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QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA • DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK CONSIGLIO DI DIREZIONE: GIULIANO CAZZOLA, GENNARO MALGIERI, PAOLO MESSA

Il filosofo Giovanni Reale rievoca Giovanni Paolo II trent’anni dopo

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di e h c a n cro

La grandezza e l’umiltà del “mio amico” Karol Wojtyla

di Ferdinando Adornato

LA VERGOGNA DELLO STALLO ISTITUZIONALE

colloquio con Giovanni Reale di Riccardo Paradisi

Consulta e Vigilanza Rai: salta anche l’ennesima ipotesi di accordo. Nessuno sceglie il buon senso, tutti fanno i capricci e giocano ai veti incrociati. il Parlamento L’infantilismo della politica sta delegittimando

Giovanni Reale, il più eminente studioso europeo di filosofia antica, è capitato un giorno di ricevere una telefonata che gli ha cambiato la vita. A chiamarlo nella casa di Luino il segretario personale di Giovanni Paolo II, Stanislaw Dziwisz. «Professore lei ha curato e ripubblicato recentemente la Metafisica di Aristotele. Ecco, il Pontefice le chiede la grande cortesia di averne in omaggio una copia personale per lui». «Io rimasi sbalordito – racconta Reale – ricevere una telefonata dal Papa… però mi contenni e risposi che per la verità avevo già provveduto a inviare una copia della Metafisica a Sua Santità. «È vero – replicò Dziwisz – però sa, le copie mandate sono state destinate alla biblioteca vaticana. Il Papa invece ci terrebbe molto ad averne una, personale, da tenere sul comodino». s eg u e a pa gi n a 1 2

A

Il libero mercato corrompe l’etica? Continua l’inchiesta di liberal

Come i bambini alle pagine 2 e 3

Il premier contro i fondi sovrani

Ieri notte l’ultimo dibattito televisivo

Mercati a picco. Berlusconi: colpa delle «opa ostili»

Numeri e storia, le ultime speranze di John McCain

di Alessandro D’Amato

di Andrea Mancia

È durata poco la riscossa delle Borse. Ieri hanno perso tra il 4 e il 6%. Berlusconi, intanto, denuncia l’intervento ostile sul nostro mercato di fondi sovrani dei paesi produttori di petrolio.

È ancora possibile, nei 20 giorni che ci separano dalle elezioni presidenziali americane, ipotizzare una rimonta di John McCain ai danni di Barack Obama? Oppure i repubblicani devono “arrendersi”?

I leader di partito disertano le sue trasmissioni. Ma gli resta una consolazione: la campionessa di scherma, Margherita Grambassi l’ha scelto. Per Annozero ha deciso di lasciare l’Arma dei Carabinieri.

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GIOVEDÌ 16 OTTOBRE 2008 • EURO 1,00 (10,00

CON I QUADERNI)

I politici, anche quelli del Pd, disertano Annozero

Piazza (vuota) Michele Santoro Un anchorman in difficoltà di Roselina Salemi

• ANNO XIII •

NUMERO

198 •

WWW.LIBERAL.IT

Dopo la crisi ci vogliono più Valori in Borsa di Michael Walzer a competizione che caratterizza il mercato mette le persone sotto pressione affinché rompano le regole generali di una condotta rispettabile e trovino poi buone ragioni per farlo. È questa razionalizzazione – l’infinita illusione necessaria ad arrivare al risultato finale e sentirsi ancora bene dopo – che erode il carattere morale, ma questo non è in se stesso un argomento contro il libero mercato. Si pensi ai modi in cui le politiche democratiche producono lo stesso effetto. La competizione per il potere mette le persone sotto una forte pressione, spingendole a gridare bugie agli incontri pubblici, fare promesse che non si possono mantenere.

L

se gu e a p ag in a 14

• CHIUSO

IN REDAZIONE ALLE ORE

19.30


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prima pagina

Salta l’ennesima ipotesi di accordo per eleggere Pecorella alla Consulta e Orlando alla Vigilanza Rai

La guerra dei bottoni di Errico Novi

Ora bloccate i lavori del Parlamento R

enato Schifani e Gianfranco Fini l’hanno detto con chiarezza: non si può andare avanti così. Giusto. «Si voti a oltranza», hanno aggiunto; e anche questo è giusto. Ma non basta, evidentemente. Ora i presidenti del Senato e della Camera devono costringere a un accordo gli attori capricciosi di questa brutta recita che sta imbrigliando il Parlamento. Ma per arrivare a ciò la strada è una sola. Come si è visto, non serve votare a oltranza, neanche se si volta tutti i giorni. Bisogna creare un vero caso istituzionale che costringa le parti in causa a una presa di posizione obiettiva e stringente di fronte all’opinione pubblica italiana. Questo si può ottenere in un solo modo: bisogna che il Parlamento sospenda le sue attività ordinarie fino a che si sia arrivati alla nomina del giudice vacante della Corte Costituzionale e del presidente della Commissione di Vigilanza sulla Rai. Lo si deve fare per una questione di rispetto nei confronti delle Istituzioni e dei cittadini.

ROMA. Ripensare al discorso d’insediamento di Berlusconi, ai giorni della “cortesia istituzionale” con Veltroni, fa sorridere. Nel giro di pochi mesi la legislatura è rientrata nei canoni teatrali di sempre. In queste ultime ore si è penosamente scivolati nella farsa. Manca poco alla tragicommedia: perché se da una parte s’impone il registro patetico di un Pd

sempre più imprigionato dalle proprie contraddizioni, dall’altra permane la scenda degradante di un Parlamento che funziona peggio di un asilo. Con il presidente della Repubblica che fatica a controllare sentimenti di rabbia più che giustificati.

Sulle due partite in corso,Vigilanza Rai ed elezione del giudice

mancante alla Corte costituzionale, c’è dunque l’ennesima fumata nera virtuale. Le convocazioni a oltranza cominciano oggi, la maggioranza spera nel gran colpo, sospeso alla roulette dei numeri (anche i Radicali voteranno Pecorella), ma l’ennesimo fallimento negoziale è stato già registrato ieri. Nel Pd si sono levate molte voci di dissenso sul-

Continua l’infantile gioco tra Pdl e Pd: la maggioranza infierisce in modo cinico su un Veltroni sempre più imprigionato da Di Pietro. Al via le votazioni a oltranza, ma si procede al buio nel totale disprezzo della legalità costituzionale

ROMA. Buio pesto sull’accop-

Il deputato radicale prova a spiazzare tutti. «Ma lo spettacolo ormai è desolante»

piata Rai-Consulta. Una vicenda, va riconosciuto, che è giunta all’attenzione dell’opinione pubblica e al centro del dibattito politico solo grazie all’iniziativa dei Radicali, i cui parlamentari ancora ieri occupavano il corridoio davanti all’aula della commissione di Vigilanza sulla Rai. E’ proprio da palazzo San Macuto che Marco Beltrandi, membro della commissione e secondo alcuni tra i papabili alla presidenza, spiega a liberal il suo punto di vista sulla vicenda: «Abbiamo detto che come Radicali siamo disponibili a votare sia Orlando che Pecorella - spiega - oggi ancora di più dopo gli ostacoli assurdi che vengono invocati. Non ci possono essere discriminazioni nei confronti di Italia dei Valori, ma non ci

Beltrandi: se mi votano non mi dimetto colloquio con Marco Beltrandi di Marco Palombi possono essere nemmeno su Pecorella, che ha come unica pecca una richiesta di rinvio a giudizio per una vicenda iniziata nel 2002 (è accusato di favoreggiamento in un’inchiesta scaturita dal processo per la strage di piazza della Loggia, ndr)». Si riferisce all’inopportunità invocata dal Pd? Certo, non è una Procura che può decidere chi si candida alla

Corte costituzionale, anche perché sulle capacità professionali di Pecorella nessuno ha niente da dire. Se poi ci si appella al suo visibile conflitto di interessi, quello di essere stato l’avvocato di Berlusconi, allora bisognerà parlare pure dei conflitti di interesse invisibili che legano gli altri giudici costituzionali ai partiti. Quello che sta dando la politica non è un bello

spettacolo. Una vicenda desolante. Se analizziamo l’evolversi della situazione si deve dire che il Pdl ha avuto il torto storico di legare l’elezione del presidente della Vigilanza al riassetto dei vertici Rai e poi anche al ristabilimento del plenum alla Corte Costituzionale. Orlando non è mai stato la vera ragione dell’impasse, tanto è vero che un paio di volte il centrodestra stava per votarlo. Questo è il torto del Pdl, e il Pd? Il Pd ha scelto di consegnarsi legato mani e piedi a Italia dei valori. La rigidità sulla candi-

l’accordo che indicava Leoluca Orlando al vertice della commissione di Vigilanza e Gaetano Pecorella alla Consulta. Perplessità comprensibili, che hanno prima attraversato la componente rutelliana, con Paolo Gentiloni che ha invocato una riflessione sull’opportunità di integrare l’Alta Corte con un parlamentare gravato da un’accusa di favoreggiamento. I dubbi sono dunque arrivati al segretario e al coordinamento del partito, che nel pomeriggio ha ratificato il no sull’ex avvocato del premier. Tutto già scritto. Walter si trova schiacciato tra il pressing dell’Italia dei valori, che non perdonerebbe passi falsi in tema di moralismo giustizialista, e il disonore per l’interminabile telenovela. Manca il coraggio di uscire dalla trappola e giocare in campo aperto. Manca anche perché in gioco ci sono pure le Regionali abruzzesi. Il Pd coltiva ancora qualche speranza di ammorbidire le pretese dipietriste sul veto ai candidati inquisiti. Non arrivasse la clemenza dell’ex pm, Veltroni e Marini si esporrebbero al rischio di classificarsi terzi, al voto del 30 novembre, dietro il candidato governatore dell’Idv, Carlo Costantini.

Dall’altra parte c’è un Pdl sempre più sadico. Fabrizio Cicchitto, come altri, sollecita lo «spirito costruttivo del maggior partito d’opposizione». Conosce bene le datura di Orlando, che pure io continuerò a votare, non ha molto senso, forse sarebbe stata più utile una maggiore flessibilità. La verità è che gli unici che ci guadagnano da questa situazione sono proprio i dipietristi: o avranno la Vigilanza o potranno fare i martiri della libertà d’informazione. Non è tenero coi suoi alleati democratici. Tre settimane fa l’accordo era fatto, poi il Pd ha detto che però prima bisognava fare la riforma della Gasparri e della governance della Rai. E ancora: martedì Veltroni ha chiesto un nome sulla Consulta in cambio del sì a Orlando e ieri ha di nuovo bloccato tutto. Se per i primi mesi la responsabilità dello stallo è stata del Pdl, nell’ultimo mese le colpe le ha quasi tutte il Pd. Lei pensa ci siano appetiti


prima pagina angustie della controparte, e infierisce in un gioco di sottintesi da far impallidire le spy story hollywoodiane. Sconcerta che le due forze più consistenti del Parlamento, e i loro leader, approfittino della contesa per rinfacciarsi, o schivare, reciproci colpi di sciabola. Fa impressione che una legislatura battezzata sotto il segno del dialogo e del riformismo costituente si sia trasformata in una rappresentazione infantile. A dispetto dei richiami arrivati dal Colle e della situazione d’incertezza in cui annaspa la tv di Stato. È questa la cifra espressa da leadership mediatiche, oppresse dall’ansia del consenso, come se la campagna elettorale non debba finire mai. Con una notevole differenza: Berlusconi accumula vantaggio (ieri l’Ipr lo dava al 62 per cento) e può vantare più di un obiettivo concreto raggiunto, mentre Veltroni si aggroviglia tra i propri dubbi.

A muoversi con rispetto delle istituzioni sono la Lega (che non pone veti su Orlando), l’Udc (che non smette mai di sollecitare un’intesa, lo ha fatto anche ieri

con Michele Vietti) e i Radicali, che si battono con tenacia e tengono occupato Palazzo San Macuto, dove oggi andrà in scena l’ennesimo, quasi ineluttabile nulla di fatto. Viene il sospetto che in una politica ridotta ancora una volta a teatro di quart’ordine questa lealtà istituzionali non paghi. Quando tutto è farsa, dispetto, inganno puerile, chi cerca di non confondere le proprie parole con gli strepiti altrui rischia di restare inascoltato. Prevale l’inesausto sadismo di chi, come il portavoce di Forza Italia Daniele Capezzone, si fa beffe di Veltroni, «segretario ombra del Partito democratico costretto ad obbedire a quello vero, Antonio Di Pietro». Impitoso. Nell’infinito vortice delle dissimulazioni date in pasto ai tg, l’uomo di Mani pulite è stato sul punto di “ritirare”la candidatura Orlando, nel caso in cui oggi fosse andata a buon fine la convergenza su Pecorella. Forse farebbe bene Veltroni a liberarsi delle minacce, abruzzesi e populiste, dell’ormai ex alleato, e votare spontaneamente un presidente diverso per la Vigilanza. Ma non tira aria di scatti di maturità.

Nel fotomontaggio della pagina a fianco, da sinistra: Silvio Berlusconi, Antonio Di Pietro e Walter Veltroni. Nella foto piccola, Marco Beltrandi. Qui a sinistra, Leoluca Orlando. Sotto, Gaetano Pecorella. In basso a destra, Paolo Pombeni

personali nel Pd che impediscono di chiudere? Noi stiamo facendo questa iniziativa non violenta perché si ritorni ad un minimo di rispetto della legalità costituzionale, non voglio immergermi nella melma delle questioni o delle ambizioni personali. Lei sui giornali viene indicato come il candidato “preferito”dal Pdl. La mia candidatura non è nata sui giornali, ma da Alleanza nazionale e da settori di Forza Italia che, evidentemente, si erano convinti che questa fosse la soluzione migliore. Non si è ancora capito se lei si dimetterà nel caso la maggioranza la eleggesse presidente. A parte che nessuno me lo aveva ancora chiesto, no che

non mi dimetterei. Sarebbe abbastanza strano visto che ho occupato la Vigilanza la prima volta il 23 luglio per chiedere l’elezione del presidente… Insomma se la maggioranza mi votasse, cosa che ritengo improbabilissima, e io dovessi dimettermi chiunque sarebbe autorizzato a dirmi ‘scusa, proprio tu…’. Questa considerazione, secondo me, bilancia il fatto che in quel caso sarei eletto coi voti del centrodestra. Ultima domanda. Come andrà a finire? Giuro, non lo capisco più. Sono circondato da persone di altri partiti che, sapendo che mi occupo di questa vicenda disgustosa, mi dicono: tranquillo, stiamo per chiudere. L’ho sentito tante volte in questi mesi che non ne posso più.

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Per Paolo Pombeni un accordo politico è urgente e necessario

«Basta coi pasdaran dei veti e dei baratti» colloquio con Paolo Pombeni di Francesco Capozza

ROMA. Tra le sue tante attività accademiche e di ricercatore, il professor Paolo Pombeni tiene particolarmente a una: l’insegnamento di Storia dei sistemi politici di cui è infatti ordinario presso l’Università di Bologna. In questa veste liberal ha spesso il piacere di intervistarlo e lui, come sempre, si concede a una riflessione con grande disponibilità. «Quello che sta accadendo per l’elezione del presidente della Vigilanza Rai e l’elezione del giudice della Consulta è assurdo, manca un minimo di coscienza da entrambe le parti» dice, seccamente, il professore bolognese. Professore, cosa dovrebbero fare, secondo lei, maggioranza e opposizione per chiudere la partita Vigilanza-Consulta? Intendo dire, quali passi politici? Secondo me è necessario un accordo politico che faccia comunque comprendere alla maggioranza che esistono delle regole, talvolta non scritte, è vero, da rispettare; e a tutti che bisognerebbe mettere fine alla logica dei veti incrociati. Eleggere a maggioranza relativa può essere una soluzione? Per superare l’empasse sì, ma per avere un risultato politico concreto non credo sia sufficiente, anzi. Se c’è una consuetudine parlamentare che vede il presidente di un organo di garanzia essere eletto da un’ampia maggioranza, vuol dire che c’è bisogno del sostegno incondizionato di tutte, o quasi, le componenti politiche chiamate ad esprimere una preferenza. E’ capitato sempre così, è auspicabile che si continui a seguire la prassi. Per eleganza istituzionale,

quanto meno. Sono i nomi in ballo, però, che non piacciono all’una e all’altra parte... Beh, se mi passa la battuta, si è scelto di puntare, in entrambi i casi, su dei pasdaran e questo rende ancor più difficile l’accordo tra le parti. Si cambieranno cavalli, secondo lei? Questo non lo so, ma non è inverosimile. Nessuno ha fatto cenno al richiamo del Capo dello Stato che auspicava non si arrivasse a uno “scambio” tra maggioranza e opposizione. Invece, sembra che si stia andando proprio in quella direzione. Io concordo pienamente con il presidente Napoletano. E’ deprimente vedere questi “baratti” su delle istituzioni. Molti nel centrosinistra dicono che Pecorella è improponibile per la Consulta. Quando parlavo di pasdaran intendevo fare cenno proprio a questo. Intendiamo, l’onorevole Pecorella ha un profilo personale indiscutibile, quindi non può ritenersi un reprobo. Tuttavia ha sempre indirizzato la sua vita verso una politica attiva in uno schieramento ben preciso e pertanto è lecito ritenere che non sia la persona più adeguata a ricoprire l’incarico di giudice alla Consulta. Secondo lei, se passassero Orlando e Pecorella,Veltroni non avrebbe collezionato un’ennesima sconfitta personale? Non è un bilancio politico irragionevole quello che lei mi propone, tuttavia credo che rimanere sulle barricate vittima del politichese sarebbe una sconfitta politica certamente più grande.

La scelta dei candidati non ha aiutato: due nomi che rendono ancor più difficile l’intesa tra le parti


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usa 2008

I repubblicani cominciano a non credere più alla vittoria di McCain Uno scenario catastrofista dipinto dal caporedattore del Weekly Standard

Obama,il nostro incubo E se, oltre a conquistare la Casa Bianca, i democratici dominassero anche il Congresso? di Fred Barnes ohn McCain insegue Barack Obama nei sondaggi e per ora non si vedono segnali di un possibile sorpasso. Al Senato i democratici sono in testa in otto collegi, e vicini a conquistare altre tre. Undici seggi che normalmente erano repubblicani. Alla Camera dei rappresentanti, il Gop finora riteneva di poter perdere solo con cinque o dieci seggi di scarto. Ora le prospettive sembrano peggiori.

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Grazie soprattutto alla crisi finanziaria, a tre settimane dalle elezioni i repubblicani sembrano attraversare un periodo di particolare difficoltà. Questo significa che, quello che finora era visto come lo scenario peggiore e più improbabile, ha buone possibilità di realizzarsi. Un democratico alla Casa Bianca, un Senato democratico con una maggioranza a prova di filibustering (più di 60 seggi, ndr), una Camera dei rappresentanti altrettanto blindata. Se queste previsioni si realizzeranno, Washington potrebbe diventare di nuovo, per la prima volta dopo decenni, un’avamposto della sinistra. E la prospettiva dell’affermazione di un’agenda liberal non avrebbe più ostacoli. In questo caso, addio ai sogni di

politiche bipartisan. Tanto per cominciare arriverebbe la “card check“. Questo permetterebbe alle Unions di sindacalizzare il settore privato senza un mandato certificato da elezioni a scrutinio segreto. È abbastanza semplice far firmare una tessera a dei lavoratori dicendo loro che serve al sindacato, è difficile che questi votino senza la pressione degli attivisti.

