QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA • DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK CONSIGLIO DI DIREZIONE: GIULIANO CAZZOLA, GENNARO MALGIERI, PAOLO MESSA
Sorprendente rivelazione
del cardinal Dziwisz
9 771827 881004
81017
di e h c a n cro
Fatima 1982 Quella coltellata contro Karol Wojtyla
di Ferdinando Adornato
di Francesco Rositano ercoledì, 12 maggio 1982. Papa Wojtyla è in Portogallo, nella basilica mariana di Fatima. Sono passate le 23. Sale lentamente i gradini del grande altare all’aperto, sta per pronunciare la sua ultima benedizione. Un uomo con i baffi, con indosso un abito talare, armato di un coltello, comincia a urlare: «Abbasso il Papa. Abbasso il Secondo Vaticano». E si scaglia contro di lui. Il Papa non pensa minimamente a un’aggressione, si gira e comincia a guardarlo, tracciando un gesto di benedizione. Interviene la polizia, arresta lo squilibrato e lo trascina fuori dal santuario. Giovanni Paolo II rimane ferito. Ma fino a ieri nessuno lo aveva saputo. Lo ha rivelato, dopo 26 anni, il cardinale Stanislaw Dziwisz. s egue a pag ina 8
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GLI USA E IL CRACK GLOBALE Obama è in testa su McCain. Ma dopo il terzo scontro tv, aumentano i dubbi sulle loro capacità di leadership. Soprattutto di fronte alla crisi dei mercati, sempre più grave. Che comincia a colpire l’economia reale D’Onofrio: «Il governo fa l’indiano»
E se fossero entrambi inadatti a governare il mondo? L
Aiuti per le famiglie e le aziende
Scuola in piazza Berlusconi: adesso contro ci vuole una riforma muta più Stato per tutti colloquio con Francesco D’Onofrio
di Alessandro D’Amato
Lo scrittore assediato dalla camorra e la sua scelta di espatriare
Lo Stato non faccia pressioni Solo Saviano può decidere
alle pagine 2 e 3
Ancora fumata nera per l’elezione del giudice della Consulta
Pecorella paga il prezzo del dialogo mancato di Francesco Capozza
Il mondo della scuola è in rivolta contro la riforma Gelmini. Francesco D’Onofrio ne analizza le ragioni: «Il governo non ha ascoltato nessuno».
Da Bruxelles, dove si sono riuniti con i leader europei, Berlusconi e Tremonti annunciano la nuova rotta del governo: «La crisi pesa sull’economia reale, ci voglio aiuti pubblici».
Continua il braccio di ferro tra Pd e Pdl per l’elezione del giudice della Consulta e il presidente della Vigilanza Rai. La votazione a oltranza finisce con una serie di fumate nere. Solo 445 voti per Pecorella.
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VENERDÌ 17 OTTOBRE 2008 • EURO 1,00 (10,00
CON I QUADERNI)
• ANNO XIII •
NUMERO
199 •
WWW.LIBERAL.IT
di Nicola Fano
a vita di Roberto Saviano è di Roberto Saviano, la sicurezza dello Stato è dello Stato. Su questo non ci sono dubbi. Che cosa sia meglio per un uomo, relativamente alla propria libertà, al proprio auspicabile benessere spetta solo a quell’uomo stabilirlo. In altre parole: se Saviano debba rimanere in Italia o andare all’estero può dirlo lui e lui solo. Chiunque si senta in diritto di dargli consigli su cosa debba fare per garantirsi tranquillità (lo ha fatto Berlusconi, ieri), aggiunge problema a problema. Può darsi che Roberto Saviano vada all’estero (che “vada”, non che “fugga”) e può darsi che resti in Italia. se g u e a pa g i n a 2 3
• CHIUSO
IN REDAZIONE ALLE ORE
19.30
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prima pagina Il terzo dibattito tv solleva un dubbio inquietante: sono adatti a governare il mondo?
Una Grande Delusione minaccia la Casa Bianca di Andrea Mancia l dubbio, che già circolava con insistenza da qualche mese tra gli analisti più attenti, sta iniziando ad assumere i tragici contorni della certezza. E l’esito dell’ultimo dibattito televisivo prima dell’election day non ha contribuito affatto a dissipare questa sensazione: né John McCain né Barack Obama sembrano al-
University di Hempstead (stato di New York), era anche l’unico – dei tre previsti – ad essere dedicato integralmente ai problemi della politica interna. E dunque alla crisi finanziaria che ha colpito nelle ultime settimane i mercati di tutto il pianeta e che rischia, sempre di più, di avere effetti negativi anche sull’economia reale globale. Ebbene, se
inizio promettente, in cui soprattutto McCain sembrava intenzionato a cercare quel “game-changer” che gli è assolutamente necessario per invertire la dinamica della corsa, il resto del dibattito è scivolato via, noiosamente, in una pedissequa ripetizione dei talking points elettorali di repubblicani e democratici.
McCain e Obama non sembrano avere la competenza, il coraggio e soprattutto la “visione” per accompagnare l’Occidente fuori dalla crisi
Slogan sentiti migliaia di volte e che, con ogni probabilità, non sono in grado di “spostare” voti in un verso o nell’altro. I network Cnn e Cbs, con i loro instant-poll, hanno decretato la larga vittoria di Obama. Ma questa è una “notizia” più o meno come affermare che anche oggi il sole è sorto ad est, visto che i mainstream media americani sono totalmente “in the tank” per il candidato democra-
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l’altezza della difficile congiuntura internazionale che il prossimo presidente degli Stati Uniti si troverà costretto ad affrontare. Il confronto che si è svolto nella notte tra mercoledì e giovedì (ora italiana) alla Hofstra
lcuni socialdemocratici e socialisti, specialmente dell’Europa occidentale, hanno guardato alla recente crisi finanziaria in America con una certa gioia malcelata. Alcuni pensano che questa sia la fine del “capitalismo democratico”, e forse la conferma della superiorità del modello socialdemocratico. Questo nuovo dibattito ci fa tornare in mente la campagna elettorale del 1972, durante la quale un nutrito gruppo di pensatori e attivi-
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devano che i programmi socialdemocratici non funzionavano. Da quando hanno cominciato a percepire il socialismo come insoddisfacente (e auto-distruttivo) in tutte le sue forme, hanno dovuto cercare un sistema di governo migliore. E trovarono un barlume di speranza nella vecchia tradizione americana del governo limitato, dell’iniziativa personale e della creatività imprenditoriale. Volevano mettere il governo “a dieta”, tagliando sia le tasse che le spese. Speravano di preservare uno stato so-
I “neo-conservatori” che volevano raddrizzare le storture dello stato sociale erano in realtà “neo-progressisti” che rivendicavano il primato dell’individuo e della sua creatività sti della sinistra americana cominciarono a ribellarsi contro le istituzioni stataliste e il modo di fare e di guardare le cose proposto dalla New Left e molti fautori di un nuovo Stato onnivoro.
Visto lo stato dell’assistenzialismo sociale degli Stati Uniti del tempo, questi liberal (socialdemocratici) furono “scottati dalla realtà.” Ve-
ciale, sfrondandolo dai suoi eccessi e restituendo responsabilità agli individui e alle famiglie. I suoi nemici chiamarono questo movimento “neoconservatore”. In realtà, semmai, era “neo-progressista”. Questo movimento fece suo un sistema di governo negletto, dando risalto alla supremazia dell’iniziativa, della creatività, della maturazione morale dell’individuo e al concetto aristo-
qualcuno si aspettava di avere indicazione chiare sulle idee che verranno messe in pratica dai due uomini politici che si candidano a diventare leader del “mondo libero”, sarà certamente rimasto deluso. Dopo un
Prima la rottura liberista degli anni ‘80 poi la riforma
telico della virtù umana. Senza accorgersene, adottarono qualcosa come una valutazione tomistica della persona umana come la più nobile e bella delle creature di Dio. Ai loro occhi, lo scopo del bene comune è di nutrire la virtù e la felicità dei suoi cittadini.
Dopo Reagan e Clinton
Nel 1980, molti pensatori di questo giovane movimento avevano già cominciato a riunirsi intorno al candidato presidenziale Ronald Reagan, che credeva che un governo giusto dovesse essere molto più limitato del governo che avrebbe ereditato e che il suo budget avesse bisogno di essere fortemente ristretto. Più che altro, credeva che il propellente più dinamico di un’economia moderna fossero le invenzioni e gli investimenti “rischiosi” di imprenditori creativi. Reagan riconosceva che più dell’80% dei nuovi lavori negli Stati Uniti erano creati da imprese che impiegavano 25 o più persone. Capì anche una cosa essenziale: che gli incentivi cruciali che spingono gli imprenditori a spostarsi in
di Michael Novak un’arena creativa sono i marginal tax rates, che tagliò dal 70% al 28%. Anche diminuendo le aliquote sui redditi da capitale al 30%, Reagan lanciò agli imprenditori più dinamici un’esca alla quale non poterono resistere. La previsione era che essi avrebbero rischiato il proprio capitale, lavorato più duramente e fantasiosamente che potevano, assumendo costantemente nuovo personale, tenendosi il 70% dei propri capital gains. Sotto Reagan, il mondo vide la nascita di una nuova era tecnologica: dall’Era Meccanica si passò all’Era Elettronica, una trasformazione che creò industrie totalmente nuove e diede vita a migliaia di posti di lavoro.
Inoltre, in ogni anno di amministrazione Reagan, sorsero più di mezzo milione di nuove piccole imprese, portando con loro molti dei 20 milioni di
nuovi posti di lavoro creati durante gli otto anni di governo Reagan. Questa nuova esplosione delle produzioni innalzò il Pil dell’economia americana di quasi un terzo rispetto all’anno della prima elezione di Reagan. Reagan aprì anche la strada a nuovi metodi di miglioramento del welfare dei poveri e delle persone vulnerabili. Il suo piano per i poveri non si realizzò del tutto durante la sua amministrazione. Una parte importante di questo - la richiesta, accolta da milioni di americani, di entrare nel volontariato per aiutare i poveri - fu realizzata dal suo successore, il primo presidente Bush. Un’altra - la riforma del welfare - fu riluttantemente approvata dal presidente Clinton nel 1996. E ancora altre parti furono realizzate dal secondo presidente Bush (gli aiuti umanitari all’Africa, per esempio).
prima pagina tico fin dall’inizio della campagna elettorale. La verità è che McCain, forse appena più aggressivo rispetto ai due confronti precedenti, ha sostanzialmente mantenuto un costante controllo del dibattito, ma senza mai mettere in seria difficoltà Obama sui temi che interessano la classe media statunitense.
McCain ha finalmente sollevato, in diretta televisiva, il problema dei rapporti tra Barack e alcuni oscuri personaggi della vita politica (e non solo) di Chicago, come Tony Rezko (truffatore) e Bill Ayers (terrorista). E ha parlato dei tentativi di frode elettorale (su cui l’Fbi sta investigando) compiuti in almeno 11 stati dalla Acorn, organizzazione molto vicina a Obama e al partito democratico. Anche quando è riuscito a far scivolare il discorso su temi di politica estera McCain è sembrato più convincente dell’avversario. E l’unica “battuta” che sopravviverà nell’immaginario collettivo per più di ventiquattr’ore appartiene sempre al candidato repubblicano («Senatore Obama, io non sono il presidente Bush. Se voleva correre contro il presidente Bush, avrebbe dovuto candidarsi quattro anni fa»). Ma nessuno di questi attacchi, più o meno riusciti, è andato al cuore del problema. E il
cuore del problema, almeno secondo la grande maggioranza dei cittadini (e degli elettori) statunitensi, è l’economia.
Ma su questi temi, né McCain né Obama sembrano avere la competenza, il coraggio e, soprattutto, la “visione” necessaria per accompagnare il Paese (e l’intero Occidente) fuori dalla palude della crisi. A met-
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della politica economica obamista. Ora, massimo rispetto per “Joe the Plumber” e per tutti i piccoli imprenditori dell’Ohio, ma è possibile che l’attacco più efficace nei confronti della deriva “socialista” di Obama sia affidato alle idee di Mr. Wurzelbacher, invece (per fare solo qualche esempio) che agli esperti dell’American Enterprise Institute, della Heritage
L’unica volta che il candidato repubblicano ha messo in difficoltà il suo avversario è quando ha ripetuto gli slogan anti-tasse di “Joe l’idraulico” tere in difficoltà Obama, paradossalmente, è stato - proprio alla vigilia del dibattito - un idraulico dell’Ohio, tale Joe Wurzelbacher, subito soprannominato “Joe the Plumber”, che al termine di un comizio ha bruscamente chiesto al candidato democratico spiegazioni sugli aumenti di tasse previsti nel suo programma per i piccoli imprenditori. Obama, ormai in piena crisi mistica, gli ha risposto con un pistolotto ultrakeynesiano condito da un «dovrai aspettare il momento in cui spargeremo la ricchezza intorno» («spread the wealth around») che è stato subito utilizzato da McCain nel dibattito per sottolineare la vaghezza
Foundation o degli Americans for Tax Reform?
In ultima analisi, i due candidati alla Casa Bianca propongono un approccio “populista” ai problemi sollevati dalla crisi finanziaria in corso, naturalmente calibrando il proprio messaggio in modo da coinvolgere i rispettivi elettorati di riferimento. Basta tagli alle tasse per i più ricchi, dice Obama. Basta accondiscendenza verso l’avarizia dei banchieri, risponde McCain. Ma a parte qualche slogan di facile effetto, nessuno dei due sembra all’altezza del compito gravoso che attende il prossimo presidente degli Stati Uniti a Pennsylvania Avenue.
del welfare dei ‘90. E ora di fronte alla crisi attuale non c’è traccia di un nuovo sistema
serve un’altra svolta.Ma non si vede Il modo migliore per comprendere il nuovo approccio al social welfare introdotto da Reagan è visualizzarlo come un cambiamento del sistema di governo della nazione che non mira ad uno Stato più grande, ma ad uno Stato più limitato; che dà ampio spazio ai molti dinamismi della società civile nella quale individui intraprendenti, associazioni di volontariato, chiese ed altre istituzioni aiutano i poveri, gli ammalati e gli sfortunati. Oggi, la crisi finanziaria in corso ha sollevato nuove domande sul sistema di governo del nostro paese. Abbiamo bisogno di un altro cambio radicale? Si tenga presente che il sistema in vigore ha fallito in tutte e tre i sistemi interconnessi: politico, economico e morale. Da almeno dieci anni, il mio collega alll’American Enterprise Institute, Peter Wallison (autore, tra l’altro, di “Privatizing Fannie Mae, Freddie Mac, and the Federal Home Loan
Banks”, 2004) ha dimostrato come Fannie Mae e Freddie Mac, i compratori e rivenditori di mutui sponsorizzati dallo Stato, non hanno avuto regolamentazioni bipartisan. Di solito il partito repubblicano favorisce le liberalizzazioni, ma non in questo caso. Stavolta, i democratici guidati dal senatore Chriss Dodd e dal membro del Congresso Barney Frank hanno bloccato ogni tentativo di “regolare” Fannie e Freddie, che sono stati una vacca da mungere per contributi e voti alla campagna elettorale dei democratici. Questo è stata la chiave del fallimento politico, che ha portato al crollo di tutto il castello di carta durante le scorse settimane. Il sistema economico ha fallito quando i “maghi della finanza“ hanno inventato schemi elaborati per impacchettare i mutui, ben impastati con qualcosa di cattivo in ogni pacco, che poi rivendevano per profitto.
Poi hanno inventato schemi ancora più fantasiosi di “derivati” da rivendere ancora una volta per profitto. Non hanno pensato abbastanza a lungo alle loro responsabilità fiduciarie. Non hanno esaminato sufficientemente da vicino il marciume che pervadeva ciò che vendevano, e i pacchi su pacchi che lo mascheravano.
Il sistema morale ha fallito quando gli americani che beneficiavano di ogni tipo di nuovi tassi di prestito (sconosciuti ai loro genitori o ai loro nonni) e che gioivano dei rapidi aumenti di valore delle loro case, non si sono fermati a pensare “Qui qualcosa puzza. Ci crollerà tutto addosso.” Abbiamo visto i guadagni accumularsi e ci siamo entusiasmati. Nessun sistema funzionerà senza una vigilanza di tipo morale in tutti e tre i settori. E per riportare il tutto alla fiducia e alla reciproca vigilanza, ogni parte del sistema deve vigilare sulle altre. Soltanto affidandosi al potere latente dell’auto correzione possiamo costruire un sistema, non dico perfetto, ma certamente migliore di qualsiasi altro.
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economia
Nuovo corso. Alla riunione dei leader europei a Bruxelles, Berlusconi e Tremonti annunciano la sterzata. In arrivo una nuova versione della “social card”
Il premier:più Stato per tutti Il governo cambia idea: «La crisi comincia a pesare sull’economia reale. Ora aiuteremo aziende e famiglie» di Alessandro D’Amato
ROMA. Pronti a sostenere con aiuti di Stato l’economia reale in crisi. Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti, in conferenza stampa congiunta al termine del Consiglio europeo a Bruxelles, commentando la strategia dei Paesi membri contro la crisi finanziaria e dicono che i fatti di questi giorni hanno determinato un cambio di prospettiva nei leader del Vecchio Continente: «Fino a ieri era peccato, oggi è un imperativo categorico», ha detto il presidente del Consiglio, mentre il ministro dell’economia aggiungeva gongolante «…e invocato».
«Con la crisi dei mutui - ha continuato Tremonti - il mondo è cambiato. Noi crediamo che la crisi finanziaria sia stata gestita e contenuta in modo efficace in Europa. Introdurremo a dicembre la social card ed ab-
biamo già previsto che essa sia retroattiva per i due mesi precedenti, e cioè ottobre e novembre. Poi sarà a regime. Abbiamo già iniziato a discutere anche per la tariffa sociale dell’Enel, una cosa già prevista dalla legge». E ha infine ribadito che non esiste una «via nazionale alla gestione della crisi», anche se nel frattempo non ha confermato che il governo è intenzionato a rivedere le stime di revisione del Pil, ribadendo però in compenso le intenzioni di modificare la legge sull’opa (offerta pubblica di acquisto, ossia il sistema attraverso la quale un’azienda può essere scalata in Borsa), in armonia con le direttive europee.
Ma sull’argomento si è dilungato di più Berlusconi: «Alcuni paesi produttori di petrolio stanno acquistando massicciamente sui nostri mercati», ha detto ai giornalisti al termine del vertice. E il pericolo, secondo il premier, è che vengano
lanciate opa ostili «su molte validissime imprese italiane che oggi hanno una quotazione che non corrisponde assolutamente al loro giusto valore». Per questo, dice il premier, «il Tesoro sta lavorando con la Consob ad un emendamento per la passivity rule, così che una società possa difendersi da Opa ostili. Oggi non è così in Italia». «Sarà sufficiente anche un emendamento a uno dei due decreti in discussione in Parlamento», ha aggiunto il ministro dell’Economia. E infatti ieri in Commissione Finanze è partito ieri, e secondo fonti parlamentari dovrebbe finire proprio lì la norma di cui hanno parlato Berlusconi e Tremonti.
