ISSN 1827-8817 81213
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a pace non è assenza di guerra: è una virtù, uno stato d’animo, una disposizione alla benevolenza, alla fiducia, alla giustizia
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BENEDICT SPINOZA
9 771827 881004
QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA
Un governo “decisionista” che non decide e una sinistra divisa e senza idee
Attenti, cominciamo a somigliare alla Grecia
di Ferdinando Adornato
DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK
“DIGNITAS PERSONAE”: IL TESTO DEL DOCUMENTO VOLUTO DA RATZINGER Diritti dell’embrione, procreazione assistita, clonazione, pillola abortiva. Il Vaticano presenta al mondo il suo manifesto di bioetica. Una vera e propria “summa morale” con una grande novità: la Chiesa accetta la fecondazione artificiale nell’ambito del matrimonio
di Enrico Cisnetto tene, Italia. Più che all’Argentina – come paventato lo scorso 3 dicembre dal ministro del Welfare, Sacconi – l’Italia rischia di assomigliare alla Grecia di questi giorni. Se ci si pensa bene, infatti, le similitudini sono impressionanti: un grande passato dietro le spalle, una crisi economica che si sta dimostrando devastante, un governo di centrodestra di impronta decisionista ma che non riesce a imporre misure radicali, una sinistra spaccata che non si pone e non è percepita come reale alternativa. Si potrebbe andare avanti ancora molto, ma la similitudine più inquietante è stata sottolineata da un osservatore solitamente molto misurato.
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La Carta della vita
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Giustizia, Napolitano blocca Berlusconi Napolitano e Berlusconi litigano sulla “inviolabilità” della Carta a proposito della riforma della Giustizia. Poi Alfano: slitta tutto.
alle pagine 12, 13, 14 e 15
di Errico Novi a pagina 7
Roma tra pioggia e disorganizzazione
Accolte molte richieste italiane. Sarkozy: «Un risultato storico»
Povero Alemanno, naufragato nel Tevere
Clima, appuntamento al 2020 L’Europa trova la mediazione: dodici anni per ridurre il Co2
di Gabriella Mecucci
di Riccardo Paradisi l veto minacciato dal presidente del Consiglio to della produzione di energia con fonti alternatiitaliano Silvio Berlusconi al vertice dell’Uniove entro il 2020. Ci sarà infatti una maggiore flesne europea non è stato necessario. Infatti, sibilità, specie per quel che riguarda i settori indumalgrado qualche pessimismo di giovedì – si striali. Nodo a cui l’Italia era particolarmente intemeva di non poter raggiungere l’intesa per le teressata, temendo la penalizzazione di alcune resistenze di alcuni Paesi – alla fine, come era del importanti industrie italiane da parte delle misuresto prevedibile, l’accordo per il via libera al re inizialmente proposte dall’Europa e stimate dal pacchetto clima ed energia da parte del Consiglio governo ben al di sopra all’1 per cento del Pil rid’Europa è stato raggiunto. Grazie anche alle lispetto alle cifre fornite dall’Europa che erano al di mature che la presidenza francese dell’Unione sotto di queste stime. ha apportato durante la notte. Un fatto “storico” Il più soddisfatto di tutti è naturalmente Silvio Il ministro Frattini secondo il presidente della Commissione euroBerlusconi che rivendica il successo di una posiha condotto le pea Josè Manuel Barroso che ha sottolineato cozione tattica che non avrebbe avuto paura usare il trattative sul clima me sia stato varato un accordo ambizioso nonodiritto di veto: «Siamo stati ascoltati in ben quinstante la crisi economica. Anche se la crisi ha pedici casi sulla difesa delle industrie manifatturiere sato in sede di trattative sull’applicazione del pacchetto 20-20- di cui non si parlava nel testo originale». s egue a pag ina 2 20 che prevede l’obiettivo di riduzione del 20 per cento dei SERVIZI A PAGINA 2 E 3 consumi e delle emissioni e il raggiungimento del 20 per cen-
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CON I QUADERNI)
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rmai Ugo Vetere è un sindaco dimenticato, ma un tempo anche lui ebbe i suoi splendori capitolini, sepolti però nel 1985 da una delle rare nevicate romane. Sotto 15 centimetri di neve la Capitale finì in panne e il primo cittadino andò dritto alla sconfitta elettorale. Se continua così, infatti, il sindaco Alemanno può far la fine del suo ormai lontano predecessore. A leggere quello che è successo a Roma fra ieri e l’altro ieri sembra di scorrere un bollettino di guerra: tombini che tracimano e allagano quartieri, sottopassi ridotti a laghi (in uno ha trovato la morte una donna), l’acqua che già sommerge l’Isola Tiberina.
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• CHIUSO
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Ambiente. Grande soddisfazione per l’accordo. Sarkozy: «Risultato storico». Berlusconi: «Accolte tutte le nostre richieste»
Migliora il clima in Europa Bruxelles trova la mediazione: dodici anni per ridurre le emissioni e i consumi e per accrescere le energie alternative di Riccardo Paradisi segue dalla prima ul fronte della riduzione dei consumi infatti – il cui obiettivo è ridurre del 20 per cento l’energia consumata entro il 2020 – passa la possibilità per l’Italia e altri dieci paesi di ottenere crediti pari al 4% delle emissioni del 2005 grazie ad aiuti allo sviluppo ecologico in paesi terzi anzichè il 3% previsto a livello generale.
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È stata accolta anche la richiesta italiana di incrementare i fondi per i progetti pilota per la cattura e lo stoccaggio del Co2, che passano dai 150 milioni di euro previsti inizialmente a 200 milioni, sia pure con alcune limitazioni. «I risultati ci hanno premiato – dice il ministro degli Esteri Franco Frattini – il presidente Nicholas Sarkozy,ha capito che le grandi manifatture non possono essere sacrificate. Ora le imprese manifatturiere esposte alla delocalizzazione e alla concorrenza internazionale saranno protette anche con la concessione di quote gratuite di emissione». Insomma ad eccezione della richiesta di poter ridiscutere il pacchetto dopo il summit di Copenaghen della fine del 2009 l’Italia porta a casa gli obiettivi che si era prefissa oltre all’omaggio di Sarkozy che ha riconosciuto al presidente del Con-
Nelle pieghe dell’accordo si nascondo obiettivi ambiziosi
Ecco cosa prevede il “20-20-20” Il pacchetto 20-20-20 dell’Ue prevede: la riduzione entro il 2020 delle emissioni di gas serra del 20% rispetto ai livelli del 2005; la riduzione entro il 2020 del 20% dell’intensità energetica rispetto ai livelli del 2005; e l’aumento del 20% della quota di fonti rinnovabili rispetto al totale delle fonti primarie utilizzate (con una quota del 10% di biocarburanti) entro il 2020 (rispetto all’8,5% registrato nel 2005), con tendenza al 30% entro il 2030. L’attuazione delle misure d’implementazione del pacchetto Ue comporta costi quantificati pari allo 0,45% del Pil complessivo dell’Ue (a 27 paesi). Il notevole costo del pacchetto clima deriva non solo dagli ambiziosi obiettivi posti dalle direttive ma anche e, soprattutto, dalle modalità di trasferimento del costo che penalizza proprio quelle nazioni, in primis la nostra, che partono da posizioni di eccellenza in tema di efficienza energetica, sia nell’ambito di impianti di produzione che di apparecchiature di consumo.Tale approccio penalizza i Paesi che sono stati nel passato più virtuosi e che, quindi, debbono sostenere costi aggiuntivi più elevati per ridurre le emissioni. Il costo per un Paese aumenta con il crescere del li-
vello di inquinanti da abbattere. Il nostro Paese, come evidenziato dall’Agenzia Internazionale per l’Energia, presenta la migliore performance al mondo (dopo l’Irlanda) in termini di efficienza energetica e la migliore efficienza in termini di elettricità prodotta da fonti fossili, nonché una delle più basse intensità di emissione di CO2 per unità di Pil. Il presidente Barroso ha rilevato la necessità di garantire «un’equa distribuzione dei costi del pacchetto», in altre parole ha accettato, in virtù dell’attuale situazione di difficoltà economica internazionale, una certa flessibilità da parte dei singoli Paesi nel porre in essere le misure necessarie al rispetto dei vincoli del pacchetto. Il pacchetto potrebbe essere votato in via definitiva entro il 18 dicembre. Ma anche supponendo che l’Ue riesca a realizzare il 20-20-20 entro il 2020, le emissioni risparmiate sarebbero pari al solo 2-2,5% della CO2 nel mondo. L’Ue incide per il 12% a livello mondiale delle emissioni di CO2. Non si può pensare di avere un approccio programmatico serio sull’ambiente ed energia senza un accordo con i paesi portanti: Stati Uniti, Cina e India. Non a caso non firmatari del protocollo di Kyoto.
L’Italia, seconda solo all’Irlanda, dovrà investire su tecnologie all’avanguardia
L’efficienza energetica è l’unità di energia utilizzata per unità di Pil. L’obiettivo Ue prevede una riduzione dei consumi al 2020 di circa 400 milioni di tep (tonnellate equivalenti di petrolio) rispetto al 2005. In concreto, significa evitare la costruzione di circa 1.000 centrali termoelettriche a carbone da 600 MW ciascuna, oppure 500 mila turbine eoliche da 4 MW. Si eviterebbe l’emissione di circa 860 milioni di tonnellate di CO2 l’anno. Infine, tradotto in soldi, vi sarebbe un risparmio di 220 miliardi di euro l’anno. Allo stato attuale dei programmi di aumento di efficienza e delle legislazioni vigenti non sarà possibile realizzare l’obiettivo di un risparmio del 20% entro il 2020. Infatti, i ritardi e le inazioni, la limitata disponibilità di molti settori industriali ad effettuare i rilevanti investimenti iniziali, anche in previsione di ritorni positivi in tempi
di recepimento del Piano è stato proposto dal governo Prodi e approvato lo scorso 30 maggio dal governo Berlusconi. Il governo ha annunciato che sarà creato un piano straordinario per semplificare gli interventi di efficienza, con l’obiettivo di ridurre di un ulteriore 1% l’anno i consumi attesi di energia da qui al 2020.Tutto ciò si rende possibile perché l’Italia ha già oggi un’intensità energetica seconda solo all’Irlanda. Significa che il nostro Paese, che non ha quantità significative di risorse naturali e che ha un mix energetico del tutto sbilanciato verso i combustibili fossili, ha ben operato in
Il riferimento è alla conferenza internazionale sul clima che avrà luogo a fine 2009 a Copenaghen e che dovrebbe segnare un accordo mondiale sulla riduzione delle emissioni. Che faranno in quell’occasione gli Stati Uniti? Certo non possono restare indifferenti rispetto all’accordo europeo che segna comunque uno snodo decisivo sulle politiche di ntervento sul clima. Lo dimostra anche il consenso che si è sollevato dalla platea dei delegati del vertice delle Nazioni Unite sul clima in corso a Poznan dopo l’annun-
questi ultimi anni per migliorare il grado di efficienza energetica, puntando su tecnologie d’avanguardia. Ciò significa, anche, che, partendo da livelli già buoni di efficienza, sarà quasi impossibile ottenere gli stessi risultati percentuali rispetto a Paesi meno virtuosi del nostro, che hanno un’intensità energetica molto superiore. Margini di miglioramento ancora ci sono. Si stimano potenziali riduzioni del 27% nel settore residenziale, del 25% nell’industria manifatturiera e del 26% nel settore dei trasporti. Per far questo, il nostro Paese deve puntare su investimenti in ricerca e sviluppo per la generazione delle principali tecnologie disponibili per aumentare i margini dell’efficienza, partendo dai setto0ri privilegiati dall’Ue: residenziale, terziario, trasporti, industriale e pubblico.
Occhi puntati sull’efficienza energetica dei 27 membri Ue brevi, la scarsa consapevolezza dei benefici derivanti dal risparmio e dall’efficienza energetica e un accesso insufficiente ai finanziamenti, consentiranno, nella migliore delle ipotesi, di realizzare risparmi energetici pari a circa il 13%. L’Europa intende impegnare gli Stati membri ad adottare Piani d’azione vincolanti, che portino a un risparmio globale del 9% dopo nove anni, a partire dal 2005. L’Italia, nel settembre 2007, ha presentato il proprio Piano che punta a ottenere, entro il 2016, un risparmio energetico complessivo del 9,6%, pari a circa 11 Mtep, superiore quindi alle richieste dell’Ue. Il decreto
siglio italiano il merito di aver agevolato l’intesa dei ventisette. «Solo grazie a Berlusconi é stato possibile trovare un accordo rapidamente». Ma Sarkozy nella conferenza stampa di chiusura del vertice sul clima ha anche ricordato come nessun continente si sia dato regole vincolanti come quelle adottate a Bruxelles. Per cui alla conferenza di Poznam l’Ue potrà legittimamente dire secondo Sarkozy: «Noi l’abbiamo fatto ora fatelo anche voi». Lo stesso messaggio il presidente della Commissione europea Josè Manuel Durao Barroso lo rivolge direttamente al presidente americano: «Barack Obama venga con noi nella lotta al cambiamento climatico. Io dico Yes you can».
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Irrealizzabile per noi l’obiettivo del 20% da fonti rinnovabili
Ma l’Italia sarà pronta solo dieci anni dopo di Strategicus Italia è il Paese capofila di una linea alternativa all’accettazione tal quale del pacchetto Ue. In particolare, la linea del governo tende a tutelare gli interessi industriali del Paese, soprattutto l’industria manifatturiera (settori della chimica, acciaio, vetro, ceramica, carta, ecc.), in cui l’Italia è all’avanguardia a livello mondiale e che sarebbe colpita dal pacchetto Ue, visto che è un settore fortemente energy consuming.
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Il rischio è l’inizio di un’ondata di delocalizzazione delle imprese italiane, con ricadute negative sull’occupazione e su tutto il sistema-Paese. Ad esempio, secondo un recente studio sul mercato europeo del cemento, in Italia (seconda in Europa per produzione di cemento dopo la Spagna e con circa 8.000 addetti nel settore), tutti i cementifici sarebbero esposti al rischio di chiusura qualora i permessi di emissione venissero per intero ceduti all’asta e il prezzo fosse pari a 25 euro per tonnellata di CO2, soprattutto per la concorrenza dei Paesi del bacino del Mediterraneo (che dispongono di un’adeguata capacità di offerta e possibilità di ulteriore incremento). L’Italia punta, di fatto, a tutelare il made in Italy, attraverso una trattativa con l’Ue sulla clausola politica di rivedere l’intero pacchetto nel 2010, a seguito della conferenza di Copenhagen (la speranza è un accordo con i quattro grandi: Usa, Russia, Cina e India che da soli emettono oltre il 60% di gas serra nel pianeta), sulla spartizione dei costi di emissione di CO2 con l’acquisto oneroso dei “diritti d’inquinamento”, sul rapportare tali costi al conseguente beneficio ambientale, sulle deroghe alle industrie, ecc. Al riguardo, l’Italia punta decisa a: escludere dal pagamento delle multe sulle quote di emissione l’industria ad alta energia e chi è esposto alla competizione extraeuropea (per le imprese del termoelettrico meno a rischio l’Italia punta ad un’esenzione dell’80% delle emissioni e per il restante 20% si potranno acquistare crediti di emissione all’asta) e la possibilità di ricorrere ai meccanismi di flessibilità per contabilizzare i crediti di emissione prodotti da impianti presenti in Paesi
non europei. La Commissione europea stima per il nostro Paese un onere pari all’1,14 % del Pil al 2020, ovvero oltre 18 miliardi di euro l’anno. Tali costi non permetteranno l’obiettivo di riduzione delle emissioni. Pertanto, si dovranno aggiungere ulteriori oneri per l’acquisto delle quote di emissione mancanti. Il costo complessivo per l’Italia risulta, in termini assoluti, il più alto tra i 27 Paesi e, in termini di peso percentuale sul Pil nell’anno 2020, il terzo dopo Lettonia e Spagna. Inoltre, nel rapporto costo/beneficio, l’intera manovra avrebbe un costo per l’Italia tra lo 0,51% e lo 0,66% del Pil, in assoluto la più alta d’Europa. L’Italia ha portato a casa una prima vittoria: il Parlamento europeo ha accettato la clausola di revisione al 2014 delle fonti rinnovabili. Obiettivo è abbassare la quota Res assegnata dal 17% al 14%, utilizzando il criterio dell’emissione di CO2 pro-capite. In pratica, si cerca di rimediare all’errore compiuto con la ratifica dell’accordo di Kyoto. L’Italia, non solo era un Paese virtuoso rispetto all’anno di riferimento (1990), ma non era nelle condizioni di rispettare gli impegni presi. Il nostro Paese si è impegnato a ridurre entro il 2012 le emissioni di gas serra del 6,5% rispetto ai livelli del 1990, raggiungendo le 487 milioni di tonnellate di CO2. Al contrario, dal 1998, le emissioni italiane sono cresciute del 12%, sforando di oltre il 18% gli impegni di Kyoto.
Il nostro Paese punta a escludere dal pagamento delle multe sulle quote di emissione l’industria ad alta energia e chi è esposto alla competizione extraeuropea
Dopo l’accordo europeo che faranno gli Usa al vertice Onu sul clima di Copenaghen? Obama manterrà gli impegni presi in campagna elettorale? cio dell’accordo tra i 27:«Per la prima volta – ha detto il ministro francese allo sviluppo sostenibile Jean-Louis Borloo – i Paesi hanno deciso di optare per un vero cambiamento per il pianeta con un piano estremamente preciso e operativo che prevede limiti e valutazioni specifiche per ciascun Paese». Un segnale importante che segna il passaggio dalle enunciazioni politiche alla fase operatività.
Non diverso il commento di John Kerry, già sfidante democratico alla candidatura Bush nelle elezioni alla Casa Bianca del 2004 e ora presidente della Commissione degli affari esteri del Senato americano: «L’accordo ottenuto a Bruxelles è un esempio fantastico. L’Unione europea ha indicato una via pratica per affrontare l’emergenza climatica». Sono messaggi che devono far fischiare le orecchie alla neopresidenza americana che ha già annunciato una politica basata sulle fonti energetiche pulite e che
avrà nel vertice di Copenaghen un significativo banco di prova. Un’ulteriore messaggio a Obama arriva infine dalla California dove Il governatore Arnold Schwarzenegger ha varato un piano per ridurre drasticamente le emissioni di gas serra entro il 2020. Secondo Schwarzenegger Obama dovrebbe prendere la legge californiana a modello per un provvedimento di carattere federale, indispensabile nella lotta al surriscaldamento globale. Il progetto californiano prevede una riduzione del 15% delle emissioni dei gas causa dei cambiamenti climatici, per tornare entro il 2020 ai livelli del 1990. Ma quale sarà la politica ecologica di Obama? In campagna elettorale il presidente aveva promesso un piano nazionale ed internazionale per combattere il surriscaldamento globale. Ma già si fanno sentire le resistenze delle industrie automobilistiche e delle imprese, che temono l’innalzamento dei costi dell’energia.