La “card check” è l’ultima speranza dei sindacati di poter ottenere dai propri membri quote di tesseramento ancora maggiori. Le Unions sono tutto tranne che popolari e lo stesso si può dire per la “card check. Lo scorso anno è passata alla Camera per venire poi bloccata al Senato dall’ostruzionismo repubblicano. Nel 2009, con Washington sotto controllo democratico, il provvedimento non avrebbe nessuna difficoltà a superare gli scogli parlamentari, il presidente Obama la controfirmerebbe sicuramente. Finora, né Obama né i democratici del Congresso hanno osato sconfessare i sindacati.

sulle materie giuslavoriste che proteggono i lavoratori da qualsiasi obbligo a iscriversi ai sindacati. Anche lo schema democratico per far fuori le talk radio conservatrici - la cosiddetta “fairness doctrine” - avrebbe ottime possibilità di diventare legge. In base a questa norma le emittenti dovrebbero offrire, gratuitamente, a chi intende contestare la linea politica-editoriale della radio, lo stesso tempo utilizzato dai conduttori. Per poter continuare ad essere competitive, diverse emittenti dovrebbero così eliminare molte discussioni condotte con rappresentanti conservatori cancellando uno dei mezzi con

Grazie soprattutto alla crisi finanziaria, a tre settimane dal giorno delle elezioni l’ipotesi più disastrosa per la destra ha adesso più di una possibilità per realizzarsi

I liberal non potrebbero poi non dirsi a favore di un altro obiettivo che i sindacati perseguono da tempo: Il paragrafo 14b della legge Taft-Hartley che permette agli Stati di legiferare

cui le idee conservatrici vengono diffuse - oppure abbandonare tre ore di programmi liberi. Obama ha sempre affermato di opporsi a questa “par condicio”. Oserebbe mettere il veto alla legge? Difficile crederlo.

I posti vacanti alla Corte Suprema verrebbero colmati da personalità liberal. Su questo non devono esserci dubbi, così come sulla conferma delle nomine. Da senatore, il probabile futuro presidente Usa ha votato contro John Roberts e Sam Alito. L’accordo di libero scambio diventerebbe una chimera, data la costante opposizione democratica e sindacale al trattato. Che dire del piano sanitario di Obama? Lui lo descrive come qualcosa che deve essere gestito dal governo, co-

me nel sistema canadese. Visto la componente riservata al contributo dei singoli cittadini, le chance che la legge passi sarebbero abbastanza alte.

Una cattiva congiuntura economica potrebbe far sì che le proposte del presidente e dei suoi alleati al Congresso, il pacchetto di incrementi fiscali e l’iniziativa di cap and trade per la diminuzione dei gas serra, potrebbero essere modificate. Obama si è detto favorevole all’aumento delle tasse sugli utili da capitale, dividendi e profitti dei redditi più alti, oltre ad una maggiore fiscalità verso il costo del lavoro. Ma l’impennata delle tasse deprimerebbe ulteriormente un economia debole che ha invece bisogno di stimoli. È possibile che queste strategie non trovino il consenso di un Congresso a maggioranza democratica. Ma non è detto. Per i liberal, fare tutto quello che si può per aumentare le tasse è questione ideologica. Lo stesso si può dire della strategia cap and trade, per la riduzione dell’effetto serra. Farebbe schizzare verso l’alto i costi dell’energia, altro fattore che deprimerebbe la crescita economica, ma i democratici credono che la salvezza del pianeta venga prima di ogni altra


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La rimonta del senatore dell’Arizona è difficile ma non impossibile

Nei numeri (e nella storia) una speranza per McCain di Andrea Mancia ancora possibile, nei 20 giorni che ci separano dalle elezioni presidenziali americane, ipotizzare una rimonta di John McCain ai danni di Barack Obama? Oppure gli Stati Uniti devono “arrendersi” alla prospettiva di un monocolore democratico alla Casa Bianca, alla Camera e al Senato per i prossimi quattro (probabilmente otto) anni? Per rispondere a questa domanda bisogna prima cercare di capire quale sia, realmente, l’entità del vantaggio di cui gode oggi Obama nei sondaggi condotti a livello nazionale. Perché questo distacco varia, anche sensibilmente, a seconda dell’istituto di ricerca che si prende in considerazione. Possiamo, per semplificare, dividere i sondaggisti in due categorie. Nella prima c’è chi attribuisce al candidato democratico un margine di vantaggio in doppia cifra (o quasi): Newsweek (+11%); Abc News/Washington Post (+10%); Cbs News/New York Times (+14%); Los Angeles Times (+9%); Battleground (+8%). Nella seconda categoria, invece, ci sono i sondaggisti che registrano un vantaggio di Obama intorno ai 3-5 punti percentuali: Rasmussen Reports (+5%); Zogby/Reuters (+4%); Investor’s Business Daily (+3%). In mezzo a questi due estremi, galleggia Gallup, che ormai da qualche giorno, nel suo tracking quotidiano, pubblica due dati separati: uno utilizzando il suo metodo tradizionale di screening dei likely voters; un altro utilizzando un metodo diverso, che tende a sovra-rappresenta il voto giovanile e delle minoranze (un “metodo Obama”, insomma). Ieri il vantaggio democratico era di 6 punti percentuali utilizzando il primo metodo e di 10 utilizzando il “metodo Obama”. Come districarsi in questo labirinto di cifre e di trend spesso discordanti? Ieri, sulla National Review, analizzando queste forti oscillazioni tra i diversi sondaggi, Todd Eberly è andato ad indagare nei cosiddetti “internals”, le tabelle in cui il dato complessivo viene disaggregato geograficamente e demograficamente. E la sua indagine non è stata avara di sorprese. Nel sondaggio condotto da Newsweek, per esempio, si scopre che Obama conquista i consensi dei democratici (91%), McCain quelli dei repubblicani (89%) e che gli “indipendenti” sono spaccati a metà (45%-43% per McCain). Dati, questi, che non sembrano affatto compatibili con il clamoroso +11% che, nel suo complesso, il sondaggio attribuisce a Obama.

È

cosa. Tra l’altro per la lobby ecologista, la politica cap and trade è questione di vita o di morte. Sui democratici, gli ecologisti sembrano avere lo stesso potere di veto dei sindacati. E Obama non si è mai opposto alle strategie ambientaliste. Anche riguardo la politica estera e quella della sicurezza, in una Washington dominata dai liberal nulla potrebbe impedire ad Obama di fare quello che vuole, incluso un affrettato ritiro delle truppe Usa dall’Iraq e negoziati condotti a livelli presidenziali con ogni tipo di dittatore antiamericano. Il Congresso si accoderebbe. I media farebbero i pifferai accondiscendenti.

Ma chi può dire che andrà veramente cosi? Forse McCain e i repubblicani riusciranno a radunare le proprie forze per evitare l’avverarsi del peggio, ovviamente dal punto di vista conservatore. Negli ultimi due mesi la campagna elettorale ha cambiato direzione due volte. Prima quando McCain ha scelto Sarah Palin come compagna di viaggio, dopo quando è esploso il panico della crisi finanziaria. Perché escludere un nuovo testa-coda? Se non fosse così, allora bisognerà prepararsi al diluvio liberal.

pubblicani) elezioni di mid-term del 2006 le percentuali erano simili (38%-36%, con il 26% di indipendenti). Anche durante l’era-Clinton - con le elezioni del 1996 e del 2000 - i democratici non hanno mai avuto un vantaggio superiore al 4%. Quanto è credibile che questo margine, oggi, sia arrivato al 13% ipotizzato da Newsweek? E, soprattutto, quanto questa “ipotesi”influenza il dato finale dei sondaggi? Ricalcolando gli stessi dati con un vantaggio democratico nella “party identification” pari al 4%, Eberly raggiunge un risultato che fa scendere il vantaggio di Obama da 11 a 4 punti percentuali. In linea, dunque, con il gruppo dei sondaggisti che registrano un distacco intorno ai 4-5 punti. La stessa operazione, più o meno, può essere compiuta con tutti gli altri istituti di ricerca che vedono il distacco di Obama in doppia cifra.

Se, dunque, a livello nazionale, lo svantaggio di McCain non è così terribile come viene dipinto (fateci caso, ma quasi tutti i sondaggisti del primo gruppo sono legati a testate che stanno facendo campagna pro-Obama fin dall’inizio del ciclo elettorale), allora non è fantascientifico affermare che il candidato repubblicano ha qualche speranza di poter invertire la dinamica della corsa. È già accaduto in passato, infatti, che tra i sondaggi condotti a metà ottobre e i risultati reali delle elezioni ci fosse una differenza, anche considerevole. Prendiamo la serie storica di Gallup, che ci consente di andare abbastanza indietro con gli anni. Nel 2004, alla metà di ottobre, Bush Jr. aveva 8 punti di vantaggio su John Kerry (avrebbe poi vinto con un margine del 3%). Nel 2000, sempre George W., era in fuga con un distacco di 11 punti su Al Gore (sarebbe poi finita al fotofinish in Florida, con Bush indietro nel voto popolare nazionale). Nel 1996, sempre a metà ottobre, Bill Clinton aveva quasi 20 punti di vantaggio su Bob Dole, ma avrebbe visto questo margine ridursi di oltre la metà. Nel 1992, addirittura, Bush Sr. era davanti e Bill Clinton inseguiva a 18 punti percentuali di distanza. Com’è andata a finire lo ricordiamo tutti. E anche tornando più indietro negli anni le sorprese non mancano. A metà ottobre, nel 1980, Jimmy Carter aveva 5 punti di vantaggio su Ronald Reagan (che vinse di 10). Nel 1976, sempre Carter conduceva con un distacco di 6 punti (poi ridotti a 2 nel giorno delle elezioni). Nel 1968, Richard Nixon era davanti di quasi 10 punti rispetto a Hubert Humphrey (e vinse con meno dell’1% di margine). La storia degli Stati Uniti, insomma, ci insegna che nelle ultime tre settimane di campagna elettorale sono stati sovvertiti vantaggi anche più consistenti di quello di cui oggi, probabilmente, gode Obama nei confronti di McCain. Il vero problema del candidato repubblicano, invece, sono i sondaggi condotti negli swing-states vinti da Bush nel 2004 (Nevada, Colorado, New Mexico, Florida, North Carolina, Virginia, Missouri, Ohio). In quasi tutti questi stati, il trend delle ultime settimane sembra favorire Obama. E McCain, se vuole arrivare alla Casa Bianca, non può permettersi di perderne neppure uno.

Nel 1992, a metà ottobre, Bush Sr. aveva il 18% di vantaggio nei confronti di Clinton. Ma perse le elezioni

Il candidato repubblicano John McCain; in alto: lo speaker democratico della Camera, Nancy Pelosi insieme a Barack Obama. Nella pagina a fianco: il democratico Howard Dean

Scavando in profondità, però, Eberly si è accorto che, nel campione preso in considerazione da Newsweek, ci sono il 40% di democratici, il 27% di repubblicani e il 30% di indipendenti. Il problema è che, nella storia recente degli Stati Uniti, i democratici non hanno mai avuto un vantaggio così consistente nella “party identification”. Nel 2004, secondo gli exit poll, l’elettorato era diviso equamente (37%-37%). E perfino nelle catastrofiche (per i re-


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politica

Parla Enrico Letta: «Parteciperemo alla manifestazione di liberal e dell’Udc. La legge Calderoli minaccia il Parlamento»

«Berlusconi non vuole partiti e deputati liberi» colloquio con Enrico Letta di Francesco Capozza

d i a r i o ROMA. Riuscire a parlare con lui non è cosa semplice, ma quando riesci a raggiungerlo – tra una riunione dell’esecutivo del Pd e una seduta della Camera – ti parla con quella familiarità che raramente un cronista riscontra nell’interlocutore. Lui, Enrico Letta, ministro del Welfare nel governo ombra del Partito Democratico, un anno esatto fa si piazzava secondo alle primarie del Pd per l’elezione del Segretario (e oggi, qualcuno mormora, c’è chi lo vedrebbe volentieri succedere a Veltroni), è convinto più che mai che «dal 1994 ad oggi abbiamo avuto molte leadership forti in altrettanti partiti deboli». Sulla questione delle preferenze si schiera ”senza se e senza ma” con l’Udc che «ha fatto e continua a fare una battaglia coraggiosa per garantire un Parlamento libero». Onorevole Letta, che ne pensa del meeting organizzato dalla fondazione liberal per venerdì prossimo dal titolo “una preferenza per la democrazia”? Ho aderito subito, appena Ferdinando Adornato e Pier Ferdinando Casini me ne hanno parlato. Vede, il tema delle preferenze è un tornante di questa legislatura, perché la deriva di restringimento degli spazi della democrazia provocata dalla legge Calderoli nelle ultime due tornate elettorali E adesso, dopo la “porcata”, ci aspetta la “porcata europea”? Questo termine l’ha utilizzato lo stesso ministro padre della legge, il che è tutto dire. Per me è semplicemente il clou della volontà di questa maggioranza di limitare la libertà d’azione dei parlamentari. E la pervicacia con cui il presidente del Consiglio spinge personalmente verso questo obiettivo rende bene l’idea di quello che sta accadendo. C’è il rischio di arrivare davvero, come molti affermano, ad una dittatura del premier? Questo no, non lo credo. Ritengo, però, che ci sia il concreto rischio di vedere molto provata la democrazia interna dei partiti.. C’è un errore di fondo: si scambia il potere di nomina degli eletti con la forza data ai partiti. In realtà, è l’esatto contrario. I parlamentari “liberi”però, avrebbero di più le briglie sciolte, sostiene qualcuno…

d e l

g i o r n o

Classi per stranieri, il no di Veltroni «Dio ci scampi dall’idea di classi separate».All’indomani della mozione della Lega presentata e passata alla Camera e finalizzata all’istituzione di classi separate destinate ai bambini figli di immigrati, il leader del Pd torna a criticare la proposta della maggioranza. «Gli argomenti sentiti martedì in aula sono assolutamente assurdi - dice Veltroni -. Sia chiaro in ogni caso a chi pensa di tradurre in legge una mozione del genere che il Pd userà ogni mezzo possibile per bloccare questa iniziativa. Perché dalle classi differenziali ad affermare che una persona è superiore ad un’altra, passa davvero pochissimo».

Rai, Di Pietro: «Scambio immorale» «È uno scandalo immorale e incivile scambiare un atto dovuto come il voto di Orlando alla Vigilanza Rai con il voto di Pecorella alla Corte Costituzionale». Il leader dell’Italia dei Valori, Antonio Di Pietro si schiera contro l’ipotesi di uno «scambio» fra l’opposizione e la maggioranza sulla presidenza della Vigilanza Rai e la nomina di un giudice della Corte Costituzionale. «Noi non possiamo votare Pecorella perché - spiega Di Pietro - è sotto processo ed è anche uno degli avvocati del premier». Dal momento che il giudice dovrebbe esprimersi «sulla costituzionalità del Lodo Alfano - dice ancora Di Pietro - c’è un evidente conflitto di interessi». Insomma, conclude il leader dell’Idv «le due cose non sono in alcun modo unite e noi diciamo no alla logica della spartizione delle poltrone, perché noi siamo coerenti». È una falsità. I regolamenti parlamentari lasciano comunque libertà all’eletto. Si può comunque cambiare casacca in corso di legislatura, non c’è nessuna norma che lo proibisca. È accaduto nella passata legislatura ed è cominciato a verificarsi anche in questa. Il sistema delle liste bloccate non assicura alla maggioranza di imbrigliare i propri nominati. Quindi? Quindi, semplicemente, un parlamento eletto con il consenso dei cittadini è l’unica strada che noi riteniamo praticabile. Il Pd ha fatto le primarie per eleggere i vertici del partito, segretario in primo luogo, perché riteniamo che siano i cittadini a dover scegliere da chi essere rappresentati. Ancora di più questo discorso dovrebbe valere per i parlamentari. Da più parti comincia ad arrivare la richiesta al presidente della Camera Fini di autorizzare la votazione segreta sul Ddl sulle europee, lei che ne pensa? Mi fido molto di Fini e credo che quando ciò dovesse legittimamente essere richiesto dalle opposizioni, saprà dimostrare il suo senso delle istituzioni. In effetti, su una legge così delicata come quella elettorale il voto segreto garantirebbe libertà di coscienza al Parlamento. Ancor di più in un Parlamento composto da “nominati” Proprio per questo non c’è il rischio di “assalto alla diligenza”, ovvero di un voto favorevole, nel segreto dell’urne, anche dai banchi dell’opposizione? Dai nostri non credo. Il Pd è compatto nel condannare l’abolizione delle preferenze. Se ciò accadesse, comunque, sarebbe un gesto politico molto grave. Non crede che dietro la volontà di mettere lo sbarramento al 5% ci sia un preciso disegno politico del premier? Certamente. Ed è lampante. D’altronde la soglia massima consentita in Europa è proprio il 5%, scegliere quella vuol dire voler impedire a molte forze politiche di non essere rappresentate, dopo il Parlamento nazionale, neppure in quello europeo.

Il Pd ha fatto le primarie perché riteniamo che siano i cittadini a dover scegliere da chi essere rappresentati

Alfano: le carceri sono sovraffollate L’effetto dell’indulto del 2006 è «stato solo provvisorio» e le carceri italiane sono nuovamente sovraffollate. È quanto afferma il ministro della Giustizia, Angelino Alfano (nella foto), intervenendo alla cerimonia per la celebrazione del 191esimo anniversario del Corpo di Polizia penitenziaria, alla presenza del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Per il Guardasigilli quella del sovraffolamento è, insieme alla «vetustà delle strutture», uno dei punti critici del sistema carcerario. In particolare, sottolinea il ministro, «rispetto alla capienza regolamentare fissata in 43.262 posti, la popolazione carceraria è attualmente di 57.187 detenuti». In dettaglio: 8.500 cittadini italiani, 3.400 cittadini Ue e 12mila extracomunitari.

Calano le vendite auto È sempre così: appena la Borsa aspetta dall’auto un segnale di incoraggiamento arriva la stangata. E i dati di vendita del mercato Europa di settembre confermano il trend negativo: le immatricolazioni si sono fermate a 1.304.583 unità, in calo quindi dell’8,2 per cento rispetto allo stesso mese del 2007. Questo significa che nei primi nove mesi del 2008 le immatricolazioni di auto nuove in Europa sono state 11.710.521 unità, con un calo del 4,4 per cento rispetto allo stesso periodo del 2007.

