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he di c a n o r c
Abbiate fiducia nel progresso, che ha sempre ragione anche quando ha torto
Filippo Tommaso Marinetti
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QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA
di Ferdinando Adornato
DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK
Perché Berlusconi, come Prodi, entra in crisi di consenso dopo sei mesi
IL RAPPORTO ISTAT 2008 Più vecchi, più divorziati, meno istruiti. Ma soprattutto con le tasche sempre più vuote. Con una sola clamorosa eccezione: 81 milioni di telefonini
Se anche “Libero“ scappa dalla luna di miele di Renzo Foa i deve essere qualcosa di più della fine - perché proprio della fine si è parlato - della luna di miele tra la compagine guidata da Silvio Berlusconi e l’Italia, se un quotidiano come Libero se ne esce con un titolo a tutta pagina come quello di ieri, lamentando che «dopo un avvio brillante l’esecutivo ha ceduto alle proteste di insegnanti e studenti», mentre «il personale Alitalia blocca gli aeroporti» e scrivendo a caratteri di scatola che «il governo ha paura». C’è, è vero, un incitamento ad agire, a usare la mano forte contro chi sta bloccando il trasporto aereo, sulla scia delle dichiarazioni dei ministri Maroni, Matteoli e Sacconi. Ma c’è soprattutto - non credo di leggere male - un miscuglio di delusione e di dileggio.
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s e gu e a pa gi n a 6
L’Afghanistan, frontiera d’Occidente di Stranamore a pagina 14
Poveri, con il cellulare alle pagine 2 e 3
Mosca (e Frattini) contro lo Scudo Usa
Il ministro al Senato: «D’ora in poi chi sbaglia o va a casa o va in cella»
L’Italia avvocato dello Zar
Banche, ora Tremonti fa il duro Sciopero Università: la Cisl si dissocia e rompe con Cgil e Uil
di Enrico Singer
di Gianfranco Polillo un Giulio Tremonti sempre più arrabbiato, quello che è andato in onda nel corso della sua audizione al Senato. L’altro ieri, nel dibattito alla Camera, era stato più prudente. Aveva precisato che l’intervento che il governo si appresta ad effettuare, per contenere il pericolo di un default finanziario, non è a favore delle banche, ma dei risparmiatori. Sono questi ultimi che il governo vuol tutelare, se non altro per dare attuazione all’articolo 47 della Costituzione. Quindi un dovere, più che una scelta di carattere discrezionale. E a difendere questa posizione era stato lo stesso Fabrizio Cicchitto, intervenendo come presidente del gruppo del Popolo della libertà. In polemica con Giorgio La Malfa, che aveva tentato di erigere una fragile difesa a favore del sistema bancario che
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Giulio Tremonti ha usato parole durissime, ieri in Senato, contro i banchieri: «Chi sbaglia, o a casa o in cella».
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CON I QUADERNI)
non doveva essere colpito da forme di dirigismo, aveva ribadito la posizione del ministro dell’Economia. Al Senato, invece, Giulio Tremonti è andato oltre. Noi forniamo un paracadute – ha sostenuto – in grado di tutelare il risparmio. Se la banca accetta, ripristinando quelle regole etiche che dovrebbero garantire un corretto esercizio del credito: bene. Altrimenti se «fallisce i banchieri vanno a casa, o vanno in galera». Parole dirette, come si vede, che rispondono ad un sentimento che negli ultimi mesi è decisamente cresciuto. A poche centinaia di metri di distanza, nella sede dell’Ambasciata americana a Roma, Charles Morris, illustrava il suo ultimo libro Crack. S EGUE C ON I S ERV IZI AL L E P AGINE
• ANNO XIII •
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ncora prima di incrociare le armi nella sfida che lo opporrà a Barack Obama, il Cremlino della coppia Putin-Medvedev si è ritrovato al fianco un alleato senza riserve: l’Italia. Si dirà che non è poi una grande sorpresa dal momento che «l’amico Vladimir» è sempre stato nel cuore di Silvio Berlusconi e che le forniture di gas russo sono vitali per il nostro Paese. Ma questa volta sulla questione dello Scudo antimissile che gli Usa vogliono installare in Polonia e nella Repubblica ceca, l’appoggio di Roma a Mosca ha il sapore di una virata di 180 gradi proprio nel giorno in cui Medvedev ha fatto sapere che non tratterà con Washington se il progetto non sarà ritirato.
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Trasformazioni. Tutte le contraddizioni di un Paese in crisi di identità: dalle abitudini ai consumi, alle paure
Sotto il cellulare, niente L’Istat fotografa l’Italia: più ignorante, più vecchia, più divorziata, con la certezza di essere più povera, ma aggrappata al telefonino di Vincenzo Faccioli Pintozzi e Francesco Rositano overi col cellulare. È questo il primo e forse più drammatico dato che si rileva scorrendo le pagine del rapporto dell’Istat nell’annuario italiano 2008 che scatta una dettagliata (e allarmante) fotografia del Bel Paese prendendo in esame diversi fattori: dal costume alla giustizia, dal lavoro all’ambiente.
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Più bimbi ma anche più over 80, più auto e telefonini, più divorzi e più suicidi. Italiani sfiduciati, insoddisfatti della propria situazione economica e scontenti del proprio lavoro. Ma guai a toccare la macchina, in barba ai prezzi della benzina e al traffico, o il cellulare, vera mania per la stragrande maggioranza. Per non parlare della casa di proprietà, obiettivo raggiunto da quasi il 74 % delle famiglie. Questo il quadro, frutto delle rilevazioni statistiche effettuate prevalentemente nel 2007, ma anche in parte del 2008. Dal report emerge che il 53,7% degli abitanti del Belpaese si sente poco soddisfatto della propria situazione economica, anche se questo non frena l’utilizzo massiccio dell’automobile, l’acquisto di una casa o dell’ultimo modello di cellulare. Nel 2008 il mezzo di trasporto più utilizzato è infatti sempre la propria vettura, sia per gli occupati, come conducenti, che la usano negli spostamenti per recarsi al lavoro (69,7 %) sia per gli studenti, come passeggero (36,3 %). Si ha dunque la percezione di camminare sempre più vicino all’orlo di un precipizio. E bisogna pensare che il rapporto è stato compilato ancor prima che esplodesse la bolla dei mercati finanziari, prima del crollo delle borse e del crac di colossi dell’industria internazionale. Un Paese che è quindi ben cosciente della difficoltà in cui si trova e si protegge rincorrendo le chimere dell’edonismo: automobili e cellulari. Un’Italia che crede molto meno del passato nella capacità di riscatto insita nel lavoro. Se questo è accaduto, forse, è anche colpa della politica, che ha bistrattato chi lavora. Lo dimostrano i dati sulle morti bianche in aumento costante a cui - purtroppo - ci si è abituati come si fa con quelle cicatrici dovute alle cadute tipiche dell’infanzia. È grave perché non è la stessa cosa. Ecco quindi spiegato perché si va alla ricerca di facili scorciatoie in cerca del riscatto: le slot machines oppure la televisione. Tutti, infatti, vogliono fare i “tronisti” nella trasmissione di Maria De Filippi o concorrere per un posto nella casa del Grande Fratello. Sono realtà che assicurano il massimo risultato con il minimo sforzo e lasciano sempre l’amaro in bocca. Come quelle diete, pubblicizzate e poi bandi-
te (perché chiaramente ingannevoli) che promettono di perdere 7 chili in sette giorni magari mangiando anche la pasta e una bella porzione di profitteroles. Ecco l’Italia dei reality show, di chi diventa qualcuno perché ha accettato di vestire i panni di un personaggio (quasi sempre ridicolo) che però si vende bene su piazza. È un’Italia che insegue il successo facile, in cui la speranza viene barattata con un più comodo (e banale) lieto fine: vincere il montepremi dell’Isola dei Famosi ed essere ospitati ogni settimana negli ambiti salotti dei talkshow. Lavorare non paga più: in tutti i sensi. Così si scommette molto di meno sul lavoro, ci si accontenta di portare a casa lo stipendio. Senza infamia né lode. Sorprende che fino a pochi anni fa per sbarcare il lunario si facevano gli straordinari e si andava a lavorare lontano: in America, in Australia. Si partiva con la nave, si facevano debiti per comprare il biglietto. Ma almeno si coltivava un sogno e si era disposti a sudare per raggiungerlo. Ora, invece, si inseguono illusioni, che vengono vendute a colpi di spot: una pelle più liscia, qualche ruga in meno. È la società della finzione nella quale paradossalmente conta di più indossare le scarpe firmate e ostentare il cellulare rispetto al fatto di dover fare la spesa a rate. È questa infatti l’ultima trovata simbolo della gravità in cui ci troviamo. Una gravità portata a galla dall’aumento del tasso di suicidi. L’Istat rileva che nel 2006 sono stati 3.061 (2.892 nel 2005); nel 76,9 per cento dei casi si tratta di maschi; maggioranza maschile (53,4per cento) anche per tentativi di suicidio.
Come cambia la popolazione residenti nel nostro Paese sono aumentati di circa 488mila unità, portando il numero totale a oltre 56 milioni. Il flusso migratorio compensa il saldo naturale (su cui grava l’aumento della mortalità nel Mezzogiorno) che si attesta a meno 6.868 unità. Gli stranieri residenti in Italia erano - al primo giorno dello scorso gennaio - circa 3,4 milioni: gli iscritti in anagrafe sono il 5,8% della popolazione totale. Guardando la cittadinanza della popolazione straniera, i flussi provenienti dall’Unione europea (27,2%) tolgono il primato all’area dell’Europa centro-orientale (24,4%). I dati confermano dunque il trend degli anni scorsi.
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Preoccupati da traffico e parcheggi el 2008, le famiglie italiane hanno considerato il traffico e la mancanza di parcheggi nelle zone in cui vivono i maggiori problemi da segnalare. Un misero quarto posto per il rischio criminalità, che soltanto il 36,8% degli italiani considera una questione prioritaria. Niente a che vedere con le file in autostrada, grande dramma per il 45,6% della popolazione, o con l’inquinamento dell’aria, che il 41,4% dei cittadini definisce «un problema serio». Segue il non fidarsi a bere acqua dal rubinetto (32,8%), la sporcizia nelle strade e la difficoltà di collegamento con i mezzi pubblici (entrambe fisse sul 29,4%).
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Cibi sempre più cari, sms per tutti a spesa media mensile delle famiglie italiane è pari a 2.480 euro, 19 euro in più rispetto al 2007. Il livello di spesa per i generi alimentari si attesta sullo stesso livello dell’anno precedente: 466 euro. Le spese per beni e servizi non alimentari passano, tra il 2006 e il 2007, da 1.994 a 2.014 euro mensili. Le spese per l’abitazione, che incidono del 26% sul bilancio familiare, salgono al 3,8% rispetto al 2006: da 639 a 663 euro al mese. Nonostante gli aumenti, crescono le spese per beni di lusso e soprattutto telecomunicazioni: le linee attive sono 81,6 milioni e le prepagate 73,7 milioni. Stenta ancora Internet, fermo su 11,6 milioni di utenti.
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Il sociologo francese Émile Durkheim nel suo celebre studio affermava che più le società si arricchiscono, più aumenta il tasso di suicidi. Lo deduceva dalla situazione della sua epoca in cui all’arricchimento della società, al progresso dell’individualismo, era seguito l’incremento del numero dei suicidi soprattutto nelle classi più agiate. Per Durkheim era logico pensare che l’arricchimento generasse anomia, perdita di riferimenti, angoscia esistenziale. Eppure, già a partire dal 1910, il suicidio subì una battuta d’arresto nella maggior parte dei paesi europei, prima di riprendere negli anni ‘70, con il rallentamento della cresci-
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Per Ugo Volli, i dati sottolineano il divario fra la popolazione
«Siamo davanti a due Italie» colloquio con Ugo Volli di Francesco Capozza
ROMA «Ho visto di sfuggita i dati resi noti dall’Istat, ma a grandi linee mi sembra che rappresentino una situazione non troppo paradossale, specie se si fa conto del dato sul consumismo che aumenta e sul reddito medio che invece diminuisce. È un classico italiano: si cerca l’ostentazione del gadget all’ultima moda, ma poi magari si fa fatica a pagare le bollette». Ne è convinto il Ugo Volli, docente di Semiotica presso la facoltà di Filosofia dell’Università di Torino. Professore, se capisco bene lei ritiene che l’italiano medio, pur di avere il telefonino all’ultima moda, fa carte false anche se ha reddito basso? In un certo senso è un atteggiamento tipico delle fasce medio basse della popolazione. Si tende a voler “mostrare” di essere al passo coi tempi e di possedere il gadget di grido, che, facendo un paragone, costa a volte dieci volte di più rispetto a uno similare - diciamo “normale” - e che per giunta ha spesso le stesse funzioni Perchè è tipico dell’italiano medio? Perchè è l’italiano medio, spesso e volentieri, che ha bisogno di “mostrare” agli altri quello che ha. È un fattore sociologico che però esonda dalle mie competenze Secondo l’Istat c’è stata, nel 2007, una grossa flessione della richiesta di lavoro, sia al nord che al sud. Meno curricula in giro, meno lavoro richiesto alle agenzie interinali. Come commenta questo dato? Beh, è semplice: cresce purtroppo il lavoro nero, conseguenza diretta dell’aumento di popolazione extracomunitaria da un lato e, dall’altro, cresce la popolazione anziana, ultrasessantacinquenne: quindi crescono i pensionati. Ma c’è da dire che sono aumentati anche i posti di lavoro. Poco, ma un leggero incremento c’è stato. Un altro dato, involontariamente, lo ha citato lei: cresce la popolazione anziana. L’Italia è una nazione di vecchi? Purtroppo sì, è vero. L’età media cresce sempre di più, oggi vivere fino a novant’anni è quasi la normalità in una società che, di contro, procrea sempre di meno. L’età avanzata non sembra impedire alla nostra classe di-
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Ecco i problemi più sentiti: il traffico, l’inquinamento dell’aria, la difficoltà di parcheggio. E solo al quarto posto il rischio criminalità. Gravi o meno che siano, non importa. Tanto c’è il cellulare ta economica. È ancora vero che il tasso di suicidi è più alto nei paesi più ricchi. I paesi più poveri, come l’Egitto o il Perù, fanno registrare i tassi più bassi. In paesi con un livello di vita elevato come la Nuova Zelanda, il Canada, la Germania o la Francia, ci si suicida molto di più. Ma il suicidio non è un affare da ricchi, come lo era nel diciannovesimo secolo, ma un problema dei poveri: dipendenti, operai, disoccupati. All’epoca di Durkheim, egli poteva affermare che ”la miseria protegge” riferendosi alla ”povertà integrata” del suo tempo, quella dei paesi poveri dove tutti sono vicini e solidali con la propria comunità. La miseria odierna consiste invece nel diventare povero in un paese ricco, eventualità molto più sofferta che essere povero in un paese povero. Inoltre, contrariamente a quello a cui siamo abituati a pensare delle nostre grandi città, anonime e isolanti, l’urbanizzazione sembra generare forme nuove e protettive di socialità. Non è nelle grandi città che ci si dà la morte (il suicidio conosce i suoi tassi più bassi nelle metropoli, a Parigi, Londra, New York), ma nelle campagne diseredate: per la Francia, nelle zone rurali dell’Ovest, in particolare la Bretagna. Le classi medie e cittadine appaiono più integrate in reti di rapporti e di relazioni, dunque più protette, rispetto agli ambienti
svantaggiati della provincia. Uomini o donne? Ovunque le donne si suicidano quattro volte meno degli uomini. Ci si aspettava che in un’epoca di parità questa divergenza si attenuasse e invece non è accaduto. La concezione femminile dell’esistenza, della famiglia, del prendersi cura, è ancora un atteggiamento saldo nel mondo odierno e le donne sono ancora coinvolte in diffuse e protettive reti di rapporti familiari. Le donne sembrano inoltre meno sensibili alle crisi economiche e risentono meno della messa in discussione della propria identità quando non trovano lavoro.
Preoccupa, quindi, in particolare il modello di società che viene fuori da questo studio. Una società in cui ai dati quantitativi corrispondono abitudini, ma anche nevrosi. Il rapporto Istat, infatti, rileva che i problemi maggiormente sentiti dalle famiglie siano il traffico (45,6 per cento), l’inquinamento dell’aria (41,4 per cento), la difficoltà di parcheggio. E solo al quarto posto il rischio criminalità (36,8 per cento). Poi arriva il rumore (36 per cento), il non fidarsi a bere acqua dal rubinetto (32,8 per cento), la sporcizia nelle strade e la difficoltà di collegamento dei mezzi pubblici (entrambe 24 per cento). Alla fine, gravi o meno gravi che siano, non importa.Tanto c’è il cellulare.
rigente di governare, però... Infatti, è sempre di meno la popolazione che allo scoccare dell’età pensionabile va al parco e si siede su una panchina. La classe dirigente, politica, industriale, economica ne è un fulgido esempio. Il nostro capo dello Stato ha superato gli ottant’anni ed è attivissimo e lucidissimo, forse più di tanti dirigenti cinquantenni. Ottanta, cinquanta, sessanta... ma non sarà che con tutti questi “anziani” al potere i giovani si demoralizzano? Non è che manca un ricambio generazionale? La domanda che lei mi pone coglie nel segno. Secondo me, e secondo i dati dell’Istat stando all’Annuario statistico reso noto ieri, ci sono sempre meno giovani in posizioni di rilievo nella politica e nelle istituzioni, ma anche nel gotha dell’industria e dell’impresa. Credo che un ricambio generazionale potrebbe dare uno scossone a quei dati, ma non so se ci sono le condizioni. Crede che quelle condizioni non ci siano? Credo che l’Italia sia ancora troppo indietro rispetto agli altri Paesi dell’Occidente industrializzato. Negli Usa è stato appena eletto un presidente 47enne, qui l’età media della politica è 5055 anni. Credo che i nostri figli siano vittime e temano una vera e propria esclusione sociale. E poi basta accendere la televisione: anche lì non spopola la gioventù... E non solo! Basta vedere la televisione generalista per accorgersi che anche lì non c’è ricambio generazionale. Sono sempre le solite facce, o quasi, da trent’anni a questa parte. Per noi di quella generazione forse non è un problema, ma per i nostri giovani sì. Un’ultima domanda, professore: tornando al divario economico evidenziato dall’Istat, ritiene che sia possibile parlare di due Italie? Certamente sì. È proprio la situazione che si sta sempre di più delineando. Ad un’ampia fascia di popolazione che non arriva a fine mese, si contrappone una buona fetta di persone che racchiudono nelle proprie mani sempre maggiori interessi economici e ricchezza disponibile. Si, sono certo: siamo ormai di fronte a due Italie.
