ISSN 1827-8817 81204
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Peccare non significa fare il male: non fare il bene, questo significa peccare Pier Paolo Pasolini
9 771827 881004
QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA
di Ferdinando Adornato
DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK
Savino Pezzotta e la strategia della Cgil
«Ma io dico ai sindacati: non isolate Epifani»
EQUIVOCI ISTITUZIONALI Il balletto su Sky è solo l’ultimo episodio di una lunga serie. Tutte le decisioni più importanti per il Paese le prende Giulio Tremonti. Anche contro l’opinione di Silvio Berlusconi
colloquio con Savino Pezzotta di Susanna Turco on la Cgil (di Cofferati prima, di Epifani poi) ha passato ore, quando non giorni interi, a litigare. Il Patto per l’Italia, il rinnovo del contratto dei metalmeccanici, la legge Biagi, la riforma della contrattazione, per citare i casi più clamorosi. Eppure oggi proprio lui, Savino Pezzotta, deputato dell’Unione di centro ed ex segretario generale della Cisl, invita a «non demonizzare la Cgil» che ha scelto in solitudine la via dello sciopero generale del 12 dicembre e invece a «comprendere le ragioni per le quali una delle più grandi organizzazioni sindacali decide di andare in piazza». «È una necessità», spiega, «i tempi che vengono avranno bisogno del massimo di coesione. L’onda della recessione sta avanzando, solo un sindacato unitario è in grado di reggere l’urto».
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Il vero premier
segue a pagina 6
Telecom nel ciclone In arrivo altri tagli
alle pagine 2, 3, 4 e 5
di Francesco Pacifico a pagina 7
Il Segretario di Stato Usa in India. Nuovo attentato sventato a Mumbai
Boom della poligamia (tollerata) nel Vecchio Continente
La Rice minaccia il Pakistan
L’Europa invasa dagli harem
«Islamabad deve collaborare con Delhi contro il terrorismo» di Vincenzo Faccioli Pintozzi
di Daniel Pipes
li Stati Uniti intervengono per mediare la crisi che di. Se ci dovessero essere prove nei confronti di pakistani si è scatenata fra India e Pakistan dopo gli attenta- coinvolti in atti terroristici o di terroristi che si trovano sul ti che la scorsa settimana hanno colpisuolo pakistano, noi li porteremo nei nostri trito Mumbai, la capitale finanziaria delbunali, li processeremo e li condanneremo nel l’India. Da Delhi, dove è giunta ieri, il Segretanostro Paese». Una posizione che il Dipartirio di Stato americano Condoleezza Rice ha mento di Stato Usa non ha gradito. Per la Rice, infatti invitato il governo pakistano ad agire infatti, «questo è un momento che richiede una «con pienezza e trasparenza» per consegnare piena e trasparente cooperazione da parte di alla giustizia i terroristi. Una risposta, neanche tutti. In particolar modo, abbiamo bisogno che troppo diplomatica, alle dichiarazioni del preanche il Pakistan faccia la sua parte». D’altra sidente pakistano Asif Ali Zardari, che nella parte, il capo uscente della diplomazia amerimattinata di ieri aveva dichiarato che il suo cana ha bacchettato anche l’India: «Non devoPaese «non consegnerà all’India nessun terrono essere intraprese azioni inconsulte, sprorista ricercato, se Nuova Delhi non fornirà proporzionate rispetto a quanto accade. Ogni pasCondoleezza Rice, ve della loro colpevolezza». Nel corso dell’inso ha bisogno di essere giudicato in base alla ieri in India tervento, mandato in onda durante il popolasua efficacia nel campo della prevenzione di per mediare la crisi rissimo Larry King Show, Zardari ha poi soogni ulteriore spargimento di sangue». con il Pakistan segue a pagina 17 stenuto che i terroristi di Mumbai «sono apoli-
n giudice scozzese ha di recente piegato la legge a favore di una famiglia poligama. Un uomo musulmano andava a 64 miglia all’ora in una zona in cui il limite era di 30: a rigore, gli avrebbero dovuto ritirare la patente. Il difensore ha spiegato che il suo cliente aveva la necessità di andare veloce: «Ha una moglie a Motherwell e un’altra a Glasgow: ogni notte dorme con l’una e con l’altra. Senza la patente, non potrebbe farlo». Compassionevole verso la poligama, il giudice gli ha permesso di tenersi la licenza. Insomma, la monogamia, fondamento della civiltà occidentale, è erosa sotto la sfida della legge islamica.
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CON I QUADERNI)
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Duelli al vertice. Dietro alla vicenda sull’imposta alla pay tv, l’ennesimo conflitto sulla politica del governo
Berlusconi commissariato Manovra triennale, norme anticrisi, tredicesime detassate, Iva su Sky Ogni volta che premier e Tremonti si sono scontrati, ha vinto il ministro ROMA. Giulio Tremonti soddisfa almeno le attese del presidente della Repubblica. «C’è una grave sottovalutazione del ruolo dell’Europa da parte della politica», dice Napolitano. Il ministro dell’Economia è senz’altro tra quelli che tengono nella dovuta considerazione le istituzioni comunitarie. Almeno da quando ha scritto La paura e la speranza indicando così nelle istituzioni europee la sola arma di difesa possibile i fronte allo strabordare delle economie emergenti. Il Professore di Sondrio impone la sua inedita linea ultra-rigorista con la Finanziaria e con le altre misure adottate dal Consiglio dei ministri. Anche con il decreto anti-crisi e l’acclusa norma sul riallineamento dell’Iva per la tv satellitare. Certo, a voler essere pignoli c’è un lieve discostamento tra le indicazioni di Bruxelles e le correzioni di Roma. L’11 aprile dell’anno scorso la direzione generale per la Fiscalità della Ue suggerì al governo italiano di adottare, per le trasmissioni in digitale terrestre – quindi anche per Mediaset Premium – la stessa aliquota prevista per le tv via cavo e per il satellite. Si sarebbe dunque dovuto introdurre il 10 per cento per tutti, piuttosto che innalzare il prelievo su Sky al 20. Ma
di Errico Novi in ballo c’erano 200 milioni di euro. Perché rinunciarci, visto che ieri Bruxelles ha spiegato che «il caso è chiuso»? E poi sarebbe stato mediaticamente ancora più complicato spiegare che bisognava abbassare le tasse all’azienda del premier.
C’era altro da fare? Forse sì: lasciare che la Commissione europea avviasse l’ennesima procedura di infrazione. L’Italia può contarne già decine e nes-
Se n’è avuta prova a inizio ottobre, quando in una delle sue visite napoletane il presidente del Consiglio ha provato a sdrammatizzare la crisi: «Comprate azioni Enel e Eni, sono sicure, non lasciatevi sopraffare dalla sfiducia». Quasi contemporaneamente Tremonti descrive il crollo dei mercati come «una frattura decisiva nella storia del capitalismo». È una premessa di metodo, che segna tutti i passaggi successivi del governo.Via
Con lo spietato rigore imposto a tutto l’esecutivo il Professore di Sondrio costruisce un profilo di leader alternativo all’ottimismo del capo. E sembra vendicarsi dell’onta subita nel 2005, quando Silvio non impedì la sua deposizione suno avrebbe gridato allo scandalo. È in fondo quello che Silvio Berlusconi ha chiesto al suo superministro l’altro ieri, nella cruciale telefonata tra Tirana e Bruxelles. Tremonti ha spiegato che le richieste della Ue vanno soddisfatte, e ha tirato dritto. Risultato? Il presidente del Consiglio è rimasto impelagato in una scivolosissima polemica con l’opposizione e i maggiori quotidiani del Paese. Non è la prima volta che Tremonti si permette di compiere scelte non
Tutti i “pruriti” di Umberto Bossi
Quando il Cavaliere non c’è, i leghisti ballano di Irene Trentin
del tutto condivise dal Cavaliere. Dall’inizio della legislatura le occasioni di dissenso in cui Via XX Settembre si è imposta su Palazzo Chigi sono almeno quattro. Il caso Sky è solo l’ultimo della serie. Il più imprevedibile, ma anche il più importante, è rappresentato dai tagli inflitti dal ministro delle Finanze con la manovra triennale varata a luglio. Berlusconi avrebbe preferito una maggiore flessibilità. Tremonti è riuscito invece a
me. Anche in questo caso non ci sono margini.
commissariare il resto del governo. Con misure così rigide l’autonomia dei singoli dicasteri è chiaramente ridotta.
È quello il periodo in cui il premier ha cominciato a lamentarsi dell’eccessivo margine di movimento acquisito dal ministro dell’Economia. L’estate non ha modificato gli equilibri.
XX Settembre mette a punto una politica rigorista, improntata all’assoluto rispetto dei parametri Ue. Berlusconi predica ottimismo, il suo ministro dell’Economia spiega che il peggio deve ancora venire e che proprio per questo bisogna impugnare la scure. È a partire da tali presupposti che viene varata la Finanziaria 2009. Ed è sempre il realismo catastrofista di Tremonti a cancellare una misura invece agognata dal premier, la detassazione delle tredicesi-
Tutti commissariati. Berlusconi per primo. Deve adattarsi all’immagine di presidente del Consiglio severo, diventa il Cavaliere dell’austerity. Non può sbilanciarsi in previsioni incoraggianti: c’è sempre Giulio dietro l’angolo a sconfessarlo. Gli altri ministri si attengono alle scelte di Via XX Settembre. Alla fine del Consiglio dei ministri Tremonti ci scherza su: «Siete tutti ministri senza portafoglio». Al danno si aggiunge la beffa. Tutto sembra perfettamente orchestrato per completare una sottile implacabile vendetta: Tremonti subì l’onta della deposizione nel giugno 2005, e quella volta Berlusconi consentì con il suo atteggiamento rassegnato il compimento dell’operazione. Oggi il cerchio può chiudersi, e Giulio può piantare i pilastri della sua futura leadership anche in contrasto con il capo. È lui ad aver messo in riga le banche, a far tremare Palazzo Koch come Mariastella Gelmini, che presenta i tagli all’istruzione dopo esserseli fatti dettare dai tecnici delle Finanze. Adesso, nel pieno della tempesta, sarebbe impossibile liberarsi di nuovo del superministro.
ROMA. Quando il gioco si fa duro entra- chiare lettere, lunedì ad Arcore. Non ci no in campo i mediatori. Non dev’essere stata risolutiva la consueta cena di Arcore di lunedì se Aldo Brancher, ieri, si è dovuto rivedere a cena con Umberto Bossi per fare il punto. I nodi irrisolti restano. Sul Veneto la Lega non è riuscita nell’impresa di cacciare l’Udc dalla maggioranza, mossa che in realtà mirava a indebolire la sedia di Giancarlo Galan, che il Carroccio ha da tempo nel mirino. Berlusconi l’ha capito bene e stavolta, a differenza dell’Abruzzo, l’Udc è venuta buona per frenare le pretese di Umberto Bossi, aumentate a dismisura con i sondaggi. Lega saldamente primo partito in Veneto, e il senatur continua ad arare il terreno: domenica sarà a Monselice, nel Padovano. E ora ci si mette anche il caso Sky a minare la popolarità del premier. Il caso delle tv a pagamento non è andato proprio giù alla Lega, l’hanno detto a
voleva una nuova mina con l’opposizione che appesantisce il carico parlamentare, mettendo a rischio la corsia preferenziale assicurata al federalismo fiscale. Cosicché il decreto anti-crisi (contenente l’aumento dell’Iva per Sky) già depositato al Senato, martedì mattina è stato in tutta fretta trasferito alla Camera, per non far inquietare la Lega che al Senato ha già fissato con Schifani la road map del federalismo. Semmai, la Lega è interessata al tema sicurezza e terrorismo e Roberto Cota fa una proposta, dopo la recente inchiesta di Milano, volta a una moratoria all’apertura di nuove moschee, che registra la clamorosa adesione, nel Pd, della cattolicissima Binetti. Altra cosa è la tv. «Con tutti i problemi che ci sono, la questione Sky non è quella centrale, non si mangia con le pay tv», dice Cota. E neanche con la Rai, la telenovela Villari non interessa alla Lega. Berlusconi ha assicurato di nuovo che entro fine anno il testo Calderoli approderà in aula a Palazzo Madama ed entro gennaio ci sarà il voto finale del Senato. Ma Bossi, che ha dovuto cedere sul Veneto, non è così convinto che sul federalismo vada tutto liscio. A peggiorare la situazione ci si è messa la campagna di Li-
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Parlano gli ex-professori di Forza Italia, sempre più ai margini
Gli intellettuali Pdl «A noi ci ignora» di Riccardo Paradisi
ROMA. Al massimo del consenso politico Silvio Berlusconi e il centrodestra sono al minimo del consenso culturale nel Paese. Non c’è solo la polemica che oggi investe la gestione del ministero dei Beni culturali e che ieri è montata dalle università contro il governo. Sembra in corso anche la smoblitazione di quel nucleo di attivismo intellettuale – fatto di fondazioni e centri studi – che aveva tentato di immaginare per Forza Italia e per il centrodestra italiano una cultura politica per organizzare anche una politica culturale.
Un problema che alla vigilia della fusione tra forza Italia e An Il Giornale di Berlusconi sembra avvertire aprendo con Stenio Solinas un dibattito sul tema della cultura del centrodestra italiano: «Oltre a un orgoglio proprio della cultura del fare, manageriale, c’è nel centrodestra un irrisolto complesso di inferiorità nei confronti della cultura in quanto tale – nota Solinas – a torto o a ragione considerata estranea, ostile, terreno avversario». Un complesso in origine anche giustificabile ma che dopo quindici anni di pratica di governo e di opposizione «assume l’aspetto di un errore politico, perpetua una spaccatura del Paese, presta il fianco all’irrisione culturale altrui». Oltre a presentarsi come un paradosso, visto il peso e il potere oggettivo della cultura, come rendita di posizioni, come fonte generatrice di opinioni, inclinazioni, soprattutto di consenso «che permette di conservare quello che nasce dalle urne, ovvero di meglio resistervi». Certo, si può anche dire con Gianni Baget Bozzo che «la cultura di Silvio Berlusconi è una cultura implicita», che «nel mondo che cambia l’intuizione vale più del ragionamento, il percepire la realtà vale più della giustificazione del proprio pensiero». Una cultura senza parole che spiega «le ragioni per cui il movimento berlusconiano ha assunto il nome di Forza Italia. Né la Dc né il Pci hanno mai dato forma politica alla nazione Italia come valore». Ma dopo? Che ne sarà del decisionismo della destra quando sulla medialunga durata il decisore non ci sarà più o farà altro? Non resterà sul terreno delle idee la sedimentazione di un’immagine del Paese e della destra stessa disegnata nelle dimensioni del cinema, della narrativa della saggistica dai suoi avversari? «Berlusconi dovrebbe fare una politica culturale, affidarsi a qualcuno capace di disegnarne la strategia». Piero Me-
lograni faceva parte, con Lucio Colletti e Saverio Vertone, della pattuglia dei professori che entrò in Parlamento con il primo governo Berlusconi, dice: «È che Berlusconi diffida degli intellettuali, forse chissà, lo deludemmo proprio noi». Anche se i professori dentro Forza Italia restarono sempre marginali, senza incarichi rilevanti. È lo stesso Melograni a raccontare come alla bouvet del Senato i caffè tra lui e Colletti si susseguivano parlando del pessimismo cosmico di Giacomo Leopardi. «Ma Lucio esagerava con il suo veder nero». Il fatto è, secondo Melograni, che Berlusconi non ha intorno nessuno che lo consigli per instaurare col mondo della cultura e delle istituzioni culturali un rapporto più positivo e proficuo. «Persino Mussolini, che pure aveva instaurato un regime, si era preoccupato di stabilire un rapporto attivo con certi settori della cultura italiana. peraltro di prim’ordine».
Insomma se anche un regime non democratico ha bisogno di una cultura come può farne a meno, per convincere e persuadere, una forza politica e un governo che si muovono in una dimensione democratica? Dove l’opinione pubblica si dovrebbe formare all’interno di un mercato plurale delle idee? «Il problema di una sottorappresentazione intellettuale del centrodestra esiste ma non si risolve con Gramsci e la sua egemonia», ragiona l’ex presidente del Senato Marcello Pera. «Non c’è una funzione dell’intellettuale nel centrodestra, non c’è l’idea di costruirsi come cenacolo d’indirizzo politico». Col risultato che però gli intellettuali malgrado tutto vicini al centrodestra hanno pudore a dichiarare questa vicinanza, comprese le firme moderate del Corriere della Sera, dove a ogni apertura di credito verso la destra seguono o precedono sempre almeno tre distinguo. «La realtà è che la classe politica di centrodestra non ha comprensione del valore della cultura», secondo Stefano Zecchi e questo impedisce non la vecchia egemonia ma almeno anche solo un rapporto virtuoso tra il centrodestra e la cultura: «Lei sa – chiede Zecchi – quanti assessori alla cultura di centrodestra ci sono in Lombardia? Uno: tutti gli altri vengono da altre esperienze, da altre formazioni. Del resto la prima cosa che ha fatto il nuovo ministro della cultura è stato il legittimarsi a sinistra». Con Gramsci, a proposito di paradossi.
Polemiche sui Beni culturali, contestazioni nelle università, smobilitazione dei centri studi
bero per abolire le Province. Che invece Calderoli ha ripetutamente incontrato, inventando per loro anche una tassa ad hoc, legata alla proprietà dei veicoli, altro che abolizione. E anche Bossi chiarisce che, per lui, le Province «sono utili, perché costituiscono l’identità del territorio». Il giornale di Vittorio Feltri invece continua a ripetere che abolendole si risparmierebbero 26 miliardi, e a urtare la Lega c’è anche il fatto che l’inchiesta di Libero sia partita da un bossiano convertito al berlusconismo come l’ex direttore della Padania Giancarlo Paragone. Insomma: il caso Rai e il caso Sky avvelenano i pozzi con l’opposizione, i giornalisti vicini al Pdl seminano zizzania con gli enti locali... Così un clima di condivisione che favorisca l’avvio del federalismo è pura utopia, e il paziente lavoro di semina di Calderoli va a monte. Il Pd è tentato di inserirsi nella vicenda, spingendo il Pdl ad abbracciare la campagna anti-province, anche «aggirando Bossi». Solo uno «sterile tentativo di mettere zizzania nella maggioranza», dice il deputato leghista Giacomo Stucchi, segretario dell’Ufficio di presidenza della Camera. Ma di certo i rapporti fra Pdl e Lega, rispetto ad inizio della legislatura, sono al minimo storico.