Parole che hanno riecheggiato il discorso di Lamberto Cardia al Senato, il quale aveva rimarcato lo stesso tipo di pericoli e chiesto delle soluzioni in tempi rapidi. E che hanno scosso anche il mondo finanziario, visto che Marco Tronchetti Provera si è allineato rimarcando il rischio: «Tra le ipotesi che tocchi ai manager difendere le aziende dalle scalate ostili piuttosto che debba
intervenire lo Stato, ci sono delle formule intermedie in cui ci possono essere delle difese: c’è la passivity rule che può essere in qualche modo rivista per dare la possibilità anche di illustrare il vero valore delle aziende a tutti gli azionisti», mentre persino Guglielmo Epifani della Cgil e Antonio Di Pietro dell’Italia dei valori si sono detti d’accordo. A Bruxelles, per ora, tutto tace, anche se sempre Tremonti ha aggiunto che «la modifica in Europa è oggetto di discussione: ci sono seminari del Parlamento europeo e dentro il Parlamento europeo. Certo è cambiato il mondo, fino a poco tempo fa era vietato tutto…». Sul tema, comunque, rimandiamo al commento di Alessandro De Nicola nella pagina qui accanto.
A latere degli avvenimenti della giornata, da raccontare la polemica tra Tremonti e gli hedge funds il Financial Times titolava ieri con molta ironia «The Italian locust» un trafiletto che riferiva delle supposte intenzioni del ministro di abolirli. E riferendo anche, con
una punta di sarcasmo, il fatto che qualcuno, fuori dall’Italia, aveva preso sul serio una proposta del genere. «Organismi completamente demenziali che sono fuori da tutti gli schemi del capitalismo classico», li aveva definiti il responsabile di via XX Settembre. «L’indu-
Milano chiude a -5,75: in due giorni azzerati i guadagni di lunedì scorso
Per le Borse continua la discesa negli inferi ROMA.
Di nuovo male Wall Street, e le Borse europee affondano. Mentre Berlusconi e Tremonti dicono che l’Europa è pronta agli aiuti di Stato per sostenere l’economia reale in crisi.
La seduta nera di Tokyo (-11,4%, peggior calo dal 1987) e degli altri mercati asiatici ha trascinato fin dal mattino al ribasso le Borse del Vecchio
Continente, che hanno risentito anche della pessima giornata di Wally, anch’essa ieri coinvolta nel peggior risultato da 21 anni: al termine giornata il Dow Jones ha perso il 7,87% mentre il Nasdaq ha lasciato sul terreno l’8,47%), e lo S&P 500 il 9,03%. «Il salvataggio Usa è insufficiente», ha dichiarato il primo ministro giapponese Taro Aso, mentre dalla Svizzera rimbalzava la notizia del salvataggio governativo per Ubs. La partenza di Piazza Affari è stata subito in calo (-4%), con Intesa, Seat e l’Espresso a guidare i ribassi. Poi, una serie di strappi – con Atlantia e Parmalat protagoniste – ha permesso a Milano di ridurre le perdite. La motivazione, secondo gli opera-
tori, risiedeva nei rumors che volevano queste aziende a rischio offerta pubblica di acquisto.
I futures in rimbalzo a Wall Street contribuiva alla discesa della tensione, mentre la presidenza francese dell’Ue di fronte all’acuirsi della crisi finanziaria - provava a rilanciare la proposta di un sistema di vigilanza a livello europeo per banche e assicurazioni. A mezzogiorno tornava la paura, mentre il primo ministro inglese Gordon Brown chiedeva di rassicurare i cittadini e la convocazione di un G8 straordinario. L’apertura americana, in lieve rialzo, sembrava non scalfire la tendenza europea, mentre il commissario Europeo
economia
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Tra allarmismo e confusione
Tre risposte a Berlusconi sulle ”opa ostili” di Alessandro De Nicola n un momento in cui la situazione è veramente dura, la miglior strategia è mantenere i nervi saldi. Evitare di propinare annunci inopinatamente ottimistici o rassicuranti è certamente saggio, ma quando i nervi sono a fior di pelle, creare inutili paure è sicuramente avventato. Prendiamo l’allarme lanciato prima dal presidente della Consob e poi dal premier sull’eventualità di opa ostili di fondi sovrani che mettano le mani su facili prede italiane i cui corsi azionari sono in questo periodo particolarmente depressi. Il messaggio che è stato lanciato, soprattutto se verrà seguito da concrete misure legislative, è sbagliato per tre ragioni: 1) Si continua a propagandare questa favola dell’italianità. Se un paese è capace di attrarre capitali stranieri può solo essere felice: il problema è la sfiducia che fa dell’Italia - e in particolar modo del Meridione - un’area ignorata dagli investitori internazionali. Quanti altri anni di crescita inferiore al resto del mondo ci vorranno per convincersene? 2) Tecnicamente, il rischio di opa ostili (cioè senza l’assenso del management: gli azionisti, se vendono, evidentemente sono contenti) praticamente non esiste. Il Testo Unico della Finanza dice che la società bersaglio può porre in essere tecniche difensive (ad esempio, scorporo di attività strategiche) quando è autorizzata dall’assemblea che decide con almeno il 30% del capitale sociale presente. Inoltre, la libertà di offerta può essere ristretta nei confronti di chi risiede in paesi con normative non altrettanto liberali. Ora, molti fondi sovrani provengono da stati (quelli arabi, per dirne una) che non hanno legislazioni sulle offerte pubbliche particolarmente avanzate o permissive. Per di più, in Italia tutte le grandi società tipo Enel, Eni, Fiat hanno già un socio di controllo con più del 30% che le mette al riparo da ”aggressori” di qualsiasi genere. 3) Rimangono alcune banche o Telecom. Prima di tutto i soci di controllo anche in questi casi si avvicinano molto al 30%, e non sarebbe loro difficile convocare un assemblea né sollevare l’eccezione di reciprocità. Peraltro, se l’offerta è appena superiore al valore di mercato attuale, gli altri azionisti potrebbero decidere di non vendere in attesa di tempi migliori. Qualora sia molto superiore, evviva! Se poi chi c’è adesso pensa di far meglio, può allargare lui i cordoni della borsa. Insomma, come disse nel film Il Vigile la moglie Cecilia ad un Alberto Sordi, preoccupato che Vittorio De Sica se lo volesse comprare: «Magari te se comprassero!». (adenicola@adamsmith.it)
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stria dei fondi hedge italiana è un modello di regolamentazione di successo, fornisce eccellenti rendimenti aggiustati per il rischio ed è un’importante fonte di creazione di posti di lavoro», hanno risposto Aima (Alternative Investment Management Association) e Mfa
Qui sopra, Giulio Tremonti e Silvio Berlusconi: ieri hanno partecipato alla riunione dei leader europei
(Managed Funds Association) in un comunicato congiunto. «Sarebbe un grave errore considerare di eliminare questi innovativi veicoli privati di capitali che sono, in realtà, una fonte essenziale di capitali per gli investitori, per l’Italia e per l’economia globale», hanno ri-
battuto le due associazioni nella nota «È troppo facile puntare il dito contro una industria che non viene ben capita; i fondi hedge non sono un capro espiatorio appropriato durante una crisi che è stata causata da mancanze nel sistema bancario».
per gli Affari economici, Joaquin Almunia lanciava l’allarme secessione: «C’è un rischio significativo che il potenziale di crescita sia colpito negativamente nei prossimi tempi. Per questo guardando al di là del brevissimo termine, dovremmo riflettere seriamente sulle politiche e le strategie per incentivare la crescita e la produttività».
La mazzata finale arrivava da oltreoceano: la produzione industriale americana a settembre vedeva un calo del 2,8%, il peggiore dal 1974, secondo l’agenzia Bloomberg. Non risollevava la giornata il numero di richieste di sussidio di disoccupazione, stimato in calo nell’ultimo mese in America. Sul dato della produzione avrebbe avuto un peso la stagione degli uragani più che il credit crunch, ma l’effetto è pressoché lo stesso: disastroso. Piazza Affari lasciava di nuovo sul terreno il 4%, Parigi cede ora il 4,18%, mentre Am-
sterdam andava in calo del 4,02%. Pesanti anche Londra (-3,84%) e Francoforte (-2,27%), mentre l’indice paneuropeo Dj Stoxx dei 50 titoli a maggior capitalizzazione cedeva il 2,47%. Intanto, continuava l’ emorragia delle vendite alla borsa di New York, con lo S&P 500 che perdeva il 4% e il Dow Jones il 3,55%. Nemmeno il prezzo del petrolio e l’euribor ancora in lieve calo riuscivano a risollevare la giornata (anche perché l’oro nero scende a causa della recessione in arrivo), mentre Uni-
credit e Intesa venivano sospese per eccesso di rialzo.
L’accelerazione delle perdite, nel finale, provocava il tonfo: Piazza Affari chiude in forte ribasso, con il Mibtel che ha ceduto il 5,75%, mentre lo S&P/Mib ha perso il 6,78%. In terreno negativo anche il Midex (-2,15%) Tra le altre piazze, Parigi -5,92%, Francoforte -4,91%, Londra -5,35%, Zurigo -3,26%, Madrid -4,11%. Poco meno di una catastrofe. (a.d’a.)
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politica
Consulta, vanno a vuoto le prime due votazioni. Fumata nera anche in commissione di Vigilanza Rai
Il Pecorella espiatorio del dialogo mancato di Francesco Capozza
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Sequestrato latte alla melamina in Italia Dieci quintali di latte cinese alla melamina sono stati sequestrati in un capannone a Napoli dagli uomini del Corpo Forestale dello Stato, che hanno effettuato decine di denunce. Nella rete sono finiti anche 300 chilogrammi di mozzarella cinese, 50 chili di prodotti caseari, più di cento chili di tè cinese al latte, 90 chili di papaia cinese al latte e 7 chili di zampe di gallina, di cui è vietata l´importazione perché a rischio di influenza aviaria. Sequestrati anche cartoni di noodles, panini, gelatine di frutta, the, snack e pesce affumicato, alimenti che comunque contengono piccole percentuali di latte in polvere. «Si tratta - ha affermato il ministro delle Politiche agricole, Luca Zaia (nella foto) - del più grande sequestro mai fatto di latte cinese in Italia». Il ministro ha precisato che l’operazione sarà illustrata alle 13 in una conferenza stampa a Napoli.
Muore operaio alla Fincantieri Si chiamava Mauro Sorgo, aveva 43 anni e faceva l’operaio alla Fincantieri di Monfalcone, in provincia di Gorizia. È morto nella tarda serata di mercoledì in un incidente avvenuto a bordo della ”Ruby Princess”, nave di 116 mila tonnellate della Cruises Lines che doveva essere varata con cerimonia di presentazione sabato prossimo. Secondo quanto si è appreso, l’operaio è rimasto schiacciato da una porta stagna della sala motori. La Fincantieri, in segno di cordoglio con la famiglia dell’operaio deceduto, ha deciso di annullare la cerimonia di consegna della Ruby Princess, che era in programma alla presenza del presidente del Senato Renato Schifani.
ROMA. Prosegue il braccio di ferro tra Pd e Pdl per l’elezione del presidente della commissione di Vigilanza Rai e per l’elezione di un giudice della Consulta. Ieri, nel rispetto della decisione presa dalla conferenza congiunta dei capigruppo di Camera e Senato di martedì scorso, sono cominciate le votazioni a oltranza del Parlamento in seduta comune e della Commissione e sono giunte, come si temeva, due fumate nere. Gaetano Pecorella, candidato Pdl e Lega alla Consulta, ha ottenuto 445 voti (ne servono 571 e sulla carta ne aveva 551) nella prima votazione antimeridiana, e 411 in quella pomeridiana. Hanno dichiarato di votare a suo favore Pdl, Lega, Udc e Radicali. In Vigilanza la maggioranza non si è presentata, facendo mancare nuovamente il numero legale.
tende di sapere se la fronda interna al segretario Pd voglia esprimere il suo dissenso nei confronti della gestione della trattativa sulle nomine votando a favore di Pecorella. «Ci sono settori ex Ds ed ex Dl che manderanno un messaggio aVeltroni» assicura un esponente Pd. «No, sarebbe un suicidio» assicura un altro. «Vediamo i voti» afferma pragmaticamente un terzo. L’Udc, intanto, ha votato a favore dell’accordo come era stato siglato martedì: Pecorella alla Consulta e Orlando alla Vigilanza. «Se ci saranno pochi voti di scarto tra le attese e il voto reale, per Pecorella, il Pdl insisterà, altrimenti si potrebbero aprire nuovi scenari» spiega chi ha partecipato alle trattative, mentre circola di nuovo il nome di Donato Bruno come possibile“sostituto”di Pecorella alla candidatura. «Non abbiamo mai espresso riserve personali, nemmeno su Pecorella, ma di carattere istituzionale. Siamo disponibili a condizione che la maggioranza candidi persone che abbiano i requisiti necessari», replica Soro quando gli si ventila questa ipotesi.
Il candidato Pdl e Lega ha ottenuto rispettivamente 445 e 411 voti (ne servono 571). E il Pd attacca: «È evidente che il suo nome non era condiviso dalla stessa maggioranza»
«In modo chiaro è risultato che la candidatura di Pecorella non era condivisa dalla stessa maggioranza. Ora bisogna trovare la ragionevolezza e interrompere il braccio di ferro e per quanto riguarda il Pd confermiamo la disponibilità a condividere una proposta per la Consulta che non sia Pecorella», ha detto il capogruppo Pd alla Camera, Antonello Soro. Immediata la replica dei capigruppo Pdl Maurizio Gasparri e Fabrizio Cicchitto: «Esprimiamo la nostra soddisfazione per il consenso ottenuto dalla candidatura del professor Pecorella e confermiamo questa scelta nell’auspicio della più alta condivisione. Il collega Soro, invece di leggere male i numeri che dimostrano coesione e presenza della maggioranza, dovrebbe nelle prossime votazioni far convergere i voti del suo gruppo su Pecorella, contribuendo a risolvere la questione». Nel centrosinistra si attende di sapere se il nome di Pecorella possa essere indigesto anche a qualche giustizialista del Carroccio o del Pdl, dopo che nello scrutinio alcuni voti sono andati a Donato Bruno, Niccolò Ghedini ed Enrico La Loggia (18 voti in tutto). Nel centrodestra si at-
«Se penso a ritirare la mia candidatura? Io sono il candidato del partito e faccio quello che mi chiede il partito». Gaetano Pecorella, candidato della maggioranza a sostituire il professor Romano Vaccarella alla Consulta ha risposto così a chi gli chiedeva se, viste le fumate nere di ieri, stia pensando a ritirare la propria candidatura da giudice alla Corte costituzionale. «La mia - ha aggiunto - non è un’ autocandidatura. Il mio nome è stato indicato dai vertici del partito. Che cosa posso dire per come sono andate oggi le cose? Che il voto è libero e che, per quanto riguarda il fatto che in molti siano già partiti visto lo sciopero degli aerei di domani, (oggi ndr) ritengo che debbano essere i capigruppo a decidere se proseguire con le votazioni o chiedere un tempo di riflessione». «Se il numero di voti, però, cresce nelle prossime votazioni, sarà difficile sostituire il candidato».
Federalismo, Formigoni cambia idea «Ritengo che la Regione Lombardia abbia dato il via al processo che ha portato al federalismo fiscale: siamo stati i primi, dopo la riforma del titolo V della Costituzione, ad avere chiesto di attivare il nuovo articolo 119, e adesso non solo lo sosterremo ma vigileremo affinché alcune norme e provvedimenti che ne accompagnano l’attuazione non ne sviliscano lo spirito». È quanto ha affermato il presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni (nella foto), in una intervista riferendosi al federalismo fiscale. Quanto al testo approvato dal Consiglio dei ministri, Formigoni spiega che «è forse l’unica sintesi possibile fra realtà territoriali e situazioni economico-finanziarie molto distanti tra loro».
Oggi sciopero di bus, treni e aerei Venerdì di passione per chi viaggia e chi si muove in città: aerei, navi, treni e trasporto locale sono coinvolti nello sciopero generale proclamato dai sindacati autonomi. Non solo: braccia incrociate anche nella scuola, nella sanità e nella pubblica amministrazione. A Roma è in programma una manifestazione di protesta, indetta da Cub, Cobas e Sdl, alla quale è prevista la partecipazione di 100.000 persone. Lo sciopero avrà forti ripercussioni per i trasporti pubblici mentre non dovrebbe avere un impatto rilevante sulla circolazione dei treni e degli aerei.