Federalismo, Formigoni non ci sta «Se parte così il federalismo fiscale parte male. Forse sarà necessario rifare i calcoli». Lo ha detto il presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, commentando la decisione del governo di stanziare nel decreto per il federalismo fiscale 150 milioni di euro per Catania, 500 milioni di euro per Roma e per aver stanziato, nell’articolo 5 del decreto, anche altri 500 milioni che dal 2010 saranno attribuiti alla capitale. «Prossimamente - ha detto Formigoni - discuteremo di queste cose con le altri regioni. La settimana prossima al tavolo Stato-Regioni chiederemo ragione al governo di queste decisioni che non ci trovano d’accordo». Formigoni ha quindi precisato che «se il governo non accetterà emendamenti, sarà difficile accettare un decreto di questo tipo».


politica ROMA. Tutti guardano a Bologna, dopo il clamoroso ritiro dalla scena di Cofferati, ma l’ennesimo grattacapo per il Pd viene dalle primarie per il candidato sindaco di Firenze. La bagarre impazza: quattro candidati (due ex Ds, due ex Margherita) ed ancora un mese, regolamento alla mano, affinché altre candidature possano farsi avanti. Non doveva andare così, almeno negli intendimenti del gruppo dirigente fiorentino. Il candidato sindaco doveva essere Riccardo Conti, potente assessore regionale alle infrastrutture, consigliere più votato a Firenze, dalemiano di strettissima osservanza. Ma il Pd s’è dotato di uno statuto – non si capisce bene perché, visto che ci si trova così male – che prevede in questi casi il ricorso alle primarie aperte al voto di tutti i potenziali elettori. Quindi, addio al dalemiano Conti. Al momento, ai nastri di partenza sono schierati in quattro. Gli ex diessini sono due assessori comunali della giunta uscente: l’antilavavetri Cioni e la pasionaria Daniela Lastri. Cioni, popolarissimo in città tanto da sembrare un Peppone risciacquato in Arno, la Lastri che strizza l’occhio a movimenti e sindacato. Ma è sui due ex popolari che si concentra l’attenzione maggiore. Anzitutto su Lapo Pistelli, deputato, figlio di quel Nicola Pistelli leader storico della sinistra democristiana e assessore di La Pira, il sindaco più amato della Firenze del dopoguerra. In secondo luogo su Matteo Renzi, attuale presidente trentatreenne della Provincia, formatosi nelle file dell’associazionismo cattolico. Pistelli ha ricevuto la benedizione di Veltroni e dei vertici della corrente popolare. Renzi è, invece, oggetto di forti pressioni romane e fiorentine per persuaderlo al ritiro, a cominciare dal sindaco uscente Dominici che gli ha sferrato un attacco durissimo. Roba che tra un sindaco e un presidente di Provincia della stessa città, entrambi ancora in carica, non s’era mai vista. Una contrapposizione aspra, per quanto Pistelli e Renzi siano vecchi amici e abbiano pure scritto un paio di libri a quattro mani. A Roma, la bagarre fiorentina è vista malissimo. Che il candidato sindaco si scelga attraverso primarie vere, alle quali concorrano candidati in reale competizione tra loro, in virtù di differenti profili programmati-

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Battaglia nel Pd per il candidato sindaco: in corsa Cioni, Pistelli, Renzi e Daniela Lastri

Aiuto, a Firenze questa volta saranno primarie vere! di Antonio Funiciello

sondata qualche possibile comparsa; poi, fortunosamente, si è aggiunta una candidatura radicale per fare un po’ di casino. Un capolavoro. Risultato: Fausto Raciti sarà segretario dei giovani democratici. Il voto del mese prossimo diventa una festa di piazza per mostrare quanto è democratico il Partito democratico. Firenze rovina i giochi e diventa l’ennesima occasione di scontro tra D’Alema e Veltroni. Il primo è in cerca di rivincita dopo le sconfitte bru-

Dietro la competizione per la successione a Leonardo Domicini, come al solito c’è uno scontro aperto fra dalemiani e veltroniani. Con lo spettro della comparsa di un “Guazzaloca fiorentino” ci, è una cosa cui non si è abituati. Lo schema primarie è un altro: metti in pista una Ferrari contro un paio di Fiat Marea e giù lodi sul fatto che l’importante non è vincere ma partecipare. Un teorema certo parossistico, ma gli esempi di primarie del genere si sprecano. Si pensi a quelle giovanili: prima si è scelto chi le vincerà; quindi s’è

cianti a Napoli e a Cagliari, dove i suoi candidati segretari (al Pd provinciale nel capoluogo campano e al regionale in Sardegna) sono stati superati dai veltroniani. Il secondo è stizzito con gli ex popolari, incapaci di coagularsi intorno a un’unica scelta. Complicarsi la vita in una città dove il Pd da solo sfiora il 50%, può ingarbugliare

Accanto, Graziano Cioni A sinistra, Lapo Pistelli Sopra, Walter Veltroni con il sindaco uscente di Firenze Leonardo Dominici

tutta la matassa elettorale delle amministrative di primavera e l’incubo (ancora remoto) della vittoria di un Guazzaloca fiorentino toglie il sonno al segretario democratico. L’ipotesi di puntare sullo svolgimento di primarie partecipate e combattute non è contemplata.

Per il caso Firenze occorre una soluzione “alta”, come si dice in questi casi, che producendo il ritiro dalla corsa di uno o due candidati, introduca un nome che faccia piazza pulita dei restanti. E però alla soluzione “alta” stanno lavorando i dalemia-

ni. Mentre Veltroni, difatti, non si dà pace per non aver scongiurato la bagarre fiorentina, il gruppo dirigente indigeno (a netta prevalenza dalemiana, a cominciare dal segretario regionale Manciulli) mugugna contro le ingerenze romane, pochi giorni dopo aver per altro richiesto e ottenuto un vertice romano sulle primarie cittadine. Al povero Veltroni fischiano le orecchie e, mai come di questi tempi, torna in mente Talleyrand quando diceva: «Mai parlare male di voi stessi. Penseranno i vostri amici ad affrontare a sufficienza l’argomento».


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società

Ultimi divi. I leader di partito disertano le sue trasmissioni. Ma almeno la Grambassi ha scelto: per lui lascia l’Arma

Piazza (vuota) Santoro Ritratto di un narcisista di successo che non può più guardarsi allo specchio di Roselina Salemi o voglio il mio microfono, quello che hai tu, voglio decidere che cosa sono le cose da raccontare, le luci e le ombre» Se Michele Santoro fondasse un partito (e non lo farà, arriverebbe buon ultimo) il suo manifesto potrebbe essere questa battuta, pronunciata a Rockpolitik, davanti a uno scatenato Adriano Celentano e undici milioni di italiani, un record, alla fine del videoesilio. Michele chi? (titolo di un libro del 1996, pubblicato da Baldini&Castoldi) ama la televisione più della politica («Col senno di poi non mi ricandiderei»), la polemica più del dialogo, il caldo più del freddo, la rappresentazione della realtà più della realtà. Adesso che è alla seconda edizione di Annozero, dopo l’editto “bulgaro” di Berlusconi (18 aprile 2002), il licenziamen-

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gherita Granbassi, campionessa olimpionica di scherma e excarabiniere (da ieri) passata defintivamente ad Annozero. Magari ora si parlerà dei suoi salotti (televisivi) pieni di politica ma vuoti di politici, dal momento che nessuno ci vuole più andare. Neanche gli ex-amici del Pd.

Michele Santoro, 56 anni, figlio di un ferroviere, elite operaia, laureato in Filosofia con 110 e lode (ci tiene a dirlo), passato attraverso l’Unità e Servire il popolo, testata maoista ormai dimenticata, era un leaderino già da ragazzo, a Salerno. Ai suoi esami di maturità andò una folla, anche se come studente non era un buon esempio: aveva rigato la macchina a una prof. Ma era popolare e, per sua stessa ammissione, aveva tutte le ragazze che vole-

Dagli esordi come maoista eretico al Parlamento di Strasburgo, da Mediaset all’editto bulgaro, passando per una breve avventura al vertice del Tg3, dove tutti lo chiamavano ”Santorescu”: storia di un anchorman in difficolta to e la causa vinta contro la Rai, l’elezione al parlamento europeo con la lista “Uniti nell’Ulivo” (2004, 700mila preferenze), l’addio a Strasburgo (19 ottobre 2005) per apparire su Rockpolitik, e la sfinente polemica sull’informazione e la libertà, adesso che ha intitolato la puntata di giovedì scorso «I soldi sono nulla», affermazione condivisa anche da papa Benedetto XVI, adesso che si parla di lui come un personaggio da soft news, anche le antiche accuse di faziosità perdono un po’ sapore. Nel bene e nel male, fa parte della storia, è diventato un personaggio da tesi di laurea del Dams. («Infotaimment fra mobbing e censura in Rai», di Georgia Andreoli). Però, diciamolo, quest’anno, più che lui, si è discusso molto di Mar-

va. Era un anarchico, aveva il crisma del ribelle e questa anarchia se l’è sempre portata dietro, perciò è stato un maoista eterodosso, un comunista non allineato, alla ricerca perenne del Santo Graal che chiamiamo Verità, è stato un direttore autoritario al Tg3, (lo chiamavano Santorescu) e qualcuna è scappata piangendo dalla sua redazione. Ora, uno così, può diventare più saggio, ma non cambia, neanche sotto la minaccia della spada. Michele Santoro resta Michele Santoro. In televisione ha fatto cose straordinarie e cose discutibili. Ha scoperto per primo la Lega Lombarda, ha dato voce alla piazza con i suoi umori e i suoi sentimenti estremi, si è trasformato nello scopritore dei problemi

invisibili, ha fotografato un’Italia profonda che nessuno conosceva, ma a lui piaceva moltissimo , ha portato lo share di Samarcanda su Raitre, dal due al quindici per cento, arrivando al trenta e diventando un caso. Chi ha visto le puntate di quegli anni, non ricorda il problemi, molto simili a quelli di oggi (la casa, il lavoro, l’emarginazione, il razzismo) ma ricorda l’emozione, il brivido, la full immersion nelle vite degli altri. Ed era questo l’aspetto scomodo, fazioso: scegliere di portare in tutte le case alcune sezioni di realtà, scelte arbitrariamente, con la testa, con il cuore, con lo stomaco e non con il manuale Cencelli sott’occhio.

Certo, poi è andato a Mediaset, che non era proprio casa sua, come responsabile di Moby Dick, in un’Italia Uno che ha definito “senza identità” è tornato in Rai a Circus e si è rituffato nelle polemiche. È scomparso e ha sofferto, non tanto in silenzio. È ricomparso, si è fatto biondo (ma era stato mal consigliato e per fortuna ha lasciato perdere) e si è adeguato alla new wave televisiva che ingentilisce i programmi con calcolate presenze femminili. Annozero ha esordito con due diverse bellezze, la giornalista Rula Jebreal e la fotomodella Beatrice Borromeo, carina, un po’ leccata, nonché im-

parentata con la Fiat, il cuore del capitalismo italiano. «Bea assicura - è un talento straordinario». Per il resto, siamo alle solite: il 16 novembre del 2006 c’è la puntata sulla Sicilia , il lavoro che manca e i soldi sprecati. Naturalmente Totò Cuffaro, presidente della regione si arrabbia e lo accusa di demagogia (e di avere uno stipendio di 800mila euro). Poi c’è il caso Forleo-De Magitris («momenti di tivù altissima» li definisce lui), l’affaire Mastella, la querela per la trasmissione sui preti pedofili (ma lì lo ha difeso tutto il mondo laico) e il famoso comizio di Beppe Grillo al V2Day il 1 maggio scorso. Santoro ne manda in onda alcuni spezzoni, durissimi con il pre-

Qui a fianco, Margherita Grambassi, campionessa di scherma che ha lasciato l’Arma per partecipare a «Annozero» con Michele Santoro (nella foto in alto)

sidente della Repubblica Giorgio Napolitano e con Umberto Veronesi. In studio c’è Vittorio Sgarbi, allora assessore alla Cultura a Milano, che strilla ancora più forte, come fa spesso (alcuni sospettano che si eserciti per arrivare a crescendo così perfetti di indignazione) e si scatena il putiferio. Non ci guadagna nessuno: la sinistra, in dolorosa trasformazione, ha altri problemi.

Michele Santoro resta Michele Santoro, nonostante tutto. Fazioso («Grazie a Dio»), narcisista («Chi fa televisione non può non esserlo»), vicino a Beppe Grillo («Non di rado lo condivido»), poco tenero con Prodi («Era una pappamolle»), liquidatorio con il Pd («Non è un partito»). Ultimamente cita molto Paul Krugman, premio Nobel per l’Economia ed editorialista del New York Times, critico nei confronti di Bush e attento al mondo della comunicazione. («Il grado di libertà di una trasmissione si valuta dal numero di defezioni dei potenti»), e spiega così i tanti rifiuti avuti dai diessini (quando c’erano). A mettere in fila le


società

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Una ricerca sociologica fa una fotografia impietosa del nostro giornalismo

Bugiardi o incompetenti È la cattiva stampa, bellezza! di Giuseppe Baiocchi n Italia è notizia che è scivolata via senza particolare interesse: eppure il fatto che il primo ottobre Nicolas Sarkozy abbia convocato all’Eliseo gli “stati generali” dell’informazione in Francia qualche scintilla di curiosità poteva accenderla. Secondo il presidente francese, infatti, l’informazione transalpina soffre di difficili condizioni di mercato (le sovvenzioni pubbliche non bastano più) e occorre dichiarare guerra “all’immobilismo, al corporativismo e alle cattive abitudini”. Per questo ha riunito le intelligenze e gli operatori del settore perché in due mesi si individui la strada per uscire dalla crisi con l’obiettivo di tutelare e rafforzare il pluralismo e far diventare la stampa «redditizia», che è «il modo migliore per essere indipendenti». Vasto programma e vaste ambizioni: e tuttavia un modo “decisorio” per non sfuggire al problema. Un problema che è largamente comune anche in Italia, dove però chi potrebbe muovere le acque è paralizzato per sua stessa ammissione dai conflitti di interesse (ce ne è uno gigantesco, ma non è l’unico e nemmeno isolato). Eppure l’informazione ha un bisogno disperato di cambiare: è già mutata in forme epocali per gli strumenti, per la globalizzazione, per quel “sottofondo” mediatico che costituisce ormai la perenne colonna sonora (e di immagine) della nostra società e che talvolta si trasforma in un vero e proprio frastuono che lascia l’opinione pubblica intontita e smarrita.

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interviste, le polemiche, le correzioni di tiro, i giudizi degli altri, viene sempre fuori l’anima del ragazzo anarchico che la politica non può capire e il video stenta a contenere. Achille Occhetto, sospettoso, lo aveva etichettato come «un leghista di sinistra».Effettivamente nel ’94 Umberto Bossi gli ha dato atto di pubblica stima: «Senza le trasmissioni di Santoro, l’Italia non avrebbe preso coscienza degli sprechi di denaro pubblico, del disastro culturale, economico e sociale del Sud provocato dal sistema dei partiti». Beniamino Placido, se l’era cavata con un “Gigi er bullo”, che a lui non era piaciuto. E si ricomincia. Qualcuno ricorda che Annozero è pagato dai contribuenti, e il sito dedicato spiega che ogni puntata porta all’azienda Rai tra gli ottanta e i centomila euro di raccolta pubblicitaria. Qualcun altro insinua il sospetto di false interviste. La risposta è, più o meno: vediamoci in tribunale.Tutto sotto la sigla VAF( Valutazioni A Freddo). A freddo? Impossibile. O Michele Santoro non è più Michele Santoro.

Proprio in questo contesto si manifesta acuta più che mai tra i cittadini l’esigenza crescente di un buon giornalismo: che selezioni le notizie, che ne faccia sintesi chiara e completa, che ne stabilisca la gerarchia di rilevanza, che ne espliciti il significato recondito, che offra il pieno ventaglio di interpretazioni; in modo che il lettore possa formarsi compiutamente un’opinione libera e informata. Lo segnala con forza una recentissima ricerca sullo «Stato del giornalismo» condotta dal Centro Astra di Enrico Finzi e presentata nei giorni scorsi all’Università Statale di Milano. Ma se il desiderio di informazione è sentito e diffuso (e crescerà in misura rilevante nei prossimi anni, a partire dal 2012, anche per i media non tradizionali) , la fotografia che gli italiani fanno della realtà attuale è spietata e impietosa. Infatti, secondo il largo campione interpellato dai sociologi, per il 68% i giornalisti sono bugiardi, per il 60% sono incompetenti, per il 52% “non sono indipendenti”. E ancora: i giornalisti non hanno eticità (64%), sono ansiogeni (62%) e non hanno rispetto per gli altri (53%). In sostanza il giudizio del campione (rappresenta-

tivo della popolazione italiana sopra i 15 anni di età) esprime per il 55% una valutazione negativa, se non pessima.

Ma come si è arrivati a questo godere di “cattiva stampa” che è il tragico contrappunto dell’esigenza insopprimibile di una informazione «seria e rispettosa» e che «aiuti soprattutto a capire»? Sembra evidente che stiano venendo amaramente al pettine i nodi irrisolti di una professione che ha via via perduto la sua “anima”, oltretutto sorpassata da una innovazione tecnologica tanto impetuosa quanto onnicom-

Il 55% di un campione rappresentativo della popolazione italiana sopra i 15 anni di età esprime una valutazione negativa. È il frutto del progressivo allontanamento dalla realtà prensiva. Ne è spia la difficoltà, se non la paralisi, sulla quale si arena il negoziato per il contratto nazionale della categoria, scaduto da ben quattro anni. Lì, con 18 inutili giorni di sciopero, si è schiantata la Federazione della Stampa (o almeno lo storico vertice di maggioranza del sindacato) che, accecata dal pregiudizio ideologico, ha privilegiato le ragioni dell’appartenenza e dello schieramento, anziché il con-

fronto riformista sulla realtà in rapida trasformazione. Ma le responsabilità sono anche e pesanti degli editori (quasi tutti “impuri”). Che hanno privilegiato redazioni docili e conformiste (all’insegna del “politically correct” genericamente “de sinistra”) e che non disturbassero il vero nuovo “dominus”, e cioè la pubblicità. Per anni l’unica automobile che si poteva liberamente criticare era la Moskvitch, per anni le collezioni degli stilisti erano e sono tutte “meravigliose”, per anni i maghi della finanza sono stati contrabbandati per le vere guide del Paese. Cosicché oggi, per citare tutt’altro campo, diventa persino difficile prendersela con quel supponente di José Mourinho, che accusa i giornalisti di «suggerirgli ogni volta la formazione giusta, ma solo quando la partita è finita»…

E, non a caso, la ricerca citata segnala come nel breve volgere di un quindicennio l’efficacia della pubblicità si sia completamente dimezzata. Ovvero un’impresa deve investire il doppio del 1992 per ottenere gli stessi risultati di penetrazione sul mercato.Allora si comprende come l’informazione supina e “dopata”non serva nemmeno più. Se ne è accorto anche chi a lungo è rimasto sulla tolda di comando dei grandi quotidiani. Nel libro appena uscito (L’informazione che cambia, Editrice La Scuola), Ferruccio De Bortoli riconosce che «siamo diventati servi e concubini del potere». E ritiene «insopportabile» il clima «da terrazza romana» con quella complicità compagnona tra politici e giornalisti che si fa casta distaccata dalla realtà. Forse allora sarà il caso di rivalutare le figure scomode che hanno predicato nel deserto. Precursore Walter Tobagi che, preoccupato dell’instaurarsi di un “pensiero unico”e degli intrecci incestuosi con l’economia, ebbe il coraggio di battersi contro il conformismo a viso aperto (pagando con la vita, facile bersaglio del terrorismo rosso). E chi, nel suo solco, ha sempre sostenuto che andava premiata e tutelata l’autonomia e l’indipendenza del singolo giornalista che avrebbe offerto in cambio rigore culturale e onestà intellettuale. E che ogni cedimento su questo terreno avrebbe comportato non soltanto lo svilimento della professione, ma la perdita di redditività. Alla lunga, e adesso drammaticamente si capisce tra i cocci di una credibilità perduta, l’autonomia e l’indipendenza del singolo giornalista è un valore che “conviene”: “conviene” alla qualità del prodotto e alla sua positività economica, “conviene” alla trasparenza del mercato,“conviene”, perché no, alla democrazia e alla civiltà complessiva di un Paese. Ah, se comparisse all’orizzonte (e senza conflitti di interesse) un nostrano Sarkozy!