In Italia, l’obiettivo del 20% da fonti rinnovabili entro il 2020 appare irrealizzabile. Lo sarà - forse - solo nel 2030 - anno in cui la domanda interna dovrebbe aggirarsi intorno ai 450-500 miliardi di KWh/anno - e solo a condizione di un massiccio impegno in ricerca e sviluppo. L’Italia non penso porrà il veto al pacchetto. Primo, perché il compromesso Ue va in direzione di un’analisi di rivisitazione del pacchetto dopo la conferenza di Copenhagen del dicembre 2009 e nel 2014, ovvero quasi a metà dell’applicazione delle misure. Secondo, perché l’Italia non può permettersi di incrinare il proprio rango e ruolo all’interno degli Stati che contano in Europa. La storia lo impedisce. L’asse RomaBerlino sul pacchetto non è sufficiente a far mancare il supporto dell’Italia all’Europa.
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Stati Uniti. Barack ordina un’inchiesta interna per scoprire quali uomini del suo team abbiano avuto contatti con il politico accusato di corruzione
I primi guai di Obama Il no al piano auto e il caso di Rod Blagojevich mettono in difficoltà il presidente non ancora insediato di Guglielmo Malagodi i tutto aveva bisogno, il team di transizione del president-elect Barack Obama, fuorché di uno scandalo tra capo e collo come quello che ha coinvolto il governatore dell’Illinois, Rod Blagojevich. Eppure, con un esecutivo da mettere in piedi, ottomila uomini e donne dello staff da assumere, una cerimonia inaugurale mastodontica da organizzare e un capo da mettere in condizione di accollarsi il più difficile mestiere del mondo, il team Obama si trova anche a dover affrontare uno dei più clamorosi casi di corruzione della storia politica recente degli Stati Uniti. Uno scandalo che, per ora, ha soltanto lambito la figura del president-elect, a che racchiude tutte le potenzialità per trasformarsi in un problema vero.
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Come scrivono Kenneth P.Vogel e Jonathan Martin sul quotidiano online The Politico, «Obama è stato eletto in base ad una promessa di “trasparenza”, ma appena cinque settimane più tardi stenta visibilmente nel superare questo primo suo test». Nel primo giorno dello scandalo, Barack si è limitato
ROMA. «Il recupero della nostra economia non dovrebbe essere un tema di parte. Spero che l’amministrazione e il Congresso possano ancora trovare un modo per dare all’industria dell’auto l’assistenza temporanea di cui ha bisogno, chiedendo allo stesso tempo la ristrutturazione che è assolutamente necessaria nel lungo periodo». «Occorre che il governo agisca presto prima che il settore dell’auto fallisca». Barack Obama e George W. Bush, con due prese di posizione forti a distanza di qualche ora l’uno dall’altro, auspicano entrambi che il “no” del Senato al piano di salvataggio dell’industria automobilistica non rappresenti la parola “fine” per la vicenda.
Anche perché il segnale dei mercati è chiaro: non appena è arrivato il responso da Washington, Wall Street è crolla-
Il capo dello staff Rahm Emanuel, lo stratega David Axelrod e il consigliere Valerie Jarret sono i tre “indiziati” maggiori
larsi un boomerang. «Nel cercare di obbedire alla prima regola di Washington nella gestione di uno scandalo - ha spiegato un esperto a The Politico - Obama potrebbe avere promesso qualcosa di cui tra qualche giorno potrebbe pentirsi». «Non è semplice scavare nel proprio giardino per cercare la sporcizia - aggiunge Stan Brand, uno dei più importanti avvocati di Washington - soprattutto se, scavando, trovi qualcosa». In ogni caso, gli “indiziati” principali dell’indagine interna voluta da Obama sono tre. E si tratta di “pezzi grossi”.
Il repubblicano Grover Norquist, ha chiesto pubblicamente a Barack Obama (nella foto qui a destra) di non “sostituire” il procuratore speciale Patrick Fitzgerald fino alla conclusione dell’inchiesta su Rod Blagojevich (nella foto in basso)
sta interna, per stabilire quale tipo di contatti ci siano stati tra lo staff di Obama e il governatore dell’Illinois, durante il tentativo, da parte di quest’ultimo, di “vendere” il seggio senatoriale lasciato libero dalla vittoria elettorale democratica dello scorso 4 novembre. Questa promessa, però, potrebbe rive-
Il primo è Rahm Emanuel, capo dello staff nella futura Casa Bianca, che insieme ad Obama è stato uno dei consiglieri principali nella campagna condotta nel 2002 da Blagojevich per arrivare alla carica di governatore. Qualche giorno fa, la stampa di Chicago aveva diffuso la voce che pro-
prio Emanuel aveva “tradito” il governatore, mettendo sull’avviso il procuratore Patrick Fitzgerald, titolare dell’indagine. Gli uomini di Emanuel hanno smentito tutto, ma nelle intercettazioni delle telefonate incriminate si parla spesso del «deputato del 5° distretto». Che è proprio Emanuel. Anche David Axelrod, guru di Obama e suo principale stratega elettorale, potrebbe aver avuto rapporti (magari indiretti)
ad un comunicato stampa piuttosto scialbo. Ventiquattr’ore dopo, è arrivata - per bocca del suo portavoce - la richiesta di dimissioni per Blagojevich. Il terzo giorno, finalmente, è arrivata la promessa di un’inchie-
con Blagojevich poco prima del suo arresto. Axelrod è stato consigliere di Blago durante le sue campagne elettorali per il Congresso. E soprattutto aveva dichiarato, prima che lo scandalo esplodesse, che Obama e il governatore si erano sentiti personalmente per discutere del seggio vacante. Dichiarazione poi smentita dopo l’arresto. Valerie Jarret è il terzo nome “scomodo”. La Jarret, che sarà uno dei consiglieri principali di
Salta l’accordo tra democratici e repubblicani. Il Senato boccia il “bailout“ per il settore automobilistico
I fondi delle banche per salvare Detroit di Alessandro D’Amato ta, portandosi dietro tutte le Borse europee nell’ennesima giornata nera; solo in serata a New York è ritornata la calma, limitando così anche le perdite del Vecchio Continente.
«Non siamo riusciti a tagliare il traguardo», ha detto Harry Reid, leader della maggioranza democratica, aggiungendo poi un laconico: «Potremmo passare tutta la notte, venerdì, sabato e domenica e non ci riusciremmo. Sarà un Natale molto, molto brutto per tanta gente a causa di quello che è successo ieri sera». Il principale punto sul quale si è arenata la possibilità di rag-
giungere un accordo in Senato, ha spiegato il senatore democratico Christopher Dodd, è stata la data entro la quale richiedere la parificazione degli stipendi dei lavoratori delle case auto di Detroit a quelli dei dipendenti dei produttori stranieri. «Eravamo a un passo dall’accordo», ha detto il repubblicano Bob Corker. E c’è da sottolineare che la resa dei conti all’interno del partito oggi all’opposizione ha avuto il suo peso nell’esito finale: il voto è stato un ripudio nei confronti dello stesso Bush che aveva personalmente sponsorizzato l’intervento a favore del settore auto. Solo 10 re-
pubblicani in Senato hanno votato per andare avanti con il piano. E infatti all’interno del Gop, c’è uno zoccolo duro di congressisti che vuole approfittare di questa occasione per recuperare lo spirito originario del partito, che ha nel suo dna il limitato intervento del governo in economia.
«Politicamente - spiega il senatore Jim DeMint, della Carolina del Sud - penso che i repubblicani possano dimostrare in questo caso la vera differenza con i democratici. Io penso che gli elettori si rivolgeranno contro tutti quanti noi se la recessione peggio-
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Global Warming. La “relazione di minoranza” del Congresso Usa
650 scienziati contro la “religione di Kyoto” di Andrea Mancia l global warming? Potrebbe non essere colpa dell’uomo. È questa l’opinione di oltre 650 scienziati di fama internazionale, i cui pareri sono stati raccolti nella “relazione di minoranza” della commissione Ambiente del Senato statunitense. Si tratta di un rapporto di 231 pagine, pieno di statistiche, analisi e documenti che contestano l’assunto principale alla base della battaglia ambientalista che vede in prima linea l’ex presidente Al Gore e l’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc) delle Nazioni Unite. E, a “condire” il tutto, ci sono appunto le opinioni di un numero impressionante di scienziati “fuori dal coro”, le cui teorie stentano a trovare spazio sui media tradizionali. Si tratta di un ostracismo diffuso con cui questi scienziati “scettici” hanno imparato a convivere da molti anni. William M. Briggs, climatologo e statistico della American Meteorological Society ha recentemente parlato di «episodi agghiaccianti» capitati ad alcuni suoi colleghi che avevano avuto l’ardire di «provare a pubblicare saggi che esploravano la possibilità di teorie non-ortodosse». Il premio Nobel per la fisica del 1973, il norvegese Ivar Giaever, si dichiara anche lui «scettico», e parla del global warming come di una «nuova religione». Joanne Simpson, meteorologa statunitense (ex Nasa), autrice di oltre 190 saggi sul clima e che è stata definita «uno dei più autorevoli scienziati degli ultimi 100 anni», è ancora più esplicita. «Visto con non sono più affiliata con nessuna organizzazione e non ricevo fondi da nessuno dice - posso parlare francamente. Le prove a sostegno sull’origine umana del riscaldamento terrestre sono interamente basate su modelli climatici. E tutti gli scienziati sono perfettamente a conoscenza della fragilità di questi modelli».
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il malessere serpeggia anche all’interno dello stesso Ipcc, come nel caso di Kiminori Itoh, fisico e chimico giapponese che pure fa parte dell’organizzazione delle Nazioni Unite. «Il terrorismo psicologico sul riscaldamento terrestre - spiega Itoh - è il più terribile scandalo scientifico nella storia dell’umanità. Quanto la gente scoprirà la verità, si sentirà tradita dalla scienza e dagli scienziati».
Parole durissime, che sono sostanzialmente condivise anche da Stanley B. Goldenberg, scienziato che lavora alla divisione specializzata nello studio degli uragani della National Oceanic and Atmospheric Administration del governo statunitense. «È una bugia scandalosa - dice Goldenberg - quella spacciata dai media, secondo cui ci sarebbe solo una ristretta minoranza di scienziati che non crede nelle origini umane del global warming». Una “bugia” che viene da lontano. «I teorici di Kyoto spiega Andrei Kapitsa, geografo russo esperto di Antartide - hanno messo il carro davanti ai buoi. È il global warming che aumenta i livelli di anidride carbonica nell’atmosfera, non viceversa. Un grande numero di documenti “scettici” presentati alla conferenza dell’Onu di Madrid, nel 1995, è svanita senza lasciare tracce. Come risultato, la discussione è diventata unilaterale. E le Nazioni Unite hanno dichiarato che il global warning era un fatto scientifico». Secondo lo scienziato portoghese Delgado Domingos, fondatore del Numerical Weather Forecast, alla base di tutto ci sarebbero motivazioni politiche. «Creare un’ideologia fondata sull’anidride carbonica - dice Domingos - è un pericoloso nonsense. L’attuale allarme sui cambiamenti climatici è in realtà uno strumento di controllo sociale, un pretesto per affari miliardari e per battaglie politiche. È questo quello che mi preoccupa di più». E c’è anche chi, dati alla mano, si fa beffe delle paure sul riscaldamento terrestre, come Richard Keen, professore di scienze oceaniche all’Università del Colorado, secondo cui «la Terra si è raffreddata dal 1998 ad oggi, in barba a tutte le previsioni di Onu e Ipcc. La temperatura globale del 2007 è stata la più fredda del decennio. Ecco perché adesso preferiscono parlare di “climate change” invece che di “global warming”». Truffatori, forse, ma esperti di marketing politico.
Secondo il Nobel per la fisica norvegese Ivar Giaver, la teoria sulle origini umane del riscaldamento terrestre spinta dalla Ipcc non è scienza, ma soltanto «una nuova religione»
Obama, è ritenuta dagli investigatori come la “carta vincente” con cui Blagojevich avrebbe voluto spingere Obama a nominarlo nella sua amministrazione (come ministro della Sanità o ambasciatore di alto rango). Se uno di questi tre personaggi fosse “toccato”dai futuri sviluppi dello scandalo, il danno di immagine per Obama potrebbe essere davvero pesante. È quello che temono alcuni democratici, come il governatore della
rerà nei prossimi mesi, perché vedranno tutto il denaro che è stato buttato e capiranno che l’origine di questa recessione sta in una cattiva politica del governo».
Ma, a parte le querelle interpartito, rimane comunque improbabile che gli Usa decidano di lasciar fallire General Motors (che intanto ha cominciato a valutare le ipotesi di bancarotta, e l’ha fatto sapere alla stampa proprio per mettere sotto pressione la politica), Ford e Chrysler. L’amministrazione Bush ha fatto sapere che prenderà in considerazione l’ipotesi di attingere ai fondi del cosiddetto Tarp, il pacchetto di aiuti da 700 miliardi di dollari approvato dal Congresso in autunno contro la crisi finanziaria. «In condizioni economiche normali preferiremmo che fossero i mercati a determi-
Pennsylvania, Ed Randell, che ha accusato il president-elect di aver sottovalutato la questione, permettendo che rimanesse per diversi giorni sulle prime pagine di tutti i giornali. Ed è quello che sperano i repubblicani, come il fondatore degli Americans for Tax Reform, Grover Norquist, che ha chiesto pubblicamente a Obama di non “sostituire” il procuratore speciale Fitzgerald fino alla conclusione dell’inchiesta.
nare le sorti delle aziende private - ha detto la portavoce della Casa Bianca, Dana Perino - Ma, in considerazione dell’attuale stato dell’economia americana, se necessario considereremo altre opzioni, come quello di utilizzare il programma (Tarp, Troubled Assets Relief Program) per impedire il fallimento delle industrie automobilistiche in difficoltà». E anche L’Uaw, il principale sindacato americano dell’auto, è convinto che l’ipotesi di ricorrere ai fondi destinati inizialmente a salvare il sistema finanziario americano sia l’unica soluzione possibile per salvare dalla bancarotta i tre colossi dell’auto. Secondo la stampa Usa, fino a 15 miliardi di dollari potrebbero essere stanziati senza un necessario via libera del Congresso, trattandosi di fondi già liberati da Capitol Hill.
La Simpson mette direttamente in correlazione la “raccolta di fondi” con la necessità di spingere il più possibile le “teorie catastrofiste”. E la sua non è una voce isolata. Arun D. Ahluwalia, geologo indiano della Punjab University e membro del board di International Year of the Planet parla dell’Ipcc come di un «circuito chiuso che non ascolta le idee degli altri, che non possiede la mentalità aperta tipica del metodo scientifico». «Sono davvero stupito - conclude Ahluwalia - che sia stato conferito il premio Nobel a persone che hanno elaborato teorie così scientificamente errate». Ma
economia
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Cieli. Il commissario Fantozzi e la Cai firmano l’intesa ufficiale. Entro l’anno la decisione sul partner europeo
Nuova Alitalia, vecchi vizi di Francesco Pacifico
Domani l’Alta velocità
ROMA. L’Unione europea ha imposto discontinuità tra la vecchia e la nuova Alitalia eppure il presidente Roberto Colaninno e l’amministratore delegato Rocco Sabelli devono fare i conti sempre gli stessi problemi: limitare l’operatività di Linate (va da sé, lasciando in piedi soltanto i voli per Roma), controllare il mercato nazionale e scegliere dove collocare l’hub in base alle necessità del partner straniero. Non c’è più il problema dei debiti, ma soltanto perché gli oltre 1,3 miliardi di euro di passivi se li è tenuti il commissario Augusto Fantozzi. Ma guai a ricordarlo ai vertici Cai. Se a Sabelli non è piace il termine monopolio – «Non esiste, con quest’operazione stiamo facendo un salto quantico» – Colaninno rivendica la discesa in campo «di imprenditori privati, che metteranno i propri quattrini e la propria faccia, che hanno deciso liberamente». Al riguardo, il ragioniere mantovano ringrazia Sivlio Berlusconi, perché in questa vicenda «il passaggio fondamentale è dovuto a due soggetti: il presidente del consiglio e Banca Intesa». Ma sottolinea «di non aver ricevuto pressioni».
Con il pagamento della prima tranche di 134 milioni al commissario Fantozzi, ieri Cai è entrata ufficialmente in possesso degli asset di Alitalia dopo aver rilevato quelli di Airone. Così, a quattro mesi dal via dell’operazione, Colaninno e Sabelli hanno presentato alla stampa la futura compagnia. Sarà operativa dal 13 gennaio,
E le Ferrovie lanciano la vera sfida ROMA. La sfida l’ha lancia-
Roberto Colaninno e Rocco Sabelli alla presentazione della Cai, ieri, dopo la firma per l’acquisizione definitiva di Alitalia a regime avrà 670 voli, più di 13mila dipendenti, punta al pareggio di bilancio tra due anni (con fatturato a 4,8 miliardi) ed entro la fine dell’anno dovrebbe vedere l’ingresso con il 20 partner straniero e portando la capitalizzazione a 1,1 miliardi. Ma prima del fatidico 13 gennaio ci sono due nodi, correlati tra loro, da affrontare: la scelta del partner e quello del hub. Al riguardo, e dopo il ritorno del derby tra Roma e Milano (e le loro istituzioni), Sabelli è stato chiaro: «Torneremo a Malpensa soltanto se l’aeroporto di Linate sarà ridimensionato a “city airport”. Altrimenti saremo a Fiumicino». In ogni caso non ci sarà concentrazione su un solo scalo, perché, come ha ricordato Colaninno, «Malpensa rap-
presenta la pianura Padana, il mercato business, Fiumicino una porta sul mediterraneo».