Giulio Tremonti ha commissariato il resto del governo. È lui a dominare la scena: ieri si è preso la briga di spiegare alla Camera perché le tariffe non sono state bloccate: «Devono scendere». Incassa i meriti, lascia al premier i passaggi più insidiosi, come quello su Sky. Il suo peso nella maggioranza è accresciuto dalla capacità di mediazione con Bossi (qui a sinistra). E anche dal fatto di essere ormai l’unico “ideologo” dotato di diritto di parola in FI. Gli altri, da Marcello Pera a Piero Melograni (nella pagina a fianco) sono ridotti al silenzio
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L’editto. Una reazione sbagliata che però non tradisce lo stile del Cavaliere punto su un argomento ”sensibile”
Il Corriere tradito Perché Berlusconi ora attacca un giornale che dopo le elezioni non gli era più avverso? di Franco Insardà
ROMA. La storia si ripete. Dopo l’editto bulgaro arriva quello albanese. Il protagonista è sempre lui: Silvio Berlusconi. Il premier preso in contropiede dalla vicenda Sky ha reagito alla sua maniera scagliandosi contro i direttori della Stampa e del Corriere della Sera: «Chi li guida cambi mestiere» ha detto al suo rientro a Roma. Giulio Anselmi e Paolo Mieli sarebbero colpevoli il primo di aver titolato ”Berlusconi contro Sky”, l’altro per la vignetta di Giannelli, pubblicata lunedì 1 dicembre con il Berlusconi Babbo Natale che regala all’altro Berlusconi il raddoppio dell’Iva per Sky. Tutti si sono meravigliati per l’attacco del presidente del Consiglio soprattutto nei confronti di via Solferino. Il Corriere della Sera ha avuto, infatti, sempre una posizione terzista di non aperta ostilità nei confronti di Palazzo Chigi. «Più che terzista - dice Giuliano Zincone, una delle firme più autorevoli - direi proprio cerchiobottista per sua stessa ammissione. Il giornale, cioè, non è particolarmente ostile, né dichiaratamente favorevole al governo Berlusconi. È ovvio, però, che non lo si può considerare berlusconiano». Ma allora come mai il premier ha reagito così violentemente? Edmondo Berselli, attento commentatore del gruppo Espresso, ha una sua chiave di lettura: «È fatto così. Quando Berlusconi - dice - viene toccato sul vivo reagisce in modo violento. Il timore di perdere consensi per una vicenda che lo tocca personalmente lo manda su tutte le furie. Non è nel suo modo di essere in occasioni simili agire in modo razionale». Per Berselli Giulio Anselmi e Paolo Mieli non rischiano di fare la stessa fine di Santoro e Biagi dopo l’editto bulgaro; «Assolutamente no. Almeno per qualche tempo i due direttori rimarranno al loro posto. Quasi blindati dopo questo attacco del premier». Il giudizio dell’editorialista del Riformista Andrea Romano è più netto: «Si tratta di una perdita di lucidità politica. Tutti i primi ministri sono sotto l’occhio vigile della stampa. Lo
stesso Tony Blair, che durante gli anni del suo governo aveva cercato il consenso dei giornali, alla fine si lamentò dell’attenzione continua dei media definendola penalizzante per la sua azione di governo. L’attacco di Berlusconi, però, è diversa nei modi. Non si può accusare due professionisti equilibrati di non saper fare il proprio mestiere».
Il giudizio di Edmondo Berselli, Andrea Romano e Giuliano Zincone sulla sortita albanese del premier Insomma il premier è un politico atipico. «Prima dell’arrivo di Silvio Berlusconi - dice ancora Giuliano Zincone - i vecchi politici facevano telefonate segrete per chiedere la testa dei giornalisti scomodi. È successo anche a me. Un bravo politico democristiano non avrebbe mai fatto né l’editto bulgaro, né quello albanese. Dire certe cose in pubblico, come fa il presidente del Consiglio, è senza dubbio una gaffe gravissima. Gianni Letta dovrebbe organiz-
zare il sito www.staiunpo’zitto.com per invitarlo a non fare dichiarazioni imprudenti, come, invece, fa spesso».
Il carattere impulsivo del premier lo porta, quindi, a reagire in questo modo. Secondo Berselli e Zincone dietro non ci sarebbe alcun disegno politico, soltanto una reazione impulsiva. «Non condivido il suo atteggiamento - dice Giuliano Zincone -, ma è tipicamente berlusconesco, uno stile deprecabile. Come quando ha definito Barack Obama ”abbronzato”. Una cosa impensabile per un Primo ministro al quale la diplomazia non consente alcun apprezzamento su un capo di Stato. Figuriamoci sul presidente degli Stati Uniti. Eppure Berlusconi lo ha fatto, non mi meraviglio, dunque, che adesso abbia avuto queste uscite nei confronti dei direttori dei giornali. E pur vero che se per i giornalisti esiste il diritto di critica c’è un altrettanto sacrosanto diritto alla risposta ». Anche Edmondo Berselli non esaspera il giudizio: «Non penso si possa parlare di regime. Berlusconi ha reagito istintivamente. Esiste un problema abnorme per il sistema televisivo e lui, seguendo un istinto predatorio, ha la tendenza ad azzannare chi tenta di toccare la sua roba».
Tremonti: non saranno retroattivi gli effetti del piano anticrisi
Bonus energia: un’altra marcia indietro ROMA. Il governo continua a passo di gambero sulle norme anticrisi. Dopo la marcia indietro di ieri l’altro sul blocco delle tariffe (ci siamo sbagliati, aveva spiegato Tremonti: la decisione sulle tariffe spetta all’Authority), ieri è toccato al bonus energia. Il Parlamento toglierà la “retroattività” dalla norma che introduce modifiche al bonus fiscale del 55% sugli interventi in merito al risparmio energetico. Lo ha detto ancora una volta il superministro Tremonti, durante un’audizione alla Camera. Il titolare dell’Economia, comunque, ha difeso la logica dei meccanismi che impediscono di sfondare le coperture. «La retroattività non ci può essere e il Parlamento la correggerà ha detto Tremonti - ma voglio sul futuro ribadire un criterio: il crediti di imposta non sono e non possono essere un bancomat. Troppe volte sono stati utilizzati come bancomat». Tremonti, in sostanza, contesta come “incivile” l’introduzione di
crediti di imposta che poi non sono sufficientemente coperti e ieri ha assicurato che «questo non accadrà con il nostro governo».Tremonti, illustrando i contenuti principali del piano anti-crisi del governo, ha anche ribadito che «le bollette devono scendere», anche se non ha spiegato come né quando. Si è limitato a ricordare che al terzo articolo del provvedimento, c’è il blocco delle tariffe dei servizi erogati dalla pubblica amministrazione; per le tariffe energetiche - ha aggiunto - «abbiamo attivato dei meccanismi all’interno delle Authority per farle scendere». Con tutta evidenza, il superministro spera nella buona sorte, ossia sul calo del prezzo delle materie prime: «Se avessimo bloccato le tariffe – ha spiegato - avremmo ottenuto un effetto negativo», ma il Governo «pensa che stanno già scendendo per effetto del mercato e dei meccanismi di calcolo ma noi vogliamo che scendano di più».
Un retroscena che è circolato in queste ore vedrebbe in questo attacco di Silvio Berlusconi soprattutto al Corriere della Serauna sorta di vendetta trasversale per lo spazio che il quotidiano di via Solferino sta concedendo al ministro dell’Economia, Giulio Tremonti. «C’è molta dietrologia in questa ricostruzione - dice Giuliano Zincone -. Berlusconi e Tremonti sono d’accordo e recitano uno la parte del poliziotto buono, l’altra quella del cattivo: i due ruoli sono abbastanza chiari. Così come è evidente che tutti i ministri vorrebbero avere a disposizione più fondi per ottenere maggiori consensi. C’è però il ministro dell’Economia che li tiene a freno.Tutti tranne uno: il presidente del Consiglio che, però, accetta, condividendole le decisioni di Tremonti. Bisogna, infine, essere realisti e conside-
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L’ex-premier, di fatto, ha frenato la battaglia per il tributo a Sky
E Prodi alzò l’Iva al Partito democratico di Antonio Funiciello
ROMA. Al Partito Democratico, che la sponda a Berlusconi e Tremonti, sull’aumento dell’Iva per Sky, la offrisse proprio Prodi un po’ se l’aspettavano. Dopo tutto l’allineamento delle aliquote era una richiesta precisa dell’Ue e che venisse fuori, presto o tardi, l’impegno in tal senso del vecchio governo era prevedibile. E poi, ci dice un dirigente importante del Pd, «Prodi non perde e non perderà occasione di farci le pulci. Non per niente si è messo fuori il partito e non ha voluto restare presidente dell’assemblea costituente, malgrado gliel’abbiano chiesto tutti: dal segretario ai portieri del Nazareno». Fino ad oggi, in effetti, il primo luogo tenente di Prodi nel Pd, Arturo Parisi, con la sua corrente i Democratici per la Democrazia, ha guerreggiato a viso aperto contro Veltroni: «Parisi è solo la testa d’ariete, serve ad aprire crepe che poi sfruttano altri». Insomma, ridurre il caos primordiale del Pd alla sola contrapposizione tra D’Alema e Veltroni è riduttivo. Prodi non fa parte ancora del passato democratico.
dell’allargamento dell’Ue ad Est, poi il convincimento che Prodi non vorrebbe mai aiutare Veltroni a risolvere il suo maggiore problema, lasciano credere che saranno sempre meno quelli che nel Pd vorranno investire Prodi di quest’opera di moral suasion. E poi D’Alema è pur sempre quello che ha sostituito il Professore a Palazzo Chigi alla caduta del primo e più fortunato suo governo.
Nel Pd, Prodi ha ormai pochi amici. Oltre gli ultra-prodiani di Parisi e i prodiano-moderati di Rosy Bindi, tra gli ex Margherita c’è poco altro. Il vecchio contrasto tra Marini e Prodi fa sì che i popolari non guardino a lui come a un punto di riferimento. Meno ancora gli amici di Prodi tra gli ex Ds. L’unico nome illustre è forse quello di Piero Fassino, che gli dimostrò lealtà politica quando non pretese di entrare nel suo secondo governo dopo aver guidato i Democratici di Sinistra nei cinque anni precedenti di opposizione. Tuttavia del Pd Fassino non è proprio tra i maggiori azionisti, cosa che depotenzia l’efficacia politica di questa amicizia. Prodi sa bene di essere isolato. Ed è, in fondo, per questa ragione che ha voluto a tutti i costi far credere che fosse lui a dire addio al Pd e non viceversa. Se avesse accettato di fare il presidente del partito avrebbe ufficializzato la sua marginalità politica nell’attuale ceto dirigente democratico. Stare fuori è un modo per rafforzare il proprio prestigio personale ed avere le mani libere per prendersi qualche piccola rivincita. Quella sull’Iva di Sky non è la prima; e, c’è da scommetterci, non sarà l’ultima.
I democratici cominciano a temere il possibile ritorno del Professore: e Parisi promette battaglia in vista della direzione
rare che la forza dei media nel condizionare l’opinione pubblica è quasi nulla. Sono potentissimi nel confermare le opinioni che uno già ha, ma debolissimi nello spostare i consensi».
Che esista, comunque, qualche elemento di tensione tra Berlusconi è Tremonti Berselli non lo escude: «Più che una rivalità psicologica c’è un problema di ruoli. Il premier guarda i sondaggi e quindi teme che qualsiasi decisione possa far calare i consensi e il ministro dell’Economia con i suoi no spesso gli fa perdere la calma». La popolarità è uno dei pallini del premier: «Proprio così conclude Andrea Romano - e la vicenda Sky non riguarda un pubblico di elite, ma un ceto medio che sta molto a cuore a Berlusconi. Tanto da portarlo a reazioni scomposte».
Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ha accusato il direttore del Corriere della Sera, Paolo Mieli e il suo collega della Stampa, Giulio Anselmi di non saper fare il loro mestiere. A destra, Romano Prodi
Non è improbabile che, dopo aver lanciato una vera e propria campagna di delegittimazione di Veltroni, contestandone la conduzione interna del partito e l’assenza di democrazia e di regole, Parisi e i suoi provino a forzare la mano alla Direzione nazionale del 19 dicembre. Magari contestando la legittimità stessa dell’assise dei 120 membri a cui sei mesi fa furono trasferiti quasi tutti i poteri e le funzioni originariamente appannaggio dei 2800 delegati costituenti. Parisi contestò fieramente questa decisione, avviando un’agguerrita azione di contrasto dell’organismo voluto da Veltroni, fino a sostenere che il modo cencelliano con cui la Direzione era stata costituita, in ragione delle vecchie correnti di derivazione ex Ds ed ex Dl, mortificava l’idea stessa di Pd nella sua ispirazione primigenia. Parole grosse. Concluse con una richiesta formale di nuova convocazione dell’Assemblea costituente che però, ad oggi, malgrado la guerriglia continui, non ha avuto esito felice. Romano Prodi si è tenuto fuori dalle file dell’assalto alla segreteria veltroniana. I numerosi viaggi ufficiali nel mondo, il nuovo incarico alle Nazioni Unite a guida di un gruppo di lavoro Onu-Unione Africana sulle missioni di peacekeeping in Africa, e il desiderio di rifugiarsi nel buen retiro bolognese, lo tengono lontano da quella «casa di appuntamenti» (Tonini) o, che dir si voglia, «giungla» (Bettini) che è oggi il Pd. Ai pochi che nel partito insistono a voler richiedere un suo personale interessamento per fare di Massimo D’Alema il prossimo presidente del Parlamento europeo, i più rispondono scetticamente. Si ritiene che Prodi, in virtù del prestigio che gli deriva dall’essere stato a capo della Commissione europea prima di Barroso, possa influenzare i gruppi parlamentari del Ppe e del Pse, convincendoli a scegliere D’Alema. Ma prima la recente sortita di quest’ultimo in polemica con le modalità e i tempi
politica
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Piazze. L’ex leader cislino invita a non demonizzare lo sciopero: «Bisogna comprendere le sue ragioni»
«Epifani? Io lo capisco» Pezzotta apre alla Cgil colloquio con Savino Pezzotta di Susanna Turco segue dalla prima Savino Pezzotta, ma non è proprio lei quel sindacalista che, insieme con Angeletti, nel 2002 firmò il Patto per l’Italia col governo Berlusconi, rompendo clamorosamente l’unità sindacale? Ho firmato, certo, ma in una situazione economica del tutto diversa da oggi. Adesso la prospettiva è di una difficoltà terribile: i posti di lavoro, la crisi di interi settori, la cassa integrazione... Ci stiamo avvicinando a una situazione davvero dura sul piano produttivo e quindi su quello della tenuta occupazionale. Ed è una differenza fondamentale rispetto al 2002. Dopodiché bisogna anche dire che, fatto l’accordo, non è che il governo l’abbia rispettato molto, quindi poi siamo tornati in piazza. E oggi? Oggi il problema è non rendere irreversibili le scelte. Degli uni e degli altri. Non serve a nulla la logica di demonizzare la Cgil come se fosse responsabile di tutti i mali. Al contrario, senza neanche enfatizzare le sue decisioni, dobbiamo capire le ragioni per cui va in piazza. Ma chi è che demonizza? Il governo, anzitutto. Alcuni giornali. Anche la polemica tra le confederazioni è molto alta. Ma ognuno deve compiere il proprio percorso avendo come esigenza finale quella di rimettersi insieme. Un sindacato diviso non serve a nessuno. Mentre un sindacato unito serve ai lavoratori, a gestire le cassaintegrazioni e tutto il resto. Serve persino al governo. Pure a lui? Certo, perché un fronte frammentato e diviso non consente di governare la complessità di questo momento. Per cui io sarei più colomba che falco se fossi nei loro panni. Bisogna capire le ragioni della Cgil.
Devono sforzarsi anche le altre sigle? Naturalmente. Va da sé che anche la Cgil deve fare questo sforzo. Bisogna evitare di enfatizzare le divisioni che ci sono, le conosciamo già, non c’è bisogno di lucidarle. Domenica il segretario della Cisl Raffaele Bonanni ha detto al Corriere di essere pronto a fare un passo verso Epifani. Le aperture di Bonanni vanno tutte bene. Per governare questo Paese serve una convergenza su certi obiettivi. Anche la
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stione di fasi: nel 2002 quella non era una priorità, oggi sì. L’unità sindacale è sempre un obiettivo cui tendere. In questo momento serve ad affrontare la priorità somma: la crisi economica. L’onda della recessione sta avanzando, solo un sindacato unitario è in grado di reggere l’urto. Secondo Bonanni, di questa necessità di fare corpo unico la politica si è resa conto ancor meno di quanto abbia fatto il sindacato. C’è una differenza fondamen-
Passata la protesta, i sindacati dovrebbero avviare una linea di convergenza:marciare divisi,magari,ma colpire uniti. Nella crisi,l’unità si fa necessaria.Anche per il governo
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riforma del modello contrattuale, che oggi non è più urgente come ieri perché l’ordine delle priorità è cambiato, bisogna farla insieme: e questo lo sa anche Confindustria. Ma lei condivide le ragioni dello sciopero indetto da Epifani? Io non mi metto in questa fase a fare il partigiano. Servono persone che, più di dare giudizi, cercano di aiutare a convergere. Se evito l’onda di chi demonizza è perché sono convinto che senza un minimo di unità sindacale non si arriva da nessuna parte. Quindi è anche una que-
tale di obiettivi. Il sindacato deve per sua natura trovare unità. La politica per sua natura deve mantenere la dialettica, anche se io dico che bisogna cominciare a pensare se in una situazione di questo genere sia il caso di andare avanti così. Così come? Come fa il governo. Ci troviamo davanti a una serie di decreti sui quali non c’è stato dialogo con l’opposizione. Ed è invece ciò che serve per affrontare la crisi. Come giudica il pacchetto anticrisi? Abbastanza debole, si perde in tanti rivoli ma non arriva al
nocciolo: quale è il progetto che si mette in campo? Non bastano le piccole cose di cui si parla in questi giorni, bisognava sfruttare di più le possibilità offerte dai parametri europei. Serviva una scossa. Ma se il giudizio è questo la Cgil scioperista si è messa un passo avanti agli altri. O no? Questo non lo so. Dico che se decide di fare lo sciopero generale bisogna capire le sue ragioni, e quali di esse sono recuperabili. Per riunificare i sindacati? Per realizzare una convergenza nella quale ognuno mantiene la propria identità, ma scegliendo obiettivi condivisi. Come diceva Pastore: marciare divisi per colpire uniti.
in breve Gianni Letta difende Zavoli «Dispiace che il nome di Zavoli sia stato trascinato in una vicenda in cui, alla luce di quanto sta succedendo, sarebbe stato meglio non coinvolgerlo». Lo ha detto Gianni Letta, sottosegretario alla presidenza del Consiglio in occasione della cerimonia di assegnazione dei Premi Coni-Ussi 2008. Fra i premiati, appunto, c’era anche Sergio Zavoli, il senatore del Partito democratico, candidato alla presidenza della Commissione di Vigilanza Rai in sostituzione dell’altro democratico Riccardo Villari, eletto alla presidenza della Commissione con i soli voti della maggioranza. «Zavoli è un maestro, un esempio del mondo del giornalismo, ma anche del mondo delle Istituzioni - ha aggiunto Letta -, un testimone al servizio dello Stato. Sono felice di questo Premio che ti ripaga di qualcosa che il mondo delle Istituzioni ancora non è riuscito a darti», ha concluso Letta rivolgendosi direttamente a Zavoli.
Le tredicesime copriranno i debiti?
Quando dovrebbe cominciare questa marcia, il 13 dicembre? All’indomani dello sciopero. Naturalmente. Col senno di poi: la piazza o gli accordi? Avendo già sperimentato in prima persona che significa fare accordi con questo governo un po’ di prudenza ce l’avrei. Però ci vorrebbe anche meno massimalismo. Né in piazza, né a cena col nemico? Io non demonizzo nessuna delle due, dico che tra la piazza e la cena c’è un terzo posto: i luoghi istituzionali.