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mondo

Sempre più alta la tensione fra Cambogia e Thailandia, che si contendono il controllo di un antico luogo di culto

La guerra del tempio (della pace) di Vincenzo Faccioli Pintozzi

d i a r i o ale la tensione al confine fra Thailandia e Cambogia, che rischia di tornare zona di guerra dopo un decennio di relativa calma. Ieri, uno scontro a fuoco fra militari dei due eserciti ha provocato due morti e diverse vittime, mentre Bangkok ha emesso l’ordine di rimpatrio per i connazionali su territorio cambogiano. La serietà della situazione è data proprio da quest’ordine, che richiama in patria anche gli industriali thailandesi: in Asia, infatti, il commercio e i suoi operatori sono ritenuti quasi sacri durante i conflitti fra nazioni e vengono espatriati soltanto in caso di

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ternazionale e controllano da anni i principali accessi al tempio. Inoltre, diversi settori dell’area non sono mai stati delimitati: questo mantiene alta la tensione, che esplode in maniera periodica. L’ultimo scontro a fuoco risale al 3 ottobre: due soldati thailandesi e un cambogiano vennero feriti nel corso di una violenta sparatoria. Al momento, sono circa duemila i soldati di entrambi gli schieramenti presenti sul posto. Il ministro degli Esteri cambogiano Hor Namhong ha annunciato che il suo esercito ha catturato dieci soldati thailandesi, ma ha aggiunto che il premier «ha ordinato che venga-

ogni struttura sociale ed economica, il Paese ha conosciuto un periodo di relativa pace solo a partire dagli accordi di pace e dalle elezioni del 1998, fortemente aiutato nella sua normalizzazione proprio da Bangkok.

Da allora, il governo ha avviato importanti riforme e cercato di favorire la ripresa economica: tuttavia, gli indici relativi alla condizione socio-economica della popolazione mostrano dati ancora allarmanti. Nella classifica delle Nazioni Unite sullo sviluppo umano, la Cambogia occupa il 130° posto su 175, con

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Haider «ubriaco al momento dello scontro» Il governatore della Carinzia Jorg Haider, morto in un incidente stradale sabato scorso, aveva un alto tasso di alcol nel sangue. Lo ha annunciato Stefan Petzner, successore di Haider alla testa del partito di estrema destra Bzo. «Il governatore Haider aveva un tasso di 1,8 grammi nel sangue al momento dell’incidente», ha detto Petzner, ex braccio destro di Haider. Il limite consentito dalla legge austriaca è di 0,5 grammi per litro di sangue. La famiglia di Jorg Haider intanto ha ringraziato per il cordoglio giunto dall’Italia, ma non vuole che il funerale venga strumentalizzato dall’estrema destra. Tanto meno che compaiono simboli razzisti, saluti romani o inni nostalgici durante la cerimonia: «Jorg Haider era più vicino al Dalai Lama che a politici dell’estrema destra europea e italiana che hanno vantato amicizie con il governatore della Carinzia» ha spiegato Paolo Quercia, genero del politico austriaco

Pakistan, una fatwa contro i kamikaze Mai più azioni kamikaze nel Pakistan, ma anche minaccia agli Usa di proclamare la guerra santa «se non fermano i raid aerei nella zona nord-occidentale del Paese». È quanto stabilisce una fatwa religiosa emessa ieri dal Concilio dei grandi ulema islamici, tra cui ci sarebbero anche i rappresentanti di gruppi fondamentalisti, accusati di compiere azioni terroristiche «nel Kashmir e contro le forze della coalizione internazionale in Afghanistan». L’editto religioso «è stato fatto con un comunicato congiunto emesso in una riunione tenuta a Lahore ad est del Pakistan». Come a voler sottolineare che non si tratta di dotti accondiscententi con il governo di Islamabad.Alla riunione, infatti, hanno partecipato ulema che rappresentano tutte le madrasse di pensiero islamico, compresa quella sciita, che costituisce una minoranza nel paese musulmano. Il testo della fatwa firmata dal Consiglio di Ulema riuniti, ammonisce che «le azioni kamikaze all’interno del Pakistan sono interdette dalla sharia, ovvero la legge islamica. Ma lo stesso Consiglio minaccia di proclamare la jihad contro gli Stati Uniti se questi non fermeranno le loro incursioni aeree che negli ultimi tempi si sono ripetuti troppe volte».

guerra aperta. Gli scontri fra le due nazioni – che affondano le proprie radici nella guerra civile cambogiana, fortemente avversata dalla Thailandia – si sono inaspriti negli ultimi tre mesi. La causa è da ricercare nel tempio khmer indù - dedicato a Shiva, dio della pace e dell’armonia - di Preah Vihear. Il luogo di culto - che risale all’undicesimo secolo e misura 4,5 chilometri quadrati - è entrato a luglio nella lista Unesco dei patrimoni mondiali dell’umanità. La sua gestione - e la conseguente sovranità - era stata invece affidata a Phnom Penh da una decisione della Corte di giustizia dell’Aja già nel 1962. Subito dopo, gli khmer rossi avevano occupato militarmente il territorio fino al 1970, impedendo con la forza ai fedeli thai di accedere al tempio e scatenando diversi piccoli conflitti, nati il più delle volte da provocazioni delle guardie rosse. A livello diplomatico va però sottolineato che i thailandesi non hanno mai accettato la sentenza in-

Bangkok richiama i connazionali che vivono in territorio cambogiano. Le due popolazioni in fuga no trattati bene».Tuttavia, la popolazione civile di entrambi i lati del confine è in fuga dalla zona, su cui sono stati piazzati missili balistici cambogiani e thailandesi.

Aldilà del tempio, alcuni analisti indicano negli scontri una rinnovata tensione ideologica e commerciale fra i due Paesi, che dopo la fine della guerra civile cambogiana avevano iniziato un difficile percorso di cooperazione. La Cambogia è rimasta infatti per quasi vent’anni totalmente isolata dal resto del mondo. Dopo il tragico periodo dei khmer rossi, universalmente noto per il sistematico genocidio di quasi un terzo della popolazione e la totale distruzione di

Francia-Tunisia, fischi alla Marsigliese quasi il 36% della popolazione che vive in povertà. La percentuale tocca picchi del 90% nelle zone rurali, che rappresentano un terzo del totale. Il Paese è anche al primo posto in Asia per i nuovi casi d’infezione da Hiv: ogni giorno, circa 20 persone vengono contaminate dal virus. Alla luce di questi dati, la Thailandia ha iniziato a recedere dal suo iniziale percorso di affiancamento della Cambogia, che ha interpretato il gesto come un tradimento. Dal 2004, anno in cui i due governi hanno interrotto formalmente il programma di cooperazione economica varato nel 2000, è iniziata una campagna di accuse reciproche sfociata in diverse occasioni nella violenza. Inoltre, una parte della coalizione al governo a Phnom Penh ritiene legittimo un intervento armato teso a ridisegnare i confini nazionali, in modo da poter cercare una difficile ripresa economica. Gli scontri del tempio rischiano di divenire la miccia di questa nuova bomba.

Doveva essere la partita della riconciliazione, quella di ieri sera allo Stade de France di Parigi tra Francia e Tunisia. Si è trasformata in un caso, con la Marsigliese fischiata dai tifosi “ospiti”, perlopiù francesi di origine tunisina residenti nella bainlieue della capitale, in maggioranza nelle tribune ieri sera. Il caso ha subito travalicato i confini dell’ambito sportivo, arrivando sul tavolo del presidente Nicolas Sarkozy. La partita si è conclusa con il successo dei bleus per 3-1. L’episodio non ha avuto pesanti strascichi durante la partita, eccettuato forse qualche nervosismo di troppo in campo. Le polemiche sono cominciate dopo, fino a modificare l’agenda dei leader politici d’Oltralpe. Il premier, François Fillon ha detto in un’intervista a Radio Rtl che la partita non sarebbe dovuta essere giocata. Quei fischi sono stati una cosa «insultante per la Francia e la nazionale francese».

“Clima rovente” al vertice Ue Non è stato solo il piano anticrisi da 2mila miliardi di euro a tenere banco al Vertice Ue apertosi ieri a Bruxelles, ma soprattutto il pacchetto di misure contro i cambiamenti climatici da varare entro la fine dell’anno. La Polonia ha infatti minacciato di esercitare il potere di veto se tale data non verrà fatta slittare. Dalla sua almeno altri 9 Paesi. Il presidente della Commissione Barroso ha di nuovo invocato al Trattato di Lisbona per un effettivo coordinamento dei 27.


mondo lham Aliev, presidente uscente dell’Azerbaigian, non è il candidato unico, ma è l’unico che può vincere le elezioni presidenziali in corso. Con un’opposizione quasi inesistente e sei sfidanti consapevoli di poter fare ben poco contro la “la dinastia” al potere, il risultato appare scontato. Alla presidenza dal 2003, anno della morte del padre Gaidar, Aliev sta giocando su più fronti: mantenere l’alleanza con gli Usa, avvicinare l’Ue e non allontanarsi troppo la Russia. L’ex Repubblica sovietica, infatti, così ricca di idrocarburi, costituisce l’epicentro dei “grandi giochi” energetici e geopolitici tra potenze. L’Azerbaigian è nel mezzo di quel Caucaso meridionale sconvolto quest’estate dalla guerra russogeorgiana ed è uno snodo cruciale per gli interessi internazionali che dal centro dell’Eurasia, il Mar Caspio, fa dipanare le arterie del gas e del petrolio verso la Russia, l’Europa e la Cina. Potenze globali, come gli Stati Uniti e la Russia e regionali. Come nel caso della Turchia, che sta tornando con un ruolo attivo nello scacchiere caucasico. Aliev quindi cerca di fare da arbitro del destino di importanti stock d’idrocarburi. Ed ha mostrato al mondo la sua determinazione attraverso ambiziosi piani energetici. Se da un lato Baku intende avvalersi della “protezione” di Mosca, dall’altro è anche interessata a un avvicinamento con l’Occidente. Ecco il perché di una politica estera ed energetica che non si fonda su presupposti monodirezionali e che potrebbe risultare ambigua.

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Il presidente Ilham Aliev ieri al voto, già eletto nel 2003 con il 77% dei consensi per succedere a suo padre, Heydar, ex esponente del Kgb e del politburo sovietico. La sua riconferma è certa, anche se per la prima volta, si registra un boicottaggio al voto da parte dell’ opposizione. Alle urne 4,8 milioni di elettori, chiamati a scegliere fra Aliev e sei sfidanti, tutti più o meno leali al potere. 400 osservatori dell’Osce stanno sorvegliando le elezioni, dopo aver criticato, nel 2003, la totale assenza di norme democratiche

I

Quello degli idrocarburi è uno dei nodi principali. Il conflitto dello scorso agosto tra Mosca e Tbilisi ha posto un interrogativo sulla sicurezza dell’approvvigionamento di energia. La Georgia, infatti, è un Paese di transito per il petrolio trasportato dall’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan (Btc), infrastruttura strategica nelle politiche occi-

Perché l’Azerbaigian di Ilham Aliev tiene sotto scacco Putin, Bush e la Ue

Tutti alla corte di Baku per attaccarsi al gas di Ilaria Ierep concretizzerebbe in una politica estera estremamente bilanciata e ponderata, finalizzata ad impedire che si possano ripetere gli eventi accaduti in Georgia. Mentre la Russia ha dichiarato di attribuire molta importanza alle relazioni con l’Azerbaijan. E di ciò ne ha dato dimostrazione dal momento che, nel conflitto, non ha arrecato alcun danno ai piani energetici di Baku. Non va dimenticato che il Paese

la visita che Medvedev ha compiuto a luglio a Baku, nel corso della quale il presidente russo ha dichiarato di sostenerne le rivendicazioni dell’Azerbaijan per la regione, ora controllata da secessionisti armeni. Nel

portante concorrente per l’esportazione di gas, l’Azerbaigian appunto. Questo è vero soprattutto se andrà in porto il progetto europeo per la costruzione del Nabucco, la condotta tran-europea che andrebbe a

complesso gioco di alleanze infatti, si può affermare che la Russia ha oggi nel Caucaso meridionale un solo vero alleato, l’Armenia, ma rischia di vedere crescere ai suoi confini un im-

innestarsi al gasdotto BakuTbilisi-Erzurum. Il presidente azero ha tutto l’interesse a cercare di mettere un cuneo tra Erevan e Mosca. E un accordo sul tema cruciale delle forniture

Il Paese è uno snodo cruciale per gli interessi internazionali: cuore dell’Eurasia, fa dipanare le arterie del gas e del petrolio verso la Russia, l’Europa e la Cina. Da qui la sua forza contrattuale dentali di diversificazione di approvvigionamenti. La Russia, dal canto suo, ritiene questo sistema di trasporti un pericoloso concorrente per il proprio predominio sulle rotte dell’energia dell’Asia Centrale. Nel conflitto russo-georgiano, l’Azerbaigian si era inizialmente schierato su una posizione di condanna della Russia. Ora sembra prevalere il pragmatismo politico. La sua linea si

caucasico cela nel suo stesso territorio un fattore d’instabilità con importanti implicazioni interstatali. Il conflitto mai concluso con la vicina Armenia per il controllo della regione del Nagorno-Karabakh. Una guerra“congelata”dagli anni Novanta, ma che ancora può esplodere, come è accaduto in Georgia per l’Ossezia del Sud e l’Abkhazia. Il Nagorno-Karabakh è stato anche il tema principale del-

energetiche potrebbe fungere da catalizzatore. L’attuale situazione presenta un raro momento d’opportunità per Baku.

Aliev potrebbe decidere di vendere il gas azero alla Russia – essendoci già stata all’inizio dell’estate un’offerta in questo senso di Medvedev – a un prezzo favorevole. L’eventuale mossa avrebbe indubbi vantaggi sia per Baku che per Mosca. L’Azerbaigian potrebbe così rendere meno importante per la Russia il sostegno all’Armenia. Il Cremlino vedrebbe confermato il ruolo di Gazprom come principale fornitore dell’Europa e avrebbe il vantaggio di rallentare l’avvicinamento di Baku alle strutture della Nato, in modo forse più soft agli occhi degli osservatori internazionali, rispetto a quanto accade con la Georgia e l’Ucraina. Naturalmente, l’interesse di Mosca è controbilanciato da quello di Nel Washington. suo viaggio di settembre in Caucaso, il vicepresidente Usa, Dick Cheney, ha fatto tappa anche a Baku, dove ha ribadito «l’interesse profondo e costante» degli Usa per la sicurezza della regione. Ma il vice di Bush in Azerbaigian si riferiva soprattutto a energia e gas, senza toccare altri nervi scoperti. Per esempio l’Iran o la stessa Georgia. *Analista Ce.S.I.


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ede – mi disse ancora – quando il Pontefice torna dai suoi lunghi viaggi egli passa le sue serate, prima del riposo, nella lettura e nello studio di Aristotele, sottolineandone lunghi passi e annotando». È questo il primo contatto con Karol Wojtyla di Giovanni Reale, ma è solo il primo di una serie di incontri che si susseguiranno negli anni del lungo pontficato di Giovanni Paolo II. Il 264° Papa della Chiesa cattolica, salito al soglio di Pietro il 16 ottobre del 1978. Trent’anni fa esatti.Trent’anni in cui il mondo è radicalmente cambiato non senza il decisivo contributo di questo Papa unico nella storia della cattolicità.

«V

Giovanni Reale è tra i massimi filosofi italiani contemporanei: grande studioso del pensiero antico è lui ad avere tradotto e commentato molte opere di Platone, di Aristotele e di Plotino. Sul suo manuale di storia della filosofia, scritto insieme a Dario Antiseri, si sono formate intere generazioni di studenti italiani. L’incontro con Wojtyla segna profondamente Reale che resta colpito dalla profondità e dall’intensità delle riflessioni filosofiche del Papa. «Il rapporto con il Santo Padre si intensificò quando decisi di pubblicare la sua opera filosofica e poetica. L’idea era nata dai lunghi colloqui che avevo avuto con Tadeusz Styczen il suo successore alla cattedra di Filosofia morale all’università di Lublino. A questo fine fu allora organizzato

il paginone Papa il permesso di pubblicare le sue opere filosofiche. Lui sorridendo mi disse subito ”Si”. Io allora andai oltre e gli chiesi anche di poter pubblicare le poesie e le encicliche: lui mi rispose: ”certo!”. Entusiasta. Ne fui molto felice naturalmente. Anche se prima di congedarci, con sguardo sorridente e arguto, mi chiese: ”Conosce da molto tempo Styczen?” Aveva capito benissimo che l’idea di pubblicare le sue opere filosofiche era stata concepita insieme al suo successore alla cattedra». Giovanni Paolo II fa però una richiesta al professor Reale: vuole che le sue opere filosofiche e poetiche non fossero firmate con il nome assunto daVicario di Cristo, ma semplicemente Karol Wojtyla. «”Vede, mi spiegò il Santo Padre, quando ho scritto quelle cose io ero un uomo del mondo, un sacerdote certo, ma un uomo del mondo. Ora è diverso. Ora il mio compito è fare come Pietro, diffondere la parola di Cristo: quello che pensa il mio piccolo io non importa”. Rimasi molto impressionato da questa riflessione – dice Reale – perché implicava una grandissima tensione ascetica, un grande atto di impersonalità: non io ma il Cristo in me». Di questa umiltà del Papa il professor Reale è di nuovo testimone quando porta al Santo Padre l’edizione del Trittico romano, l’ultima opera poetica del Papa, una raccolta di tre composizioni poetiche redatta durante un soggiorno nella residenza estiva di

Il Papa che ripete «il nostro regno non è di questo mondo», è stato anche un grande capo politico, lo stratega della dissoluzione dell’impero sovietico. Però mai dimenticando che la politica senza valori è nulla. Semplice machiavellismo un incontro proprio con il Papa a Castel Gandolfo. Il Papa però tenne moltissimo al fatto che io non andassi solo: voleva che con me ci fosse mia moglie perché, diceva, i coniugi sono una sola cosa. Arrivammo a Castel Gandolfo un’ora prima dell’appuntamento, speravo di impiegare quel tempo di attesa per imparare un po’ il protocollo, come comportarmi in questo ricevimento così particolare che mi veniva concesso. Invece mentre eravamo lì ad attendere Styczen fu mandato a chiamare dal Papa. Quasi a sorpresa. Restarono a lavorare per più di un’ora. Niente protocollo insomma. Tutto si svolse però in maniera molto naturale: e durante la cena trovai il coraggio di chiedere personalmente al

Castelgandolfo. «In quell’occasione il Papa mi ha detto ”Io la ringrazio molto perché lei lascia le cose grandi come le opere di Platone per occuparsi delle mie piccole cose. Parlava colui che aveva cambiato il mondo».