In realtà il grosso dell’internazionale finirà comunque a Malpensa, anche se i voli di lungo raggio potrebbero essere anche poco più di dieci. Anche perché la nuova Alitalia – che
La decisione sull’hub, il destino di Linate, il primato dei voli nazionali e, come sempre i conti: ecco il futuro della nuova compagnia aerea. «Tutto merito del premier e di Banca Intesa» vivrà di feederaggio, di traffico venduto ad altre compagnie – ha bisogno soprattutto di fare medio raggio. Di conseguenza eliminare un concorrente come Linate, riportarlo a City airport riducendo la frequenza dei voli, è fondamentale. E sull’ipotesi, dopo Roberto Formigoni, ha fatto una piccola apertura an-
Quasi un’asta con Air France per conquistare il mercato italiano
Lufthansa gioca al rialzo ROMA. Finora l’arma migliore nelle mani di Wolfang Mayrhuber era l’appoggio della politica e dei sindacati italiani. Ma negli ultimi giorni il Ceo di Lufthansa avrebbe fatto breccia nei cuori di Colaninno e Sabelli e reso meno scontata la partita sul partner straniero. Favorito è Air France, anche perché un’integrazione sarebbe meno onerosa. Ma i tedeschi avrebbero “messo in imbarazzo” con una nuova offerta i vertici di Cai. Che sia arrivato un rilancio da Francoforte l’avrebbe ammesso anche Rocco Sabelli, incontrando giovedì scorso a Milano Roberto Formigoni. Forse per la gioia del governatore lombardo – da sempre fan dei tedeschi – Sabelli avrebbe spiegato che «il partner straniero sarà comunicato all’inizio dell’anno, ma al momento non è stato deciso ancora nulla», anche perché
che il presidente della Sea, Giuseppe Bonomi: «Sì a nuove regole, ma in cambio di un piano di sviluppo per Malpensa». Senza lo scalo cittadino milanese la nuova Alitalia avrebbe il controllo del mercato italiano, che a regime si vuole portare al 56 per cento. E potrebbe ottenere condizioni migliori dal
Lufthansa «avrebbe presentato condizioni molto interessanti».
Nei mesi scorsi Mayrhuber avrebbe posto come vincolo per un ingresso in la nomina di un direttore generale di fiducia. Quindi un peso maggiore rispetto alle quote detenute a nelle scelte del vettore, temendo l’inesperienza del duo Colaninno-Sabelli. Ora si accontenterebbe di figure intermedie non operative. Ma soprattutto avrebbe garantito un prezzo abbastanza alto per rilevare dopo cinque anni le quote in mano agli investitori italiani. Se non bastasse, si starebbero dando da fare anche i sindacati italiani nel convincere i loro colleghi tedeschi a non porre veti sul deal, come quelli arrivati nei mesi scorsi.
partner straniero. Colaninno ha annunciato che la sceltà tra Air France e Lufthansa sarà fatta a fine anno. La prescelta dovrebbe versare 250 milioni di euro per una quota del 20 per cento, quando sarà fatta la seconda tranchye dell’aumento di capitale. «Ci sono tre proposte buone, ma soltanto Lufthansa e Air France mettono assieme equity e accordo commerciale. Ma non ci saranno patti parasociali a favore di alcuno».
Tra i crucci di Colannino e Sabelli anche i pessimi rapporti con le associazioni dei piloti, che non hanno firmato gli accordi sindacali. L’Ad non ha amato leggere «di macelleria sociale» fatta da Cai. «Non possiamo più permettere che l’ultima parola sia della categoria». Più ottimista invece il presidente: «Sono sicuro che ora, nella condivisione del lavoro giornaliero, cadranno tutte le barriere che si sono create. Noi vogliamo una compagnia di successo, efficiente e sicura. E i piloti sono l’elemento centrale per perseguire questo obiettivo». E la categoria senza la quale è complesso governare l’azienda.
ta Mauro Moretti. Intanto domenica partirà il primo treno veloce tra Milano Roma: tre ore e mezzo da centro a centro città, che diventeranno 2 ore e 50 minuti a inizio 2009, quando sarà pronta la galleria tra Bologna e Firenze. Ma l’Ad di Fs, con i suoi bolidi dipinti di fresco di rosso Ferrari, vuole conquistare il 60 per cento dei viaggiatori in un bacino di circa 8 milioni all’anno. «L’alta velocita non ruberà passeggeri alla nuova Alitalia, ma al traffico aereo in generale», ha fatto sapere il che domani presenterà in pompa magna a Milano la Tav.
A tanta sicumera Rocco Sabelli, l’Ad di Cai, ha risposto in maniera non meno piccata. «Facciamo i nostri auguri, ma Moretti fa la tratta Roma Milano in 3 ore e mezza, noi voliamo in 50 minuti. Lui abbrevia il tempo di viaggio, noi cercheremo di abbreviare i tempi di “in e out” con navette, check in a distanza e controlli molto rapidi. Competeremo sotto questo profilo». Ma al momento la sfida, più che sulla qualità, si fa sulle rendite di posizione, anche in previsione del 2011, quando entrerà nel mercato dell’alta velocità la Ntv di Montezemolo e Della Valle, sicuramente superiore in termini di comfort. Per fronteggiare i concorrenti Moretti da un lato ha riempito fino all’inverosimile la tratta Milano Roma: spostando il grosso della flotta su questo versante e portando a 50 le corse giornaliere. Dall’altro affila le armi sul versante legale: insieme con il Ceo della tedesca Db Helmut Mehdorn ha scritto al commissario Ue Tajani per chiedere maggiore apertura sul mercato francese in vista della liberalizzazione europea. Non a caso il leader transalpino Sncf è appena entrato con il 20 per cento nella Ntv di Montezemolo.
politica
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Giustizia. «Nessuno può alterare i principi fondamentali». E Alfano decide di incontrare Udc e Pd
Botta e risposta sulla Costituzione Napolitano blocca Berlusconi di Errico Novi
ROMA. Sarà lui l’arbitro. E la partita sarà lunga, spiega Giorgio Napolitano: «Si discute tanto, perché l’argomento è complicato, su cosa è possibile e opportuno modificare e cosa no della Costituzione». Visto che «i principi fondamentali sono fuori discussione e nessuno può pensare di modificarli o alterarli», ci vorrà molta prudenza nel realizzare la riforma della giustizia. Perché un atteggiamento eccessivamente sbrigativo da parte della maggioranza, lascia intendere il presidente della Repubblica, esporrebbe al rischio di oltrepassare proprio le colonne d’Ercole dei principi fondamentali. Non sono in gioco diversi punti di vista politici, è il messaggio del Colle, ma le stesse fondamenta della democrazia. Adesso il premier e il suo governo sanno che dovranno muoversi con grande accortezza giacché il Capo dello Stato non rinuncerà al proprio ruolo di garanzia. Così come le opposizioni, in particolare il Partito democratico, possono uscire rassicurate: a questo punto viene meno qualsiasi ragione che possa impedire a Veltroni di partecipare al riordino del sistema giudiziario. Le conseguenze dell’iniziativa presa da Napolitano sono state immediate: il ministro della Giustizia Angelino Alfano ha concordato con Silvio Berlusconi, sulla linea Roma-Bruxelles, un percorso più ragionato: il primo ddl messo a punto da Via Arenula, quello che contiene la riforma del processo penale e le misu-
La Cgil in piazza contro il governo Ieri è stato il giorno dello sciopero generale indetto dalla Cgil per protestare contro la politica economica del governo. A causa della grave situazione legata al maltempo, la mobilitazione non ha riguardato il trasporto ferroviario e i trasporti pubblici locali nelle zone più colpite dalla pioggia, in particolare Roma e Venezia. Epifani ha partecipato alla manifestazione di Bologna, che si è conclusa con il suo intervento in piazza Maggiore. «Il peggio deve ancora arrivare» ha detto, ricordando i 400mila in cassa integrazione e sottolineando come lo sciopero del 50% alla Fiat Mirafiori «dimostri quale forza, dignità e unità abbiano quei lavoratori nell’affrontare la crisi». Poi l’attacco a Berlusconi: «Ogni tanto usa la metafora per sé del buon padre di famiglia ma un buon padre farebbe tutto, anche di più, di fronte a questa crisi».
Moratti, chiesta l’archiviazione tutto il tempo di lavorare sul testo senza lacerare l’esile tela del dialogo prima ancora della discussione in Parlamento.
Il presidente Giorgio Napolitano In basso il premier Silvio Berlusconi
Tra i principi messi al sicuro dal monito del Colle c’è evidentemente l’autonomia della magistratura. Si affretta a ricordarlo Antonio Di Pietro – che evoca ancora il rischio di un regime dittatoriale e piduista – ma non ce n’è bisogno. Lo stesso presidente del Consiglio, con un comunicato, assicura «la totale volontà di non rinunciare alla Carta e ai suoi principi fondamentali» e chiarisce che «un eventuale intervento sul Csm, nel quadro della riforma della giustizia, non toccherebbe assolutamente» le fondamenta. A Bruxelles Berlusconi risponde quindi direttamente alle domande dei cronisti e spiega di non sentirsi toccato per niente dalle parole di Napolitano: «Con lui ho un rapporto tranquillo, conviviale», dice. La struttura del Csm non dovrebbe dunque subire rivoluzioni, la scelta
to è il clima ad essere meno pesante e più adatto al dialogo. Se ne rallegra innanzitutto la Lega, sempre preoccupata di non compromettere il faticosissimo lavoro sul federalismo condotto in questi mesi. È Roberto Cota ad accogliere con soddisfazione il rinvio sul ddl Alfano: «Se davvero il ministro ha intenzione di rimandare la presentazione della legge sul processo penale a gennaio per coinvolgere in maniera più approfondita l’opposizione è un bene perché distende i rapporti e consente di misurarsi nel merito su modifiche che allo stato di fatto sono oggettivamente necessarie».
D’altra parte sulla capacità dei democratici di partecipare al riordino della giustizia senza eccessive inibizioni peserà anche il risultato delle elezioni regionali che si celebreranno domani e lunedì in Abruzzo: se i rapporti di forza tra Pd e Italia dei valori cambiassero in modo netto in favore dell’ex pm,Veltroni potrebbe uscirne così indebolito da dover praticamente astenersi dal negoziato. Ma anche all’interno della maggioranza continueranno ad esserci tensioni: a parte il tira e molla tra Berlusconi e Bossi sulle riforme (ieri il premier ha provato ad archiviare la questione riducendola a panna montata dai giornali), oggi e domani il Pdl terrà aperti i propri gazebo per avviare il processo di fondazione. Non tutte le questioni tra Forza Italia e An sono definite, resta ancora da fissare anche la data del congresso. E i dubbi di Fini sulla democrazia interna non sembrano destinati a trovare soluzione.
«Il discorso del presidente della Repubblica non è riferito a me», dice il premier, «un eventuale intervento sul Consiglio superiore della magistratura non toccherebbe i pilastri della Carta» re contro il sovraffollamento delle carceri, slitterà a inizio gennaio. Fino a ieri mattina il programma prevedeva il varo al prossimo Consiglio dei ministri, come ribadito dal Guardasigilli. Ma la riunione – l’ultima dell’anno prima della pausa natalizia – è stata anticipata da venerdì 19 a giovedì 18, e questo rende impossibile la verifica preliminare del testo con le opposizioni. Alfano dunque seguirà la strada del dialogo: martedì e mercoledì vedrà il ministro ombra dei democratici, Lanfranco Tenaglia, e il responsabile Giustizia dell’Udc, Michele Vietti. Ci sarà quindi
in breve
dei componenti resterebbe affidata ai magistrati per i due terzi e resta aperta, a questo punto, solo l’opzione dello sdoppiamento per i pubblici ministeri, che avrebbero un ordinamento disciplinare diverso.
Con il passaggio di ieri non sono probabilmente i contenuti della riforma a subire uno stop. Anche se una parte dell’opposizione – dal prodiano Franco Monaco al dipietrista Massimo Donadi – resta convinta che dietro la “minaccia”di tre giorni fa («cambio da solo anche la Carta») Berlusconi adombrasse un intervento più traumatico. Di cer-
La Procura di Milano ha chiesto l’archiviazione per il sindaco Letizia Moratti. Era indagata per abuso d’ufficio. Nell’ambito dell’inchiesta sulle cosiddette consulenze d’oro di Palazzo Marino, chiesta l’archiviazione anche per Giampiero Borghini, ex sindaco ed ex direttore generale del Comune di Milano, per l’allora sua vice, Rita Amabile, per l’ex direttore centrale per le risorse umane Federico Bordogna e per il capo di gabinetto Alberto Bonetti Baroggi.
L’appello di Nencini «Eluana in Toscana» La Toscana scende in campo sul caso di Eluana Englaro. Lo fa con il suo presidente del consiglio regionale Riccardo Nencini che apre alla possibilità che sia proprio la regione ad ospitare la morte della ragazza. «La nostra Regione ha sempre difeso i valori che stanno a fondamento dei diritti dell’uomo, del rispetto della sua dignità e identità. Sia la Toscana - ha detto Nencini ad offrire a Eluana Englaro, se dovesse occorrere, quel dignitoso accompagnamento alla fine vita, del quale si legge nella sentenza della Cassazione».
mondo
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Occasioni. Da 60 anni il Paese aspetta una riorganizzazione coerente (ma anche “federale”) degli insegnamenti
Una scuola da liberare Stato, Regioni e istruzione professionale Dopo la Gelmini, una riforma da ripensare di Giuseppe Bertagna l rinvio di un anno delle riforma degli ordinamenti scolastici per il secondo ciclo di istruzione e di formazione era prevedibile. Le famiglie e i giovani, nei vari open day di istituto e nelle numerose iniziative provinciali per l’orientamento, erano stati informati solo sulle possibilità di scelta esistenti nelle scuole attuali. Come potevano, anche se il lavoro ministeriale di decretazione fosse stato concluso, riprogrammare la loro scelta sulle nuove opzioni? Forse era meglio nemmeno dare l’illusione che la riforma potesse partire nel 2009. Il rinvio, tuttavia, se ben usato, e se non ridotto alla consueta occasione per i rituali «ascolti» corporativi, può servire a mettere a fuoco il «bivio storico» che si sta presentando, sulla scuola, alla società italiana. A mettere tutti, insomma, Stato,
I
dere la ministerializzazione statale uniformizzante anche all’istruzione professionale. La Costituzione del 1948, come si documenta nel recente volume Autonomia. Storia, bilancio e rilancio di un’idea (La Scuola, Brescia 2008), introduceva, in teoria, una nettissima discontinuità con le scelte strategiche operate dal fascismo. Cominciava la stagione economica che superava il protezionismo tradizionale del nostro paese. Come immaginare, in un’economia finalmente aperta e libera, un sistema scolastico centralizzato, per di più irrigidito da una catena burocratica di comando che tendeva a riprodurne una analoga a livello sindacale? Per le ragioni che nel volume citato sono state sintetizzate e che gli storici conoscono bene, però, alla formalmente rivendicata discontinuità si sostituì la mate-
Il testo bloccato era solo una continuazione della riforma-Fioroni che riportava nelle mani dello Stato la gestione di tutto l’apparato formativo, anche quello che mette in relazione lavoro e cultura Regioni, società civile e politica, sindacati, famiglie davanti a precise responsabilità che la più grande crisi economica degli ultimi secoli rende ancora più drammatiche.
Per capire la portata della posta in gioco bisogna cominciare da lontano. Fino a prima del fascismo, lo Stato si teneva le scuole destinate alle classi dirigenti: i licei. L’istruzione tecnica e professionale, destinata ai quadri e alle qualifiche professionali, la linfa dell’economia italiana, quella che avrebbe permesso il sorprendente sviluppo del nostro paese nel secolo scorso, era governata dallo Stato, ma non gestita dallo Stato. Vi erano, infatti, coinvolti a pieno titolo aziende, sindacati, comuni, province, associazioni professionali. E godeva, com’è naturale, visto il numero degli attori coinvolti, di ampia margini di autonomia. Il fascismo statalizzò (nel senso di ministerializzare e uniformare) tutta l’istruzione tecnica, ma lasciò in vita il rizomatico arcipelago dell’istruzione professionale con le antiche caratteristiche. Nel 1939 cominciò a voler esten-
rialmente praticata continuità. Anzi una continuità intensificata. Infatti, l’istruzione professionale fu, negli anni Cinquanta, tutta ministerializzata. E a poco a poco perfino l’istruzione tecnica perse la sua residua autonomia, riconosciutale perfino nel periodo fascista.
Per farla breve, la revisione della Costituzione del 2001, quella del Titolo V, riprese gli sforzi della Costituzione del 1948 per introdurre una netta discontinuità con l’impianto statalistaministerialista e centralista del nostro sistema di istruzione e di formazione. Confermò alla legislazione esclusiva dello Stato solo «le norme generali sull’istruzione» e «i livelli essenziali di prestazione (Lep) per l’istruzione e formazione professionale» (norme generali, non quelle a cui siamo abituati, tutto fuorché generali! E livelli essenziali di prestazione, non livelli obesi ed invadenti, con ulteriori decreti, circolari ecc. del ministero che li spigano, li chiosano, li interpretano, li applicano!). Ma il nuovo Titolo V diede alle Regioni l’istituzione più a contatto con il ter-
ritorio e con le sue reali dinamiche economiche e sociali, la responsabilità esclusiva su tutto il settore dell’istruzione e formazione professionale, e inoltre la responsabilità legislativa concorrente su tutto il settore dell’istruzione.