Verranno accreditate in questi giorni le tredicesime che quest’anno, al netto, saranno pari, complessivamente, a 35 miliardi di euro che andranno per 10 miliardi ai pensionati e 25 mld ai lavoratori dipendenti. Secondo Adusbef e Federconsumatori, che hanno commpilato la stima, aggiungono che il 70% dell’importo complessivo sarà utilizzato per il pagamento di Rc auto, prestiti, rate, canone Rai, mutui, bolli auto, bollette ed utenze. Solo il restante 30% entrerà realmente nelle tasche di lavoratori e pensionati, per un totale di 10 miliardi, di cui, però, circa il 30-35% sarà destinato al risparmio, mentre il rimanente, pari a circa 6,5 miliardi, sarà speso per l’acquisto di regali, generi alimentari, ecc. In particolare i lavoratori spenderanno, per bollette e pagamenti in scadenza 980 euro a testa, destineranno al risparmio 147 euro e avranno a disposizione per le altre spese 273 euro, mentre i pensionati spenderanno 420 euro per i pagamenti, risparmieranno 63 euro, e avranno a disposizione per le altre spese 117 euro.
economia
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in breve Caso Abu Omar: pm contro premier Il piano di Telecom Italia 2009-2011 ha scontentato il mercato (-1,63 per cento il titolo a Milano) e preoccupato i sindacati per altri 4mila esuberi ai 5mila già previsti. In basso, l’amministratore delegato, Franco Bernabè
Piccoli passi. Presentato il piano industriale 2009-2011, che non piace a Piazza Affari (-1,63 per cento)
Telecom, compromesso tra Bernabè e Telefonica di Francesco Pacifico
ROMA. L’annuncio choc atteso dal mercato – scorporo della rete o conversione delle azioni risparmio – non è arrivato. E a piazza Affari il titolo Telecom è sprofondato anche sotto l’euro, per poi chiudere a 1,025 (-1,63 per cento). Il piano industriale 2009-2011 presentato ieri a Londra da Franco Bernabè viene considerato troppo conservativo. O meglio, un compromesso tra le esigenze degli azionisti italiani e quelle del socio forte Telefonica. E sono esigenze inconciliabili. Ai primi si garantisce un rilancio sul ricco mercato brasiliano e si prospetta nell’assemblea di febbraio la riduzione del dividendo per ridurre l’alto debito. Gli spagnoli, invece, vedono allontanarsi lo spettro di uno spin off della rete e il lancio di un aumento di capitale, propedeutico all’ingresso di fondi sovrani invocati dal governo per limitare il peso di Madrid e salvare l’italianità. «Difficile aspettarsi mosse sconsiderate da Bernabè. Parliamo di una petroliera, non certo di un veliero», nota Stefano Quintarelli, esperto di telecomunicazioni con un passato in I.Net e British Telecom. Ma quest’approccio stride con gli ambiziosi obiettivi finanziari annunciati dal manager
trentino. L’azienda prevede di ridurre i costi di 2 miliardi di euro entro il 2011 e, nello stesso lasso di tempo, aumentare i ricavi del 2 per cento all’anno e far calare l’indebitamento di almeno 5 miliardi.
Per raggiungere questi numeri non si intravedono nel piano un diverso modello di business o la caccia a nuovi mercati. Così le leve principali
bile e sfruttando le opportunità della migrazione fissomobile». Mentre Telefonica sogna un passo indietro del socio italiano ed è pronta a lanciare una serie di scambi azionari con Portugal Telecom e a ottenere il controllo della locale telefonia mobile. E la stessa logica si può vedere verso l’Argentina, dove si punta a esercitare l’opzione call e cercare un socio locale da sostituire alla famiglia Werthein. Tra le attività da mettere all’asta (oltre ad alcune parti de La7) vengono inserite la tedesca Hansenet, l’olandese BBNed,Ti Sparkle, che opera nel-
non intende fare scorpori societari, come auspicato dal mercato o dal Parlamento, ma andare avanti con la separazione funzionale Open Acess. Ma quando gli è stato chiesto dell’offerta di Cassa depositi e prestiti di fare la propria parte sulle infrastrutture, ha risposto: «Se deciderà di entrare in questo settore e avrà dei progetti, li studieremo. Ma al momento mi sembra tutto prematuro». Per Quintarelli, «siccome non si sta guardando a un prestito di via Goito, perché sarebbe un aiuto di Stato, il riferimento è all’ipotesi societarizzazione. Bernabè dice che Tele-
L’ex monopolista blinda le attività in Brasile e studia un taglio del dividendo per ridurre il debito. Ma per venire incontro ad Alierta rinuncia alla separazione della rete e all’aumento di capitale restano gli esuberi, che passano da 5mila a 9mila, e la cessione di asset per 3 miliardi di euro. Proprio guardando alle attività da tenere in casa e quelle da portare fuori dal perimetro si comprende come sia lontana da una conclusione la complessa partita a scacchi tra Bernabè e Cesar Alierta. Intanto è indicativa la blindatura sul futuro di Tim Brasil da parte dell’Ad di Telecom. Per lui il Brasile rappresenta «un solido mercato emergente in cui si vuole rafforzare il nostro posizionamento facendo leva sulle potenzialità del mo-
la connettività a banda larga e la quota detenuta nella cubana Etecsa. Proprio l’asset tedesco – un tempo incedibile perché attivo in un mercato non sviluppato appieno – interessa a Telefonica.
«Non si sa se alla fine Telefonica farà l’offerta migliore», nota Quintarelli, «anche se l’operazione potrebbe apparire come la firma di un armistizio. Ma il piano nel Bernabè non mancano del tutto aperture molto interessanti». Il riferimento è al futuro della rete. L’Ad ha chiarito che l’azienda
com non ci ha mai pensato, non che non lo farà mai». Quest’atteggiamento dell’ex monopolista potrebbe cambiare le strategie dei soggetti interessati – in primis l’Agcom – sul futuro della rete. Siccome la concorrenza basata sull’infrastruttura è realizzabile nei grandi centri, le aziende del settore puntano a rubarsi mercato con i servizi. «Il futuro», aggiunge Quintarelli, «è un modello come il club degli investimenti francesi, dove tutti gli operatori fanno la loro parte. Eppoi Telecom non può accollarsi l’intero costo di una Ngn».
Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, come il suo predecessore Romano Prodi, hanno avuto «l’aspirazione di usare il segreto di Stato per ostacolare la giustizia». Lo ha detto il procuratore aggiunto Armando Spataro nell’aula del processo in corso a Milano sul sequestro di Abu Omar. Le risposte fornite nei giorni scorsi dal premier, che ha ribadito come il segreto di Stato sussista tra i rapporti tra servizi segreti, e l’entrata in vigore del nuovo articolo 202 che disciplina la materia, hanno acceso il dibattito nell’ambito del procedimento.
Lega Nord: moratoria sulle moschee La Lega Nord chiederà una moratoria a tempo indeterminato per la costruzione di nuove moschee finché una legge non regolamenterà l’edificazione di luoghi di culto che non abbiano sottoscritto intese con lo Stato. In pratica, niente più moschee sul territorio italiano. Lo ha detto ieri il Presidente dei deputati della Lega, Roberto Cota, annunciando una mozione parlamentare da presentare nell’ambito del dibattito sulla sicurezza in corso in questi giorni in Parlamento.
Alitalia: passeggeri in calo nel 2008 Tonfo del 33,8% per i passeggeri di Alitalia a ottobre mentre nei primi dieci mesi dell’anno - secondo i dati dell’Associazione delle compagnie aeree europee - la flessione è stata del 20,7%. A settembre il calo era stato del 28,3%.
Europa: Borse ancora incerte Nuova giornata contrastata sui mercati europei ma con un recupero sul finale. Ieri, dopo le perdite del primo pomeriggio, una parziale ripresa di Wall Street ha fatto girare il vento in Europa: in lieve segno positivo Londra e Francoforte, a Milano chiusura invariata. Nella riunione di oggi la Bce dovrebbe procedere ad un nuovo taglio del costo del denaro.
politica
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Globalizzazione. Oggi Frattini presenta il vertice che sarà allargato ai Paesi emergenti: una formula permanente?
Cercasi vetrina mondiale L’Italia verso la presidenza del G8. Ma con il rischio di scivolare in serie B di Enrico Singer er Silvio Berlusconi sarà la terza volta: Napoli 1994, Genova 2001 e, adesso, la Maddalena 2009, se nell’isola tutto sarà davvero pronto - e approvato per accogliere il prossimo summit del G8. Ma per l’Italia sarà, di sicuro, l’ultima occasione per mantenere il suo posto nella serie A dei grandi del mondo. Un posto che il nostro Paese a questo punto deve conquistarsi sul campo in una contesa che ha superato il ”formato” a otto, come la riunione del G20 convocata a Washington in novembre per mettere un argine alla crisi dei mercati finanziari ha ampiamente dimostrato. Anche il prossimo vertice che si terrà sotto la presidenza italiana avrà una riunione allargata a Cina, India, Brasile, Arabia Saudita,Turchia e agli altri Paesi emergenti che costituiscono più dell’80 per cento del Pil mondiale. Anzi, Berlusconi ha intenzione di invitare anche l’Egitto portando la ”fase conciliare” del G8 addirittura a 21.
P
Più che le formule e i numeri, però, conta la sostanza. E la sostanza è che l’avvio del XXI° secolo sta cambiando il volto di quasi tutti gli organismi internazionali chiamati - ciascuno a suo modo e a suo titolo - a governare in qualche modo il pianeta e le sue emergenze: che si tratti della lotta al terrorismo o della difesa dell’ambiente, fino alla competizione commerciale. In un equilibrio in continuo movimento, dove il peso di ogni Paese cambia in base al suo potenziale economico, al suo impegno - anche militare - sui fronti
caldi e alla sua capacità d’iniziativa politica. Se la Nato è alla ricerca di una nuova missione strategica, che non può essere più la difesa dalla minaccia comunista, se il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale e lo stesso Wto sono in fase di rinnovamento sotto i colpi della crisi economica, anche il G8 sta per cambiare pelle. E al suo interno è inevitabile un rimescolamento di ruoli con Paesi che guadagneranno posizioni di potere e altri che le perderanno. L’Italia, che dal primo gennaio assumerà la presidenza del G8, è tra i Paesi che rischiano di più.
crazie industriali hanno deciso di riunirsi per affrontare insieme le principali questioni economiche e politiche: il vertice di Rambouillet, nel novembre di quell’anno, tenne a battesimo il G6: Francia, Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania, Giappone e Italia.
Il Gruppo dei Grandi cresce in fretta: nel 1976, al vertice di Portorico, si aggiunge il Canada. Nel 1977, a Londra, arriva anche la Ue in rappresentanza dell’Europa che costruisce la sua personalità interstatale. Dal 1989, alla vigilia di ogni summit del G7, prende forma
C’è un piano del ministro degli Esteri tedesco che prevede la formalizzazione di un G16 con la Cina, l’India, il Brasile, la Turchia il Sud Africa e un’altra pattuglia di Paesi che rivoluzionerebbe gli equilibri Il programma che oggi il ministro degli Esteri, Franco Frattini, anticiperà ufficialmente è ambizioso. Già ieri Silvio Berlusconi ha detto che nel summit della Maddalena proporrà un progetto per regolamentare internet e si sa che sul tappeto, oltre alla verifica delle misure per contrastare la crisi economica, ci sarà il contestato tema del dopo-Kyoto e della possibilità di ricostruire un fronte comune per combattere l’inquinamento atmosferico. Ma basterà questo piano per dare spessore alla presidenza italiana e per conservare al nostro Paese il posto nella classifica ufficiale dei Grandi? Per chiarire la posta in gioco è utile un po’ di storia. È dal 1975 che le maggiori demo-
un incontro istituzionalizzato con i leader dei Paesi in via di sviluppo. Dal 1991, anche la Russia, che era ancora Urss, conquista un incontro annuale col G7. Proprio a Napoli, nel 1994, il rapporto tra G7 e Russia diventa stabile con la creazione di un’istanza politica - il P8, dove P sta per livello politico - e nel 1998, nel vertice di Birmingham, nasce uffcialmente il G8 che comprende anche la Russia, pur se il G7 continua a funzionare. In que-
sta formazione, l’Italia ha sempre mantenuto le sue posizioni e Berlusconi ha anche rivendicato il mertio di essere stato il protagonista dell’apertura alla Russia.
All’isola della Maddalena si lavora alla sede del summit. Nella foto sotto, cerimonia di chiusura di Tokyo 2008. In basso, Silvio Berlusconi, Barack Obama e Vladimir Putin
Ma i problemi sono cronaca degli ultimi anni. E non soltanto perché l’ultimo G8 tenuto in Italia - quello di Genova del 2001 fu dominato dalle violenze con la morte del giovane Carlo Giuliani. La verità è che la posizione dell’Italia nella classifica delle potenze industriali - il quinto posto - è stata insidiata dalla Spagna, all’interno dell’Europa, ma soprattutto non sarebbe più realistica se il Gruppo dei Grandi dovesse allargarsi anche ufficialmente alla Cina e agli altri Paesi emergenti, India e Brasile in testa. Non è un caso che il settimanale Der Spiegel ha rive-
lato la scorsa settimana l’esistenza di un piano tedesco di cui poco si è parlato in Italia. Il ministro degli Esteri, Frank-Walter Steinmeier - che nelle elezioni del prossimo anno punta a strappare la Cancelleria ad Angela Merkel - vuole sostituire il G8 con una formazione allargata a quello che oggi viene chiamato il G5 (Cina, India, Africa, Sud Messico, Brasile) e a tre Paesi musulmani: Turchia, Arabia Saudita e Indonesia. In pratica, il G8 di-
politica
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Il premier diviso tra la “blindata” Sardegna e la “ripulita” Campania
Tutti alla Maddalena Anzi no, forse... di Marco Palombi
ROMA. «Forse è meglio che Berlusconi lasci stare l’idea di portare i grandi della Terra a Napoli durante il G8, l’ultima volta non gli è andata proprio benissimo». La battuta di un ovviamente anonimo esponente di lungo corso di Forza Italia è decisamente per addetti ai lavori, in più sensi. Conferma che il presidente del Consiglio ha coltivato l’idea di spostare il vertice del luglio prossimo dall’isola sarda della Maddalena - scelta dal governo Prodi anche per compensare la fine della servitù militare statunitense - a Napoli e per di più si concede un ironico flash back allo spiacevole precedente del 1994, quando proprio durante il vertice internazionale il Corriere della Sera anticipò a mezzo stampa l’invio di un avviso di garanzia al premier da parte della Procura di Milano. Ma davvero Berlusconi vuole portare il prossimo G8 nel capoluogo campano? Sì, vorrebbe, ma non potrà: il vertice si terrà in Sardegna, ma il presidente del Consiglio sta ancora tentando di organizzare a Napoli un evento di gala che gli consenta di mostrare al mondo quello che giudica il suo capolavoro, la ripulitura della città. In subordine, sfruculia la vanità del premier anche la possibilità di portare gli otto grandi nella sua Villa Certosa per intrattenerli con le sorprese con cui delizia i numerosi ospiti durante l’estate, collezione di cactus e finto vulcano inclusi. Andiamo con ordine. Nonostante il premier abbia, fin dal suo arrivo a palazzo Chigi, mostrato più di una perplessità sulla scelta della Maddalena, l’iter dei lavori e delle autorizzazioni è oramai troppo avanzato per ripensarci: il potenziamento dell’aeroporto di Olbia, il recupero dell’ex ospedale e dell’ex arsenale dell’isola, la creazione di un porto adatto anche all’attracco di grandi navi sono tutte opere già cominciate e che procedono finora speditamente. Merito del buon lavoro della Regione e della struttura di missione della presidenza del Consiglio, cui partecipa anche il braccio destro di Bertolaso, Angelo Balducci. Ed è proprio il capo della Protezione civile uno degli sponsor più pervicaci della Maddalena: per Bertolaso recuperare l’arcipelago, così segnato dalla presenza militare Usa, e riconvertirne l’economia verso un turismo di qualità e non invasivo è una sorta di sfida. D’altronde, e lo sanno bene anche a palazzo Chigi, l’accoglienza di circa 25 mila persone tra delegazioni, forze dell’ordine e giornalisti non si improvvisa: servono strutture ricettive, viabilità adeguata, piani di sicurezza. Oltre al tempo è proprio la sicurezza quel che rende l’isola sarda una location as-
sai migliore delle altre: è facilmente difendibile da attacchi esterni e, allo stesso tempo, sarà difficile da raggiungere per i no global. Napoli, in questo senso, somiglia un sacco a Genova, con quel che ne consegue in termini di ricordi sgradevoli.
Tutto a posto per il G8 sardo quindi? Non tutti ne sono convinti. Il deputato del Partito democratico Giulio Calvisi, ex segretario regionale dei Ds, ne dubita assai e ha presentato una interpellanza al governo per lanciare l’allarme. Per quanto riguarda i fondi stanziati, ad esempio, Calvisi segnala una stranezza: il 28 agosto il presidente del Consiglio riserva
Anche se la scelta non cadrà su Napoli, rimane la questione finanziamenti sollevata dal Pd: degli 834 milioni di euro destinati al vertice sull’isola, finora ne sono stati stanziati solo 233
venterebbe un G16 e gli equilibri interni cambierebbero. Non certo a favore dell’Italia. Per ora Angela Merkel non è d’accordo con il suo ministro degli Esteri che è anche vicecancelliere e suo avversario politico in quanto leader dei socialdemocratici tedeschi che oggi fanno parte della Grosse Koalition, ma che alle prossime elezioni cercheranno di battere la Cdu-Csu. Tuttavia questo piano - di cui Franco Frattini è bene al corrente perché Frank-Walter Steinmeier gliene ha parlato durante l’incontro bilaterale Italia-Germania dello scorso 18 novembre è un segnale concreto delle grandi manovre che stanno per cominciare attorno al nuo-
vo possibile direttorio politicoeconomico del mondo globalizzato. Del resto chi è fuori del G8 preme perché il ”club”cambi le regole e apra ai nuovi soci che bussano alla porta. Se così sarà, inevitabilmente, cambieranno anche la cariche sociali, nel senso che il ruolo dei singoli Paesi non potrà più essere quello stabilito a Rambouillet trentatre anni fa. Difficilmente l’Italia potrà mantenere la fascia di quinta potenza dell’attuale G8. Così come sul piano dei rapporti transatlantici il peso del nostro Paese si misurerà nell’impegno che potrà offrire a Barack Obama nella lotta al terrorismo, nel rapporto tra i Grandi molto si deciderà nel 2009.
all’evento risorse per 834 milioni di euro - già destinate alla Sardegna ma in questo modo sbloccate con procedura rapida - «per opere correlate alla realizzazione del grande evento» e per «favorire il rilancio turistico e socioeconomico dell’arcipelago della Maddalena»; il successivo decreto del 23 ottobre, però, di euro ne ha stanziati solo 233 milioni, ovvero oltre 500 in meno. E c’è di più: lo stesso decreto, denuncia il Partito democratico, prevede che i fondi - inizialmente in conto capitale e quindi solo per infrastrutture - possano essere usati anche «per spese correnti» e cioè, volendo, anche per pagare pranzi e cene dei delegati. «Non vorrei - mette le mani avanti Calvisi - che un ritardo provocato dalla mancanza degli stanziamenti venisse preso a pretesto per trasferire il grosso dell’appuntamento a Napoli».Tutti dicono che non andrà così, ma è anche vero che in questo Paese ci hanno insegnato che a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si piglia.
panorama
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Numeri. Il partito di Veltroni è fermo a trecentomila iscritti per il 2008. Meno di Margherita e Ds nel 2007
Nel Pd parte la sfida delle tessere di Francesco Capozza
ROMA. Ancora una volta nel match tra Walter Veltroni e Massimo D’Alema vince l’ex ministro degli esteri. Stavolta la singolar tenzone si è spostata su un terreno molto più profano rispetto a quello della politica “alta”. Qui si parla di tesseramento, dove, per l’appunto, l’Associazione dalemiana Red (Riformisti e democratici) ha ottenuto entusiarisultati smanti rispetto a quelli conseguiti nel 2008 dal Pd. Se si confrontano i dati, ufficiosi ovviamente, è chiaro che non c’è paragone. Mentre i democrat, infatti, hanno distribuito 300 mila tessere da maggio ad oggi, Red, da giugno, ne ha emesse circa 5000. Cifre ben diverse,
IL PROVINCIALE di Giancristiano Desiderio
certo, ma il dato va esaminato più attentamente.