Ma chi preferisce Giovanni Reale, il Papa filosofo o il Papa poeta? «Poeta – risponde il professore – perché sono versi quelli delle sue liriche, in cui è presente una fede davvero potente. Io stesso ho posto il quesito al Papa chiedendogli se preferisse il Wojtyla filosofo o poeta. Lui non rispondeva. Allora io ho insisitito: «Li preferisco tutti e due». La filosofia di Wojtyla è una filosofia della persona: «Una metafisica della persona – spiega Reale – non dell’Uno o

Non è stato solo un uomo di fede e d’azione, ma un Pontefice che della storia aiutando il mondo a uscire dal Novecento. A trent’an a Papa, Giovanni Reale racconta il “suo amico” Wojtyla poeta

La grandezza e l’u di Riccardo Paradisi


he ha cambiato il corso nni dalla sua elezione a e filosofo morale

umiltà

il paginone dell’Essere. Wojtyla spiega la persona con criterio analitico per arrivare al concetto tomisitico. Ma non si ferma a questo: pone al centro l’amore tra persone. Se persona infatti solo se hai rapporto con l’altro.Tu puoi dire ”Io”solo se hai un nesso strutturale con il ”tu”. E non solo con il tu minuscolo ma anche con il Tu maiuscolo». «L’uomo, scopritore di tanti misteri della natura, deve essere incessantemente riscoperto – scrive Wojtyla – rimanendo sempre in qualche modo un essere sconosciuto, egli esige continuamente una nuova e sempre più matura espressione della sua natura».

Ma è nella poesia, secondo Reale, che Giovanni Paolo II raggiunge un’intensità espressiva massima. «Il dilemma di Abramo con Isacco per esempio viene trattato da Wojtyla in maniera sublime: l’intervento di Dio che ferma la mano di Abramo significa che il sacrificio supremo, quello di immolare il proprio figlio, non spetta all’uomo, ma a Dio. ”È questo amore – mi disse il Papa – che mi ha spiegato tutto”». Un amore anche per i piccoli. Soprattutto per loro. «Platone parlava di un amore direttamente proporzionale alla grandezza verso cui era vòlto. Il cristianesimo rovescia questa prospettiva. Giovanni Paolo II aveva un’ammirazione sconfinata per Madre Teresa di Calcutta, che degli ultimi della terra andava a raccogliere i frammenti».

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operai: perché era uno di loro. Quando da operaio doveva assolvere i suoi doveri di sacerdote, ed era costretto ad assentarsi, erano i suoi compagni a sostituirlo. Solidarnosc». Il Papa soffriva molto per la negazione del valore della fraternità umana in cui anche l’Occidente sprofondava: «La negazione del religioso, il nichilismo, il relativismo: niente vale. E questo è il pericolo più grande. Il Papa non denunciava la ricchezza in quanto tale, la libertà economica. Denunciava l’assolutizzazione del denaro. Un’economia slegata dal lavoro, l’idea assurda che il denaro possa creare denaro. Quanto sta avvenendo in questi giorni mi ha fatto ripensare a quella sua denuncia del nichilismo occidentale». L’ultimo ricordo di Reale con Giovanni Paolo II risale a una delle ultime Pasque del suo pontificato. Ero nel suo appartamento a Castel Gandolfo mentre lo attendevo.

Il suo segretario mi aveva detto appena poche ore prima che stava malissimo, che a malapena parlava. Però ci teneva a vedermi. Guardavo dalla finestra uno splendido laghetto mentre lo attendevo quando a un tratto sentii chiamarmi con voce alta e ferma: ”Professore come sta?” Una forza straordinaria. È stata un’esperienza di vera vita cristiana quella vissuta con lui.Vedevo nella sua persona incarnata così bene quella fede in Cristo che è una forza reale. Tornavo dopo le visite con lui con la convinzione che

Nella sua critica al materialismo occidentale Giovanni Paolo II non denunciava la ricchezza in quanto tale né la libertà economica, denunciava l’assolutizzazione del denaro. L’idea assurda che il denaro possa creare denaro

Eppure il Karol Wojtyla che ripete ”Il nostro regno non è di questo mondo”, è stato anche un grande capo politico, lo stratega della dissoluzione dell’impero sovietico: «È vero: ma Wojtyla ha messo in campo categorie metapolitiche. Dei valori che non possono essere schiacciati dalla politica militante.Solidarnosc non era solo un movimento politico. Era un movimento che viveva il valore della solidarietà umana, della fraternità. Una persona atea, in una conferenza che ho tenuto sulle opere del Papa, mi contestò il fatto che gli operai polacchi fossero interessati al pensiero del Pontefice. ”Cosa vuole che interessasse a loro di queste cose”. Gli risposi che si sbagliava di grosso. Che Wojtyla conosceva benissimo gli

molte cose che si credono comunemente irrealizzabili possono invece realizzarsi» I versi di Karol Wojtyla che Reale ama ricordare parlano di sacrificio ma anche di bellezza. «Ti sei affaticato molto per ognuno di loro. Ti sei stancato mortalmente. Ti hanno distrutto totalmente. Ciò si chiama amore. ...Eppure sei rimasto bello Il più bello dei figli dell’uomo. Una bellezza simile non si è mai più ripetuta. O, come è difficile questa bellezza, Come è difficile. Tale bellezza si chiama amore». E anche: «Conosco soprattutto una forza che mi vince, mi vince infinitamente con l’Amore».

Oggi il Papa all’anteprima della pellicola ispirata dal cardinal Dziwisz

E il Vaticano lo celebra con un film e un libro di Francesco Rositano

ROMA. Più di cinquanta televisioni provenienti da tutto il mondo in Vaticano per la presentazione del film Testimonianza, tratto da Una vita con Karol, scritto dal cardinale Stanislaw Dziwisz segretario personale di Karol Wojtyla e dal vaticanista Gianfranco Svidercoschi. Un’iniziativa importante pensata per ricordare i trent’anni dall’elezione al soglio pontificio, avvenuta il 16 ottobre 1978. Il film che presto sarà nelle sale, verrà proiettato oggi in Vaticano alla presenza di papa Benedetto XVI. A presentarlo alla stampa, i due autori Dziwisz e Svidercoschi, l’attore Michael York e il produttore Przemyslaw Hauser. Il cardinale Dziwisz, oggi arcivescovo di Cracovia, vedendo la sala piena di giornalisti, ha ricordato il rapporto che il papa polacco aveva con la stampa. E ha aggiunto che Giovanni Paolo II «voleva tanto bene ai giornalisti, anche quando scrivevano male», e ha raccontato come dopo aver visto un articolo negativo nei suoi confronti su un giornale italiano, il Papa rilevò: «Meritavo anche peggio». Poi si è soffermato «sul rapporto filiale con Giovanni Paolo II»: «per me era un padre, eravamo una famiglia». Il film si intreccia con documenti e foto inedite provenienti tra l’altro dagli archivi vaticani e da collezioni private; ad integrarli alcune scene nelle quali vengono utilizzati gli oggetti che Karol Wojtyla utilizzava ogni giorno, come l’altare da viaggio che fin dai tempi in cui era vescovo portava sempre con sé. La realizzazione della pellicola è durata quasi un anno, girata tra il Vaticano, Cracovia e Wadowice, la città natale di Giovanni Paolo II. Autore del tema musicale è il compositore Vangelis. Un lavoro che cerca di ricostruire il profilo autentico del Papa: il suo carisma, le sue passioni, il suo rapporto empatico con i giovani. Joaquin Navarro Valls, ex-direttore della sala stampa della Santa sede e vaticanista del canale All news, intervistato da un tv, lo ha definito ”il papa del buonumore”. «Avere buonumore - ha raccontato Navarro - alla sua età con tutti i vari problemi di salute che aveva sulle spalle, era un segno chiaro di santità». La sola cosa che lo faceva veramente arrabbiare ha concluso il vaticanista era «se un essere umano, che fosse donna, uomo o bambino, occidentale o orientale, veniva calpestato e umiliato fisicamente e/o moralmente. Anzi l’umiliazione gli pareva una bestemmia». Questo perché «credeva molto nelle parole della Genesi in cui si dice che Dio fece l’uomo a sua immagine e somiglianza. «Papa Woytyla - ha proseguito Navarro Valls - aveva una capacità comunicativa immediata, fin dal giorno della sua elezione. La storia è cambiata grazie a lui e la sua caratteristica più bella era l’autenticità»; non recitava cioé un ruolo, ma «diceva solo quello che voleva dire». Se Navarro Valls si è soffermato in particolare ”sull’uomo Wojtyla”che sul significato del suo pontificato, il libro Giovanni Paolo II parroco di Roma di Angelo Zema, pubblicato da Lateran University Press, mira in particolare ad approfondire il suo ruolo di vescovo di Roma. E racconta le sue 336 visite presso le parrocchie romane.Visite alle quali il Papa teneva tanto quanto ai suoi viaggi in giro per il mondo. Il libro dà ampio spazio al racconto di aneddoti ed episodi che hanno caratterizzato le visite alle parrocchie e si va da battute come: «Santita’, 2-0!»che un bambino rivolse al Papa dopo un incontro di calcio Italia-Polonia, all’altra pronunciata da una bimba, «Sei molto bello, tutto vestito di bianco, altro che televisione!». Ma il volume intende farsi soprattutto voce del «servizio alle persone» che con queste visite il Papa rendeva ai fedeli romani e attraverso queste ripercorrere anche, haspiegato l’autore, «un pezzo della storia della Chiesa, e della Chiesa di Roma in particolare».

Il ricordo commosso di Joaquin Navarro Valls, ex direttore della sala stampa vaticana: «Era il papa del buonumore»


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forum

Etica&Affari/2. Lo scontro sociale porta i cittadini a rompere le regole di condotta generale. Ma questo non può colpire il concetto di libero mercato

Più Valori in Borsa «Se abbiamo limitato le pressioni in politica dobbiamo limitarle anche per l’economia»

La seconda puntata del forum della John Templeton Foundation dal titolo “Il libero mercato corrompe l’etica?”. L’intervento di oggi è di Michael Walzer, professore a Princeton e commentatore della rivista The New Republic. Nei prossimi tre giorni, saranno pubblicati i saggi di Michael Novak (ricercatore dell’American Enterprise Institute e direttore da Washington del nostro quotidiano), John Gray (professore alla London School of Economics) e Jagdish Bhagwati della Columbia University.

di Michael Walzer segue dalla prima E poi a prendere soldi da loschi individui e a compromettere principi che non dovrebbero essere compromessi; tutto questo deve essere giustificato in qualche modo, e il carattere morale non sopravvive alla giustificazione (per lo meno non rimane integro), ma questi ovvi difetti non costituiscono un argomento contro la democrazia.

Per essere onesti, la competizione politica ed economica produce anche progetti di cooperazione di molti tipi: associazioni, aziende, partiti, sindacati. All’interno di questi progetti la comprensione, il rispetto reciproco, l’amicizia e la solidarietà si sviluppano e si rinforzano; le persone imparano pregi e difetti delle decisioni collettive, delimitano le

competizione politica ed economica sicura per la moralità di uomini e donne? Sicuramente non può essere resa totalmente sicura. I mercati e le elezioni libere sono intrinsecamente pericolose per tutti, non solo perché le persone, i prodotti o i politici sbagliati potrebbero vincere, ma anche perché il costo della vittoria per le persone, i prodotti e i politici giusti potrebbe essere troppo alto. Non possiamo, tuttavia, trattare i pericoli del mercato e delle elezioni allo stesso modo.

Lavoriamo duramente per porre limiti alla competizione politica e per aprirla alla partecipazione di persone più o meno morali, anche se i politici non sono generalmente riconosciuti come esempi di moralità di questi tempi, in parte perché sono così esposti

La competizione politica spinge le persone a gridare bugie agli elettori, fare promesse che non si possono mantenere, prendere soldi da loschi individui e compromettere i loro principi proprie posizioni, corrono rischi e creano alleanze. Tutti questi processi determinano il carattere, ma - dato che la posta in gioco è così alta - i partecipanti a queste attività imparano anche ad osservare e a diffidare l’uno dell’altro, a nascondere i propri progetti, a tradire gli amici, e – come sappiamo – alla fine si arriva a scandali tipo Watergate ed Enron. Si diventa “personaggi” di storie di corruzione aziendale, di scandali politici, azionisti derubati ed elettori ingannati. Esiste un modo per rendere la

ai riflettori e ogni colpa, ogni punto debole è trasmesso in tutto il mondo. Tuttavia, le democrazie costituzionali sono riuscite a fermare le peggiori forme di corruzione politica. Siamo liberi dal capriccio dei tiranni, dall’arroganza aristocratica, dalla repressione, dagli arresti arbitrari, dalla censura, dalla repressione giudiziaria e dall’ostentazione delle sofferenze. Non siamo così liberi da non aver bisogno di vigilare per difendere la nostra libertà, ma lo siamo abbastanza per organizzare la difesa. I

politici che mentono troppo spesso o rompono troppe promesse tendono a perdere le elezioni. Quindi no, la corruzione peggiore della nostra vita pubblica non viene dalla politica ma dall’economia, e questo avviene perché non ci sono limiti strutturali al comportamento del mercato. Forse il più importante successo della democrazia costituzionale è stato portare la disperazione fuori dalla politica.

Perdere il potere non significa essere eliminati, e i sostenitori della parte sconfitta non vengono schiavizzati o esiliati. La posta in gioco nella battaglia per il potere è molto più bassa, il che aumenta le opzioni per la condotta morale. Il moderno stato sociale si suppone faccia la stessa cosa per l’economia: regolamenta il mercato ponendo limiti a ciò

che può essere perduto, ma in effetti – perlomeno negli Stati Uniti – non c’è molto in questo senso. Per troppe persone la competizione è molto vicina alla disperazione.

L’autore Michael Walzer, filosofo Usa, si occupa da anni di filosofia politica, sociale e morale. Attualmente insegna presso l’Institute for Advanced Studies di Princeton. Pensatore eclettico, si è occupato di un vasto spettro di argomenti. Tra quelli più noti, vi sono i suoi studi sulla teoria della guerra giusta, il nazionalismo, la giustizia distributiva, la critica sociale e la tolleranza. Oltre all’insegnamento, è caporedattore di Dissent e collabora con The New Republic. È anche direttore editoriale della rivista accademica Philosophy & Public Affairs. La sua bibliografia odierna comprende ventisette monografie e oltre trecento tra articoli, saggi e recensioni. È membro di diverse associazioni filosofiche, tra cui l’American Philosophical Society. Considerato uno degli esponenti di spicco della corrente «comunitaria» del pensiero politico contemporaneo, ha come obiettivo una sintesi tra il socialismo democratico e i principi-cardine del liberalismo, tra il ruolo centrale della comunità e le prerogative individuali. Nella sua concezione, la filosofia politica deve essere radicata nella cultura di una società, e non peccare di eccessiva astrattezza.

Quello che è a rischio è la sopravvivenza di una famiglia, l’assistenza sanitaria per i bambini, un’istruzione decente e una vecchiaia dignitosa, e rischi come questi non


forum

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Le Borse mondiali tornano in negativo

Berlusconi e l’opa ostile di Alessandro D’Amato

ROMA. È durata poco. L’euforia delle Borse si è affievolita ieri, dopo un lunedì da leoni e un martedì in altalena. Complice una Wall Street che ha chiuso in negativo (DJ -0,82; Nasdaq -3,54%), si è capito quasi subito che la giornata sarebbe stata difficile: le piazze europee hanno avuto un avvio difficile – subito futures in calo, aperture negative – e la giornata è andata avanti anche peggio, fino a chiudere in negativo. E in Italia Berlusconi, riprendendo le parole di Lamberto Cardia, presidente della Consob, ha paventato il rischio di Opa ostili da parte di fondi sovrani di «paesi produttori di petrolio»: probabile a questo punto una “stretta”sulla legge delle offerte pubbliche di acquisto.

lasciano molto spazio alla moralità. Le persone perbene agiranno bene, e la maggior parte è perbene quando può esserlo. Peraltro, le conseguenze di questa battaglia sono corrosive a lungo.Un altro risultato del costituzionalismo è stato porre dei limiti al potere politico della maggior parte degli uomini e delle donne di governo, che devono convivere con poteri che li controbilancino, partiti e movimenti di opposizione, elezioni periodiche, una stampa libera e talvolta critica. L’obiettivo fondamentale di queste restrizioni è minimizzare i danni che persone già compromesse possono fare, ma qualcuno dei nostri politici, per la verità, interiorizza tali restrizioni, e questo è un importante processo di costruzione del carattere. La regolamentazione del mercato porrebbe limiti simili al potere economico degli uomini e delle donne più benestanti, ma – di nuovo – non abbiamo molto in questo

senso. Le restrizioni del potere economico sono molto deboli; il contropotere dei sindacati è stato enormemente ridotto, il sistema esattoriale regredisce sempre più e la regolamentazione di banche, investimenti, prezzi e fondi pensionistici è praticamente inesistente. L’arroganza delle elite economiche in questi ultimi decenni è stata strabiliante, e deriva dalla chiara percezione di poter fare qualsiasi cosa vogliano. Questo tipo di potere, come ha scritto Lord Acton anni fa, è profondamente corrompente, e la corruzione si estende alla politica, dove l’influenza dei soldi – guadagnati senza restrizioni in un mercato senza controllo – mina la costituzione politica. Si ha bisogno di denaro, per esempio, per una campagna elettorale (per un buon candidato o una buona causa), e c’è qualcuno – un banchiere, una grande azienda – che ha molti soldi e li offre ad un determinato prezzo, come politiche o leggi

che migliorino la sua posizione economica. L’altra opzione è trovare soldi come possibile. Quale carattere resisterà alla corruzione?