In Italia si cerca l’ostentazione del gadget all’ultima moda, ma poi magari si fa fatica a pagare le bollette
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politica
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Scudo antimissile. L’Italia consiglia a Obama di rinunciare alle basi in Polonia e Repubblica Ceca e propone un “nuovo ordine di sicurezza”
Silvio, l’avvocato di Putin A poche ore dal vertice di Nizza Ue-Russia, Frattini frena anche sull’ingresso di Georgia e Ucraina nella Nato di Enrico Singer segue dalla prima Dmitrij Medvedev ha fatto sapere che le garanzie offerte dall’Amministrazione americana - quella di Bush, per ora non sono sufficienti e che non ci saranno trattative sulla sicurezza nemmeno con la nuova Amministrazione - quella di Obama, per intenderci - fino a che il progetto dello scudo antimissile non sarà cancellato. Ed ecco che dal ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini e dal premier in persona partono due assist molto precisi. Silvio Berlusconi dice che «nessuno sente il bisogno di un ritorno alla guera fredda» e rivela che nel suo colloquio telefonico con Obama gli ha dato «un solo consiglio, quello di non continuare l’escalation dei rapporti negativi con la Russia». Anche Bush era «l’amico George», ma adesso che sta per lasciare la Casa Bianca evidentemente conta meno e tra le ragioni di Washington e quelle di Mosca la bilancia di Berlusconi adesso pende decisamente verso Est. Anche se, naturalmente, «l’alleanza con gli Stati Uniti non è in discussione». Al di là delle frasi a effetto del presidente del Consiglio, che rivendica anche il merito di avere convinto - «grazie alle nostre insistenze» - Medvedev e Obama a «incontrarsi prossimamente», il compito di spiegare la svolta filorussa tocca a Frattini.
«Non si tratta di rimpiazzare la Nato, ma si deve andare verso una nuova prospettiva in cui Europa, America e Russia costruiscono insieme un nuovo ordine di sicurezza. E per questo i missili non servono», dice il ministro che si lancia anche in una previsione. Se l’America di Obama vorrà impegnarsi sull’Af-
Georgia: «Il vertice di Bucarest dell’Alleanza atlantica ha preso delle decisioni, ma accelerare quelle decisioni sin dal prossimo dicembre sarebbe un altro segnale che non aiuterebbe nei rapporti con la Russia». Roma, insomma, si propone come il migliore avvocato di Mosca a tutto campo. E, non a caso, alla vigilia dal summit UeRussia che terrà domani a Nizza e che segnerà la riapertura formale delle trattative europee con Mosca dopo lo stop imposto dalla crisi del Caucaso. A Nizza Medvedev incontrerà Sarkozy, nel suo ruolo di presidente di turno dell’Unione, e gli illustrerà la sua proposta di un nuovo Trattato di sicurezza paneuropeo che è, in pratica, la risposta russa alla strategia - attuale - della Casa Bianca e della Nato e che, a giudicare dalle esternazioni di Berlusconi e di Frattini, ha l’appoggio italiano.
Domani Medvedev incontrerà Sarkozy, presidente di turno dell’Unione, e gli illustrerà la proposta di un Trattato di sicurezza paneuropeo ghanistan più che in passato e sarà proiettata verso l’Asia più di quanto non lo sia stata con Bush «non si potrà permettere di schierare lo scudo antimissile in Polonia e Repubblica ceca perché non si può permettere i missili russi a Kaliningrad».
Geostrategia: parla il generale Jean
Ma l’America non può fare marcia indietro sullo scudo colloquio con Carlo Jean di Pierre Chiartano
Come dire che la ritorsione minacciata da Medvedev di piazzare dei missili in mezzo alla Ue - Kaliningrad è un’enclave russa tra Lituania e Polonia - è già data per scontata e, di fatto, avallata dall’Itralia. Un po’ come fu giustificata l’invasione russa della Georgia della scorsa estate. Non solo. Frattini ripropone la sua ”linea della prudenza”anche sul capitolo dell’allargamento della Nato a Ucraina e
Sarkozy è più prudente: ha già fatto sapere a Medvedev che è pronto a discuterne in sede Osce (l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) nel corso del 2009. Anche la Francia vuole stabilire con la Russia un rapporto di partenariato costruttivo che scongiuri ogni ipotesi di ritorno alla guerra fredda. E questa, sia pure con molti distinguo e
arà vero disgelo fra Washington e Mosca? Il nuovo vento che spira dopo l’elezione di Barack Obama e soprattutto dopo le prime dichiarazione di apertura verso la Russia, seguiranno dei fatti politici concreti? Lo abbiamo chiesto ad un esperto di affari internazionali, con una competenza speciale per la Russia e gli armamenti strategico-nucleari. Il generale Carlo Jean. Lo scudo antimissile sembra la pietra dello scandalo per una Russia che si sente minacciata lungo i confini. La new age politica che sembra improntare il change americano, come inciderà sul futuro dei rapporti con la Russia? Ormai le decisioni sullo scudo missilistico sono state prese dal governo polacco, sotto una forte pressione degli americani. A mio parere sarà molto difficile che gli Stati Uniti possano riman-
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giarsi la parola data. Sarebbe come dare il via libera ad azioni contro gli Stati baltici. È dunque convinto che ci sarà continuità anche col cambio d’inquilini alla Casa Bianca? Assolutamente sì. Almeno da un punto di vista formale, poi ci sono i dubbi del partito democratico, espressi al Congresso, che riguardano le tecnologie: non sono ancora mature. Di conseguenza è da escludere uno schieramento rapido del sistema antimissile. Quali potrebbero invece essere le armi politiche, per una maggiore apertura verso Mosca? Penso ad un accordo globale, che riguardi innanzitutto le forze convenzionali schierate in Europa. Quindi una riattivazione degli accordi presi da Bush con Putin a Sochi, nell’aprile 2008, dopo la riunione Nato di Bucarest. Accordi che riguardavano le armi strategiche. La Russia non può permettersi
alcune eccezioni - da parte dei Paesi dell’Europa ex comunista che continuano a non fidarsi delle intenzioni di Mosca - è la posizione prevalente dell’Europa. Nessuno vuole isolare la Russia. Sarebbe un errore mortale perché la spingerebbe su posizioni ancora più dure e, inevitabilmente, antioccidentali. Una politica di scontro fragilizzerebbe anche il fronte della lotta al terrorismo e renderebbe più difficile trovare un’intesa generale sulle misure economiche anti-crisi che lo stesso G20 (al quale parteciperà anche Medvedev) esaminerà a Washington sabato. Ma per costruire un positivo rapporto di partenariato bisogna sempre essere in due. Ci vuole la disponibilità dell’Europa, certo. O quella degli Stati Uniti, se vo-
politica
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Medvedev: «Insufficienti le garanzie statunitensi»
Mosca non crede a Washington di Francesca Mereu
MOSCA. Nuova tensione tra Mosca e ti detto la scorsa settimana che prima di Washington. La Russia ha rifiutato mer- piazzare lo “scudo”bisognava assicurarcoledì la proposta di cooperazione degli si che questo funzionasse veramente; Stati Uniti sulla questione dello scudo formalmente, in questo modo, non si è anti-missile che gli Usa progettano di impegnato a portare a termine il progetrealizzare tra Polonia e Repubblica Ce- to. Uno spiraglio per Mosca. Il piano ca. Lo riferiscono le agenzie di stampa americano prevede che il sistema entri in funzione prima che George W. Bush russe citando una fonte del Cremlino. «La Russia è pronta a collaborare con lasci la Casa Bianca a gennaio e che sia gli Stati Uniti sulla sicurezza europea, completato entro il 2012, ma gli esperti ma le proposte che le sono state manda- del Dipartimento di sicurezza hanno detto più volte che la struttura necessite sono insufficienti», dice la fonte. «L’attuale amministrazione (Usa) vuole tava di ulteriori test. ad ogni costo escludere ogni discussio- Secondo le proposte lanciate dagli Usa ne. In tal modo, il nuovo presidente gli ufficiali russi potranno aver accesso americano sarà ritenuto responsabile di agli impianti di difesa missilistica e ai quello che è stato fatto», continua la video che monitoreranno in tempo reale le attività dei siti dofonte. ve saranno installati La notizia è stata diragli impianti. «Non acmata contemporaneacetteremo queste promente dalle tre magposte e parleremo con giori agenzie russe la nuova amministraItar-Tass, Ria-Novosti zione», taglia corto la e Interfax, cosa che di fonte del Cremlino. solito avviene quando Il rifiuto russo arriva il il Cremlino vuole giorno in cui il numediffondere il proprio punto di vista su questioni che ritiene ro tre del Dipartimento di Stato, William Burns, ex ambasciatore in Russia, era in importanti. Il 5 novembre nel suo primo discorso visita a Mosca per colloqui con il miniannuale alla nazione, il presidente russo stro degli Esteri russo Sergei Lavrov. Dmitry Medvedev, in risposta al proget- Burns è la più alta carica statunitense to di difesa Usa, aveva annunciato - con ad aver visitato la Russia dopo la crisi di un singolare benvenuto al nuovo presi- agosto con la Georgia. dente americano Barack Obama - il di- Un portavoce del Cremlino comunica, slocamento di missili a inoltre, che non è in corta gittata Iskander agenda un incontro a Kaliningrad, enclave tra Medvedev e Obarussa che confina con ma al summit G20 Polonia e Lituania. che si terrà questo fiNonché dispositivi di ne settimana a WaCHICAGO. Barack Obama, il disturbo elettronici shington. Obama non presidente eletto degli Stati che interverranno parteciperà al sumUniti, ha avuto una convercontro lo scudo Usa. mit, ma manderà i sazione telefonica con Papa Medvedev aveva inolsuoi collaboratori. Benedetto XVI proseguendo tre aggiunto che non Detto questo, Le prola serie di telefonate per rinsaranno smantellati, poste respinte da graziare per le congratulacome era invece in Mosca non vogliono zioni ricevute per l’elezione. programma, i reparti essere l’ultimo capiIl colloquio è avvenuto promissilistici di Kozelsk, tolo di una lunga e prio nel giorno in cui sui menella Russia centrale. difficile contrapposidia montava la polemica sulMosca crede infatti zione. Il Cremlino rila ricerca relativa alle cellule che lo “scudo” sia una tiene che sia ancora staminali embrionali tra la minaccia contro la sua possibile un comproChiesa e la nuova presidensicurezza nazionale e messo con gli Usa za Usa. La Santa Sede aveva non è convinta che sulla difesa missililanciato un «avvertimento» a serva a prevenire stica. Tant’è che il Obama: la ricerca sulle staeventuali attacchi mispremier Vladimir Puminali embrionali «non sersilistici dall’Iran, come tin propone di lavove», mentre «va aiutata quelaffermano gli Stati rare insieme per prela sulle staminali adulte». Il Uniti. venire le minacce di Vaticano ha confermato la «Ora a Mosca convieuno scudo, e il Cremtelefonata. Padre Federico ne rifiutare le proposte lino non ha escluso Lombardi, direttore della saamericane e aspettare che al vertice Apec la stampa della Santa Sede che l’amministrazione (Cooperazione ecoha spiegato che «il motivo è di Obama si insedi alla nomica Asia-Pacifico) stato il ringraziamento al teCasa Bianca. C’è la del 22-23 novembre a legramma di auguri inviato sensazione che con loLima il presidente da Benedetto XVI per l’elero sarà più semplice russo, Dmitri Medvezione a nuovo presidente. raggiungere un accordev, e il capo di stato Nessun riferimento alla podo», spiega a Liberal uscente degli Usa, lemica sulle staminali». una fonte del governo George W. Bush, tenrusso. Obama ha infatgano una riunione.
Il “niet” è stato comunicato al mondo dalle tre principali agenzie di stampa russe
gliamo allargare l’orizzonte al rapporto transatlantico. Ci vuole, però, anche la disponibilità di Mosca.
La differenza tra Roma e Parigi, per esempio, sta proprio nel grado di affidamento riposto nella sincerità della coppia Putin-Medvedev. Oltreché nella minore passione per le frasi a effetto che finiscono, poi, per diventare gaffes. Nel maggio del 2002 la creazione del Consiglio Nato-Russia nel vertice di Pratica di Mare era stata presentata da Berlusconi quasi come l’anticamera dell’ingresso della Russia nell’Alleanza atlantica, più che come la nascita di uno strumento di contatto che, per la verità, ha fin qui dato pochi frutti ed è stato anche a rischio una corsa al riarmo, non possiede le tecnologie, né i mezzi finanziari rispetto a ciò che si possono permettere gli Usa, per conseguire un aggiornamento della deterrenza strategica. Si aprono dunque degli spiragli di trattativa. La Russia è molto interessata ad entrare nel campo della quarta generazione dei reattori civili. Nella trattativa russoamericana si parlava anche di una collaborazione proprio in questo settore. I tempi di questa agenda politica quali potrebbero essere? A mio avviso una decisione con la posizione ufficiale di Obama, sarà presa sicuramente durante il summit Nato che si terrà nell’aprile 2009. Circa due mesi e mezzo dopo il suo ingresso alla Casa Bianca. Per il resto non è facile fare una previsione. Il barometro politico dei rapporti fra Russia e Usa è ancora variabile o possiamo azzardare che tenda al sereno?
di sospensione dopo l’invasione russa della Georgia. Ancora un mese fa, in occasione del Consiglio europeo, Berlusconi ha dichiarato a Bruxelles che la Russia può diventare un membro della Ue. Il presidente della Commissione, il portoghese Manuel Barroso, si era detto favorevole alla ripresa della «normalizzazione con Mosca» e il presidente del Consiglio aveva aggiunto: «Io, addirittura, vado più in là: sento la Russia come un Paese occidentale e quindi il mio progetto è che nei prossimi anni possa diventare un membro dell’Unione europea». Una affermazione che fece il giro delle capitali della Ue suscitando imbarazzo. Così come ha diviso i partner europei l’appoggio a Mosca sui missili.
I rapporti sono sicuramente migliorati, rispetto a quelli che ci sarebbero stati con l’elezione di McCain. Cosa che all’Italia avrebbe fatto poco piacere, dal momento che ha i piedi in due staffe. Quella russa e quella americana. E non possiamo permetterci di avere frizioni con nessuno dei due. Non solo, un conflitto fra Washington e Mosca ci costringerebbe a scelte molto difficili. La politica della difesa richiede enormi investimenti, la crisi economica inciderà sullo “scudo”statunitense? Per gli Usa, spesso, il bilancio della Difesa è stato utilizzato in senso keynesiano, soprattutto per le ricadute tecnologiche nel settore commerciale. Perciò non è da escludere venga usato in tal senso anche da Obama. Il partito democratico ha approvato l’aumento di centomila uomini del Corpo dei Marines, da attuare entro il 2012. Un provvedimento che avrà un suo costo.
E Barack telefona a Benedetto XVI
politica
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Crisi. I consensi per il governo Berlusconi sembrano già in calo. Come con Prodi nel 2006
È finita la luna di miele? di Renzo Foa segue dalla prima Di una delusione, espressa dal crudo linguaggio di Vittorio Feltri, che comincia a farsi strada anche in quell’area di destra che da aprile all’altro ieri si era sentita padrona incontrastata del campo (a cominciare dal quadro politico). E di un dileggio verso un metodo decisionista, tutto teso allo scontro rifiutando il dialogo, che non ha ottenuto i risultati sperati, dopo l’llusione alimentata dalla soluzione dell’angosciante problema dei rifiuti di Napoli e della Campania.
La novità rappresentata dal titolo del quotidiano milanese è questa: finora a usare parole pesanti, secondo una vecchia e malsana abitudine, contro il governo era stata soprattutto la sinistra, nonostante i tentativi di Walter Veltroni di abbassare un po’i toni. Da questo momento anche una parte della destra si è unita al coro.Vedremo rapidamente quale è la sua consistenza e quale peso potrà esercitare. Può darsi che si tratti solo di un sussulto, dovuto al costume di inseguire una cultura ed un umore che oggi non paiono benevoli nei confronti di chi protesta, che si tratti di studenti o di piloti poco importa. Però la sensazione è proprio quella della rottura di un incantesimo, l’incantesimo del terzo ritorno di Berlusconi alla guida dell’Italia. C’è da supporre che, a parti rovesciate, si stia verificando lo stesso fenomeno che ha rapidamente consumato l’ultima esperienza prodiana. Naturalmente con tutte le diffrerenze del caso, a cominciare da quella non propriamente secondaria del piccolo margine di ventimila voti di vantaggio raccolti dall’Unione nel 2006, a fronte della solida maggioranza di cui dispone ora in Parlamento il Pdl. Ma nonostante questo resta una storia parallela, grazie alla quale Prodi bru-
in breve Strage di Nassirya cinque anni dopo Commemorazioni ufficiali, ieri alla Camera, a cinque anni dalla strage di Nassirya nella quale morirono 19 persone. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha inviato al Ministro della Difesa, Ignazio La Russa, il seguente messaggio: «In occasione delle commemorazioni in onore dei caduti di Nassiriya, desidero esprimerle il mio personale, commosso ricordo delle 19 vittime di quella terribile strage, a cui unisco la memoria di tutti coloro che hanno perso la vita nell’assolvimento delle missioni di pace».
Elicottero caduto: si ruppe una pala
Qui sopra, Silvio Berlusconi. Sotto, Romano Prodi: per entrambi, consensi in calo dopo sei mesi di governo ciò in sei mesi la sua luna di miele con gli italiani, cioè esattamente lo stesso lasso di tempo che ha impiegato Berlusconi. E se il Professore inciampò sulla finanziaria del 2007 che provocò la ribellione di tutto il Nord, sinistra settentrionale inclusa, il Cavaliere sta inciampando sul metodo che ha scelto, cioè quello di rifiutare ogni forma di dialogo con le parti interessate, sia nelle riforme che sono state decise, come quella della scuola, sia nella soluzione della crisi di Alitalia. Nel bipolarismo italiano non c’è soltanto la lunga storia di un paese bloccato e che nessuno riesce a sbloccare, anche perché sbaglia metodo, ma c’è anche la simmetria dei tempi in cui i presidenti del Consiglio bruciano il credito ricevuto. In cui rie-
scono anche a logorare il consenso del proprio elettorato.
Ma che valore ha questa novità? Certamente un titolo di Libero non è destinato ad avere esiti catastrofici, neanche per un governo di destra. Ma il segnale c’è, se non altro perché si tratta di un giornale che esprime da sempre gli umori viscerali dell’elettorato di destra e che, con il suo linguaggio diretto, sa semplificare pensieri, richieste ed esigenze. In questo caso il pensiero di un governo che“ha paura”non deve suonare a Silvio Berlusconi come troppo incoraggiante. Se non altro per il fatto che l’incantesimo si è già rotto e che è difficile per il governo tornare indietro e cancellare l’immagine negativa della rivolta sudentesca contro il ministro Gelmini - rivol-
Anche il quotidiano di Vittorio Feltri prende le distanze dall’esecutivo: un attacco contro un metodo decisionista, teso allo scontro rifiutando il dialogo, che non ha ottenuto i risultati sperati ta che mescola istanze giuste ed istanze sbagliate - e se non altro perché la paralisi del trasporto aereo non si può certo affrontare con annunci come quelli sulla “tolleranza zero” e sulle “illegalità da colpire”. Il governo non sembra aver più a propria disposizione un repertorio di atti con i quali arginare l’erosione della propria immagine. A questo proposito, basta aggiungere la grande confusione in cui è stata avvolta la politica economica, con le ambiguità della Finanziaria e con l’incapacità di scegliere tra il sostegno alle famiglie o quello ai grandi centri del potere finanzia-
rio. Il che dà un’immagine di debolezza, proprio in quella vasta area di elettorato che lo scorso aprile aveva scelto il Pdl perché aveva paura delle incapacità della sinistra, perché era stanca del biennio prodiano e perché voleva tornare a scommettere sul centro-destra e in primo luogo, personalmente, sulle capacità di Silvio Berlusconi di risolvere i problemi del Paese.