Rai, Veltroni: posizioni irragionevoli Walter Veltroni, riguardo allo stallo sulla commissione di Vigilanza Rai e sulla Consulta, chiarisce la posizione del Pd: «Aspettiamo che finiscano le posizioni irragionevoli. Più che dire che siamo disponibili a votare il candidato che presenteranno che altro possiamo dire - ha spiegato il segretario del Pd durante la conferenza stampa al termine della riunione del governo ombra - ci si dia la possibilità di votare un candidato con i requisiti necessari. Lo abbiamo detto prima. Tutti sapevano tutto». Quindi, a proposito della Vigilanza Veltroni aggiunge: «Sono 25 le votazioni che vanno a vuoto perchè la destra non partecipa».
politica ROMA. Cortei, assemblee, sit-in, proteste. Da Ferrara a Lecce il mondo accademico - anche ieri ha continuato ad esprimere la propria contrarietà alla riforma dell’Istruzione di Mariastella Gelmini, colpevole secondo gli studenti di averli «espropriati di un futuro elaborando una riforma basata su tagli inconcepibili». L’Unione degli Universitari (Udu), in un comunicato ha sostenuto che la scelta di scendere in piazza ha come obiettivo di far capire al governo che «non vi è altro modo per cessare queste mobilitazioni se non l’abrogazione degli articoli 16 e 66 e la considerazione dell’Università come una risorsa per il Paese e non come un onere di cui liberarsi». Piergiorgio Bergonzi, responsabile scuola dei Comunisti italiani e componente dell’ufficio politico del partito, ha rincarato la dose: «Il Pdci è contro la privatizzazione del sapere e sarà al fianco di docenti, studenti e genitori per impedire che l’istruzione qualificata sia accessibile solo a poche elite privilegiate, perché i devastanti tagli di risorse e docenti, l’abbassamento dell’obbligo di istruzione, il ritorno al maestro unico, la riduzione dell’orario obbligatorio, la trasformazione di scuole e università in enti privati sotto il mantello delle fondazioni, non potranno che portare a questo. Per non dire poi dell’ultimo provvedimento caldeggiato dalla Lega: l’istituzione di classi ghetto per gli immigrati che conclude Bergonzi - introducono di fatto, un regime di apartheid in Italia. Per impedire questo scempio in piazza bisognerà essere davvero in tanti». Anche Francesco D’Onofrio, professore di Istituzione di Diritto pubblico ed ex senatore dell’Udc, è dell’idea che bisogna stare dalla parte degli studenti. E per questo ieri ha partecipato all’assemblea della “Sapienza”contro i tagli del governo. Ma, ovviamente, il suo modo di interpretare la crisi e la strada per far uscire il mondo dell’istruzione dalle sabbie mobili in cui sembra precipitato è totalmente diverso da quello del Pdci. Sono qui come professore universitario - spiega a liberal - l’appartenenza politica è un fatto congiunturale, il fatto che sono docente è strutturale. Ritengo che da parte del governo sia stato un grave errore fare una legge senza parlarne con nessuno». E ha aggiunto: «La maggioranza politica deve sapere che ci sono delle autonomie: la religio-
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Mentre dilaga la protesta, Francesco D’Onofrio: «Ecco il golpe: non si fa una riforma senza parlarne con nessuno»
«Se il governo fa l’indiano la rivolta è inevitabile» colloquio con Francesco D’Onofrio di Francesco Rositano
che esiste il diritto all’ascolto delle istanze che vengono dal mondo della scuola e dell’università, considerate insieme agli altri quattro blocchi precedentemente citati, “i pesi e i contrappesi” di una moderna democrazia. Difendere i diritti di questi luoghi ad esprimere il loro punto di vista significa tutelare il principio di pluralismo
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permettere all’università di diventare nuovamente un ascensore sociale. Mi rendo conto che una simile concezione, alla luce delle logiche corporativistiche che governano l’università, può essere concepita come pericolosa, dal momento che potrebbe mettere in pericolo le microcorporazioni interne: i docenti, i ricercatori, gli ammi-
La maggioranza politica deve sapere che ci sono delle autonomie: la religione, la magistratura, gli enti territoriali, scuola e università, sindacati con cui bisogna confrontarsi prima di agire
ne, la magistratura, gli enti territoriali, scuola e università, sindacati con cui bisogna confrontarsi prima di agire. Sono qui perchè è un luogo dove si può parlare e confrontarsi, come non sta avvenendo in Parlamento in questo momento». Professore, qual è la proposta dell’Udc per far uscire il mondo accademico da questa impasse? Da docente dell’Udc ribadisco
e di libertà. Un modo di affrontare il problema assolutamente contrario al principio di onnipotenza della maggioranza, espresso dal Pdl ma anche da certi strati dell’opposizione. Spesso si è soffermato sull’importanza del merito, considerato a suo avviso il volano della ripresa. Non ho dubbi nel ripetere che solo l’introduzione di criteri realmente meritocratici può
”
nistrativi. Il nostro obiettivo è quello di ribaltare la logica che vede il merito come una minaccia, per fare di questo elemento il vero promotore di un nuovo equilibrio tra le diverse componenti interne al mondo accademico. Le strade per raggiungere questo obiettivo sono molto concrete. Ad esempio, pensiamo ai ricercatori. A mio avviso bisognerebbe impegnarsi per fare in modo che il personale
che si occupa della ricerca sia effettivamente ben retribuito. Ma solo per il tempo della ricerca: e non a vita. Insomma bisogna far in modo che queste forze siano impiegate per obiettivi funzionali e non per alimentare una sorta di assistenzialismo che a volte può sembrare addirittura accattonesco. Occorre recuperare una centralità dello studente e dell’università, ma questo non ha nulla a che vedere con lo studentismo. Cosa intende? Bisogna stare attenti a non farsi prendere da tentazioni di tipo accattonesco e di mero assistenzialismo. E mettere al centro la centralità del sapere. Questo significa puntare sulla qualità della conoscenza e scardinare quelle storture interne al mondo dell’università. In passato l’università è stata anch’essa un ascensore sociale, ma ha cessato di esserlo negli ultimi quindici anni. L’ascensore sociale però era troppo selettivo sulla provenienza familiare ed economica. Oggi occorre capire che può prevalere la logica mercificante rispetto alla qualità dell’istruzione.
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memorie
Il documentario dedicato al pontificato di Giovanni Paolo II, presentato ieri in Vaticano, rivela un particolare sconosciuto
L’attentato nascosto Il cardinal Dziwisz, ex-segretario di Wojtyla, rivela: nel 1982 fu accoltellato a Fatima di Francesco Rositano segue dalla prima Finora il fedele segretario del papa polacco lo aveva tenuto nascosto. C’erano tante ragioni per non rivelarlo. La Chiesa cattolica stava vivendo una fase delicatissima: era trascorso appena un anno dall’attentato in Piazza San Pietro di Ali Agca. il papa era andato a Fatima proprio per ringraziare la Madonna di avergli salvato la vita. E bisognava stare attenti a non alimentare tesi complottiste secondo la quale erano proprio
di diffondere uno scoop su questo grande uomo di Chiesa. Ma, ha detto il porporato, ha principalmente il ruolo di dimostrare «che Giovanni Paolo II non è stato dimenticato, era un grande Pontefice, per me quasi un padre». Un uomo capace di perdonare, che non aveva mai nascosto la sua umanità nel ruolo di Capo di Stato. Lo dimostrano le immagini piene di tenerezza che lo ritraggono mentre entra nel carcere romano di Regina Coeli e si avvicina Ali Agca, al tunisino che in quel
Un anno dopo il drammatico colpo di pistola sparato da Alì Acga in Piazza San Pietro, il Pontefice fu accoltellato da un prete lefebvriano durante un viaggio al santuario portoghese esponenti della Chiesa cattolica a voler morto il papa polacco. L’attentatore, infatti, era un sacerdote: il prete spagnolo ultraconservatore Juan Fernandez Krohn. Il prete spagnolo passò diversi anni in una prigione portoghese e dopo aver scontato la sua pena fu espulso dal paese lusitano.
Ma ora - a trent’anni dalla sua elezione al soglio pontificio (16 ottobre 1978) e a tre anni dalla sua morte (2 aprile 2005) - il cardinal Stanislaw Dziwisz ne parla nel documentario inglese intitolato «Testimony» che racconta la vita e le opere del Papa. Un film proiettato ieri sera in Vaticano alla presenza di Benedetto XVI. Un film ispirato dal suo libro testimonianza “Una vita con Karol” nella quale però non si parla assolutamente di ferimento. «Adesso posso rivelare che il Santo Padre rimase ferito» afferma nel documentario il cardinale Dziwisz. «Ricordo che quando tornammo nella stanza c’era del sangue». Naturalmente lo scopo di questo lavoro cinematografico che a breve verrà proiettato nei cinema italiani non è solo quello
maggio del 1981 aveva cercato di toglierli la vita. All’uomo che non gli chiese mai scusa per il gesto compiuto. Un’umanità che ha caratterizzato tutta la sua vita: dalla giovinezza agli ultimi anni della sua malattia. Il Papa, infatti, non ebbe mai vergogna di mostrarsi pubblicamente al mondo in tutta la sua sofferenza. E questa è stata la
sua più grande forza. Ne ha umanizzato il Pontificato, lo ha avvicinato ai giovani, lo ha fatto amare anche dai non credenti. Ieri l’Osservatore Romano ha ricordato come il suo insegnamento sia stato «ascoltato anche da moltissimi non credenti». E se questo è avvenuto è stato merito di questa sua umanità semplice e schietta. È stato il primo papa ad aver viaggiato tanto da percorrere per tre volte l’equivalente della distanza tra la terra e la luna, il primo ad aver fatto l’attore e l’operaio, ad entrare in una sinagoga e in una moschea, ad assistere ad un concerto rock e a una partita di calcio, ad essere ferito in un attentato e ad essere operato in un ospedale pubblico, quello che ha scritto più di tutti i papi e il primo ad aver scritto una lettera alle donne e una ai bambini, il primo da sentirsi tanto vicino ai giovani da inventare per loro le Gmg.
E forse è proprio in questa umanità la chiave del silenzio sulle ferite riportate nel suo secondo attentato. Un silenzio che fa capire come il Papa non ha mai avuto paura di abbrac-
ciare la sofferenza, e soprattutto non si è mai scandalizzato del peccato. Sia se esso riguardava uomini comuni, sia se esso poteva attraversare uomini di Chiesa. E Juan Fernandez Krohn era un uomo di Chiesa, che aveva abbracciato lo spirito della comunità Econe diretta da monsignor Marcel Lefebvre, fondatore dei cosiddetti
lefebvriani che oggi si sono staccati dalla Chiesa cattolica. Anche se in un secondo momento aveva abbandonato monsignor Lefebvre proprio perché - contrariamente agli altri membri della comunità Econe - si rifiutava di riconoscere l’autorità del Papa. Ma Krohn aveva anche problemi psicologici. Il francese padre
Un polemico papa Ratzinger celebra i dieci anni dell’enciclica di Wojtyla su «Fede e Ragione»
«Perché la scienza vuol riprodurre la Natura?» ROMA. Corto circuito tra Benedetto XVI e il mondo della scienza. Se da un lato torna a esaltare il valore della ricerca scientifica a servizio del progresso dell’umanità, nel contempo ricorda che «la scienza non è in grado di elaborare principi etici; essa può solo accoglierli in se riconoscerli come necessari per debellare le sue eventuali patologie». Per questo, spiega, la scienza non può fare da sola: «La filosofia e la teologia diventano, in questo contesto, degli aiuti indi-
spensabili con cui occorre confrontarsi per evitare che la scienza proceda da sola in un sentiero tortuoso, colmo di imprevisti e non privo di rischi». Questi concetti sono stati espressi dal Pontefice nel discorso tenuto in occasione dei dieci anni dell’enciclica Fides et Ratio di Giovanni Paolo II, celebrati in un convegno alla Lateranense. «Non sempre ha detto il Papa - gli scienziati indirizzano le loro ricerche verso scopi legati alla fede. Il facile guadagno o, peggio an-
cora, l’arroganza di sostituirsi al Creatore svolgono, a volte, un ruolo determinante». Secondo il Pontefice, «è questa una forma di “hybris” della ragione, che può assumere caratteristiche pericolose per la stessa umanità. Ciò non significa affatto limitare la ricerca scientifica o impedire alla tecnica di produrre strumenti di sviluppo; consiste, piuttosto, nel mantenere vigile il senso di responsabilità che la ragione e la fede possiedono nei confronti della scienza, perché
permanga nel solco del suo servizio all’uomo. La ricerca scientifica ha certamente il suo valore positivo – ha ribadito Benedetto XVI – e la fede, da parte sua, non teme il progresso della scienza e gli sviluppi a cui conducono le sue conquiste quando queste sono finalizzate all’uomo, al suo benessere e al progresso di tutta l’umanità. Non possiamo nasconderci – ha sottolineato tuttavia il Papa teologo - che si è verificato uno slittamento da un pensiero pre-
memorie
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Un saggio di Alfred Marek Wierzbicki sul pensiero di Wojtyla
La parabola politica di un Papa filosofo di Alfred Marek Wierzbicki Pubblichiamo un estratto di un saggio del filosofo polacco Alfred Marek Wierzbicki sul pensiero di Giovanni Paolo II. a filosofia di Wojtyla deve essere interpretata nel suo profondissimo aspetto politico. Se si deve distinguere alla maniera vichiana i due tipi dei filosofi: i filosofi monastici e i filosofi politici, senz’altro Wojtyla appartiene ai filosofi politici in quanto sottolinea il bisogno di costituire della cultura attraverso la prassi umana. La filosofia serve alla formazione dell’anima umana. A un certo punto la sua filosofia converge con quella marxiana, se si bada l’importanza la quale Wojtyla ascrive alla prassi, ma dall’altra parte la sua filosofia è il rovescio esatto della marxista filosofia della «praxis». Poiché, secondo Wojtyla, la filosofia della prassi non esclude e non sostituisce la metafisica, anzi la filosofia della prassi risulta dalle ricerche metafisiche ed etiche. Grazie al costante riferimento alla metafisica della persona nel modo di concepire la filosofia della prassi il pensiero wojtyliano sorto contro il marxismo, assume anche la forza di superare il pensiero debole della postmodernità. Mentre i numerosi pensatori del postmoderno parlano della fine della filosofia, il pensiero di Wojtyla giace la convinzione della necessità della metafisica della persona per oltrepassare lo scacco totalitario della modernità. Per i motivi teorici Wojtyla rifiuta di concepire la priorità della democrazia rispetto alla filosofia, come sostiene, per esempio, Richard Rorty, perché la democrazia senza il fondamento morale viene minacciata dal totalitarismo.
L
Barbera, animatore del movimento ”Forti nella fede” che considerava Giovanni Paolo II eretico disse: «Perdeva spesso la testa, accusava San Tommaso D’Acquino di aver fatto entrare il diavolo nella Chiesa. Spesso si metteva ad urlare in chiesa durante le celebrazioni». Alla luce di questa situazione appare ancor più chiaro
valentemente speculativo a uno maggiormente sperimentale: la ricerca si è volta soprattutto all’osservazione della natura nel tentativo di scoprirne i segreti. Il desiderio di conoscere la natura si è poi trasformato nella volontà di riprodurla. La conquista scientifica e tecnologica, con cui la fides è sempre più provocata a confrontarsi, ha modificato l’antico concetto di ratio; in qualche modo, ha emarginato la ragione che ricercava la verità ultima delle cose per fare spazio ad una ragione paga di scoprire la verità contingente delle leggi della natura». Rilevando che «esiste una verità che la ragione non potrà
il silenzio di Giovanni Paolo II su quell’attentato. Un silenzio motivato da ovvie ragioni diplomatiche, ma che trova una sua ragione nell’umanità di questo protagonista della storia del Novecento che ora in molti vogliono santo. Un riconoscimento che, alla luce dei fatti recenti, sarebbe quantomeno necessario.
mai scoprire partendo da se stessa, ma solo ricevere come dono gratuito», Papa Ratzinger ha ricordato anche che «la verità della Rivelazione non si sovrappone a quella raggiunta dalla ragione; purifica piuttosto la ragione e la innalza, permettendole così di dilatare i propri spazi per inserirsi in un campo di ricerca insondabile come il mistero stesso. La verità di Cristo, in quanto tocca ogni persona in cerca di gioia, di felicità e di senso, supera di gran lunga ogni altra verità che la ragione può trovare. È intorno al mistero, pertanto, che la fides e la ratio trovano la possibilità reale di un percorso comune».
dei suoi partecipanti che abbia intrapreso anche il suo personale lavoro filosofico in risposta alla sfida del Concilio, c’è un’osmosi straordinaria. Wojtyla nel suo libro scritto direttamente nei anni successivi dopo la chiusura del Concilio cita il magistero conciliare solo una volta, ma lo fa in maniera molto eloquente. Il brano citato all’inizio della Persona e atto conferma il primato della persona nella missione della Chiesa nel mondo contemporaneo. La questione sociale e politica viene trattata da Wojtyla nella chiave che gli offre il concetto della persona. Né il rapporto communionale «io-tu» né il rap-
di Marx. «Con la parola alienazione si caratterizza una situazione o condizione di un essere umano che non gli permette di sperimentare un altro essere umano come un“altro io”». L’alienazione cancella la vera basi dei rapporti interumani e questa basi è identica con il riconoscimento dell’umanità dell’altro «io». La mostruosità delle diverse forme dell’alienazione nell’epoca contemporanea sollecita il filosofo alla ricerca delle proprie radici dell’alienazione. Secondo Karol Wojtyla, la più profonda radice dell’alienazione si trova nelle erronee filosofie politiche come quella dell’individualismo e quella del totalitarismo dove si perde il significato personalistico e communionale del umano vivere ed agire insieme. L’alienazione non permette all’uomo di realizzarsi come persona. Benché Wojtyla nei suoi scritti filosofici composti prima del Pontificato non abbia dedicato molto spazio all’interpretazione della società opulenta, è, tuttavia, chiaro, che la sua opposizione “partecipazione o alienazione” possa servire per una critica adeguata della società del consumo, la quale evita di porre il problema della natura della felicità umana. Nella società opulenta pensata come un grande supermercato tutto diventa l’oggetto dello scambio per cui l’alienazione cresce quando l’altro diventa ridotto allo strumento della soddisfazione dei bisogni sia dell’individuo sia del collettivo. Per elevare il mercato al livello della vera e propria partecipazione al posto dell’alienazione bisogna affermare il fondamento etico dell’economia intera. In altre parole, occorre riconoscere che l’uomo non di solo mercato viva.
Per i motivi teorici, rifiutò di concepire la priorità della democrazia sulla filosofia: la ragion di stato senza morale viene minacciata dal totalitarismo
La personalistica filosofia della politica, pensata da Karol Wojtyla, corrisponde sul piano filosofico, all’insegnamento del ConcilioVaticano II. Non bisogna dimenticare che tra il lavori del Concilio e la riflessione del uno
porto sociale «noi» non esaurisce la vita della persona. La persona compie se stessa nel suo agire con gli altri, e proprio l’autocompimento della persona in atto diviene la misura dell’autenticità dei rapporti intersoggettivi. La vita communionale e sociale delle persone umane si estende tra la partecipazione e l’alienazione. La partecipazione significa in primo senso il legame esistenziale con il prossimo, si tratta addirittura della partecipazione nell’umanità dell’altro. Su questo significato fondamentale della partecipazione si basa il significato sociologico che consiste in agire insieme delle diverse persone umane in mira di un certo bene comune. L’opposizione della partecipazione Wojtyla chiama l’alienazione, pur prendendo questo termine dal linguaggio hegeliano e marxiano gli attribuisce il significato personalistico assente in pensiero di Hegel e
Una volta, Ferdinando Adornato ha chiamato Karol Wojtyla «l’unico filosofo dell’Occidente». L’unico perché con la grandissima persistenza resiste al pensiero debole. Dobbiamo ancora chiederci con Adornato: sarà anche l’ultimo?
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politica
Dal niet a Casini sull’alleanza in Abruzzo la conferma di una strategia che viene da lontano
«Fate fuori tutti i dc» Come e perché il Cavaliere continua a cercare l’annullamento di un’intera cultura politica di Errico Novi
ROMA. Nulla è più inconciliabile. Berlusconi e la cultura democratico cristiana hanno convissuto finché è stato possibile. Poi a febbraio è arrivata la rottura, con la nascita improvvisa del Pdl e il no del Cavaliere all’alleanza con l’Udc. C’è solo da stupirsi che non sia accaduto prima, che Silvio sia riuscito a reprimere fino a quel momento il suo irrefrenabile rigetto per la politica intesa in senso classico. Ora c’è il secondo stadio del programma, con la cancellazione del patto per le Regionali in Abruzzo. Berlusconi non poteva negarsi questo ulteriore strappo. Odia il dibattito, detesta la dialettica che precede le decisioni concordate. Berlusconi ha sofferto di questo disagio fin dal suo primo ingresso in politica. Se l’è trascinato per oltre due lustri, soprattutto perché persuaso a convertirsi dall’inesauribile Gianni Letta. Poi dopo la sconfitta del 2006 ha detto basta. Non solo alle negoziazioni con gli alleati, ma
utile. Adesso per Silvio si presenta un’altra occasione con le Regionali abruzzesi. Ha deciso ovviamente di coglierla, con l’esclusione dell’Unione di centro dall’alleanza che sosterrà il candidato governatore Gianni Chiodi (ex sindaco azzurro di Teramo messo ieri ufficialmente in pista). Ai piedi del Gran Sasso l’Udc vanta un patrimonio elettorale consistente: più dell’8 per cento, giusto la metà dei consensi forzisti, secondo il risultato del 2005. Quello del 30 novembre è l’unico test politico di questo autunno, a parte l’imminente elezione per il presidente del Trentino-Alto Adige che fa però storia a sé. Si tratta dunque di una prova importante per tutti, anche per il Centro. Che in Abruzzo è forte, tanto da poter fare la differenza.
con 3 miliardi e 800 milioni di debiti, possiamo dare risposte serie agli abruzzesi. Ci presenteremo a testa alta senza accettare i diktat dei monarchi italiani».