La legge n. 53/03 è stata la prima legge repubblicana a tentare una peraltro timida attuazione del dettato costituzionale. Previde, per il secondo ciclo di istruzione e di formazione, un unico sistema educativo. Tale sistema educativo, tuttavia, al suo interno, doveva essere articolato in un sottosistema dei licei (con otto indirizzi, tra cui uno tecnologico e uno economico) a norme generali statali e un sottosistema dell’istruzione e formazione professionale a lep statali, ma a legislazione esclusiva regionale. Ambedue di pari dignità educativa e culturale, e tra loro interconnessi per favorire i passaggi. Il sottosistema dell’istruzione e formazione professionale doveva evidentemente essere costituito dalla rifusione sistemica dell’attuale formazione professionale regionale, dell’attuale istruzione professionale statale con i suoi corsi triennali o quinquennali e dell’attuale istruzione tecnica che avesse mantenuto una forte vocazione professionalizzante. In questa maniera, si doveva venire a costituire un sistema graduale e continuo di corsi dell’istruzione e formazione professionale che partivano da una durata minima di tre anni (qualifica) e che, poi, si dovevano estendere a quattro, a cinque, a sette, perfino a nove anni, assicurando, in questo modo, titoli e diplomi tecnici e professionali sia secondari sia superiori. Un disegno non c’è dubbio ambizioso. Culturalmente prima ancora che sul piano istituzionale e ordinamentale. Che non poteva essere introdotto per decreto e in poco tempo. Che doveva anche considerare per lunghi anni (un decennio? Un quindicennio?) un costituzionalmente condiviso regime di transizione. Contro questo disegno di attuazione del dettato costituzionale nel campo dell’istruzione e della formazione, tuttavia, si è scatenata la più gigantesca ope-
ra di interdizione, disinformazione e diffamazione sloganistica che la storia repubblicana ricordi. Le corporazioni del centralismo ministeriale e sindacale, nonché tutti gli ottusi ideologi di sinistra contrari a queste scelte per il solo motivo che erano inserite in una legge approvata durante un governo di centro destra, si scatenarono. Il risultato fu, prima, nel 2005, un decreto attuativo della riforma del secondo ciclo di istruzione e di formazione, molto più timido di quello autorizzato dal testo della legge n. 53/07. Dopo, con l’avvento del ministro Fioroni, si ebbe addirittura lo stravolgimento di questo disegno. Con il ministro Fioroni, infatti, lo Stato, con la sua burocrazia centrale parallela a quella sindacale, torna ad impadronirsi come se nulla fosse successo tra il 2001 e il 2003, di tutta l’istruzione tecnica, di tutta l’istruzione professionale e perfino, con una ben mirata incursione nella finanziaria 2007, di tutta la formazione professionale superiore. «Concede» alle Regioni solo un’istruzione e formazione professionale destinata ai falliti delle scuole in mano allo Stato, con tanto di sprezzante liquidazione della scommessa storica di innalzare alla cultura il lavoro, di costituire un percorso di istruzione e formazione professionale che fosse di pari dignità educativa e culturale con quello liceale e, infine, di creare un unico sistema educa-
mondo
tivo nel quale percorsi liceali e percorsi di istruzione e formazione professionale fossero strutturalmente interconnessi.
Il ministro Gelmini, al di là delle dichiarazioni di rito, non ha fatto, finora, altro che continuare il disegno del ministro Fioroni. Forse qualche Regione, o qualche forza politica, ha fatto capire a lei e al governo che non è dignitoso parlare di federalismo e di sussidiarietà di giorno, con il ministro Calderoli, e poi praticare, di notte, nel campo scolastico, il più antico e collaudato statalismo centralistico. Forse, più semplicemente, il centralismo ministerial-sindacale non era ancora pronto sul piano tecnico a giustificare come «riforma storica» un taglia e incolla di quadri orari di licei, di istituti tecnici e di istituti professionali, nonché un insieme di chiacchiere tanto venderecce quanto fantasiose senza unità, respiro e progetto culturale. Forse, però, e questa sarebbe una bella e consolante speranza, il ministro si è accorto che i nostri figli non potranno mai uscire dalla crisi economica in cui ci siamo cacciati, crisi delle cui dimensioni, tanto è ampia, non si ha memoria, semplicemente «ridipingendo» per loro un sistema di istruzione e di formazione che, con ogni probabilità, se non ha contribuito a crearla, non ha di sicuro dato una mano ad evitarla. Se questo anno di discussione che si apre sarà, perciò, un’occasione per far riflettere tutti, con verità, sulle grandi scelte di sistema che ci interpellano, non ci sarà che da gioire. Se si ridurrà al mercato delle ore e delle discipline che ogni corporazione disciplinare cercherà di rivendicare sulla base dei quadri orario e degli indirizzi preparati in questi mesi nelle stanze ministeriali ci sarà soltanto da piangere.
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Il testo è stato «congelato» perché voleva liquidare in fretta un tema da affrontare con lentezza
Signora ministro, ora un po’di rispetto! di Luisa Ribolzi a sospensione - forse date le condizioni metereologiche sarebbe più attuale dire il congelamento del piano di riforme della scuola comunicato giovedì mi offre lo spunto per una considerazione non episodica, e solo in parte legata alle decisioni prese dal ministro in seguito non si sa se alle pressioni dell’opinione pubblica e dei sindacati, o a un più maturo ripensamento. Non intendo cioè esprimere un parere sul maestro variamente utile o prevalente, sui tagli, sulla riforma dell’istruzione tecnica: il punto delle questione mi sembra piuttosto quello di capire se chi decide in Italia le politiche scolastiche ha chiaro in mente il quadro dei problemi, magari avendo attivato un sistema di valutazione da tempo in letargo, ed è intenzionato a perseguire un percorso coerente per risolverli. Delle due l’una: se la risposta è sì, non si vede perché modificare le decisioni prese; se la risposta è no, non si vede perché queste decisioni siano state prese.
L
di fronte ad una constatazione confermata da tutte le ricerche, che cioè solo poche sono le riforme educative che hanno tempi brevi, mentre la maggior parte ha tempi medi o addirittura lunghi, partire lancia in resta per poi sospendere tutto, per quella pausa di riflessione che nei rapporti di coppia in genere significa “lasciamoci da buoni amici, è tutto finito”? Si pensi all’insensatezza di prolungare la scadenza per le iscrizioni nella scuola secondaria, creando ovvie aspettative, per poi annullare ogni cambiamento.
I problemi cui la mitica “133” affermava di voler rispondere erano fondamentalmente due: l’efficacia e l’efficienza.
ingrato che ha probabilmente affrontato con l’ottimismo un po’ inconsapevole dei giovani: ma mi pare curioso che nessuno di quelli che lavorano con lei, in politica o al ministero, le abbia fatto presente l’opportunità di procedere con i piedi di piombo, cercando di capire come stavano le cose e prendendo solo quelle decisioni che concorrevano a costruire, con prudenza e determinazione, un processo di riforma non episodico
Servirebbe forse un orologio a tempo come quello dell’alta velocità che segnasse, a partire dal fatidico gennaio 1997, tutte le tappe di una riforma sempre annunciata e mai attuata. Ormai gli annunci sortiscono gli effetti del famoso “al lupo, al lupo” delle favole, ma i sociologi conoscono quella che si chiama “legge di Thomas”, che dice che se una cosa viene considerata vera, i suoi effetti sono reali: così le informazioni per lo più errate diffuse sulla “riforma Gelmini” hanno avuto l’effetto di mobilitare addetti ai lavori e pubblica opinione sulle soluzioni, considerate sbagliate, evitando di riconoscere che i problemi erano, e restano, reali. O forse dobbiamo pensare che questo effetto fosse previsto, e che il polverone mediatico fosse finalizzato ad arrivare al punto a cui siamo oggi, che cioè tutto resta invariato, e i problemi ce li ritroviamo tali e quali nella calza della befana? E intanto la nostra distanza dagli altri sistemi europei cresce, le disuguaglianze fra le varie zone del paese restano immutate, e la scuola diventa un luogo sempre meno vivibile per studenti e docenti, e sempre meno utile per il paese. Non è una bella conclusione.
Le informazioni diffuse sul “testo Gelmini” hanno avuto l’effetto di mobilitare addetti ai lavori e pubblica opinione sulle soluzioni, evitando di riconoscere che i problemi erano, e restano, reali
Mi rendo conto che si può pensare a un gioco di parole, neanche tanto divertente, ma non posso nascondere lo sconcerto e l’amarezza nel constatare che prese di posizioni apparentemente condivise e lodate sono sistematicamente disattese: mi riferisco in particolare alle idee del cosiddetto “gruppo del buonsenso” secondo cui è possibile modificare il sistema formativo solo su tempi lunghi, e in base ad un progetto condiviso che si proponga, una volta identificati i problemi fondamentali, di trovare modalità anch’esse condivise e realistiche di soluzione. Che senso ha,
La scuola italiana spende troppo rispetto ai modesti risultati che ottiene: improvvisamente questo non è più vero? Risparmiare è diventato un optional? La riforma dell’istruzione secondaria superiore, e in particolare quella dell’istruzione tecnica, non è più una priorità per lo sviluppo economico del paese? E degli insegnanti, che ne facciamo? Continuiamo a vivacchiare con un corpo docente eccessivo, male utilizzato, mai valutato, in cui i più volonterosi vengono sistematicamente frustrati da annunci di rinnovamento palingenetico che vanno altrettanto sistematicamente a vuoto? Non me la sto prendendo in modo particolare con l’attuale ministro, che si è trovata di fronte a un compito
panorama
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Residenze. Il Senatùr, per la prima volta, prende casa nella Capitale
Bossi si trasferisce a Roma (ladrona) di Francesco Capozza
ROMA. “Roma ladrona” per Umberto Bossi non esiste più. Almeno così sembrerebbe, visto che da due settimane a questa parte l’Umberto non alloggia più presso il mitico Hotel Nazionale, proprio in piazza Montecitorio, (luogo, peraltro, di una tristezza infinita), ma in un appartamento di 90 metri quadrati sulla via Nomentana.
Al Senatur, Roma era sempre stata sulle balle, tant’è che negli ultimi 21 anni (l’Umberto padano è entrato in parlamento nel 1987, eletto, per l’appunto, in Senato) si era sempre rifiutato di acquistare casa nella capitale, preferendo distaccatamente alloggiare in albergo. Come d’altronde fanno quasi tutti i peones leghisti: basta ”appostarsi” il giovedì sera o, al massimo, il venerdì mattina davanti alla Camera dei Deputati
IL PROVINCIALE di Giancristiano Desiderio
per vedere decine di uomini incravattati di verde uscire dagli alberghi circostanti sferragliando con il trolley in cerca di un taxi con destinazione Fiumicino. Bossi però, forse convinto dall’amorevole moglie o, magari, dall’amico Silvio che un ministro della Repubblica (per di più in condizioni fisiche non ot-
ha tutti i comfort di una residenza di lusso: aria condizionata in ogni ambiente, parquet, bagno completamente ristrutturato, cucina arredata con gran gusto. Quei soldi, insomma, li vale tutti e, anche fosse stato solamente preso in affitto, non costerebbe meno di 20002500 euro al mese. E li vale an-
Basta con gli alberghi vicino a Montecitorio, il leader della Lega dopo anni cambia abitudini: «Ma le mie finestre sono orientate verso Milano» timali) non è il caso risieda in un albergo, dall’inizio di dicembre trascorre le sue nottate romane in un prestigioso attico sulla via Nomentana, non distante dall’ambasciata dell’Iran. Se però il Senatur abbia acquistato l’appartamento, oppure per il momento l’abbia solamente preso in affitto, è ancora un mistero. Per l’attico di poco meno di cento metri, sembra che il proprietario (o ex) abbia chiesto una somma considerevole, quasi un milione e cento mila euro, ma senza giocare al rialzo. L’appartamento, infatti,
che perché ubicato in uno dei quartieri più chic di Roma, il quartiere Trieste, già scelto da numerosi Vip della politica e del giornalismo. A due passi dalla nuova residenza del Capo Lumbard, infatti, c’è Villa Torlonia, nei pressi della quale abita la battagliera Alessandra Mussolini (e chissà se rimpiange le passeggiate a cavallo nel parco della Villa che faceva l’illustre nonno negli anni ’30). Poco più in là, dall’altro lato della via Nomentana, abita il fondatore de La Repubblica Eugenio Scalfari. Poche centinaia di me-
tri ed ecco Corso Trieste, residenza, fino a prima della separazione dalla moglie, del presidente della Camera Gianfranco Fini (che ora ha preferito il più istituzionale quartiere Prati, ove risiedono anche Francesco Cossiga e Massimo D’Alema). Ma il quartiere, pur essendo tradizionalmente “nero”, ospita anche personalità di sinistra tra cui l’ex presidente della Camera Fausto Bertinotti e dove, sempre che non l’abbia venduta recentemente, ha casa anche il segretario democratico Walter Veltroni.
Per quanto riguarda la nuova residenza romana di Umberto Bossi, la notizia ha fatto rapidamente capolino nei giorni scorsi in Transatlantico, ha destato curiosità anche negli stessi parlamentari leghisti, tant’è che Stefano Stefani avrebbe chiesto, scherzando, al Senatur se avesse cambiato idea rispetto a quando di Roma diceva che «lì si perde solo tempo». «Ma da lì vedo l’autostrada Roma-Milano, ha risposto Bossi, così mi proietto già verso il Nord».
Perché Amanda Knox, accusata dell’orrendo delitto di Perugia, è diventata un’eroina?
Il Paese dei criminali che diventano star ai in carcere per un delitto e diventi una star. Il “caso Amanda” dovrebbe fare scandalo non per il fascino torbido che da subito ha circondato la Knox – accusata con Raffaele Sollecito di omicidio e violenza sessuale per l’uccisione di Meredith Kercher – quanto per la ripetizione di casi del medesimo tipo “delitti e premi”. Si ricorderà, infatti, il caso del romeno che, ubriaco, alla guida di un furgone fece una strage. Ebbene, dalla prigione dorata in cui si trova divenne una star pubblicitaria: magliette, linee di abbigliamento, gadget, tutto probabilmente ben pagato. C’è un diabolico combinato disposto tra delitto, mass media, notorietà che trasforma gli imputati in personaggi dello spettacolo. Il crimine da sempre porta con sé la notorietà e lo scalpore, ma noi abbiamo fatto un passo ulteriore nell’inferno: la spettacolarizzazione del criminale e non solo del crimine. Il film girato in carcere a Perugia da Amanda – L’ultima città di Claudio Carini – viene a chiudere il cerchio delitto-informazione-spettacolo. È solo su questo particolare aspetto del nostro sistema mediatico-giudiziario che dovremmo interrogarci un po’ tutti.
V
In questa storia tipicamente italiana sono tanti gli elementi patologici. L’imputato che diventa personaggio,
il carcere che diventa un set, la Regione che diventa una casa di produzione cinematografica. Insomma, nessuno fa il suo mestiere. Se a questo quadro già desolante di per sé si aggiunge anche la concezione filantropica che le classi medio colte e progressiste nutrono degli istituti di pena, possiamo capire come al danno si aggiunga la beffa, come il pasticciaccio brutto di via della Pergola, sia un pasticciaccio brutto nazionale. L’idea che il sistema carcerario debba avere come suo fine la rieducazione e il recupero del delinquente alla società si basa sull’idea che il detenuto sia un cittadino minore che nell’atto del suo delitto non sapeva cosa faceva. Molto meglio, invece, la concezione del rispetto della legge e della pena come ripristino dell’ordine giuridico violato. In parole più povere: chi sbaglia, paga. Chi ha sbagliato sapeva di sbagliare. Chi ha sbaglia-
to poteva astenersi dallo sbaglio. È una concezione più rigorosa del carcere, ma paradossalmente più rispettosa non solo della vittima ma anche del delinquente che non è considerato un cittadino minore o di serie B che deve essere rieducato e recuperato alla società. È possibile che dietro al caso di Amanda ci sia anche questa concezione illuministica e falsamente umanitaria dei delitti e delle pene?
Non solo è possibile ma è una constatazione di fatto. Amanda Knox è diventata da subito una star: in televisione, sui giornali, sul web, nei blog, nelle fotografie, nell’editoria. Da subito la bella americana ha persino avuto dei fan che l’hanno acclamata e individuata come un modello. Qui il sistema rieducativo è andato praticamente in corto circuito: Amanda Knox che diventa attrice in un lungometraggio che partecipa ad
un Festival, è essa stessa la star che dà notorietà alla pellicola. Il regista, Claudio Carini, ha dichiarato di essere sotto choc per quanto è avvenuto e per il clamore della vicenda. Ma sembrano le lacrime del giorno dopo. Sarebbe stato meglio pensare a che cosa si stava facendo. Bastava semplicemente ricordare un po’ di pietà cristiana e umana per la povera Meredith.
Isabella Ferrari ha detto che Amanda ha il diritto di sognare. Nessuno, infatti, glielo vieta. Ma tra il sogno e il film ci passa di mezzo il valore e la credibilità del processo per il delitto di via della Pergola che sarà celebrato tra meno di un mese. L’ambizione di tutti noi è quella di poter vivere in quello che è stato definito un “Paese normale”. È un Paese normale quello in cui gli imputati attendono nella discrezione lo svolgimento del processo; è un Paese normale quello in cui si rispetta la memoria delle vittime; è un Paese normale quello in cui i presunti criminali non diventano uomini e donne di spettacolo da applaudire e indicare ai giovani come modelli. Nel caso Amanda i sogni e la speranza non c’entrano nulla, mentre purtroppo l’offesa della memoria di Meredith è vergognosa.
panorama
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Crisi. L’Italia divisa tra un governo “decisionista” che non decide e una sinistra divisa e senza idee
Attenti, iniziamo a somigliare alla Grecia di Enrico Cisnetto segue dalla prima Si tratta di Carlo Azeglio Ciampi, che si è lanciato in un preoccupato monito: «Teniamo conto che la Grecia non è solo membro della Ue, ma è anche nell’euro, cioè nella moneta unica. Mai come in questo momento l’Italia deve dare un contributo positivo alla stabilità delle finanze pubbliche, e quindi alla moneta unica».
Ma cosa spinge il presidente emerito a lanciarsi in un paragone così pesante? È presto detto: «Da ex Governatore della Banca d’Italia – continua – ed ex ministro del Tesoro, la cosa che mi preoccupa di più è vedere a che livello è tornato il differenziale tra i nostri Btp e i bund tedeschi, che nei giorni scorsi ha sfiorato addirittura i 140 punti base. È un segnale pericoloso che nessuno dovrebbe sottovalutare». Anche qui, il paragone tra Italia e Grecia è calzante: i due debiti sovrani sono, infatti, quelli che in Europa scontano i più alti differenziali rispetto ai buoni del tesoro tedeschi. Solo mer-
Le similitudini sono impressionanti: dal grande passato dietro le spalle a una situazione economica devastata da un debito enorme coledì scorso, l’Italia pagava una “penalità” di 127 punti base rispetto ai bund, e la Grecia 170. Che significa, questo? Semplice: che, come ha sottolineato la stessa Bce nel suo bollettino mensile, il crescente differenziale dei tassi «riflette una serie di fattori di rischio legati ai singoli paesi e in particolare alla sostenibilità delle rispetti-
ve posizioni di bilancio». Certo, ci sono anche gli ottimisti come gli analisti di Fitch – a proposito, ma queste agenzie di rating quando si faranno una bellai autocritica, dopo gli svarioni presi sulla crisi finanziaria? – secondo i quali sono i tassi tedeschi a scendere piuttosto che quelli italiani e greci a salire. Auguri. Fatto sta che quello
che si sta verificando in questi giorni è fenomeno noto come “fuga verso la qualità”: gli investitori internazionali, anche a fronte di una varietà sempre più alta di emissioni di debito sovrano (gli Stati in qualche modo devono pure finanziare i vari pacchetti di stimolo anticrisi lanciati negli ultimi mesi) cercano titoli sicuri. E a pesare sull’Italia non c’è solo l’enorme debito pubblico, che nei sedici anni che ci separano dal Trattato di Maastricht è stato ridotto dal 108% al 104-105% di oggi. Ci sono anche gli scenari recessivi che si stanno manifestando in tutta la loro violenza. Solo qualche giorno fa è arrivata una nuova raffica di dati che confermano il peggio: da una parte l’Istat ha certificato non solo quello che già si sapeva, e cioè che siamo in recessione tecnica, ma, peggio ancora, che il tasso tendenziale del pil (nel terzo trimestre in flessione dello 0,9% rispetto ad un anno fa) mostra il trend peggiore da quindici anni a questa parte.