Ecco dunque l’inizio di una delusione, che può diventare molto profonda e che può coinvolgere anche il leader il quale - stando ai sondaggi – gode ancora di una fiducia popolare superiore a quella del governo. Un leader, va comunque detto, che in ogni modo non ha alternative. Se dall’inizio della sua crisi con l’opinione pubblica Romano Prodi è riuscito a restare in sella ben un anno e mezzo, si può allora agevolmente pensare che Berlusconi non avrà eccessive difficoltà a restare a Palazzo Chigi per l’intera legislatura. Ma il problema non è quello del gioco sulla durata dei governi nel bipolarismo italiano. Il problema vero resta quello dell’efficacia dei governi, della loro capacità di trovare soluzioni per i grandi e piccoli problemi del paese e, in particolare in questa stretta, di restituire fiducia ad una pubblica opinione che ha paura di una crisi finanziaria senza precedenti, le cui conseguenze per di più di avvertono nella vita quotidiana di tutti. Il problema è dunque quello di un esecutivo che nei suoi primi atti aveva promesso molto e che sta correndo il rischio di passare alla storia solo come quello che ha saputo risolvere il problema dei rifiuti di Napoli.
È stato un guasto tecnico, la rottura di una pala del rotore principale, la causa dell’incidente di volo avvenuto in Francia lo scorso 23 ottobre, quando un elicottero HH-3F dell’Aeronautica militare italiana è precipitato provocando la morte di tutte le otto persone a bordo. Sono i primi risultati dell’inchiesta tecnica avviata dalla stessa Aeronautica che pure sottolinea come sia la prima volta, in circa 30 anni di vita operativa dell’elicottero HH-3F, che un incidente viene causato da un fattore tecnico.
Ghanese pestato: dieci indagati Otto agenti, un ispettore capo e un commissario capo della polizia municipale di Parma sono stati iscritti nel registro indagati della procura della città emiliana per il presunto pestaggio di Emmanuel Bonsu Foster avvenuto lo scorso 29 settembre. Il 22enne ghanese venne fermato nel corso di un’operazione antidroga. Ora la procura ha formalizzato i capi di imputazione nei confronti di chi ha organizzato, coordinato e diretto l’operazione antidroga e di chi ha eseguito il fermo e il successivo interrogatorio: percosse aggravate, calunnia, ingiuria, falso ideologico e materiale, violazione dei doveri d’ufficio, con l’aggravante dell’abuso di potere. Secondo l’imputazione, Bonsu non ha reagito con violenza quando è stato fermato dagli agenti in borghese, che non si sarebbero qualificati.
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in breve Vigilanza Rai: Il Pdl fa da solo
Laboratorio. Enrico Letta: le nuove alleanze, il destino dei centristi e la scomparsa della sinistra
«La lezione del Trentino? Il Pd non è autosufficiente» colloquio con Enrico Letta di Susanna Turco
ROMA. «Casini dice che la sinistra estrema deve stare fuori da una nuova coalizione? Ha ragione, quel che serve è una alleanza tra soggetti omogenei, che siano in grado di rispettare i patti. Ma, in realtà, la questione è già stata risolta dagli elettori». Politico-feticcio per gli uddiccini che guardano a sinistra, da sempre convinto del fatto che “al centro si vince”, oggi Enrico Letta è tra i sostenitori più fervidi dell’alleanza tra Pd e Udc. Ministro ombra del Pd, impegnato nell’organizzare la conferenza nazionale sul welfare di fine novembre, è tra quelli che si sono spesi di più nel costruire prima, ed esaltare poi, il modello trentino. A Repubblica, Pier Ferdinando Casini ha detto che lo stare insieme sullo stesso palco lo ha fatto sentire “come a casa”. Stesso effetto anche per lei? È stata davvero una bella campagna elettorale, con Pier Ferdinando e Dellai. Quella sera sul palco, mentre dietro di noi campeggiava la gigantografia di De Gasperi, ci siamo sentiti tutti e tre sulle spalle il peso della responsabilità di mettere insieme la fedeltà a una tradizione con la necessità di innovare, in un mondo nel quale la gente vota le soluzioni concrete, non la tradizione. Ed è proprio questa la cosa che più mi ha colpito: la forza di Dellai nel tenere insieme i due elementi. Il modello trentino è esportabile? Pensare a un’esportazione significherebbe violentare quella realtà. Non si tratta di esportare Trento. Quello che è successo, però, ci fa fare riflessioni utili. Una delle più forti è che Dellai e Trento ci raccontano che è possibile una risposta di centrosinistra alla Lega. In che senso? Sono quindici anni che il Carroccio al Nord viaggia tra il 15 e il 30 per cento dei consensi, una cifra enorme che evidente-
mente interpreta una sensibilità non rapsodica e che è decisiva per la vittoria di Berlusconi. Bene, il nostro problema è quello di realizzare una politica che sia come un vestito fatto a mano, da cucire sul territorio, con caratteristiche diverse di volta in volta. La miglior politica democristiana, insomma. A seconda delle diverse zone del Paese, esistono diverse risposte possibili da dare. Ma non dobbiamo avere paura di questo. Serve una flessibilità territoriale, e bisogna immaginarla anche a livello più ampio, sul modello tedesco dell’accoppiata Cdu-Csu. Dobbiamo tenerne conto, perché Berlusconi ci ha fregato proprio su questo, negli anni.
“
no l’1 per cento. È un dato che si commenta da sé: vuol dire che il Pd sta ottimamente presidiando anche il lato sinistro, e chi ne resta fuori rappresenta una realtà che sul piano della politica nazionale è marginale. Tuttavia anche nel Pd si sono evidenziati livelli diversi di disponibilità a un’alleanza con l’Udc, non trova? Che ci siano sensibilità varie è naturale, però io penso che non abbiamo alternative. Non perché, come dice qualcuno tra i “frenatori”, Casini presidia il centro meglio di noi. Non è questo il punto. Qui il tema è costruire un’alleanza tra persone che siano in grado di stipulare il patto e mantenerlo. Mai più Unione? Abbiamo già visto per due volte, nel 1996 e nel 2006, cosa vuol dire allearsi con la sinistra. E ora, nel 2008, abbiamo pure sperimentato cosa può succedere con Di Pietro. Cosa? Alleandoci con l’Italia dei Valori abbiamo fatto il regalo più grosso a chi che è diventato il nostro peggior nemico. Non voglio nemmeno immaginare cosa sarebbe accaduto se fossimo stati al governo. Morale? D’ora in poi dobbiamo fare patti con chi sia omogeneo a noi e sia in grado di rispettare i patti. Come a dire, con D’Alema, che il Pd «non può essere autosufficiente». Il Pd non è autosufficiente e nessun partito in Italia lo sarà mai. Noi abbiamo bisogno, se vogliamo tornare al governo del Paese, di costruire alleanze. A partire però dalla nostra identità, che dobbiamo ancora definire davvero.
Alleandoci con l’Italia dei Valori abbiamo fatto il regalo più grosso a chi è diventato il nostro peggior nemico. Non voglio nemmeno pensare cosa sarebbe accaduto se fossimo stati al governo
E per quanto riguarda le alleanze? A Trento si è confermato che gli elettorati di Pd e Udc sono componibili, e che dalle battaglie comuni possono venire fuori convergenze ancora maggiori. Dopodiché rispetto il fatto che Casini ci vada coi piedi di piombo. Il leader Udc ha posto, si può dire, come condizione, l’avere la sinistra fuori da una «eventuale nuova coalizione». Lo capisco, ha ragione. Ma se usciamo dai nominalismi, scopriamo che l’elettorato, in realtà, sta già risolvendo questa questione. Anzi, l’ha risolta. Lei dice? A Trento, i tre candidati che si sono presentati a sinistra di Dellai hanno preso ciascu-
”
Ancora un nulla di fatto per la presidenza della commissione di Vigilanza sulla Rai. E alle viste si uno profila scontro senza precedenti tra i Poli. Con tanto di diktat del Pdl che ha dato 18 ore al Pd per cambiare candidato: «Oppure faremo da soli». Per questo i democratici terranno un vertice con il segretario Walter Veltroni, nell’intervallo di ore che intercorrerà tra questa mattina e il primo pomeriggio, vale a dire dopo la seconda votazione per la presidenza della Vigilanza e prima che ci sia la terza, quando allora occorreranno 21 e non più 24 voti per l’elezione. Dalla riunione potrebbe uscire ancora una volta la scelta di insistere su Orlando, oppure la mossa, poco probabile, di cambiare candidato.
Consumi 2009: prezzi in calo? Per il 2009 ci potrà essere una diminuzione delle bollette di luce e gas, secondo il presidente dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas Alessandro Ortis. A margine dell’audizione in Senato, Ortis ha spiegato che «in base all’attuale metodologia di aggiornamento che utilizza l’Autorità e agli andamenti attuali del petrolio, se non ci saranno più “bizze petrolifere”, è facile prevedere che nel 2009 i prezzi possano diminuire in misura significativa e progressiva, prima per l’energia elettrica e poi per il gas».
Borse mondiali ancora in rosso Ieri è stata un’altra giornata in rosso per le borse europee, al termine di una seduta contrassegnata da un andamento altalenante. Hanno inciso nella fase finale le dichiarazioni del segretario Usa al Tesoro, Henry Paulson, sull’applicazione, nelle prossime settimane, del piano anticrisi americano. Il Mibtel a Milano ha lasciato sul terreno il 2,24% a 15.834 punti. Il Ftse-100 di Londra ha chiuso a 4.182,02 punti con un calo dell’1,52%. A Francoforte il Dax ha perso il 2,96% a 4.620,80 punti; il Cac 40 di Parigi ha ceduto il 3,07% a 3.233,96 punti. A Zurigo calo dello Smi a -3,04% a 5.702,16 punti.
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Piazze. Domani Atenei nella bufera: non tutti incroceranno le braccia. La frattura con la Cgil di Epifani ormai è totale
Opa del premier sul sindacato Una cena a tre con Angeletti e Bonanni E la Cisl revoca lo sciopero per l’Università di Vincenzo Bacarani
ROMA. Ormai lo “strappo” è cosa certa. Altro che accordi separati, altro che dissensi su strategie e tattiche. Tra Cisl da una parte e Cgil dall’altra ormai volano gli stracci. Nel giro di ventiquattr’ore, le organizzazioni confederali sono riuscite a mandare all’aria un percorso - peraltro molto difficile, in alcune fasi, soprattutto negli multimi anni - di unità sindacale che proseguiva tra alti e bassi da circa 40 anni.
Martedì sera la cena a “lume di candela” tra Cisl, Uil, governo e Confindustria con la Cgil fuori dalla porta, ieri pomeriggio la revoca dello sciopero, contro la riforma dell’Università del ministro Mariastella Gelmini, previsto per domani da parte della Cisl e - quasi contemporaneamente - la proclamazione di uno sciopero generale contro il governo da parte della sola Cgil (coincidente con quello dei metalmeccanici della Fiom) per il 12 dicembre. «Abbiamo deciso la revoca dello sciopero - spiega Antonio Marsilia, segretario generale Cisl Università - perché il ministro con il documento sottoscritto si è impegnato a modificare alcuni passaggi importanti della manovra governativa sull’università e a dare risposte concrete alle richieste contenute nella piattaforma per lo sciopero del 14 novembre». Non ci vuole un esperto di storia del sindacato per capire che la rottura ufficiale tra le organizzazioni confederali è ormai questione di settimane, se non di giorni. L’ultima uscita del segretario generale della Cisl («Epifani tenta la scalata al Partito democratico») e quella del leader della Cgil («Cisl e Uil sono le mosche cocchiere del governo») hanno evidentemente lasciato il segno. «Oggi il dialogo è molto difficile – ammette Giorgio Santini, numero due della Cisl – Loro (la Cgil, ndr) esasperano tutte le forme di conflittualità. Per noi invece lo sciopero non è un fine, ma uno strumento». Secondo Santini, la Cisl sull’università non poteva scegliere
«Banchieri? Tutti a casa» Ora Tremonti fa il duro di Gianfranco Polillo segue dalla prima E di nuovo temi come, quelli dell’etica e della responsabilità, echeggiavano sotto le volte affrescate. Questa volta non venivano chiamati in causa solo i manager delle principali banche americane, ma i dirigenti stessi della Fed, il cui comportamento collusivo – secondo l’autore – rischia solo di prolungare la crisi, in uno scenario di tipo giapponese.
Solo qualche giorno prima Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’economia, aveva usato accenti simili. Criticando Alan Greespan e la sua politica lo aveva accusato di aver «esportato la sua cultura dell’irresponsabilità per le corporation, di stock option non trasparenti che favoriscono quel tipo di pessima amministrazione che ha rivestito un ruolo di primo piano in questa debacle, proprio com’è avvenuto per gli scandali Enron e Worldcom alcuni anni fa». Tira, quindi, una brutta aria per chi, in questi anni, ha dato prova di un’avidità senza ritegno. Giustificando il tutto grazie al presunto maggior valore creato per gli azionisti. Nella mente di Tremonti le parole di Stiglitz devono aver richiamato altri fatti che, a quelle vicende sono in qualche modo collegati. Il caso Cirio – chissà se sulla suo scrivania sono ancora conservati i barattoli di pomodoro? – e Parmalat. Scandali minori rispetto al dissesto americano. Tali comunque da aver lasciato più di una cicatrice. Erano quelli gli anni in cui il conflitto con Antonio Fazio, allora governatore della Banca d’Italia, era al color bianco. Era in discussione in Parlamento la legge di riforma
sulla vigilanza bancaria, che Tremonti non portò a termine, perché costretto alle dimissioni.
Sono ricordi che ritornano. Per l’establishment bancario italiano, Giulio Tremonti è stato sempre un personaggio scomodo. Non si dimentichi il lungo braccio di ferro con le Fondazioni bancarie. Battaglie non sempre vinte. Ma alla fine i fatti gli stanno dando ragione, come ebbe ragione nel caso di Fazio. Le sue ultime posizioni non devono, quindi, sorprendere. Hanno una linea di continuità. Sono coerenti con le sue enunciazioni sulle prospettive future. Dalla crisi – come ha scritto – non si uscirà con una semplice operazione di maquillage. Occorrerà intervenire sul terreno economico e finanziario. Ma soprattutto far leva su nuovi valori: quali la responsabilità, il senso del dovere, la dedizione. Valori che marcano una rottura nei paradigmi che il Novecento ha consegnato alla storia. Gli si può chiedere di barattare tutto questo con forme di indulgenza a favore degli “interessi (una volta) forti” del Paese?
La nuova crisi arriva dopo quarant’anni di difficile convivenza e stavolta le ragioni sono tutte politiche: per la Cisl «Epifani sta scalando il Pd, per questo strizza l’occhio agli estremisti» diversamente dalla revoca dello sciopero. «Se ci sono risultati concreti nella trattativa, e ci sono – dice a liberal Santini – è ovvio che va revocato lo sciopero. Da parte del ministro Gelmini c’è una serie di impegni scritti su risorse per i contratti e stabilizzazione dei precari. Perché scioperare? Solo per scioperare? No». Diversa la posizione della Uil che ha confermato la partecipazione allo sciopero pur notando «sforzi di buona volontà» da parte del ministro della Pubblica Istruzione. Allarmata da come si sta evolvendo la situazione è Valeria Fedeli, segretario generale dei tessili Cgil e uno dei punti di riferimento della componente riformista del sindacato di Epifani. «Quello che è accaduto l’altra sera – dice Fedeli – con l’incontro senza la Cgil è grave. Ora c’è quest’altro ostacolo per l’Università e c’è lo sciopero Cgil del 12 dicembre. A questo punto occorre un chiarimento».
Un chiarimento che però sembra essere lontano. Epifani usa toni da sinistra radicale accontentando così la componente massimalista del suo sindacato e – soprattutto – l’organizzazione dei metal-
meccanici Fiom di Gianni Rinaldini. Il leader Cgil ha scritto anche a Bonanni e Angeletti domandando se la cena di martedì sera c’è davvero stata. Se sì, ciò «apre un problema formale – dice Epifani - nei rapporti con le altre organizzazioni sindacali e con la Confindustria». Una metamorfosi, quella del leader della Cgil, che non può lasciare indifferenti: da pompiere con il governo Prodi (tanto da voler persino commissariare la Fiom di Rinaldini che dissentiva sulla riforma del welfare) a incendiario con il governo Berlusconi. Un cambiamento che ha accontentato addirittura Giorgio Cremaschi, leader della Rete 28 aprile e vicino a Rifondazione, che l’anno scorso chiedeva un congresso straordinario con le dimissioni del segretario generale.
Un fatto è certo: dopo la firma separata sul contratto del commercio, dopo quella sul pubblico impiego, dopo la posizione ostruzionistica sulla riforma contrattuale, dopo la rottura con le altre confederazioni sull’Università, dopo la proclamazione unilaterale di uno sciopero generale contro il governo, la Cgil è sempre più sola.
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Caos negli aeroporti, mentre la Ue approva il piano di Colaninno
Alitalia, continua il braccio di ferro di Francesco Pacifico
ROMA. Sono giornate sempre più difficili quelle che sta vivendo Augusto Fantozzi da commissario straordinario di Alitalia. Ieri l’Unione europea gli ha accollato la restituzione del prestito ponte del governo da 300 milioni, alleggerendo della cosa la Cai di Roberto Colaninno e Rocco Sabelli. Se non bastasse, il bilancio di ieri di Aquila selvaggia parla di altri 50 voli cancellati. Così salgano a quasi 300 il numero di quelli soppressi da lunedì scorso per lo sciopero bianco del personale viaggiante e di terra di Alitalia. E non è detto che oggi la situazione migliori, soprattutto se si uniranno alla protesta i dipendenti di Airone e Eurofly.
Qui sopra, i vertici sindacali: Raffaele Bonanni, Renata Polverini e Luigi Angeletti. Dalla foto è stato cancellato Guglielmo Epifani, qui accanto
Prove (timide) di unità per salvare la Tirrenia ROMA. Divisi sull’università, sul pubblico impiego e sulla riforma dei contratti, i sindacati confederali ritrovano l’unità su Tirrenia. Ex monopolista del mare che il governo vuole privatizzare e che non a caso è definita «l’Alitalia del mare». Che la compagnia diventerà il prossimo teatro di scontro tra governo e sindacati si sa da tempo. Ma ieri le sigle hanno mandato un chiaro monito a Palazzo Chigi. I segretari generali di Filt-Cgil, Franco Nasso, di Fit-Cisl, Claudio Claudiani e di Uiltrasporti, Giuseppe Caronia, hanno scritto una lettera al presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, e al ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, per chiedere di essere coinvolti nella privatizzazione della compagnia. Per i leader di categoria il processo di privatizzazione «non deve subire strumentali accelerazioni ma che deve svolgersi all’interno del percorso concordato e nel pieno rispetto di chiare e condivise regole, a partire dalle clausole sociali a tutela dei lavoratori». Il rischio è «far morire la nostra flotta di bandiera per pochi spiccioli». Dai loro calcoli alla compagnia servirebbero meno di 200 milioni di euro per i prossimi due anni. Soldi utili «per sopravvivere e per creare le giuste condizioni per la privatizzazione».