Dal Pdl è arrivato un ultimatum analogo a quello di febbraio: siamo disposti ad allearci con l’Udc solo se l’Udc rinuncia a nome e simbolo. Un modo come un altro per farsi dire no, e per anticipare altri no alle amministrative di primavera.
La partita in gioco è alta. C’è l’opportunità di tenere l’Udc fuori dalle istituzioni. E, immagina Berlusconi, di indurre una certa quota di qua-
Dopo il trauma del 2006 Silvio ha dato libero sfogo alla sua insofferenza per la dialettica politica propriamente detta. Che i democristiani, dall’Udc a Formigoni e Pisanu, impersonano ai suoi occhi anche alla discussione interna al suo partito. Che è stato prima stordito dall’uragano Brambilla e poi consegnato agli archivi dal predellino di piazza San Babila.
Non vuole più sentir nominare il nome di un partito democratico cristiano. E dunque Berlusconi vorrebbe che l’Udc evaporasse nel nulla. Il resto non lo preoccupa. Non Carlo Giovanardi, che ha accettato di lasciarsi assimilare nel calderone unico. Neanche Gianfranco Rotondi, che non avanza particolari pretese identitarie e si prepara a sua volta a ripiegare per sempre le insegne. Resta solo l’Udc. Un cruccio. Ad aprile Pier Ferdinando Casini ha resistito alla campagna per il voto
dri ed elettori a trasferirisi sotto le insegne del Pdl. La cui vittoria è indicata come assai probabile dai sondaggi. A pesare è il pauroso calo del Partito democratico, fiaccato agli occhi dell’opinione pubblica dallo scandalo che ha travolto la giunta Del Turco e incalzato dal granitico patto tra Di Pietro e sinistra massimalista. È per questo che Chiodi sembra destinato a prevalere. L’Unione di centro metterà in campo un proprio candidato, Rodolfo De Laurentiis, come ha annunciato ieri Lorenzo Cesa. Che tiene la porta aperta: «Se c’è una convergenza di Pd e Italia dei valori sul nome che abbiamo scelto, ben venga. Abbiamo le idee chiare, c’è una situazione drammatica
Ogni volta che sarà possibile, ovunque ci sia una tradizione di pacifica convivenza con l’Unione di centro e i sondaggi dovessero prevedere una vittoria in solitario del Pdl, si ripeterà lo stesso refrain, come hanno lasciato intendere Ignazio La Russa e Gaetano Quagliariello. Si insegue il genocidio politico, questo è chiaro. Eppure rischia di verificarsi esattamente lo stesso fenomeno della primavera scorsa: seppure una percentuale di consensi dovesse passare dall’Udc al Pdl, ci sarà una compensazione con i voti
in uscita dal Partito democratico, in particolare dall’area dell’ex Margherita. Risultato: si indebolisce paurosamente il centrosinistra ma il centro persiste. Meccanismo a suo modo beffardo, non del tutto considerato dal Popolo della libertà.
Il glaciale rifiuto abruzzese, e quelli che probabilmente il Pdl pregusta per le amministrative del 2009, fanno parte della stessa meccanica che ispira la riforma della legge elettorale per le Europee. E dietro a tutto c’è sempre l’insofferenza irri-
ducibile di Berlusconi per la cultura democratico cristiana, per la mediazione, e per i tempi che la politica propriamente detta imporrebbe. La vittoria mancata per poche migliaia di voti nel 2006 ha cambiato il Cavaliere: lo ha convinto a muoversi da solo, a non dare più ascolto agli alleati (neanche a Fini, come testimonia la storia recente) e ai suoi stessi uomini. Ha messo al tappeto Forza Italia con tutta la sua schiera di dirigenti. Ha cancellato la struttura prima con lo spauracchio dei Circoli e poi con il colpo
politica
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Oggi l’assemblea indetta da liberal e dall’Udc contro l’abolizione delle preferenze
L’Italia non è bipartitica, noi saremo la sua voce colloquio con Rocco Buttiglione di Susanna Turco
ROMA. Sono passate poche ore dal-
netto del nuovo partito. Si è concentrato sul completo annichilimento di quelle figure che avevano ascendenze dc: prima Beppe Pisanu, poi Roberto Formigoni, senza considerare l’emarginazione di uomini come Enrico La Loggia. Persino Claudio Scajola, che pure è un ministro della Repubblica, si vede costretto a ridurre i danni riorganizzando quello che resta della propria corrente.
Non ci sarà ombra dello Scudo crociato, nel Pdl. E quindi di ammenicoli quali il dibattito interno e la partecipazione attiva alla vita del partito. Paradossalmente è proprio questo disegno che garantisce la persistenza del Centro, destinato a trasformarsi nel rifugio per chi invece pensa ancora alla politica con categorie meno semplificate.Tirare la corda sulla scarnificazione della forma-partito assicurerà sì una più agile gestione del consenso, per Berlusconi, ma anche una risposta di alcuni settori della società, dell’associazionismo, di quel mondo cattolico che non sopporta di autorappresentarsi in modo amorfo e indifferenziato. Scherzi del destino che sdrammatizzano, come è giusto che sia, l’irresistibile rigetto di Silvio per i democratici cristiani.
l’annuncio del mancato accordo tra Pdl e Udc sulle regionali abruzzesi, eppure il presidente dei centristi Rocco Buttiglione appare tutt’altro che sorpreso. «Non lo sono molto meravigliato, in effetti», dice. E perché? Fino a quando riterrà di poter vincere senza di noi, Silvio Berlusconi farà di tutto per emerginarci. Il suo disegno politico non è avere la supremazia all’interno dell’area moderata: lui vuole annullare l’Udc in modo da poter incorporare l’area moderata all’interno del suo partito personale. Ma è anche realista: in Abruzzo pensa e tenterà di farcela senza di noi, al contrario dove pensa che il nostro apporto sia necessario cercherà di avere il nostro sostegno. E l’Udc cosa deve fare in questa fase? Dobbiamo dimostrare di saper reggere nonostante il suo boicottaggio. Dobbiamo costruire un partito, andando anche oltre ciò che siamo oggi, nel quale la voglia di rappresentare una parte dell’Italia prevalga: insomma, non è il tempo del partito di assessori, ma di chi ha una fede e una visione. In concreto? Prima di tutto dobbiamo chiamare a raccolta gli elettori su una proposta, che sia anche espressione di un’Italia che oggi non è rappresentata politicamente: parlando col popolo cristiano che c’è in Italia e anche con quei moderati che cristiani non sono ma vogliono un’altra politica, rispetto a quella del «con me o contro di me». E, in secondo luogo, dobbiamo fare le nostre alleanze avendo come obiettivo primario il bene della comunità. Ossia senza schemi prefissati? Dove abbiamo governato bene col centrodestra, confermeremo l’alleanza. Dove vediamo la possibilità di creare un’ipotesi politica di centro, come in Trentino, la perseguiremo. E dove saremo decisivi per la vittoria, faremo notare a Berlusconi che lo siamo e che quindi decidiamo noi, anche a costo di dargli dei dispiaceri. Questa, almeno, è la regola di oggi. E domani? Quando la sindrome di onnipotenza di Berlusconi sarà diminuita, quando sarà chiaro che il sistema non è e non si farà ricondurre al bipolarismo, si aprirà una stagione politica della quale noi rappresentiamo l’avanguardia. Per adesso
dobbiamo restare sulla nostra proposta e non cedere né alla paura, né al vecchio riflesso per cui in ogni voto gli italiani decidono solamente pro o contro Berlusconi. Non dobbiamo essere succubi del suo richiamo, né farci trascinare dall’istinto di vendetta nei suoi confronti. La rottura delle
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trattative per un’alleanza in Abruzzo porta con sé, a cascata, un’analogo schema anche per le amministrative? Pdl e Udc continueranno a marciare separati? Vedremo, ogni elezione fa storia a sé e molto dipenderà anche dai risultati di questa tornata regionale. Di nuovo, se Berlusconi riterrà possibile annullare noi centristi ripeterà l’opzione di oggi, diversamente dovrà fare le sue considerazioni. Come del resto anche noi. È possibile che a questo punto l’Udc si allei con il Pd? Noi abbiamo un candidato, Rodolfo De Laurentiis: se al partito democratico va bene non vedo perché dovremmo dire di no, diversamente andremmo da soli. È il partito di Veltroni, infatti, a dover scegliere tra due lineee politiche diverse: o noi, o il giustizialismo dipietrista. Sulla questione delle preferenze, tuttavia, Pd e Udc stanno già dalla stessa parte. Parlando dell’iniziativa di liberal «una preferenza della democrazia», Enrico Letta ha detto che il tema è «un tornante di questa legislatura». È d’accordo? Dico di più: quello delle preferenze è un tornante della storia democratica del Paese. Un sistema nel quale il Parlamento è nominato non fa bene alla vita democratica. E nemmeno ai partiti, perché un deputato che ha preso centomila preferenze ha voce in capitolo sulla linea politica da seguire, mentre un deputato che oggi andasse dal capo e gli dicesse che secondo lui sta sbagliando riceverebbe una sola risposta: «Ho sbagliato, sì: a metterti in lista». Le preferenze sarebbero dunque un argine a un certo modo di intendere la vita parlamentare e anche la vita politica. Guardi, c’è un disegno perverso che lega tutto: si vuole un Parlamento poco rappresentativo, perché così è molto difficile che si opponga alla riduzione dei propri poteri, al disegno di concentrare tutto nelle mani dell’esecutivo. Votare, non parlare: come fa una maggioranza, in queste condizioni, a non essere uno strumento del governo?
Chi è favorevole alle liste bloccate vuole un Parlamento poco rappresentativo, incapace di opporsi alla riduzione dei propri poteri, e una maggioranza che sia strumento del governo
”
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il paginone
Un libro della storica tedesca Anna Maria Sigmund ricostruisce nei minimi particolari e con episodi inediti il contesto nel quale il dittatore prese il potere. Il ritratto di un uomo ossessionato dalla nobiltà e dalla cultura n borghesuccio. Di umili e incerte origini. Con una cultura modesta e raffazzonata. Una fallimentare ambizione artistica alle spalle. Intuitivo e astuto più che profondo. Qualche problemuccio, pare, con le donne, che teneva in poco conto. Ecco il ritratto di quell’uomo con i baffetti che vide sfilare ai suoi piedi l’intera Germania. Il paese di Hegel, della scuola filosofica di Francoforte, del Romanticismo, di Goethe e di Beethoven ha osannato un nevrotico, con scene da delirio collettivo che, osservate a distanza di decenni, paiono sceneggiature di un mediocre film. Adolf Hitler e la sua incredibile carriera rimangono ancora un mistero. Come misterioso è il fenomeno dei tedeschi soggiogati da un fascino demoniaco, barocco e clownesco. Nessuno lo fermò con le armi politiche e gli attentati contro la sua persona fallirono.
U
La storica e ricercatrice universitaria austriaca Anna Maria Sigmund si occupa da anni del nazionalsocialismo. Scrisse un bel libro intitolato Le donne dei nazisti. Stavolta, spulciando meticolosamente documenti
d’armi del mondo proprio nella zona dove più visibili potevano essere le sue orme familiari. Ordinò che gli abitanti sgombrassero da decine di paesi dell’Austria inferiore. E arriviamo al dubbio, per lui atroce, di avere sangue ebraico nelle vene. Studiosi e detrattori parlarono apertamente di Hitler come di «un mezzo ebreo». La Wermarch ricevette l’ordine di distruggere alcuni documenti parrocchiali? La nonna di Adolf, Marianna Schicklgruber, figlia di un contadino del Waldviertel settentrionale - la zona poi spianata e isolata dai militari con la svastica - andò come cameriera presso alcune famiglie potenti. Qualcuno fa il nome di (Vienna), di Rothschild Frankenberger (Graz). Dinastie ebraiche. A quarant’anni fu messa incinta. Probabilmente da qualcuno dei suoi datori di lavoro. La sposò, dopo il parto, il disoccupato Johann Georg Hiedler. Il nome Hitler è il risultato di un errore di trascrizione comunale. Lo stesso dittatore, che non volle mai aiutare i parenti, dichiarò dopo una delle sue sfuriate isteriche: «Ho sempre nascosto alla stampa la mia persona e le questioni private con grande attenzione. La gen-
La nonna di Adolf, Marianna Schicklgruber, figlia di un contadino, da ragazza andò come cameriera presso alcune potenti famiglie austriache. Tutte famose dinastie ebraiche. E a quarant’anni fu messa incinta da qualcuno dei suoi datori di lavoro e testimonianze, ha voluto scavare nei comportamenti e nella psiche di quel funebre esaltato che portò il mondo verso un immane incendio. Nel suo nuovo libro, Dittatore, demone e demagogo (Il Corbaccio, 234 pagine, 18,60 euro) ripercorre le tappe della vita del Führer, dai suoi antenati al colpo di pistola che pose fine alla sua vita, il 30 aprile 1945. I dubbi sulle sue origini non sono mai svaniti. Lui stesso mal sopportava chi scartabellava documenti alla ricerca di una qualche nobiltà (non certo araldica) del suo ceppo familiare. A volte si opponeva ai tentativi di storicimaggiordomi, altre volte faceva di tutto per cancellare le tracce del suo passato. Guardacaso, il regime di Berlino decise di creare la più grande piazza
te non deve sapere chi sia io. Nemmeno nel mio libro, Mein Kampf, ho permesso che trapelasse una sola parola su queste cose, nemmeno una». Questo secondo il nipote Patrick Hitler, che aggiunse la coda di quella scenata: «Idioti! Idioti! Così distruggerete tutto!».
Distruggere che cosa? Quello che tutti sapevano, ossia che nel Waldviertel, in Tirolo e in Carinzia la percentuale dei figli illegittimi raggiungeva a quei tempi il 40 per cento. E anche che il padre di Hitler, Alois, era un uomo brutale, sprovvisto di morale, prepotente e «senza scrupoli anche nelle questioni sessuali» avendo avuto un “menage à trois” oltre a tre matrimoni. Gli antenati del dittatore si unirono spesso in modo non
distante dall’incestuoso, ma Hitler, forse suggestionato dalle tradizioni dell’Egitto dei faraoni, non fece mai mistero di apprezzare la consanguineità. Questa caratteristica l’attribuiva colpevolmente anche agli ebrei e alla loro tenacia: un modo di non “sporcare” la razza con innesti nuovi o diversi. L’uomo che si pose alla testa dell’esercito più potente e aggressivo del mondo fu un renitente alla leva. Essendo nato il 20 aprile del 1889 a Braunau am Inn, avrebbe dovuto prestare servizio militare, nell’imperial esercito austro(che ungarico detestava per la sua “mescolanza di razze”) nel 1910. Non si presentò, fu cercato. Nel 1912 ignorò anche la terza e ultima chiamata alle armi. La burocrazia tuttavia non avviò mai una procedura per «sottrazione all’obbligo militare». Per le autorità viennesi fu «un peccato di omissione». Nel gennaio 1914 al consolato di Monaco, città che raggiunse col rischio di essere fermato alla frontiera, Hitler arringò come un pittoresco penalista: «Per due anni non ebbi altra amica che la preoccupazione e l’indigenza, nessun’altra accompagnatrice che una fame implacabile». Fu visitato e dichiarato «non adeguato al servizio militare e ausiliario. Troppo debole. Non abile». Tuttavia il deboluccio Hitler si presentò come volontario nel reggimento di fanteria della Baviera. Spiegò così la scelta: «Avevo abbandonato l’Austria innanzitutto per motivi politici, quindi era ovvio che, nel momento in cui lo scontro aveva inizio, io dovessi tener conto del mio modo di pensare». Cittadino tedesco a tutti gli effetti lo divenne solo nel febbraio 1932, l’anno prima della sua nomina a Cancelliere della Germania. Era imbarazzante quanto il tribunale di Linz esibì nel ’32, ossia le imputazioni risalenti al 1917 a causa di frodi. Non è chiaro se rubò davvero del bestiame per rivenderlo ai danni dello Stato.
Tutta la veri
Imbarazzanti anche le descrizioni che circolavano sul suo periodo viennese, come pittore respinto dall’Accademia: un vagabondo, un mendicante
Perché la Germania lo seguì
di Pier Mari
il paginone che aveva trovato asilo in un ricovero per senza tetto nel quartiere di Meidling. Storia controversa, alla pari delle accuse di un poco di buono che sarebbe stato incaricato di vendere quadri-imitazioni, di stampo ottocentesco, creati dal falsario Adolf. Parlando un giorno della sua permanenza viennese, Hitler cadde in varie contraddizioni. In ogni caso sottolineò il termine “indigenza”. Comunnque, come ogni dittatore si sentiva chiamato da una missione altamente storica. Il 10 febbraio 1933 tenne il suo primo discorso pubblico come Cancelliere del Reich. Lo ascoltarono in milioni, grazie alle “Volksempfanger” (le radioline per il popolo). Così concluse l’eccitatissimo intervento: «Popolo tedesco! Dacci quattro anni di tempo, poi giudica e sentenzia su di noi. Dacci quattro anni di tempo e io ti prometto: così come abbiamo e ho assunto questo incarico, così noi ce ne andremo. Non l’ho fatto per denaro né per altra ricompensa, l’ho fatto solo perché tu hi voluto». Il Fisco gli ha dato ragione: tutti gli introiti di Cancelliere furono destinati a iniziative benefiche, ovviamente di stampo rigorosamente nazista. Quanto al ritirarsi dopo quattro anni, c’è da dire semplicemente che nel 1937 in Germania non vigeva più il diritto di voto. Un solo uomo comandava su tutti, e il suo gusto del comando si era rafforzato oltremisura. Hitler ebbe vari incontri segreti con personaggi di spicco del mondo imprenditoriale che accolsero il nuovo piano economico con grande entusiasmo. Tra i venticinque potenti dell’industria e delle finanze c’erano ovviamente Gustav Krupp e Albert Vogler oltre al presidente della Reichbank. In precedenza molti industriali, soprattutto della Renania-Westfalia, finanziarono generosamente i gruppi hitleriani nella speranza che risolvessero la crisi economica che aveva portato alla disoccupazione un terzo della popolazione attiva. L’alternativa, pensavano in molti, era la politica di Stalin: la collettivizzazione forzata dell’Ucraina, che aveva pretese autonomiste, ebbe come risultato miseria e carestia. E la morte, in un solo inverno (1932-33), di otto milioni di persone.Tra i “ferventi”sostenitori del piano economico firmato dalla croce uncinata c’erano anche i famosi Thyssen e Flick. Malgrado avesse l’appoggio della «legge per i pieni poteri», Hitler mai rinunciò al terrore. Era sua convinzione che le azioni violente avrebbe-
ità su Hitler rità
ì e perché nessuno lo fermò
io Fasanotti
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ro «tenuto in forma» il movimento nazista. Si calcola che tra il ’33 e il ’35 oltre tre milioni di tedeschi furono spediti, con motivazioni diverse, in campi di concentramento o nei cosiddetti “istituti di redenzione”. Sul piano politico la resistenza al dittatore fu uguale a zero. A poco a poco, dal 1933 si sciolsero i raggruppamenti che potevano almeno sulla carta ostacolare la completa presa di potere di Hitler. Lo stesso partito popolare tedesco-nazionale, che si era coalizzato con il futuro fuhrer permettendogli di avere al parlamento una risicata maggioranza, si sciolse e il suo capo, Alfred Hugenberg si dimise. Hugenberg aveva riversato nelle casse dei nazisti un sacco di soldi. Successivamente gli fu promesso di occuparsi del-
aspettato un crollo così miserevole?».
