoltà di architettura. Qui conosce Roger Waters e Nick Mason, ma presto abbandona gli studi per

seguire la sua passione per la musica. Nel 1965 i tre, insieme a Syd Barrett, fondano la storica band, i Pink Floyd. Nel 1968 Barrett viene allontanato dalla band a causa delle sue precarie condizioni fisiche e mentali, dovute a un abuso sconsiderato di stupefacenti, in particolare Lsd, e si ritira dalla scena musicale per dedicarsi alla pittura. Le redini del gruppo passano a Roger Waters, il quale sceglie come sostituto chitarrista un vecchio amico di Syd, David Gilmour.

Da lì a poco i Pink Floyd conosceranno quelli che diventeranno i loro manager: Andrew King e Peter Jenner. Con l’annuncio ufficiale dell’uscita di Syd dalla band, il 6 aprile 1968, i Pink Floyd tornano ad essere un quartetto. Lo stile del gruppo è ormai cambiato: la personalità scura e introversa di Waters e lo stile chitarristico personalissimo di Gilmour

successo mondiale grazie a hitsingle quali Wish You Were Here e Money, e concept-album quali The Dark Side of the Moon e The Wall. La loro notorietà è particolarmente legata ai testi surreali di Syd Barrett ispirati dalla lettura, fra i tanti, di Tolkien, Edward Lear e Kenneth Grahame (ne sono un esempio brani come Arnold Layne, Bike, See Emily Play) e altri come Interstellar Overdrive e Astronomy Domine, i primi nella storia del rock a utilizzare dilatazioni e atmosfere di stampo fantascientifico, aprendo di fatto le porte alla stagione del rock cosmico. Il loro primo vero album è Meddle (1971). Grazie a brani diventati ormai classici come Echoes e One of These Days il gruppo riesce a raggiungere un pubblico sempre più vasto.

Il 1973 segna la svolta del gruppo con l’uscita dell’album The Dark Side of the Moon, concept-album per definizione che si avvale di una delle tante copertine che Storm Thorger-

poco. Non c’è praticamente uno spazio in quest’album dove non ci sia, di sottofondo, il tappeto musicale di Richard Wright. Suo è inoltre il brano musicale, in cui ricorre a tre sintetizzatori suonati contemporaneamente, che termina l’album, suona-

Di estrazione jazzistica, ma molto influenzato anche dalla tradizione blues folk, era capace di incantare la folla vibrando il suo hammond e suonando tre sintetizzatori contemporaneamente avrebbero contribuito a formare «l’impronta Floyd» che avrebbe caratterizzato tutti gli album successivi, a partire da A Saucerful of Secrets, del 1968. Nel corso di una lunga e travagliata carriera, la band è riuscita a riscrivere le tendenze musicali della propria epoca e costituire uno dei gruppi più importanti della storia del rock. Sperimenta i primi light-show, coinvolgendo il pubblico con proiezione di immagini, diapositive e l’impiego massiccio di un efficace impianto di luci. Impegnati in un’assidua ricerca di sonorità psichedeliche e sperimentazioni elettroniche, hanno raggiunto il

son, designer della Hipgnosis, ha realizzato per i Pink Floyd nel corso degli anni: il famoso prisma che scompone la luce bianca nei colori dell’iride. L’album è da definirsi «corale» sia per il tema trattato, la follia, sia perché per la sua incisione hanno collaborato tutti e quattro i componenti in maniera più o meno rilevante. Il disco raggiunge quasi tutte le vette delle classifiche internazionali. Wish you were here (1975) uno tra gli album storici della musica rock psichedelica internazionale è una miscela di suoni che lancia nell’estasi più affascinante anche chi di rock ne capisce

to da solo senza la partecipazione degli altri tre. Nel 1978 realizza il suo primo album da solista Wet dream, tutto scritto da lui, eccetto la canzone Against The Odds, per cui collabora la moglie Juliette. Nel 1977 è la volta di Animals, ispirato a La fattoria degli animali di George Orwell.