Alla Magliana stanno già facendo i conti e si teme che – tra aerei cancellati, costi per il riposizionamento su altri voli dei passeggeri e ricevute degli alberghi dove sono stati ospitati i viaggiatori rimasti a terra – la compagnia di bandiera debba sborsare fino a qualche milione di euro. Un problema non da poco per il commissario Augusto Fantozzi, che con una liquidità di cassa inferiore ai 200 milioni di euro dovrà pagare da dicembre le liquidazioni dei dipendenti in esubero – almeno 3mila – e che ieri ha visto confermare da Bruxelles i rumors di questi giorni sul prestito ponte. In attesa la precettazione del governo porti alle prime sanzioni, dalla Magliana hanno comunicato che il commissario ha dato mandato ai suoi avvocati per intraprende le vie legali contro ignoti a causa delle pesanti difficoltà e dei gravi danni subit in questi giorni. Una scelta obbligata anche per tutelare la compagnia dal rischio di richieste di risarcimenti. Comunque la scelta di Bruxelles è un passo non da poco per la cordata guidata da Colaninno, che aveva condizionato l’offerta per Alitalia «a una decisione non pregiudizievole per l’acquirente da parte della Commissione Europea». Sulla carta mancano ancora garanzie dall’Antitrust di non censurare il monopolio che si sta profilando sulla tratta Linate-Fiumicino e – ma è questione quasi risolta – la definizione del contratto per il personale navigante e di terra. Così già dalla prossima settimana la Cai dovrebbe iniziare ad assumere i suoi dipendenti per essere operativa dal primo dicembre. In attesa di quella data i soci della cordata tirano un sospiro di sollievo di fronte alla decisione dell’Europa. Come si vociferava da gior-
ni, Bruxelles ha riconosciuto illegittimo il prestito da 300 milioni concesso alla Magliana dal governo Prodi, ma ha previsto che a risarcirlo sarà la Bad company e non la nuova compagnia di bandiera. Fantozzi dovrà recuperare il denaro necessario vendendo a prezzi di mercato gli attivi – al riguardo è attesa a breve la perizia curata dagli advisor Rotschild e Leonardo – in un’operazione che dovrà essere sorvegliata da un “monitoring trustee” (un consulente terzo) da convocare entro due giorni e con l’obbligo di pubblicare un rapporto entro 15 giorni. Questo perché la direzione Trasporti non ha intravisto alcuna continuità tra le due società. Proprio questa considerazione ha spinto la Ue ad autorizzare il piano industriale presentato da Sabelli e Colaninno. Il commissario europeo ai Trasporti, Antonio Tajani, si è detto soddisfatto per la celerità delle decisioni prese da Bruxelles. «Non ci sono stati aiuti da parte nostra», ha spiegato, «abbiamo lavorato con giustizia nel rispetto delle regole, senza accanimento, ma senza favoritismi». Per concludere: «Abbiamo dato un contributo per la crescita del trasporto aereo guardando al futuro».
In realtà la vicenda si chiude con un piccolo giallo. In risposta ai sindacati che chiedevano lumi sugli slot,Tajani ha fatto sapere: «Vendere gli attivi di Alitalia senza gli slot era impossibile senza compromettere la necessaria discontinuità tra la vecchia e la nuova compagnia aerea». Come si sa, gli slot non vengono venduti ma assegnati, così c’è chi ha visto nelle parole del commissario quanto meno un errore freudiano, perché all’interno della Ue si sta rafforzando l’ipotesi di patrimonializzare i diritti di volo. E la cosa, se si farà, finirà per agevolare gli attuali detentori. Un rafforzamento dello status quo che non può che aiutare Cai. Così lo stallo maggiore per la futura compagnia resta la pax sindacale. Ieri ci sono state nuove polemiche e tanti disagi. Soprattutto il fronte degli autonomi sembra non poter (o non voler) controllare la situazione. Non a caso Fabio Berti, leader dell’Anpac, ha sottolineato: «Non c’è nessuno sciopero bianco, il nostro non è sciopero bianco». E il clima potrebbe diventare più arroventato se sulle barricate saliranno anche i dipendenti di Airone. «Il progetto Cai», hanno scritto in una lettera al patron Carlo Toto, «è precario e la decisione di fondersi con l’ex Alitalia una sconfitta».
Sarà il commissario Fantozzi a dover restituire i 300 milioni garantiti al vettore. Un duro colpo per la Bad company che teme ingenti danni per le ultime proteste di Aquila selvaggia
panorama
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Ricerca. Gli enti italiani hanno rischiato di chiudere i battenti con il decreto del governo
Tagli, Il Cnr salvo per un soffio di Riccardo Paradisi
ROMA. Se la sono vista brutta gli enti di ricerca italiani nelle settimane tra l’annuncio dei tagli del governo su università e ricerca e il parziale dietrofront di venerdì scorso, quando il ministro Mariastella Gelmini è uscita dal Consiglio dei ministri annunciando maglie più larghe per il turn over dei ricercatori. Nel ddl approvato dal Consiglio dei ministri infatti gli enti vengono esclusi dalla riduzione del dieci per cento della pianta organica. Una notizia che ha fatto tirare un sospiro di sollievo a Cnr, Istituto Superiore di Sanità e Istituto nazionale
IL PROVINCIALE di Giancristiano Desiderio
di fisica che hanno rischiato la chiusura.
Ta n t o p i ù a ss u r d a se si pensa che il confronto tra la situazione degli enti di ricerca italiani e quelli europei per quanto riguarda la percentuale di finanziamento dal Fondo ordinario è a tutto
di ricerca compatibile con i conti in rosso del governo. «Con gli ultimi provvedimenti legislativi, dovremmo riuscire a portare a termine il piano di assunzioni già programmato per il 2008 e 2009 – dice a liberal il professor Luciano Maiani, presidente del Consiglio Nazionale delle Ri-
Il basso numero dei ricercatori comporta una diminuzione della competitività e una diminuzione di attrazione dei fondi europei svantaggio di quelli del nostro Paese. Il Cnr per esempio si attesta intorno al 51% rispetto al 63% del Cea, al 73% del Cnrs francese e all’82% del Max Planck tedesco. Ora però nei centri italiani di ricerca si può tornare a guardare al futuro con più fiducia e ottimismo tanto più che sono in corso delle trattative tra i rappresentanti degli enti e il ministro della Pubblica amministrazione Renato Brunetta per immaginare un piano per lo sviluppo del comparto
cerche – Quello che ora chiediamo però è un piano di crescita dal 2010, che porti la popolazione dei ricercatori italiani a livelli europei, riducendo il problema dei precari non attraverso le stabilizzazioni ma con concorsi basati sulla meritocrazia, consentendo un ricambio generazionale». Del resto in un Paese dove i ricercatori sono troppo pochi sarebbe assurdo non rimuovere i vincoli al loro reclutamento. Anche perché il basso nume-
ro di ricercatori e degli addetti del settore (in Italia il 3,3 per 1.000 rispetto alla media europea del 6, a quella degli Usa del 9 e a quella del Giappone del 12) comporta una diminuzione della competitività italiana e una diminuzione nella capacità di attrattiva delle risorse comunitarie. Per intendersi nel VI Programma Quadro, l’Italia ha avuto un ritorno di circa il 9%, rispetto ad un contributo alla Comunità europea del 14%. Per avvicinarci al giusto ritorno dei nostri investimenti in Europa e non finanziare le ricerche dei nostri partner, come paradossalmente accade, occorre dunque rilanciare il reclutamento di ricercatori.
Ma come farlo mantenendo fissi i vincoli finanziari? «Consentendoci di programmare l’acquisizione annuale delle nuove risorse umane – spiega Maiani – adottando per esempio una norma che preveda per 2008 e 2009 nuove assunzioni, entro il limite delle risorse finanziarie derivanti dai pensionamenti».
Un libro sulla nascita del Pc: spie, tradimenti e ricatti. Una storia italiana, insomma
Gramsci, la prima vittima dei comunisti he cosa strana: proprio ieri scrivevo di Gramsci e della sua idea di scuola e mentre scrivevo è giunto sulla mia scrivania il libro di Giancarlo Lehner pubblicato da Mondadori: La famiglia Gramsci in Russia. Ho cominciato a leggere di malavoglia, non mi sono più staccato dalla lettura. Perché queste pagine parlano di noi.
C
Tradito, ingannato, abbandonato, censurato, manipolato, sfruttato. La storia di Antonio Gramsci è di una tristezza infinita. È nota, ma solo in parte. Fu arrestato dalla polizia di Mussolini e in seguito agli stenti nelle carceri fasciste morì, ma a condannarlo davvero fu lo stalinismo del suo “amico” Togliatti. In quella cella del carcere di Turi c’è molta storia d’Italia che riguarda fascismo, comunismo e democrazia. Dalla cella del carcere del paese pugliese, il 27 febbraio 1933 Gramsci scrive questa lettera espunta dall’edizione Einaudi del 1947: «In tutti questi anni ho sempre pensato a certi fatti (nel caso specifico alla serie di fatti che possono simbolicamente riassumersi nella famosa lettera di cui mi parlò il giudice istruttore di Milano)… io sono stato condannato il 4 giugno 1928 dal Tribunale Speciale, cioè da un collegio di uomini determi-
nato… Ma questo è un errore. Chi mi ha condannato è un organismo molto più vasto, di cui il Tribunale Speciale non è stato che l’indicazione esterna e materiale, che ha compilato l’atto legale di condanna. Devo dire che tra questi “condannatori” c’è stata anche Julca, credo, anzi sono fermamente inconpersuaso, sciamente, e c’è una serie di altre persone meno inconsce». Il fondatore del Partito comunista conosceva molto bene i “condannatori meno inconsci”: Togliatti e Stalin.
Giancarlo Lehner è un esperto di quella materia che lui stesso definisce “stalinotogliattiana” e riesce a fare una convincente ricostruzione dei fatti che portarono all’arresto, alla prigionia, alla morte, alla manipolazione, allo sfruttamento post mortem di Gramsci e dei suoi eredi. Il libro pubblica per la prima volta i diari inediti
di Margarita e Olga Gramsci, nuora e nipote del pensatore sardo. Scrive Margarita: «Nelle prigioni sovietiche era reclusa una spia che il governo italiano sarebbe stato disposto a scambiare con mio suocero. L’operazione non fu condotta in porto: per i servizi segreti sovietici e per la macchina della propaganda comunista era molto più conveniente che Antonio seguitasse a restare in prigione in Italia». Le nostre orecchie sono state abituate a sentire la coppia Gramsci-Togliatti ricalcata sull’altra Lenin-Stalin ricalcata sulla originaria Marx-Engels. Ma quella coppia va divisa perché tra Antonio e Palmiro non c’è continuità ma rottura e contrapposizione. Gramsci fu antistalinista, Togliatti stalinista. La coppia Gramsci-Togliatti risponde alla diabolica costruzione di Togliatti che tradisce Gramsci, lo isola, lo scavalca, lo
inganna, lo consegna alla polizia fascista, lo lascia marcire in carcere fino alla morte, per poi impossessarsi della sua opera letteraria e filosofica che manipola al fine dello sfruttamento propagandistico e perfino economico. «I Quaderni di G - scrive il compagno Ercoli alla vedova di Gramsci che io ho già quasi tutti accuratamente studiato contengono materiali che possono essere utilizzati solo dopo un’accurata elaborazione. Senza tale trattamento, il materiale non può essere utilizzato e anzi alcune parti, se fossero utilizzate nella forma in cui si trovano attualmente, potrebbero essere non utili al partito». Giulia descrive Togliatti come «una persona a doppia faccia che non merita fiducia».
Nella tristissima storia di Antonio Gramsci c’è la costruzione togliattina dello stalinismo italiano. Le tante contraddizioni sul tradimento, l’arresto, la prigionia e la morte di Gramsci iniziano a venire alla luce solo dopo la morte di Togliatti. Fino a quando Il Migliore è in vita e al potere, e al potere con Stalin, non si sente una mosca perché si ha paura di Mosca e dello stalinismo. Quando Togliatti muore, la verità comincia lentamente a farsi strada e la figura del Migliore si rivela come il traditore di Gramsci.
panorama
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Sigle. I democratici discutono se iscriversi al gruppo Pse a Strasburgo o a quello misto: deciderà una commissione ad hoc
Socialisti o no? La crisi europea del Pd di Antonio Funiciello
ROMA. Ormai è come il «ricor-
20, ma bisogna rappresentare almeno un quinto degli stati membri. Da soli al massimo si finisce nella nebbia fitta del gruppo misto, soluzione che nessuna contempla nel Pd neoobamiano, alla ricerca fuori confine di quelle luci della ribalta che in patria, malgrado Trento, continuano a non splendere.
dati che devi morire» del film di Troisi e Benigni. «Non moriremo socialisti», proclamano a turno gli ex democristiani del Pd. «Non moriremo democristiani» rispondono i compagni di partito ex comunisti. In verità, la straordinaria longevità politica dell’attuale gruppo dirigente del Pd fa presagire scenari trascendentali piuttosto che politici in senso stretto. Più che non morire democristiani o socialisti, sembra nascondere infatti il fermo proposito di non morire e basta.
Con l’approssimarsi del voto europeo si riaccende la polemica intorno alla collocazione internazionale del Pd. Collocazione internazionale è una locuzione fasulla, utilizzata strumentalmente per estendere a improbabili confini planetari un classico problemuccio da vecchia Europa. E cioè: a quale gruppo parlamentare di Strasburgo s’iscriveranno gli eletti del Pd? C’è da scommettere che i toni della più autoreferenziale delle polemiche interne al Pd diventeranno, con l’anno nuovo, ancora più
Fioroni ha già posto il suo veto: la soluzione spetta a Veltroni che pensa alla libertà di scelta. Ma la discussione interessa solo gli apparati aspri. Veltroni, per il momento, non ne vuole sentir parlare. Per quanto dovrà essere proprio lui a indicare una via d’uscita, nel recente bailamme montato sul monito di Fioroni «Mai nel Pse!», non ha messo bocca. Anche perché l’ipotesi avanzata da
Fioroni di aprire in Europa «una nuova casa» per il Pd italiano è difficile da commentare poiché impossibile da realizzare. Il regolamento di Strasburgo vieta agli eletti di un solo paese di costituirsi in gruppo autonomo: non solo tocca essere almeno in
Altre ipotesi in discussione sono quelle specularmente avanzate dagli ex democristiani e dagli ex comunisti. I primi sollecitano un ingresso di tutti gli eletti del Pd nell’Alde, gruppo parlamentare centrista, con statuto politico speciale per coloro che prima sedevano nel gruppo socialista. I quali, a loro volta, invitano gli amici della vecchia Margherita ad entrare nel Pse, promettendo loro esattamente lo stesso trattamento. Altra exit strategy, alla quale pare che il segretario democratico lavori insieme ai suoi sodali, è quella di lasciare libertà di coscienza ai futuri eletti, vincolando però il loro ingresso nell’Alde o nel Pse ad un impegno solenne a chiudere, entro la prossima legislatura, coi vecchi gruppi e
costruire una nuova casa comune per tutti i democratici e i socialisti europei. Ipotesi che se sta molto a cuore a Veltroni, è avversata apertamente dall’attuale capogruppo socialista Schultz, dal presidente del Pse Rasmussen e dal presidente l’Internazionale socialista Papandreou, che a chiudere baracca non ci pensano proprio. Un palliativo di cui, infine, si discute sarebbe quello di costruire le liste per le europee con capilista di prim’ordine (D’Alema, Fassino, etc.) e un gran numero di indipendenti che giurino fedeltà alla causa democratica, tenendosi fuori dalle logiche dei tradizionali apparentamenti. Il problemuccio è, insomma, parecchio lontano dall’essere risolto. Ma se sulle soluzioni exdiessini ed ex-margheritini divergono, cominciano ad essere d’accordo sul metodo. Nella prossima direzione del partito un fronte trasversale potrebbe chiedere la costituzione di una commissione ad hoc per discutere della sedicente collocazione internazionale. E una commissione, si sa, non si nega a nessuno.
Crediti. Le difficoltà di BancaIntesa, un colosso sempre meno “torinese”
Passera e Modiano a singolar tenzone di Bruno Babando
TORINO. Sotto la Mole lo chiamano il “Codice daVinti”. È il 1025: quel numeretto che da sempre contraddistingueva il Sanpaolo, e che dall’agosto del 2006 è andato definitivamente in archivio, sostituito dal codice di BancaIntesa, dopo l’acquisto, ad opera di quest’ultima, dell’istituto di credito subalpino. Una fusione“per incorporazione”, quella tra le due banche, nata nella calura estiva, e subito vissuta dai torinesi come la svendita di uno dei patrimoni cittadini. D’altra parte, che le cose non fossero così favorevoli per i torinesi era già chiaro dal valore del cosiddetto concambio, cioè dall’entità delle azioni riconosciute all’istituto di piazza San Carlo.
dente del Consiglio di gestione – l’integrazione tra le due strutture si è rivelata, alla luce dei fatti, assai più complessa. Il fiore all’occhiello dei torinesi (e cioè il modello della cosiddetta “banca dei territori”) ha mostrato più di una difficoltà, in quanto i proventi operativi di questa divisione nei primi mesi dell’anno sono calati del 2 per cento.
che sono oggi puntati tutti gli occhi, per capire quanto con il suo peso specifico (essendo il primo azionista con il 14,5% delle quote del gruppo) riuscirà a difendere gli interessi della metropoli piemontese. Come è noto, infatti, la sua candidatura è stata osteggiata dai maggiorenti di provata fede agnellesca, tanto è vero che il suo predecessore, Franzo Grande Stevens, aveva proposto Gustavo Zagrebelsky, ex presidente emerito della Corte Costituzionale e già tra i papabili per il Quirinale. Una candidatura che avrebbe in qualche modo garantito gli equilibri di potere in città, e che secondo alcune fonti autorevoli sarebbe stata la polizza assicurativa per i problemi post-olimpici di Torino. Ma le divergenze di questi giorni riguardano anche il dilemma se ricorrere al salvagente governativo oppure sdegnosamente rifiutare tale aiuto. La sensazione dei torinesi è che le rassicurazioni del sindaco Chiamparino – è meglio avere in mano la golden share in una grande impresa di dimensioni internazionali piuttosto che possedere per intero una banca poco più che regionale – sarebbero smentite dalla crisi della finanza mondiale, dal crollo dei supergruppi bancari e dall’assenza di un istituto di credito locale.