Sul fronte della produzione, poi, si scopre che ad ottobre si
è avuto il dato peggiore dal 1996 a questa parte, mentre Confindustria prevede che a novembre si registrerà un’ulteriore doccia fredda con un crollo addirittura dell’11,4%. Di fronte a questa situazione, e con quasi la metà (45%) dei buoni italiani nelle mani di istituzioni straniere, il rischio di un default sui titoli di Stato non è escludibile a priori. Se arrivasse oggi un downgrade sui nostri bond, i fondi internazionali dovrebbero, infatti, venderli in massa. E poiché il Tesoro paga i titoli in scadenza con i soldi che arrivano dalle nuove sottoscrizioni, se le nuove aste dovessero andare deserte ci ritroveremmo nell’impossibilità di far fronte al pagamento degli interessi. Il ministro Tremonti, che nessuno invidia nella sua scomodissima posizione di guardiano del “fortino” dei conti pubblici, ha detto che «alla fine della crisi, l’Argentina saranno gli altri, non noi». Speriamo. Ma intanto, ci sentiamo tutti molto ateniesi. E non è una bella sensazione. (www.enricocisnetto.it)
Temporali. Roma tra esondazioni, tragedie e strade bloccate: sono bastati tre giorni di pioggia
Povero Alemanno, naufragato nel Tevere di Gabriella Mecucci segue dalla prima E poi il Coni sgomberato, Ponte Garibaldi e Ponte Milvio chiusi ai pedoni e rafforzati con tanto di sacchetti sabbia, tre barconi alla deriva sul Tevere. Per non dire di alberi spezzati, auto irrecuperabili, magazzini sventrati. Insomma, un catastrofe: ieri Roma era completamente bloccata e il sindaco ripeteva come un cucù: “Per carità non uscite di casa, non vi muovete”.
Una volta, per paralizzare la Capitale ci voleva un fenomeno metereologico raro a queste latitudini: una copiosa nevicata. Adesso basta la pioggia. È vero che sono tre giorni che cade senza pausa, ma gli acquazzoni non sono un fenomeno imprevedibile e il Tevere bagna Roma da parecchio tempo. Come è possibile che la città sia finita sott’acqua in quattro e quattr’otto?
E mentre scriviamo sta iniziando la lunga notte di paura in cui si teme che gli argini non reggano in più punti. Se il problema fossero la pioggia e il fiume, a Londra di queste catastrofi dovrebbero verificarsene tre o quattro all’anno. E invece niente. Per quale strana maledizione da noi capita tutto questo? Perché mentre sogniamo di mettere in cantiere le grandi opere, non facciamo nulla o quasi per l’ordinaria manutenzione? Ed è così che gli argini dei fiumi non vengono sistemati a dovere, che le scuole e gli ospedali cadono in pezzi. La cura delle infrastrutture è come la ricerca: se gli enti locali devono sforbiciare le spese, si taglia lì. A quel punto, basta poco per far avvenire la tragedia. E se diluvia per
tre giorni si rischia la catastrofe. Roma poi è un caso speciale. Prima di Alemanno abbiamo avuto un sindaco che ha organizzato le Notti bianche, la Festa del cinema, i concerti davanti al Colosseo: per anni è stata bisboccia. Ma nelle buie
Nel 1985, l’allora sindaco comunista Ugo Vetere cadde per via di una nevicata eccezionale. Le infrastrutture sono rimaste uguali ad allora periferie non c’erano i lampioni, nelle strade del centro i sampietrini ballavano e per non cadere dovevi essere un equilibrista, l’asfalto delle strade era pieno zeppo di buche per la felicità e la sicurezza dei motociclisti. Insomma, canti, luci e suoni,
ma Roma diventava sempre più una capitale da Terzo Mondo. Il Pd per tutto questo è stato punito. Ora – si dirà – se le fogne non funzionano, se le strade sono piene di buche, se i sottopassi si riempiono d’acqua non ve la vorrete mica prendere col povero Alemanno che governa la capitale da soli sei mesi? Probabilmente è vero: non è colpa sua. E se ha qualche responsabilità è solo parziale.
Ma l’attuale sindaco però un rimprovero se lo merita: da quando è sbarcato al Campidoglio, la sua presenza non si è avvertita. Nulla o quasi è cambiato dall’epoca Veltroni: la città continua a non essere amministrata, a non essere manutenuta. Certo, il nuovo sindaco ci ha fatto la grazia di non organizzare una sera sì e una no una grande, dispendiosa, chiassosa festa facendo finta di promuovere la cultura. E questo non è poco, ma non ha fatto nient’altro. Un governo sotto tono che non ha nemmeno iniziato a riparare i guasti combinati da altri. E il Tevere gonfio e rabbioso di questi giorni sta svelando l’ormai semestrale vuoto capitolino. Si potrebbe ripetere per l’ex missino Gianni Alemanno quel che accadde per il comunista Ugo Vetere: travolti entrambi dal maltempo. Anche a Roma, come altrove, «tutto cambi purché nulla cambi».
il paginone
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L’intervento / 1
ella Gaudium et spes, i Padri conciliari scrivevano: «Dio, padrone della vita, ha affidato agli uomini l’altissima missione di proteggere la vita: missione che deve essere adempiuta in modo degno dell’uomo. Perciò la vita, una volta concepita, deve essere protetta con la massima cura». È sulla lunghezza d’onda di questo insegnamento che si dovrebbe porre l’Istruzione Dignitas personae. I suoi contenuti non sono altro che una genuina promozione del senso della vita umana e una sua spassionata difesa. Perché la vita umana possa essere promossa è necessario che si crei una cultura favorevole alla sua accoglienza in ogni espressione che ne viene manifestata. È necessario, per questo, l’apporto condiviso di quanti, credenti o non credenti, ritengono che questo sia il momento favorevole per approdare a uno sforzo comune in favore dell’accoglienza della vita personale. Se in alcuni momenti, comunque, diventa urgente giungere anche a una difesa della umana, per paradossale che possa sembrare, significa che questa è in serio pericolo. Non è la visione catastrofica quella che caratterizza l’insegnamento della Chiesa; ciò che preme, piuttosto, è una lettura realistica del momento presente che come ogni epoca
N L’embrione
è persona: è questa la frontiera della civiltà di Rino Fisichella
storica è sottoposta a tante luci e molte ombre. Non deve meravigliare, d’altronde, l’impegno del Magistero in questo particolare settore. La Chiesa è stata impegnata in prima persona nel corso dei secoli in difesa di alcuni principi fondamentali che oggi sono patrimonio dell’umanità. [...] Oggi la posta in gioco che segnerà i prossimi decenni e la vita della società è determinata dalla difesa della dignità della persona dal suo concepimento fino alla sua morte naturale. L’Istruzione della Dottrina della fede, per questo motivo, si viene a porre in un momento del tutto peculiare.
I suoi contenuti, particolarmente in riferimento alle varie tecniche di sperimentazione sull’embrione susciteranno reazioni diverse. Alcuni preferiranno ignorarli con supponenza come se non li riguardassero, altri rincorreranno la via più facile della derisione ed altri ancora etichetteranno quelle pagine come foriere di buio oscurantismo che impedisce il progresso e la libera ricerca. Molti altri, infine, condivideranno certamente la nostra preoccupazione e la nostra analisi. Al di là degli schieramenti, quindi, ci saranno persone che saranno provocate da queste pagine a formulare qualche interrogativo e, vorranno verificare
la validità delle argomentazioni portate. Rimane, in ogni caso, una considerazione che merita di essere riportata [...]: «La Chiesa giudicando della valenza etica di alcuni risultati delle recenti ricerche della medicina concernenti l’uomo e le sue origini, non interviene nell’ambito proprio della scienza medica come tale, ma richiama tutti gli interessati alla responsabilità etica e sociale del loro operato. Ricorda loro che il valore etico della scienza biomedica si misura con il riferimento sia al rispetto incondizionato dovuto ad ogni essere umano, in tutti i momenti della sua esistenza, sia alla tutela della specificità degli atti personali che trasmettono la vita» (Dignitas personae, n. 10). Nessuna invasione di campo, pertanto, da parte del magistero della Chiesa quando entra in un ambito specifico come quello della sperimentazione sull’embrione, che è oggetto di più scienze di cui nessuna può arrogarsi il diritto di dire l’ultima parola. Ciò che questa Istruzione intende fare è esprimere il proprio contributo autorevole nella formazione della coscienza non solo dei credenti, ma di quanti intendono porre ascolto alle argomentazioni che vengono portate e con queste intende confrontarsi. Un intervento, pertanto, che rientra pienamente nella sua missione e che dovrebbe
Embrioni, cellule staminali, fecondazione assistita. Il testo della
La Carta d egli ultimi anni le scienze biomediche hanno fatto enormi progressi, che aprono nuove prospettive terapeutiche, ma suscitano anche seri interrogativi non esplicitamente affrontati dall’Istruzione Donum vitae (22 febbraio 1987). La nuova Istruzione intende proporre risposte ad alcune nuove questioni di bioetica, che provocano attese e perplessità in vasti settori della società. In tal modo si cerca di promuovere la formazione delle coscienze e di incoraggiare una ricerca biomedica rispettosa della dignità di ogni essere umano e della procreazione. L’Istruzione inizia con le parole Dignitas personae – la dignità della persona, che va riconosciuta ad ogni essere umano, dal concepimento alla morte naturale. Questo principio fondamentale esprime un grande “sì”alla vita umana, che deve essere posto al centro della riflessione etica sulla ricerca biomedica.
N
Aspetti antropologici, teologici ed etici della vita e della procreazione umana L’essere umano va rispettato e trattato come una persona fin dal suo concepimento e, pertanto, da quello stesso momento gli si devono riconoscere i diritti della persona, tra i quali anzitutto il diritto inviolabile di ogni essere umano innocente alla vita. L’origine della vita umana… ha il suo autentico contesto nel matrimonio e nella fa-
miglia, in cui viene generata attraverso un atto che esprime l’amore reciproco tra l’uomo e la donna. Una procreazione veramente responsabile nei confronti del nascituro deve essere il frutto del matrimonio. […]. A partire dall’insieme di queste due dimensioni, l’umana e la divina, si comprende meglio il perché del valore inviolabile dell’uomo: egli possiede una vocazione eterna ed è chiamato a condividere l’amore trinitario del Dio vivente. Queste due dimensioni di vita, quella naturale e quella soprannaturale, permettono anche di comprendere meglio in quale senso gli atti che consentono all’essere umano di venire all’esistenza, nei quali l’uomo e la donna si donano mutuamente l’uno all’altra, sono un riflesso dell’amore trinitario. Dio, che è amore e vita, ha inscritto nell’uomo e nella donna la vocazione a una partecipazione speciale al suo mistero di comunione personale e alla sua opera di Creatore e di Padre… Lo Spirito Santo effuso nella celebrazione sacramentale (del matrimonio) offre agli sposi cristiani il dono di una comunione nuova d’amore che è immagine viva e reale di quella singolarissima unità, che fa della Chiesa l’indivisibile Corpo mistico del Signore Gesù. La Chiesa, giudicando della valenza etica di taluni risultati delle recenti ricerche della medicina concernenti l’uomo e le sue origini, non interviene nell’ambito proprio della scienza medica come tale, ma ri-
chiama tutti gli interessati alla responsabilità etica e sociale del loro operato. Ricorda loro che il valore etico della scienza biomedica si misura con il riferimento sia al rispetto incondizionato dovuto ad ogni essere umano, in tutti i momenti della sua esistenza, sia alla tutela della specificità degli atti personali che trasmettono la vita. Nuovi problemi riguardanti la procreazione Tra le tecniche volte a superare l’infertilità sono attualmente poste in atto: Tecniche di fecondazione artificiale eterologa: volte a ottenere artificialmente un concepimento umano a partire da gameti provenienti almeno da un donatore diverso dagli sposi, che sono uniti in matrimonio. Tecniche di fecondazione artificiale omologa: volte a ottenere artificialmente un concepimento umano a partire dai gameti di due sposi uniti in matrimonio.Tecniche che si configurano come un aiuto all’atto coniugale e alla sua fecondità. Interventi che mirano a rimuovere gli ostacoli che si oppongono alla fertilità naturale. La procedura dell’adozione. Al riguardo, sono lecite tutte le tecniche che rispettano il diritto alla vita e all’integrità fisica di ogni essere umano, l’unità del matrimonio, che comporta il reciproco rispetto del diritto dei coniugi a diventare padre e madre soltanto l’uno attraverso l’altro e i valori specificamente umani della sessualità, che esigono
il paginone essere accolto non solo come legittimo, ma anche come dovuto in una società pluralistica, laica e democratica.
Risulterebbe veramente difficile, anche per un pensiero estraneo alla fede, non ritrovarsi nell’affermazione di Dignitas personae: «Per il solo fatto d’esistere, ogni essere umano deve essere rispettato [...]» (n. 8). Ciò che viene affermato, come si nota, è l’uguale dignità di ogni essere umano per il fatto stesso di essere venuto alla vita. [...]. Davanti a questo principio, passano in secondo ordine l’intelligenza, la bellezza, lo stato fisico, l’età, la razza o la condizione sociale, ecc. Ciò che veramente conta è la vita che viene posta in essere; vita che, fin dall’inizio, è contrassegnata come umana e che in forza di questo deve essere rispettata da tutti, sempre e senza alcuna eccezione. Alla luce di questi principi si comprendono i giudizi morali che vengono dati in riferimento ad alcune condizioni peculiari; in primo luogo alla sperimentazione sulle cellule staminali, sull’embrione e sulla clonazione. Ciò che muove il pensiero del magistero in proposito è in primo luogo la difesa dell’ordine creaturale, secondo cui la fecondazione e la nascita di un essere umano vanno conservati e custoditi in quell’oriz-
zonte della natura che riflette non solo la bellezza della creazione, ma la sapienza stessa del mistero d’amore del Creatore che tutto ha organizzato in un ordine insostituibile e perfetto. Non si dovrebbe dimenticare, inoltre, un ulteriore principio che viene più volte riaffermato nel corso dell’Istruzione: l’uguaglianza fondamentale tra gli uomini. Proprio questo principio cozza contro ogni pretesa di clonazione umana o manipolazione genetica diversa da quella terapeutica. Se si vuole, Dignitas personae compie un passo in avanti nei confronti della precedente Donum vitae del 1987, quando si richiama alla difesa della dignità dell’embrione. Nella precedente Istruzione, infatti, per non entrare direttamente nel dibattito filosofico non si entrò nel merito circa la definizione dell’embrione come “persona”. Nell’Istruzione odierna si esplicita testualmente che: «La realtà dell’essere umano per tutto il corso della sua vita, prima e dopo la nascita, non consente di affermare né un cambiamento di natura né una gradualità di valore morale poiché
possiede una piena qualificazione antropologica ed etica. L’embrione umano, quindi, ha fin dall’inizio la dignità propria della persona» (n. 5). Non sarà da dimenticare, da ultimo, il coraggio con cui Dignitas personae affronta il tema della manipolazione genetica che in molti casi ormai ha tutte le caratteristiche per essere definita eugenetica e, pertanto, intrinsecamente immorale.
I contenuti del nuovo documento saranno ignorati o ascoltati. Ma non sono un’ingerenza
Questo giudizio si fonda sul presupposto che tale sperimentazione teorizza di fatto la disuguaglianza tra le persone, enfatizzando oltre misura doti e caratteristiche che non costituiscono l’essenza e la peculiarità della persona stessa. In questo senso, l’insegnamento che se ne ricava è quanto mai lungimirante. Esso provoca a riflettere sul rischio di non cadere in nuove forme di schiavitù che già si affacciano all’orizzonte. Si è dinanzi, infatti, a una schiavitù biologica secondo cui una persona si arroga il diritto arbitrario di determinare le caratteristiche gene-
la nuova Dignitas personae, “manuale” vaticano sulla bioetica
della Vita che la procreazione di una persona umana debba essere perseguita come il frutto dell’atto coniugale specifico dell’amore tra gli sposi. Sono quindi ammissibili le tecniche che si configurano come un aiuto all’atto coniugale e alla sua fecondità… L’intervento medico è in questo ambito rispettoso della dignità delle persone, quando mira ad aiutare l’atto coniugale sia per facilitarne il compimento sia per consentirgli di raggiungere il suo fine, una volta che sia stato normalmente compiuto. Sono certamente leciti gli interventi che mirano a rimuovere gli ostacoli che si oppongono alla fertilità naturale. È auspicabile incoraggiare, promuovere e facilitare… la procedura dell’adozione dei numerosi bambini orfani. È importante incoraggiare le ricerche e gli investimenti dedicati alla prevenzione della sterilità. L’esperienza degli ultimi anni ha dimostrato che nel contesto delle tecniche di fecondazione in vitro il numero di embrioni sacrificati è altissimo: al di sopra dell’80% nei centri più sviluppati. Gli embrioni prodotti in vitro che presentano difetti vengono direttamente scartati; molte coppie ricorrono alle tecniche di procreazione artificiale con l’unico scopo di poter operare una selezione genetica dei loro figli; tra gli embrioni prodotti in vitro un certo numero è trasferito nel grembo materno, e gli altri vengono con-
gelati; la tecnica del trasferimento multiplo, cioè di un numero maggiore di embrioni rispetto al figlio desiderato, nella previsione che alcuni vengano perduti…, comporta di fatto un trattamento puramente strumentale degli embrioni. La pacifica accettazione dell’altissimo tasso di abortività delle tecniche di fecondazione in vitro dimostra eloquentemente che la sostituzione dell’atto coniugale con una procedura tecnica… contribuisce ad indebolire la consapevolezza del rispetto dovuto ad ogni essere uma-
cro e inviolabile di ogni vita umana, dal suo concepimento sino alla sua fine naturale. L’Intra Cytoplasmic Sperm Injection è una variante della fecondazione in vitro, in cui la fecondazione non avviene spontaneamente in provetta, bensì mediante l’iniezione nel citoplasma dell’ovocita di un singolo spermatozoo precedentemente selezionato o, talora, mediante l’iniezione di elementi immaturi della linea germinale maschile. Tale tecnica è moralmente illecita: opera una completa dissociazione tra la procreazione e l’atto coniugale, è attuata al di fuori del corpo dei coniugi mediante gesti di terze persone la cui competenza e attività tecnica determinano il successo dell’intervento, affida la vita e l’identità dell’embrione al potere dei medici e dei biologi e instaura un dominio della tecnica sull’origine e sul destino della persona umana. Per non ripetere i prelievi di ovociti nella donna, si procede a un unico prelievo plurimo di ovociti, seguito dalla crioconservazione di una parte importante degli embrioni ottenuti in vitro, in previsione di un secondo ciclo di trattamento, nel caso di insuccesso del primo, ovvero nel caso in cui i genitori volessero un’altra gravidanza.