Qualcuno potrebbe dire : non è questo il modo per mettere alla prova una persona? Se la struttura del mercato limitasse il potere del benessere e lo stato sociale riducesse il timore della povertà, non renderemmo la virtù troppo semplice? Più facile, forse, ma mai veramente facile. Si consideri di nuovo l’analogia politica: rendiamo la virtù troppo facile quando rifiutiamo il potere tirannico e quando proteggiamo i deboli dalla persecuzione? La pressione corrosiva della competizione elettorale non se ne va. Abbiamo posto dei limiti a queste pressioni per il rispetto della fragilità umana, e se abbiamo bisogno di farlo riguardo il governo, sicuramente abbiamo bisogno di farlo riguardo il mercato.

Subito in difficoltà le borse asiatiche (tranne Tokyo: il Nikkei chiude a +1,06%), alla quale hanno risposto Parigi, Francoforte e Londra, oltre a Milano. L’annuncio di un piano di sostegno anche per gli istituti di credito del Sud Est asiatico – sulla falsariga del primo piano Paulson, attraverso il riacquisto dei “titoli tossici” – non ha cambiato di molto il trend, così come l’annuncio di un’asta della Banca Centrale Europea a un quantitativo illimitato in dollari. A metà mattinata da registrare l’accentuazione dei cali e le parole di Angela Merkel, che ha annunciato un G8 entro l’anno, e soprattutto quelle di Gordon Brown, che ha chiesto di nuovo un “supervisore unico”per i mercati. E ha anche annunciato la presentazione di un piano “Bretton Woods 2”per i mercati, con una riforma del sistema finanziario mondiale. Una buona notizia: l’Euribor a tre mesi è passato dal 5,235% al 5,168%. Il tasso a una settimana scende dal 4,201% al 4,100% infine l’Euribor a sei mesi opassa dal 5,298% al 5,235%. Ma gli istituti di credito continuano a depositare cifre record presso la Bce, dimostrando di essere ancora molto cauti nel prestarsi soldi fra loro

nonostante le misure straordinarie. La Commissione Europea ha proposto, recependo le richieste dell’Ecofin, di aumentare fino a 100mila euro la garanzia sui depositi, mentre la Banca d’Italia ricorda che le misure cautelative non è detto che aumentino le spese, anche se il credito bancario continua ad irrigidirsi e ci sono chiari segnali di ristagno nell’economia italiana. Intanto, la Danimarca e la Svezia aprono all’euro: il premier danese annuncia un altro referendum entro il 2011.

Nel pomeriggio, l’apertura di New York è di nuovo negativa, e la Borsa italiana, con tutte le altre piazze, accentua le perdite dopo le notizie su Wall Street. A metà pomeriggio torna ufficialmente la paura: -6% Londra, 5,6% Francoforte, -4% Milano. Il bollettino Congiuntura Flash del Centro studi di Confindustria conferma che la crisi finanziaria internazionale si è aggravata rapidamente e contagia l’economia reale: la ripresa è rinviata al 2010 e il Pil italiano chiuderà a -0,2% nel 2008 e a -0,5% nel 2009. Poi, a scambi ancora aperti, arrivano le dichiarazioni di Silvio Berlusco-

È durata poco la riscossa dei mercati internazionali. Intanto il premier ha denunciato le attività “sospette” dei fondi sovrani dei Paesi arabi ni: «La Borsa è anche teatro della speculazione.Voi sapete si possono realizzare utili sia quando le Borse sono al massimo, sia quando sono al minimo livello. Io credo che ci sia in atto un’attività di questo tipo - ha detto -. Ho notizia che i paesi produttori di petrolio che hanno molti fondi stanno acquistando massicciamente sui nostri mercati. Ora ci sono ottime occasioni per chi, disponendo di capitali, penso a certi fondi sovrani, volesse proporre opa ostili». Alla fine, le chiusure delle Borse fanno paura: Milano -5%, Londra -7%, Francoforte e Parigi si attestano intorno al 6%. E oggi potrebbe tornare il panico.


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il personaggio

Torna alla ribalta con una nuova compilation quel camaleontico paroliere di David Bowie. Che però, sul ciglio dei 62, proprio non ci pensa a esibirsi in tour

Riecco l’eterno Peter Pan L’ex Duca Bianco ha ri-ragionato su se stesso selezionando 12 tracce tra le migliori del suo repertorio di Stefano Bianchi dal buon rock di Reality che David Bowie non incide più un disco. Cinque anni. E da quattro non gli passa neppure per la testa d’andare in tournée. Per carità, l’alibi è di ferro: il cuore che ha fatto le bizze fra un palcoscenico e l’altro, l’intervento di angioplastica ad Amburgo, il rientro per la convalescenza a New York, quartiere di SoHo, dove risiede da qualche anno. L’ex Duca Bianco, da allora, s’è fatto notare col contagocce fra un “cameo” nel film The Prestige (indossava i panni dell’inventore serbo-americano Nikola Tesla), le ospitate nei dischi di Scarlett Johansson e Tv On The Radio, i blitz nei concerti del chitarrista David Gilmour (ha intonato in bellezza le “pinkfloydiane” Arnold Layne e Comfortably Numb) e degli Arcade Fire, fra una Wake Up cantata in coro con la band canadese e Life On Mars? più Five Years scremate dal suo glorioso repertorio.

È

Paure, più che altro, in vista dei 62 anni da festeggiare (il meno possibile) l’8 gennaio. Un’età che ha tutta l’aria di pesargli addosso come un macigno. Brutto colpo per chi non ha mai voluto saperne d’invecchiare, incapsulato com’era nel mito dell’eterno Dorian Gray. Da sempre giovane, a quasi-pensionato: facile immaginarcelo, il campione dalle mille metamorfosi, mentre va al supermercato e poi accompagna la figlia Alexandria Zahra a scuola e tutt’al più si concede in compagnia della consorte Iman qualche minuto in qualche serata mondana. Paul Weller, un paio di mesi fa, ha espresso il desiderio d’averlo accanto a sé dal vivo. La risposta, ovviamente, tarda ad arrivare. In compenso (per ammazzare il tempo?) David Bowie ha ri-ragionato su se stesso selezionando 12 canzoni «di cui non mi sono mai stancato. Alcune di queste sono molto famose. Altre, vengono ancora riproposte ai miei concerti».

Grandioso: l’ex Ziggy Stardust che compila una “playlist” ritagliandola da un canzoniere che definire oceanico è riduttivo. iSelect: Bowie, inizialmente allegata al domenicale inglese The Mail On Sunday e andata a ruba, esce in tutto il mondo su etichetta discografica Emi (20,60 euro).

E non è la solita raccolta piena zeppa di successi stra-ascoltati (non mancano mai, di solito, né Heroes e tantomeno Let’s Dance, per non parlare di Fame e Rebel Rebel), ma un punto di vista definitivo, un’orgogliosa autoanalisi, un cumulo di ricordi che l’eclettico artista londinese ha voluto annotare, brano dopo brano, nel libretto che accompagna questo cd da consigliare tanto al “bowiano”incallito, quanto al neofita. «Questa canzone era così semplice. Così come lo è stato essere giovani», dice di Life On Mars?, melodia di ferro in un guanto di velluto, dall’album Hunky Dory, anno di grazia 1971. E prosegue: «Mi incamminai lungo Beckeham High Street per prendere l’autobus e andare a comprare scarpe e camicie. Ma non riuscivo a togliermi quel motivetto dalla testa. Scesi dopo 2 fermate e andai verso casa, a Southend

iSelect: Bowie, inizialmente allegata al domenicale inglese ”The Mail On Sunday” (e letteralmente andata a ruba), non è la solita raccolta piena zeppa di successi ascoltatissimi, ma piuttosto «un cumulo di ricordi» dell’artista londinese Road. Il mio spazio di lavoro era una grande stanza vuota con una “chaise longue”, un paravento Art Nouveau trovato a prezzo stracciato, un enorme posacenere e un pianoforte. Iniziai a lavorarci su, e già nel tardo pomeriggio completai la parte lirica e la struttura melodica. Rick Wakeman, il tastierista, mi raggiunse un paio di settimane dopo arricchendo gli arrangiamenti, mentre il chitarrista Mick Ronson creò una delle sue prime e migliori partiture d’archi». Altrettanto memorabile è

la “orwelliana” Sweet Thing / Candidate / Sweet Thing (Reprise) del ’74, composta utilizzando il metodo del “cut-up” caro a William Burroughs («Scrivi un paio di paragrafi creando una specie di storia, e poi tagli le frasi a pezzi di quattro o cinque parole. Dopo averle mischiate e ricomposte, ottieni interessanti combinazioni di idee») e incastonata nell’ellepì Diamond Dogs, che disquisiva di «adolescenti punk, su pattini arrugginiti, che vivevano nella decadente Hunger City.

Un paesaggio post-apocalittico, fra Kurt Weill e la New York dei Velvet Underground. Non essendo riuscito ad acquisire dalla vedova di George Orwell i


il personaggio nammo tutto il lavoro quella notte, ed è possibile che sia finito a bere al Sombrero di Kensington High Street o sia andato a sconvolgermi al Club La Chasse di Wardour Street». Di tutt’altra pasta, viziosamente “glam”, Lady Grinning Soul (’73, da Aladdin Sane) è puro cabaret: «L’ideale ricostruzione di un varietà “esotico” da fine Ottocento. Ventagli, nacchere, corpetti di pizzo, un bar saturo di fumo… L’ho scritta per una splendida ragazza che non ho più visto. E quando la riascolto, ovviamente, lei ha ancora vent’anni. Lady Grinning Soul ha il potere di riavvicinarmi al passato in modo allettante: talmente vicino, che mi sembra quasi di toccarlo».

Altra

Dopo cinque anni di (quasi) silenzio, David Bowie decide di tornare alla ribalta. E lo fa con una “playlist” di prossima uscita mondiale che comprende 12 canzoni tra le migliori del suo sterminato repertorio: “iSelect: Bowie”

diritti letterari per il romanzo 1984, e avendo già scritto qualche canzone per una pièce teatrale ad esso ispirata, feci un veloce dietrofront e riciclai l’idea per Diamond Dogs». La Bewlay The psichedelica Brothers (’71, da Hunky Dory), è invece frutto, spiega Bowie, «di un “palinsesto”che stratifica fantasmi. Era tardi, ricordo. Per tutta la giornata avevo buttato giù una miriade di parole. Mi ero sentito instabile per l’intera serata, come se qualcosa si stesse articolando nella mia mente. È probabile che possa aver fumato qualcosa nella mia pipa Bewlay, che poi ha dato il titolo alla canzone. Ricordo di aver vissuto una specie di espansione emotiva. Termi-

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Amo ancora questa canzone: per lei, darei in qualsiasi momento due Modern Love in cambio. Ed è sempre appagante, cantarla dal vivo. Il testo parla di una visione ridotta della vita, del non guardare troppo in là, dell’impossibilità di prevedere future batoste. In buona sintesi, è un consiglio: che avrei potuto rivolgere a un

fondamentale

svolta, quella nel soul e nel rhythm & blues di Young Americans (’75), che annovera Win fra le canzoni più riuscite. Bowie avrebbe voluto dedicarla a Winifred Atwell, la pianista di Trinidad cresciuta a pane, blues e rhythm & blues che negli anni Cinquanta suonò per le Forze Armate americane e fu la prima artista di colore a vendere un milione di dischi nel Regno Unito. «Era la migliore. La vincente in assoluto. Ma siccome Win parla di vittoria nel senso più ampio del termine, ho pensato a David Sanborn che nel pezzo suona il sax. All’epoca, sperimentava sugli effetti sonori e io speravo si addentrasse di più in quell’area. Invece, scelse di diventare ricco e famoso. Quindi, alla fine ha vinto lui». Some Are, proseguendo in scaletta, sintetizza la fruttuosa collaborazione fra David Bowie e l’ambient musician Brian Eno culminata dal ’77 al ‘79 nella trilogia berlinese degli album Low, Heroes e Lodger. «È una breve composizione, all’apparenza tranquilla. Gli ululati dei lupi in sottofondo, sono suoni di cui non ci si può accorgere subito. Quasi umani: belli e raccapriccianti. Potrebbero visualizzare immagini della ritirata dell’esercito napoleonico dopo la sconfitta di Smolensk. Oppure, un pupazzo di neve col naso a carota e ai suoi piedi un biglietto d’ingresso al Crystal Palace Football Club tutto sgualcito. Una depressione totale». Al contrario, Teenage Wildlife (’80, dall’album Scary Monsters) sprizza energia rock & roll nello stile di Ronnie Spector, con l’aggiunta di un indimenticabile duello fra le chitarre elettriche di Robert Fripp e di Carlos Alomar: «Che sia benedetta.

fratello più piccolo o all’adolescente che era in me». Da Lodger (’79), disco di “avant-pop”con tracce di funky, Bowie estrae Repetition («Decisi di scrivere qualcosa sul tema della violenza sulle donne, sotto forma di breve dramma. Non riuscivo a capacitarmi di come si potesse picchiare una donna non solo una volta ma molte, ripetute volte. Di conseguenza, la mia voce è impassibile e compassata, come se leggessi un resoconto anziché testimoniare

Paul Weller ha espresso il desiderio d’averlo accanto a sé dal vivo. Ma la risposta, purtroppo, tarda ad arrivare

un evento») e la bizzarra Fantastic Voyage che «ricorda nelle atmosfere certe commedie musicali in voga negli anni Cinquanta». Poi, a sorpresa, infila due brani selezionati da Tonight (’84) e da Never Let Me Down (’87), ossia i dischi più brutti e poco ispirati della sua carriera: orientati su sonorità plastificate, artificiali, poco coinvolgenti. Dal primo disco, la poppettara Loving The Alien («Che non è l’ennesima ode ai piccoli e verdi Marziani, ma piuttosto un sintomo recidivo») è l’ideale “sequel”di Space Oddity e di Ashes To Ashes, con quell’astronauta sempre più sperduto fra le galassie dello spazio. Dal secondo, la superflua Time Will Crawl può se non altro contare su un azzeccato, rinvigorente “restyling”: «Ci sono canzoni che per un motivo o per l’altro ho desiderato registrare di nuovo. In questo caso, ho sostituito la drum-machine con una vera batteria, aggiunto degli archi adeguati e l’ho remixata ottenendo una nuova versione dalle sfumature che ricordano in qualche passaggio Neil Young». L’epilogo di iSelect: Bowie, registrato dal vivo ai tempi di Ziggy Stardust, è quella Hang On To Yourself che anticipò l’ultrarapidità del punk: «Ci esibimmo, io e gli Spiders From Mars, in più di 50 concerti nel Regno Unito. Questo estratto, invece, fa parte dello show di Santa Monica del 20 ottobre ‘72, dodicesima tappa negli Usa. Ricordo che mi piazzai di forza nella posizione più centrale del palco. Così, come niente fosse, come un vecchio attore consumato. In realtà, trattandosi della nostra prima esibizione dal vivo che veniva trasmessa in diretta radiofonica, avevo i nervi a fior di pelle. Ci incasinammo parecchio, quella sera. Ma l’entusiasmo e l’orgoglio mascherarono bene ogni “defaillance”».

A sentir certe voci da “blog”, David Bowie parrebbe intenzionato a portare in tour le canzoni della compilation con l’aggiunta di altri pezzi più o meno famosi e sfiziosi. Il giro di concerti, previsto secondo indiscrezioni per l’estate prossima, snocciolerebbe una trentina di date toccando Italia, Francia, Gran Bretagna, Olanda, Germania, Svizzera e Spagna. Troppa grazia. Dopotutto, basterebbe un nuovo disco. E il mito, in barba agli anni che fuggono, si rimetterebbe in pista. Basta solo che lo voglia, anziché farsi fotografare col sacchetto di Dean & Deluca, l’emporio enogastronomico più cool di Manhattan.


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letture Sogni e lacerazioni della destra italiana ai tempi del ’68

ai come quest’anno del quarantennale 1968 - abbiamo visto manifestarsi la cosiddetta egemonia culturale della sinistra. Pamphlet, documentari, conferenze, e nostalgiche ospitate nei salotti buoni della tivù: questo lo sfondo per celebrare quegli anni “formidabili”, gli anni, appunto, della contestazione globale. In netta controtendenza rispetto al filone nostalgico recentemente riesumato, e vestito a festa per l’occasione, sta invece il libro 1968. Le origini della contestazione globale, edito per i tipi delle Edizioni Solfanelli e scritto da Marco Iacona, già curatore di alcuni saggi per le politicamente scorrette Edizioni di Ar e collaboratore della Fondazione Julius Evola.

M

A fronte dell’enorme ripetitività e tendenza all’autocelebrazione che accomuna la lunga lista di libri che quest’anno hanno indagato, fin nei minimi dettagli, il 1968, primo merito del testo è proprio il suo essere intimamente controcorrente. L’autore, infatti, esprime l’idea d’una ricerca veramente alternativa, e al contempo rigorosa, di quei concitati mesi tra la fine del 1967 e l’inizio del 1968. Obiettivo è perciò quello d’indagare il ’68 “da destra”, sia perché prospettiva sicuramente meno nota al grande pubbli-

Quando Hitler e Mao andavano a braccetto di Andrea Niccolò Strummiello co ma anche perché furono proprio quei mesi rivoluzionari a segnare all’interno di questa una rivolta nella rivolta, con conseguenze di non poco conto. Il Sessantotto fu perciò un anno fondamentale, non solo per il mondo giovanile in generale ma, anche e soprattutto per la stessa destra, al bivio tra il conservatorismo dei vertici del Msi e il tentativo di coniugare prospettive diverse, spesso inconciliabili, per cercare cioè di “cavalcare la tigre” - tanto per usare un’espressione dello stesso Evola, autore cult della destra radicale di quegli anni - di quei giorni rivoluzionari. Iacona è attento a seguire i rapidi eventi di quell’anno secondo una duplice

A destra, il filosofo italiano Julius Evola, vero e proprio punto di riferimento della destra radicale degli anni Settanta, Ottanta e Novanta. In basso, Hitler (a sinistra) e Mao (a destra). Negli anni delle contestazioni giovanili, soprattutto i più giovani non mancavano di vedere «Hitler e Mao, uniti nella lotta»

”Cavalcava la tigre” secondo i principi di Julius Evola e invocava schemi dittatoriali educata al culto della rivoluzione: quella d’Ottobre da una parte e quella Fascista dall’altra. Ecco la “meglio gioventù” sessantottina secondo Marco Iacona prospettiva: quella di retroscena, quella cioè dell’Italia degli anni ’60 quale epicentro di una serie d’innovazioni socio-culturali, e quella più particolare e complessa del mondo universitario, già ampiamente politicizzato, effervescente microcosmo che avrebbe di lì a poco prodotto la rivolta studentesca, banco di prova dei ben più tragici anni di piombo.