Il numero degli iscritti alla creatura di Massimo D’Alema sarebbe miserevole per un partito, ma è un gran risultato per un’Associazione la cui tessera, per giunta, costa cento euro, mica bruscolini. Sul
anno della sua storia, contava la bellezza di 543 mila iscritti. Se la matematica non è un’opinione, quindi, a fronte di quasi un milione di tesserati, i due partiti che sono confluiti nel soggetto unico della sinistra democratica hanno perso due terzi dei loro sostenitori. Un motivo, questo, di appren-
Sono già 5000 le adesioni all’associazione di Massimo D’Alema. E in molti casi si tratta di nomi illustri fuori dal bacino dei democratici fronte opposto, invece, il partito del Nazareno se la passa maluccio, perchè se è vero che ha iniziato il tesseramento ad anno inoltrato, è altrettanto vero che 300mila iscritti sono poca cosa rispetto all’eredità di Margherita e Democratici di sinistra. Il partito creato da Francesco Rutelli nel 2002 aveva infatti chiuso il 2007 con un “bottino” di 430 mila iscritti, con ben 260 mila adesioni avvenute già cinque anni prima, al momento della nascita. La Quercia di Piero Fassino, sempre nel 2007, ultimo
sione per i vertici del partito, come confermato anche dal responsabile del tesseramento del Pd Daniele Marantelli che ha confermato il dato in nostro possesso: «Sì, al momento abbiamo circa 300 mila iscritti» aggiungendo che in effetti «siamo sotto quei risultati e quelle aspettative che ci eravamo fissati».
Non è bastato, quindi, l’abbassamento della quota d’iscrizione a 15 euro (contro i cento, lo ricordiamo, dell’Associazione dalemiana), né la
campagna lanciata personalmente dal segretario democratico ha sortito gli effetti sperati. Massimino, invece, con il suo ghigno astuto si è già intascato la bellezza di mezzo milione di euro. Non lui personalmente, ci mancherebbe, ma l’associazione che da qualche tempo finanzia anche una televisione, la Red tv e che, tra l’altro, sembra andar molto meglio (dati sugli ascolti alla mano) rispetto alla veltroniana Youdem. Ma a parte i numeri e gli incassi, che ci portano nel campo effimero del denaro, va presa in considerazione anche la “qualità”, per così dire, degli iscritti a Red. Tra coloro che hanno versato la quota associativa a Piazza Farnese ci sono infatti dirigenti del Pd come i governatori Mercedes Bresso (Piemonte), Vasco Errani (Emilia Romagna) e una pletora assai lunga di ex ministri e parlamentari di centrosinistra. Gran parte di questi, e questa è la vera vittoria di D’Alema, non risulta invece essere iscritto ufficialmente al Pd. Uno a zero, palla al centro.
Amanda, Raffaele e il pensiero debole che ha ucciso “per gioco” Meredith Kercher
Le relazioni pericolose di Perugia lzi la mano chi non ha mai sentito parlare di Amanda Knox e Raffaele Sollecito. Da quando il corpo della povera Meredith Kercher è stato ritrovato nella sua stanza della casa di Perugia in via della Pergola 7, non c’è stato giorno che i telegiornali non ci abbiano informato sulle indagini del delitto della notte di Halloween in cui nulla è chiaro tranne che Mez è stata uccisa per gioco. Proprio così, per gioco. Per divertimento. Un gioco sadico, estremo, cattivo ma pur sempre un gioco. Un gioco i cui giocatori non dimenticheranno mai per il resto dei loro giorni e delle loro notti.
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Amanda, Raffaele, Rudy: i nomi e i volti li conosciamo ormai più che bene, ma ciò che non sappiamo, anche se riusciamo a immaginarlo, è la vita spericolata, anzi la vita perduta che si faceva in quella “piccola parte di mondo chiamata Perugia”. Ma anche l’immaginazione ha i suoi limiti e mai come in questo caso la stanca frase “la realtà supera l’immaginazione” è la semplice verità. Amanda e gli altri (Bompiani) è il libroinchiesta scritto dalla cronista del Corriere della Sera, Fiorenza Sarzanini, ed è un documento che se non dà la verità giudiziaria del delitto di via della Pergola, è un lavoro che dà la verità storica delle “vite perdute intorno al delitto di
Perugia” grazie ad un metodo che è quello dell’inchiesta e della perizia giornalistica sì, ma ancor più è l’altro, la capacità che ha la cronista di raccontare i fatti e le vite come se parlassero direttamente le coscienze dei protagonisti. Annota Raffaele Sollecito sul suo blog. Ormai si scrive tutto su questi blog e, almeno in questo caso, la cosa torna buona per capire. Dice Raffaele: «In Erasmus conosci tanta di quella gente da tutte le parti del mondo che alla fine senza rendertene conto entri in un giro di feste, viaggi, punti di ritrovo comuni e organizzazioni solo a scopo di divertimento che non ti lascia in pace e nemmeno un secondo della giornata. A quel punto cosa fai? Puoi dire no la prima, la seconda, la terza, ma poi non ce la fai più ed entri anche tu nel gioco del fancazzismo». Il progetto Erasmus consente di studiare all’estero nell’ambito di un programma di scambio con la propria
università, ma questa è solo una favola bella. Il progetto Erasmus è non fare un cazzo da mane a sera, è fare ciò che vuoi, bere, fumare, ubriacarti, scopare con chi vuoi se vuole, ma vuole e avanti così fino a quando ce la fai o fino a quando qualcuno della tua famiglia non si rende conto che stai diventando un poco di buono e allora ti viene a riprendere e ti riporta a casa prima che sia troppo tardi. Nei giorni immediatamente successivi al ritrovamento del corpo di Mez, i telegiornali provarono a sollevare il velo sulla vita perduta del piccolo mondo antico di Perugia diventato in men che non si dica postmoderno. Ci provarono con un paio di servizi, ma la cosa finì lì. In fondo, a pensarci bene, cosa avrebbero dovuto dire o far vedere i telegiornali? Nulla che già non si sapesse. La normalissima vita pericolosa e senza limiti della gioventù erasmiana è nota, visibile e, tuttavia, invisibile. Scri-
ve Amanda nel suo diario: «Alla fine l’altra sera la mia testa è affogata. Ho avuto un violento mal di testa perché questa è la peggiore esperienza della mia vita. Sono in prigione per un crimine che non ho commesso, potrei avere l’Aids. Io non voglio morire, io voglio sposarmi, voglio avere bambini. Voglio creare qualcosa di buono.Voglio diventare vecchia. Voglio il mio tempo. Voglio la mia vita. Perché, perché, perché? io non posso credere questo». Per perdersi nella vita ci vuole il fisico. Questi ragazzi sono deboli. Amanda cerca di mettere ordine nei suoi incontri e butta giù «la lista delle persone con le quali ho fatto sesso». I giovani si sentono i padroni della vita, mentre la vita la stanno perdendo. Ciò che accaduto in via delle Pergola a Mez, Amanda, Raffaele, Rudy e gli altri poteva accadere ad altri ragazzi della vita da sballo. Tutto in meno di due mesi.
Meredith forse ha avuto una morte dolorosa. Un’agonia di diversi minuti, secondo i medici. I poliziotti credono sia stata minacciata prima che la lama le tagliasse la gola. Questa la scena finale del crimine: «E’ ragionevole supporre che al momento dell’aggressione la vittima si trovasse inginocchiata o in una posizione simile di fronte all’armadio. E che poi si sia trascinata o sia stata trascinata sul pavimento».
panorama
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Polemiche. Quella di Monsignor Migliore non è una gaffe: vuole premere per modificare la mozione sull’omosessualità
Perché il Vaticano alza la voce con l’Onu di Francesco Rositano opo le dichiarazioni di monsignor Celestino Migliore, osservatore vaticano all’Onu, che si è detto contrario alla proposta della Francia di depenalizzare l’omosessualità, è scoppiato il caos. Sono fioccate le accuse di oscurantismo e omofobia.
D
Le associazioni gay sono scese in piazza e c’è stato anche chi, come il direttore del quotidiano comunista Liberazione, Piero Sansonetti, ha lanciato l’idea, a suo avviso provocatoria, di andare all’Angelus in Piazza San Pietro con la maglietta rosa. Il Manifesto non ha sopportato il colpo e in una vignetta affidata a Vauro ha dipinto il Papa come un carceriere che - oltre alle chiavi di San Pietro - tiene in custodia anche quelle delle carceri nelle quali si diverte a tenere sadicamente rinchiusi gli omossessuali. Il punto, però, è che il Vaticano non ha detto niente di nuovo su queste tematiche. E la storia lo testimonia: nel 1992, quando Joseph Ratzinger era soltanto prefetto della Congregazione, in un documento dottrinale, aveva dichiarato:
Il testo presentato da Sarkozy è in discussione. Giocando d’anticipo e manifestando la propria contrarietà, la Santa Sede spera di cambiarlo «Non vi è un diritto all’omossessualità, che pertanto non dovrebbe costituire la base per rivendicazioni giudiziali. Il passaggio dal riconoscimento dell’omosessualità come fattore in base al quale è illegale discriminare può portare facilmente, se non automaticamente, alla protezione legislativa e alla promo-
zione dell’omosessualità». Probabilmente, quando il diplomatico vaticano ha espresso il suo giudizio, aveva chiare in mente queste parole.Tanto da affermare: «Tutto ciò che va in favore del rispetto e della tutela delle persone fa parte del nostro patrimonio umano e spirituale. Il Catechismo della Chiesa cattoli-
ca, dice, e non da oggi, che nei confronti delle persone omosessuali si deve evitare ogni marchio di ingiusta discriminazione. Ma qui, la questione è un’altra. Con una dichiarazione di valore politico, sottoscritta da un gruppo di Paesi, si chiede agli Stati ed ai meccanismi internazionali di attuazione e controllo dei diritti umani di aggiungere nuove categorie protette dalla discriminazione, senza tener conto che, se adottate, esse creeranno nuove e implacabili discriminazioni. Per esempio, gli Stati che non riconoscono l’unione tra persone dello stesso sesso come “matrimonio” verranno messi alla gogna e fatti oggetto di pressioni». È chiaro quindi che quello del presule non è stato affatto un errore di tipo linguistico o diplomatico. Anzi, il contrario. Il diplomatico ha voluto lanciare un chiaro segnale sul fatto che la Santa Sede non ha assolutamente intenzione di permettere che si creino le basi giuridiche a livello internazionale per la legittimazione dei matrimoni tra omosessuali. Quindi ha giocato d’anticipo, aprendo il dibattito e
mettendo le cose in chiaro, con l’auspicio che questa mozione venga confezionata in maniera tale da non costringere gli Stati che non riconoscono il matrimonio omosessuale a farlo. Qualora il segnale non venisse accolto e il documento modificato, il Vaticano dunque non firmerà.
E si comporterà allo stesso modo nei riguardi della “Convenzione Onu sui diritti dei disabili” che, così come è attualmente formulata, darebbe il via libera alla pratica dell’aborto in alcuni Paesi: pensiamo al Messico, alla Tanzania, all’Argentina. Non a caso la Santa Sede ha contestato gli articoli 23 e 25: nel primo si riconoscono i diritti dei disabili alla «pianificazione familiare», alla «educazione riproduttiva e «ai mezzi necessari per esercitare questi diritti»; nel secondo si garantisce l’accesso dei disabili a tutti i servizi sanitari, «inclusi quelli dell’area della salute sessuale e riproduttiva». Insomma, gli abortisti possono anche gridare allo scandalo. Ma la Santa Sede fa solo il suo mestiere.
Analogie. Da Tangentopoli alla tragedia dell’ex-assessore napoletano
La solitudine di Nugnes e Moroni di Gabriella Mecucci uando monta il clima del grande scandalo, c’è sempre qualche povero Cristo che ci finisce in mezzo per primo e che decide di farla finita suicidandosi. Accadde con tangentopoli: come dimenticare la fine del povero Sergio Moroni? E capita oggi nell’intricata vicenda giudiziaria napoletana, sempre più difficile da decriptare. Sta di fatto che un assessore nazional popolare, capace di fare il capo popolo e di prendere una valanga di preferenze, il povero Giorgio Nugnes, si è tolto la vita. Perché?
Q
Sono tante le ragioni e pro-
raggiunto solo dalla comunicazione giudiziaria, ma anche da queste voci che talora lo mettono al centro di trame criminose ben più importanti di quelle per le quali risulta ufficialmente indagato. Corroborati dagli “spifferi”che partono dai palazzi di giustizia, i giornali iniziano la poco nobile gara delle allusioni, del detto e non detto, del parlare a nuora perché suocera intenda. Come se non bastasse, i partiti dei suddetti indagati, spesso ridotti a lobby spaventate di esse-
Quando monta il clima del grande scandalo, i partiti finiscono per abbandonare a se stessi gli indagati. Magistratura e stampa fanno il resto
babilmente parecchie somigliano a quelle che portarono Moroni al tragico gesto. Innanzitutto, c’è il comportamento della magistratura che, lungi dal muoversi con efficienza, ma anche con discrezione sino a quando non è arrivata alla conclusione dell’inchiesta, ormai – in molti casi – non riesce a bloccare la circolazione di notizie: quelle “voci dal sen fuggito”che procurano danni in tutte le direzioni. Intendiamoci, non si tratta qui di prendersela con questo o con quel sostituto – spesso sono personaggi eccellenti – ma di segnalare le crepe, le pecche di un ambiente che ormai non riesce ad avere quelle caratteristiche di segretezza che un’indagine tanto delicata richiede. Accade dunque che il turbinio di indiscrezioni arrivi alle orecchie dell’indagato che non viene
re coinvolte in scandali e magari qua e là compromessi, fanno il vuoto intorno al povero malcapitato. Una volta le forze politiche, sino a prova contraria, esprimevano quanto meno solidarietà ai loro uomini, oggi li mollano subito, di schianto. Una volta trovato il capro espiatorio, i maggiorenti stanno un po’ più tranquilli. Tangentopoli insegna che le cose non vanno esattamente così, ma tant’è, tutti credono di essere più furbi degli altri.
Ed è così che i Moroni come i Nugnes, si trovano soli e spaventati. Spaventati dal fatto che potrebbero piovere sul loro capo accuse ben
peggiori di quelle già arrivate, mentre i vecchi amici e compagni politici li lasciano soli, magari guardandoli con fastidio e disprezzo.Tutto ciò naturalmente non giustifica il suicidio, ma serve a capire l’ambiente, il contesto in cui questo gesto drammatico matura. I poveri Cristi che si tolgono la vita segnalano dunque le vecchie e nuove patologie della magistratura, della stampa, dei partiti. E, purtroppo, rischiano anche di anticipare lo scoppio di qualche grosso scandalo, parecchio più grande di loro, rispetto al quale non sono altro che capri espiatori. Così accadde con tangentopoli. A Napoli già si parla di una mega inchiesta sugli appalti truccati. Nel mirino della Procura ci sarebbero una ventina di funzionari e politici di alto livello. E c’è chi “spiffera” che Nugnes sarebbe stato indotto al suicidio. Che cosa si sta ber abbattere sulla capitale del Sud?
il paginone
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segue dalla prima Se le attuali tendenze non dovessero arrestarsi, la poligamia potrebbe presto diventare routine. A partire dagli anni Cinquanta, nell’Europa Occidentale e nell’America del Nord la popolazione musulmana è aumentata grazie all’immigrazione e alle conversioni; con la loro presenza si è sviluppata la forma di poligamia (un uomo sposato a più di una donna). Le stime rilevano 2.000 o più uomini britannici poligami, 14.000 o 15-20.000 harem in Italia, 30.000 in Francia e 50100.000 poligami negli Stati Uniti. Alcuni imam ammettono apertamente di celebrare delle cerimonie nuziali poligame: Khalif Chami racconta che quasi ogni settimana gli viene chiesto di celebrare cerimonie del genere a Sidney. Aly Hindy dice di aver “benedetto”oltre 30 sposalizi del genere a Toronto.
Anche il consenso sociale è in crescita. Il mondo accademico lo giustifica, mentre quello politico va incontro ai poligami in modo sconsiderato o dichiara che gli occidentali dovrebbero «trovare un modo per accettarli» e i giornalisti descrivono la poligamia con empatia, comprensione e compassione. Gli islamisti argomentano le virtù della poligamia e chiedono un suo riconoscimento ufficiale. Nel 2008 la poligamia ha fatto dei progressi giuridici di fondamentale importanza. Almeno sei giurisdizioni occidentali oggi autorizzano gli harem, a condizione che questi siano formati in giurisdizioni dove la poligamia è legale, inclusi l’India e i paesi a maggioranza musulmana, dall’Indonesia all’Arabia Saudita fino al Marocco. Regno Unito. La bigamia è punibile con una pena detentiva fino a 7 anni, ma la legge riconosce gli harem già formatisi in paesi che tollerano la poligamia. Il Dipartimento per il Lavoro e le Pensioni paga settimanalmente alle coppie fino a 92,80 sterline (140 dollari) in sussidi sociali e ogni “consorte supplementare”, come è chiamata multiculturalmente, riceve 33,65 sterline. Il Ministero del Tesoro dichiara che «laddove una donna e un uomo si siano sposati in base a una legge che ammette la poligamia, e l’uno o l’altra abbia un consorte supplementare, il Tax Credits (Poligamous Marriages) Regulations 2003 permette loro di richiedere il rimborso dei crediti d’imposta come unità poligama». Inoltre, gli harem potrebbero aver diritto ad assegni integrativi da concedere a persone a basso reddito per il pagamento dell’affitto, come conseguenza della loro necessità di disporre di immobili grandi. Paesi Bassi. Il ministro della Giustizia olandese, Ernst Hirsch Ballin, ha annunciato che i
Aumentano a dismisura i tribunali del Vecchio Continente che tollerano la accettata anche dagli intellettuali. La mappa di un fenomeno in crescita, che ha c
L’Europa degli har di Daniel Pipes Un disegno a matita che raffigura un harem orientale. Derivante da una parola araba, il termine harem indica il gineceo: il “luogo riservato” di casa, destinato alla vita privata delle donne, dove soltanto il padrone può entrare. Nell’accezione moderna, inoltre, indica gli appartamenti dove vivono le mogli del capo famiglia. Decaduti definitivamente nei primi anni del Novecento, gli harem hanno ispirato arte e letteratura orientali e occidentali. Nella pagina a fianco, donne marocchine attingono acqua dalla fonte riservata a loro, sempre all’interno di un harem matrimoni musulmani poligami non dovrebbero essere affrontati attraverso il sistema giuridico, ma tramite il dialogo.
Belgio. La Corte Costituzionale ha preso dei provvedimenti per facilitare la riunificazione degli harem formatisi fuori dal paese. Italia. Un tribunale di Bologna ha permesso a un immigrato musulmano di portare in Italia le madri dei suoi due figli, dal momento che i matrimoni poligami sono stati contratti legalmente. Tuttavia, la legge non permette di contrarre matrimoni del genere sul suolo nazionale italiano. Australia. Il quotidiano Australian riporta che «è illegale contrarre un matrimonio poligamo». Ma il governo federale,
Le stime rilevano 2.000 o più uomini britannici poligami, tra i 14 e i 20.000 harem in Italia, 30.000 in Francia e tra i 50 e i 100.000 negli Usa. Gli imam celebrano i matrimoni senza problemi
al pari della Gran Bretagna, riconosce le relazioni che sono state legalmente convalidate al di là della Manica, inclusi i matrimoni poligami. Il che permette alle seconde mogli e ai figli di rivendicare benessere e sussidi.