Ma è con The Wall (1979) che i Pink Floyd segnano per sempre la storia del rock. Durante le registrazioni Wright viene allontana-

to dal gruppo da Roger Waters. I motivi sono i problemi di droga (da lui sempre smentiti) legati tra l’altro al suo divorzio dalla moglie Juliette Gale.

L’album è un enorme successo. Il regista Alan Parker realizza nel 1982 il film omonimo. Racconta una storia costellata di delusioni e paure che vengono rappresentate come un mattone su un altro quasi a creare un muro, ovviamente metaforico, di difesa dal mondo. L’album successivo, The Final Cut (1983), è l’unico a cui Wright, ormai definitivamente allontanato dal gruppo, non contribuisce. Intanto si sposa per la seconda volta. Nel 1984 forma un gruppo con Dave Harris, gli Zee. Dopo aver firmato un contratto con la Atlantic Records, gli Zee pubblicano il loro primo e unico al-

A sinistra, il tastierista dei Pink Floyd Richard Wright. In alto una recente immagine di una loro esibizione. Nella pagina a fianco, Wright insieme a David Gilmour e Nick Manson, e l’arena del Teatrino di Pompei pronta per lo storico concerto


personaggi

17 settembre 2008 • pagina 21

L’uomo giusto nella band giusta. Schivo, discreto e geniale

Il mito dei Pink Floyd tra le rovine di Pompei di Stefano Bianchi uomo giusto nella band giusta. I Pink Floyd non avrebbero mai potuto fare a meno di Richard Wright, né lui di loro. Nonostante gli attriti con l’ego straripante di Roger Waters. Rick, l’uomo tranquillo. L’indispensabile presenza che sui palcoscenici ha glissato i sempre più roboanti effetti speciali del gruppo inglese per starsene in un cantuccio, schivo e discreto com’era, a sgranare la magia delle sue tastiere. Suoni matematicamente precisi, come le pittoriche geometrie “optical” di Victor Vasarely. Ferrea autodisciplina. Zero concessioni al facile applauso. Un altro mondo, rispetto ad altri due sommi organisti del rock: Keith Emerson (Emerson Lake & Palmer) e Rick Wakeman (Yes).

L’

bum, Identity. Wright fu richiamato da David Gilmour per la session conclusiva di A momentary lapse of reason (1987), collaborando in alcuni brani dell’album ed è reintegrato a pieno titolo come membro del gruppo con l’album Delicate Sound of Thunder (1988).

Nel successivo album, The Division Bell (1994), scrive cinque canzoni e canta Wearing the Inside Out, certificando la sua personale rinascita artistica. Nel 1996 Wright pubblica il suo secondo album da solista, Broken China, dedicato alla sua terza moglie, Millie, in cui tra gli ospiti appaiono talenti come Sinead O’Connor, Pino Palladino e Tim Renwick. L’album non ha successo commerciale ma nel tempo viene rivalutato, tanto che un brano di quest’album viene inserito nella

scaletta dei pochi concerti di Gilmour del 2001-2002. Nel 2006 Wright collabora al terzo brano da solista di Gilmour On an Island suonando in due brani. L’album raggiunge il primo posto in classifica in l’Italia e nel Regno Unito. Al successivo tour di David Gilmour, Wright partecipa come membro stabile dando fondo a tutto il suo repertorio tastieristico e contribuendo anche in termini di prestazioni vocali. Testimone dell’esperienza e della levatura musicale di Wright ne è il dvd Remember that night, realizzato con David Gilmor, pubblicato in Italia il 14 settembre 2007.