Questo libro fa parlare i fatti, gli eventi e le citazioni, e non quella vulgata comune fatta di ricordi nostalgici e sentimentali, tipica di una certa sinistra revanscista un po’ retrò e un po’ carente di motivazioni. Da questa impostazione d’indagine emerge nettamente la figura di una destra tutt’altro

che distratta, tutt’altro che indifferente di fronte a quell’anno di rivoluzione ma, anche fortemente lacerata: da un lato a guardia del regime, con Almirante e i suoi picchiatori pronti a difendere lo status quo di un paese ancora fortemente cattolico e anti-comunista, dall’altro, sperimentatrice e utopica, soprattutto tra i più giovani, che non mancavano di vedere “Hitler e Mao, uniti nella lotta”. Così, sullo sfondo della Facoltà di Valle Giulia - teatro di una vera e propria battaglia campale tra polizia e universitari - si sarebbe consumato lo strappo all’interno del Movimento Studentesco tra i “rossi” e i “neri”, preannunciando quella che sarebbe stata, ben più tragicamente, la violenta quotidianità di tutti gli anni ’70 e oltre. La rivolta di cui si parla è anche e soprattutto il segno ineluttabile della sconfitta di quei valori usciti vincitori dalla Seconda guerra mondiale nei cuori dei giovani di allora: mentre il mondo politico

e la società civile faticosamente costruivano un mondo occidentale progressista e democratico, i suoi stessi ragazzi invocavano a gran voce schemi dittatoriali perché «educati al culto della rivoluzione, quella d’Ottobre da una parte e quella Fascista dall’altra», per dirla

con le parole di Giano Accame, altro importante nome nel pensiero di destra, più volte citato nel libro. I figli cominciavano così, ribellandosi contro i valori dei padri, la lunga stagione della contestazione.

A conti fatti, come rileva giustamente Iacona, il ’68 non ha raggiunto dei veri e propri scopi politici, cioè pratici: non vi è stata soprattutto alcuna vera, radicale, riforma universitaria, come non vi è stato alcun disarmo globale, e la diffusione delle droghe non ha sortito gli effetti sperati di pacificazione mondiale. Nonostante questo, quell’anno fu determinante per la diffusione totalitaria e totalizzante d’un modernismo esasperato, in Italia come nel resto del mondo, nel costume come nella perdita del più naturale concetto di gerarchia, che tanto oggi si vorrebbe artificialmente trapiantare nelle scuole a suon di riforme. Pertanto, se oggi qualcuno vuole chiudersi nel rimpianto di non aver colto allora la fecondità, vera o presunta, di quel momento rivoluzionario, lo faccia anzitutto riconoscendo la mancanza d’una vera, profonda, ratio nella contestazione, ovvero d’una ragione che travalicasse il semplice prurito adolescenziale, o l’utopia politica. La “meglio gioventù” forse deve ancora arrivare.


mostre

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A Venezia continua a far discutere la mostra “Italics”: «impatto suggestivo, ma troppi artisti assenti»

Il ”Bignami” dell’arte italiana di Angelo Capasso

e il successo di una mostra d’arte si misura su quanto questa riesce a far parlare di sé, Italics, Arte italiana tra tradizione e rivoluzione, 1968-2008 (fino al 22 marzo 2009 a Palazzo Grassi, Venezia) è indiscutibilmente una mostra di successo. Poco importa se i giudizi espressi fino a oggi siano sostanzialmente negativi, Francesco Bonami, curatore della mostra, intende proporre il nucleo di 106 artisti raccolti a Palazzo Grassi in una mostra al Museum of Contemporary Art di Chicago (di cui Bonami è il curatore). Il curatore più prolifico della scena nazionale dice di aver raccolto con questa mostra le sollecitazioni internazionali (quelle di Michael Kimmelman del New York Times) a dare un nuovo slancio all’arte italiana, conosciuta ormai attraverso i soliti nomi. Si propone come il prosecutore di una linea positiva che si è interrotta con Italian Metamorphosis, l’ultima vera rassegna sull’arte italiana negli Stati Uniti, curata allora da Germano Celant nel 1995 per il Guggenheim di New York. Sulla trasvolata oceanica pesa-

S

rie” sulla base di un “dire comune” che il curatore ha fatto suo in modo acritico, dimenticando che l’arte vorrebbe essere rivoluzionaria sempre, anche quando si propone in modo “tradizionale”.

Quindi: cosa spiega la compresenza nella stessa sala dei I funerali di Togliatti di Guttuso del 1972 e la grande Vedova Blu, il gigantesco ragno di peluche realizzato nel 1968 da Pino Pascali? Oppure quella del Nero cretto di Burri con un ciclo di foto sulla mafia di Letizia Battaglia? Non è forse un po’ ovvio il confronto tra Plurimo-Binario, l’esplosione di colore che Emilio Vedova ha dipinto nel 1977 e la Superficie bianca del 1968 di Enrico Castellani? Questa dialettica visiva paradossale non ha confini: in una grande sala di Palazzo Grassi i fondoschiena tatuati dalle sedie fotografati da Gabriele Basilico si misurano con i fondoschiena poggiati su sedie di design in miniatura di Paola Pivi. Un merito di questa mostra è certamente quello di sottolineare bene la linea femminile dell’arte italiana, che è qui rappresentata a partire dalla sua massima protagonista, Carla Accardi, passando per Marisa Merz, presente con una delicatissima Fontana, fino alle più giovani campionesse quali Margherita Manzelli con le sue figure femminili inquietanti, e le pluridecorate Bruna Esposito, Micol Assäel, Monica Bonvicini e Vanessa Beecroft, quest’ultima presente con un’opera che ci ricorda i suoi esordi molto più inquieti e fertili: una serie di disegni dal titolo The book of food I che compongono un diario alimentare, dove l’artista adolescente, ossessionata dal cibo, per dieci anni ha preso nota delle sue abitu-

Le polemiche più dure si abbattono sui ”vuoti” ingiustificati. La Scuola di Piazza del Popolo, ad esempio, è rappresentata dal solo Mario Schifano

no però i giudizi negativi. Il limite più evidente è che i 40 anni di storia raccontati dalle 180 opere circa si confondono dietro a soluzioni espositive del tutto opinabili. Le opere dialogano tra loro nelle sale per assonanze o contrapposizioni di superficie, sono “tradizionali”o “rivoluziona-

dini alimentari. In questa contrapposizione tra passato e presente, il “fronte nuovo” dell’arte italiana è meglio rappresentato. Forse perché è su di questo che Bonami, curatore ed ex pittore, si è formato. Le nuove generazioni sono schierate al meglio, capitanate dal re indiscusso dell’arte italiana di oggi, Maurizio Cattelan che apre la mostra con il suo lavoro più recente All: nove sculture in marmo bianco di Carrara, distese a terra e coperte da un lenzuolo in un ambiente silenzioso e riflessivo ci fanno riflettere sulla morte, sull’identità e sulla consistenza e la sparizione della scultura tra i linguaggi del presente. C’è ovviamente Patrick Tuttofuoco, di cui Bonami ha curato una grande mostra alla Fondazione Sandretto. Le polemiche più dure che questa mostra ha raccolto si abbattono proprio sul principio storico che il curatore ha adottato e quindi sul numero di assenze e presenze ingiustificate. La gloriosa Scuola di Piazza del Popolo è rappresentata dal solo Mario Schifano - con un’opera che ricorda anche quella data fatidica iniziale, il 1968, dal titolo Compagni compagni: mancano i suoi “fratelli d’arte”, con cui ha condiviso la stagione maledetta della pittura: Tano Festa e Franco Angeli. E ancora, ritroviamo una Transavanguardia in formato ridotto con i soli Chia, Cucchi, Clemente (mancano De Maria e Mimmo Paladino). L’Arte Povera, il mo-

vimento ideato da Germano Celant nel ’68, è rappresentata da tutti gli esponenti torinesi – Paolini, Merz, Anselmo, Penone, Pistoletto, Boetti, Prini. Manca però Jannis Kounellis, che a questa area di ricerca torinese è associato per “biologia estetica”. Il “caso di Kounellis”ha fatto parlare di sé a lungo. L’artista greco naturalizzato italiano dall’arte, in disaccordo con il progetto internazional-localistico non ha voluto fossero esposte le sue Scarpette d’oro del 1971.

A ragione, dovremmo dire: del resto cosa giustifica lo sbilanciamento verso le nuove generazioni e la censure nei confronti di nomi già internazionali quali ad esempio, Zaza, Vaccari, Pisani, Mattiacci,

Nonostante le critiche, la rassegna ha un indiscusso successo.Tanto da indurre i curatori a farla approdare presto a Chicago

Pancrazzi, e la pedissequa rappresentazione del “piccolo mondo antico”dei vari Ferroni, Annigoni, Ariatti. Un’ultima nota stonata: la scelta di includere due grandi, De Chirico e Fontana, nella loro fase meno rappresentativa. Ovviamente per i due il ’68 è stata una data qualunque. Anzi no, Fontana è morto proprio nel ’68. Sono le date, non le opere, a fare la storia.


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cultura

Miti ritrovati. Dalla prossima settimana, una grande mostra a Palazzo Strozzi di Firenze celebra l’eredità del Rinascimento in due donne divise fra arte e potere

Il Made in Italy del ’500 Omaggio parallelo a Caterina e Maria de’ Medici, due regine italiane nella Parigi degli intrighi di Francesco Fontanella banchieri sono sulle prime pagine di tutti i giornali, colpevoli di non aver agito per il bene collettivo – si dice – ma soltanto per i propri miopi interessi. Il fallimento disastroso della Lehman Brothers in America è una delle pagine più nere della storia, soprattutto per le reazioni che ha prodotto. Andranno ripensate molte cose affinché episodi come questi, nel futuro, non possano più ripetersi. Ma forse sarebbe bastato guardare indietro, per vedere una felice compenetrazione tra cultura, progresso, economia e finanza che si ebbe proprio in Italia, in particolare a Firenze: la Firenze dei Medici. Una famiglia di banchieri che seppe, con un’illuminata saggezza, portare la propria città al centro dell’Europa. Il fiorino divenne la moneta di scambio nei mercati internazionali e persino i Re chiedevano loro dei prestiti. Fidandosi, per altro, cosa che davvero non si può dire delle banche di oggi. Insomma, i Medici divennero un esempio, nel mondo, per il modo con cui unirono grandi successi economici al progresso socio-culturale della città. Era l’intelligenza, la loro vera ricchezza. Ce ne siamo forse dimenticati? Oppure la storia è oggi destinata ad essere relegata per sempre al ruolo di Cassandra? La famiglia Medici fu l’altra faccia del Rinascimento italiano: il periodo storico che è famoso per lo splendore delle arti e per lo spirito che pervase ogni campo del sapere. E che cambiò per sempre il modo di pensare degli uomini.

I

Insomma, dietro questo “miracolo”c’era l’intelligenza, la cultura e la potenza dei Medici. Aprirà il 24 ottobre a Firenze la mostra Caterina e Maria de’ Medici: donne al potere; un omaggio a due delle più importanti donne medicee, vere protagoniste della storia d’Europa. Due donne colte, brillanti e molto ricche; si sono distinte per l’abilità politica, tale da permettere loro di arrivare ad essere regine. Due italiane, figlie di banchieri, sul trono di Francia: uno dei più alti riconoscimenti politici che i Medici raggiunsero e lo ot-

tennero proprio con loro. Ecco, a volte la storia è più intrigante dei romanzi e quella di Caterina (1519-1589) e Maria (1573-1642) sembra essere stata scritta per il teatro da William Shakespeare, loro contemporaneo, in cui passioni autentiche, intrighi di potere, amore e odio, grandi festeggiamenti e profonde solitudini si al-

con Leon Battista Alberti e poi i pittori Masaccio e Masolino e ancora letterati e filosofi e scienziati tra i più grandi d’Europa. Entra nella stanza il padrone di casa Cosimo detto “il vecchio”, nonno di Lorenzo “il Magnifico”. Colto, elegante, con grandi capacità in tutti i campi e soprattutto un grande imprenditore e mecenate. Questo è

alla nascita, sia del padre: Lorenzo, nipote di Lorenzo “il Magnifico”, che della madre: Maddalena d’Auvergne, principessa francese. Alla morte dei genitori, quindi, e poco dopo del suo protettore Papa Leone X, rimane completamente sola. È l’unica e diretta discendente del“Magnifico”; lei è il vero simbolo-speranza di un’importante alleanza tra Italia e Francia. Papa Clemente VII Medici, si erge a suo nuovo protettore, si proclama suo zio e la promette in sposa già a quattro anni al figlio di Francesco I di Francia, per rafforzare le alleanze politiche con il suo regno. Si sposa nel 1533 con Enrico II, che lei amerà e dal quale non verrà mai ricambiata. A corte di Francia, la giovane donna dimostra da subito le sue capacità: esperta nel cavalcare, abilissima nella caccia con l’arco, inventrice di danze, creatrice di mode e di costumi raffinati, mecenate delle arti e molto ancora. Insomma, Caterina è interessata ad avere un suo spazio, dove poter dimostrare che le donne possono eguagliare gli uomini e questo ne fa, già nel XVI secolo, una perfetta donna moderna, antesignana di tanti movimenti per l’emancipazione femminile. Nel 1559 il marito Enrico II muore in un tragico incidente. Caterina è

Dalle guerre di religione al trionfo della finanza: sull’onda della solidità delle sue banche, Caterina partì alla conquista dell’Europa sulle ali di Machiavelli ternano senza lasciare respiro. Tracciamo in poche linee due ritratti gemelli di due donne straordinariamente complesse, con un destino curiosamente simmetrico.

IL PROLOGO. Correva l’anno 1420. Siamo a Firenze e qualcosa di straordinario sta per accadere. Di lì a poco ci sarà la totale ripresa dei commerci e il passaggio dall’epoca feudale a quella moderna. Proviamo ad immaginare di trovarci ad una festa nel palazzo che Cosimo de’ Medici fece costruire per la sua famiglia da Michelozzo in via Larga (oggi via Cavour). In una stanza del palazzo con molta probabilità Donatello, Ghiberti e Brunelleschi parlano animatamente dell’architettura all’antica

Nelle foto, una serie di ritratti di Caterina e Maria de’ Medici dipinti tra il Cinquecento e il Seicento. In particolare, nella pagina a fianco, l’ultimo a destra è quello di Maria firmato da Alessandro Allori; sotto, sempre Maria ritratta da Rubens

quello che accadeva allora nei chiostri dei palazzi e nelle strade di Firenze. Tutti i più grandi geni del Rinascimento insieme in un momento solo.Toccherà al Magnifico invece superare il nonno con artisti come Raffaello, Leonardo, Michelangelo e Giuliano da Sangallo riuniti sotto lo stesso cielo. «Firenze giglio di forza…» recita un verso di Dino Campana. È il giglio capetingio che Luigi XI regala ai Medici nel 1466 per il suo stemma e che segnerà l’ascesa e il destino della famiglia fino all’incoronazione di Caterina e poi di Maria a regine francesi.

CATERINA. Anno 1519. Qui comincia la storia di Caterina. La piccola “duchessa” rimasta orfana

lamostra

Si aprirà vemerdì prossimo, 24 ottobre, a Palazzo Strozzi, a Firenze, una grande mostra intitoata «Caterina e Maria de’ Medici: donne al potere» che ricostruisce l’iconografia delle due donne che nelcorso del Cinquecento e dell’inizio del Seicento regnarono in Francia. La mostra, che rimarrà aperta fino all’8 febbraio, è centrata sul ciclo di arazzi dedicati alla leggendaria regina Artemisia, progettati dopo il 1560 per esaltare la figura di Caterina, appena rimasta vedova, ma realizzati all’inizio del Seicento per volere di re Enrico IV in omaggio alla sua giovane moglie Maria. Oltre a questo ciclo, la mostra ospita oggetti e dipinti appartenuti alle due regine, testimonianza diretta dei fasti artistici del Cinquecento a cavallo fra Italia e Francia. Del resto, se Caterina si confrontò con i terribili tumulti dell’Europa del

Cinquecento (entrando nella contesa fra Inghilterra e Spagna e cercando legami sia con Filippo II sia con Elisabetta I), Maria visse per intero la stagione d’oro di Richelieu, che prima lo sostenne e poi l’abbandonò al suo destino. Dal versamete puramente artistico, Maria si occupò di esportare in Francia la grande tradizione italiana, non solo quella “alta”, ma anche quella “popolare”. Per esempio, fu lei all’alba del Seicento a introdurre a Parigi la Commedia dell’Arte, affidando al primo Arlecchino della storia, Tristano Martinelli, il compito di introdurre a Corte i grandi comici italiani, da Giovan Battista Andreini a Pier Maria Cecchini. E da quel momento, il teatro italiano divenne di casa a Parigi.


cultura

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ziosi; così fa il suo ingresso in città: una Parigi freddissima e cupa, che lei tenta di rischiarare con il suo amore per l’arte, con la passione per il mecenatismo e con la sua mentalità moderna, come era già avvenuto con Caterina.

distrutta dal dolore. Porterà il lutto tutta la vita, diventerà per il suo popolo la “regina nera”, simbolo anche della sua austera autorità. Governerà lei per i successivi trent’anni, in qualità di regina madre e reggente, sempre in prima linea. Anni difficili, in cui la Francia è devastata dalle guerre civili e in balia di molte forze, che Caterina tenta di tenere in equilibrio, guadagnandosi così l’appellativo di “madame serpente”. La turbano i dissidi tra cattolici e protestanti. Proprio al riguardo, commette anche gravi errori, che verranno pagati con il sangue dei francesi, nella fatidica “notte di san Bartolomeo”.

Cerca persino il dominio della Scozia accogliendo a corte la

giovane Maria Stuarda, promessa sposa di suo figlio Francesco II. Ma il piano è destinato a fallire con la morte atroce di Maria, decapitata per ordine della cugina Elisabetta I Tudor, regina d’Inghilterra. Del resto,

far nascere un vero e proprio mito intorno alla sua figura, ricco d’episodi di estrema gentilezza, ma anche di freddezza machiavellica. Non a caso fu lei a diffondere Machiavelli in Europa, sia pure in una versione ec-

genitori: prima della madre, a causa di un incidente, successivamente del padre, vittima di avvelenamento da arsenico (quest’ultima è una scoperta recente, del 2006, pubblicata sul British Medical Journal). Maria cresce alla corte di Ferdinando I, circondata da personaggi di grande levatura come Giambologna e Jacopo Ligozzi; passeggiando nel giardino di Boboli e nelle grandi sale di Palazzo Pitti. Ferdinando I, lo zio, organizza il suo matrimonio con il re di Francia e nel 1600 vengono celebrate le fastose nozze con Enrico IV. Maria giunge a Parigi in una lettiga tappezzata di tela d’argento e di velluto cremisi, elegantissima, ornata di gioielli pre-

Prima regina del lusso e della cultura, poi vedova inconsolabile: Maria regnò in Francia con l’Italia nel cuore. E per vincere la malinconia portò con sé Arlecchino Caternia aveva già cercato di imbrigliare Elisabetta, mandandole lì come promesso sposo il nobile D’Alençon il quale, dopo un vago e inutile corteggiamento sarà rispedito al mittente. Insomma, tutta la grande versatilità di Caterina ha contribuito a

cessivamente papista e intrigante.