Il mondo della cultura non ebbe tempo, e audacia, per opporsi. I nazisti iniziarono subito la fase del “chiarimento” con gli intellettuali recalcitranti (o ebrei: questa era un’aggravante). Le “azioni spontanee” dei nazisti radicali devastarono, immediatamente dopo la salita di Hitler al Cancellierato, le abitazioni di scrittori, magistrati, avvocati, pittori e registi “indocili”o solo sospettati di poco entusiasmo. Se ne andò Thomas Mann, che abbandonò la carica di presidente della sezione Poesia dell’Accademia prussiana delle arti e fu privato della cittadinanza nel ’36. Bertolt Brecht e Helene Weigel scapparono a Praga. Albert Einstein, tornando dagli Stati Uniti si
Il mondo della cultura non fece in tempo a opporsi al regime: se ne andarono per loro scelta Thomas Mann, Bertolt Brecht e Albert Einstein. Il grande regista Max Reinhardt fu licenziato dal teatro nazionale di Berlino. E non tornarono più
Qui sopra, Hitler e Mussolini nel 1938 a Roma. Sotto, il Fürher a Berlino, come sempre osannato dai tedeschi. Nella foto di apertura, Hitler davanti alla Torre Eiffel dopo l’invasione della Francia nel 1940
l’informazione, dei giornali e dell’Ufa, la compagnia produzione cinematografica. Incarico paraministeriale mai espletato visto che le lunghe mani della propaganda di Joseph Goebbels fecero piazza pulita dei nazionalisti. Il Partito Popolare di Centro andò sveltamente verso l’autoscioglimento. Hitler commentò sarcasticamente: «Chi mai si sarebbe
fermò in Belgio e non fece mai più ritorno in Germania, scegliendo poi l’America come nuova patria. Il Deutsches Theater di Berlino licenziò il direttore ebreo, il gran regista Max Reinhardt. Università e biblioteche furono “bonificate”, anche con grandi falò di libri. Il nazismo si blindò in tempo. La propaganda e la polizia segreta fecero il resto.
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mondo
L’Ungheria pronta a chiedere l’intervento del Fondo monetario internazionale. Per la Ue sarebbe il primo caso
Dopo l’Islanda, Budapest verso il crack? di Franz Gustincich
d i a r i o onda d’urto della crisi finanziaria provocata dagli Usa ha raggiunto l’Ungheria con un impatto di notevole intensità. Come molti altri piccoli stati, il Paese sta soffrendo del prosciugamento delle linee di credito internazionale. Dal Giappone arriva la proposta di costituire un fondo internazionale di 200 miliardi di dollari per aiutare le piccole nazioni che, dalla periferia, soffrono della grande crisi provocata dal centro. Sono queste, infatti, a correre i rischi più seri di implosione del mercato e, soprattutto, di bancarotta dello Stato. In Europa, tra le piccole nazioni, quella che più di tutte è in pericolo
L’
investitori stranieri, gli stessi che ora si stanno ritirando, diventando finanziariamente dipendente dai capitali esteri. Ora che questi si stanno improvvisamente esaurendo, il livello di vulnerabilità è cresciuto esponenzialmente. Il sistema bancario, dominato da istituti locali con la presenza di alcune banche internazionali, prime fra tutte l’italiana Unicredit e l’austriaca Erste Raffeisen, sta scricchiolando più rumorosamente che negli altri Paesi europei e ha costretto il governo ad intervenire elevando la garanzia per i depositi dei risparmiatori da 6 a 13 milioni di fiorini (51.640 Euro), nella speranza di arginare la sfiducia
A destra: il parlamento di Budapest; sotto: Ferenc Gyurcsany, Primo ministro ungherese, socialista, che ha descritto l’accordo con l’Fmi come «l’ultima linea difensiva, veramente l’ultima».
per il prosciugamento delle linee di credito internazionali è l’Ungheria. Il Paese magiaro sarà, molto probabilmente, il primo dell’Unione Europea a ricorrere all’intervento del Fondo Monetario Internazionale. Dominique Strauss-Kahn, direttore manageriale dell’Fmi, lunedì ha dichiarato che il Fondo sta conducendo uno stretto dialogo con l’Ungheria. Ferenc Gyurcsany, Primo ministro, socialista, ha descritto l’accordo con come «l’ultima linea difensiva, veramente l’ultima» aggiungendo che la semplice possibilità di accedere a questi fondi, anche se l’Ungheria non dovesse chiedere alcun prestito, servirà a calmare i mercati.
Quando ha raggiunto l’Unione Europea, nel 2004, Budapest ha ricevuto un grande flusso di denaro dagli
che ha pervaso il mercato, e di impedire il ritiro dei depositi. Le contromisure adottate dal governo di Budapest non si fermano qui. La più grave ed importante riguarda la legge finanziaria, il recinto all’interno del quale si muovono tutte le attività dello stato: il primo ministro ha convocato per oggi il Parlamento di piazza Kossuth per ridiscuterla e sottoporla ad una cura dimagrante. Tutto ciò mentre i lavoratori appartenenti a sei sindacati, scendono in piazza per reclamare salari più alti e migliori condizioni di lavoro. Il leader di Fidesz, il principale partito di opposizione, ha criticato aspramente
le misure che il governo vuole intraprendere, sostenendo che si tratta solo di una gigantesca cinghia da stringere, e che va a tagliare soprattutto i salari dei lavoratori e le pensioni. Da due giorni, tuttavia, il fiorino sta godendo di una rivalutazione che lo ha visto guadagnare molti punti sia sull’euro che sul dollaro.
Il noto finanziere di origine ungherese George Soros, in un’intervista al settimanale Nepszabadsag, ha dichiarato che l’Ungheria sta soffrendo delle «sfortunate conseguenze dell’effetto panico». La crisi, secondo Soros, «è basata sulla falsa supposizione che il mercato possa correggere da solo i propri estremismi, senza alcun intervento. Questa è una crisi endogena che è stata creata dallo stesso sistema finanziario». Come gli Stati Uniti, anche l’Ungheria ha vissuto al di sopra dei propri mezzi, importando molto più di quanto ha esportato, e raggiungendo nel 2007 il primato negativo del più grande deficit tra le 27 nazioni dell’Unione Europea. L’Ungheria, purtroppo non è sola. In Polonia, dove il ministro delle Finanze Jacek Rostowski rassicura sulla solidità del sistema bancario, stanno già facendo i conti per prevedere la dilatazione del calendario per entrare nell’area dell’euro, la cui adozione era stata prevista per il 2012; in Bulgaria, sebbene il vento della crisi sia ancora una leggera brezza, il governo è convinto della solidità del sistema e non ha ancora intrapreso nessuna misura di contenimento, sebbene dai comparti del turismo e delle costruzioni - settori praticamente fermi - sia stato lanciato l’allarme. L’Islanda, 300mila abitanti - per allargarci dall’Europa comunitaria a quella geografica - che ha basato gran parte del suo benessere sul sistema finanziario, rischia invece di raggiungere un altro particolare primato, ricorrendo, quale Paese aderente alla Nato, al primo prestito dalla Russia, di 4 miliardi di dollari (ma fonti auterovoli alzano la quota a 5,5 miliardi). Mosca ha oggi riserve valutarie di circa 500 miliardi di dollari, frutto soprattutto dei proventi del comparto energetico. In questo periodo, di paventata nuova guerra fredda, il prestito russo preoccupa gli Usa e fa sorridere Putin.
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g i o r n o
Ue/1. Sul Clima un accordo per dicembre Sul clima l’Unione Europea bypassa lo scontro e va avanti. Dal Consiglio Europeo di Bruxelles è infatti uscita unanimemente confermata la tabella di marcia del pacchetto ambiente ed energia su cui si era manifestata la contrarietà di Polonia e Italia che avevano minacciato il veto pur di fermare i tagli alle emissioni di anidride carbonica e l’incremento di efficienza energetica ed energia rinnovabile. Il presidente francese, Nicolas Sarkozy e il presidente della Commissione europea, Manuel Barroso hanno espresso tutta la propria soddisfazione per il fatto che sull’applicazione del pacchetto clima ed energia dell’Ue deciderà il Consiglo di dicembre, come da programma.
Ue/2. Al via i 12 saggi Il Consiglio Europeo ha varato il “Gruppo di riflessione” indipendente proposto dalla Francia allo scopo di anticipare e affrontare al meglio le sfide di lungo periodo (nell’orizzonte 2020-2030) che sarà presieduto dall’ex presidente del governo spagnolo Felipe Gonzales. Tra i membri, i cui nomi circolavano già da alcuni giorni, confermata la presenza di Mario Monti. Oltre a Gonzales ci saranno dunque i due vicari Vaira Vike- Freiberga, ex presidente lettone e il presidente della Nokia Jorma Ollila. Membri “semplici” l’italiano Mario Monti, l’ex presidente polacco Lech Walesa, il professore danese Lykke Friis, l’architetto olandese Rem Koolhaas, l’economista austriaco Rainer Munz, il professore di relazioni internazionali a Oxford, Kalypso Nicolaidis (greco), l’ex sindacalista francese Nicole Notat, il britannico Richard Lambert, ex direttore del Financial Times, e il sindaco di Stoccarda Wolfgang Schuster.
Ue/3. Barroso: alla Ue vorrei Sarkozy Al presidente della Commissione José Manuel Durao Barroso, non dispiacerebbe avere Nicolas Sarkozy alla presidenza stabile dell’Unione europea, una figura prevista dal Trattato di Lisbona, congelata dal “no” del referendum irlandese insieme ad altre riforme istituzionali. «Se si candidasse, voterei Sarkozy presidente stabile dell’Unione europea, ma dopo questi sei mesi di fuoco, non credo che si candidera», ha detto Barroso, rispondendo alle domande dei giornalisti al termine del Vertice Ue. «Abbiamo bisogno di un presidente del Consiglio Ue che non cambi ogni sei mesi. Ci serve una presidenza forte», ha sottolineato Barroso, citando il ruolo della presidenza francese nella gestione della soluzione del conflitto Georgia-Russia e per fronteggiare la crisi finanziaria.
Thailandia-Cambogia: accordo in vista responsabili militari di Thailandia e Cambogia hanno concordato ieri di creare “pattuglie congiunte” per evitare scontri armati al confine come quello che ieri ha fatto almeno due morti e nove feriti. Lo ha detto il generale thailandese Wiboonsak Neeparn, comandante delle forze armate thailandesi nel nord est, dopo un colloquio di cinque ore alla frontiera con il suo omologo cambogiano.
mondo
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Se venisse eletta dopo Lula, Dilma Roussef sarebbe la terza donna presidente dopo la Kirchner e la Bachelet er gli Stati Uniti è uno tsunami, ma è per noi sarà solo un’onda passeggera», aveva detto Lula sulla crisi, esaltato da indici di popolarità mostruosi e dalle nuove scoperte di immensi giacimenti di greggio off-shore nell’Atlantico del Sud. Invece, la Borsa ha iniziato a crollare anche in Brasile. Per dare un segnale di stabilità, il presidente brasiliano ha allora deciso di rompere i propri indugi sul candidato alla sua successione per il suo Partito dei Lavoratori (Pt) nel 2010, quando lui non potrà più ricandidarsi per raggiunto cumulo di due mandati. Ed ha
«P
detto che appoggerà Dilma Roussef: ministro-Capo di quella “Casa Civile” che nel sistema brasiliano è una via di mezzo tra un premier e un sottosegretario alla presidenza. Classe 1947, aspetto da massaia in carriera, figlia di un imprenditore oriundo bulgaro, Dilma Roussef è oggi una tecnocrate di grande esperienza e efficienza: già artefice, come ministro alle Miniere e Energia tra 2002 e 2005, di quella strategia di ritorno massiccio al biocarburante su cui poi è nato un asse tra Lula e Bush; un master in teoria economica con annesso dottorato in economia monetaria e finanziaria è idolatrata dagli imprenditori per la sua conclamata allergia alla burocrazia e alla scartoffie.
Eppure da ragazza, durante il regime militare degli anni ’60, fu guerrigliera: militante nel trotzkysta luxembourghista gruppo di Política Operária e poi nel Comando de Libertação Nacional da esso derivato, partecipò a
Argentina, Brasile, Cile il Sudamerica riparte dall’ABC di Maurizio Stefanini un’azione famosa come il furto della cassaforte dell’ex-governatore di San Paolo Ademar de Barros. Avvenuto a Rio de Janeiro il 18 giugno del 1969, fruttò un bottino di 2,6 milioni di dollari dell’epoca, pari a 16 milioni di
del Rio Grande do Sul quando tra 1991 e 1995 ne fu governatore l’esponente del Pdt Alceu Collares, tornò all’incarico nel 1998, ma stavolta con l’esponente del Pt Olívio Dutra. E fu quando l’anno dopo il Pdt decide di ab-
Classe 1947, aspetto da massaia in carriera, figlia di un imprenditore bulgaro, Dilma Roussef è una tecnocrate di grande esperienza, idolatrata dagli industriali per la sua allergia alla burocrazia dollari attuali. Per questo tra 1970 e 1973 fu detenuta e anche torturata: ragione per cui nel 2006 la Commissione Speciale per le Riparazioni della Segreteria per i Diritti Umani dello Stato di Rio de Janeiro le accordò un indennizzo. Era anche un militante quel Carlos Araujo che sposò alla fine della decade, per poi divorziarvi. In compenso, già col ritorno della democrazia si era risistemata su un versante decisamente riformista: prima nel Partito Laburista Brasiliano (Ptb) di Ivete Vargas, nipote del “Perón brasiliano” Getúlio Vargas; poi, dopo la scissione da quel partito, nel nuovo Partito Democratico Laburista (Pdt) di Leonel Brizola, riconosciuto dall’Internazionale Socialista. Segretaria alle Miniere e Energia
bandonare la coalizione che Dilma cambiò partito, per mantenere il posto. E il primo gennaio del 2003, con l’insediamento di Lula alla presidenza, fu promossa al dicastero corrispondente al livello nazionale.
Alla Casa Civile andò José Dirceu, anch’esso un riformista con un passato da ex-guerrigliero perfino più avventuroso di Dilma: fuggito a Cuba, per poter tornare a combattere il regime militare lì si era fatto cambiare i connotati con un intervento di chirurgia plastica, per poi sposarsi con una donna cui aveva rivelato la propria vera identità solo dopo la transizione alla democrazia. Scampato prima agli sbirri e poi alla comprensibile ira della moglie, è in-
ciampato infine in una brutta storia di compravendita di voti, per la quale lo hanno condannato a dieci anni di ineleggibilità a tutte le cariche pubbliche che scadrà nel 2015. E fu così che il 21 giugno 2005 Dilma fu
Da sinistra: la presidentessa dell’Argentina Cristina Kirchner, la sua “collega” cilena Michelle Bachelet e la possibile candidata al dopo Lula, Dilma Roussef
promossa, apposta per rilanciare l’immagine dell’Amministrazione Lula in vista delle presidenziali del 2006. Ottenuta la rielezione del presidente, già dall’anno successivo Dilma aveva detto di voler correre per la testa del Paese nel 2010. C’era però nel Pt per lo meno un’altra candidata: quell’aristocratica Marta Teresa Smith de Vasconcelos Suplicy che per parte di padre discende sia dai baroni Smith de Vasconcelos, a loro volta progenia della dinastia reale portoghese dei Borgogna, sia da Alessandro Siciliano, conte del Regno d’Italia e industriale italo-brasiliano; mentre tra 1964 e 2001 il suo primo marito, padre dei suoi tre figli e di cui ha mantenuto il cognome anche dopo il divorzio, fu Eduardo Matarazzo Suplicy, il cui bisnonno era il famoso industriale brasiliano Francesco Matarazzo. Laurea in psicologia alla Pontificia Università Cattolica di San Paolo e postgrado a Stanford, psicoanalista,
titolare di una popolare trasmissione di sessuologia in tv e madre di un popolare rocker, l’aristocratica Marta è stata nel Pt fin dalla fondazione, e nel 2000 era diventata sindaco di San Paolo. Ma nel 2004 era stata poi sconfitta. Pur di essere rieletta aveva abbandonato l’incarico di ministro del Turismo che Lula le aveva dato per consolarla, ma al primo turno delle amministrative è andata male, compromettendo gravemente le proprie chance: non solo per il prossimo ballottaggio, ma anche per il 2010.
Abc, veniva chiamato nei primi anni ’50 il progetto di Asse tra i tre presidenti populisti Juan Domingo Perón, in Argentina, Vargas in Brasile e Carlos Ibañez del Campo in Cile. Se davvero la Roussef diventasse presidentessa assieme a Michelle Bachelet in Cile e a Cristina Kirchner in Argentina, potremmo parlare di un Abc al femminile.
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forum
Etica&Affari/3. Cedere alla paura può far precipitare il mondo in un nuovo Medioevo. L’unico antidoto è il capitalismo liberale
Santa globalizzazione Diritti umani, parità dei sessi, lotta alla povertà: la lista dei benefici del mercato è lunga di Jagdish Bhagwati Pubblichiamo la terza puntata del forum dedicato a: “Il libero mercato corrompe l’etica?”. L’intervento di oggi è di Jagdish Bhagwati, più volte candidato al Nobel e professore alla Columbia University.
osso testimoniare personalmente che, se si cerca di parlare di libero mercato nei campus universitari di oggi, si viene sommersi da una valanga di critiche alla globalizzazione. L’opposizione di facoltà e studenti all’espansione dell’economia internazionale deriva in larga misura da un senso di altruismo, dalla preoccupazione per le questioni sociali e morali. Queste persone - in sostanza - pensano che alla globalizzazione manchi un volto umano, mentre io credo il contrario, credo che essa comporti non solo la creazione e la diffusione del benessere, ma risultati condivisibili e maggiore moralità tra le persone. Molti critici ritengono che la globalizzazione trascuri obiettivi etici e sociali come la riduzione del lavoro minorile, la povertà nei Paesi disagiati, la promozione dell’eguaglianza tra i sessi e la salvaguardia dell’ambiente, ma quando ho analizzato queste ed altre questioni nel mio libro Elogio della globalizzazione - ho constatato che i risultati attuali sono l’opposto di quelli temuti. Per esempio, molti credono che i contadini poveri reagirebbero alle maggiori opportunità economiche offerte dalla globalizzazione togliendo i figli dalla scuola e mandandoli a lavorare, e - vista da questa prospettiva - l’espan-
P
sione del libero mercato agirebbe come una forza maligna, ma è vero il contrario. Si è scoperto che in molti casi il maggiore reddito ottenuto grazie alla globalizzazione – l’aumento delle retribuzioni dei coltivatori di riso in Vietnam, ad esempio – ha spinto i genitori a tenere i propri figli a scuola, perché, dopotutto, non avevano più bisogno del piccolo guadagno che il lavoro di un bambino produce.