Wright suona la tastiera, l’organo hammond e il piano, ed è seconda voce da solista in Confortably Numb e Arnold Layne. Le vendite superano i 200 milioni di copie, consacrando i Pink Floyd come una delle band più amate e famose del mondo.

nalità, Rick si limitava a preziosi accompagnamenti di sottofondo che guai se non fossero mai esistiti, fra le pieghe di The Dark Side Of The Moon e The Wall. D’altronde, a parlare, è stata la potenza e l’umiltà d’un curriculum irreprensibile: il jazz frequentato brevemente al London College of Music e riabbracciato poi sulle note della tromba di Miles Davis, la psichedelìa colta al volo all’Ufo Club e rilanciata col memorabile assolo di Farfisa in See Emily Play, l’imprinting su The Piper At The Gates Of Dawn e Ummagumma, le tracce indelebili su Shine On You Crazy Diamond, il tappeto sonoro che scorre lungo tutto Wish You Were Here, col sipario che cala su tre sintetizzatori suonati in contemporanea. E ancora, la composizione di parecchi brani in solitudine o a più mani: dai quattro movimenti classicosinfonici di Sysyphus, a Summer ’68; dalla parte per pianoforte di The Great Gig In The Sky, fino a Us And Them e a Keep Talking. La macchina da presa che zooma sulle sue dita. Le note estenuanti e miracolose di Echoes (Part 2). Lo voglio ricordare così, nel 1971, fra le rovine di Pompei, mentre costruiva l’inossidabile mito dei Pink Floyd. Con umiltà, come sempre.

Con i tasti toccava elegantemente di fioretto: da antifunambolo quale era, dotato di un gran senso armonico e sperimentale

Se il primo gigioneggiava e improvvisava con le sue dita ultrarapide e il secondo concentrava religiosamente su di sé i crismi della sinfonia “progressive”, Mr. Wright toccava elegantemente di fioretto: da anti-funambolo quale era, dotato di un gran senso armonico e sperimentale. Pronto, ogni volta, a mettersi al servizio del gruppo e a pedinare i fraseggi chitarristici di David Gilmour, che più volte lo ha voluto accanto a sé nei dischi solisti, incluso l’ultimo On The Island. Lussuosa tappezzeria? Anche, quando occorreva. Con rigore ed estrema professio-


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LA DOMANDA DEL GIORNO

No del Papa alle unioni civili. È giusto? IL PAPA DEVE FARE IL SUO MESTIERE

IL MATRIMONIO NON È IN DISCUSSIONE

A chi storce il naso sulle possibili unioni civili promosse dal centrosinistra con i Dico, e ora dal centrodestra con la propsta di legge di Brunetta e Rotondi, bisogna ricordare che il papa Benedetto XVI non ha nessuna intenzione di prevaricare gli assetti laici dello Stato, ma in quanto rappresentante del cattolicesimo e del suo popolo, ha il diritto e il dovere di esprimere posizioni ufficiali rispetto a provvedimenti che mettono in discussione u fondamenti della sacra istituzione religiosa del matrimonio finalizzato alla procreazione e quindi alla perpetuazione della vita. Nessuno soffi sul fuoco della contrapposizione di falangi armate e fondamentaliste, da una parte i laici arroccati sulle loro posizioni da mangiapreti e dall’altra i cattolici bigotti che oppongono pervicaci resistenze al progresso delle istituzioni civili. Qui si tratta semplicemente di riconoscersi o meno nel messaggio del papa e del difendere o meno i fondamenti della religione cattolica. Chi è di diverso avviso può semplicemente ignorare le parole del pontefice e fare come gli aggrada, Non n’è alcuna guerra civile, ma se si parla tanto di libertà sia concessa libertà di opinione a uno che ne ha molte da trasmettere.

Sarebbe ora di cedere spazio alle istanze di migliaia di persone che non hanno la possibilità di tutelare i propri rapporti privati dal punto di vista civile, e quindi non essendo minimamente in discussione e il valore che gli attribuiscono quelli che decidono di legarsi secondo i dettami della propria fede, sarebbe opportuno deflettere in favore di un discorso di civiltà che sappia allineare anche la religione alla modernità. Nessuno pretende che i vertici cattolici esaltino nelle piazze i valori delle unioni civili, ma che ci sia maggiore tolleranza e comprensione verso chi, per cause naturali o psicologiche o di qualunque genere, non si sente incline verso gli affetti tradizionalmente attesi dalla società civile, ma verso altri non meno alti o affettuosi. Ciò contribuirebbe a eliminare l’emarginazione di molte persone, già relegate nell’inferno della condanna morale e sociale.