L’Istruzione propone risposte ad alcune nuove questioni di bioetica, che provocano molte attese e perplessità no. Il riconoscimento di tale rispetto viene invece favorito dall’intimità degli sposi animata dall’amore coniugale…
Di fronte alla strumentalizzazione dell’essere umano allo stadio embrionale, occorre ripetere che l’amore di Dio non fa differenza fra il neoconcepito ancora nel grembo di sua madre, e il bambino, o il giovane, o l’uomo maturo o l’anziano. Non fa differenza perché in ognuno di essi vede l’impronta della propria immagine e somiglianza… Per questo il Magistero della Chiesa ha costantemente proclamato il carattere sa-
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tiche di un altro essere umano. Quanto questa pretesa manifesti una hybris talmente riprovevole non ha bisogno di dimostrazione. Questo comportamento, che ben poco ha dello scientifico, non trova giustificazione alcuna se non l’esercizio del puro potere del più forte sugli altri. Una simile sperimentazione va chiamata con il suo giusto nome e non dovrà essere la Chiesa ad avere timore nel doverne denunciare i pericoli. Pensiamo che solo una vera educazione al rispetto di sé e degli altri, unita ad una corretta formazione a cogliere il proprio limite possa permettere un rinnovato senso di impegno per la vita. D’altronde, la grandezza della persona consiste proprio nell’avere coscienza del proprio limite e in forza di questo, saper guardare oltre verso una trascendenza infinita che ha voluto imprimere dignità alla vita umana assumendola su di sé e diventando egli stesso persona. Poiché in Gesù di Nazareth «la vita si è fatta visibile» (1 Gv 1,2) e noi ne siamo testimoni, viviamo con la responsabilità di rendere partecipi uomini e donne che incontriamo nel cammino della vita di questo grande mistero che suscita ogni giorno meraviglia e stupore.
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Il congelamento degli embrioni è un procedimento di raffreddamento a bassissime temperature al fine di consentirne una lunga conservazione. La crioconservazione è incompatibile con il rispetto dovuto agli embrioni umani: presuppone la loro produzione in vitro e li espone a gravi rischi di morte. Per quanto riguarda il gran numero di embrioni congelati già esistenti, che fare di loro? Tutte le proposte avanzate pongono pro-
gravidanze multiple. Perciò si è fatta strada l’idea di procedere alla cosiddetta riduzione embrionale. Essa consiste in un intervento per ridurre il numero di embrioni o feti presenti nel seno materno mediante la loro diretta soppressione. Dal punto di vista etico, la riduzione embrionale è un aborto intenzionale selettivo. [...] La diagnosi pre-impiantatoria è una forma di diagnosi prenatale che prevede la diagnosi genetica degli embrioni formati in vitro, prima del loro trasferimento nel grembo materno.[...] Diversamente da altre forme di diagnosi prenatale [...], alla pre-impiantatoria segue ordinariamente l’eliminazione dell’embrione designato come“sospetto”di difetti genetici o cromosomici [...]. La diagnosi preimpiantatoria è finalizzata di fatto ad una selezione qualitativa con la conseguente distruzione di embrioni, la quale si configura come una pratica abortiva precoce.Trattando l’embrione umano come semplice “materiale di laboratorio”, si opera un’alterazione e una discriminazione anche per quanto riguarda il concetto stesso di dignità umana.Tale discriminazione è immorale e perciò dovrebbe essere considerata giuridicamente inaccettabile. Esistono mezzi tecnici che agiscono dopo la feconda-
È gravemente immorale sacrificare una vita umana soltanto per una finalità terapeutica blemi di vario genere. Occorre costatare, in definitiva, che le migliaia di embrioni in stato di abbandono determinano una situazione di ingiustizia di fatto irreparabile. [...] Per evitare i gravi problemi etici posti dalla crioconservazione di embrioni, è stata avanzata la proposta di congelare gli ovociti. Al riguardo, la crioconservazione di ovociti [...] in ordine al processo di procreazione artificiale è da considerare moralmente inaccettabile. Alcune tecniche usate nella procreazione artificiale hanno dato luogo a un aumento significativo della percentuale di
zione, quando l’embrione è già costituito. Queste tecniche sono intercettive o contragestative.
Sebbene gli intercettivi non provochino un aborto ogni volta che vengono assunti, si deve notare che in colui che vuol impedire l’impianto di un embrione eventualmente concepito, l’intenzionalità abortiva è generalmente presente. Nel caso della contragestazione si tratta dell’aborto di un embrione appena annidato. L’uso dei mezzi di intercezione e di contragestazione rientra nel peccato di aborto ed è gravemente immorale. Nuove proposte terapeutiche che comportano la manipolazione dell’embrione Per terapia genica si intende l’applicazione all’uomo delle tecniche di ingegneria genetica con una finalità terapeutica. La terapia genica somatica si propone di eliminare o ridurre difetti genetici presenti a livello delle cellule somatiche. La terapia genica germinale mira a correggere difetti genetici presenti in cellule della linea germinale, al fine di trasmettere gli effetti terapeutici ottenuti sul soggetto all’eventuale discendenza del medesimo. Dal punto di vista etico vale quanto segue: quanto agli interventi di terapia genica somatica, essi sono in linea di principio
moralmente leciti [...]. Quanto alla terapia genica germinale, i rischi legati sono significativi e, pertanto, non è moralmente ammissibile agire in modo che i potenziali danni derivanti si diffondano nella progenie. Quanto all’ipotesi di applicare l’ingegneria genetica per presunti fini di miglioramento e potenziamento della dotazione genetica, si deve osservare che tali
manipolazioni favorirebbero una mentalità eugenetica [...]. Ciò contrasterebbe con la verità fondamentale dell’uguaglianza tra tutti gli esseri umani [...].
Per clonazione umana si intende la riproduzione asessuale e agamica dell’intero organismo umano, allo scopo di produrre una o più “copie”dal punto di vista ge-
L’intervento / 2. Per il presidente dell’associazione cattolica “Scienza e Vita” in alcuni casi la tecnica può sostenere la dignità dell’embrione
Non tutto l’artificiale viene per nuocere di Maria Luisa Di Pietro on vi è rifiuto dell’artificialità in generale, ma di quella artificialità che stravolge il più personale degli atti umani, quello procreativo. Non vi è, dunque, rifiuto dell’artificialità intesa come ciò che l’uomo è in grado di produrre e può sopperire ad una funzione del corpo, ma di quell’artificialità che contraddice la natura dell’essere umano.
N
Artificialità non equivale ad impiego di una tecnica: essa può essere lecitamente utilizzata anche in presenza di infertilità. Stimolare l’ovulazione, effettuare interventi di microchirurgia per rimuovere zone di endometriosi o per restaurare la pervietà di una tuba di Falloppio, sono forme di intervento tecnico che hanno il solo scopo di restituire la funzionalità ad un organo necessario per una procreazione altrimenti non possibile. Ed ancora, prelevare il seme ottenuto durante l’atto coniugale con un SCD (Semen Collection Device) perforato per veicolarlo, previa preparazione, nelle vie genitali femminili, comporta un ricorso alla tecnica, ma l’intervento del medico è successivo – di aiuto – ad un atto coniugale già verificatosi. Non vi è dubbio che la difficoltà di avere un figlio può essere motivo di grande sofferenza per la coppia. Per questo motivo il desiderio di una gravidanza è da considerare un’esigenza profondamente
umana. È, quindi, necessario, innanzitutto, prevenire l’infertilità in tutte quelle situazioni in cui essa possa essere riconducibile a comportamenti a rischio individuali o a non adeguati interventi di ecologia ambientale o di politica della casa e del lavoro. Si pensi – a questo proposito – che il primo fattore di rischio di infertilità è l’età avanzata della donna nel momento in cui si cerca una gravidanza. Si legge, infatti, al n. 13 della Istruzione Dignitas personae: «C’è da osservare, infine, che meritano un incoraggiamento la ricerca e gli investimenti dedicati alla prevenzione della sterilità. Ed ancora deve essere massimo l’impegno nella diagnosi e nella cura della sterilità». Qualora, però, questo tipo di interventi non consenta alla coppia di realizzare questa legittima aspirazione, la risposta non può passare attraverso la violazione del diritto alla vita del nascituro o alla distruzione dei significati stessi del matrimonio e della coniugalità. Di conseguenza, seppur talora in apparenza non ricercato, il sacrificio di embrioni è, comunque, previsto. Né questa perdita può essere paragonata a quella che si ha, naturalmente,
di embrioni: ciò che in natura si manifesta come danno all’essere umano va – se possibile – corretto, ma non certamente imitato. Alla perdita degli embrioni legata alla tecnica (asincronia ovaio/endometrio; alterazioni cromosomiche, etc.) vanno aggiunte le perdite“volute”: per scopi selettivi (con la diagnosi preimpianto); per aumentare la possibilità di annidamento di embrioni in utero (con il trasferimento di un numero elevato di embrioni e conseguente aborto selettivo); per creare una “scorta”di embrioni da utilizzare in un secondo momento. “Questa triste realtà – si legge al n. 15 della Istruzione – spesso taciuta, è del tutto deprecabile in quanto le varie tecniche di riproduzione artificiale che sembrerebbero porsi a servizio della vita e che sono praticate non poche volte con questa intenzione, in realtà aprono a nuovi attentati contro la vita”. Una situazione paradossale, che non verrebbe, tra l’altro, ammessa in nessun’altra situazione medica: ovvero che una tecnica abbia un tasso così elevato di esiti negativi e fatali. Quali conseguenze del ricorso alle tecniche di fecondazione artificiale extracorporea vi sono, dunque, la criocon-
Si condannano solo gli interventi che contraddicono la natura dell’essere umano
servazione (congelamento) degli embrioni e la riduzione delle gravidanze multiple qualora siano stati trasferiti più embrioni di quelli che possono realmente svilupparsi in utero. La prassi della crioconservazione di embrioni viene valutata dalla Istruzione Dignitas personae (n. 18) come ”incompatibile con il rispetto dovuto agli embrioni umani”, dal momento che: ne presuppone la produzione in vitro; li espone a rischio di morte o di danno alla loro integrità; li priva temporaneamente dell’accoglienza materna; li espone ad ulteriori offese e manipolazioni. Spesso questi embrioni sono in stato di abbandono e si pone la domanda “cosa fare di loro?” [...].
Un’altra forma di attentato alla dignità di persona dell’embrione umano è rappresentato dal ricorso a prodotti ad azione intercettiva, che impediscono l’annidamento dell’embrione in utero, o ad azione contragestativa che provocano il distacco dell’embrione già annidato. Tra i prodotti intercettivi si fa riferimento alla spirale e alla “pillola del giorno dopo”; il prodotto controgestativo più noto è la pillola RU486, oltre le prostaglandine e il Metrotrexate [...]. Di conseguenza – si legge al n. 23 della Istruzione Dignitas personae – «l’uso dei mezzi di intercezione e di contragestazione rientra nel peccato di aborto ed è gravemente immorale» (n. 23).
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netico sostanzialmente identiche all’unico progenitore. Le tecniche proposte per la clonazione umana sono la fissione gemellare [...] e il trasferimento di nucleo [...]. La clonazione viene proposta con due scopi: riproduttivo e terapeutico o di ricerca. La clonazione è intrinsecamente illecita, in quanto intende dare origine ad un nuovo essere umano senza connessione con l’atto di reciproca donazione tra due coniugi [...]. Quanto alla clonazione riproduttiva, essa imporrebbe al soggetto clonato un patrimonio genetico preordinato, sottoponendolo di fatto – come è stato affermato – ad una forma di schiavitù biologica dalla quale difficilmente potrebbe affrancarsi [...]. Quanto alla clonazione terapeutica, occorre precisare che creare embrioni con il proposito di distruggerli, anche se con l’intenzione di aiutare i malati, è del tutto incompatibile con la dignità umana, perché fa dell’esistenza di un essere umano, pur allo stadio embrionale, niente di più che uno strumento da usare e distruggere. È gravemente immorale sacrificare una vita umana per una finalità terapeutica. Come alternativa alla clonazione terapeutica, alcuni hanno proposto nuove tecniche, che sarebbero capaci di produrre cellule staminali di tipo embrionale senza presupporre la distruzione di veri embrioni umani, ad esempio, attraverso il trasferimento di un nucleo alterato (Ant) o la riprogrammazione assistita dell’ovocita (Oar). Al riguardo sono però ancora da chiarire i dubbi riguardanti soprattutto lo statuto ontologico del “prodotto” così ottenuto.
Le cellule staminali sono cellule indifferenziate che possiedono due caratteristiche fondamentali: a) la capacità prolungata di moltiplicarsi senza differenziarsi; b) la capacità di dare origine a cellule progenitrici di transito, dalle quali discendono cellule altamente differenziate, per esempio, nervose, muscolari, ematiche. Da quando si è verificato sperimentalmente che
le cellule staminali, se trapiantate in un tessuto danneggiato, tendono a favorire la ripopolazione di cellule e la rigenerazione di tale tessuto, si sono aperte nuove prospettive per la medicina rigenerativa, che hanno suscitato grande interesse tra i ricercatori di tutto il mondo. Per la valutazione etica occorre considerare soprattutto i metodi impiegati per la raccolta delle cellule staminali. Sono da considerarsi lecite quelle metodiche che non procurano un grave danno al soggetto da cui si estraggono le cellule staminali [...]. Il prelievo di cellule staminali dall’embrione umano vivente causa invece inevitabilmente la sua distruzione. In questo caso la ricerca non si pone veramente a servizio dell’umanità [...]. L’utilizzo di cellule staminali embrionali, o cellule differenziate da esse derivate, eventualmente fornite da altri ricercatori, sopprimendo embrioni, o reperibili in commercio, pone seri problemi dal punto di vista della cooperazione al male e dello scandalo. [...]
Recentemente sono stati utilizzati ovociti animali per la riprogrammazione di nuclei di cellule somatiche umane, al fine di estrarre cellule staminali embrionali dai risultanti embrioni, senza dover ricorrere all’uso di ovociti umani. Dal punto di vista etico simili procedure rappresentano una offesa alla dignità dell’essere umano [...]. Per la ricerca e per la produzione di vari prodotti talora vengono utilizzati embrioni o linee cellulari che sono il risultato di un intervento illecito contro la vita o l’integrità fisica dell’essere umano. Quanto alla sperimentazione sugli embrioni, essa costituisce un delitto nei riguardi della loro dignità di esseri umani, che hanno diritto al medesimo rispetto dovuto al bambino già nato e ad ogni persona [...]. Quanto all’impiego da parte di ricercatori di “materiale biologico” di origine illecita [...], vale sempre l’esigenza morale che non vi sia stata complicità alcuna con l’aborto volontario e che sia evitato il pericolo di scandalo. A tale proposito è insufficiente il criterio dell’indipendenza formulato da alcuni comitati etici, vale a dire, affermare che sarebbe eticamente lecito l’utilizzo di“materiale biologico”di illecita provenienza [...]. Va precisato che il dovere di rifiutare quel “materiale biologico”scaturisce dal dovere di separarsi, nell’esercizio della propria attività di ricerca, da un quadro legislativo gravemente ingiusto e di affermare con chiarezza il valore della vita umana. [...]. Naturalmente all’interno di questo quadro generale esistono responsabilità differenziate, e ragioni gravi potrebbero essere moralmente proporzionate per giustificare l’utilizzo del suddetto “materiale biologico”. [...]. D’altra parte, occorre tener presente che nelle imprese che utilizzano linee cellulari di origine illecita non è identica la responsabilità di coloro che decidono dell’orientamento della produzione rispetto a coloro che non hanno alcun potere di decisione.