Ontario, Canada. La legge canadese esige che la poligamia venga punita col carcere, ma l’Ontario Family Law Act ammette «un matrimonio che sia realmente o potenzialmente poligamo, se celebrato in una giurisdizione il cui sistema giuridico lo riconosce valido». In questo modo, al costo di due biglietti aerei, i musulmani possono in fieri eludere le leggi occidentali. (Ci si domanda quando i mormoni si renderanno altresì conto di questa mossa.) Pochi paesi (come l’Irlan-
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a poligamia, colpito anche l’Italia
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La denuncia nasce da un sondaggio dell’organizzazione per i diritti umani Global Rights
Ma le mogli dell’islam rimangono schiave
rem
di Cristiana Missori n Marocco, Tunisia e Algeria, il contratto matrimoniale sembra ancora essere argomento tabù. Sono ancora troppe le donne che ignorano i diritti che la legge accorda loro in materia, come ancora eccessivo è il numero di spose mal consigliate o per nulla assistite. Nonostante esistano figure, come gli ufficiali di stato civile o gli adul (funzionari musulmani con funzioni notarili), che dovrebbero dar loro una mano, aiutandole a capire in che modo tutelare al meglio sé stesse. A dirlo è l’ultimo rapporto di Global Rights - organizzazione internazionale di sostegno per il rispetto dei diritti umani che da trent’anni si adopera assieme ad attivisti locali per contrastare ogni sorta di ingiustizia – da cui emerge un quadro a dir poco sconfortante sulla disparità di trattamento tra coniugi del Maghreb. Nonostante gli sforzi compiuti negli ultimi decenni dai governi di questi Paesi grazie all’approvazione di riforme dei codici di statuto personale, le donne continuano a essere la componente della popolazione più esposta alla marginalità e all’esclusione. Si tratta di norme, si legge nelle 130 pagine della ricerca, ancora poco applicate o del tutto disattese. Come quelle che formalmente hanno introdotto una sostanziale parità tra i coniugi in termini di diritti e doveri della coppia, sia nei confronti dei figli che nella gestione delle questioni famigliari; o quelle che prevedono la facoltà di optare per il regime di comunione dei beni o che sanciscono l’eliminazione del tutore matrimoniale per la donna (in Marocco e in Tunisia), e la cessazione della pratica del ripudio (escluso in Algeria dove, tra l’altro, la poligamia non è stata messa al bando). Avvalendosi dell’aiuto di 15 organizzazioni non governative locali e di avvocati partner, Global Rights ha chiesto a un nutrito campione di intervistate - singolarmente e in gruppo - di esprimere il proprio parere sul contratto matrimoniale.
I
messo a parte dell’accordo e che a lui solo niali. Per quale motivo il contratto matrispetti la conservazione del documento. moniale è ancora oggi un affare per soli uomini? Molte donne sentite da Global RiA Zagora, in Marocco, soltanto l’1 per ghts si sono dette spaventate dalle ritorsiocento delle intervistate aveva in mano il ni che la famiglia di origine (soprattutto da contratto, mentre in Tunisia, a Zaghouan, il parte di padri e fratelli) e la società in ge90 per cento ne era sprovvisto. Al peggio nerale potrebbero attuare nei loro conperò sembra non esserci mai fine. Ci sono fronti, in caso di modifiche. Per questo, soanche casi in cui il contratto è stato stilato stengono, è preferibile piegarsi alle presin absentia, alla sola presenza del marito e sioni sociali evitando di aggiungere o vadei famigliari della sposa, o situazioni in riare il testo preparato da altri. Ci sono, cui alcune intervistate hanno fatto sapere però, anche donne del tutto incoscienti di non essere mai state a conoscenza del perché non percepiscono il peso che quelfatto che l’unione con il proprio marito fos- l’atto avrà nella loro esistenza. Alcune di se stata sancita da un contratto che non queste hanno ammesso di essere state avevano mai visto. Ci sono poi donne sem- troppo occupate a predisporre i preparatiplicemente disinformate o confuse riguar- vi dei festeggiamenti - che in quei Paesi hanno grande valore - e di non aver così potuto presenziare alla elaborazione dell’accordo. A volte, le donne sono costrette a nascondere questo pezzo di carta ai propri uomini o ai famigliari, per tutelare sé stesse e i figli. C’è chi occulta l’agognato contratto in mezzo ai gioielli, chi invece lo confida nelle mani
Il contratto matrimoniale sembra essere ancora un tabù, nella regione del Maghreb. Familiari e leader musulmani mantengono la donna nella più completa ignoranza, per tenere le nozze nei canoni della sharia
da) ancora ricusano gli harem; in genere, come osserva David Rusin di Islamist Watch, «i governi tendono a guardare all’alternativa, dal momento che i costumi coniugali dell’Arabia del VII secolo (…) attecchiscono nelle nostre zone». In un momento in cui le norme matrimoniali dei Paesi occidentali sono già in discussione, i musulmani sperimentano scappatoie giuridiche e cercano perfino l’aiuto dei contribuenti per le molteplici spose. Quest’evoluzione riveste un grande significato: proprio come il concetto di matrimonio contratto con un solo uomo, con una sola donna ha plasmato lo sviluppo economico, culturale e politico dell’Occidente, così l’avanzata della legge islamica (shari’a) cambierà profondamente la vita, come noi la conosciamo.
A giudicare dalle risposte fornite, la possibilità di essere messe su di un piano paritetico rispetto all’uomo appare, per tante donne maghrebine, unicamente un miraggio. Molte di queste, infatti, ignorano ciò che la legge prevede in merito al contratto matrimoniale. Nella maggior parte dei casi, queste donne non conoscono il contenuto dell’accordo siglato al momento delle nozze. Alcune di esse hanno addirittura detto di sapere che all’interno del testo vengono riportati unicamente i nomi dei due sposi. Cosa ancora più drammatica, forse, è che per la quasi totalità delle intervistate è giusto che soltanto l’uomo sia
do alle leggi in vigore. Come a Marrakech e a Tetouan, dove rispettivamente il 70 e l’80 per cento delle intervistate non sapeva che - a seguito della riforma del 2004 del codice del diritto di famiglia - è possibile inserire clausole specifiche nel contratto matrimoniale marocchino. Quelle che invece ne sono al corrente sono donne giovani (tra i 28 e i 38 anni) e istruite. Nel Regno alauita, su 466 intervistate, 3 hanno contratto matrimonio attraverso semplici accordi verbali e soltanto 4 hanno stretto un contratto inserendo specifiche clausole. In Algeria, invece, 14 donne su 741 si sono sposate senza contratto, una soltanto aveva inserito alcune clausole e 6 avevano concluso un accordo separato per regolare i rapporti patrimoniali. Su 215 intervistate tunisine, invece, tutte hanno stilato un contratto matrimoniale, 2 hanno inserito nuove clausole e 51 hanno fatto ricorso ad un accordo successivo per regolare le questioni patrimo-
di una amica o di un parente di cui si fida, per evitare che il marito possa entrarvi in possesso e decidere di distruggerlo, avendo dalla sua la legge ma anche coloro i quali sono tenuti a farla applicare.
A mettere i bastoni tra le ruote della sposa, oltre ai suoi parenti, ci sono infatti anche gli adoul (in Marocco e Tunisia) e i giudici. Nella stragrande maggioranza dei casi, tutti immancabilmente concordi nel voler favorire l’uomo a scapito della donna. Talvolta ciò accade per ignoranza, come quando notai o funzionari comunali non sono sufficientemente preparati e non sanno quali norme vadano applicate. Altre volte, il che naturalmente è anche peggio, il tutto viene fatto con dolo, perché pur sapendo cosa prevede la normativa, questi preferiscono far prevalere la sharia e le consuetudini ancestrali. E non informano la sposa dei suoi diritti.
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Petrolio. Per la prima volta il prezzo del greggio segue il barometro dell’economia e non è la causa della crisi
La dittatura dell’oro nero Le fonti rinnovabili non sono sufficienti, il futuro sarà ancora chiuso in un barile di Carlo Stagnaro e fosse una partita a poker, l’Opec avrebbe scelto di vedere. Ora tocca agli altri tre giocatori – l’Occidente in crisi, le economie emergenti energivore, e le compagnie petrolifere private – fare la loro mossa.
S
Nel meeting del Cairo dello scorso fine settimana, il terzo in pochi mesi, il cartello dei paesi produttori ha deciso di non effettuare ulteriori tagli alla produzione, rimandando la decisione al prossimo vertice, il 17 dicembre a Oran, in Algeria. Nei giorni precedenti l’incontro, si era parlato con insistenza di una riduzione fino a due milioni di barili al giorno, che si sarebbe aggiunta ai tagli, già effettuati, di circa un milione di barili al giorno. Fatta per arginare la discesa delle quotazioni del greggio, che sembra oggi inarrestabile, come lo sembrava, ieri, la salita fino alla vetta vertiginosa di 150 dollari. Adesso gli analisti vedono quota 40 dollari, un livello ritenuto inaccettabile per i signori dell’oro nero. Il sovrano saudita, Abudllah, ha indicato un target di prezzo pari a 75 dollari, dando qualche grattacapo al suo potente ministro dell’Energia, Al Naimi. Naimi avrebbe preferito non svelare
Sopra, piattaforme petrolifere nel Golfo Perisco A destra, la Borsa del Nymex dove si tratta il prezzo del barile. Nell’altra pagina, una riunione nella sede dell’Opec a Vienna
l’obiettivo di medio termine, ma – rotti gli indugi – ha fatto buon viso a cattivo gioco: «c’è una buona logica dietro i 75 dollari al barile – ha detto al Financial Times – Penso che 75 dollari sia il prezzo marginale del produttore. Se il mondo ha bisogno di mantenere l’offerta da tutte le fonti, allora dobbiamo difendere quel prezzo». Paradossalmente, il prosciugamento delle tariffe ha portato la pace all’interno del gruppo, che da mesi era lacerato da profonde spaccature: quando i prezzi viaggiavano attorno ai 100 dollari, prima in salita e poi in discesa, i sauditi premevano per aumentare l’offerta, e riportare il barile a gravitare attorno ai 70-80 dollari. I falchi, Iran e Venezuela, intanto chiedevano con insistenza tagli produttivi per stabilizzare il barile sopra i 100, possibilmente 150, forse 200 dollari.
Questo traguardo - a posteriori del tutto irrealistico - era però ritenuto raggiungibile anche grazie a un rapporto ultraallarmistico di Goldman Sachs, che aveva ipotizzato il suo sforamento entro la fine dell’anno. La credibilità della banca d’affari era ai massimi, perché, prima di tutti, aveva previsto (e anche favorito, sicuramente spera-
to) l’arrivo ai 150 dollari. In verità, non era trascorso molto da un precedente intervento, in cui veniva quantificato nei 105 dollari il punto di rottura, oltre cui l’economia mondiale sarebbe andata a rotoli.
Incredibilmente, il barile nel 2008 non ha anticipato, ma seguito gli andamenti dell’economia: non sono gli scambi a 150 dollari ad aver innescato la recessione, ma quest’ultima ad aver sgonfiato la bolla petrolifera, e poi determinato il crollo della domanda, che spiega le ulteriori riduzioni. A questo punto, il mondo energetico è in subbuglio per tre ragioni distinte, ma correlate. La prima riguarda il collasso dei prezzi, che tornando ai livelli del 2005, hanno smentito tutti gli scenari finora ritenuti più probabili. Il capo di Cnooc, la compagnia petrolifera cinese, ha riferito che l’opinione condivisa dei manager delle imprese di Stato è che il prezzo si stabilizzerà a 40 dollari per almeno un anno, forse due: in questo caso, più della metà degli investimenti programmati sarebbero istantaneamente cancellati, poiché si giustificano con prezzi superiori ai 60 dollari, in alcuni casi anche più. La seconda
Nel meeting del Cairo dello scorso fine settimana il cartello dei produttori ha deciso di non effettuare ulteriori tagli all’estrazione rimandando la decisione al prossimo vertice a Oran, in Algeria questione riguarda la volatilità dei prezzi: nel 2008, il valore del barile si è prima quasi raddoppiato, poi ridotto a un terzo. Anche tenendo conto della parallela e contraria fluttuazione del dollaro, valuta in cui il greggio è denominato, l’oscillazione osservata va al di là di qualunque possibilità di gestione. Terzo, le aspettative sulla domanda: attualmente tutte le previsioni sono andate in soffitta e, per il 2009,
dopo anni di crescita record ci si aspetta una crescita prossima a zero. Se non addirittura una contrazione trainata dalla riduzione dei consumi nei paesi Ocse, a partire da Stati Uniti e Unione europea. All’interno di questo fenomeno convivono due tendenze. Per quanto attiene gli aspetti congiunturali, la recessione determina minori consumi, sia nel settore industriale, sia nei trasporti, a causa, tanto della minore attività economica, quanto della riduzione del reddito disponibile (i consumatori bruceranno meno benzina per andare in vacanza). Contemporaneamente, però, stanno finalmente andando a regime gli investimenti in efficienza stimolati dalla fase precedente, quella degli alti prezzi.
Gli americani, soprattutto, hanno cominciato a comprare automobili più piccole e meno avide di carburante, col risultato che è scattato anche un contenimento strutturale della domanda. È chiaro che, mentre il primo fenomeno è transitorio e terminerà con l’estinguersi della crisi, il secondo continuerà ad avere effetti nel medio termine. Analogamente, le economie emergenti vedono raffreddarsi i loro consumi, ma in questo caso probabilmente gli elementi congiunturali prevalgono su quelli strutturali. Per la stessa ragione,
mondo
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Opec preoccupata: previsti nuovi tagli al vertice di dicembre
Il petrolio irrazionale come la finanza di Pierre Chiartano ella primavera scorsa il Ceo di Royal Dutch Shell, Jeroen Van deer Veer, prevedeva ci sarebbero stati problemi seri nel settore petrolifero. Faceva un paragone con l’industria chimica, assimilabile a quella petrolifera, per capire l’andamento dei prezzi – allora già sopra i 100 dollari. «Quando le industrie chimiche si avvicinano al massimo della capacità produttiva, in genere, i margini di guadagno aumentano. Così è per l’industria petrolifera. Tanto più il mercato percepisce che si sia vicini ai massimi produttivi, tanto più i prezzi saliranno. È un effetto più psicologico che reale, oggi, perché siamo ben lontani da questo limite», spiegava. Ciò per capire che un altro elemento distorsivo - della pesantissima entrata della finanza nel mercato dell’oro nero - sia quello di aver introdotto elementi irrazionali nei mercati petroliferi. È talmente vero, visto che sono gli hedge fund - fondi speculativi per eccellenza - a operare nel campo delle trivelle al Nymex di New York, la più importante piazza dove vendere i barili e determinare i listini. Anche se oggi la crisi finanziaria pare abbia limitato molta della capacità speculativa dei fondi, non è detto che le cattive abitudini siano scomparse.
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poi, stanno soffrendo gli investimenti nelle fonti energetiche alternative, rinnovabili, nucleare o il carbone. Non solo il vantaggio competitivo si riduce (e lo svantaggio, nel caso delle fonti verdi, aumenta) a causa del minor prezzo del greggio e, con esso, del gas; ma poiché si tratta normalmente di investimenti ad alta intensità di capitale, diventa più difficile raccogliere i finanziamenti necessari.
Una ricerca di New Energy Finance ha mostrato come il valore degli investimenti sia percipitato tra il secondo e il terzo trimestre 2008, e come esso sia probabilmente destinato a essere ulteriormente eroso. La variabile davvero rilevante, a questo proposito, è sempre più il livello di impegno dei governi e delle politiche pubbliche. La questione dirimente è se l’Unione europea terrà fermo il suo impegno di portare al 20 per cento il contributo delle rinnovabili. E se il presidente eletto americano, Barack Obama, confermerà i 150 miliardi di dollari promessi in campagna elettorale. E soprattutto quanto e fino a che punto sarà possibile spremere dai bilanci pubblici o dalle tasche dei consumatori le risorse necessarie a perseguire il necessario grado di incentivazione. In questo contesto, ci sono alcune certezze, in mezzo a un mare di incertezza. Una è che attualmente, per la prima volta da diversi anni, il mondo fronteggia un eccesso di offerta petrolifera; un’altra è che gran parte di essa svanirà non appena sarà terminata la crisi e, con
essa, riprenderanno a crescere i consumi. L’esigenza di investimenti in esplorazione e produzione non è, oggi, meno forte che in passato. È solo meno urgente. Il fatto che gran parte degli sforzi vengano cancellati perché economicamente insostenibili è, nel lungo termine, negativo. L’insistenza politica sulle rinnovabili, su cui presumibilmente verranno veicolati molti degli investimenti puramente finanziari - perché attratti da un rendimento garantito - rischia di distogliere l’attenzione dal settore più importante nel momento più critico. In altre parole, il concreto rischio è che, non appena il mondo tornerà a crescere e richiedere petrolio, l’offerta non sia pronta. Certo, resterà disponibile un “cuscinetto”, grazie alla capacità inutilizzata accantonata dai paesi Opec per difendere i prezzi. Non è detto però che sia sufficiente a dare molto respiro. Il rischio è che la volatilità dei prezzi torni a colpire, e che dai 40-50 dollari si arrivi rapidamente ai 90-100.
Non solo: non è scontato che i tentativi dell’Opec vadano a buon segno, anzi, c’è qualche probabilità che ciò non accada. Ma il risultato sarà quello di rafforzare l’ala dura, che potrebbe poi generare attriti quando il vento cambierà. L’Europa continua a parlare di come soddisfare il 20 per cento dei suoi consumi, con le energie rinnovabili, ma farebbe bene, almeno ogni tanto, a ricordarsi del restante 80 per cento.
« S i a m o p a s s a t i da un periodo di superToro ad uno di superOrso», il parere di un analista e trader del settore, Stephen Schork, che conferma come anche il lessico tecnico del trading petrolifero segua ancora la semantica finanziaria. «Il mercato stava solo provando quanto poteva spingere in alto i prezzi, fino a soddisfare tutta la domanda», un altro punto di vista, espresso da Sandrine Tortstadt, responsabile del settore analisi della novergese StatoilHydro. Ma proviamo a leggere i numeri del mercato future sul light crude, il greggio pregiato, per facilità di raffinazione e vicinanza ai mercati. Gli esperti considerano il mercato sintetico petrolifero come flat, piatto, senza grandi movimenti. I contratti in scadenza a gennaio 2009, vedono infatti un prezzo di 47,24 dollari al barile. Però l’andamento dovrebbe riprendere leggermente la crescita verso la prima metà dell’anno prossimo. Ad aprile le quotazioni sui future dicono 51,58 dollari e ad agosto 55,60 dollari per un fusto di greggio. Una crescita costante che, nell’aprile del 2011, vede i contratti quotare 70 dollari pieni. Questo almeno per ciò che riguarda le contrattazioni chiuse in questi mesi autunnali al Nymex. Vedremo se la finanza avrà ancora la capacità di determinare
l’andamento dei prezzi e di influenzarne le dinamiche, contagiandoli con le distorsioni tipiche delle borse mobiliari. Una «aporia» mercantile che ha già prodotto molti danni nelle transazioni cartacee della moneta. Uno spostamento continuo del significato di valore che rimanda sempre ad altri ambiti, fino al collasso, direbbe il filosofo Jaques Derrida.