In città tutti lamentano l’assenza di un istituto locale. E la «golden share» in mano alla città di fatto è svanita in seguito alla crisi dei mercati
Sempre in riva al Po, lo scontro di questi giorni tra l’amministratore delegato del gruppo, Corrado Passera, e il direttore generale Pietro Modiano non viene letto soltanto come la singolar tenzone tra la finanza di tradizione tremontiana (Passera) e quella di derivazione diessina (incarnata da Modiano), ma anche e soprattutto come la riproposizione del sempiterno confronto/conflitto tra le due città fatalmente cugine: Torino e Milano. Se per tacitare i rancori subalpini è stata inventata la governance duale – piazzando Giovanni Bazoli alla presidenza del Consiglio di sorveglianza e ritagliando per Enrico Salza il ruolo di presi-
Sebbene a difendere Modiano siano scesi in campo due big quali il sindaco di Torino Sergio Chiamparino e la presidente della Regione Piemonte Mercedes Bresso, gli strappi interni non sembra possano essere ricuciti dalla promessa, sempre più aleatoria e quotidianamente rimessa in discussione, della costruzione del grattacielo in città. Peraltro, anche sulla grande opera a firma di Renzo Piano si sta facendo sempre più insistente il chiacchiericcio.
Testimonianza dalla forte valenza simbolica dello scontro è la constatazione che perfino Filippo Vecchio, portavoce del presidente Salza, abbia trasmigrato dalla banca alla Compagnia di San Paolo. Ed è proprio sulla Compagnia e sul suo neo presidente Angelo Benessia
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La conferenza episcopale europea attacca gli stili di vita troppo focalizzati sul consumo sprop la Chiesa in prima linea nella battaglia sulle questioni ambientali. Un impegno comun
I vescovi europei contro il Pubblichiamo l’introduzione di “A Christian View on Climate Change”, il rapporto curato dalla Conferenza dei vescovi europei (Comece) sulle implicazioni dei cambiamenti climatici nello stile di vita del Vecchio Continente. cambiamenti climatici pongono una crescente minaccia al benessere dell’umanità sia per la generazione attuale che per quelle future. In effetti, è diventata una questione di sopravvivenza per una larga parte del genere umano. La comunità scientifica è profondamente convinta che i progressivi cambiamenti siano causati principalmente dalla crescita di emissioni di gas serra e dal consumo eccessivo delle risorse naturali, a seguito dello stile di vita delle società industriali, dei sistemi sociali ed economici che sottostanno a questi stili di vita e della crescente pressione che questo mette sulle persone e sulle risorse del mondo in via di sviluppo. Per la maggior parte della storia umana c’è stata una tacita accettazione della necessità di sfruttare il nostro ambiente per creare un mondo che soddisfacesse le nostre esigenze di cibo, riparo, trasporto e tecnologia, ma quest’ultima, ormai, ci ha messi in grado di dominare la natura.
I
Dobbiamo riconoscere che stili di vita insostenibili e di intensivo sfruttamento delle risorse naturali, tipici del mondo industrializzato, non possono essere a disposizione di tutti gli abitanti del mondo, e che pregiudicano la capacità della Terra di sostentare chi verrà dopo di noi. Indipendentemente dal fatto che il prezzo del petrolio abbia toccato il suo apice o meno, la capacità di assorbimento dell’atmosfera dei gas serra raggiungerà presto il suo limite, e sarà necessario intervenire a tutti i livelli. Se non cominciamo ora a ridurre seriamente le emissioni, più avanti i costi della mitigazione e dell’adattamento cresceranno drammaticamente, e alcuni dei danni come l’estinzione delle specie naturali - sarà irreversibile. Il cambiamento del clima costituisce un problema di giustizia per tutto il Creato, e pone - soprattutto - una questione di giustizia intra e intergenerazionale. Fa parte della fede cristiana ritenere che il mondo sia una testimonianza della bontà, della bellezza e della potenza di Dio, e che abbiamo la responsabilità di conservarlo. Ogni minaccia causata dall’azio-
ne umana al funzionamento del nostro fragile pianeta è dunque un ripudio delle nostre responsabilità etiche fondamentali, e un pericolo per la tela della vita alla quale siamo tutti intimamente collegati. In seguito alle precedenti pubblicazioni sulla conservazione del Creato, Papa Giovanni Paolo II, in particolare, dedicò il suo messaggio di pace del 1990 – per esempio – alla responsabilità nei confronti del Creato. Nella sua Lettera Apostolica Ecclesia in America, pubblicata nel 1999, elencò, tra “i peccati sociali che fanno piangere il Paradiso”, l’irrazionale distruzione della natura e specialmente l’incontrollata emissione di gas serra e la distruzione sistematica della foresta equatoriale.
Benedetto XVI, nella sua lettera di settembre 2007, ha specificamente messo in rilievo che «La preservazione dell’ambiente, la promozione di uno sviluppo sostenibile e la particolare attenzione ai cambiamenti climatici sono questioni di seria preoccupazione per l’intera umanità. Nessuna nazione, nessun dominio economico può evitare la consapevolezza delle implicazioni etiche legate a tutto lo sviluppo economico e sociale». Durante la cerimonia di benvenuto per la Giornata Mondiale della Gioventù il 17 luglio 2008, Benedetto XVI ha sottolineato che «la meraviglia della Creazione di Dio ci ricorda la necessità di proteggere l’ambiente e di esercitare la tutela responsabile dei beni della Terra», e l’esigenza «di riflettere sul tipo di mondo che stiamo consegnando alle generazioni future». A questo riguardo, ci si può riferire anche al Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa tracciato dal Consiglio Pontificio per la Pace e la Giustizia, pubblicato nel 2004. In questo documento l’intero capitolo 10 è dedicato ai problemi ambientali, e – sotto il paragrafo 470 in relazione ai cambiamenti climatici – è specificato che: «Il clima è un bene che deve essere protetto, e va ribadito agli utenti e a chi è coinvolto in attività industriali di sviluppare un maggior senso di responsabilità nel loro comportamento». Varie conferenze episcopali hanno guardato, nel recente passato, al problema dei cambiamenti climatici, e hanno prodotto documenti che affrontano generalmente il problema della responsabilità per l’ambiente. In particolare la Conferenza episcopale degli Stati Uniti, con un docu-
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Per la maggior parte della storia umana, c’è stata una tacita accettazione della necessità di sfruttare il nostro ambiente per creare un mondo che soddisfacesse le nostre esigenze
mento del 2001 sul “Cambiamento Climatico Globale”, e la Conferenza episcopale tedesca con un lungo, edotto documento intitolato “Cambiamento climatico: l’occhio sulla giustizia globale, intergenerazionale ed ecologica”, del 2006 (e una seconda edizione nel 2007). Anche altre conferenze episcopali stanno lavorando su documenti simili, o hanno organizzato seminari di studio sulla materia. In termini ecumenici, oltre ad affermarla, questa responsabilità per il Creato “dovrebbe essere vista e promossa come una parte della vita della Chiesa a tutti i livelli”. Il Consiglio Mondiale delle Chiese ha anche annunciato un “Programma sul Cambiamento Climatico”, e, a livello europeo, le tre Assemblee Europee Ecumeniche tenutesi finora (Basilea nel 1989, Graz nel 1997 e Sibiu nel 2007), hanno po-
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sto particolare enfasi su uno stile di vita cristiano“che ribalti il nostro contributo ai cambiamenti climatici”, come citato nella raccomandazione numero 10 di Sibiu. Comunque, la questione va oltre il clima: è semplicemente un sintomo visibile della non sostenibilità del nostro stile d vita. Affrontare la sfida del cambiamento climatico deve perciò essere visto nel contesto della sostenibilità in un mondo giusto, che offra un eguale senso di benessere alle persone di tutto il mondo e a tutte le generazioni.
È vero che alcune persone nella Chiesa lamentano il fatto che la responsabilità umana per il surriscaldamento globale sia stata esagerata, e sono dell’opinione che le variazioni naturali del clima siano sempre esistite. Mettono in rilievo soprattutto che mol-
ti ambientalisti ritengono il numero di abitanti sulla Terra la più grande minaccia all’ambiente, e per questo raccomandano l’uso di contraccettivi per ridurre la popolazione, subordinando dunque lo sviluppo dell’umanità ad una natura parzialmente idealizzata. In contrapposizione a questo, deve essere assodato che gli importanti studi internazionali sul cambiamento climatico e sulle sue cause sono generalmente accettati come seri lavori scientifici. Stiamo davvero affrontando una delle grandi sfide etiche dell’umanità, anche come testimoni cristiani. Nel suo incontro con il clero il 6 agosto 2008 a Bressanone, il Santo Padre ha detto con certezza: “Ritengo che dobbiamo cercare con ogni mezzo che abbiamo di esprimere la fede in pubblico, specialmente dove c’è giù una sensibilità per essa. Credo che la sensazione che molte persone provano oggi, di un mondo che si sta dileguando perché noi stessi lo stiamo portando a questo, e il senso di oppressione per i problemi dell’ambiente, ci offrano una giusta occasione
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porzionato di energia e traccia la strada per portare ne con le altre religioni e con l’intera società
global warming non solo alla vita privata degli individui, ma anche alle comunità e alle strutture economiche all’interno delle quali la vita dei cristiani si svolge, per cui non è più abbastanza fare dichiarazioni teoriche sul problema dell’ambiente; abbiamo bisogno di testimoni della vita cristiana credibili, quindi è necessaria una conversione ecologica.
in cui la nostra fede può parlare pubblicamente e presentarsi come una proposta positiva”. Le crisi ecologiche creano un contesto nuovo per le questioni preminenti di pace e giustizia su scala globale; nuove forme di povertà e di conflitti sociali e politici si sono sviluppati. La Chiesa deve rispondere a questo ed entrare in un nuovo dialogo globale con la società, e - a questo riguardo, il contributo delle religioni e delle chiese alla pace è sollecitato anche e sempre più fortemente sotto il profilo meramente laico. I cristiani hanno un grande potenziale per introdurre il potere liberatorio della fede in questo dialogo, visto che non si tratta solo di trovare soluzioni tecnologiche, ma piuttosto di raggiungere una comprensione fondamentale di cosa dia senso alla vita umana e quali valori dovrebbero guidare le nostre vite. Una simile consapevolezza produrrebbe anche stili di vita sostenibili, per cui la responsabilità può essere assunta nei confronti dell’umanità odierna e delle generazioni future. Il concetto di stile di vita si riferisce
«Fa parte della fede cristiana ritenere che il mondo sia una testimonianza della bontà, della bellezza e della potenza di Dio, e che abbiamo la responsabilità di conservarlo. Ogni minaccia causata dall’azione umana al funzionamento del nostro fragile pianeta è dunque un ripudio delle nostre responsabilità etiche fondamentali, e un pericolo per la tela della vita alla quale siamo tutti intimamente collegati»
I cristiani dovranno differenziare se stessi dallo stile di vita predominante nei nostri Paesi, che è troppo esclusivamente focalizzato sul consumo, e soprattutto su un consumo sproporzionato di energia. Attraverso la sua pubblicità, il mondo degli affari trasmette il messaggio che possedere e consumare quanti più beni possibile è la strada per la felicità individuale, mentre esaltare le rinunce e la vita semplice sembra avere poca risonanza. Per questo è necessario dimostrare l’essenza di una genuina qualità di vita, e che la predicazione cristiana è dunque legata al desiderio di gioia e felicità. Raggiungiamo la felicità principalmente attraverso i buoni rapporti con gli altri esseri umani, con il Creato e con il nostro Dio, il Creatore e il Redentore, l’artefice di tutte le cose buone. Abbiamo bisogno di una visione più ampia della vita umana, così da non essere sedotti dal perseguimento di interessi egoistici, e abbiamo bisogno di un modo nuovo di usare il nostro tempo. Per esempio, abbiamo bisogno di ricominciare ad acculturarci. La domenica, come gli altri giorni della settimana, abbiamo bisogno di riscoprire la tranquillità che permette alle nostre anime di “recuperare”, una cerimonia nella forma di un incontro con la bellezza, con le cose che vanno oltre gli orizzonti quotidiani, e infine con Dio stesso in vari modi. Abbiamo bisogno anche di un rapporto responsabile con gli spazi in cui viviamo; per esempio, dobbiamo riconsiderare la nostra mobilità, che, senza dubbio, comporta alti livelli di consumo dell’energia. La Santa Sede ha pubblicato documenti molto importanti sulla responsabilità per l’ambiente e su varie sfide sociali del nostro tempo, per i quali le siamo grati. Il Vaticano, inoltre, è serio riguardo il suo sostegno ad azioni pratiche appropriate. Per esempio, è stato recentemente annunciato che l’ampio soffitto della sala Paolo VI sarà munito di impianti ad energia solare, ma sa-
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l cambiamenti del clima costituiscono un problema di giustizia per tutto il Creato e pongono soprattutto una questione di giustizia intra e intergenerazionale
rebbe un segnale importante per tutti i cristiani e per il mondo anche se la Convenzione delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico e il Protocollo di Kyoto fossero ratificati dalla Santa Sede, o almeno se una importante enciclica sulle questioni ambientali potesse stimolare la buona pratica delle parrocchie come esempio per gli altri. La Chiesa dovrebbe inoltre essere in prima linea nell’investire i suoi fondi in progetti etici e sostenibili, e nello sviluppo del concetto di responsabilità sociale per le attività economiche delle aziende. Ci sono importanti documenti provenienti dalle singole Conferenze episcopali – e da singole diocesi e ordini – che rispettano le esigenze della gestione delle proprietà e degli immobili della Chiesa per una appropriata organizzazione ecologica dei grandi eventi ecclesiastici, e per raggiungere un ecoequilibrio delle parrocchie. Le comunità monastiche ed ecclesiastiche, in particolare, hanno, sia storicamente che oggigiorno, sviluppato modelli di rapporto sostenibile con l’ambiente. Allo stesso modo,“la giornata della responsabilità per il Creato”, introdotta da molte conferenze episcopali e comunità ecclesiastiche
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(o un periodo di responsabilità per l’ambiente che vada dal primo settembre fino alla festa di S. Francesco o al giorno del Ringraziamento), può offrire un’occasione per esprimere la responsabilità rispettosa dei cambiamenti climatici in istituti scolastici e per progetti concreti. Perciò, la cosa essenziale è adattare la tradizione cristiana della vita semplice, umile - oltre ad una formazione cosciente della vita - alle circostanze attuali. Nella nostra epoca, la brama di una vita alimentata da forze spirituali sta crescendo in molte persone. Come cristiani, dovremmo essere coscienti che siamo chiamati a testimoniare la speranza che ci riempie, una speranza basata su Cristo, perché ogni cosa è creata da Lui e trova in Lui la sua perfezione. La responsabilità ecologica si adatta a questa speranza; essa perciò costituisce un elemento essenziale della fede cristiana riferita alla Creazione e alla redenzione, e - anche nel contesto ecumenico - la responsabilità ambientale è un argomento condiviso da tutti i cristiani. In effetti, esso costituisce un’area in cui un impegno comune con le altre religioni e con la società intera diventa possibile.
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Scenari. L’atteggiamento della Spagna di Zapatero è l’ultimo sintomo di una crescente voglia di fuga degli alleati europei
Afghanistan, ultima frontiera Il Paese non può essere lasciato a se stesso È in gioco anche la sopravvivenza della Nato di Stranamore u un punto non vi sono dubbi: l’Afghanistan non può essere abbandonato a se stesso, anche se la voglia di fuga è crescente tra molti alleati europei della Nato, i quali devono fare i conti con una missione, Isaf, molto difficile, impegnativa, costosa e rischiosa, che le opinioni pubbliche nazionali conoscono poco e condividono/sostengono ancor meno. Ne è una riprova l’atteggiamento della Spagna all’indomani della uccisione di due dei suoi soldati, tra l’altro impegnati nel settore occidentale che rientra nella giurisdizione del comando italiano. L’attacco suicida è stato sufficiente per far vacillare la fermezza (?) del governo Zapatero. Ma non è certamente solo Madrid ad avere seri problemi a proseguire un impegno che anzi la Nato sta chiedendo di accrescere a tutti i partners. E, obtorto collo, per ora le risposte ottenute sono soddisfacenti. Il che è positivo, perché i piani di Isaf prevedono di mantenere l’iniziativa a tutti i costi, continuando le operazioni anche durante la stagione invernale, quest’anno arrivata in ritardo, senza con-
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cedere pause alla guerriglia. Questo approfittando del migliore equipaggiamento, logistica ed addestramento di cui dispongono le truppe Nato.
sando di aumentare il numero di velivoli senza pilota Predator A, non appena i nuovi Predator B cominceranno ad essere consegnati e schierati in Italia.
Perché la Nato non ci sta affatto a lasciare al nemico la capacità di decidere dove, quando e in che termini dare battaglia. Ed ora quelle forze e i mezzi che i comandati sul terreno avevano chiesto nel 2007 e nel 2008 stanno arrivando. L’Italia ad esempio sta attuando quanto ha promesso, una “rimodulazione” della struttura e composizione del contingente che, senza ampliare di molto la consistenza delle forze, consente però, ritirando soldati e mezzi da Kabul, di mettere in campo un secondo battle group nella regione di Herat, portando a livello di Brigata la forza organica del contingente impegnato in quella che è ormai diventato un fronte se non caldo… almeno tiepido. E l’arrivo dei cacciabombardieri ricognitori Tornado viene incontro alle esigenze dei comandi Nato relative ad un potenziamento delle capacità di ricognizione, sorveglianza ed intelligence. La Difesa sta anche pen-
Non ha molto senso parlare di “cambiare lo scopo della missione”, basta leggersi chiaramente quale è il mandato assegnato dall’Onu e quello di Isaf. Un mandato che continua ad ampliarsi: ad esempio Isaf comincerà anche a condurre una guerra “intelligente” al narcotraffico, senza colpire l’anello debole, i contadini, ma concentrandosi sugli obiettivi più paganti, sulle raffinerei, i traffici ed i trafficanti. Una svolta sofferta e non senza contrasti, ma che rientra in un generale “cambio di marcia”e di politica nei confronti dell’Afghanistan. La Germania dal canto suo l’ennesima volta ha ribadito di non aver alcuna intenzione di inviare le proprie truppe a sud, dove l’Isaf è impegnata in missioni di combattimento. Peraltro Berlino, con discrezione, pur mantenendo il suo contingente a nord lo sta potenziando con un migliaio di soldati e inoltre mette in campo una agguerrita componente di forze
Petraeus vuole replicare in Afghanistan quanto ha realizzato in Iraq: la famosa “surge” (il potenziamento temporaneo delle truppe) e l’adozione di una strategia più aggressiva La Gran Bretagna scalpita: da troppo tempo sta sostenendo il peso maggiore delle operazioni militari a sud e vorrebbe resistere alle pressioni statunitensi che chiedono a Londra di fare ancora di più. Peraltro il Regno Unito sta procedendo al rimpatrio graduale dei soldati in Iraq, quindi non può più utilizzare come scusa la presenza delle truppe in due teatri
speciali che gioca… a tutto campo. Olanda e Canada per ora mantengono gli impegni sottoscritti (anche se il Canada vorrebbe ritirare i suoi soldati dal 2011) e stanno procedendo ad un rafforzamento dei rispettivi contingenti, che continuano ad affiancare inglesi e americani nelle operazioni di combattimento nel sud del Paese. In particolare, se anche i numeri non vengono incrementati, si stanno acquistando nuovi mezzi, sistemi d’arma, equipaggiamenti.