Girolamo Casale Novara

LA DOMANDA DI DOMANI

Un italiano su dieci soffre d’insonnia per problemi sul lavoro. Che cosa ne pensate?

Agata Muratori Genova

STATO E CHIESA SEPARATI, PLEASE Finché non si fissano margini e paletti entro cui Stato e Chiesa abbiano piena giurisdizione, non verremo mai a capo di queste beghe. Se si accerta una volta per tutte che il perimetro civile e le istituzioni che lo descrivono e lo rappresentano debba essere fondamentalmente laico, e che la Chiesa debba curarsi invece di quanti spontaneamente ne scelgono i valori in nome di scelte personali e assolutamente spirituali, allora diventa ovvio che ciascuno viva la religione come un fatto privato e che le istanze pubbliche siano adibite a regolamentare e gestire i fenomeni e gli epifenomeni del consesso civile. Non sia imposto niente a nessuno, e resti allo Stato il compito di legiferare e assumere decisioni in virtù del potere che viene dal popolo e al popolo ritorna. La vita di uno Stato democratico si fonda sulle istanze dei cittadini, non sui dogmi e i credo confessionali.

Rispondete con una email a lettere@liberal.it

L’APPELLO DEL PAPA: IL RICAMBIO GENERAZIONALE PER UNA NUOVA STAGIONE DEL BENE COMUNE La nostra epoca necessita di una “nuova generazione di cristiani” impegnati in campo sociale e politico: sono le parole pronunciate da Papa Benedetto XVI domenica scorsa. Con grande lungimiranza il Papa ha voluto sottolineare come i grandi problemi che affliggono la società italiana, in campo sociale, economico e politico, potranno essere superati soltanto avviando una nuova stagione che riporti la persona, nella sua interezza e complessità, al centro del dibattito. Questo compito riguarda, in primo luogo, quei cattolici impegnati in campo sociale e politico che, in quanto ispirati a principi di carattere universale dovrebbero essere capaci di testimoniarli, vivendo il proprio impegno, con competenza e responsabilità, come “servizio” finalizzato all’affermazione del Bene Comune, mettendo da parte l’egoismo e l’individualismo. Il ricambio generazionale non sarà semplice. Il nostro Paese, da troppo tempo, investe sui propri giovani, e

Francesca Rispoli Crotone

A BOCCA APERTA Un pesce rimasto intrappolato in una recinzione di West Orange, in Texas, a causa dell’inondazione provocata dalla furia dell’uragano Ike

COME TI STRUMENTALIZZO I BAMBINI Ha ragione il ministro della Pubblica istruzione Mariastella Gelmini. È uno spettacolo veramente indegno inaugurare l’anno scolastico con maestri che aizzano bambini piccoli e ignari di complicati meccanismi sindacali e burocratici contro il governo. Proprio come succede nel diritto di privacy, dovrebbe essere vietato la partecipazione di bimbi così piccoli a manifestazioni di ogni genere. Il dissenso e la protesta sono un sacrosanto diritto dei lavoratori che non va trasformato però in uno squallido processo di manipolazione di menti che si affacciano alla vita e che faranno le loro scelte politiche professionali e ideologiche sooltanto una volta giunti a maturità.

dai circoli liberal

quindi sul proprio futuro, molto meno di quanto facciano, ad esempio, i nostri principali partners europei. E la classe dirigente italiana, a tutti i livelli, è più vecchia della media europea. Proprio per questo la nostra società ha bisogno di recuperare il tempo perduto, e di preparare un profondo ricambio della propria classe dirigente, ripartendo dall’educazione e dalla formazione dei più giovani e favorendo l’assunzione di responsabilità sempre maggiori da parte dei più meritevoli tra questi. Questo dovrebbe accadere nelle università, nel mondo del lavoro, nel mondo dell’impresa, e anche nelle istituzioni e quindi nel mondo politico. Bisognerebbe, forse, ripartire dall’importante esperienza dei primi anni della Repubblica quando Azione Cattolica, Fuci, movimento giovanile della Democrazia Cristiana, diventarono il più importante laboratorio per la formazione di una classe dirigente che tanto seppe dare al Paese. Oggi, purtroppo, i partiti politici, che vanno configurandosi sempre più come cartelli elettorali privi di momen-