Anche durante la riunione Opec del 24 ottobre scorso, a Vienna, si sono affrontati i problemi della crisi finanziaria mondiale, le sue ripercussioni sull’economia e la possibilità di riflessi nel mercato degli idrocarburi. Al «dramatic collapse» del prezzo, «senza precedenti per velocità e grandezza», come viene dfinito nel documento ufficiale dell’organizzazione con base in Austria, si è aggiunta la determinazione di ridurre il tetto estrattivo dei 28,808 milioni di barili/giorno di 1,5 milioni di barili/giorno. Un taglio diventato poi
Tanto più il mercato percepisce che si sia vicini ai massimi produttivi, tanto più i prezzi saliranno. È un effetto più psicologico che reale oggi, perché siamo ben lontani da questo limite effettivo dal primo novembre. Con le riduzioni più evidenti nella produzione di Arabia Saudita (meno 466mila b/g), Iran (meno 199mila b/g), U.a.e. (meno 1344mila b/g), Kuwait (meno132mila b/g), Venezuela (meno 129mila b/g) e Angola (meno 99mila b/g). Naturalmente ci si è dati appuntamento al successivo meeting algerino del 17 dicembre, per un aggiornamento delle quote, in attesa di registrare nuovi cambiamenti del mercato mondiale. Senza dimenticare l’incontro, precedente, fra il segretario generale dell’Opec, Abdalla el Badri e il presidente russo, Dmitri Medvedev. È proprio Mosca a patire le conseguenze peggiori del crollo dei prezzi, a causa della scarsa qualità del suo petrolio che richiederebbe quotazioni più alte, per essere remunerativo abbastanza per continuare a pompare denaro nei forzieri del governo e dei suoi fondi sovrani.
mondo
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rmai è ufficiale: il partito democratico non riuscirà a raggiungere il “numero magico” di 60 senatori che gli avrebbe permesso di evitare qualsiasi forma di filibustering (ostruzionismo) repubblicano. Il sogno di una “super maggioranza” è svanito ieri, quando sono arrivati i risultati definitivi del ballottaggio tra il senatore repubblicano in carica della Georgia, Saxby Chambliss, e il suo sfidante democratico Jim Martin. Chambliss, che al primo turno del 4 novembre aveva ottenuto poco meno di quel 50% che gli avrebbe permesso di evitare il runoff, ieri ha ottenuto il 57,4% dei consensi (contro il 42,6% del rivale).
O
Un distacco, insomma, che è salito dallo stentato 3% di un mese fa al quasi 15% di oggi, segno che la bassa affluenza alle urne (fenomeno naturale, dopo una campagna elettorale interminabile come quella delle elezioni presidenziali) ha favorito i repubblicani, come prevedeva la maggior parte degli analisti. Eppure non si può dire che i democratici non abbiano provato a vincere la sfida, visto che nelle ultime settimane sono arrivati in Georgia anche “pezzi grossi” del partito (da Bill Clinton al rapper/attore/attivista Ludacris) allo scopo di mobilitare l’elettorato intorno alla figura di Martin. Ad aiutare Chambliss nell’impresa, invece, sono stati soprattutto l’ex sindaco di New York, Rudolph
Usa 2008. I repubblicani vincono il “ballottaggio” al Senato in Georgia
Niente super-maggioranza per il partito democratico di Andrea Mancia Giuliani, e la governatrice dell’Alaska (e candidata alla vicepresidenza per il Gop), Sarah Palin. Assente “giustificato”, invece, il president-elect Barack Obama, che durante la delicata fase della transizione non se l’è sentita di “sprecare” capitale politico in una corsa così incerta, limitandosi a registrare un piccolo spot radiofonico (ripreso poi dalle robo-call democratiche) in favore di Martin.
Troppo poco, evidentemente, per spingere la folta comunità afro-americana a ripresentarsi in massa alle urne per contrastare lo sforzo da “ultima spiaggia” dei repubblicani in uno stato tradizionalmente favorevole al loro partito. Ai democratici, adesso, restano comunque 58 seggi al Senato (se si contano anche i due “indipendenti”, uno dei quali è Joe Lieberman che ha appoggiato la candidatura di John McCain alla Casa Bianca), in attesa
Saxby Chambliss, il senatore repubblicano in carica della Georgia ha vinto il “ballottaggio” con il democratico Jim Martin
Il partito di Obama non riesce a raggiungere il “numero magico” di 60 seggi, che avrebbe bloccato qualsiasi possibilità di tattica ostruzionistica da parte dell’opposizione
che in Minnesota si concluda il recount che vede coinvolti il senatore repubblicano in carica, Norm Coleman, e lo sfidante democratico, l’ex “comico” televisivo Al Franken. Quando il riconteggio volge ormai al termine, Franken sembra aver rosicchiato qualche decina di voti a Coleman, ma forse non abbastanza per ribaltare il risultato del 4 novembre, che vedeva in vantaggio il repubblicano di circa 200 voti.
A meno di clamorosi rovesciamenti di fronte dell’ultima ora (manca ancora l’esame di tutte le schede “contestate” da ciascuna delle due parti), adesso a Franken resta soltanto una strada: appellarsi direttamente al Senato (a maggioranza democratica) per denunciare - come ha già minacciato di fare - l’irregolarità del voto. Una strada impervia, non solo perché un’eventuale decisione del Senato in suo favore verrebbe inevitabilmente accolta come “partigiana”, Franken non gode della simpatia incondizionata dei suoi colleghi democratici, a causa del suo bizzarro approccio a metà strada tra Beppe Grillo e Paperino. Anche senza “super maggioranza”, comunque, i democratici non possono certo lamentarsi dei risultati ottenuti in questo ciclo elettorale. Ma le buone notizie da Georgia e Minnesota, almeno, permetteranno al Gop di non perdere qualsiasi tipo di rilevanza politica per i prossimi due anni.
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Diplomazia. Il Dipartimento di Stato teme che il conflitto allontani le truppe dal fronte afghano
La Rice minaccia Delhi e Islamabad: collaborate senza altre accuse di Vincenzo Faccioli Pintozzi segue dalla prima Gli analisti sono concordi nell’affermare che Washington ha paura dell’attuale situazione: la tensione nell’area rischia infatti di allontanare truppe fondamentali dall’Afghanistan. Se non è probabile una ripresa diretta del conflitto indo-pakistano, dice una fonte militare indiana alla Bbc, è fuori dubbio che un’escalation della tensione militare fra i due Paesi confinanti potrebbe distrarre l’esercito e l’intelligence pakistana dalla lotta al terrorismo islamico in corso nel territorio montuoso che separa il Pakistan dall’Afghanistan.
Lussemburgo: Granduca non firma la legge sull’eutanasia Per una questione di coscienza legata alla sua fede cattolica, il granduca Henri di Lussemburgo non intende firmare la legge sull’eutanasia. L’evento è assolutamente inedito, perchè nel Granducato non è mai successo che il sovrano si opponga a una legge votata dalla Camera. Prendendo le distanze dalla sua tradizionale neutralità politica, il sovrano ha annunciato che non firmerà per “ragioni di coscienza” la legge approvata dal Parlamento per legalizzare eutanasia. E il premier JeanClaude Juncker ha proposto dunque un emendamento costituzionale che, se approvato, ridurrà il sovrano a un ruolo puramente formale.
Romania: dopo il voto, coalizione globale
E questo perché il governo di Islamabad teme molto di più il vicino indiano che non l’integralismo islamico, con il quale convive da anni. E proprio questo fattore ha scatenato il balletto di accuse e minacce diplomatiche che hanno rinfocolato la tensione: tre giorni fa, l’ambasciatore pakistano a Nuova Delhi Shahid Malik era stato convocato dal sottosegretario agli esteri indiano Raghavan. Questo ha formalmente protestato contro il governo Zardari, colpevole di «fallimenti nello sconfiggere il terrorismo che ha origine sul suo territorio». Nel corso dell’incontro, inoltre, il diplomatico indiano ha sottolineato che l’attacco di Mumbai – che ha provocato 188 morti e circa 400 feriti - è stato compiu-
Duro intervento del capo della diplomazia Usa, in visita a Delhi: i due Paesi confinanti devono smetterla di attaccarsi e lavorare insieme senza indugi per evitare un nuovo 11 settembre to da «elementi che risiedono in Pakistan». I dieci terroristi che hanno partecipato all’attacco a Mumbai facevano parte di un gruppo di 24 giovani addestrati per un anno nei campi del gruppo islamico Lashkar-e-Taiba [l’Esercito dei Giusti, organizzazione terroristica nata tra le città pakistane di Mansera e Muzaffarabad ndr]. Lo hanno confermato fonti della polizia indiana citate dalla stampa in merito alle confessioni di Azam Amir Kasav, l’unico terrorista catturato vivo. Il ventunenne, originario di Gipalpura - nel distretto pachistano di Faridkot avrebbe confessato che «dopo un lungo addestramento, dieci di noi sono poi stati scelti per
in breve
l’operazione di Mumbai». Ad addestrarli sarebbe stato un ex soldato, Abdul Rahman. Nella sua prima fase, l’addestramento è stato fisicamente duro, in parte dedicato alle operazioni in mare, poi si è concentrato sull’uso di armi e munizioni. Quindi è seguito un periodo a Mumbai durante il quale Kasav ha raccontato di aver effettuato ricognizioni. Mohammed Muzzamil, che ha pianificato l’intera operazione, è arrivato a Mumbai un mese fa, ha scattato fotografie e girato immagini dei bersagli strategici per poi impartire al gruppo l’istruzione di «uccidere fino all’ultimo respiro». Secondo l’Hindustan Times, i servizi segreti indiani
sapevano da almeno un anno della possibilità di un attentato via mare ai grandi alberghi di Mumbai. Fahim Ahmad Ansari, un terrorista del Lashkar arrestato lo scorso anno, aveva infatti rivelato di aver condotto ispezioni al porto, all’aeroporto, alla Borsa e al comando della polizia di Mumbai nel dicembre scorso. Nel corso dell’interrogatorio, è poi emerso che l’uomo aveva anche ispezionato ogni piano degli hotel Taj Mahal e Trident Oberoi, dando tutti i dettagli prima di essere arrestato a uno dei leader del gruppo terroristico, Mohammed Muzzamil.Tutto questo, ha detto la Rice all’ambasciatore americano in India, non fa che avvicinare Stati Uniti e India. Per il diplomatico, infatti, «non si può escludere il coinvolgimento di al Qaeda negli attentati di Mumbai perchè questo è un tipo di terrorismo nel quale partecipa l’organizzazione guidata
Il Segretario di Stato americano Condoleezza Rice insieme all’ambasciatore americano in India, David Mulford, e sua moglie
da Osama bin Laden». L’inviata della Casa Bianca infine ha ribadito la volontà americana di fornire «ogni aiuto possibile, logistico e strutturale, alle indagini in corso».
Dobbiamo essere sicuri, ha infine concluso la Rice, «di poter evitare in maniera efficace che si verifichi un altro undici settembre». L’intervento, secondo alcune indiscrezioni della stampa pakistana, non è stato gradito da Islamabad: Zardari cercherebbe infatti di utilizzare la crisi per ricompattare il Paese (in grave recessione) contro un nemico comune. E poco importa che questo chieda un aiuto contro il terrorismo.
A quattro giorni dalle elezioni politiche del 30 novembre, si profila in Romania un governo di coalizione tra l’alleanza tra il Partito socialdemocratico e conservatore (Psd-Pc) e il Partito democratico-liberale (Pdl, centro-destra, vicino al capo dello stato Traian Basescu). Anche se l’alleanza Psd-Pc è arrivata prima alle urne con il 33,09% alla Camera e il 34,16% al Senato, il Pdl, con il 32,36% e il 33,57%, ha ottenuto tre seggi in più nel futuro Parlamento, in seguito alla distribuzione dei voti. Il nuovo sistema elettorale abbina il voto maggioritario a quello proporzionale. Anche se il Pdl ha annunciato che avvierà negoziati per un futuro governo dopo le consultazioni del presidente Basescu con tutti i partiti, il neoeletto deputato Psd Miron Mitrea ha dichiarato oggi che «la prima opzione del partito è formare il futuro governo col Pdl».
Kabul, libero cittadino francese rapito un mese fa È stato liberato il cittadino francese rapito un mese fa a Kabul. Lo ha annunciato il presidente francese, Nicolas Sarkozy. Dany Egreteau era stato sequestrato il 3 novembre scorso.
cultura
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Un quadro una storia. La Memoire, il misterioso “dipinto portatile” dalle classiche ma impalpabili suggestioni
L’esoterico Magritte Breve viaggio allegorico tra gli enigmi raffigurati (e vissuti) dal pittore belga di Olga Melasecchi el 1948 il pittore belga René Magritte (1898-1967) dipinse ad olio su tela La memoire, una delle sue opere più note: in primo piano su di un muretto di grossi mattoni grigi allineati ma non cementati fra loro è poggiata, sul mattone di destra, la testa di una scultura femminile in gesso, mentre sul mattone di sinistra è una sfera divisa a metà, o un sonaglio, come viene identificato dagli esegeti del pittore. Tra il sonaglio e la testa è una foglia verde. Dietro la testa nella metà di destra è un pesante tendaggio rosso nelle cui tonalità più scure si fonde la parte in ombra del gesso, il resto del fondo è occupato da una veduta celeste di mare e cielo con nuvole leggere. La nostra attenzione è tuttavia concentrata sull’espressione malinconica del volto di classica bellezza e sulla macchia di sangue che è ben evidente intorno all’occhio destro. Qual è il messaggio dell’artista?
N
natura “mantrica” delle sue composizioni che, in qualche modo, ci ipnotizzano per la forte carica figurativa in essi contenuta. Ma il mistero per sua natura suscita anche il desiderio di essere svelato, e in questa doppia valenza risiede il messaggio forse involontariamente ludico dell’artista, che mantiene fino alla fine uno sguardo infantile sul mondo. Un voluto richiamo al mondo figurativo del bambino è nella chiarezza e semplicità della rappresentazione degli oggetti dei suoi quadri, identificati sempre dal titolo come lo sono le lettere
del dipinto in esame, seguendo una lettura individuale si può immaginare che la sfera sia lì perché ha appena colpito la testa, che, come se fosse di carne, comincia a sanguinare, una ferita inferta da un volume perfetto alla bellezza ideale, una sorta di atto sacrilego che si compie su di un altare-palcoscenico cui può alludere il tendaggio sulla destra e che ha, come estremo paradosso, un fondale indifferente e, anzi, onirico.
L’unico riferimento alla vita è però nella foglia ancora verde, appena staccata dall’albero, forse perché allusiva all’aspetto effimero della vita stessa. Secondo un’altra lettura la testa sarebbe allusiva a qualcuno che non c’è più e l’unica cosa che gli resta della vita di un tempo è la macchia di sangue. Macchia che potrebbe anche non appartenerle ma provenire da una violenza a cui ha assistito sidell’alfabeto figurate, ma che nei lenziosamente e di cui ha ancora suoi dipinti ad una prima lettura memoria, come indica il titolo dato appare totalmente incongruo. Il dall’artista. In entrambi i casi, proL’opera ci attrae per la sua at- tentativo di decifrare le sue opere, prio grazie al titolo, sembra plausimosfera di tragico lirismo e come e quindi di capirne meglio il pro- bile il contrasto tra la vita (foglia, per tutte le opere del maestro bel- cesso creativo, è possibile solo sangue) e la morte (pietra, gesso), ga vogliamo immaginarla di gran- grazie alle parole dell’artista, ben- entro i cui limiti si colloca il perdi dimensioni, mentre in realtà ché a voler rimanere fedeli alla corso della memoria. Proprio parquesta tela misura cm 59 x 49. sua volontà, prima di conoscerne tendo dal titolo, che è l’unico agNon è grande, ha le dimensioni di la genesi, sarebbe meglio tentare gancio tra noi e l’artista, così in un quadro portatile, ma non è que- di darne un’interpretazione sog- realtà Magritte spiegò in sto il suo uso. Sembra un canto di gettiva, diventando in un certo un’intervista la genesi di tutte le tragedie umane, è un’icona senso nel contempo spettatori questo dipinto: «Il titolo ha e dovrebbe riempire un’intera pa- passivi e interpreti attivi, e anche con le figure dipinte lo stesrete, perché, come tutte le opere di questo diventa un gioco. Nel caso so rapporto che intercorre Magritte, è una visione di tra le figure stesse. un altro mondo, di un’altra Le figure sono riunirealtà, una “surrealtà”, sote in un ordine che pra e oltre la realtà, come evoca il mistero. Il tiRené Magritte nasce a Lessines, in Belgio, nel 1898. Da volevano infatti gli espotolo viene unito algiovane si trasferisce più volte con la famiglia: nel 1910, nenti del movimento surl’immagine dipinta all’età di 12 anni, si trasferiscono a Châtelet, dove sua realista di cui Magritte è secondo lo stesso madre Adeline, nel 1912, morirà gettandosi nel fiume stato uno dei maggiori ordine. Per esempio Sambre. Si trasferisce nuovamente, questa volta a Charprotagonisti. Ma capire il quadro La memoleroi, per allontanare il dolore della tragedia. Nel 1916 si Magritte - al quale è dediria presenta una fiiscrive all’Accademia di Belle Arti di Bruxelles. Nel 1919 cata ora una bella mostra gura di gesso sulla espone la sua prima tela, “Trois Femmes”, presso la Gaa Palazzo Reale a Milano, quale si espande lerie Giroux. Nel 1925 entra nel suo periodo surrealista aperta fino al 29 marzo del una macchia di sancon l’adesione al gruppo di Bruxelles. Nel 1926 prende 2009 - è quasi impossibile gue. Quando ho dacontatto con André Breton, leader del movimento surperché, come ripeteva to al quadro quel tirealista, e l’anno successivo si tiene la sua prima mostra spesso lo stesso artista, i tolo ho sentito che le personale alla galleria Le Centaure. Nel 1940 si trasferisuoi quadri sono la raffidue cose stavano bene assce a Carcassonne. In questi anni sperimenta un nuovo gurazione di misteri, che sieme. (...) Devo però dire stile pittorico, detto alla Renoir o solare, che porta avannon hanno bisogno, proche quando ho dipinto il ti sino al 1947. Inizia il periodo vache, una sorta di paroprio per la loro intrinseca quadro La memoria, non ho dia del fauvismo. Dopo un ultimo, lungo viaggio fra natura “esoterica”, di essepensato a ciò che sto per diCannes, Montecatini e Milano, avvenuto nel 1966, muore ora. Ho pensato solo alre spiegati e compresi, ma re il 15 agosto dell’anno successivo a Bruxelles. l’accordo fra l’immagine e il solo osservati. In effetti titolo che designa tale imnon possiamo negare la
Nelle opere non cercava il godimento estetico: dipingere era per lui un atto puramente conoscitivo, un modo come un altro per afferrare la realtà delle cose
l’autore
magine. Di conseguenza il quadro non è l’illustrazione delle idee che seguono: quando pronunciamo la parola “memoria”, vediamo che essa corrisponde all’immagine di una testa umana. Se la memoria può occupare un posto nello spazio, non può essere altro che all’interno di una testa. La macchia di sangue può evocare in noi la supposizione che la persona di cui vediamo il viso è stata vittima di un incidente mortale. Infine, si tratta di un evento passato, che rimane presente nella nostra mente grazie alla memoria». Partiva dunque spesso da una parola evocatrice e procedendo per analogia creava figure che avessero una qualche affinità con questa parola o frase: «Non riesco a dipingere senza avere il quadro interamente delineato nella mia mente», affermava in proposito, «la cosa procede con lentezza. Ho a portata di mano un taccuino per disegni. L’ispirazione mi dà un’immagine: mi viene voglia di dipingere una nuvola. Allora disegno dunque delle nuvole, forse un centinaio e le circondo ogni volta di forme di cui non so il senso fino al momento in cui mi torna l’ispira-
cultura
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A sinistra, il dipinto di Magritte “La Memoria”. In basso, un particolare di “Il doppio segreto” e, a destra, il celebre “Golconda”
Cento dipinti in mostra a Milano irca cento dipinti sono eccezionalmente in mostra a Milano fino al 29 marzo 2009, insieme ad alcune gouaches e sculture, per raccontare l’arte di René Magritte. L’esposizione ripercorrerà tutta la sua vicenda artistica partendo dai primi, bellissimi e quasi sconosciuti dipinti futuristi, attraverso le immagini più oscure del periodo fra le due guerre, fino ai celeberrimi, imitatissimi, dipinti degli anni Cinquanta. Tutta l’esposizione ruota intorno ad un unico tema: la natura. La presenza costante della natura nelle opere del pittore, la sua importanza e il modo particolare di sviluppare questo tema. Un’ impronta surrealista è quella di Magritte, che tratta la natura come frammento del reale per raggiungere il surreale. Curata da Michel Draguet, l’esposizione sottolinea lo spirito innovativo di questo artista, non più pittore di nature morte, scene di vita quotidiana e paesaggi in riva al fiume, ma di cielo, nuvole, mari, frutti e fiori che prendono vita tra le mani dell’artista. Momenti forti, volti coperti da un lenzuolo, sagome umane come buchi della serratura sul mondo. L’evento, studiato per attirare l’attenzione di appassionati è tutto proiettato verso una dimensione surrealista nella quale Magritte intravede la direzione che la società del tempo stava intraprendendo. Magritte è stato uno dei pochi maestri del Novecento ad aver posto la natura al centro della sua ricerca, mettendola in relazione con le caratteristiche e i limiti della vita dell’uomo moderno. I personaggi, gli interni, le nature morte dialogano con gli elementi della natura e compongono paesaggi “interpretati”, “rivisti”, con l’occhio di un lucido e spregiudicato intelletto moderno, sempre presente e sempre attento agli occhi dello spettatore, al punto che alcune delle icone di Magritte sono divenute ormai parte integrante del nostro immaginario collettivo.