La Francia, a dispetto delle polemiche molto accese seguite alla battaglia che questa estate ha visto una forza talebana a livello di battaglione attaccare e ridurre a mal partito, dopo combattimenti prolungati, una colonna motorizzata francese trovatasi in serie difficoltà e che non si è comportata benissimo alla prova del fuoco, ha confermato la decisione di
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È ancora da chiarire se Obama appoggerà la scelta del Pentagono di aumentare la pressione militare su forze talebane e al Qaeda in Pakistan, a dispetto delle frizioni con Islamabad sa “surge”, il potenziamento, temporaneo, ma non troppo, delle forze alleate e l’adozione di una strategia più aggressiva. Intanto Londra ha designato nuovo capo di stato maggiore dell’esercito, con un “salto in alto” che ha un po’ sorpreso, perché lo ha visto superare diversi candidati naturali e più “anziani”, il Generale Sir David Richards, che è a sua volta favorevole alla “surge” e che più volte quando comandava Isaf ha chiesto invano a Londra di inviare più soldati in Afghanistan e di avere mano libera per
assumere un ruolo militare crescente e proprio per rispondere alle critiche lo stato maggiore sta decisamente potenziando i reparti schierando aerei, elicotteri, velivoli senza pilota e mezzi da combattimento addizionali.
In compenso la Gran Bretagna scalpita, da troppo tempo sta sostenendo il peso maggiore delle operazioni militari a sud e vorrebbe resistere alle pressioni statunitensi che chiedono a Londra di fare ancora di più. Peraltro la Gran Bretagna sta procedendo al rimpatrio graduale dei soldati schierati in Iraq, quindi non può più utilizzare come scusa la presenza consistente delle proprie truppe in due teatri. Quantomeno non potrà scendere al di sotto dei cospicui livelli attuali. Sul piano strategico comunque la Gran Bretagna ha ottenuto un risultato fondamentale: è riuscita a far accettare agli Stati Uniti un significativo cambiamento di rotta, che include un “engagement” con i Talebani, sposando una linea che invero il Presidente afgano Hamid Karzai propone da tempo e che in qualche misura corrisponde con l’approccio prag-
matico seguito dagli stessi Stati Uniti in Iraq con la “dottrina Petraeus” ed il recupero di parte dei Sunniti.
Inizialmente Washington aveva risposto picche e addirittura il generale britannico CarletonSmith si era beccato una sorte di “rebuke” con tanto di accusa di disfattismo per aver sostenuto che in Afghanistan non si sta vincendo e che è opportuno
giocare anche la carta del “appeasament”. Poi però Robert Gates, il Segretario alla Difesa statunitense, ha fatto marcia indietro, anche perché al contempo il Generale David Petraeus ha assunto la guida del Centcom, il comando responsabile per i teatri iracheno ed afgano. E Petraeus non può non essere tentato dall’idea di replicare in Afghanistan quanto ha realizzato in Iraq, compresa la famo-
braccare e eliminare i talebani ovunque si trovassero. Ed è difficile cambi idea adesso.
In questo scenario un ruolo cruciale lo avrà la politica che il nuovo Presidente Statunitense, Barack Obama, e la sua amministrazione vorranno adottare. Obama, pur con prudenza, ha già detto che c’è bisogno di una nuova politica per l’Afghanistan, che preveda anche il coin-
volgimenti di players regionali come Iran e Siria, vede con favore i colloqui con quella parte di talebani che può essere convinta… o comprata, al tempo stesso ribadisce l’impegno assunto in campagna elettorale ha fare dell’Afghanistan il fulcro della “lotta al terrorismo” e quindi l’idea di aumentare considerevolmente l’impegno militare (e politico) a Kabul e dintorni. Del resto con un ritiro graduale dall’Iraq, al quale Obama non può rinunciare, il Pentagono avrà le risorse per fare di più in Afghanistan, anzi, lo sta già facendo, spostando in Afghanistan reparti che erano stati designati per lo spiegamento in Iraq.
Ancora da chiarire invece se Obama appoggerà la scelta del Pentagono di aumentare la pressione militare su forze talebane e al Qaeda in Pakistan, a dispetto delle frizioni con Islamabad, che anzi è incitata a darsi da fare a sua volta (e l’idea di armare alcune tribù lealiste contro i Talebani potrebbe forse essere una delle risposte del traballante governo pakistano). Obama poi non può che sostenere l’idea di potenziare drasticamente forze armate e forze di sicurezza afgane, un progetto da 20 miliardi di dollari che deve ancora trovare i finanziatori. E la crescita delle forze locali è naturalmente il pilastro fondamentale di una qualunque architettura di sicurezza a lungo termine. Dunque se Obama contrabilancerà il ritiro ineluttabile dall’Iraq (certus an, incertus quandum) facendo dell’Afghanistan il fulcro della sua politica “antiterrorismo” possiamo aspettarci una accresciuta richiesta agli alleati di contribuire con risorse economiche, militari e sostegno politico. E sarà difficile negare questo sostegno, anche perché ci va di mezzo non solo la stabilità regionale, ma anche la sopravvivenza della Nato.
mondo
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Crisi negli Usa. L’industria automobilistica americana chiede con urgenza i finanziamenti al governo di Washington
Obama spinge GM, Bush frena di Pierre Chiartano a crisi del mondo della carta moneta è passata a quella del bullone. Niente panettone per la General Motors. Il gigante dell’auto americano è a un passo dal fallimento, se non interverrà il governo aprendo i rubinetti del tesoretto da 700 miliardi di dollari che l’amministrazione Bush ha messo a disposizione per affrontare la crisi economica. I democratici spingono per un gigantesco bail out per l’azienda di Detroit e le sue consolrelle, la Casa Bianca, invece, frena. Lunedì scorso c’era stato un vertice fra i due presidenti, l’eletto e quello in carica, dove Obama aveva perorato la causa delle quattro ruote. Contemporaneamente aveva rilasciato alcune dichiarazioni sul prezzo che le case automobilistiche avrebbero dovuto pagare, una volta nella Stanza Ovale: una riconversione industriale a favore dell’ambiente. Comunque sembra che l’idillio fra i due presidenti sia finito, dissolto in me-
L
no di 24 ore. Pare che George W. Bush si sia irritato per la fuga di notizie sui contenuti del vertice. Voci interne all’amministrazione danno come reale il timore che si sia trattato di una mossa per indebolire l’ultimo miglio della presidenza in carica. Intanto il New York Times di lunedì sera, paventava già un baratto politico. Sì, agli aiuti in cambio dello stop all’ostruzionismo dei democratici contro la legge sul Patto di libero scambio con la Colombia.
Non sembra però realistico un cambio di rotta di Obama, come del partito, che ha osteggiato la legge, per le continue violazioni dei diritti civili attuate dalla Colombia di Alvaro Uribe. Delusa anche Nancy Pelosi che avrebbe voluto accorpare GM, Ford e Chrysler nel pachetto d’aiuti. Bush è cauto, il Congresso ha già concesso alle aziende delle linee di credito per 25 miliardi di dollari (non ancora utilizzabili). Intanto martedì, le azioni
GM sono precipitate di un ulteriore 13 per cento e sembra che senza gli aiuti federali il colosso dell’automobile non possa arrivare a Natale.
Sul fronte occupazione lo spettro di licenziamenti di massa: a rischio 2,5 milioni di posti di lavoro. L’appello di Richard Wagoneer: «Le autorità devono intervenire con urgenza»
Il titolo vale meno di tre dollari e la capitalizzazione è sotto i due miliardi. Quindi la crisi di liquidità arriverà presto, prestissimo. Sul fronte occupazionale lo spettro è stranamente simile a ciò che sta succedendo in Cina: a rischio 2,5 milioni di posti di lavoro. «Le autorità devono intervenire con urgenza», l’appello di Richard Wagoneer di GM. La richiesta del primo presidente afro-americano è quella di portare le linee di credito a 50 miliardi. Un segnale negativo per il settore auto è dato anche dal calo del prezzo del petrolio, sceso sotto i 60 dollari. Significa che calano i consumi. Se non si dovesse trovare un accordo tutto sarà rinviato al 20 gennaio, giorno dell’insediamento ufficiale di Obama. Con la speranza che a Detroit abbiano molte ruote di scorta.
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Repressione. 23 dissidenti condannati per aver manifestato su internet l giorno 8.8.88 è una data importante nella storia della Birmania (Myanmar per la giunta militare). Centinaia di migliaia di studenti, monaci e gente comune si riuniscono per le strade di Rangoon chiedendo le dimissioni della giunta militare del generale Ne Win e le elezioni per dar vita a un parlamento e a un governo democratico. I militari aprono il fuoco sulla folla: oltre 3mila morti. Da allora la repressione militare non si è mai fermata: migliaia gli arresti, le uccisioni, i torturati dei dissidenti. L’ultima notizia è di martedì: 1500 anni di carcere comminati a 23 dissidenti, tra cui diverse donne,che erano stati arrestati durante le manifestazioni antigovernative del settembre 2007. Una condanna di 65 anni per ciascun arrestato, come somma di quattro “reati” per contatti con siti web (15 anni per ogni collegamento on line, più cinque anni per la creazione di un’associazione,ritenuta illegale). Il giorno prima un tribunale del regime aveva condannato a 20 anni di carcere un notissimo blogger di 28 anni, Nay Phone Latt.
I
Di quale orrendo delitto si era macchiato questo giovane? È stato ritenuto colpevole di “vilipendio e procurato allarme”. L’anno scorso Nay aveva scritto e trasmesso su Internet una serie di “cronache dal regime” del Myanmar, rivelando la disa-
Record in Birmania 1500 anni di carcere di Aldo Forbice serviti a nulla. E tutto questo mentre la leader della Lega della democrazia, il Nobel per la pace Aung San Suu Kyi, continua a rimanere agli arresti domiciliari a Rangoon (vi si trova dal 20 luglio 1989).
Una città di cinque milioni di abitanti, quella di Rangoon, che ora si chiama Yangoon, dove è persino vietato suonare il clacson. I militari, infatti, hanno deciso multe salatissime (40 dollari e perfino la galera) se l’automobilista provoca quel rumore che conosciamo. Non c’entra nulla l’inquinamento acustico; in questo modo si cerca di evitare che la gente saluti col clacson la presidente prigioniera nella sua casa. Anche questo piccolo segnale di solidarietà che faceva sentire meno sola Aung, viene ora severamente punito. Dopo le manifestazioni dello scorso anno sembrava che si fossero aperti degli spiragli per la democrazia birmana. La leader dell’opposizione era stata visitata più volte anche da inviati delle Nazioni Unite. Sembravamo vicini a una svolta. E invece poi c’è stato un referendum sulla nuova Costituzione, che non riporta la democrazia nel Paese, e che, secondo i militari, sarebbe stato approvato con una larga maggioranza. Ma nessuno crede ai militari e i precedenti non fan-
suo ruolo, indisse le elezioni nel 1990, ma contrariamente alle previsioni della dittatura militare, la Nld (Lega democratica Aung San Kyi) ottenne una vittoria strepitosa, conquistando 392 su 485 seggi. E ciò nonostante che Aung fosse stata mantenuta agli arresti domiciliari e gli altri leader rinchiusi in carceri lontani dalla capitale. Lo Slorc, a quel punto, ha annullato le elezioni facendo arrestare tutti gli eletti e i dirigenti della Lega democratica.
Oggi, a un anno dalla dura repressione di settembre, l’esercito continua ad essere presente ovunque (gli ufficiali portano la cravatta rossa, segnale di massima allerta), presidia le strade di Yangoon e una buona parte dei monasteri, controlla auto, passanti e ogni sera le famiglie sono obbligate a comunicare alla polizia se hanno degli ospiti. È passato poco di più di un anno dalle manifestazioni dei monaci della città di Pakokku, che segnò l’inizio di immensi cortei di cittadini, guidati da migliaia di sari arancione. Le immagini fecero il giro del mondo e la comunità internazionale rimase fortemente impressionata. Ma quelle manifestazioni vennero
In alto, il notissimo blogger Nay Phone Latt, condannato a 20 anni di carcere. In basso, il generale Bo Ne Win (morto nel 2002) uomo forte del Paese per 26 anni suoi ritmi di crescita, ma negli ultimi decenni il malgoverno dei militari e la corruzione dilagante hanno fatto precipitare quest’area del mondo tra India e Cina a livelli spaventosi di miseria. Secondo le Nazioni Unite più di un terzo dei bambini sono malnutriti; la popolazione spende oltre il 70% del proprio reddito per l’alimentazione, mentre il 39% è sotto la soglia della povertà (ha meno di un dollaro al giorno per vivere). E ciò nonostante la giunta militare continua a impedire ai birmani di ricevere aiuti dall’estero. I diritti umani sono sistematicamente violati, anche se Stati Uniti e Unione europea hanno imposto per queste ragioni sanzioni economiche.
Le pene più severe sono toccate a 14 veterani, membri del gruppo di studenti che guidò le proteste del 1988, condannati a 65 anni di prigione ciascuno. Tra loro anche cinque donne strosa realtà economico sociale del Paese e soprattutto il sistema di repressione militare della popolazione civile. Del resto, l’informazione non è mai stata ben vista dai militari. I giornalisti, come gli operatori umanitari, possono ottenere, nel migliore dei casi, solo un visto d’ingresso di 24 ore, non rinnovabile. Nei primi mesi di quest’anno, secondo Reporters sans frontieres, sono stati almeno 10 i giornalisti arrestati: gli ultimi due (del network News Watch) sono finiti in carcere il 5 novembre scorso. Finora gli appelli al governo birmano fatti dai paesi europei, dalla Ue e dalle Nazioni Unite non sono
no sperare in prospettive rosee. Nessuno dimentica che il 18 settembre 1988 venne creato dai militari il Consiglio di Stato per la restaurazione della legge e dell’ordine (Slorc): un organo che ha sancito la fine della lotta per la democrazia portata avanti da monaci (sono circa mezzo milione nel Paese) e dagli studenti, che erano scesi in piazza nella primavera di quell’anno. La repressione, com’è noto, fu durissima. L’esercito, forte di 400mila militari (fra cui 75mila bambini soldato), mobilitò tutte le sue forze. Soldati e poliziotti spararono ad altezza d’uomo e i morti furono migliaia. La giunta, nel tentativo di legittimare il
represse nel sangue:decine, forse centinaia, furono i cittadini e i monaci uccisi dalla polizia e dall’esercito. La cifra di 191 morti (la fonte è di esuli birmani) sembra quella più attendibile, ma questa cifra non tiene conto delle uccisioni sotto tortura dei dissidenti nelle carceri e nelle stazioni di polizia e neppure dei monaci e altri dissidenti massacrati all’interno dei monasteri occupati dall’esercito. Il potere del generale Than Shwe (che dal 1992 ha sostituito il generale Saw Maung come presidente dello Slorc) è aumentato, mentre il Paese è diventato sempre più povero. Un tempo il Myanmar era apprezzato per i
Sappiamo bene, però, che queste “barriere” vengono sistematicamente violate (come avviene anche nel caso dell’Iran). Il grande alleato del Myanmar continua ad essere la Cina: importa da questo Paese grandi quantitativi di gas naturale e sfrutta le grandi foreste di legname. In cambio fornisce armi e attrezzature per la costruzione di una segretissima centrale nucleare, scavata nella roccia, protetta da una nebbia fittissima che la protegge dalle foto satellitari. Alla costruzione di questo impianto (di cui l’Aiea-Onu non si è mai occupato) partecipano anche la Russia e la Corea del Nord. Alla faccia delle sanzioni delle Nazioni Unite.
in breve Afghanistan, acido contro 15 studentesse 15 liceali afghane sono state aggredite e sfregiate ieri con dell’acido mentre raggiungevano la loro scuola a Kandahar. Almeno tre di loro sono in gravissime condizioni. Il gesto non è stato rivendicato, ma la città meridionale dell’Afghanistan è culla e roccaforte dei taleban: nei loro 5 anni di dittatura (dal 1996 al 2001), gli studenti del Corano avevano proibito per legge l’educazione alle donne. Sempre a Kandahar, ieri, un kamikaze si è fatto esplodere a bordo di un auto imbottita di tritolo alle porte di un complesso che ospita il consiglio della provincia, presieduto da Ahmad Wali Karzai, fratello del presidente afghano: Ahmad Wali ne è uscito illeso ma l’attentato ha causato 3 morti e 40 feriti.
Congo, Ban Ki-moon: situazione disperata Sono «almeno 100mila i profughi» nella Repubblica democratica del Congo che si trovano in una situazione «sempre più disperata». Lo ha affermato il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon. Ban si è detto «molto preoccupato per tutte le informazioni che fanno riferimento a assassinii mirati di civili, saccheggi e stupri» e ha aggiunto che sono necessari circa 3mila caschi blu supplementari per rafforzare l’organico della missione di pace Monuc. Su questo il CdS dovrebbe esprimersi entro la fine del mese.
Iraq, uccise due cristiane Continua la caccia ai cristiani nella città settentrionale irachena di Mossul: ieri, due donne - due sorelle sono state assassinate a sangue freddo da un commando che ha fatto irruzione nella loro casa. Un’esecuzione mirata. Anche la loro madre è stata ferita dagli assalitori, che prima di andarsene hanno piazzato una bomba, poi esplosa all’arrivo dei soccorritori, uccidendo due poliziotti. Da mesi Mossul è al centro di una campagna scatenata contro i cristiani con omicidi, aggressioni, minacce e intimidazioni, che hanno indotto nelle settimane scorse almeno 13-15 mila persone alla fuga dalla città. Un esodo.
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Mostre. Al museo di Rovereto “Il Secolo del Jazz, cinema, musica e fotografia da Picasso a Basquiat”
Le affinità elettive dell’arte Spartiti, affiches, dischi, giornali e altri memorabilia ripercorrono nascita e contaminazioni del jazz nel ’900 di Angelo Capasso l Secolo del Jazz, cinema, musica e fotografia da Picasso a Basquiat”, al Museo di Arte Contemporanea di Rovereto (fino al 15 febbraio 2009) propone uno dei nodi centrali della cultura occidentale novecentesca: l’indissolubile relazione tra arte e musica. In questo caso sono i legami tra arte e jazz a proporsi come oggetto di studio. Coprodotta dal Mart (Museé du Quai Branly di Parigi) e dal Centre de Cultura Contemporània de Barcelona, la mostra suggerisce una lettura multidisciplinare dell’intreccio tra immagini e suoni attraversandolo a 360 gradi: dalla pittura alla fotografia, dal cinema alla letteratura, fino alla la grafica e al fumetto.