Anche rispetto all’eguaglianza tra i sessi, con la globalizzazione le industrie che producono beni commerciali e servizi hanno intensificato la competizione internazionale, la quale - in molti Paesi in via di sviluppo - ha ridotto il grande divario tra le retribuzioni maschili e femminili a parità di qualifica. Perché? Perché le imprese concorrenti a livello mondiale capiscono presto che non possono permettersi di indulgere nei loro pregiudizi maschilisti; con l’esigenza di ridurre i costi e operare con più efficienza hanno cominciato a prediligere il più economico lavoro femminile a quello maschile, incrementando così lo stipendio delle donne e riducendo quello degli uomini. La globalizzazione, dunque, non ha portato ancora all’eguaglianza tra i sessi, ma ha certamente ristretto il divario. È del tutto evidente, poi, che l’India e la Cina - due Paesi con enormi problemi di indigenza - sono stati in grado di crescere così velocemente perché si sono avvantaggiati del commercio e degli investimenti stranieri, e che - così facendo – hanno drasticamente ri-
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Il commercio internazionale è la principale garanzia di pace nel mondo, nonché il segno di un ininterrotto progresso delle idee, delle istituzioni e dell’uomo dotto la povertà. Certo hanno ancora molta strada da fare, ma la gobalizzazione gli ha permesso di migliorare le condizioni materiali di centinaia di milioni di cittadini. Alcuni critici hanno bollato l’idea di aggredire la povertà attraverso la crescita economica come una strategia calata dall’alto, evocando immagini di grassi e ghiotti nobili e borghesi che mangiano cosce di montone mentre i servi e i cani sotto il tavolo si nutrono di avanzi e briciole, ma in realtà il concetto di crescita si definisce meglio come strategia di elevazione, perché le economie che crescono portano gli indigenti ad un lavoro remunerativo e riducono la povertà.
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Pur riconoscendo, dunque, che la globalizzazione generalmente aiuta il raggiungimento di alcuni obiettivi sociali, molti continuano a sostenere che essa corroda il carattere morale. Un mercato libero sempre più grande, ritengono, espande il proprio dominio su chi è tentato dal profitto, e la ricerca del profitto rende le persone egoiste e cattive, ma questa visione è poco plausibile. Consideriamo i borghesi calvinisti descritti da Simon Schama nella sua Storia dei Paesi Bassi. Fecero la loro fortuna grazie al commercio internazionale, ma soddisfarono il proprio altruismo piuttosto che gli appetiti personali, dimostrando quello che Schama chiamò giusta-
A sinistra: Jagdish Baghwati; in alto: un bambino al lavoro. Per l’economista la globalizzazione ha sottratto milioni di loro alla fatica; a destra: una risaia cinese e mascherine antismog in Cina. Nel tondo: John Stuart Mill mente «l’imbarazzo dei ricchi». Un ritegno simile si può trovare nei giainisti di Gujerat, lo stato indiano dal quale proveniva Gandhi. Le ricchezze che questi ottenevano dalle loro attività commerciali venivano usate a favore dei loro valori, non per altro. Riguardo l’influenza che la globalizzazione continua ad avere sul carattere morale, come scrisse nel 1848 ne I Principi di Economia Politica John Stuart Mill: «I vantaggi economici del commercio sono superati in importanza dai loro effetti, che sono intellettuali e morali. È a malapena possibile cogliere il valore, nello scarso stato attuale di progresso umano, della creazione del contatto degli esseri umani con perso-
forum
L’autore Più volte candidato al Nobel per l’Economia («Non me lo daranno mai!» risponde sornione), Jagdish Natwarlal Bhagwati è uno dei più eminenti economisti mondiali. Classe 1934, nato a Mumbai, si è laureato a Cambridge e per oltre 10 anni ha insegnato al Mit, il Massachusetts Institute of Technology. Oggi insegna alla Columbia University ed è considerato il più incisivo e persuasivo difensore del libero commercio nonché il più efficace “picconatore” di ogni ipotesi protezionista. Usa le moderne teorie della politica commerciale per suggerire un modello di approccio bilanciato al commercio e alle politiche sociali. Sempre pronto al contrattacco dei no-global, Bhagwati sostiene che la protezione dell’industria nazionale - spesso adottata nei Paesi poveri - finisce per creare un atteggiamento an-
ti-esportazioni che danneggia la crescita; e che il protezionismo dei Paesi ricchi non giustifica comunque quello dei Paesi poveri. Per questo l’economista - consigliere speciale alle Nazioni Unite sulle questioni della globalizzazione e consigliere dell’Organizzazione mondiale del commercio - incita i gruppi della società civile, a partire dalla Chiesa, che tante energie hanno speso nella campagna contro il debito, a investirne altrettante in una campagna contro il protezionismo: una sorta di Jubilee 2010 contro il protezionismo che faccia seguito a Jubilee 2000 contro il debito. Sposato con Padma Desai, docente alla Columbia University, ha una figlia. Fra i suoi libri ricordiamo Elogio alla globalizzazione, e Contro il protezionismo, entrambi pubblicati da Laterza.
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ne diverse da loro e con modi di pensare e di fare diversi da quelli che gli sono familiari… non c’è nazione che non abbia bisogno di apprendere dalle altre, non solamente una particolare arte o usanza, ma i punti essenziali del carattere in cui il proprio modello è inferiore… si potrebbe dire senza esagerare che la grande estensione e la rapida crescita del commercio internazionale, nell’essere la principale garanzia della pace nel mondo, è la sicurezza permanente per l’ininterrotto progresso delle idee, delle istituzioni e del carattere della razza umana».
Nell’economia globale odierna vediamo continuamente i segni del fenomeno descritto da Mill. Quando le multinazionali giapponesi si propagarono, negli anni Ottanta, i dirigenti portarono le proprie mogli con sé a New York, a Londra e a Parigi. Quando queste donne - molto tradizionaliste videro com’erano trattate le donne in Occidente, assorbirono i concetti di diritto femmi-
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I cinesi non sono più invisibili:vivono al bordo di ciò che David Hume chiamava i cerchi concentrici della nostra comprensione.Per questo il terremoto nel Sichuan ha commosso tutti nile ed eguaglianza, e quando tornarono in Giappone divennero agenti di riforme sociali. In questi anni sono state la televisione ed Internet a giocare un ruolo importante nell’espansione della nostra consapevolezza oltre i confini delle nostre comunità e delle nostre nazioni. Un celebre scritto di Adam Smith parla di «un uomo in Europa» che non «avrebbe dormito la notte» se «avesse rischiato di perdere il mignolo l’indomani», ma avrebbe «russato con la più totale serenità» se un centinaio di milioni di cinesi fosse stata «improvvisamente ingoiata da un terremoto», perché «non li aveva mai visti».
Per noi i cinesi non sono più invisibili; vivono sul bordo esterno di ciò che David Hu-
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me chiamava i cerchi concentrici della nostra comprensione, e infatti il terremoto che ha colpito il Paese la scorsa estate - le cui tragiche conseguenze sono state immediatamente trasmesse sui nostri schermi - è stato vissuto dal resto del mondo non con indifferenza ma con empatia e profondo senso di impegno morale nei confronti delle vittime, ed è stato uno dei momenti migliori della globalizzazione.
Nelle due precedenti puntate abbiamo pubblicato gli interventi di: Gerry Kasparov (mercoledì 15) e Michael Walzer (giovedì 16)
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arlo Foresta, specialista in Andrologia ed Endocrinologia, è professore straordinario di Patologia clinica presso l’Università di Padova in campo Endocrinologico-Andrologico, direttore del Centro di crioconservazione dei gameti della Regione Veneto e Presidente della Società Italiana di Fisiopatologia della Riproduzione. Inoltre, è vicepresidente della Società Italiana della Riproduzione e presidente della commissione scientifica della Società Italiana di Andrologia Medica. Autore di oltre trecento pubblicazioni, gli chiediamo un parere da esperto sul trend negativo nella fertilità maschile. Da quali cause principali è prodotto? La causa principale è socioambientale. E’cambiato il mondo in cui viviamo. Siamo tutti a contatto con sostanze che in natura non esistono, che derivano da processi chimico-industriali, pensiamo ad esempio alle diossine, che hanno qualcosa che li accomuna agli ormoni, maschili e femminili, che determinano il patrimonio di spermatozoi dell’individuo. Il contatto con queste sostanze, ha determinato una perdita di produzione di spermatozoi, che nel corso del tempo è scesa di quaranta milioni per millimetro. Che l’ambiente sia determinante, è dimostrato dall’aumento dei casi di criptorchidismo (il cosiddetto “testicolo ritenuto”) e dall’aumento del numero dei tumori del testicolo. L’aumento dell’infertilità riguarda tutta la società occidentale?
società
C
In basso, il professor Carlo Foresta, andrologo all’università di Padova. Qui a fianco, “Spermatozoi”, un quadro dell’artista Franco Brighenti, tratto dal sito internet www.artepluri.it
Parla l’andrologo Carlo Foresta, professore all’Università di Padova
Infertilità maschile? Colpa dell’ambiente-killer colloquio con Carlo Foresta di Ernesto Capocci Assolutamente sì. Abbiamo condotto recentemente uno studio sui ragazzi di diciotto anni, per rilevare tra l’altro dati sulla lunghezza dell’organo di riproduzione maschile: rispetto alle misure dei diciottenni di cinquant’anni fa, si è constatata la diminuzione di mezzo centimetro della lunghezza del pene in posizione non eretta. La lunghezza del
pene è androgeno-dipendente e questa strutturazione è mutata nel corso dei decenni.
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tacinque-quaranta anni. E’ una tendenza, questa, che sicuramente aggrava la questione dell’infertilità. Il richiamo di Benedetto XVI al concepimento naturale è quindi anche di carattere oggettivo? Le parole del Papa – che rispondono all’esercizio del suo magistero – si avvicinano certamente di più alla natura. Se questa ha fato sì che
Oggi siamo tutti a contatto con le diossine, sostanze che in natura non esistono. Sono loro a determinare la perdita di produzione di spermatozoi Qual è la causa sociale più evidente dell’infertilità? Oggi si cerca la fertilità a tren-
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l’uomo e la donna fossero in grado di fecondare a partire dai sedici-diciotto anni, la mutazione dell’epoca della fecondazione in età avanzata, non rientra nell’ordine naturale delle cose. Ed è da sottolineare che nel regno animale non c’è stato mai un cambiamento così importante così come si è verificato nell’uomo. Il rimedio all’infertilità sembra essere la tecnica di procreazione assistita alle donne, invece di curare l’uomo infertile. E’ la cosa più sbagliata che si possa fare. Se c’è una posizione elegante e seria della legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita, è quella che mette in evidenza che l’infertilità è una malattia. La medicina non può prescindere dalla diagnosi e dalla terapia. La procreazione medicalmente assistita è un aspetto, uno strumento tecnologico che sta fuori dal campo della medicina. Non ci si può contrapporre al fenomeno della riduzione della fertilità con l’esasperazione delle tecniche di fecondazione artificiale. Altrimenti dovremmo pensare a una società che riesce a concepire solo per vie non naturali. Che valore ha la prevenzione rispetto all’infertilità? Ha un valore centrale. Prevenire significa abbattere l’infertlità per il 50 per cento. Il guaio è che la prevenzione, per quanto riguarda il maschio, manca completamente e questo fatto ha radici antiche. E’ un problema di enorme dimensione culturale.
in cui gli spermatozoi prelevapesso, l’infertilità di La posizione della Chiesa: «Costituisce sempre un grave disordine morale» ti dal fondo della vagina o da coppia – piuttosto che condom perforato dopo un atessere prevenuta - vieto coniugale vengono ri-inietne “curata” attraverso i tati nelle vie genitali femminili procedimenti di fecondazione assistita. Il documento forse più citato promette la vita del concepito, per la fi- un ciclo di Fivet - considerando gli em- per «sospingerli un po’ più in là», ad e più esaustivo della Chiesa Cattolica siologica e prevedibile (talora esplicita- brioni effettivamente trasferiti in utero, esempio in presenza di oligospermia e/o in merito è l’Istruzione sul rispetto del- mente ricercata) perdita di vite umane quelli che si impiantano e quelli che di astenospermia. Come afferma la Dola vita nascente e la dignità della pro- tipica di ogni fecondazione artificiale continuano il loro sviluppo - la probabi- num Vitae: «L’intervento medico è ricreazione Donum Vitae, pubblicato dal (C. Navarini, Chiesa Cattolica e GIFT: lità degli embrioni prodotti in vitro di spettoso della dignità della persone Pontificio Consiglio per la Dottrina spunti per una valutazione d’insieme - arrivare alla nascita non supera il 10 % quando mira ad aiutare l’atto coniugale della Fede nel 1987. L’impostazione del ZENIT, 24 ottobre 2004). In altri termi- (Assisted Reproductive Technology in sia per facilitarne il compimento sia per documento è stata poi ripresa dalla ni, nelle varie tecniche di fecondazione the United States and Canada. 1994 re- consentirgli di raggiungere il suo fine, Carta degli Operatori Sanitari (1995) e extracorporea il fattore che determina sults generated from American Society una volta che sia stato normalmente nell’Enciclica Evangelium Vitae (1995). il sorgere della vita di un nuovo essere for Reproductive Technology Registry, compiuto». La dissociazione fra atto sessuale e atto procreatore è infine deNumerosissime sono poi le riprese del umano, non è l’atto coniugale d’amore, Fertil Steril 1996, 66: 697-705). tema da parte del Santo Padre nei suoi perché questo non c’è, ma è la perizia e L’unica modalità eticamente corretta di nunciata dal Catechismo della Chiesa discorsi e messaggi (ad esempio, Gio- l’abilità del tecnico della fecondazione utilizzare la tecnologia a fini procreativi Cattolica (1992), nella sezione “L’amore vanni Paolo II,“Discorso ai partecipan- (ginecologo e biologo) che induce l’in- è quella di servirsene come di un aiuto degli sposi”, che si conclude con la seti all’assemblea plenaria della Pontifi- contro tra spermatozoo e ovocita all’in- all’atto coniugale, affinché tale atto nor- guente osservazione: «Il Vangelo mostra cia Accademia per la Vita”, 21 febbraio terno della provetta. Il figlio è effetto di malmente condotto possa meglio rag- che la sterilità fisica non è un male asso2004). In tutti i pronunciamenti, viene un’attività tecnica – produttiva. E ciò è giungere un suo scopo fondamentale, luto. Gli sposi che, dopo aver esaurito i ossia la procreazione. In questo senso, il legittimi ricorsi alla medicina, soffrono ribadita la medesima posizione: la fe- contro la sua dignità umana. condazione artificiale, omologa o ete- Inoltre, si noti che questa argomenta- Magistero riconosce come lecita la pos- di sterilità, si uniranno alla croce del Sirologa, costituisce sempre un grave di- zione del «figlio prodotto e non genera- sibilità di stimolare l’ovulazione con far- gnore, sorgente di ogni fecondità spirisordine morale, perché snatura l’atto to» non si fonda su principi confessio- maci o anche di aiutare gli spermatozoi tuale. Essi possono mostrare la loro geconiugale, sostituendosi ad esso e an- nali, ma è esclusivamente di carattere nel cammino che devono compiere fino nerosità adottando bambini abbandonullando la presenza delle persone nel- razionale, cioè usa solo i dati della ri- all’ovulo attraverso l’inseminazione ar- nati oppure compiendo servizi significal’atto del concepimento, e perché com- flessione razionale. Basti pensare che in tificiale omologa impropriamente detta, tivi a favore del prossimo». (e.c.)
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Ma il rimedio non è la fecondazione assistita
musica
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Prima il tentativo (fallito) di boicotaggio. Poi la rassegnazione. Quindi un vero e proprio business intorno allo “scippo” gratuito delle canzoni
Le Major scoprono l’affare-download di Alfredo Marziano usica gratis per tutti. Chi l’avrebbe detto? Lo slogan degli “autoriduttori” ai concerti degli anni Settanta, urlato sotto il tiro incrociato di lacrimogeni e sampietrini volanti, oggi è diventato il mantra dei guru digitali. L’industria musicale non ci è arrivata di spontanea volontà, ovvio, ma solo perché messa con le spalle al muro. Napster, e poi KaZaA, eMule e BitTorrent, hanno reso un gioco da ragazzi la condivisione di file su Internet, lo “scippo” in rete e il peer-to-peer non autorizzato dai titolari dei copyright, a dispetto delle campagne di prevenzione contro la pirateria informatica e dei blitz di Finanza e polizia postale.