MARIA. Anno 1573. Nasce a Firenze, da Francesco I granduca di Toscana e Giovanna d’Austria. Come Caterina de’ Medici, rimane prematuramente orfana dei

Particolare risalto va dato alla sua passione per il teatro, che la rese celebre nella storia per aver introdotto in Francia la Commedia dell’Arte, fondamento del teatro moderno che passando per Goldoni giunge fino ai giorni nostri. Purtroppo nel 1610 il marito Enrico IV viene assassinato. Maria riceve un duro colpo e ben presto si troverà a fronteggiare varie correnti politiche all’interno della corte. La reggenza della corona viene quindi affidata a lei. Ma con la salita al potere di Richelieu, comincia il suo declino. Dopo anni di controversie, Maria viene cacciata da corte proprio dal sangue del suo sangue: il figlio, divenuto re Luigi XIII. Un destino avverso, che la porterà per sempre lontana da Parigi. Nel 1642 Maria de Medici muore a Colonia, in stato di indigenza e solitudine, ma accompagnata dall’arte. Infatti Rubens, uno degli artisti che aveva più apprezzato e sostenuto, in questi anni difficili le sta accanto e le regala un monumentale ciclo di ventidue tele, in cui la ritrae in scene importanti della sua vita. L’ultimo omaggio ad una sovrana che ha fatto dell’arte una ragione di vita. Fine tragica di una donna che non avrebbe voluto che la «Francia fosse ridotta a pezzi da un folle».


opinioni commenti lettere proteste giudizi proposte suggerimenti blog IMMAGINI DAL MONDO

LA DOMANDA DEL GIORNO

La Cei ribadisce il suo no all’eutanasia. Cosa dite? LA VITA È SEMPRE SACRA Per Benedetto XVI l’esistenza umana è sacra e il suo corso è un viaggio fantastico, la cui fine dipende da Dio. Non credo che siamo venuti al mondo per caso, compresa la vicenda umana di colui che è legato all’esistenza solo con una macchina: il miracolo è parte fondamentale della vita, senza il quale essa è solo un software consolidato. Il sospiro di sollievo nella lotta per la sopravvivenza, equivale a quello di stare accanto a un malato terminale, condividendo una responsabilità che si assume propria perchè coerente con lo stesso significato della vita: la lotta. Oggi si crede di migliorare con il progresso delle proprie condizioni di vita, dando il potere di decidere per essa; la fede non basta ed il materialismo considera la chiesa, una associazione rigida e inutile. Ma pochi conoscono le comunità religiose che lavorano all’estero, in paesi dove la parola del Signore è sconosciuta, per insegnare la frase ’chiunque al mondo può mettere in pratica le parole del Vangelo, ma si deve tenere conto che il libro di testo è dentro di noi’. Quindi nessuna emozione potrà contraddistinguere l’eutanasia se non il distacco violento dal dolore. Non si può spiegare, basta ascoltare la le-

LA DOMANDA DI DOMANI

La Lega propone classi separate per gli stranieri. Cosa ne pensate? Rispondete con una email a lettere@liberal.it

zione del cuore. Spesso in psicologia un danno ricevuto, come il dolore per la perdita, è tale che lo si deve riprodurre per accettarlo, come eseguire il distacco forzato della vita. Se si vuole rispettare la dignità dell’individuo, non si deve pensare ad una vita migliore od una sofferenza minore, ma comportarsi come se la vita esista solo attraverso la quotidiana lotta e non con l’acquisizione di qualcosa, che comunque spesso si rivela nel tempo essere una sconfitta..

Bruno Russo - Napoli

DOVREBBE PREVALERE SOLO IL BUON SENSO È un argomento così delicato che una lettera o una sentenza poco potrebbe aiutare. Da un lato si pensa con quale diritto si dice «no» all’eutanasia ad un padre che non riesce più a vedere vivere la propria figlia come un vegetale. Dall’altro, si riflette sulla scralità della vita. E credo che qualsiasi religione porterebbe a difendre questo valore, soprattutto quelle monoteiste. Noi uomini, come dovrebbe essere, non abbiamo diritto né sulla vita e né sulla morte. Compete ad altri la questione. Come si dice. Ma come si fa a tenere in vita una persona, sapendo che questa senza l’aiuto dll’uomo sarebbe già morta, utilizzando dei macchinari e la tecnologia. Con quale diritto si interviene su questo? Rigiro la domanda alla Cei. Una macchina può tenere in vita una persona. Quando questa è già “morta”?

Ruggero Rezza - Cuneo

RISPETTO PRIMA DI OGNI COSA Ricordo a tutti che vita in qualsiasi forma si presenti bisogna rispettarla. E se l’uomo è riuscito a fare dei passi da gigante nella medicina e se questa aiuta e aiuterà a sostenere la vita è giusto che qualsiasi persona possa essere supportata a sopravvivere. Chi ci dice che dietro i progressi della tecnologia non ci sia un disegno divino? Per quale motivo ci si ostina a spiegare tutto in modo razionalistico: dal “bing bang”, all’evoluzionismo darwiniano. Penso che anche in questi argomenti ci possa essere lo “zampino” di Dio.

SALVIAMO LA PREFERENZA: APPELLO AI “LIBERI E FORTI” DEL PDL Prima, l’iniziativa della Fondazione liberal, cui ha aderito l’Unione di centro, di una manifestazione di fronte Montecitorio (domani, venerdi 17 ottobre, ore 16); e poi un’altra manifestazione di piazza, da tenersi a novembre, contro la riforma della legge elettorale per le elezioni Europee, trova pronti e preparati i circoli e tutti gli amici di liberal sparsi in Italia. Da tempo ricevo e-mail e sollecitazioni a essere pronti e preparati alla difesa della preferenze. Non come battaglia di retroguardia, ma come ultimo baluardo di un sistema elettorale, sempre meno costituzionale, che non rappresenta più il popolo sovrano ma la sua oligarchia. Da tempo in tutti noi cresce quotidianamente l’apprensione di un metodo “semplificato” che riduce ai minimi termini l’“agibilità” democratica del nostro Paese e delle sue Istituzioni. Una (Ri)forma di selezione alla base, dove la merito-

A DIGIUNO DI CATTIVERIE Vietato litigare, mentire e calunniare. I musulmani osservanti durante il mese del Ramadan devono astenersi non solo dal cibo, ma anche dai cattivi pensieri, dalle azioni malvagie, dal fumo e dai rapporti sessuali. Almeno fino al calare del sole

È PASSATA LA BUFERA Come Rascel fino a ieri ci facevano cantare «è arrivata la bufera...», ora,invece, la strofa è cambiata con «è passata la bufera...» ed il gregge, come sempre, vende e compra al comando di pochi direttori d’orchestra. La bolla finanziaria ora è scoppiata, diretta dagli stessi che in questi anni non hanno fatto niente per ostacolarla, si è guadagnato con l’uso improprio dei derivati prima a salire, poi a scendere, ora forse a risalire. La speculazione non cambia ed i gruppi globali, sempre più potenti, la fanno a spese di chi,piccolo, si spaventa per i propri risparmi. Quando la politica perde il controllo di questi fenomeni o abdica facendosi serva questo succede. Uno stato liberale mette paletti giusti per consen-

dai circoli liberal Cristiano Samperi - Genova

crazia e la competizione libera e democratica lasciano sempre più il posto all’Ubbidienza, all’arroganza del “Capo” di turno. Così i giovani come le buone idee fuori, al massimo buoni per “occupare” una poltrona di facciata, dove altri decidono e muovono le fila dei burattini. Una Ubbidienza che definirei “Utile”, di reciproca comodità, non certamente intelligente, né per sé né per il Paese. Per questo mi sento di lanciare un appello ad aderire agli uomini “liberi e forti “ presenti nel Popolo della libertà. A quanti pur stando con Berlusconi, pur condividendo il suo programma di governo, avvertono il disagio di una riforma subita, non condivisa e alla quale dare comunque una risposta politica e personale. Partendo proprio dalla stessa domanda, lo stesso principio cui più volte il presidente del Consiglio Italiano, Silvio Berlusconi, dice di ispirarsi prima di emanare ogni suo provvedimento: questa riforma di legge di-

tire ai più capaci di andare avanti senza camminare sopra i cadaveri dei più deboli. Alcuni imprenditori nostrani, incapaci di operare in un mercato senza favoritismi, la speculazione la hanno fatta prima con Telecom poi con Alitalia: stessa procedura, stesso calderone politico e stesso presidente, solo che ora abbiamo anche l’erede, incredibile ministro ombra di un Pd sempre più distante dalle aspettative popolari. Il postideologico ha creato questi gruppi sinistro-destri,sotto-sopra,di qua e di là che ci vedono solo come polli. Servono partiti con valori ed assemblee che selezionino dirigenti non soggetti all’arbitrio padronale di chi può decidere se farli eleggere o no.

Dino Mazzoleni Gualdo Tadino (Pg)

minuisce o aumenta la Libertà degli italiani? Noi la risposta la conosciamo già, ecco perché ci batteremo per difendere la preferenza e con essa la libertà e la dignità del popolo italiano dentro e fuori dalle istituzioni. Vincenzo Inverso SEGRETARIO ORGANIZZATIVO CIRCOLI LIBERAL

APPUNTAMENTI VENERDÌ 17 OTTOBRE, PRESSO LA SEDE DELLA FONDAZIONE (VIA DELLA PANETTERIA - 10), ALLE ORE 11 Riunione del coordinamento nazionale con i coordinatori regionali dei Circoli Liberal ALLE ORE 17 MANIFESTAZIONE DI PROTESTA CONTRO LA RIFORMA ELETTORALE PER LE EUROPEE SOTTO MONTECITORIO


opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog Il problema principale è evitare la noia Siamo sempre tristi, allora povero angelo! Perché compiacerti della sofferenza, affliggerti oltre misura? A trentatrè leghe di distanza, io non posso asciugare le lacrime che scendono dai tuoi cari occhi; tu non puoi vedere i miei sorrisi quando ricevo le tue lettere, né la gioia che deve essere senz’altro sul mio viso quando penso a te o quando guardo il tuo ritratto, il tuo ritratto con i suoi lunghi boccoli carezzevoli, proprio quelli che mi sono passati sulle guance e che le mie labbra hanno mordicchiato. Quando andrò a Parigi, voglio ornare la tua fioriera con le piante che più ti piacciono; almeno quei poveri fiori non avranno spine. Quelli del mio amore non sono così, a quel che sembra. Via, addio, addio. Un bacio lungo, due lunghissimi, cento. Lavora, orsù, e il più possibile. Il problema non è di cercare la felicità, ma di evitare la noia. È fattibile con un po’ d’ostinazione. Gustave Flaubert a Louise Colet

ERA ORA. LA SCUOLA CAMBIA Finalmente buone notizie dal mondo dell’istruzione e della scuola. Il ministro Gelmini ha dichiarato che alle scuole medie le ore di inglese passeranno da tre a cinque. La lingua inglese prende quindi il sopravvento e la seconda lingua comunitaria da obbligatoria si trasforma in una disciplina esclusivamente facoltativa. Ma una petizione di insegnanti italiani ha richiesto formalmente un aiuto al fine di cancellare definitivamente quello che per loro è un articolo “assurdo”. Secondo loro la nuova legge non rispetterebbe il principio di “pari dignità”delle lingue e l’esigenza del multilinguismo nelle scuole. E l’ambito linguistico è soltanto uno tra i vari campi in cui ci distinguiamo per la nostra arretratezza culturale. Per chi non fosse mai uscito dall Italia (a quanto pare molti insegnanti italiani), ricordiamo che l’inglese è la lingua più importante per qualsiasi lavoro si voglia intraprendere. Le 5 ore di inglese nelle scuole non intaccherebbero minimamente lo studio della lingua italiana o di altre materie. Fatto sta che siamo gli unici in Europa a non sapere parlare inglese fino a tarda età. In qualsiasi altro Paese lo si impa-

e di cronach di Ferdinando Adornato

Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Gennaro Malgieri, Paolo Messa Ufficio centrale Andrea Mancia (vicedirettore) Franco Insardà (caporedattore) Luisa Arezzo Gloria Piccioni Stefano Zaccagnini (grafica)

ACCADDE OGGI

16 ottobre 1793 La regina di Francia Maria Antonietta viene ghigliottinata a Parigi ed abbandonato ad un impietoso destino il di lei figlio Luigi Carlo 1806 Scoppia la guerra tra la Russia e l’Impero Ottomano 1813 Battaglia di Lipsia: gli alleati della sesta coalizione sconfiggono l’esercito napoleonico 1869 L’Università di Cambridge inaugura il Girton College, primo college femminile del mondo 1923 Walt e Roy Oliver Disney fondano la Walt Disney Company 1939 Prima incursione aerea della Luftwaffe tedesca sui cieli dell’Inghilterra 1943 Deportazione dal Ghetto di Roma di 1022 ebrei verso il campo di concentramento di Auschwitz 1945 Fondazione della FAO a Québec (Canada) 1973 Henry Kissinger e Le Duc Tho ricevono il Premio Nobel per la pace

Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Antonella Giuli, Francesco Lo Dico, Errico Novi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Susanna Turco Inserti & Supplementi NORDSUD (Francesco Pacifico) OCCIDENTE (Luisa Arezzo e Enrico Singer) SOCRATE (Gabriella Mecucci) CARTE (Andrea Mancia) ILCREATO (Gabriella Mecucci) MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei, Giancristiano Desiderio,

ra perfettamente in età scolare. Noi preferiamo ingoiare libri interi di letteraura o storia ma poi facciamo la figura degli ingnoranti campagnoli quando facciamo un viaggio all’estero. E’ vergognoso come gli insegnanti stessi non se ne rendano conto e scalpitino ancora per difendere il “purismo”linguistico. Svegliatevi. Il mondo va avanti anche senza di voi.

Gisella marcori - Udine

RISPETTO DELLE ISTITUZIONI le email partono a valanga, dirette al Quirinale, per chiedere a Napolitano di non firmare la riforma della scuola. A parte la corretta risposta del Presidente ( «un intervento non è previsto dalla Costituzione»), ma non era il centrodestra che doveva imparare le regole ed il rispetto del Parlamento e della democrazia? Come, la Costituzione è sacra a senso unico o da quelle parti non la si conosce? Diamoci una calmata e rispettiamo l’esito delle elezione: il Presidente Napolitano l’avete voluto credendo fosse ...invece non è, perchè persona seria. La stima nei suoi confronti, per come svolge il suo incarico, a questo punto, dopo tante dimostrazioni, mi sembra più espressa dalla maggioranza che dell’opposizione ex comunista. Complimenti!

Paolino Di Licheppo Roseto degli Abruzzi

PUNTURE Mario Baccini incontra McCain e gli dà «pieno sostegno». L’America è davvero cambiata.

Giancristiano Desiderio

L’uomo senz’utopia sarebbe come un mostruoso animale fatto d’istinto e raziocino FABRIZIO DE ANDRÉ

Alex Di Gregorio, Gianfranco De Turris, Luca Doninelli, Rossella Fabiani,Vincenzo Faccioli Pintozzi, Pier Mario Fasanotti, Aldo Forbice, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Alberto Indelicato, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Andrea Margelletti, Adriano Mazzoletti, Angelo Mellone, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo, Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Claudio Risé, Eugenia Roccella, Roselina Salemi, Carlo Secchi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania

il meglio di TU VUO’ FÀ O’ BERLUSCONIANO! Pronti via! Si parte, apre i battenti la tv del pd. Un po’ in ritardo per la verità, anche perché pare scimmiottare quella nata dalla mente della Brambilla ai tempi della tv delle libertà. Il tutto sembra essere incastonato in un microcosmo demo mediatico, una via di mezzo tra lo stile mamma rai e yuotube. La televisione la farà la politica, essa si nutrirà dal suo interno delle sue stesse finalità, con la scusa che a farla saranno i cittadini, quelli dell’“I’m Pd”, naturalmente. Una tv povera, di soldini si capisce, quasi a voler rimarcare che loro fanno il verso a chi spende e spande milioni di euro per mandare quattro presunti famosi su un isola o farli diventare animali sotterranei tipo la talpa. Sarà! La scenografia è accattivante però, il tutto è immerso in un verde pisello, anzi, ormai si può dire a tutti gli effetti verde Pd, un misto tra quello dell’insegna di una farmacia e l’erba del prato dell’Olimpico, (Aho! Semo de Roma o no!). Tv povera si diceva, quindi niente gnocche dai vestiti firmati, al limite qualche militante ben vestita, un po’ demodè con largo uso di foulard. Le prime ore di vita di tele Walter sono filate via tra l’indigeribile e l’indigesto, con i vari esponenti del partito che auguravano, con tanto di tetti Romani sullo sfondo (Aho! Arisemo de Roma o no!) ,buona vita alla nuova nata. Grande il successo di pubblico, perché si deve dire che queste televisioni via internet hanno il pregio di poter rendere pubblici gli ascolti in contemporanea, tipo blog e, quando sull’augurio di Fassino si sono raggiunti gli 840 contatti, (quelli che io faccio in una mezzoretta di apertura in Tocqueville per intenderci) si deve

essere levato un sospiro di sollievo, si deve essere gridato al Funzionaaaa! Grande successo anche nei commenti, ben sei, dopo l’intervento del noto Hundertaker ( al secolo Pieralto Fassino), roba da fare invia ai migliori blog, mio compreso. Elementi di spicco della giornata sono stati i programmi di Tozzi, il naturalista che dorme con la piccozza sotto il cuscino e che ha un dinosauro come migliore amico, che ha fatto il verso al ricco e potente Cavaliere televisivo con un servizio sull’immondizia di Napoli, con tanto di inno del Pdl in sottofondo, quello che ringrazia il Silvio di esistere e il noto intellettuale Veronesi impegnato in alcune frasi fatte sul muro di Berlino. La vera apoteosi si è raggiunta con il talk come lo stesso Veltroni lo chiama. Si discute di politica, di sindaci, con ospiti imbarazzati per le domande di un Walter che ha rubato la scena al conduttore. Ingombrante forse più del Berlusca al Bagaglino che spavaldeggiava sul palco di casa sua! È ancora forse il caso di citare Oscar Wilde sul suo concetto di invidia? Non saprei! A me viene in mente Carosone che nel frangente avrebbe forse cantato: “ tu vuo’ fa o’ Berlusconiano”. (nella foto: o’ Berlusconiano)

L’osservatore del romano

IPR PREMIA IL CAVALIERE Bene Berlusconi, male Veltroni. È quanto emerge dall’ultimo sondaggio stilato da Ipr Marketing per Repubblica.it. Secondo la nota agenzia, l’indice di gradimento degli italiani nei confronti del Premier ha raggiunto il 62%, mentre il Partito democratico per la prima volta dopo le elezioni, scende sotto il 30.

Leopoldo Onorato

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Registrazione Tribunale di Salerno n. 919 del 9-05-95 - ISSN 1827-8817 La testata beneficia di contributi diretti di cui alla legge n. 250/90 e successive modifiche e integrazioni. Giornale di riferimento dell’Udc

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Questo numero è stato chiuso in redazione alle ore 19.30



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