I promotori della protesta pensino piuttosto a informarsi prima di protestare, in quanto il ministero ha annunciato che comunque il tempo pieno non verrà toccato. Rispetto ai tagli annunciati di organico protesti solo chi di dovere nel pieno dei suoi diritti, ma mischiare alla battaglia per il posto di lavoro, tematiche del tutto estranee come il ritorno del grembiule e del voto in condotta mi pare spinga il dibattito verso la malafede e le prevenzione ideologica a tutti i costi. La sinistra dovrebbe essere ben lieta del grembiule, visto che ristabilisce l’ugugaglianza a partire dal vestiario. E il voto in condotta non può che responsabilizzare noi genitori e i nostri figli.

Anna Grandoni Foggia

ti effettivi di partecipazione democratica, non sembrano essere in grado di assolvere a questo compito. Si potrebbe, allora, investire maggiormente sul vasto mondo dell’associazionismo cattolico, delle organizzazioni del terzo settore, delle fondazioni culturali, realtà che vanno sempre più consolidandosi, e che partendo dal basso possono riuscire nell’importante compito di riavvicinare all’impegno culturale, sociale e civile, quei tanti giovani cattolici che sentono l’esigenza di impegnarsi per gli altri. Mario Angiolillo LIBERAL GIOVANI

ATTIVAZIONI Il coordinamento regionale della Campania ha attivato un numero verde per aderire ai circoli liberal del territorio 800.91.05.29


opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog Ti prendo la mano e la copro di baci Ora che tutti dormono, e che di fuori è bujo, e che non si sente né un grido né un canto, ora se tu sapessi come ti vedo bene qui nel fondo del mio cuore co’l tuo viso bianco e i grandi occhi neri pieni di luce e di pensiero! Tu che fai? Sai tu ch’io t’amo? Forse dormi? Sogni? Mia, mia, mia Elda! Provo una gioia immensa nel dirti così, e insieme ho paura. Tu chi sei? Dimmelo chi sei. Se tu fossi una maga? Se tu mi uccidessi con un raggio del tuo sorriso? Ho fantasticato tanto in questi giorni; ho sofferto tanto, che mi sento ora spossato; non faccio altro che sognare e guardarti, guardarti lungamente come se ti volessi affascinare. Se tu pensassi a me in questo momento! Se i nostri pensieri e i nostri desideri s’incontrassero! Amami Elda, amami con tutte le forze dell’anima tua; io ti sono ai piedi soggiogato e ti prendo una mano e te la copro di baci. Addio, mia, mia, mia! Gabriele D ’Annunzio a Elda Zucconi

DON SCIORTINO TORNA DAL LETARGO Don Antonio Sciortino, direttore di Famiglia Cristiana, parlando del Ministro Mariastella Gelmini, scrive: “forse il ministro fai-da-te si è consultata solo con le competenze di casa sua, la madre e la sorella maestre”. E le sembra poco, don Sciortino? Lei che avrebbe potuto sentire invece voci ”più in alto”, evidentemente ha perso i contatti di riferimento. Come sacerdote, sentirla parlare di “dibattiti o confronti con il mondo della scuola, con gli esperti, con i sindacati”, fa un certo effetto. Dopo un torpore della rivista durato anni, di colpo questo risveglio monocorde, senza consultarsi con i fedeli, con quei cattolici che sempre meno approvano la nuova linea editoriale. Chissà perché fa tutto ciò, per aumentare la tiratura, che ama le polemiche? Forse è vero, non c’entra nulla Famiglia Cristiana con Cristianità!