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Il pubblico del Web si è abituato a non pagarla, la musica, e fargli cambiare idea sembra una sfida impossibile: tant’è che il download legale fatica a decollare e persino iTunes non può fare miracoli quando l’alternativa è la possibilità di procurarsi le canzoni preferite a costo zero (o quasi, grazie alle tariffe “flat” e ventiquattro ore offerte dai maggiori Internet provider). Fallita la strategia di difesa a oltranza dello status quo, ai discografici non resta altra scelta che quella di piegarsi al mercato, ingegnandosi nella ricerca di modi nuovi di far quadrare i conti. Una possibilità consiste appunto nel regalare la musica al pubblico, facendosela pagare da qualcun altro. Oppure sperare che tale generosità venga ripagata in altro modo dal consumatore. Per primi ci sono arrivati gli artisti, i più vicini ai gusti e agli umori dei loro fan. Il download a offerta libera proposto dai Radiohead in occasione dell’uscita dell’ultimo album In Rainbows (qualcuno ha pagato, in tanti lo hanno scaricato gratis) è il caso più noto e discusso, un esempio che ha già fatto molti proseliti, dai Nine Inch Nails di Trent Reznor ai Marillion. «Così speriamo di incuriosire anche chi non ci conosce e di portare più gente ai nostri concerti», hanno spiegato i musicisti del veterano gruppo “prog”inglese: si sacrifica una fonte (sempre più misera) di guadagni, la vendita dei dischi, in cambio di una credibilità e di una popolarità che, auspicabilmente, produrranno i loro frutti su altri fronti (la musica dal vivo, principalmente, polizza sul futuro per molte rock band di oggi). Per i portali Internet che
L’obiettivo? Puntare a raggiungere un pubblico giovane, informatizzato, trendy e possibilmente disposto a spendere per i concerti dei propri cantanti
hanno nella musica uno dei loro contenuti principali, la logica commerciale è ancora più stringente e immediata: offrire canzoni a titolo gratuito significa attirare pubblico sul sito, incrementare il “traffico” si traduce a sua volta in potenziali investimenti pubblicitari da parte delle aziende che, con i loro messaggi promozionali, puntano a raggiungere un target dal profilo demografico ben preciso (giovane, informatizzato, trendy,
appassionato di hitech e possibilmente benestante). E’ così McDonald’s, che Toyota, Sony Pictures (cinema) e State Farm (assicurazioni) hanno subito dato fiducia a MySpace Music, il nuovo portale musicale che il social network più famoso del mondo (assieme a Facebook) ha appena lanciato negli Stati Uniti e che presto dovrebbe arrivare anche in Europa con una valanga di musica in ascolto gratuito (in cambio bisogna solo sorbirsi qualche videospot pubblicitario). Le major discografiche – Universal, Sony, Warner, da ultimo anche la Emi – sono salite a loro volta sul carro acquisendo una quota di capitale, 40 per cento complessi-
vo, della joint venture con la promessa di lauti guadagni: una fetta della torta pubblicitaria, proporzionale per ciascuna al numero di ascolti on-line (il cosiddetto streaming) delle proprie canzoni, più una quota di tutti gli altri introiti generati dall’impresa, download a pagamento e suonerie per cellulari, denaro incassato con la vendita di biglietti di concerti ma anche di t-shirt, felpe e altri articoli di merchandising che recano impressa l’immagine degli artisti. I gestori di MySpace, e le case discografiche che li sostengono, sono convinti di poter mettere in moto un circolo virtuoso mettendo a frutto le caratteristiche di socializzazione proprie del network: chiunque ha un “profilo” sul sito potrà mettere a disposizione degli amici le sue playlist e i suoi suggerimenti musicali con l’effetto di incrementare l’attività on-line, l’indotto e i consumi. Qualcuno, anche in Italia, è già andato oltre: in cambio della visione di un filmato promozionale di 30 secondi, sul sito “Downlovers” (downlovers.it) non solo si ascolta musica gratis ma la si può scaricare liberamente sul computer e masterizzarsi un cd. Il catalogo sfoggia nomi di grande richiamo come Elisa e Bocelli, Rem e Led Zeppelin, ma siccome l’ok delle altre case discografiche tarda ad arrivare l’offerta è monca e l’idea fatica a fare proseliti. Parte con altre ambizioni l’operazione “Comes with music”, che il produttore di cellulari Nokia (subito imitato dal concorrente Sony Ericsson) si prepara a lanciare in Inghilterra a ottobre: nel prezzo di alcuni telefonini di nuova generazione è incorporato l’accesso a un ricchissimo catalogo musicale precaricato in memoria, milioni di canzoni che l’utente potrà scaricare a volontà nei dodici mesi che seguono all’atto di acquisto.
Tutti contenti: il consumatore e anche le case discografiche, che percepiscono una royalty sulla vendita di ogni cellulare. E’ la logica nuova della commodity, la musica che diventa un bene supplementare rispetto a qualcos’altro, una merce liberamente fruibile in cambio di un canone di abbonamento (come l’acqua potabile che sgorga ogni volta che apriamo il rubinetto: basta pagare la bolletta). E il trionfo del concetto dell’all you can eat tipico dei menù gastronomici a buffet, paghi un tanto e mangi quanto vuoi, abbuffandoti e ingurgitando di tutto invece di selezionare e gustarti il piatto preferito. Da anoressico che era, il mercato musicale si fa bulimico. Ma non è detto che diventi più sano.
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il personaggio
Scompariva poco più di un anno fa il grande tenore italiano che con la sua voce «emozionò il mondo intero»
Una vita da Luciano E a Roma tutti in coda per la mostra che celebra la straordinaria carriera di un mito di Jacopo Pellegrini estò scalpore misto a sgomento il necrologio, aspramente negativo e limitante, dettato dal critico musicale del più diffuso quotidiano d’Italia in occasione della morte prematura, ma non inattesa, di Luciano Pavarotti.Volti atteggiati a scandalo, mugugni e borbottii, lettere ufficiali di protesta: come Scarpia a proposito di Tosca, così la firma illustre avrebbe potuto dire dei suoi ingenui lettori, «Ho sortito l’effetto»: far parlare di sé, tenere alta la bandiera d’un’originalità di pensiero tanto voluta quanto ostentata.
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Il primo dato caratteristico fu il timbro vocale inconfondibile: una lega di miele di sole e d’oro, talmente bella che in confronto la pur solida tecnica finiva per passare in subordine
d’opera, è stato per un venticinquennio (a partire dal debutto professionale, nel ’61 a Reggio Emilia come Rodolfo nella Bohème di Puccini), una voce eccezionale per qualità intrinseche e di studio, nonché, entro i limiti del suo repertorio d’elezione (il tenore lirico del melodramma italiano e francese tra Otto e primo Novecento, da Bellini a Puccini), un interprete di rilevanza assoluta, in qualche caso forse addirittura storica.
Primo dato caratteristico e fuori del comune, il timbro inconfondibile: una lega di miele di sole e d’oro, talmente bella che in confronto a essa la pur solida tecnica (respirazione, sostegno del diaframma, proiezione del suono nella parte alta della cavità orale) finiva per passare in subordine. La natura certo, era stata benigna: fisico ben piantato, almeno finché il peso non superò la soglia di guardia (metà anni Ottanta), cassa toracica amplissima, forte muscolatura, volto largo. Oltre, s’intende, a un’estensione fuori del comune verso le cime del pentagramma.
È passato un anno poco più, e se rammento l’episodio non è certo per scendere in lizza coll’insigne elzevirista: dell’articolo nessuno si rammenta più, il tenore modenese è più che mai sugli scudi. Determinante e decisivo resta il fatto che le censure mosse a Pavarotti da quelle colonne giornalistiche (scarsa conoscenza della notazione, da cui discenderebbe una mancanza di musicalità in termini sia di rispetto dei tempi che di gusto) si adattano come un guanto al fenomeno mediatico globalizzato, quello che, dopo l’isolata e fallimentare esperienza cinematografica di Yes Giorgio (1982, candidato ai Il ministro Sandro Bondi ha ufficialmente inaugurato Razzie Awards – gli ieri, presso il Salone Centrale del Complesso MonumenOscar al negativo – tale del Vittoriano (Ala Brasini), la mostra “Luciano come peggior attore Pavarotti. L’uomo che emozionò il mondo”, curata da dell’anno), data dai Nicoletta Mantovani e Alessandro Nicosia. Il percorso concerti dei Tre Tenori espositivo, che presenta un’importante documen(dal 1990 in avanti) e tazione perlopiù inedita, offrirà l’opportunità di rilegprosegue coi mega ragere gli oltre 40 anni di cammino artistico e umano del duni canori all’insegrande tenore, ricostruendo il personaggio e l’uomo che gna della “contaminacon la sua voce, il suo carisma e il suo talento è stato mozione” dei generi tivo di orgoglio per tutti gli italiani. La mostra si con(classico e pop): come un viaggio all’interno delle sue memorie, figura quando il canto non attraverso la corrispondenza con amici e colleghi di lacontava quasi più, e a fotografie, filmati, ricordi di vita e anedgrazie voro, bastava il nome, anzi doti. Si scopriranno momenti inediti dei backstage, anil marchio. Per far codando a scovare nei meandri della instancabile attività sa? Vendere il prodotnei labirinti di costumi di scena, spartiti, del Maestro, to, si capisce. libretti e locandine. Fino ad arrivare alle miriadi di premi, secondi forse solo per quantità ai suoi dischi. L’altro Pavarotti,
la mostra
invece,
il
cantante
Poi, la dizione, conseguenza, si capisce, dell’ottimo imposto vocale: ammirabile per chiarezza, pressoché aliena dalle “esse” strascicate tipiche dell’Emilia (per un caso opposto si pensi al parmense Carlo Bergonzi), riconoscibile peraltro nella pronuncia volentieri aperta delle vocali. Sotto questo profilo, Pavarotti riuscì a conciliare il suo giovanile trasporto per Giuseppe Di Stefano con la venerazione per Gigli ereditata dal padre,
anch’egli tenore seppure per diletto. L’emissione tendente allo sbracato del primo, specie nelle “a” spalancate, verrà pertanto riservata al registro mediograve (il meno sonoro e corposo) e ai titoli post-Verdi. In alto, invece, sarà sempre osservata la cosiddetta copertura del suono, l’arrotondamento dell’emissione: una specialità del secondo, che assicura squillo e luminosità agli acuti. Da ciò, anche l’apparente assenza di sforzo nelle arrampicate sui do e re sovracuti. Meno irreprensibile, forse, il can-
to a fior di labbra, specie nelle frasi sopra il rigo: le smorzature venivano alle volte ottenute mangiando, per così dire, il suono, ovvero affievolendolo nella parte inferiore della faringe, col risultato di renderle meno trasparenti (qualcuno ha parlato di effetto fading).
Sul piano espressivo, i tratti caratteristici di Pavarotti vanno rintracciati nella naturalezza e nella spontaneità. Privi di affettazioni, i ritratti vocali da lui centrati in pieno apparivano sempre sinceri e simpatici. Alle volte magari, un po’ troppo estroversi, mai però inclini alla retorica o alla volgarità fini a se stesse. Sue specialità inattaccabili, l’elegia melanconica e l’allegria franca. Meglio ancora se le due componen-
il personaggio
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L’epifania della voce di Pavarotti nel ”Rosenkavalier” di Hugo von Hofmannsthal
Quella manciata di battute in appena due minuti... alla slavina di documenti sonori, in studio e dal vivo, che ci preservano la voce di Pavarotti, mi piace estrapolare il ritratto d’un personaggio minore, il Cantante (Ein Sänger) del Rosenkavalier, Il cavaliere della rosa, «commedia per musica» in tre atti di Hugo von Hofmannsthal (parole) e Richard Strauss (musica), rappresentata nel 1911. Il tenore modenese apprese la breve parte, una manciata di battute, due minuti appena, per la registrazione Decca del 1968 con sir Georg Solti sul podio della Filarmonica viennese, Régine Crespin (la Marescialla), Yvonne Minton (Ottaviano), Helen Donath (Sofia) e Manfred Jungwirth (il barone Ochs) nei panni dei protagonisti, salvo poi riprenderla sulla scena a partire dal ’76 tra NuovaYork, Salisburgo (debutto al festival estivo, ’78) e Vienna. Una melodia irresistibile, su versi italiani un po’ zoppicanti (desunti dal Borghese gentiluomo di Molière, che nel crearli si sarà probabilmente appoggiato al suo collaboratore per le musiche, il fiorentino fattosi francese Jean-Baptiste Lully), intonando la quale Pavarotti finisce col celebrare se stesso, ultimo – in ordine di tempo – rampollo d’una stirpe illustre, il Tenore italiano idolatrato dalle folle, coperto d’oro da teatri e impresari, fimminaro vanesio capriccioso fragile (non che Big Luciano corrispondesse esattamente a questo cliché – quantunque neppure lo smentisse –, ne preservava però il profumo, l’aura mitica).
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della Voce, non poteva essere predisposta in modo più efficace. Il testo proclama il potere invincibile d’Amore e la voce di Pavarotti, tutta «slancio, calore, vibrazioni» (Rodolfo Celletti, padre nobile di tutti i vociologi in circolazione), incarna come nessun altro prima e dopo di lui l’“affetto” espresso dalla musica. L’ascesa dal la bemolle al re bemolle, con il «crescendo» della voce da piano a mezzo forte, sull’ultimo verso dell’assolo, «di fuoco a stral», fa davvero pensare a un sole che scioglie il «gelo». Sensualità allo stato puro.
Pierluigi Petrobelli, direttore dell’Istituto di studi verdiani e docente (in pensione) di musicologia alla Sapienza di Roma, in uno scritto del 1988 riconosce in questa pagina i tratti caratteristici delle «grandi effusioni liriche delle opere veriste contemporanee» al Rosenkavalier, per intenderci Mascagni, Leoncavallo, Giordano. Ora, il taglio regolare della melodia per 4+4 battute, il profilo diatonico della stessa, la riproposta, di frase in frase, delle medesime sequenze ritmiche - con minime varianti - fanno piuttosto pensare a un’apoteosi del Belcanto. Un’apoteosi in chiave personale, soprattutto nell’irresistibile spinta ascendente conferita alla parte vocale. Pavarotti sembra nato apposta per dare evidenza palpabile, esaltare addirittura questa sorta di omaggio alla tradizione del melodramma nostrano, che alla Voce riconosce un imperio assoluto e incontrastato. Il cantante rispetta l’arco delle frasi musicali grazie a fiati lunghissimi, raccoglie in unità più vaste i singoli periodi estendendo le legature previste dal compositore, sale all’acuto con suoni proiettati in maniera impeccabile (ben «coperti», come si dice in gergo operistico), esplode in si bemolle e in un do bemolle di fulgida spavalda arroganza. Qualcuno magari obietterà che l’esecuzione dell’abbellimento canoro sul secondo «[ba]len» (una quartina) non è irreprensibile, o che alcune vocali suonano troppo aperte; le compensano ad abundantiam le morbide smorzature, l’accentazione guascona di certe sillabe («mi[rar]», «[va]ghi»), frutto d’innata sensibilità e d’un’enfasi spontanea, tutta tenorile. Luminosa celebrazione dell’opera italiana in piena, incontami(j.p.) nata magnificenza.
Il testo proclama il potere invincibile d’Amore e l’ugola del tenore incarna come nessun altro l’“affetto” espresso dalla musica
ti sono fuse insieme nello stesso personaggio: il citato Rodolfo della Bohème – una sorta di ruolo-feticcio – indi Nemorino nell’Elisir d’amore, d’un’intenerita bonomia campagnola poco sognante e molto concreta, e Tonio nella Figlia del reggimento, coi nove do di petto della prima aria e l’espansività amorosa della seconda. Ancora Donizetti, con l’Edgardo nella Lucia di Lammermoor, fiero vibrante e nobile, e l’appassionatissimo Fernando della Favorita.
Non meno raggiante, almeno nelle serate migliori, l’Arturo nei Puritani di Bellini, parte gravata da una tessitura formidabilmente acuta. Se Tosca, Trovatore, Gioconda, Aida,Turandot sfociarono in esiti interlocutori e controversi, imprescindibili restano Rodolfo nella Luisa Miller, colla sua desolata lacerazione
Scompariva poco più di un anno fa il grande tenore italiano Luciano Pavarotti. A Roma, al complesso del Vittoriano, una mostra curata da Nicoletta Mantovani ne celebra la carriera e ne ripercorre le tappe più importanti
amorosa, Oronte nei Lombardi alla prima Crociata (a Roma nel ’69, non nel tardo cd Decca), il Duca di Mantova nel Rigoletto, Idomeneo nell’opera omonima di Mozart (una deviazione dalle strade battute foriera di liete sorprese: da conoscere il dvd dal Metropolitan di Nuova York, direttore Levine, regista Ponnelle).
E, prima e sopra tutti, Riccardo in Un ballo in maschera, così innamorato, così estroverso, eppure così segnato da un dolore immedicabile.
Nell’ambito d’una concertazione asciutta incisiva, all’insegna del vitalismo puro, Solti, in prossimità dell’aria assegnata al Cantante (invitato a esibirsi nelle stanze private della Marescialla: ci troviamo nella Vienna settecentesca di Maria Teresa), rallenta considerevolmente il passo, sebbene la partitura prescriva «l’istesso tempo, un poco sostenuto» (cioè appena meno veloce), laddove «l’istesso tempo» corrisponde a un «Tempo di minuetto» in metro ternario. Il direttore però allarga il flusso della musica e sottolinea il trapasso da sol bemolle maggiore a re bemolle maggiore (tonalità d’impianto dell’assolo tenorile prossimo venturo) accentando tutti i gradi della scala ascendente eseguita dal violoncello: l’attesa dell’evento rivelatore, l’epifania
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LA DOMANDA DEL GIORNO
Classi separate per gli stranieri. Che ne pensate? LA LEGA PROPONE LA SEGREGAZIONE Che l’immigrazione sia diventato ormai una delle incurabili piaghe dell’Italia è fuori discussione. Ma di certo le soluzioni che vengono proposte per risolvere la questione sono a dir poco squallide a per certi versi pericolose. Una mozione approvata dalla Lega propone di separare gli immigrati in classi diverse dagli italiani. La giustificazione data dalla Lega è quella di portare i primi a possedere lo stesso livello della lingua italiana dei madre lingua. Ecco un’altra ipocrita proposta che nasconde un profondissimo senso di razzismo e arretramento culturale. E’ inutile nascondersi dietro una falsa e pure idea di pedagogia costruttiva o ben organizzata. Il provvidimento porterebbe soltanto a ghettizzare gli immigrati e farli sentire dei ”diversi”. la ver aintegrazione scolastica e umana, nasce dal confronto, dal contatto col diverso. Dal dialogo e perchè no, dalla costatazione di profonde differenze linguistiche e culturali. E’ dalla differenza che nasce la ricchezza di un Paese.
Valeriano Boscani - Vicenza
studiare italiano e educazione civica. La proposta della lega Nord che propone, per i bambini stranieri appena arrivati in Italia, la formazione di classi ”ponte” apposite, discrimina fortemente la diversità.Questo provvedimento nasce dal timore che un inserimento ”per mere ragioni di età e non sulla base della preparazione”, possa portare a ”rallentamenti e difficoltà per gli altri alunni”. Ma la soluzione dovrebbere essere un’altra. Bisognerebbe intervenire con azioni di rinforzo dentro l’orario, sopratutto per chi arriva ad anno iniziato e per chi non parla bene l’italiano. Una full immersion pomeridiana porterebbe i bambini, che risaputamente godono di un apprendimento linguistico assai veloce, a un’integrazione perfetta. La lingua si impara parlando e sbagliando. Non evitando le situazioni di disagio comunicativo. E se i bambini non si integrano, bisogna aiutarli a farlo. L’insegnante serve anche a insegnare a vivere e a integrarsi. Non solo a imparare a memoria pagine di un libro. Ma come al solito, ecco un’altra deresponsabilizzazione del governo italiano.
Monica Cipriani - Matera
SAREBBE UNA LEGGE RAZZISTA Un test d’ingresso per le scuole dell’obbligo. E per chi non lo supera, una classe ”speciale” dove
LA DOMANDA DI DOMANI
Berlusconi vuole aiutare il settore automobilistico con aiuti di Stato. Siete d’accordo? Rispondete con una email a lettere@liberal.it
A PENSARCI BENE, È UNA BUONA IDEA La formazione di classi separate riservate agli alunni stranieri che non parlano o parlano poco la nostra lingua, le cosidette classi di inserimento, ha come obiettivo quello dell’inserimento e non dell’esclusione dei bambini immigrati. Dopo un test iniziale che attesta la conoscenza dell’italiano, i bambini vengono organizzati in aule apposite in cui l’obiettivo principale è l’apprendimento della lingua italiana, propedeutico all’ingresso nelle classi tradizionali. Inserire gli immigrati con gli italiani porterebbe i primi a non apprendere e agli italiani a rallentare il loro percorso formativo. Le classi ponte non escludono gli immigrati dalla vita sociale della scuola ma sono istituite soltanto ed esclusivamente per creare dei programmi didattici mirati all’apprendimento dell’italiano. Solo in un secondo momento può avvenire una totale integrazione.