C
zione e in cui so che ciò che deve andare sotto la nuvola è un bicchiere di cristallo». Sappiamo che l’ispirazione per il dipinto in esame crebbe in lui dopo la visione del dipinto metafisico di Giorgio De Chirico Canto d’amore, a proposito del quale, nel 1938, Magritte disse: «Nel 1910 De Chirico gioca con la bellezza, immagina e realizza ciò che vuole: dipinge il Canto d’amore, in cui si vedono riuniti un guanto da boxe e il viso di una statua antica. E’ una nuova visione, nella quale lo spettatore ritrova il suo isolamento e intende il silenzio del mondo».
Nelle sue opere non cercava il godimento estetico, era indifferente a qualsiasi canone estetico, dipingere era per lui un atto puramente conoscitivo, un modo come un altro per afferrare la realtà delle cose. Alla perenne ricerca della verità, della vera realtà. Come un moderno Platone, Magritte aveva dentro di sé la consapevolezza che quanto ci circonda era solo il riflesso di una verità nascosta, e il luogo in cui risiede tale verità o mistero è il pensiero: «La mia pittura», diceva infatti, «non è altro che la descrizione (che ha rinunciato all’originalità e alla fantasia) di un pensiero i cui soli termini
sono figure del mondo visibile. Queste figure sono riunite in un ordine che non può lasciare nessuno indifferente. Ma non sono responsabili delle idee e dei sentimenti che sorgono in noi quando le osserviamo». Egli ripropone con le sue opere esperienze sperimentate, più o meno verosimilmente, fin dalla primissima infanzia: «Il primo sentimento che ho conosciuto e di cui serbo memoria è il sentimento del mistero: ho provato questo sentimento osservando una cassa che, un certo giorno, si trovava accanto alla culla in cui riposavo. Tale cassa era il primo oggetto che vedevo, per me fu la prima manifestazione del mondo visibile». Infatti, diceva ancora, «il mistero non è una fra le possibilità del reale. Il mistero è ciò che è assolutamente necessario perché esista un reale». Diventa in questo modo un interprete lirico della verità oggettiva delle cose, scegliendo gli oggetti più semplici, più facilmente riconoscibili, come una pipa, un cappello, un tavolo (ecco le lettere dell’alfabeto figurate), decontestualizzandoli, collocandoli in contesti in cui tali
oggetti perdono la loro funzione originaria.
Il quadro diventa così la dimostrazione di quanto non bisogna dare niente per scontato, anzi, sembra che il maestro belga voglia quasi sconvolgere, attraverso una sorta di choc emotivo, la nostra visione automatica della realtà. L’opposizione ad ogni automatismo è soprattutto volontaria accettazione della vita, e il surrealismo era per Magritte «la concezione che la vita dell’uomo dev’essere assolutamente degna d’essere vissuta». Come non vedere dietro queste parole l’orrore che René Magritte adolescente, all’età di quattordici anni, dovette provare davanti alla perdita della madre, morta suicida all’età di quarantadue anni! Un’esperienza che, come scriverà, fu per lui «un vero choc», sentimento straniante e destabilizzante che, viene da pensare, ha cercato di esorcizzare riproponendo costantemente nei suoi dipinti una “realtà altra”: il mistero e la certezza dell’ineluttabilità del destino e del coraggio di affrontarlo, nonostante tutto.
Come un moderno Platone, aveva dentro di sé la consapevolezza che quanto ci circonda era solo il riflesso di una verità nascosta dal pensiero
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cultura
In libreria. Philip Roth, John Updike e Toni Morrison, tre prossime uscite sulle orme dei successi degli scorsi anni
Ritorno al passato (prossimo) di Antonio Funiciello un caso di cui l’America letteraria discute: Philip Roth, John Updike e Toni Morrison nei loro ultimi romanzi in uscita (Indignation di Roth è nelle librerie da settembre) ritornano su personaggi e storie già raccontate in libri precedenti. Nulla di eccezionale, si sa: quasi tutta la letteratura, da Omero in poi, è basata sul riutilizzo di materiali altrui. Roth, Updike e Morrison, invece, preferiscono tornare su se stessi, come se vecchie trame che loro e noi stessi credevamo concluse, reclamassero nuovo interesse. E tutto ciò avviene in una singolare concomitanza per i tre quasi ottuagenari scrittori, che merita senz’altro attenzione.
È
noy. L’unica non indifferente differenza tra i due libri, sta in questo indulgere di Roth sul momento della morte – lo aveva già fatto due anni fa con Everyman – che ci ricorda quanto dichiarato in una bella intervista di un mese fa a Robert McCrum sul Guardian, circa il suo probabile ritiro dalla scena dopo Indignation.
John Updike ha dato, invece, alle stampe The widows (vedove) of Eastwick, sequel del notissimo Le streghe di Eastwick dell’84, da cui il famoso film con Jack
dell’86 di Rizzoli. Nel sequel Updike ritrova le sue tre eroine, che dopo aver sconfitto Satana si ritrovano vedove dei loro fortunati mariti. Tornano così a Eastwick, da cui si erano allontanate, per fare classicamente i conti col loro passato. Chi ha in mente la commedia di Miller, deve tener presente che nel romanzo di Updike le tre streghette erano molto più interessate al sesso di quanto non risulti, per ragioni di blockbuster, nel film. Ed è da qui che Updike muove per interrogarsi sulle complicazioni della vita di coloro che, avanti con gli anni
Indiga ntion di Philip Roth (che da noi uscirà nel 2009 per Einaudi) è il vaneggiamento sotto morfina del soldato semplice 19enne Marcus Messner, ferito a morte nella guerra di Corea. Un delirio in cui ripercorrere con rabbia una breve esistenza, nell’incapacità di accettare una morte assurda anche perché tanto prematura. Negli Usa è stato subito rilevato quanto l’urlo di Messner somigli a quello di Alexander Portnoy, l’eroe del Lamento che rivelò Roth al grande pubblico. Messner è Portnoy perché i ricordi comuni ai due romanzi sono il racconto della stessa voglia di uscire fuori dall’asfissia dal medesimo luogo d’origine (Newark) e dall’uguale incomprensione familiare, attraverso le iniziazioni sessuale e intellettuale. Indignation è quasi una sorta di impossibile presequel del Lamento di Port-
manzo Beloved (Amatissima per l’edizione italiana di Frassinelli), che nell’88 vinse il Pulitzer ed è stato giudicato dal New York Times – forse con un’enfasi eccessiva – il più grande romanzo americano dell’ultimo quarto di secolo. In Beloved la Morrison raccontava la storia di Sethe in fuga dalla schiavitù, subito dopo la fine della guerra di secessione. Fuga vana, che induce Sethe a uccidere sua figlia pur di non condannarla a una vita di stenti e sottomissione. La Morrison, con A Mercy, torna sui temi che le stanno più a cuore, ma risalendo a duecento anni prima delle vicende narrate in Beloved. Ad un tempo primordiale per l’America, in cui rintracciare l’origine del peccato originale nazionale: la segregazione razziale.
Flaube rt dic eva
I tre grandi e ottuagenari scrittori hanno preferito tornare sulle felici intuizioni di precedenti romanzi, piuttosto che costringere lo spirito creativo a rischiosi voli in cieli inesplorati Nicholson nei panni del Diavolo e Michelle Pfeiffer, Susan Sarandon e Cher in quelli delle tre streghe. Guanda, che pubblicherà Le vedove di Eastwick l’anno prossimo, ha appena sagacemente ripubblicato proprio Le streghe di Eastwick di cui in Italia mancava un’edizione da quella
e smarrita la naturalezza dell’eros, non intendono rinunciare all’immediatezza del corpo per la mediatezza della mente.
Toni Morrison con A Mercy ha scritto, alla maniera di Roth, una specie di presequel del suo più importante ro-
A sinistra: John Updike, che sta dando alle stampe “The widows of Eastwick”, e Toni Morrison, autrice invece del nuovo romanzo “A Mercy”. A destra, Philip Roth, tra poco in libreria con “Indigantion”
che «non si vive di sola ispirazione». Roth, Updike e Morrison mostrano di seguire il suo suggerimento, preferendo tornare sulle felici intuizioni del passato, piuttosto che costringere il proprio spirito creativo a rischiosi voli in cieli inesplorati. A quasi ottant’anni, sperimentano la rivisitazione dei propri vecchi ambienti immaginifici, temendo forse che, ad allestirne ex abrupto di nuovi, potrebbero non riuscire a sostenerli. Un’accortezza di misura che continua a rivelare il loro genio. Se è vero che scrivere un libro è come fare un figlio, sembra quasi che i tre conferiscano un valore estetico alla battuta fulminante di Billy Cristal: «È vero che Charlie Chaplin ha avuto l’ultimo figlio a 73 anni, ma è anche vero che non riusciva a tenerlo in braccio».
cultura
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U
somma, la percentuale delle donazioni individuali rappresenta solo lo 0,13% del Pil, ben poca cosa rispetto alle cifre riportate da Novak.
Alcune cifre presentate ieri da l’insieme delle donazioni fatte da Michael Novak nel corso del suo individui ammonta a circa 3,5 intervento aiutano a focalizzare miliardi di euro nel 2005 e che meglio la dimensione del proble- questa cifra è destinata ad auma. Nel 2006 la somma delle do- mentare.Tanto che nel 2050 si stinazioni private in America ha ma che possa ammontare a circa raggiunto la ragguardevole cifra 14 miliardi di euro. Ad oggi, indi 295 miliardi di dollari. Di questi: 223 miliardi sono stati dati direttamente da singoli privati, 36 miliardi da fondazioni e 22 miliardi da lasciti alla morte. Rispetto all’Italia non disponiamo di dati ufficiali relativi alle donazioni di singoli individui. Le cifre, di fatto, sono tuttora presentate in modo diverso e su piccola scala in confronto ad altri Paesi. Tuttavia, una recente ricerca dell’Irs, un A destra: Benedetto XVI e Mary Ann istituto di ricerca di Glendon, ambasciatore americano presso Milano, fatto in collala Santa Sede. Sopra, Michael Novak, borazione con il vertidirettore degli Studi Sociali e Politici ce della solidarietà, all’American Enterprise Institute mette in evidenza che
Ma il punto è un altro. Da un sondaggio condotto recentemente dall’Istituto italiano delle donazioni, emerge che ad essere generosi sono i cittadini, non le associazioni, non le banche. Dato che dimostra il “grande cuore” italico, ma non la nascita di una coscienza sociale capace di mettere in piedi un sano marketing filantropico. Dall’inchiesta appare che circa 15 milioni di italiani, di età compresa fra i 14 e i 64 anni, (il 31% dell’intera popolazione), hanno fatto almeno una donazione negli ultimi 12 mesi. Ogni donatore fa, in media, due donazioni all’anno, il che significa che in Italia si effettuano circa 29,5 milioni di atti di donazione all’anno. Il profilo socio-demografico del donatore italiano tipico è quello di una donna dai 35 anni in su, appartenente alle fasce di reddito più alte e con un elevato livello di istruzione. Le cinque aree che prioritariamente ricevono donazioni sono la ricerca scientifica e medica (14%), l’emergenza umanitaria (13%), seguita da contributi per i Paesi in via di sviluppo (8%), sostegno alle parrocchie e alle comunità religiose (7%) e infine sostegno agli italiani con redditi bassi o minimi (5%). Ma il marketing filantropico è quasi inesistente (e sì che è nato proprio in Italia fra il Medioevo e il Rinascimento ed è servito da modello per gli Usa) e soprattutto poco noto. Di fatto, costituisce un’attività commerciale dell’impresa for profit, una nuova opzione strategica di marketing che non ha nulla a che fare con un’azione di beneficenza o di pedagogia sociale promossa nell’interesse collettivo. Le sue azioni contribuiscono alla soluzione di problematiche sociali ma, da parte dell’impresa, nelle finalità di simili alleanze è l’elemento economico che predomina: un esempio di questo tipo di alleanza è stata la campagna del 1996 American Express’s Charge Against Hunger, realizzata tra l’American Express e l’organizzazione Share Our Strenght, il cui obiettivo è quello di combattere il problema della fame negli Stati Uniti. Nel corso di tale iniziativa, l’American Express ha donato 3 cent all’organizzazione non profit ogni volta che la carta di credito veniva utilizzata, raccogliendo oltre 5 milioni di dollari. Anche questo è un esempio di finanza etica.
na banca deve servire soprattutto a dispensare “solidarietà”nei confronti delle fasce più deboli e il sostegno dell’attività produttiva. Con queste parole Papa Ratzinger torna sui temi dell’economia e della crisi mondiale, aprendo la strada, il giorno dopo l’appello ai finanziamenti allo sviluppo dei Paesi poveri lanciato a Doha, al tempo delle soluzioni. Su alcune di queste si è discusso ieri (e se ne parlerà ancora oggi) a Roma alla conferenza su ”Filantropia e diritti umani”promossa dall’Acton Institute di Robert A. Sirico (che nel 1990, preoccupato del fatto che le comunità religiose non fossero consapevoli delle questioni economiche che sono alla base dei problemi sociali di oggi, ha fondato l’Istituto) e da Mary Ann Glendon, ambasciatore Usa presso la Santa Sede e figura di spicco del mondo cattolico, già nominata nel 1995 da Giovanni Paolo II a capo della delegazione della Santa Sede alla Conferenza Onu sulle donne a Pechino. Cuore della discussione quel modello di società libera che non si aspetta il continuo intervento dello stato per badare a se stessa, ma che si adopera all’autonoma risoluzione dei problemi attraverso reti associazionistiche, fondazioni, istituti bancari e iniziative spot. Una società che per usare le parole di Giovanni Paolo II - vede andare di pari passo l’interesse personale e privato con l’interesse comune per una società equa. Un tema caro e navigato nella cultura anglosassone, Stati Uniti in testa, ma ancora poco seguito in Italia, sia per un diverso trattamento di agevolazioni fiscali a chi fa filantropia, sia per una cultura di libertà e responsabilità individuale che ancora fatica a decollare nel nostro Paese, tradizionalmente dipendente dall’intervento pubblico.
Filantropia. Una conferenza dell’Istituto Acton su carità e società civile
Banche e cittadini, è l’ora della solidarietà di Matteo Milesi
Le donazioni private negli Usa hanno raggiunto, nel 2006, i 223 miliardi di dollari. In Italia - dato al 2005 - poco meno di 4 miliardi di euro
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da ”le Monde” del 02/12/2008
La Cecenia col velo islamico amzan Kadyrov l’ha promesso. Probabile che i ceceni l’avranno. Cosa? Un bel piano di rinascita islamica: dalle studentesse col velo a una profonda riforma moralizzatrice della società. Oggi Grozny non è più una Stalingrado, con edifici sventrati e pareti di cemento intarsiate dai fori di calibro 7.65 e le strade invase da fango e detriti. Le rovine di anni di combattimenti e spargimento di sangue sembrano essere state gradatamente riassorbite dalla terra cececena. La vita quotidiana è accettabile e i segni dei bombardamenti russi del periodo 1999-2000 stanno scomparendo. A fine giornata è possibile vedere giovani a spasso per il centro, le tradizionali “vasche” su e giù per i marciapiedi, sfoggiando nuovissimi laptop, borse Chanel taroccate e Dolce e Gabbana di simile provenienza. Le ragazze portano i tacchi alti e si muovono
R
È la normalizzazione del presidente Kadyrov, nominato direttamente dal Cremlino come proconsole, in quelle lande sperdute e sfortunate del Caucaso. Dopo quindici anni di guerra con la Russia. Più che un presidente democratico assomiglia a un satrapo orientale ad un khan, con le sue famose prigioni segrete e i personali metodi di tortura. «Insieme stiamo costruendo il futuro» è una delle tantissime scritte che vergano manifesti, gigantografia con la sua effige, che puoi ammirare un po’ ovunque nella città e nel paese. Energia elettrica, gas e acqua corrente sono state ripristinate e la gente comincia a credere che si stia tornando alla normalità. Ci crede veramente e il sentimento di riconoscimento è palpabile. I cececni sono stanchi e aspirano ad una cosa sola: vivere. Ma Kadyrov vuol fare di più. Moralizzare il paese in salsa islamica, rafforzare le tradizioni.