Leopoldo Chiappini Guerrieri Roseto degli Abruzzi (Te)

BIG BANG GLOBALE Mentre l’amministrazione Bush “sta cercando di ridurre le turbolenze dei mercati e di minimizzare l’impatto di questi sviluppi sul-

e di cronach di Ferdinando Adornato

Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Gennaro Malgieri, Paolo Messa Ufficio centrale Andrea Mancia (vicedirettore) Franco Insardà (caporedattore) Luisa Arezzo Gloria Piccioni Stefano Zaccagnini (grafica)

ACCADDE OGGI

17 settembre 1908 - Il tenente Thomas Selfridge si schianta con un aeroplano dei fratelli Wright e diventa la prima vittima del volo aereo 1939 - L’Unione Sovietica attacca la Polonia 1944 - Truppe britanniche vengono paracadutate su Arnhem, come parte dell’Operazione Market Garden 1974 - Ingresso all’Onu del Bangladesh 1976 - Lo Space shuttle viene mostrato al pubblico 1978 - Accordi di pace di Camp David tra Israele ed Egitto 1984 - Brian Mulroney presta giuramento come Primo Ministro del Canada 1988 - Cerimonia di apertura dei Giochi della XXIV Olimpiade a Seul, Corea del Sud 1991 - Corea del Nord e Corea del Sud entrano nelle Nazioni Unite 2001 - Il Dow Jones Industrial Average riapre per la prima volta dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001

Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Antonella Giuli, Francesco Lo Dico, Errico Novi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Susanna Turco Inserti & Supplementi NORDSUD (Francesco Pacifico) OCCIDENTE (Luisa Arezzo e Enrico Singer) SOCRATE (Gabriella Mecucci) CARTE (Andrea Mancia) ILCREATO (Gabriella Mecucci) MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei, Giancristiano Desiderio,

l’intera economia” Mosca, Pechino, Londra, Francoforte e Tokyo non riescono a minimizzare il panico nelle proprie Borse. Ora che Bank of America capitalizza centosettemiliardi di dollari soltanto la nascita di analoghe Bank of Europe e Bank of Asia con una capitalizzazione di un centinaio di dollari ognuna darà a queste capitali quella capacità finanziaria stabilizzatrice dei mercati e dell’economia oggi cautamente espressa da una Washington interventista in solitaria.

Matteo Maria Martinoli Milano

LE OLIMPIADI DEL PD Ci siamo appena lasciati alle spalle le Olimpiadi ed ecco che salta fuori un altro evento memorabile e globale: i nostri Veltroni, Rutelli, Bettini e Lapo Pistelli che, a Denver, ad assistere all’apoteosi del divo Obama, c’erano, e non li ha filati nessuno, si sono dati al lancio (di notizie false sulla loro calorosa accoglienza in terra americana), alla rincorsa (di personaggi minori e foto ricordo con gli inservienti e i fund raisers dei Democratici) e al salto (degli ostacoli linguistici). Il tutto per negare l’evidente. Un quadro non proprio entusiasmante. Quando si dice, tanta fatica per niente.

Pierpaolo Vezzani Correggio (Re)

PUNTURE Berlusconi: “Ho fatto un patto con Confalonieri: chi capisce che l’altro si sta rincretinendo deve dirlo prima, a meno che non ci rincretiniamo insieme”. Se lo facesse con Veltroni non funzionerebbe

Giancristiano Desiderio

L’infelicità degli uomini dipende da una cosa sola: il non sapersene stare tranquilli in una stanza BLAISE PASCAL