L’IDEA DEGLI STATI UNITI D’EUROPA In Italia, diversamente dagli USA, è quasi uno sconosciuto il toscano Filippo Mazzei. Eppure c’è chi ipotizza sia addirittura l’ispiratore della bandiera a stelle e striscie Usa. Sicuramente fu uno degli ispiratori indiretti della dichiarazione di Indipendenza. Nacque a Poggio a Caiano nel Granducato di Toscana il 25 dicembre 1730 e morì a Pisa il 19 marzo 1816. Fu di tutto, da medico a coltivatore, a diplomatico e scrittore ma soprattutto amico di George Washington, John Adams, James Madison, James Monroe ed in particolare del suo vicino di casa Thomas Jefferson. Si rifugiò a Londra inseguito dall’Inquisizione per importazione di libri proibiti essendo illuminista e per la libertà religiosa. E a Londra ebbe l’incontro con Benjamin Franklin e Thomas Adams. Nel 1773 si trasferì in Virginia, con al seguito un gruppo di agricoltori toscani e un sacco di semi e piante di vite. Si fermò presso la tenuta di Monticello dove incontrò Thomas Jefferson di cui divenne amico fraterno
OSPITI AL FRESCO Non è uno scherzo ma la geniale trovata di due avvocati tedeschi, che hanno trasformato l’ex carcere di Kaiserslautern, in Germania, in un albergo alla moda. Bastano 50 euro per prenotare una cella con tanto di spioncino alla porta, spranghe alle finestre e bagno a vista.
MA LE LETTERE SERVONO A QUALCOSA? Da anni scrivo lettere come lettore (purtroppo ho una professione diversa dal giornalista) e mi domando: servono a qualcosa? Certo, altri lettori si fanno un’opinione delle proprie ed altrui idee. Ma gli interessati della politica, del sociale, della religione hanno tempo per rifletterci su? Hanno tempo e voglia di prendere in considerazione quanto scritto? Se dico che la democrazia è in pericolo non per Berlusconi, ma per le vignette di morte verso Brunetta e Gelmini, due ministri democratici, Qualcuno ha un sussulto? Ho detto una cavolata? Vogliamo continuare a chiamarli mariuoli o cosiddetti estremisti? La storia recente e meno recente, i morti ammazzati, nulla insegnano? Aspettiamo per poi dichiarare che serve la sanatoria , vista la situazione ormai
dai circoli liberal Fabrizio Campisi - Roma
per gli di ideali condivisi per 40 anni. Faticosamente ma finalmente sono riuscito a trovare dopo anni una sua pubblicazione, parziale purtroppo, il “Libro mastro dei due mondi”, la sua autobiografia. In Europa nel periodo tra la rivoluzione americana e quella francese non si faceva che parlare e discutere di quello che stava accadendo negli USA come nuova forma di convivenza e di realizzazione della felicità individuale e del popolo. I salotti e le corti si contendevano i grandi “americani”. Nel libro si percepisce che in quel breve periodo il sogno degli “americani” e di chi ammirava e condivideva i loro principi, era la creazione di un unico stato federale tra l’America e l’Europa secondo i nuovi principi di libertà, tolleranza religiosa e di democrazia politica. Mazzei racconta che, a Parigi con Jefferson, allora confidavano che ciò che accadeva in Francia, avrebbe sicuramente prodotto la felicità dell’Europa e del genere umano. “Non vi era più dubbio che la Francia, l’Inghilterra e la repubblica degli Stati Uniti convenivano di avere una
degenerata ed irreversibile? Che bella democrazia, penso proprio che qualcuno non abbia chiare le idee sul suo significato! Grazie per l’attenzione e buon lavoro
Paolino Di Licheppo Teramo
SCONTRI IN BULGARIA, MEDIA POCO ATTENTI Ritorno sulla polemica dei cori fasciti e degli scontri tra tifoserie accaduti in Bulgaria. Nessuno dei media ha evidenziato che la scintilla che ha fatto esplodere gli scontri tra tifosi italiani e bulgari è avvenuta perché questi ultimi hanno fischiato l’inno di Mameli. Una provocazione che alla fine è stata pagata. Con questo non voglio giustificare le violenze e la politica di estrema destra fatta negli spalti, però gli effetti hanno sempre delle cause.
Giovanni Speranzoso
stessa moneta, una stessa misura, e uno stesso peso, e si trattava seriamente di impedire il flagello della guerra formando un tribunale composto di deputati di tutte le nazioni colte, con potere di decidere le controversie, e di obbligar le parti di starsene alla decisione”. Probabilmente non avremmo avuto né fascismo, né nazismo e né comunismo. Leri Pegolo CIRCOLO LIBERAL PORDENONE
APPUNTAMENTI OGGI, PRESSO LA SEDE DELLA FONDAZIONE (VIA DELLA PANETTERIA - 10), ALLE ORE 11 Riunione del coordinamento nazionale con i coordinatori regionali dei Circoli Liberal ALLE ORE 17 MANIFESTAZIONE DI PROTESTA CONTRO LA RIFORMA ELETTORALE PER LE EUROPEE SOTTO MONTECITORIO
opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog Quando si è allergici agli esseri umani
to da alunni omologati fuori e dentro, con l’acqua del Po nel cervello ed il grembiulino fuori.
Gianfranco Pignatelli - Roma
ADESSO DI PIETRO SARÀ COERENTE? Mia cara piccola Sonja, oggi c’è un caldo pesante, umido, come il più delle volte a Lipsia: l’aria qui io la sopporto male. Stamattina sono stata seduta per due ore vicino al laghetto dei giardini a leggere L’uomo ricco. Una cosa splendida. Una vecchietta si è seduta vicino a me, ha dato uno sguardo al titolo e ha sorriso: «Deve essere un bel libro. Anche io leggo volentieri i libri». Prima di mettermi a leggere, naturalmente ho esaminato gli alberi e i cespugli del giardino: tutte figure note, ho costatato con soddisfazione. Invece il contatto con gli esseri umani mi soddisfa sempre meno; credo che mi ritirerò presto in un dormitorio come sant’Antonio, ma… sans tentations più. Stia serena e tranquilla. Tanti saluti ai ragazzi. Rosa Luxemburg a Sophie Liebknecht
L’EMENDAMENTO CELTICO Una scuola per ricchi e una per poveri, una per meridionali ed una per padani, una per gialli ed una per neri, e così via. Di discriminazione in discriminazione. Con un emendamento alla riforma Gelmini, si differenziano le classi come si selezionano i rifiuti. Ogni categoria compressa nella propria aula, tutto in poche scuole, per poco tempo e con sempre meno operatori per il “trattamento”. Perché la scuola è inutile e costosa. Nel Paese governato dai rozzi che hanno e non sanno - si sa - l’istruzione porta spese, l’ignoranza porta voti. A poco serve spiegare loro che chi insegna ama, che la scuola pubblica non separa e non esclude ma unisce ed include. Solo degli egoisti socialmente depravati possono concepire una scuola differenziata per casta, per pelle e per censo. Quella che stanno costruendo è una scuola ripugnante. E’la scuola per una presunta razza scelta, con insegnanti ed alunni padani doc, che abbiano Alberto da Giussano nel cuore, sangue verde nelle vene, Bossi nel cervello e, magari, Maroni lì dove occorre. A me, insegnante meridionale, piace la molteplicità, il confronto quotidiano tra diversi, l’onere di colmare le distanze, di investire nella crescita. Il piacere della sfida, con tutti i suoi rischi, certo. Ma senza la noia di quel piattume costitui-
e di cronach di Ferdinando Adornato
Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Gennaro Malgieri, Paolo Messa Ufficio centrale Andrea Mancia (vicedirettore) Franco Insardà (caporedattore) Luisa Arezzo Gloria Piccioni Stefano Zaccagnini (grafica)
ACCADDE OGGI
17 ottobre 1797 Trattato di Campoformio (Campoformido) tra Napoleone e l’Austria 1860 Prima edizione dell’Open britannico di golf 1907 Nasce l’Atalanta, squadra di calcio maschile di Bergamo, con il nome di Società Ginnastica Atalanta 1931 Al Capone viene condannato per evasione fiscale 1933 Albert Einstein, scappa dalla Germania Nazista e si sposta negli Usa 1945 A seguito di un colpo di stato, Juan Domingo Perón diventa dittatore dell’Argentina 1967 Debutto a Broadway del musical Hair 1973 I paesi dell’Opec iniziano un embargo del petrolio contro alcune nazioni occidentali ritenute responsabili di aver aiutato Israele nella sua guerra contro la Siria 1979 Madre Teresa di Calcutta riceve il Premio Nobel per la pace 1480 nasce Ferdinando Magellano, esploratore portoghese
Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Antonella Giuli, Francesco Lo Dico, Errico Novi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Susanna Turco Inserti & Supplementi NORDSUD (Francesco Pacifico) OCCIDENTE (Luisa Arezzo e Enrico Singer) SOCRATE (Gabriella Mecucci) CARTE (Andrea Mancia) ILCREATO (Gabriella Mecucci) MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei, Giancristiano Desiderio,
Il senatore di Pietro, a capo dell’IdV, da anni va diffondendo, “urbi et orbi”, il suo dogmatico verbo: fuori dalle istituzioni i condannati. Facendo un passo indietro, anzi due, troviamo Marco Travaglio, sia elettore dell’IdV che condannato ad otto mesi di carcere per aver diffamato l’ex ministro della difesa. Ora mi chiedo semplicemente se il senotore Di Pietro, con lo stesso fervore, passione ed enfasi di sempre si prodigherà per prendere le distanze dal condannato e se pretenderà subito il suo allontanamento dalla Rai, istituzione delicatissima dove si potrebbe reiterare il reato. Di Pietro è persona seria, non lo farà certo con una dichiarazione alle due di notte, ma con un confronto diretto e, se non accettato dalla controparte, il mancato faccia a faccia dovrà essere, con ancora maggior impegno, essere diffuso dalla Tv. Le cose vanno fatte a caldo, ( in Abruzzo diciamo cotte e mangiate, vero Senatore), ma non ho dubbi: sull’argomento, la sentiremo in ogni trasmissione Tv, con o senza domande dei giornalisti o degli interlocutori presenti e senza discorsi ” di lana caprina”, che non c’azzeccano!
Leopoldo Chiappini Guerrieri Roseto degli Abruzzi
PUNTURE Santoro punta sulla Granbassi, ma ormai è disarmata.
Giancristiano Desiderio
“
Un musicista non può commuovere gli altri se non è egli stesso commosso. È dall’anima che bisogna suonare CARL PHILIPP EMANUEL BACH
”
Alex Di Gregorio, Gianfranco De Turris, Luca Doninelli, Rossella Fabiani,Vincenzo Faccioli Pintozzi, Pier Mario Fasanotti, Aldo Forbice, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Alberto Indelicato, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Andrea Margelletti, Adriano Mazzoletti, Angelo Mellone, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo, Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Claudio Risé, Eugenia Roccella, Roselina Salemi, Carlo Secchi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania
Il dramma dello scrittore minacciato dalla camorra
Ora lo Stato non faccia pressioni su Saviano di Nicola Fano segue dalla prima Se sceglierà di restare, il suo esempio di coraggio civico sarà assoluto ed evidente. Ma nessuno può chiedergli di farlo. Né alcuno potrà, al contrario, biasimare una sua presunta debolezza nel caso in cui dovesse scegliere di vivere in maggiore tranquillità lontano dall’Italia. Lo Stato, semmai, ha l’obbligo di garantire la sicurezza di tutti i suoi cittadini, Saviano compreso: ma non di usare un cittadino come bandiera per una battaglia sulla cui vittoria è quanto meno consentito dubitare, al momento. Le parole rivolte dal premier all’autore di Gomorra sono queste: «Abbiamo ripulito Napoli e la Campania dai rifiuti; intendiamo agire con la stessa determinazione per liberare l’intero Mezzogiorno dalla camorra e dalla criminalità organizzata». Può darsi che effettivamente Napoli sia stata ripulita dalla spazzatura, può darsi che tra l’invasione della spazzatura a Napoli e la criminalità organizzata ci sia un legame meno labile di quanto sembri, ma paragonare la vita a rischio di un uomo minacciato di morte perché ha espresso liberamente il proprio pensiero e la salvaguardia igienica di una città può suonare quasi blasfemo. Qui non è in gioco l’igiene, è in gioco la vita. E su questa può decidere liberamente solo il diretto interessato. Spesso si è paragonato, ultimamente, il caso di Saviano alla fatwa che ha colpito Salman Rushdie. Nulla di più sbagliato. Lì la minaccia (concretissima, dal momento che più di un traduttore o editore di Versi sata-
nici ne ha avuto conseguenze drammatiche) era odiosamente collegata a supposti principi religiosi. Folli e illibertari, naturalmente, ma presentati in quanto tali dagli autori della “condanna a morte”. Qui si parla di criminalità comune ed è in gioco la sovranità dello Stato, la sua stessa capacità di non essere ostaggio della camorra. Salman Rushdie con Versi satanici non voleva “deunciare” i presunti orrori dell’islam; voleva scrivere un romanzo. Un bel romanzo, per altro. Saviano con Gomorra ha descritto un’organizzazione criminale: ha supplito lo Stato nell’analisi e nella denuncia. Lo Stato deve almeno fare il passo successivo: sgominare ciò che Saviano ha descritto. In più, lo Stato gli deve tutela e sicurezza, non lo deve tirare per la giacca. Saviano non indossa una giacca normale, ma una giacca antiproiettile: ha tutto il diritto di togliersela e di prendere un po’ di aria buona. Foss’anche fuori dall’Italia, finché l’Italia non avrà fatto il proprio dovere, ossia mettere in galera l’intera organizzazione criminale che minaccia Saviano e tutti noi con lui.
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PAGINAVENTIQUATTRO A giorni la messa in onda di ”Apparizioni”, serie tv che ridicolizza la Chiesa e i rituali di esorcismo
E la Bbc dichiara (di nuovo) guerra al VATICANO di Silvia Marchetti
er i produttori della Bbc è semplicemente «la lotta del bene contro il male» ma per il Vaticano è l’ennesimo affronto blasfemo. Nei prossimi giorni verrà trasmessa sulla televisione inglese la nuova serie sul soprannaturale intitolata Apparizioni e sarà di nuovo scontro aperto con le gerarchie ecclesiastiche cattoliche. Dopo il documentario sui preti pedofili trasmesso l’anno scorso con grande scalpore in tutto il mondo e uno show sempre incentrato sul tema religioso, ora tra scene di esorcismi, preti gay, crocifissi oltraggiati e macabri delitti la Bbc torna a deridere la Santa Sede, da mesi sul piede di guerra per ciò che definisce «una produzione televisiva di cattivo gusto».
P
Il rischio è lo scoppio dell’ennesima guerra mediatica tra l’emittente televisiva del Regno Unito e la Chiesa di Roma, ancora oggi guardata con diffidenza dalla maggioranza degli anglicani. I forum e i siti internet dedicati ai programmi tv sono in fermento: tutti aspettano con trepidazione la prima puntata e non capiscono perché il Vaticano «fa tanto rumore per nulla», scrive un blogger. In Inghilterra il mix esplosivo di anti-papalismo e gusto dell’horror garantirà il successo della trasmissione. Anche se per una minoranza proiettare a livello nazionale un telefilm che mette grottescamente in ridicolo la Chiesa romana è un insulto, non certo un divertimento. I cattolici britannici e le lobby vaticane sono già scesi in piazza per protestare contro l’uscita della serie, prevista a giorni. In tutto saranno trasmesse sei parti. La Bbc vuole giocare sull’effetto sorpresa, non ha ancora ufficializzato il giorno esatto quando partirà Apparizioni perché sa già che i telespettatori sono incollati allo schermo e a internet. Ma che ci sarà mai di così blasfemo in questa serie? Innanzitutto, la storia ruota attorno a un prete che cade vittima del demonio. Padre Jacob (interpretato dall’attore inglese Martin Shaw, molto amato dal pubblico) è il direttore gesuita di un seminario cattolico di Londra e lavora alla congregazione per le cause di santificazione, un uomo pio e forte che un giorno incontro una ragazzina che lo porta dal padre indemoniato per esorcizzarlo. Ma anche lui finisce col farsi inghiottire dalla spirale del male. E non finisce qua: tra le scene più orribili si vede un uomo italiano (uno studente di padre Jacob) posseduto dal diavolo che viene scannato vivo in una sauna per gay, un padre che minaccia sessualmente la propria figlia e l’esorcismo di Madre Teresa. Inoltre, sangue che scorre a volontà dagli occhi degli indemoniati, i protagonisti centrali di Apparizioni. Tutto frutto della mente di Martin Shaw, che ha proposto e diretto dietro le quinte gran
Preti gay, crocifissi oltraggiati e macabri delitti. L’emittente britannica torna a deridere la Santa Sede, che da mesi promette battaglia per ciò che definisce, senza se e senza ma, «una produzione televisiva di cattivo gusto» parte degli episodi. L’attore si difende spiegando al Daily Telegraph che «nonostante tutto alla fine trionfa l’amore e il bene. So che non è certo il miglior serial della terra ma l’obiettivo non era quello di produrre un musical religioso e annoiare la gente». Già, si fa di tutto per tenere lo spettatore sull’orlo della sedia, peccato solo che gli episodi verranno trasmessi alle nove di sera, ossia nella fascia oraria più seguita anche dai giovani. Insomma, altro che programma educativo. La Bbc ha lasciato carta bianca a Shaw, che nutre una profonda antipatia per il Vaticano: «Che c’è di male? - chiede provocatoriamente - La Chiesa direbbe che maggiore è la sua santità, maggiori sono gli attacchi di cui è vittima».
Alcuni vescovi sono stati interpellati come “consulenti” per le scene di esorcismo ma questo non è bastato per sedare i contrasti. Il portavoce della conferenza episcopale ha più volte ribadito che «non guarderò la serie, è di cattivo gusto. La gente sarà facilmente scioc-
cata. Vero, si tratta solo di una fiction anche se la Chiesa cattolica non avrebbe mai scelto un simile format per spiegare cosa è un esorcismo». A sostegno del Vaticano c’è il gruppo di pressione Mediawatch-UK che critica Apparizioni. Per il direttore John Beyer «il programma scatenerà delle controversie, è un’evidente violazione del codice deontologico televisivo britannico. La Bbc si è macchiata di un grave errore, doveva trovare altre forme per descrivere la lotta tra il bene e il male».
Non è la prima volta che la Bbc mette in onda una trasmissione del genere. Già nel 2005 lo show Jerry Springer e l’Opera (pieno di oscenità e bestemmie cantate) creò scalpore e fece infuriare le gerarchie ecclesiastiche cattoliche. Agli uffici centrali dell’emittente inglese arrivarono 55mila denunce e il gruppo Christian Voice minacciò di trascinare i produttori in tribunali con l’accusa di blasfemia. La Bbc cerca di difendersi mettendo le mani avanti: «Rappresentanti della Chiesa sono stati consultati per l’accuratezza dei rituali religiosi e hanno letto l’intero copione. Sono le scene la parte forte di Apparizioni, non si possono tagliare o rendere più soft».