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Per il professor Francesco D’Agostino il documento è la risposta alla sfida dei tempi
«È il giusto antidoto a tanti crimini» colloquio con Francesco D’Agostino di Francesco Rositano
CITTÀ DEL VATICANO. Per il professore Francesco D’Agostino, presidente emerito del Comitato nazionale di Bioetica, l’ultimo documento della Congregazione per la dottrina della Fede non è rivoluzionario, ma «assolutamente in linea con i principi della bioetica cattolica». E quindi va letto come una risposta del Magistero ad una serie di questioni aperte dalla modernità. In particolare, il presidente dei giuristi cattolici, si riferisce a quei paesi - cita apertamente Francia e Inghilterra - in cui si rischiano a suo avviso vere e proprie aberrazioni: in particolare si riferisce a pratiche come il cosiddetto utero in affitto oppure all’ibridazione. Professore come giudica questo documento? Non mi pare un intervento rivoluzionario. Anche perché in questo ambito ci sono già due documenti - l’Istruzione Donum Vitae e l’Evangelium Vitae - che sostengono i principi fondamentali della Chiesa in materia. L’obiettivo quindi non è quello di riformulare i presupposti della biioetica cattolica ma semplicemente di dare indacazioni su tutta una serie di questioni gravi e rilevanti che si sono poste negli ultimi anni. Questa Istruzione, d’altra parte, è la dimostrazione che la Chiesa continua a seguire i dibattiti bioetici con la consepevole intenzione di essere sempre capace di dare a credenti e non credenti indicazioni delicate e concrete. Quando parla di questioni gravi, esattamente a cosa si riferisce? Mi riferisco a una sorta di abbassamento di guardia su queste questioni da parte di diversi stati e anche di organismi internazionali. Pensiamo, ad esempio alla Francia, aprendo le porte a pratiche che fino ad oggi erano state ritenute illecite: ad esempio l’utero in affitto. Ma penso anche all’Inghilterra che è andata molto avanti nel legittimare la sperimentazione sugli embrioni, addirittura nella creazione di ibridi. Quindi cosa sta accadendo? È come se, da un certo punto di vista, a livello internazionale venissero meno delle resistenze che sia pure in maniera molto limitato avevano caratterizzato la bioetica. Ma queste resistenze da parte di molti erano interpretate come dogmatiche? Non corrisponde a verità: la Chiesa infatti offre gli argomenti molto dettagliati sulle proprie scelte. Argomentazioni razionali, dettate da una riflessione attenta. Come giudica l’apertura alla fecondazione assistita nel matrimonio? Anche qui non c’è una vera e propria rivoluzione, dal momento che il magistero della Chiesa ha sempre appoggiato pratiche che non sostituissero l’atto coniugale ma lo aiutassero ad essere fecondo. Certamente la Chiesa si continua ad opporre a pratiche come la fecondazione omologa che eterologa , condannando senza riserve l’inseminazione. Queste infatti sono pratiche che sostituiscono completamente l’atto coniugale. Di fatto la Chiesa non condanna tutti gli aiuti cosiddetti artificiali? La Chiesa rimane ferma nel pensare al fatto che la dignità della procreazione avviene come presupposto all’atto coniugale. Poi, all’interno di questo atto coniugale, si possono immaginare aiuti medici alla fertilità a condizione che l’atto sessuale rimanga e non venga considera-
to superfluo: questo è un pilastro della concezione della Chiesa. L’obiettivo rimane quello di separare il rapporto sessuale dalle pratiche procreative. A livello giuridico questo documento che effetti potrà avere? Questo documento certamente contiene direttive che verranno scrupolosamente osservate dagli ospedali cattolici e dalle case di cura cattoliche che ovviamente in Italia non sono molte. Potrà portare supporti a tutti coloro che, avendo appoggiando la legge 40 sulla procreazione assistita, avevano voluto che nella legge 40 si mettessero delle norme molto forti a tutela della vita del nascituro. Questo documento, infatti, riconferma il rispetto assoluto della vita embrio-
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Di fronte a quello che sta accadendo, ad esempio in Francia e in Inghilterra, c’era bisogno di una presa di posizione forte
”
nale e la condanna di tutte le pratiche - anche scientifiche - di ricerca sugli embrioni che possano distruggere la vita embrionale stessa. Infine, come giudica l’equiparazione tra embrione e vita umana? In questo documento si dice una cosa molto sottile. Non si vuole entrare nella disputa filosofica in merito allo statuto dell’embrione: vale a dire se sia da considerare persona oppure no. Però si dice dal punto di vista etico che la dignità dell’embrione chiede di essere rispettata contro ogni aggressione. In un certo senso si dice che l’atteggiamento pratico nei confronti dell’embrione non può che essere di assoluto rispetto, qualunque cosa i filosofi possano dire in materia. Direi che in un documento del Magistero, che non è un’Accademia filosofica-ontologica, questa mi sembra un’affermazione molto ragionevole.
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Fondamentalismo. Per Mustafa Safuan il monopolio della violenza nasce dall’immobilismo dell’Islam
Nella mente del kamikaze «Frasi che non si capiscono diventano ordini», dice lo psicoanalista che studia il terrorismo colloquio con Mustafa Safuan di Silvia Marchetti
ROMA. Il mondo arabo «è prigioniero di un dispotismo che si fa forza sul monopolio della scrittura sacra. Ci sono varie forme di tirannia psicologica che sfociano nella creazione di uno stato perenne di terrorismo religioso, e una di queste è proprio la strumentalizzazione della lingua nobile per rafforzare e perpetrare lo status quo e tenere così soggiogate le classi deboli». Mustafa Safuan, psicoanalista egiziano trapiantato in Francia e primo traduttore in lingua araba di L’Interpretazione dei sogni di Sigmund Freud, è in Italia per la presentazione
polazione della parola di Dio si basa anche su una sorta di tirannia dell’espressione e della scrittura. Dopotutto, analizza Safuan, nel mondo islamico sussistono alti livelli di analfabetismo e la maggior parte delle persone vive nella povertà più assoluta; facile capire come queste condizioni di vita alimentano la spirale della violenza, ossia il terrorismo, sia all’esterno che all’interno dell’Islam. «Il legame tra potere e scrittura è fondamentale per capire il mondo arabo - continua lo scrittore – perchè è proprio nell’uso esclusivo della lin-
Il regime teocratico si fonda anche sulla strumentalizzazione della parola: «L’uso dell’arabo del Corano, lontano da quello comune, fa sì che l’oggetto di fede non diventi oggetto del pensiero» del suo ultimo libro, Perché il mondo arabo non è libero-Politica della scrittura e terrorismo religioso, in cui spiega in termini linguistici e psicologici la natura teocratica degli Stati arabi e propone per la prima volta una tesi innovativa. Secondo Safuan tutto parte dalla scrittura. L’intero mondo arabo – inclusi i Paesi apparentemente più moderni quali l’Egitto e la Giordania – ha usato due strumenti per forgiare il sistema tirannico: la parola di Dio e un’esclusività linguistica rilegata ai testi sacri.
Lo stato di regime accomuna tutte le nazioni arabe - dalla Tunisia all’Arabia Saudita fino alla Siria – tramite la strumentalizzazione del potere spirituale da parte del potere temporale e il mantenimento della distanza tra la lingua colta coranica e il dialetto popolare. «In ogni singola scuola del mondo arabo – spiega Safuan – si insegna soltanto la lingua nobile estranea alla gente semplice, quella dei testi sacri. Questa esclusività determina una forma di censura linguistica di Stato verso le classi più deboli analfabete, perpetrando così la condizione di ignoranza generale e le differenze sociali e infine fomentando il fondamentalismo e le derive terroristiche». Il regime teocratico, dunque, oltre alla mani-
gua letteraria che vanno cercati i semi dell’autoritarismo. La scrittura sacrale soffoca il dialetto popolare nel tentativo di rafforzare lo stato di sfruttamento e tirannia». Le barriere linguistiche determinano differenze culturali che a un certo punto sfociano nella violenza, perché il dividere garantisce il regnare. Si tratta di un modo di governare che si regge sulla repressione e sulla censura incarnata nella politica della scrittura. «La lingua coranica è la lingua nobile, che distingue le classi sociali come ai tempi del colonialismo il francese si differenziava dall’arabo comune». Ma per Safuan l’aspetto più sottile della manipolazione linguistica è quello psicologico: «L’uso dell’arabo classico fa sì che gli oggetti di fede non diventano mai oggetti del pensiero, oggetti di riflessione». E in questo modo non possono mai essere messi in discussione: «L’arte della recitazione dei testi sacri porta la gente a sentirsi annegata nella pace più assoluta senza tuttavia capire neanche una parola di quello che dice».
A forza di ripetere le frasi queste finiscono con il svuotarsi di significato restando semplici comandi, dettami, ordini, leggi. La ripetizione uccide il pensiero. «Lo stato di regime perdura perché nelle scuole
non viene insegnata la lingua volgare, e tale censura linguistica fa ormai parte della tradizione araba. Quello che è scritto nei testi scolastici rafforza il regime» conclude lo scittore. Lo status quo è dunque soprattutto di natura linguistica. È proprio da questo stato di violenza linguistica che nasce lo stato di immobilismo (soprattutto psicologico) che caratterizza l’intero mondo arabo. Un regime teocratico bloccato senza possibilità di riforma civile finisce per incanalare il disagio e la ribellione sociale verso forme di reazione terroristica. «Il monopolio della violenza accomuna il Medio Oriente, che diventa monopolio del terrorismo psicologico sulla società civile». Il mondo arabo, continua Safuan, «è destinato all’immobilismo, a non cambiare mai» perché i concetti di trasformazione, rinnovamento, movimento, riforme sono estranei alla cultura dell’islam.
Di conseguenza anche il raggiungimento di una pace o almeno di una forma di riconciliazione tra islam e Occidente resta un lontano miraggio. «Anche in quelle nazioni apparentemente più aperti come l’Egitto il professore fa l’esempio della sua terra natale - dove qualcosa pare si sia mosso nella società civile, le forme di democrazie introdotte sono fittizie. Nel Paese che ha inventato la scrittura solo il dieci per cento della popolazione sa leggere, l’opposizione viene soffocata avvicinandosi alle frange terroristiche, il minimo dissenso viene soffocato, le elezioni sono tutt’altro che libere e al potere c’è sempre lo stesso despota». In passato, spiega Safuan, «soltanto all’epoca dei grandi commercianti arabi e del filosofo Avverroè, il mondo islamico conobbe un “movimento creatore”, come durante l’occupazione inglese che introdusse concettti e parole nuove sconosciute nella regione creando un rinnovamento culturale. Ma oggi la gente è stata abituata a non pensare più. La violenza nel mondo
arabo ha radici profonde». Safuan ricorda che «in 5mila anni di storia il potere politico non è mai stato tramandato in maniera pacifica, il passaggio è sempre avvenuto tramite assassini o colpi di Stato». Lo scrittore si focalizza sul terrorismo interno agli Stati arabi (perché secondo lui non esiste soltanto quello esterno verso l’Occidente), spiegandone i meccanismi psicologici. «I regimi arabi hanno trovato la loro legittimità nella reli-
gione, qualcosa che è comune a tutta la gente, povera e ricca, colta e non colta e questo determina una situazione in base alla quale è difficile insorgere. Il capo di Stato nomina i capi religiosi, ha un potere perfino superiore a quello del Papa. Finché lo Stato, ossia il potere temporale, fa il suo dovere di edificazione politica, militare, sociale ed educativa la situazione è sotto controllo. Ma se lo Stato fallisce in questi suoi compiti, si scatena una resistenza terroristica che accusa lo Stato di essere infedele, di avere tradito la dottrina religiosa. A loro volta i terroristi appellandosi al vero Islam scatenano una rivoluzione interna per sostituirsi al potere costituito». Secondo Mustafa lo stesso meccanismo si applica alle attività e agli attacchi terroristici compiuti da al Qaeda all’esterno del mondo arabo, nei Paesi occidentali. Le Torri Gemelle, le bombe di Madrid e Londra: «Perché l’obiettivo è sempre rovesciare lo status quo e instaurare il regno puro di Allah, lontano da ciò che i terroristi considerano come corruzione».
La psicologia del terrorista tradizionale, spiega Safuan, si basa «sulla fede e la convinzione personale di fare ciò che vuole Dio, lui è il solo che interpreta la parola di Dio e si rende strumento di Dio». L’avvento dell’era del terrore ha fatto sì che in Occidente sor-
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Il pakistano Saeed attacca l’Onu in nome del diritto internazionale
Anche al Qaeda alleva i suoi cattivi maestri di Enrico Singer inora i capi delle tante sigle dei movimenti quaedisti hanno sempre bollato l’Onu come uno dei loro obiettivi da abbatere. Un «nemico dell’Islam», secondo la definizione di Ayman al Zawahiri, il numero due della casa madre di al Qaeda, che anche in questo caso si è mosso nel solco di Osama bin Laden il quale ha più volte detto che l’unica “società delle Nazioni” che riconosce - e che auspica - è un nuovo Califfato: l’unione dei Paesi musulmani. Perché tutto il resto è il mondo degli infedeli, da dominare o da distruggere. Ma nel panorama del terrore e dei suoi ideologi si fa avanti adesso una voce nuova. È quella di Hafiz Mohammad Saeed, fondatore e guida spirituale di due movimenti fondamentalisti islamici pakistani, lo Jama’at-ud-Da’wah e il Lashkar-e-Toiba, che agiscono anche in Kashmir e in India e che proprio il governo indiano considera mandanti e organizzatori dei massacri di novembre a Mumbai. Il nome di Saeed è stato appena inserito dalle Nazioni Unite nella lista nera dei terroristi internazionali, mossa che equivale a una richiesta d’arresto alle autorità del Pakistan che dell’Onu, naturalmente, fa parte. Ed ecco che Hafiz Mohammad Saeed ha rilasciato un’intervista all’inviata della Bbc, Barbara Plett, per confutare con argomenti giuridici la decisione dell’Onu. «La legge internazionale prevede che se si vuole accusare qualcuno qualcuno di qualche cosa bisogna ascoltarlo e bisogna avere anche le prove», dice Saeed.
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Nella foto grande qui sopra, terroristi detenuti a Guantanamo. In basso Hafiz Mohammad Saeed, il leader del gruppo terrorista pakistano che contesta l’Onu. A destra al Zawahiri gesse un’ideologia del sospetto in base alla quale la politica e i partiti strumentalizzano la paura “dell’altro”, inteso come musulmano o semplicemente immigrato. Prova ne è in Italia il sistema-Lega. Di fronte a questi fenomeni, lo psicanalista egiziano sostiene che «l’Occidente non deve dimenticare le proprie responsabilità e sbaglia a strumentalizzare solo ciò che c’è di peggiore nel mondo arabo senza considerare gli aspetti sani». Secondo Safuan ciò che è veramente mancato all’islam è stato “un umanismo linguistico” che innalzasse la lingua volgare, come è stato per la cultura occidentale. Occidente e Islam, nonostante abbiano sempre viaggiato paralleli, non si sono mai incontrati perché si «fondano su due regimi politici diversi»” L’Occidente, e con questa parola Safuan si riferisce soprattutto ai Paesi europei, «pone le sue fondamenta nella democrazia ateniese, mentre il mondo arabo-islamico nel potere teocratico. Di conseguenza, introdurre i concetti e le pratiche democratiche in Medio Oriente non è facile». Ma forse non è troppo tardi per cercare almeno di tamponare la deriva fondamentalista del mondo arabo. Lo psicanalista-scrittore crede nel potere della scrittura, sia nel bene che, come ha dimostrato nel suo libro, nel male. La speranza di un cambiamento può venire soltanto
dalla cultura e da «un movimento filantropico in stile americano».
«Al di là dei soliti incontri tra intellettuali occidentali e arabi – sostiene Safuan – io penso che se l’Occidente vuole davvero aiutare può fare molto con il finanziamento di libere università in Medio Oriente. Gli arabi non investirebbero mai soldi per costruire scuole e atenei che alla fine verrebbero controllate dallo Stato». Nemmeno gli Emirati Arabi, che si limitano a «investire soldi per creare altri soldi». Inoltre, Safuan crede che occorre incentivare l’attività degli scrittori liberi e l’utilizzo di internet, che negli ultimi tempi si è rivelata un’arma potente contro la repressione dei regimi. Ma soprattutto, lo psicanalista guarda con speranza alla traduzione dei testi occidentali in arabo e vice versa. Uno scambio letterario che per esempio può essere messo in pratica tramite il lavoro dei ragazzi universitari arabi che passano qualche tempo a studiare negli atenei francesi, inglesi o americani e che poi come tesi di laurea traducono un’opera importante occidentale o scrivono a loro volta un testo in volgare per diffonderlo successivamente nei loro Paesi d’origine. Perché la scrittura ha allo stesso tempo il potere di condannare e redimere.
no tutti professori - anche Hafiz Mohammad Saeed insegna islamistica nel Politecnico di Lahore - e non uomini di mano come il mullah Omar o lo stesso Osama bin Laden. Non si fanno riprendere nei video con il mitra in mano, ma si collegano alla tradizione dei fondatori dei partiti islamici. Nel caso di Saeed, in particolare, a Sayyid Abul A’la al-Mawdudi, leader religioso e politico musulmano che fondò, nel 1941 (quando ancora India e Pakistan erano parti indivise dell’impero britannico) il primo partito islamico nel subcontinente indiano, secondo soltanto ai Fratelli musulmani fondati in Egitto nel 1928 da Hasan alBanna. Nel suo libro Il jihad nell’Islam, alMawdudi teorizzò la nascita di uno Stato islamico in tutto il subcontinente indiano che avrebbe dovuto avere il Corano come sua Carta costituzionale.
I moderni emuli di al-Mawdudi sostengono esattamente la stessa cosa. Così il cerchio si chiude perché proporre il Corano come Costituzione dello Stato islamico significa legitti-
L’ideologo del gruppo Jama’at-ud-Da’wah contesta le Nazioni Unite: «Non hanno prove contro di me», ma predica la guerra santa. Nuova Delhi lo accusa dei massacri di Mumbai
La conclusione dell’ideologo di Jama’at-ud-Da’wah e di Lashkar-e-Toiba coincide con quella degli altri capi qaedisti: se l’Onu si comporta così è un nemico dell’Islam. Ma gli argomenti sono di tutt’altro tenore: quella di Saeed è una lunga difesa in punto di diritto che dipinge la Jama’at-ud-Da’wa come una charity islamica impefgnata in azioni benefiche - «abbiamo 160 scuole con migliaia di studenti e ambulatori in 73 città pakistane dove abbiamo vaccinato 800mila persone contro l’epatite» - e che ripudia la più militante Lashkar-e-Toiba dalla quale afferma di essere ormai uscito. Hafiz Mohammad Saeed, insomma, rivendica per sé il ruolo del teorico che predica l’Islam, ma che distingue l’insegnamento dalle azioni che, poi, i gruppi del terrorismo fondamentalista compiono. E che pretende delle prove per essere messo sotto accusa. È una posizione che ricorda quella dei “cattivi maestri” della storia del terrorismo nostrano: una cosa è la teoria, altro è la pratica. Ma i cattivi maestri, nel fondamentalismo islamico, hammo una loro specificità e cominciano a rappresentare un’ala rilevante nel panorama dei nuovi movimenti che fanno parte della galassia di al Qaeda. So-
mare l’idea di jihad: la guerra contro gl’infedeli e la conquista, con ogni mezzo, della supremazia dell’Islam. Per Hafiz Mohammad Saeed questo non è reato: se qualcuno compie attentati e uccide degli innocenti per mettere in atto simili insegnamenti non è detto che la colpa del cattivo maestro sia un elemento sufficiente per emettere una condanna come qualla pronunciata dall’Onu. Tesi perlomeno singolare. Un intreccio tra diritto internazionale e legge coranica che si spiega, alla fine, con la posizione particolare dei vari ideologi del fondamentalismo: almeno di quelli che, come Saeed, vivono alla luce del sole e non nelle caverne delle montagne al confine tra Afghanistan e Pakistan. Nel 2006, dopo gli attentati del 6 luglio alla stazione ferroviaria di Mumbai, Hafiz Mohammad Saeed fu già arrestato dalla polizia pakistana e fu rilasciato nell’ottobre dello stesso anno dopo un ricorso all’Alta corte di Lahore. Il cattivo maestro attacca l’Onu per sfuggire al carcere.
cultura
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Storia. La testimonianza del genio politico del Conte e del suo realismo, che in quel periodo trovò un precario equilibrio con il movimentismo rivoluzionario di Garibaldi
I verbali inediti di Cavour Diciassette trascrizioni delle riunioni di Camillo Benso ripercorrono i difficili mesi della spedizione dei Mille di Aldo G. Ricci erché il 1 gennaio del 1859 Camillo Benso conte di Cavour, primo ministro del Regno di Sardegna, decide che si debba tenere un verbale delle riunioni del governo? La domanda ha un suo fondamento, perché è proprio da quella data che iniziano i verbali dei consigli dei ministri, nati per richiesta dello stesso Cavour e poi in seguito disciplinati da precise regole.