Con il parco di 14 ettari, l’istituto di cultura musulmana e l’ostello per i pellegrini è invidiata in tutto il Caucaso. Il 20 ottobre scorso Putin ha fatto visita al suo pupillo e ha assistito all’inaugurazione del luogo di culto. Una nemesi storica, sancita dalle parole di Kadyrov: «I nemici della Russia e della Cecenia volevano distruggere la sovranità russa, ma noi l’abbiamo difesa insieme con la purezza dell’Islam». La gente è favorevole a questa nuova ventata moralizzatrice, che comincerà con velo alle studentesse universitarie. Niente di drastico, per ora, chi non volesse indossare lo hijab, potrà legarsi i capelli con un nastro, ma un segnale è stato dato. Il richiamo alla tradizione islamica è continuo e colpisce soprattutto le donne e le loro abitudini. In alcune trasmissioni televisive si cominciano a suggerire quali dovrebbero essere i comportamenti corretti e si critica l’eccessiva emancipazione femminile. Col tema dell’amoralità del gentil sesso, sono ricomparsi i cadaveri per le strade. In novembre ben sette corpi di giovani ragazze sono stati ritrovati crivellati di colpi d’arma da fuoco. Il messaggio passato nei media è che siano state vittime, sì di criminali, ma principalmente del loro stile di vita «amorale». Natalia Istemirova che dirige l’Associazione per la difesa dei diritti umani Memorial, a Grozny, non ne è tanto convinta: «questi omicidi non hanno nulla a che vedere con i delitti d’onore. Quando le ragazze vengono uccise da membri delle loro famiglie, di solito, vengono seppellite e non lasciate a marcire in un fossato. Sembra più l’eliminazione di testimoni scomodi».
Proprio nel centro nevralgico della capitale in fondo a un grande viale dedicato a Vladimir Putin, è stata costruita una moschea. Forse la più grande d’Europa, che può ospitare fino a 10mila fedeli in preghiera.
E non è il primo caso del genere, già nel 2007 i corpi di altre sei ragazze furono trovate nelle stesse condizioni - crivellate di colpi - in un bosco vicino Tsenteroi, la città natale del presidente Kadyrov. Il caso, nonostante l’intervento di alcuni familiari che volevano far effettuare l’autopsia sui cadaveri che venne negata - fu rapidamente insabbiato.
con la disinvoltura tipica di quell’età, che contraddistingue i giovani ad ogni latitudine. Nei caffè i ragazzi commentano gli ultimi video clip alla moda, le cui immagini scorrono su schermi ultrapiatti. Nulla sembra più come prima.
L’IMMAGINE
Perché Berlusconi non fa come Segni che “riformò” le sue proprietà? Il Presidente del Consiglio, che è anche il proprietario del gruppo televisivo più importante della nazione, decide di intervenire con un provvedimento di governo su un suo concorrente imprenditoriale come Sky. Ho letto i pro e i contro e non so dire se il provvedimento sia favorevole o contrario. Una cosa però è certa: è senz’altro inopportuno. Silvio Berlusconi avrebbe potuto e dovuto astenersi da ogni intervento in materia televisiva o disfarsi completamente delle sue proprietà o affidarle ad un gestore terzo. Purtroppo dopo tanti anni ci troviamo ancora con il noto conflitto di interesse. Se non ricordo male, Antonio Segni fece una riforma agraria “riformando”anche le sue ingenti proprietà terriere in Sardegna. Non si chiede tanto a Berlusconi ma o risolve il suo conflitto con le proprietà televisive o si astiene dall’intervenire nelle attività dei suoi concorrenti. Al momento tutto lascia pensare che le cose resteranno invariate.
Carla Sterza
RETI RAI VISIBILI MA SOLO A RICHIESTA
LA RAI ELIMINI IL CANONE INVECE DI REGALARE PACCHI
Considero ingiusto il canone Rai. Una tv con programmi scadenti e politicizzati. Qualcuno si ricorda ancora del referendum del ’95 (mai attuato) che imponeva la privatizzazione della Rai? Poiché il referendum sul canone in sé non è realisticamente praticabile, si possono percorrere due strade: la prima è ripresentare il vecchio referendum tout court e stare a vedere cosa succede, la seconda è raccogliere almeno 50mila firme per presentare una proposta di legge di iniziativa popolare che imponga di mettere le trasmissioni Rai “in coperto” e visibili solo dietro il pagamento del canone. Chissà quanti sarebbero veramente interessati ai programmi Rai.
È tempo di sacrifici per tutti. E allora anche la Rai dovrebbe fare la sua parte. Mi sembra francamente poco educativo continuare a mandare in onda in prima serata programmi che regalano soldi con giochini e pacchetti vari. Se la Rai ha così tanti soldi da regalare, perché non abolisce il canone dal prossimo anno?
Gianluca Ricolfi
Giuseppina Torinese
GIÙ LE MANI DAL NATALE A seguito di numerose e forti proteste, il comune di Oxford in Gran Bretagna ha revocato la scelta di cancellare il termine “Christmas” e sostituirlo con “Festività delle luci invernali” per non offendere le altre religioni. Considerando che ogni anno an-
Ciccia cosmica! che in Italia non mancano casi di attacchi al Natale, come presepi e recite natalizie vietate, sarebbe bene ricordare che il rispetto delle altrui culture e tradizioni non implica la rinuncia delle proprie.
Nando
BESTEMMIE A VERONA Il Comune di Verona ha fatto tappezzare la città di un manifesto
recante la dizione «La bestemmia offende, il rispetto promuove la pace». E la Curia veronese che fa? Invece di apprezzare la campagna antiblasfema, boccia l’iniziativa e dichiara che il «poster è assolutamente banale, non incisivo». Dinanzi a tali assurde obiezioni verrebbe da chiedersi cosa abbia fatto in concreto la curia scaligera in questi anni per con-
Persino il Sole soffre di pelle a “buccia d’arancia”. E neanche l’insolito colore viola di questo scatto realizzato con uno speciale filtro fotografico riesce a mascherare i suoi inestetismi. Nei periodi in cui la sua attività magnetica è più intensa, infatti, la nostra stella “ingrassa”. Attorno al suo equatore emergono tante “increspature” luminose (nella foto) che sembrano far lievitare il suo girovita
trastare la proliferazione della bestemmia. Nulla. Ovviamente la sottovalutazione del “vezzo nazionalpopolare”non concerne solo la chiesa veronese ma la quasi totalità delle diocesi italiane. Infatti è certo che non è stata mai attuata nessuna iniziativa pubblica contro la trasgressione del secondo comandamento.
Gianna Toffolo
opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog LETTERA DALLA STORIA
Beata te che sei così giudiziosa ed equilibrata! Tante, tante cose ti vorrei dire che mi si affollano alla mente e mi si gonfiano in cuore - e che diventano fredde e sciocche nella carta. Questo solo ti dico, che ti ho ancora e sempre dinanzi agli occhi, e ti accompagno in ogni ora della tua giornata, e sento che mi manca la più cara e la miglior parte di me stesso. Come hai fatto a prendermi così? Quel viaggio che ho rifatto da solo, dopo averlo fatto insieme a te, è stato una grande tristezza; ogni luogo, ogni pietra che abbiamo visto insieme mi ritorna dinanzi, e mi lega. Le parole, gli atti, il tono della voce. Le parole che non dicesti e quelle che non osai dirti. L’ombra che ti fuggiva nella fronte e gli occhi che guardavano lontano. Ancora non mi dà pace di aver perduto questi giorni che avrei potuto passare ancora insieme a te, o vicino a te. E se non fosse la certezza di far pensare che son matto... farei il ballo del ritorno anche per un sol giorno. Beata te che sei così giudiziosa ed equilibrata! Vedi che un po’ d’equilibrio l’hai dato anche a me! Però domani sera voglio essere a Milano, sen’altra dilazione e vuol dire che lontani per lontani guarderò almeno il posto dove ti vedevo passare dalla finestra. Ebbi la tua lettera come una carezza. Ma l’avevo aspettata tanto che sono andato ad aspettarla anche all’arrivo del corriere dall’Italia. Ti bacio quelle mani che mi attirano e mi tengono stretto. Giovanni Verga a Francesca Giovanna Castellazzi
ACCADDE OGGI
RISCOPRIAMO LE BUONE LETTURE Molti anni fa, nel 1935, un celebre avvocato fiorentino, Piero Calamandrei, scrisse un libro dal titolo Elogio dei giudici scritto da un avvocato. Ma come è possibile, si disse a quel tempo, che un avvocato possa elogiare i giudici, quando si trovano su sponde diverse e contrapposte?, quando l’avvocato ha nella sua funzione il contraddire i giudici? Eppure il messaggio era chiaro: solo nel comprendere seriamente le ragioni dell’altro è possibile far funzionare la macchina processuale. I tempi recenti sembrano aver archiviato in polverosi scaffali quel libro, imponendo invece lo schema della recisproca sfiducia, come mi pare di cogliere anche stando fuori dalla professione legale, da semplice cittadino. Qualcuno però non si dà per vinto. Si tratta di un noto pm di Torino Paolo Borgna, il quale ha ripreso quel filo smarrito e ha proposto un agile libretto Difesa degli avvocati scritta da un pubblico accusatore, accattivante e godibile, almeno per chi sappia godere di queste cose
Angelo Simonazzi L’OTTIMISMO AIUTA LE PERSONE DI BUONA VOLONTÀ
È una grazia avere la fortuna di essere ottimisti, di sentire di poter nutrire fiducia per l’avvenire. Un sano ottimismo di fondo aiuta chi ha buona volontà, sostiene nei momenti difficili, consente di accettare sacrifici in vista di tempi migliori. Su con la vita dunque, l’avvenire sarà ancora nostro se lo vogliamo davvero.
Cinzia Fortunati
e di cronach di Ferdinando Adornato
Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Francesco D’Onofrio, Gennaro Malgieri, Bruno Tabacci
Ufficio centrale Andrea Mancia, Errico Novi (vicedirettori) Nicola Fano (caporedattore esecutivo) Antonella Giuli (vicecaporedattore) Franco Insardà, Luisa Arezzo, Gloria Piccioni Stefano Zaccagnini (grafica)
4 dicembre 1942 Olocausto: a Varsavia, due donne cristiane, Zofia Kossak e Wanda Filipowicz, rischiano la vita fondando il Consiglio per l’assistenza degli ebrei 1958 Il Dahomey (l’odierno Benin) diventa una nazione auto-governata all’interno della Comunità Francese 1968 Viene fondato il quotidiano Avvenire dalla fusione di 2 giornali cattolici 1977 Jean-Bédel Bokassa si incorona Imperatore Bokassa I dell’Impero Centro Africano 1980 I Led Zeppelin si sciolgono 1982 La Repubblica Popolare Cinese adotta la sua attuale costituzione 1991 Il giornalista Terry Anderson viene rilasciato dopo 7 anni di prigionia a Beirut 1992 Il presidente George Bush invia 28.000 soldati in Somalia 1996 Jack Nicholson riceve la sua stella sulla Walk of Fame a Hollywood 2005 - Rita Borsellino vince col 66,9% dei voti le prime elezioni primarie del centrosinistra per la presidenza della Regione Siciliana
Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Francesco Capozza, Giancristiano Desiderio, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Francesco Lo Dico, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Francesco Rositano, Enrico Singer, Susanna Turco Supplemento MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Baiocchi, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Angelo Crespi, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei, Alex Di Gregorio,
OTTIMISMO O PRAGMATISMO? Le previsioni dell’Ocse sono tutt’altro che rosee. A sentire i tg, ci aspettano momenti difficli. L’ottimismo del premier può invertire certe tendenze, o sarebbe meglio ridimensionare le suggestioni e affidarsi a soluzioni più pragmatiche?
Angela Cennamo
TREDICESIME: I SINDACATI RINUNCINO ALLA TRATTENUTA Sono un piccolo imprenditore modenese. Provo a dare un suggerimento anti crisi: visto che i sindacati propongono la detassazione delle tredicesime, perché non danno il buon esempio e rinunciano alla trattenuta sindacale sulle tredicesime?
Armandino Borghi
DIAMO UN TAGLIO SECCO AGLI STIPENDI DEI PARLAMENTARI Vista la crisi mondiale, perché il governo non decide con un decreto legge, il taglio secco del 50% dello stipendio di tutti i parlamentari, magari limitandolo al solo prossimo anno?
Carmine Spadaro
FINI E IL CESARISMO Questa volta Gianfranco Fini ha evitato di dichiararsi antifascista, ammonendo, però, che «nel Pdl serve una forte democrazia interna per scongiurare i rischi di cesarismo». C’è da credergli, lui se ne intende, vista la quasi totale assenza di congressi nella storia di An.
dai circoli liberal
APRIAMO IL PETRUZZELLI Il teatro Petruzzelli di Bari fu completamente incendiato il 27 ottobre 1991, dopo una rappresentazione della Norma; si salvarono soltanto le strutture perimetrali. Nonostante siano trascorsi 17 anni dall’incendio, i pugliesi attendono ancora di conoscere la data dell’inaugurazione del teatro ricostruito. L’attuale ministro Bondi conferma lo slittamento a marzo 2009 di tale evento, segnalando che è in piedi un tavolo tecnico con la famiglia Messeni Nemagna, proprietari del teatro, e con gli enti territoriali – Comune, Provincia e Regione – per risolvere un problema, che si pone a monte di tutti gli altri quesiti da esaminare: la questione giuridica della futura gestione. Adesso, però, c’è da chiedersi se davvero ai baresi interessa sapere chi e come inaugurerà il teatro. Forse ai miei concittadini interessa soprattutto che il Petruzzelli riprenda a funzionare e, possibilmente, con prezzi accessibili. Il sindaco, Michele Emiliano, parla di violenza portata avanti dal Governo di centrodestra nel momento in cui si decide di procrastinare l’apertura per motivi tecnici e per le evidenti differenze di trattamento rispetto a quanto accaduto nei confronti del teatro La Fenice di Venezia, anch’esso andato bruciato e ricostruito in tempi rapidi. E a questo proposito c’è da registrare l’iniziativa dell’onorevole Francesco Boccia, che ha annunciato un esposto alla Corte dei Conti per chiedere come sia potuto accadere che, per un bene privato come il Petruzzelli, siano stati spesi ben 53 milioni di euro di soldi pubblici. Ma per il sindaco del capoluogo barese vale la considerazione meritoria che è riuscito nell’impresa di ultimare la ricostruzione nei termini promessi ai cittadini e, così, ottiene due ulteriori risultati: trasferisce sui suoi avversari politici le responsabilità relative allo slittamento dell’inaugurazione e evita lo scontro istituzionale riportando la questione nelle competenze del governo centrale. Rimane da capire cosa accadrà la notte fra il 5 e il 6 dicembre: date dedicate all’iniziale inaugurazione. Francesco Facchini PRESIDENTE PROVINCIALE CIRCOLI LIBERAL BARI
APPUNTAMENTI LA RIUNIONE NAZIONALE DEI CIRCOLI LIBERAL DI VENERDÌ 12 DICEMBRE SLITTA A VENERDÌ 16 GENNAIO 2009 ROMA - PALAZZO FERRAJOLI - ORE 11
ATTIVAZIONI IL COORDINAMENTO REGIONALE DELLA CAMPANIA VERSO LA COSTITUENTE DI CENTRO HA ATTIVATO IL NUMERO VERDE PER LE ADESIONI: 800910529
Enrico Pagano - Milano
Gianfranco De Turris, Rossella Fabiani, Pier Mario Fasanotti, Marco Ferrari, Aldo Forbice, Antonio Funiciello, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Alberto Indelicato, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Andrea Margelletti, Adriano Mazzoletti, Gabriella Mecucci, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo, Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Roselina Salemi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania
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e di cronach
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PAGINAVENTIQUATTRO Il sorpasso. Quella volta che una volante della polizia targata EO755...
Se un cittadino non cerca
GRANE
omenica, ore 13,45, raccordo anulare di Roma, nei pressi dell’uscita per Tor di Quinto. Una famiglia, la mia, sta rientrando a casa dopo un piacevole fine settimana. Padre, madre e figlio. La temperatura è scesa, ma il sole, in Umbria, è stato generoso. Al contrario di Roma, dove anche adesso nubi alte ingrigiscono l’atmosfera e rendono più desiderabile l’approdo domestico, pieno di attese per l’ultimo sprazzo di vacanza che ci separa dalla ripresa settimanale. Pullman di tifosi si incolonnano verso lo Stadio Olimpico, per assistere all’incontro della loro squadra del cuore con la Lazio. Sono scortati e aspettano di compattarsi sulla corsia di emergenza, subito dopo il casello di Roma Nord. Il traffico è scorrevole, ma nel raccordo si fa più intenso. Davanti alla nostra Touran azzurra (non celeste come la Lazio, perché la maggior parte dei componenti della famiglia è romanista, con l’eccezione di una juventina), viaggia sulla corsia di sorpasso una macchina della polizia stradale con due agenti a bordo. È targata EO755, non ha la luce accesa, né i fari, né le doppie frecce. Ma d’improvviso rallenta, per affiancarsi alla macchina che sta superando in modo che l’agente seduto a destra possa, tirando giù il finestrino, addirittura parlare con il conducente che gli sta di lato.
D
di Gloria Piccioni
Domenica, raccordo anulare di Roma, uscita Tor di Quinto. Una famiglia, la mia, sta rientrando a casa dopo una gita fuoriporta. Quand’ecco che una macchina della stradale si affianca e polverizza in un minuto la fiducia di tre cittadini nelle forze dell’ordine
«Cosa è successo,
I l pa d r e d i fa m ig l ia che conduce la macchina è costretto a una brusca frenata per diminuire la velocità che si aggira sui 100 km all’ora e che si riduce così intorno ai 20. Nella sorpresa suona il clacson, come per avvertire del pericolo incombente che una tale imprevista riduzione comporta. L’agente, già proteso fuori dal finestrino, a quel punto si gira e intima al conducente di accostarsi.
to nella corsia di sorpasso. Ecco patente e libretto. Comunque no, non cerco rogne». Il poliziotto consegna i documenti al compagno rimasto nella vettura per i controlli di routine. Confabulano. Intanto gli animi della famiglia, un po’ scompigliati dalla sorprendente situazione, si acquietano. Occorre mantenere la calma, forse è il poliziotto a cercare rogne. Intanto l’agente ritorna. «Le dico quello che le faremo. Se lo vuole sapere, altrimenti neanche glielo dico». «Fatemi quello che credete. Certo che lo voglio sapere». «La multeremo perché ha suonato il clacson, e fuori da un centro abitato si può suonare solo in caso di incidente». Altra attesa. Le ormai prossime gioie domestiche - il pranzetto domenicale, un’agognata lettura, un gioco da ritrovare - sembrano allontanarsi. Ora il verbale è stato redatto. Qualcosa da dichiarare? Sì: in poche parole il modo in cui si sono svolti i fatti. L’agente consegna il verbale e se ne va senza un saluto.
La vettura dei poliziotti si mette di traverso davanti alla Touran, come a impedire una possibile fuga. L’agente si avvicina minaccioso e si rivolge al conducente: «Cerca rogne? Ci ha suonato. Siamo in servizio. Libretto e patente». «Ho suonato perché, senza alcuna segnalazione, la vostra macchina ha bruscamente rallenta-
papà? Perché ci hanno fatto la multa? Non è giusto». Come rispondere in una circostanza come questa a un figlio di 13 anni a cui si sta cercando di insegnare il rispetto per le istituzioni e per le regole, il senso del valore civico, la fiducia nelle forze dell’ordine, il coraggio di fronte alle intimidazioni, ma anche la comprensione per le debolezze umane? Che forse quel poliziotto è nervoso, che magari deve scaricare l’adrenalina con cui si appresta a pattugliare un’altra domenica calcistica sperando che non sia come una di quelle che già, non molto tempo prima, ha lasciato sull’autostrada una scia di sangue. Come non pensare a Gabriele Sandri? Anche lui non cercava rogne. Quante puntate del Maresciallo Rocca, di Distretto di Polizia, del Commissario Montalbano dovrebbe vedere mio figlio per tornare a credere che alle forze dell’ordine un onesto cittadino si può affidare? Chi deve dominare le emozioni? L’agente di polizia che pattuglia le strade o il padre di famiglia che affettuosamente riconduce il suo carico al riparo? Non è questione di rogne ma di giustizia.