“I
Oltre ai media dell’arte, troviamo in mostra un materiale vario fatto di spartiti, affiches, dischi, riviste e giornali, libri, fotografie e altri memorabilia che evocano i numerosi episodi del Novecento. Diceva Duke Ellington: «In genere, il jazz è sempre stato simile al tipo d’uomo con cui non vorreste far uscire vostra figlia», e quindi tra i tipi di musica, ha costituito sicuramente la forma più scomoda, per la libertà con cui ha mescolato generi, suoni, tradizioni. Un tipo di musica che affonda le radici in tradizioni diverse, a partire dalle influenze musicali afroamericane, e originariamente si proponeva come una rivisitazione del blues, degli spiritual e della musica bandistica, incorporando via via altre forme di musica nera (ad esempio il ragtime degli anni Venti). Si tratta di una musica caratterizzata dalla preminenza dell’interprete sul compositore, da un forte ricorso all’improvvisazione, e dall’uso della scala blues e dalla poliritmia. Molti gli intellettuali che ne hanno scritto, bene o male: Adorno nei suoi scritti, tratta il jazz alla stregua di tutta la musica popolare, come un prodotto dell’establishment commercial-culturale. Jack Kerouac l’ha considerata la forza propulsiva della sua scrittura. La grande qualità eversiva del Jazz, ovvero il suo essere la musica dell’improvvisazione e quindi della libertà assoluta del musicista, ne ha
fatto un punto di riferimento per ogni tipo di ricerca. In mostra a Rovereto non mancano proprio le partiture musicali, vero e proprio oggetto visivo, tra cui qulle di The Banjo di Gottschalk o quelle di Nobody di Bert Williams (1905), successi che
L’esposizione, coprodotta dal Mart di Parigi e dal Centro di cultura di Barcellona, rimarrà aperta fino al prossimo 15 gennaio 2009 precedono anche la nascita stessa del termine dalla oscura origine etimologica quale Jazz. In mostra ci sono poi una raccolta di manifesti che ci immergono nel sapore della storia del Jazz delle origini: da quelli per il “Gran Bal Dada” del 1920 fino a quelli di Joel Shapiro per il Lincoln Center (1996). Ma il materiale
più ricco è costituito soprattutto da una vastissima documentazione sonora fatta di registrazioni in studio e di concerti come Strange Fruit di Billie Holiday del 1939. Sul fronte dell’arte, sono i dadaisti Francis Picabia, Man Ray, Janco, ed anche il cubista Theo Van Doesburg, i primi artisti ad accogliere con entusiasmo la nascente musica afro-americana, seguiti da altri nomi noti come Otto Dix, Jan Matulka o Frantisek Kupka. Ma il centro nevralgico della commistione tra arte e jazz è ovviamente New York, capitale dell’arte occidentale dopo Parigi, e capitale indiscussa della musica blues e jazz, in particolare in quella patria degli afroamericani denominata Harlem, dove un nutrito gruppo di talenti – scrittori come Langston Hughes o Claude McKay, pittori come Aaron Douglas, Palmer Hayden, Archibald Motley jr., William H. Johnson, Winold Reiss e altri – inaugurano la celebre “Harlem Renaissance”, con il sostegno di personalità bianche affascinate dalla cultura nera quali – tra gli altri – Carl van Vechten, che le renderà omaggio con un celebre romanzo, Nigger Heaven (1926).
Una qualità che contraddistingue
In apertura, l’opera di Thomas Hart Benton “Portrait of a musician” del 1949; sopra, “Jazz” (Variante) di Fernand Léger, 1930; nella pagina a fianco, in alto a destra, “Jitterbugs II” di William H. Johnson, 1941
il jazz è, come dicevamo, la sua forza eversiva rispetto ai canoni della musica tradizionale, e questo l’ha resa la fonte d’ispirazione per molti pittori modernisti americani degli anni Venti e Trenta. Le opere astratte di Arthur Dove o quelle postcubiste di Stuart Davis costituiscono, tra le tante produzioni, un esempio emblematico. Il più concettuale dei pittori del primo Novecento, Piet Mondrian, adorava la musica e la danza jazz, appassionato in particolare dei ritmi indiavolati dei pianisti di boogie woogie, mentre Henri Matisse consacrerà al Jazz una delle sue opere più note dal titolo Jazz, appunto. Un’opera creata da Matisse con una tecnica particolare di decoupage chiamata papiers découpés. Matisse l’ha realizzata negli ultimi anni della sua vita quando il fisico malandato lo costringeva a vivere in carrozzina. Questa tecnica veniva eseguita con carte colorate, che permettevano a Matisse di disegnare nel colore e soprattutto operare con maggiore libertà compositiva, proprio come nella musica Jazz. Il rapporto privi-
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legiato tra jazz e arte si intensifica ulteriormente nel dopoguerra. Spesso senza il minimo intento illustrativo, i pittori astratti tentano di ritrovare sulla tela la spontaneità e l’improvvisazione propria dei musicisti. Il caso eccellente, universalmente noto è certamente quello di Jackson Pollock, i cui drippings nascono spesso proprio sulla base della musica jazz suonata in sottofondo. Si dice che Pollock possedeva centinaia di dischi Jazz. L’improvvisazione di Pollock, la sua pittura in azione (action painting) è certamente la forma artistica che più ha ricalcato l’improvvisazione e la danza in trance dei musicisti di Be Bop, che nei concerti si muovono fino a incarnare la loro musica fisicamente col corpo. Ornette Coleman ha utilizzato un opera di Pollock, White Light, come immagine per la copertina del suo celebre album Free Jazz , capostipite del Free Jazz. Numerosi sono anche i casi di artisti che si sono cimentati direttamente nel jazz come musicisti. Larry Rivers è ricordato come un musicista “di tutto rispetto” e spesso si trovano tracce del jazz sotto forma di frammenti di partiture musicali in molte delle sue tele. Da Romare Bearden a Jean-Michel Basquiat, il suono degli artisti jazz ha conosciuto una varietà espressiva molto complessa e del tutto originale.
Nel 1998 il Whitney Museum ha dedicato una mostra alla memoria di Bob Thompson, artista meteorico che si ispirava ai suoni della Free Music, sua contemporanea, così come alla musica italiana del Rinascimento.Thompson, batterista part-time, prima della sua recente riscoperta da parte del mondo dell’arte,
era famoso tra gli amanti del jazz, a causa di una suite dedicatagli dal sassofonista Archie Shepp. La mostra di Rovereto entra anche nella carne delle questioni dei media che meglio hanno rappresentato il Jazz. La fotografia, tra i mezzi espressivi, è certamente lo strumento che ha documentato la storia. Fotografi noti, tra cui Herman Leonard o William Claxton, devono al Jazz la loro fama. Tra le firme note di fotografi che si sono dedicati al Jazz bisogna ricordare Roy DeCarava, Giuseppe Pino, Roberto Masotti e Guy Le Querrec e ovviamete Lee Friedlander, che ha lavorato a lungo per la casa discografica Atlantic, firmando le immagini di circa una trentina di dischi, tra cui veri e propri monumenti della storia del jazz con Giant Steps di John Coltrane o In a Silent Way di Miles Davis. Anche il cinema ha pagato il suo tributo alla musica Jazz. Al di là dei grandi classici del cinema che, da Ascenseur pour l’échafaud a La Notte, hanno utilizzato il jazz sia come protagonista che come colonna sonora, esiste una moltitudine di “Soundies”(ovvero dei cortometraggi musicali degli anni Trenta e Quaranta che si considerano come antenati dei nostri videoclip) e un numero non meno considerevole di trasmissioni televisive, tra cui la mitica serie francese con Johnny Staccato, il pianista –investigatore, interpretato dall’indimenticabile John Cassavetes. Il cinema d’animazione è presente in mostra con un paio di chicche di tutto rispetto, quali Clean Pastures di Friz Freleng mentre l’intreccio tra cinema sperimentale e Jazz è testimoniata da una ricca selezione di capolavori firmati da Norman McLaren, Charles e Ray Eames.
A completare la grande rassegna di lavori visivi dedicati al jazz troviamo un vastissimo numero di opere grafiche e di illustrazioni, quali affiche, inserti pubblicitari, prospetti, programmi di concerti. La grafica ha contribuito a rendere il Jazz una musica appetibile ai molti. A partire dal 1939, anno in cui Alex Steinweiss lancia per la Columbia la copertina del disco, una sequenza interminabile di piccoli capolavori grafici si sono distribuiti in quello spazio ridotto ma significativo della copertina del disco, che ha avvolto prima i supporti di gommalacca e poi in vinile. Le copertine di Steinweiss vengono celebrate nel 1941 nella rivista di design PM Magazine. In mostra troviamo anche le copertine disegnate da Jim Flora, Marvin Israel, le illustrazioni di Ben Shahn, David Stone-Martin, di Pierre Merlin. Alcuni di questi designer da copertina talvolta giocavano su più fronti, come nel caso di Burt Goldblatt, le cui innumerevoli copertine lo mostrano di volta in volta fotografo, disegnatore o grafico. Tra i tanti oggetti di design in formato disco, alcuni meritano forse un’attenzione maggiore. Sono quelle realizzate da un giovane designer, allora sconosciuto, dal nome Andy Warhol: i dischi di Kenny Burrell o di Johnny Griffin che ne ospitano il lavoro hanno la fortuna di essere entrati nella storia due volte.
in edicola il quarto numero del 2008 il nuovo bimestrale di geostrategia
120 pagine per capire cosa farà Barack Obama • Il presidente del soft power e l’Europa • Usa-Russia: il momento delle scelte è arrivato • Tutte le sfide del Medio Oriente Mario Arpino, Robert Kagan, Virgilio Ilari, Andrea Margelletti, Maurizio Massari, Andrea Nativi, Michele Nones, Roger F. Noriega, Emanuele Ottolenghi, Stefano Silvestri, Davide Urso
cultura
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Identità. A Villa Medici di Roma, al via il laboratorio culturale “La Quinzaine del Mediterraneo: quale Mare Nostrum oggi?”
I capitani (euro)coraggiosi di Rossella Fabiani
uropa e Mediterraneo. Uniti da tempi antichissimi. Commerci, politica, ma soprattutto cultura. Con questo spirito, ha preso il via a Villa Medici la rassegna intitolata La Quinzaine del Mediterraneo: quale Mare Nostrum oggi? organizzata, in occasione del semestre di presidenza francese dell’Unione europea, da Accademia di Francia, Ecole française de Rome e dalle ambasciate di Francia in Italia e presso la Santa Sede. E Proprio nell’ambito della manifestazione “la Quinzaine del Mediterraneo: quale Mare nostrum oggi?” si terrà oggi a Palazzo Farnese alle 18.30 un dibattito sul tema “La circolazione degli uomini nel Mediterraneo, permanenza e rottura”, al quale interverranno lo storico Maurice Aymard, fra i principali allievi di Fernand Braudel, il filosofo e storico Abdesselam Cheddadi, traduttore e commentatore dell’opera Le Livres des Exemples di Ibn Khaldoun e il professore Predrag Matvejevic, autore del famoso Breviario mediterraneo.
E
Al di là delle divisioni religiose e politiche, l’unione tra Europa e Mediterraneo viene soltanto imposta dalla natura? O risulta dalla permanenza degli spazi di contatto e di scambio, dalla circolazione degli uomini e delle culture e dall’esistenza di figure di traghettatori dall’identità mista? Non si è trasformata oggi, in un modo nuovo, sotto l’effetto di flussi migratori inediti e l’accentuarsi dei contrasti demografici ed economici? Insieme agli oratori, il pubblico potrà riflettere sulla storia del Mediterraneo e l’apertura verso nuove prospettive di conoscenza e di sviluppo, per un obiettivo comune: costruire insieme il futuro del Mare nostrum. La manifestazione promossa dai quattro istituti francesi presenti a Roma, è emblematica del progetto dell’Unione per il Mediterraneo lanciato ufficialmente il 13 luglio scorso a Parigi, alla presenza dei 43 capi di Stato e di governo interessati. Dopo il battesimo dell’Unione per il Mediterraneo (UpM), la riunione ministeriale che si è conclusa la settimana scorsa a Marsiglia ha impresso «una nuova dinamica politica alle relazioni euro-mediterranee» e «la nuova alleanza nord-sud inizierà la sua azione dedicandosi a una serie di progetti concreti nei settori, fra l’altro, dell’energia, dell’acqua, dell’educazione e delle piccole
La rassegna, che terminerà il 19 novembre, è organizzata da Accademia di Francia, Ecole française de Rome e dalle ambasciate di Francia in Italia e presso la Santa Sede, in occasione del semestre di presidenza francese dell’Ue
Sopra, l’ambasciatore di Francia in Italia Jean-Marc de La Sabliere; a fianco, monsignor Henri Teissier e, sotto, Frédéric Mitterrand, figlio dell’ex presidente francese François Mitterand
e medie imprese», come ha l’ambasciatore sottolineato Jean-Marc de La Sabliere, presentando l’iniziativa a palazzo Farnese con il direttore di Villa Medici, Frédéric Mitterrand, e il direttore dell’’Ecole Francaise, Michel Gras. «Il Mediterraneo, insieme all’Europa, deve affrontare delle nuove sfide tra
le quali le migrazioni e il dialogo interreligioso, temi ai quali rivolgeremo la nostra attenzione durante la Quinzaine del Mediterraneo a Roma», ha aggiunto il diplomatico.
«All’Unione per il Mediterraneo - è sua convinzione - servono progetti culturali e di scam-
bi intellettuali per coinvolgere il grande pubblico e svilupparsi». A questo proposito, Frédéric Mitterrand, figlio dell’ex presidente francese, ha annunciato che l’Accademia di Francia a Roma intende aprire le sue porte a borsisti «di origine mediterranea»: già in questo momento, ha riferito, sono ospiti di Villa Medici due italiani per il cinema e un giordano, anche se il regno hascemita non si affaccia direttamente sul Mare Nostrum, ma «la Giordania è piena di ulivi, e le frontiere del Mediterraneo sono quelle dell’ulivo», ha osservato il direttore dell’Accademia. E’ stato Mitterrand il padrone di casa dell’evento che ha inaugurato la rassegna con un omaggio a Youssef Chahine, scomparso il 27 luglio di quest’anno, di cui è stato proiettato l’ultimo film, Heya Fawda (Caos). E sempre l’Academie de France proporrà, fino a domenica 16, il Medfilm Festival sul cinema del Mediterraneo.
La conclusione della Quinzaine avrà sede invece il 19 novembre all’Ambasciata di Francia presso il Vaticano con un incontro su “Il dialogo interreligioso nel Mediterraneo”. Tra i relatori, monsignor Henri Teissier (già arcivescovo di Algeri) e i professori Joseph Maila e Roberto Papini. L’impegno degli istituti francesi per sviluppare le relazioni fra Paesi rivieraschi comunque non termina qui: fra le iniziative future, Mitterrand ha citato una mostra a Villa Medici del pittore Francois-Marius Granet (amico e allievo di Ingrés), che «dipinse paesaggi romani e francesi»; un progetto su papa Silvestro I, che «ha introdotto il pensiero arabo e i numeri in Occidente» e una rilettura del dialogo euromediterraneo a opera del couturier Christian Lacroix. Per partecipare ai diversi dibattiti che si succederanno fino al prossimo 19 novembre, basterà prenotarsi gratuitamente fino ad esaurimento posti telefonando al numero 06-68601416/13/17 oppure compilando l’apposita sezione online sul sito internet “www.ambafrance-it.org/iscrizione”.
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da ”Le Monde” dell’11/11/2008
Se Parigi parla afghano di Alain Beuive-Méry a Francia dei philosophes parla afghano. Il prestigioso premio letterario Gouncourt, è andato allo scrittore franco-afghano, il quarantaseienne Atiq Rahmi. Il suo libro Syngué Sabour, che in persiano si potrebbe tradurre con un’approssimativa «pietra della pazienza», è stato pubblicato per i tipi delle edizioni Paul Otchakovsky-Laurent, ed è la sua prima opera in lingua francese (in Italia ha pubblicato Terra e Cenere e L’immagine del Ritorno, ndr). Sette voti contro tre, è il verdetto della giuria che ha dovuto scegliere tra Rahmi e il diretto concorrente, Michel Le Bris col suo La Baeauté du Monde (La Bellezza del Mondo - Grasset editori).
L
Una vittoria schiacciante, che traduce bene l’entusiasmo scatenatosi fra i giurati. «Un libro breve, ma molto intenso, che si occupa della condizione femminile», il commento del presidente della giuria, Edmonde Charles-Roux, che ha continuato dicendosi convinto che non sarà più possibile farsi la tradizionale domanda di Montesquieu, «come possiamo non dirci persiani?» poiché è stato incoronato proprio un autore persiano. Già in maggio, Tahar Ben Jallun, lo scrittore d’origine marocchina autore di Notte Fatale, aveva attirato l’attenzione dei suoi colleghi su questo libro. «Ha scritto in francese, come me, ha parlato di una società in evoluzione, come me. Oggi la letteratura francese è rappresentata e difesa da scrittori meticci». Per il suo editore, Paul Otchakovsky è senz’altro «un libro politico e un’opera letteraria». Lo stile e la scrittura di Rahmi sono gli elementi che più lo caratterizzano. Grande senso drammatico ed economia di mezzi, con un linguaggio secco e visivo. Il li-
bro è una sorta di «spazio chiuso» entro cui si racconta la storia di una donna, che vede il marito, ferito al collo, ridotto allo stato vegetativo. Una storia che potrebbe essere stato vissuta in Afghanistan, come in qualsiasi altro posto, segnala l’autore. «Le donne afghane rappresentano le donne di tutto il mondo – continua Rahimi - con gli stessi desideri, gli stessi sogni e le speranze». «Spero che il mio libro sia letto in Afghanistan come altrove». Sono infatti già quattordici i Paesi che ne hanno richiesto i diritti di pubblicazione. La vita di Atiq sembra uscita dalle pagine di una leggenda persiana. Romanziere e cineasta ha vissuto esperienze ricche di dolore e felicità. Nasce nel 1962 a Kabul da una famiglia benestante, liberale e occidentalizzata. Il padre era governatore del Panshir. Ha poi studiato al liceo francese della capitale. Il crollo del regime monarchico, nel 1973, è l’episodio che crea il maggior sconvolgimento familiare. Il padre finisce in prigione per tre anni, mentre il fratello, diventato comunista, cerca senza riuscirci di coinvolgere Atiq nel nuovo regime. Nel 1984 la decisione di chiedere asilo politico in Francia, lasciando il Paese. Anni dopo nel 1990 viene a sapere dell’assassinio di suo fratello, rimasto in Afghanistan.
Intanto si era totalmente immerso nella cultura del Paese che lo ospitava. Ama Alain Resnais e legge avidamente Marguerite Duras, ma tra i suoi punti di riferimento letterari compaiono anche Quignard e Calaferte. Quando nel Duemila, la sua amica e traduttrice Sabrina Noury, fa accettare alla Pol il manoscritto di Terra e Cenere, scritto origi-
nariamente in persiano, Rahimi vede un segno del destino: se ne occuperà i redattore personale della Duras. Diventa un successo all’estero e in Francia, dove vende più di 20mila copie. L’assassinio, nel settembre del 2001, del «leone del Panshir», il leggendario comandante Massud, accende ancora di più l’interesse del pubblico su Rahimi.