Alex Di Gregorio, Gianfranco De Turris, Luca Doninelli, Rossella Fabiani, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Pier Mario Fasanotti, Aldo Forbice, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Alberto Indelicato, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Andrea Margelletti, Adriano Mazzoletti, Angelo Mellone, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo, Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Claudio Risé, Eugenia Roccella, Carlo Secchi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania

il meglio di QUER PASTICCIACCIO BRUTTO DI VIA DELLA MAGLIANA Lehman Brothers, banca d’affari privata americana, attiva da più di centocinquant’anni, è prossima al fallimento, perché non vi sono più le condizioni per poter continuare a svolgere la propria attività economica. Quando un’impresa non riesce a far fronte ai propri debiti, fallisce. I dipendenti di Lehman hanno impacchettato la loro roba e se ne sono andati. Se vantano ancora crediti nei confronti del loro datore di lavoro si insinueranno al passivo. Oltre a fare questo, cercheranno un altro impiego. Alitalia, compagnia di trasporto aereo pubblica italiana, attiva da più di sessant’anni, fallirà se alcune associazioni sindacali autonome non accettano in questi giorni l’accordo proposto dalla Compagnia Aerea Italiana (CAI). E’ solo che in questo caso le condizioni per andare o non andare avanti le decidono alcuni lavoratori. Se la CAI accetta di mantenere i livelli salariali acquisiti, la nuova Alitalia potrà decollare; altrimenti il baratro. Com’è possibile tutto questo? La mia modesta risposta è questa: perché l’affare Alitalia è un pasticciaccio brutto. Per capirlo basta guardare alle vicende americane. Lehman Brothers è fallita perché né il Governo, né altra banca privata l’ha acquisita. E la scelta del Governo di non intervenire è un’altra scelta che, giusta o sbagliata (secondo me giusta), la gente capisce. Fannie Mae e Freddie Mac non sono saltate in aria perché il Governo Federale USA le ha acquisite, nazionalizzandole. Questa è un’operazione che, giusta o sbagliata, la gente capisce. In quest’ultimo

caso, poi, il contribuente americano ha pagato il conto, ma almeno è divenuto “proprietario”, anche se non sua sponte, dei due colossi americani del mercato dei mutui. Nel caso Alitalia, invece, se la trattativa andrà a buon fine, il contribuente italiano si sarà accollato i debiti di Alitalia, la quale però sarà acquisita da imprenditori privati al netto dei debiti, debiti contratti soprattutto per creare posti di lavoro inutili, i quali per di più, continueranno ad essere mantenuti sempre a spese del contribuente. Così, alla fine, il contribuente italiano non avrà nemmeno l’orgoglio di essere “proprietario” di qualcosa, bensì soltanto la consapevolezza di avere aiutato sedici prodi cavalieri (molti dei quali hanno fatto grassi affari sotto i governi sinistri) a prendersi la beneamata compagnia di bandiera ripulita dei debiti. Qualcuno dirà: «ma nelle vene di Roberto Colaninno scorre sangue italiano, in quello di Spinetta no». Sì, ma quest’ultimo i debiti di Alitalia se li sarebbe accollati, e la gente avrebbe capito. Berlusconi ha ragione nel denunciare che se tutto va a puttane la colpa è dei sindacati. Ma dimentica che i sindacati possono fare la voce grossa perché sguazzano in un sistema che Berlusconi ha deciso di perpetuare, scegliendo di non accollare i debiti di Alitalia al futuro acquirente (e qui sta il sovvertimento di una regola antica) e scegliendo di accollare allo Stato (quindi al contribuente) il costo di posti di lavoro inutili. In pasticciacci brutti come questo, la gente capisce solo quello che il più forte vuol farle capire.

Gianrocco Ambrosiano Riflessioni di un conservatore

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PAGINAVENTIQUATTRO I manifesti taroccati della Palin invadono la rete

A ciascuno la sua

SARAH di Roselina Salemi arah Palin in versione Terminator, con i fili che le escono fuori dal busto. In versione pitbull, con pericolosi dentoni e una bistecca in mano. Appesa alla cornice di uno strapiombo con il pugnale allacciato alla coscia, stile Lara Croft. Cowboy sexy, superwoman che mostra la mitica “S” aprendo la camicia bianca, con il tricorno e un boccale di birra mentre brinda al Palin pub, sulla copertina (finta) di Time in abito non proprio politicamente corretto. In versione Shining (che diventa Shunning) con un coltellaccio, seduta su una cattedra con reggicalze (non autoreggente) a vista, e poi trasformata da fotomontaggi irriverenti in Catwoman, Christina Aguilera e Pretty Woman. Tutto su Freakingnews.com. Certo che in America si stanno divertendo. E, cosa curiosa, si parla tanto di donne.