Il libro è stato seguito da altre due opere, Les Mille Case (2002) e Il Ritorno Immaginario (2005).Vince il premio un Certain Regard a Cannes, nel 2005, per la riduzione cinematografica del suo Terra e Cenere. In Syngué Sabour ha usato per la prima volta la lingua francese. Abbandonando la lingua madre per quella del suo Paese d’adozione è riuscito a comporre «un canto alla libertà». Un’altro segno del destino è legato alla città di Gallion, dove arrivò dall’Afghanista e lesse L’Amante della Duras. Piazza Gallion è dove si trova il ristorante Drouant, il tradizionale luogo d’incontro per la giuria del premio Goncourt.
L’IMMAGINE
Ma non sarebbe stato meglio vendere l’Alitalia ad Air France? Da quanto tempo durano il dramma e la commedia dell’Alitalia? In campagna elettorale Silvio Berlusconi disse di avere in tasca la soluzione del problema. Ma invece il problema sembra ancora senza soluzione. La cordata di imprenditori italiani si è fatta avanti e Colaninno è il nuovo proprietario della compagnia di bandiera. Il caos non accenna a diminuire tra scioperi, voli cancellati, disagi, un servizio non all’altezza. Non sarebbe stato meglio vendere ai francesi? L’offerta di Air France si presentava conveniente sia per il personale sia per l’economia. L’unico punto da chiarire era quello di Milano Malpensa. Ma era proprio qui che il nuovo governo avrebbe potuto concentrare le sue forze. Sull’onda della passione e della propaganda della campagna elettorale, invece, si è scelta la strada più difficile e meno conveniente: rimettere in discussione un accordo già raggiunto.
Cesare Durante - Roma
NON SI TRATTA DELLA FILOSOFIA DEL BASTONE E DELLA CAROTA
MANIFESTIAMO A FAVORE DEL GOVERNO
Vi sembrerò controcorrente, ma mi piace proprio questo nuovo decreto/effetto Brunetta. Controlli a casa anche per un giorno di malattia e durante tutto il giorno, non più solo 4 ore. Uno dei mali di cui soffriamo noi italiani è il buonismo/perdonismo che ha effetti e conseguenze anche gravi a più livelli. Perciò ben venga la scelta di punire chi sbaglia, premiare chi se lo merita e stimolare il cittadino a lamentarsi se non riceve il servizio che dovrebbe avere. Non va vissuto come la filosofia del bastone e la carota, come noi italiani perdonisti saremmo tentati di interpretare questo provvedimento. Ma semplicemente punire chi froda a qualsiasi livello.
Perché non siamo capaci di organizzare una manifestazione a favore del governo? Io non sono mai andata a nessuna manifestazione ma questa volta ci andrei per far capire ai tanti tracontanti di sinistra che non siamo una maggioranza silenziosa.
Ilaria Mascetti – Como
Elena Girardi
Su e giù per le montagne «Mi raccomando, andate a giocare sull’orlo del precipizio!». Non è il consiglio di una madre snaturata, ma di una prudente mamma gelada (Theropithecus gelada). Già perché per questi “parenti” dei babbuini - che abitano sulle montagne rocciose dell’Etiopia - gli strapiombi sono i posti più sicuri. Come scalatori provetti si spostano senza paura da un burrone all’altro
INVERNO CALDO Ieri mio figlio di 8 anni mi ha detto che, come tutti gli anni, chiederà a Babbo Natale una macchinina nuova, un videogioco e una settimana bianca. Mi sono sentito impotente. Per la prima volta ho provato imbarazzo perché non sapevo cosa rispondere. Non ci sarà nessuna settimana bianca quest’anno. Ma non si può fare a pezzettini il sogno di un bambi-
no, cercando di mostrare seppur con parole dolci la realtà. Allora dalla mia bocca è uscito il primo pensiero, figlio della banalità: «dicono che questo sarà un inverno molto caldo, dicono che non nevicherà, se non nei monti lontani, tanto lontani da poterci arrivare solo in aeroplano, e lo sai che la mamma ha paura dell’aereo». Sarà sicuramente un in-
verno caldo, per noi genitori, per noi lavoratori, per noi risparmiatori. Saremo costretti a mentire ai nostri figli, a farci aiutare dalle nostre mogli, a controllare le nostre uscite.
Giuliano Corsetti - Rimini
RICORDIAMO GABBO Un anno di dolore, un anno di ricordi, un anno che Gabbo ci ha
lasciati. Ha lasciato la Roma che credeva, la Roma che viveva, la Roma che ballava, la Roma che lo amava. È stato ricordato in un libro, ma ancora le dinamiche del fatale incidente sono per lo più oscure. Vogliamo che sia fatta chiarezza, non ci interessano le chiacchiere, i commenti e le commemorazioni.
Alessandra Carli - Roma
opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog LETTERA DALLA STORIA
Un’apparizione celeste inviatami da Dio Siete voi, Alphonse, siete proprio voi che ho appena stretto fra le braccia, per poi sfuggirmi come sfugge il dolore? Mi chiedo se non sia un’apparizione celeste inviatami da Dio, se Egli me la renderà, se rivedrò il mio amato bambino, l’angelo che adoro! Ah, devo sperarlo. Oggi siamo coperti dallo stesso cielo, stasera ho capito che ci protegge. Ma i crudeli che ci hanno separati ci hanno fatto molto male... Ora se ne sono andati; voi potreste essere qui, invece sono sola; come non versare delle lacrime? Ah, benediciamo comunque la Provvidenza divina! Domani ci riunirà, non è vero? E questo volta non ci separerà! Voleva ancora farci passare questa prova; ma non vuole che moriamo stanotte, per cui merita tutta la nostra adorazione! Lo sento con una tale forza che, come mi hanno lasciata sola, il mio primo impulso è stato di gettarmi ai suoi piedi e di adorare con delle lacrime la suprema bontà che mi ha reso! È ai piedi di Dio che ho ritrovato la forza di parlargli! Lui mi permette di amarvi, ne sono certa. Se lo impedisse, accrescerebbe in ogni istante l’amore ardente che mi consuma? Avrebbe permesso che ci rivedessimo? Verserebbe a piene mani su di noi i tesori della sua bontà per poi toglierceli barbaramente? Oh, no, il cielo è giusto! Ci ha riavvicinati, non ci strapperà più l’uno dall’altro. Julie Charles ad Alphonse de Lamartine
ACCADDE OGGI
PIÙ INFORMAZIONE SU GPL E METANO Perché i media, quando parlano di prezzi di carburanti ci aggiornano solo di quelli della benzina e del gasolio? Per chi è ecologicamente più evoluto sarebbe interessante sapere anche quelli di Gpl e metano, onde evitare che eventuali benefici sui primi ricadano a danno dei secondi.
Renato Landi
CARLA BRUNI NON SI OCCUPI DELL’ITALIA In riferimento ai commenti della première dame Carla Bruni alla battuta del nostro presidente del Consiglio Berlusconi sul neoeletto presidente degli Stati Uniti Obama, volevo semplicemente dire che sono felice che la Bruni sia cittadina francese e meno lieta che da cittadina francese si intrometta, insieme a sua sorella Valeria Bruni Tedeschi, su questioni interne dello Stato italiano (vedi caso Petrella).
Margaux Morganti – Firenze
DISPARITÀ DI TRATTAMENTO TRA VECCHI E NUOVI PENSIONATI Un problema a cui non viene data la giusta attenzione è quello relativo alle disparità di trattamento fra vecchi e nuovi pensionati. Con lo stesso numero di anni di servizio, stessa qualifica e livello, coloro che sono andati in pensione, per raggiunti limiti di età, dieci o più anni fa, percepiscono una somma inferiore rispetto ai neo-pensionati. E ciò perché i nuovi hanno beneficiato degli ultimi contratti. Per una questione di giustizia, le pensioni dovrebbero essere rapportate
e di cronach di Ferdinando Adornato
Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Francesco D’Onofrio, Gennaro Malgieri, Bruno Tabacci
Ufficio centrale Andrea Mancia, Errico Novi (vicedirettori) Nicola Fano (caporedattore esecutivo) Antonella Giuli (vicecaporedattore) Franco Insardà, Luisa Arezzo, Gloria Piccioni Stefano Zaccagnini (grafica)
13 novembre 1960 Sammy Davis Jr. sposa May Britt. Il matrimonio tra l’artista di colore e l’attrice svedese desta scalpore, perché le unioni interrazziali sono all’epoca vietate in 31 Stati su 50 negli Usa 1971 La sonda americana Mariner 9 raggiunge Marte 1982 A Las Vegas, un incontro di pugilato vinto da Ray Mancini su Kim Duk Koo porterà alla morte del coreano. L’evento darà inizio a importanti cambiamenti in questo sport 1985 Il vulcano Nevado del Ruiz erutta, seppellendo Armero (Colombia) 1990 Viene scritta la prima pagina conosciuta del World Wide Web 1994 Gli elettori svedesi decidono di entrare nell’Unione europea con un referendum 2001 Guerra al terrore: il presidente George W. Bush firma un ordine esecutivo che permette l’istituzione di tribunali militari contro qualsiasi straniero sospettato di avere connessioni con gli atti terroristici realizzati o progettati contro gli Stati Uniti
Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Francesco Capozza, Giancristiano Desiderio, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Francesco Lo Dico, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Francesco Rositano, Enrico Singer, Susanna Turco Supplemento MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Baiocchi, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Angelo Crespi, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei, Alex Di Gregorio,
agli stipendi del personale in servizio. Forse è appena il caso di accennare che chi è andato in pensione prima ha lavorato spesso in condizioni più difficili: maggiori ore di lavoro ed uffici privi di sistemi di riscaldamento.
Luigi Celebre – Milazzo
SALVIAMO IL TESSILE CON I DAZI DOGANALI Sono un piccolo artigiano tessile della Val Gandino. Il tessile italiano sta soffrendo enormemente per l’importazione di merci da Paesi che operano senza regole e in condizioni di lavoro impensabili per l’Europa. Il settore, dunque, non ha concorrenti leali con cui confrontarsi. In questo scenario Lo Stato propone incentivi all’industria automobilistica, agli elettrodomestici e quant’altro. Ma lo Stato siamo noi e quindi i soldi i soldi verranno dalle nostre tasche: ma se certe aziende chiudono a causa della concorrenza sleale dell’importazione selvaggia, dove troveremo i soldi per ripianare i bilanci? Abbiamo bisogno di provvedimenti strutturali: dobbiamo fare come l’America che quando si accorge che le sue aziende stanno andando in crisi per mancanza di ordini, mette dazi doganali su qualsiasi tipo di prodotto proveniente dall’estero a tutela degli interessi nazionali. Non bisogna sempre chiedere soldi e sacrifici alla popolazione, ogni tanto bisogna esigere che quanto dichiarato in campagna elettorale venga mantenuto per risollevare le sorti di tutto il manifatturiero italiano.
Bruno Bosio - Bergamo
Gianfranco De Turris, Rossella Fabiani, Pier Mario Fasanotti, Marco Ferrari, Aldo Forbice, Antonio Funiciello, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Alberto Indelicato, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Andrea Margelletti, Adriano Mazzoletti, Gabriella Mecucci, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo, Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Roselina Salemi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania
dai circoli liberal
SE L’EUROPA NON HA L’ANIMA Lo smarrimento dell’Europa e della sua identità si è manifestato principalmente con il rifiuto da parte dei padri costituenti dell’Unione europea di inserire un riferimento alle radici culturali cristiane all’inizio della costituzione. Di questo, molto si è parlato: è un rifiuto che non cancella la realtà dei fatti. L’argomento viene risolto in maniera molto pragmatica dal docente di diritto statunitense Joseph Weiler, di religione ebraica, nel suo volumetto Un’Europa cristiana. Un saggio esplorativo. Nell’introduzione dice che se un turista decidesse di andare a visitare l’Europa girerebbe molti luoghi con usi, costumi, gastronomie e lingue diverse; una babele infinita senza nessun elemento comune. Ma se il nostro turista dovesse andare a visitare i cimiteri di tutta Europa, là potrebbe trovare il vero elemento unificatore: la croce. In tutte le tombe, antiche come recenti, il simbolo della croce è presente; segno che il Cristianesimo di lì è passato. Con buona pace di tutti i laicisti dell’Unione europea. Il tentativo di far approvare quella Costituzione è poi naufragato ma i pregiudizi e la mentalità che, contro ogni evidenza, si è ostinata a rinnegare le radici cristiane dell’Europa è rimasta e si manifesta nell’attività ordinaria e amministrativa dell’Unione. La politica di Bruxelles è contaminata da un “relativismo aggressivo” che vuole imporsi come legge dello Stato e, nel caso dell’Ue, vuole imporsi in tutti gli Stati membri: oggi in Europa si afferma che le regole del gioco non esistono, e che il legislatore deve limitarsi a fare il notaio e a formalizzare quanto avviene nella società, o i media gli fanno credere che accada. Ci sono coppie omosessuali? Il legislatore ne prenda atto e le equipari alle famiglie. Ci sono musulmani che vivono in poligamia? Il legislatore li regolarizzi, o magari applichi la sharia come vorrebbe qualche personaggio europeo anche autorevole. Negli ospedali si pratica l’eutanasia? Lo Stato notaio la regoli per legge. Ed è proprio quello che sta accadendo. Si stanno attuando dei provvedimenti che vanno ad attaccare quelli che Benedetto XVI ha definito «principi non negoziabili»: la tutela della vita, il riconoscimento e la promozione della struttura naturale della famiglia e la tutela del diritto dei genitori di educare i propri figli. Perché non chiediamo di essere svincolati dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, come Polonia e Gran Bretagna? Perché i politici cattolici non fanno sentire in modo chiaro la loro voce? Giuseppe Gaburro CIRCOLO LIBERAL VENETO
APPUNTAMENTI VENERDÌ 21 E SABATO 22 NOVEMBRE 2008 OTTAVA EDIZIONE COLLOQUI DI VENEZIA PALAZZO CAVALLI FRANCHETTI La nuova America. Come cambierà il mondo dopo l’era Bush. Gli amici dei Circoli liberal sono invitati a partecipare Vincenzo Inverso
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e di cronach
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PAGINAVENTIQUATTRO Crack. Fallisce l’azienda che forniva tazzine da the alla regina Elisabetta
Va in cocci il servizio buono di
SUA MAESTÀ di Maurizio Stefanini arty’s over, “la festa è finita”: non sappiamo se è stato involontariamente autojettatorio, oppure se si è trattato di un bell’esempio di humor anglo-sassone, costi quel che costi. Ma la frase che decorava l’ultima collezione posta in vendita da Royal Worcester and Spode, la fabbrica di porcellane che forniva le tazzine per il tè della Regina Elisabetta, è stata davvero l’annuncio della fine per una festa che durava da 257 anni. Dal 7 novembre la società, che contava 338 dipendenti, è infatti andata in amministrazione controllata, anche se per il momento continua a funzionare la filiale americana The Royal Fine China and Porcelaines Companies.
P
Nata nel 1751, fornitrice ufficiale della famiglia reale dal 1770, già nel 2006 aveva accumulato perdite per ben 5 milioni di sterline, e altri 4 li aveva persi nel 2007. Non è la prima volta che una crisi la metteva con le spalle al muro, ma dopo il crollo del 1929 era sceso in campo il ricco filantropo Charles Dyson Perrins, a pagare di tasca sua stipendi e bollette fino a quando gli affari non si erano riavviati. Stavolta, il miracolo non si è ripetuto. Un sogno in cocci, per quella che diventa al momento la più anziana tra le società vittime della presente turbolenza economica. Era stato il medico John Wall che al tempo di re Giorgio III aveva fondato la manifattura, sulle rive del fiume Severn, nell’Inghilterra centro-occidentale. Il nome, dalla cittadina di Worcester: nota anche come sito dell’ultima battaglia della guerra civile tra Cromwell e i monarchici, nonché per quella famosa Worcestershire sauce che pur derivando in realtà da contatti ottocenteschi con l’India riprende in qualche modo la ricetta dell’antico garum della cucina romana. La materia prima era la bone china, che è poi un particolare tipo di porcellana inventata in Inghilterra a partire dalle ceneri di ossa di animali macellati: un’origine macabra per un risultato dagli esiti di una bellezza spettacolare. E sia
l’invenzione della salsa che quella della porcellana d’ossa ci parlano di un certo talento locale per la chimica organica, cui si deve infatti il mercato originale del prodotto: i farmacisti della zona, cui i contenitori di porcellana servivano per metterci dentro le loro preparazioni magistrali. Uno di questi farmacisti, il dottor William Davis, fu infatti parte attiva, per aiutare Wall a trovare le 4500 sterline di finanziamento necessarie. Ma subito dopo iniziò in Inghilterra la mania per il tè: favorita dalla conquista dell’India; e anche dall’invenzione di navi particolarmente veloci per trasportare il prodotto in Europa, i famosi clipper. Le tazzine divennero dunque su-
bito un prodotto molto più interessante, già nel 1770 la dinastia cominciò a sorseggiare tè nelle tazzine del dottor Wall, e nel 1789 arrivò il Royal Warrant ufficiale. L’anno della Presa della Bastiglia. Insomma, da quando è iniziata la Storia Contemporanea, non c’era mai stato regnante inglese a compiere il rito ancor più inglese della stessa dinastia del five’o clock tea, senza le tazzine della Royal Worcester. Ma come spiega il nome stesso della porcellana in inglese, China, era stato grazie all’intraprendenza della Rivoluzione Industriale e dell’espansione imperiale se l’Inghilterra aveva assunto un ruolo di punta in una produzione di origine orientale. Divenuto ora l’Oriente stesso teatro di una nuova Rivoluzione Industriale, il mercato è tornato a cambiare padroni. Da un massimo di 1000 dipendenti, la Royal Worcester era stata costretta a licenziarne 100 nel 2003; poi altri 100 nel 2005; e 100 ancora, più 15 decoratori, il 29 settembre del 2005. Per reggere alla concorrenza sempre più spietata la fabbrica aveva cer-
Nata nel 1751, già nel 2006 la Royal Worcester and Spode aveva accumulato perdite per ben 5 milioni di sterline, e altri 4 li aveva persi nel 2007. L’ultima collezione messa in vendita riportava la scritta “Party’s over” (la festa è finita)
cato da un lato di concentrarsi nella produzione di oggetti di lusso e ornamentali, lasciando perdere quei servizi da uso quotidiano che una volta erano stati il fulcro del suo business; dall’altro aveva annacquato l’etichetta tradizionale, attraverso la fusione pure nel 2006 con Spode.
Altra vecchia gloria della porcellana inglese, quest’altra nata nel 1784 e con sede a Stoke-on-Trent: fondata da quello Josiah Spode che aveva perfezionato sia il procedimento di decorazione sottosmalto in blu, sia la formula della bone china. Ma l’unione non ha fatto la forza. Resta il magnifico museo della porcellana realizzato nell’ex-sito della fabbrica. Restano i due secoli e mezzo di prodotti su cui ora i collezionisti si accapiglieranno più di prima: coi caratteristici ornati a base di foglie di alloro, di rosmarino, di timo e di prezzemolo.