S

incinta (lei è contro tutto, l’aborto, la contraccezione, l’educazione sessuale completa) un bambino down, una famiglia non ricca, ma molto unita. Insomma, questa è un’operazione militare, marketing è guerra. Quelli che la denigrano non si rendono conto di quanto tutto ciò giochi a suo favore. Era una sconosciuta, governatore di uno stato dal peso politico vicino allo zero, importante soltanto per il petrolio, e adesso è una star. Popolare, diretta, eccessiva. Pronta a prendere il posto dell’anziano McCain se lui dovesse vincere, malauguratamente ammalarsi e passare ai pascoli del cielo (siamo sicuri che sta facendo gli scongiuri). Si può anche rispolverare l’antropologia criminale, con i canoni lombrosiani della fisiognomica per analizzare quel labbro che sporge e hanno in comune signore poco raccomandabili, ma siamo al ridicolo. Potrebbe essere collagene e basta, perché Sarah ha le sue vanità, è stata reginetta di bellezza e vuole reggere un primo piano. Poi, basta guardarla in un filmato per capire che ha il cuore d’acciaio.

In versione “Terminator” o “Lara Croft’, in stile cowboy sexy, con un costume da Superwoman: i fotomontaggi con la candidata repubblicana alla vicepresidenza

Dal sito Freakingnews.com, ecco alcune delle centinaia di elaborazioni grafiche che impazzano sui siti Internet (non solo americani) e che hanno come protagonista il governatore dell’Alaska, Sarah Palin

Prima Hillary Clinton, poi Michelle Obama, adesso Sarah Palin, 44 anni, da poco più di due governatore dell’Alaska, coniglio mannaro tirato fuori dal cilindro di John McCain, la candidata dei repubblicani alla vicepresidenza che tiene banco su tutti i giornali e fa uscire dal consueto garbo persino il New York Times. Come in ogni gioco duro che si rispetti, stanno venendo fuori i dettagli, amici, amanti, contravvenzioni, mezze bugie. E siamo appena all’inizio. Sarah ha consegnato budget stratosferici a cinque sue ex compagne di scuola. Ha interferito, fatto pressioni, licenziato, guidato ubriaca (ma aveva 22 anni). Non conosce le mezze misure, ignora il buonismo, veste boh, si definisce un «pitbull con il rossetto», una “hockey mom”, e non scherza. A dieci anni ha fatto fuori il suo primo coniglio, spara alle foche, e attenzione a starle simpatici. Senza giri di parole ha dichiarato che saprebbe come acchiappare Osama Bin Laden e che l’America potrebbe entrare in guerra con la Russia. Magari anche con i marziani, se non si limitassero da apparire sotto forma di Ufo. Un’osservazione giusta l’ha fatta, fuori onda, dopo un’intervista alla Nbc, l’opinionista del Wall Street Journal Peggy Noonan. Lei pensa che Sarah sia stata scelta non perché capace, ma perché ha una storia convincente: uno dei cinque figli in Iraq, un’altra, la diciottenne Bristol,

Può non piacere, ma non piaceva neanche Margaret Thatcher. Spiace dirlo ai democratici, ma questa poco elegante cacciatrice di alci e giocatrice di hockey, che si entusiasma per le guerre, le centrali nucleari e gli oleodotti, decisamente poco adatta a finire su una cover di Vogue , poco amata anche dai repubblicani (sarà invidia?) ha delle chance. L’ultimo sondaggio Gallup dice che gli uomini, soprattutto, la trovano convincente, e si capisce, perché parla il loro linguaggio (orgoglio, giustizia e botte da orbi), mentre le mamme sono un tantino perplesse. McCain la considerava una pedina importante da muovere per conquistare le donne e alla fine, (buffo, no?) scoprirà di essere lui la pedina nel gioco di Sarah. Effetti collaterali del femminismo e delle pari opportunità…


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