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17 marzo del 1861 con la proclamazione del Regno d’Italia, sotto la guida di Vittorio Emanuele II, e Cavour, che sa, almeno in parte, quello che si sta preparando, ritie-
nel corso delle numerose sedute di quei mesi, seguendo il corso tempestoso degli eventi. Una prosa spesso burocratica e neutra che tuttavia non nasconde la dirompente drammaticità e grandezza del momento storico. Di qui la scelta di pubblicare quei verbali, che si chiudono il 6 giugno del 1861 con il drammatico annuncio, nel corso della seduta, della scomparsa del conte di Cavour, l’uomo che aveva guidato la politica verso l’approdo unitario e aveva voluto che ne restasse traccia nei documenti del Consiglio.
È soprattutto il grande Regno delle Due Sicilie a preoccupare la diplomazia internazionale, con i focolai di rivolta che si accendono a ripetizione
La risposta ha due facce. La prima, ovvia, perché il conte ritiene opportuno che resti traccia delle decisioni prese. Ma la seconda è legata alle circostanze straordinarie che la Penisola si appresta a vivere. Con il 1859 si apre infatti un ciclo di eventi straordinari che culmineranno il
ne indispensabile che di questo resti traccia documentata.
Quindi un biennio straordinario che si snoda con l’efficacia di una scenografia trascritta in diretta,
860 el 24 aprile 1 Adunanza d gli Esteri Ministero de radunato al è Cassinis, si i, io nt gl Fa si i Il Con our e i signor av C e nt co presenti il ibaldi i cini. negare a Gar Vegezzi e Ja nanimità di fucili l’u di al o ni io at ill er Ha delib posito pei m de l da , i lia rs ci de ionare la Si fucili da pren dal o per insurrez a st ov ie en ch G ha in li che eg bblicità data pu le te al en ed ud i iv pr attesa l’im ai preparat diplomasuoi aderenti i la da e hé cc le si ra co gene Sicilia, guardo alla mento degli intenzioni ri gni addestra O e. rm la al e es pr . ne a to zi pedi enova sia im C. Cavour emigrati in G S. Jacini
14 maggio 1860 Il Consiglio … ha deliberato alla unanimità che la flotta sia immediatamente concentrata a Cagliari per far fronte alle eventuali complicazioni che in seguito allo sbarco di Garibaldi in Sicilia potrebbero nascere.
I due anni che danno vita all’Italia come Stato unitario (anche se mancano ancora Venezia e Roma, per le quali bisognerà aspettare il
A destra, due immagini di Camillo Benso, conte di Cavour. In basso, diciassette trascrizioni inedite dei verbali che il conte fece scrivere dall’aprile al novembre del 1860 e che raccontano clima, decisioni e perplessità dei difficili mesi della spedizione dei Mille
17, 22, 28 Gi ugno, 5,8, e 14 Luglio 18 60 Fatte queste sedute veng ono assorbit dalle comun e icazioni che fa il Sig. Presidente de l Consiglio re lativamente politica gene alla rale per ciò specialmente si connette al che lo stato dei pa rtiti interni ed all’attitudin e della diplom azia sulla qu stione napole etana e sicilia na.
1 giugno 186 0 In consegue nza dei succ essi di Garib governo napo aldi avendo letano richie il sti i ministri denti in Nap esteri resioli di garanz ia di territorio to, il Consigl e d’intervenio delibera al l’unanimità immediatam che venga ente spedita a Napoli la se dichiarazion guente e: il Governo di S.M. il Re Emanuele av Vittorio endo accettat o senza riserv pio del non in a il princitervento in It alia formulat dall’Inghilter o ra fino dal m ese di gennai altre delle qu o p.p. come attro propos izioni, il qual acconsentito e principio fu anche dalla Francia, il G protesta anti overno del R cipatamente e contro qualun intervento ar que estero mato negli af fari delle due Sicilie.
Il Consiglio … ha deliberato di consigliare al Re, nello scopo di calmare gli allarmi della diplomazia, a voler egli scrivere al generale Garibaldi di non passare dalla Sicilia sul Continente. Il Re peraltro intenda riservarsi piena libertà d’azione quante volte il Re di Napoli non riconoscesse nei siciliani il diritto di deliberare e di disporre circa alle loro future sorti.
Adunanza d el 27 luglio 1 860
8 mag gio 18 60 Il Con siglio … prese ha deli tu b govern tte le misure erato all’una o del R n necess e poss arie pe imità che sia la sped a in r iz n zionali ione di Garib correre nell impedire che o a verso il Regn aldi e di lede taccia di fa il v re le le o di N apoli. ggi int orire erna-
22 Luglio 1860
60 12 giugno 18
in to di recarsi sia intenziona e sia invitato ni zi az M e a ch ità ch Dietro notizi a all’unanim ed alla siglio deliber di quel capo to es rr l’a Sicilia, il Con al e er aribaldi G ed ra oc lo pr r ua le e Persano. Q nt Garibaldi a vo co i preal o rà fa im l medes nte Persano consegna de cendere il co hion a is ut nd l’A co à ac ir di ed sp si rifiutasse della flotta e la partenza truzioni. is i or parativi per ri te ul ricevere Cagliari onde
Il Consiglio … ha deliber ato che in vista delle crescenti co mplicazioni prodot te dagli avve nimenti dell’Italia M eridionale, il generale Fanti venga imm richiamato da ediatamente i bagni di Va ldie dove ora si tr ova ed il baro ri ne Ricasoli sia invitato a re carsi in Torino onde conferire col Governo.
cultura 1866 e il 1870) si presentano con due facce: una tradizionale, nei binari delle guerre tra Stati e della diplomazia, e l’altra rivoluzionaria. La seconda guerra d’Indipendenza, che vede il Piemonte e la Francia uniti contro l’Austria per gli sforzi diplomatici di Cavour, è la prima faccia di quel biennio, e il risultato è la liberazione della Lombardia.
Ma l’Italia tutta comincia a scricchiolare, a partire dagli stati dell’Italia centrale che cacciano i sovrani e chiedono l’annessione al Piemonte. E’ soprattutto il grande Regno delle Due Sicilie a preoccupare la diplomazia internazionale, con i focolai di rivolta che si accendono a ripetizione. Siamo ormai nella primavera del 1860 e Garibaldi, dopo molte esitazioni, è pronto a muoversi per quella che diventerà la sua impresa più gloriosa: la spedizione dei Mille, che in poche settimane si trasforma in un esercito di liberazione in grado di aver ragione del forte esercito borbonico e consegnare un regno a Vittorio Emanuele II. I verbali che vengono proposti su queste pagine raccontano appunto le contraddizioni, i timori, gli entusiasmi di quei giorni magici, quando il realista Cavour, sempre tormentato dal timore che la costruzione unitaria, alla quale è ormai interamente conquistato, dopo anni di preparazione e di dubbi, possa venire compromessa dal movimentismo incontenibile di Garibaldi e dai tentativi di Mazzi-
9 agosto 1860 Il Consiglio … ha approvato la circolare del Ministero Farini diretta ai governatori ed agli intendenti ed intesa a contenere l’azione delle sette politiche. Ha deliberato che un battaglione di bersaglieri sia imbarcato sulla flotta e spedito nelle acque di Napoli. Così pure che venga promulgato in Toscana la legge sulla guardia nazionale.
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ni di portare la rivoluzione fino a Roma.
Cavour sa che l’Inghilterra è favorevole alla fine della dinastia dei Borboni, ma sa anche che la Francia è turbata dal precipitare degli eventi e che non ha messo affatto in conto un’Italia unita dalle Alpi alla Sicilia. L’Austria è sconfitta ma non doma, e se la Roma dei Papi fosse in pericolo gli equilibri potrebbero facilmente rovesciarsi e il castello unitario precipitare. Di qui la straordinaria occasione che offre la lettura dei verbali di quei mesi, dove si legge la preoccupazione di allontanare dal governo piemontese il sospetto di aver favorito la spedizione di Garibaldi, le rassicurazioni date a Francesco II di Borbone circa le intenzioni del governo di Torino di non interferire negli affari interni del Regno delle Due Sicilie, ma anche la sostanziale volontà di assecondare il corso degli eventi se questi evolveranno verso una soluzione favorevole all’annessione. Parallelamente, emerge con drammatica chiarezza il timore che la situazione possa sfuggire di
Gli avvenimenti si conclusero come sappiamo e la leggenda si prese poi l’incombenza di trasfigurarli come i manuali scolastici di storia ce li hanno insegnati per decenni. Ma i verbali, seguendo l’evolversi della spedizione in diretta e i riflessi che questa evoluzione aveva sugli equilibri politici a Torino, ci dicono quanto la conclusione positiva non fosse affatto scontata. In questo senso rappresentano la migliore testimonianza del genio politico di Cavour e del suo realismo, che in quei mesi trovò un difficile equilibrio con il movimentismo rivoluzionario di Garibaldi, dando vita a un sodalizio irripetibile al quale si deve, in definitiva, l’esito positivo del processo unitario.
Seguendo il corso degli eventi, la prosa è spesso burocratica e neutra. Tuttavia non nasconde la dirompente drammaticità e grandezza del momento storico
60 23 agosto 18
ltà che a alle diffico Ricasoli circ ne ro di ba l o de rp tranze e del co Dietro rimos lla dispersion in tale e la misura de e più che mai er st si in di a incontrerebb er iolto il lib sc de a Si io . gl sa si on coltà della co ffi Nicotera, il C di per le e za nt en non osta litata la part dispersione, i piroscafi i di esso faci su nt o ne gi po ag m ss co di pa procorpo ma ai nte biglietti te spedite al ionale media mi, ma ques ar glio si l’Italia merid le on te C ra Il ti overno; ri ro, in luogo. pagati dal G in le rimetta lo to hé da rc an pe m s a ti re o veng dittatore Dep putato Boter iscito pari che il de anare il pleb em ad s delibera del ti re Dep re de ci de Sicilia onde
29 agosto 1860
1 Agosto 18 60
Essendo pervenuta la notizia della rivoluzione scoppiata nelle Marche e nell’Umbria, il Consiglio delibera all’unanimità che un corpo d’armata abbia ad entrare immediatamente in quelle provincie. Un manifesto in forma di nota diplomatica e di proclama reale spiegherà all’Europa il duplice intento del Governo di S.M.: tutelare il principio nazionale e mantenere l’ordine nella penisola.
Il Consiglio … ha deliber ato che, in co guenza della nseagitazione de gli spiriti in il Regno e de tutto i germi d’an archia che i garibaldini va comitati nno spargend o dovunque, Ministro all’I il nterno cav. Fa rini abbia a doppiare d’en radergia e ad ap pigliarsi ad og possibile mez ni zo costituzio nale che valg far cessare l’e aa sistenza fune sta di uno st nello Stato. ato 5 settem bre 1860
60 sto 18 ra con 20 ago Nicote ma di principii la c o r un p nte i ttame iglio delibera uito ad In seg endono dire ns o orpo C ff , il o del c cui si o dello Stato liment e delibeg li io a c s to lo cardin a pur intima tis a iorni. H che sia entro tre g ttore Depre . o u ia t d t il o e r ic d p la S sud re il ito per ’invita rato d are il plebisc m procla
mano. Sono espliciti i riferimenti al “pericolo Mazzini”, come anche gli inviti al ministro dell’Interno, Luigi Carlo Farini, perché faccia «cessare l’esistenza funesta di uno Stato nello Stato», cioè l’attività dei comitati garibaldini (le “sette”, come vengono definiti), che in tutta Italia si muovevano per estendere il movimento rivoluzionario.
Alla noti zia sua flotta che il Re di Napo li all’Austri a, il Consi avrebbe intenzion glio Pers e di conse ano le se glio delib guenti is era di sp gnare la alla flott truzioni: edire al v a la band se iceammir iera aust il R strarle, p e si alimita a fa riaca sen rocurand za m r inalbera op cosa col re Ministero eraltro, se ciò rie utare gli equipag gi, seque sc napoleta stranze e no; se il R a possibile, di con proteste certare la e fa di più per parte lità della suscitare del minis flotta me rimotero nap desima, in intervenir oletano e modo da e onde im dell’uffic autorizza pedire la Delibera iare Persan riuscita d inoltre ch o e e Pepoli nell’Umb sia nomin l disegno del Re d ad ria e Vale i Napoli. ato regio rio a Perugin commissa a, Campe nelle Marche, Gu rio altiero re llo a Spo ggente p leto. rovvisori o
11 settembre 1860 Il Consiglio … ha deliberato che d’ora in avanti alle nostre frontiere non si chiedano più passaporti, tranne nel caso di sospetti politici sopra qualcuno e di circostanze straordinarie.
11 settembr e a tutto ott obre 1860 Il Consiglio anziché delib erazioni sentì comun icazioni sugl i avvenimen ti in Italia M eridionale.
1860 14 novembre
idente osta del Pres … sulla prop a ha io rr gl ue si G on C lla Il o de ff. di Ministr anno un er del Consiglio rm fo i ar e i volont ndisia per le co deliberato ch dall’esercito to za ra an pa av se ll’ o de corp quelle rma sia per saranno di al ib ar zioni della fe G da i conferiti la mento. I grad sione mista una commis ad ti os si nella re i sottop iz rv se i noscere no quale col rico o che a ciascu inerà il grad rm te de ra er gu C. Cavour compete. S. Jacini
società
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ddio pub inglesi. Quest’estate i turisti in vacanza a Londra mandavano ai loro amici delle divertenti cartoline che ritraevano i locali in crisi. Gente costretta a gustarsi la sigaretta sulla strada per via del divieto di fumo introdotto nei mesi scorsi nei luoghi pubblici, gestori con le mani nei capelli e i consumi di birra in calo. Ma non è una barzelletta: i famosi pub anglosassoni hanno davvero i giorni contati a meno che il governo non venga in loro soccorso. Dopo il “no” alla sigaretta nei locali, a colpire il settore è stato l’aumento delle tasse sull’alcol dell’otto per cento e l’introduzione della tassa sulla birra decise dal governo Brown. Il risultato è una media di 37 locali che chiudono i battenti ogni settimana.
A
E così, per evitare di vedere morire un astro della tradizione britannica alcuni deputati insieme al ministro responsabile della concessione delle licenze Gerry Sutcliffe - hanno chiesto l’intervento urgente dell’esecutivo per tamponare la crisi del settore. La crociata per salvare i pub è bipartisan, partecipano deputati di ogni schieramento a riprova del fatto che il rito della birra è ormai un’istituzione della vita comunitaria britannica. Altro campanello di allarme è dato dai consumi “casalinghi”di alcol in
Crisi economica. Chiudono a migliaia i tradizionali locali del Regno Unito
E i pub di Londra vanno... in fumo di Silvia Marchetti aumento. Con la crisi economico-finanziaria che soffoca il Paese erodendo il potere d’acquisto dei cittadini, anche passare la sera in un pub, gustandosi un bel digestivo o un boccale di birra, diventa un lusso che pochi si possono permettere. Le abitudini degli inglesi stanno cambiando rapidamente a tal punto che preferiscono risparmiare acquistando vino e alcol a basso prezzo nei supermercati che consumare birra al bancone del bar in compagnia degli amici.
La situazione è peggiorata dopo che il ministro dell’Economia Alistair Darling ha introdotto nuove tasse sulla birra, che annulleranno i benefici dei tagli all’Iva in vigore fino al primo gennaio 2010. L’associazione dei pub accusa il governo laburista di averli abbandonati e avverte che presto una pinta di birra arriverà a
Dopo il “no” alla sigaretta, a colpire il settore è stato l’aumento delle tasse sull’alcol dell’otto per cento e l’introduzione della tassa sulla birra decise dal governo Brown costare ben quattro sterline. Il settore impiega circa 600mila lavoratori, ed è sempre stato un motore trainante dell’eco-
nomia britannica. Un altro colpo sono le misure sociali messe in campo dal governo per ridurre i comportamenti violenti
indotti dal consumo di alcol e migliorare la salute dei consumatori, tra cui l’abolizione delle promozioni “happy hour” e dei distributori per sigarette all’interno dei locali. Misure che secondo i gestori dei pub ridurranno drasticamente i ricavi facendo lievitare ulteriormente i costi.
Il ministro Sutcliffe, da sempre grande sostenitore dell’industria dei pub, chiede ai suoi colleghi di valutare bene l’impatto della crociata anti-violenza: «E’ importante incoraggiare i consumi responsabili, ma al tempo stesso dobbiamo garantire la sopravvivenza dei locali altrimenti molti altri saranno costretti alla chiusura. I pub sono delle istituzioni fondamentali nel Regno Unito, come gli uffici postali». Il ministro vorrebbe introdurre delle nuove norme per facilitare il rilascio delle licenze, sta facendo pressioni sul premier per vietare ai supermercati la vendita sotto-costo dell’alcol e insieme ad altri sessanta deputati ha firmato una mozione per tagliare le imposte sulla birra. Intanto nelle campagne inglesi è già la desolazione: stando a un rapporto parlamentare bipartisan il 60 per cento dei paesini non ha più un pub. Nel 2007 ben 1.409 locali hanno chiuso ed entro il 2012 altri 7.500 saranno messi su lastrico.
arte
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In libreria. Le copertine degli Lp più famosi, griffate dal grande artista americano, nel nuovo volume di Paul Maréchal
I Pop-album di Andy Warhol di Stefano Bianchi na copertina bianca. Una grande banana gialla. La scritta “peel slowly and see”: sbuccia lentamente e guarda. E sotto la buccia, il frutto rosa shocking che allude senza mezze misure al sesso maschile. Chi ha dimestichezza con la Pop Art di Andy Warhol (1928-1987), riconosce all’istante The Velvet Underground & Nico: ovvero il suono che nel 1967 si trasformò in avanguardia rock, confezionato in un packaging rivoluzionario. Warhol, che sponsorizzò la band di Lou Reed e John Cale, amava la musica a prescindere. Nella sua Factory newyorkese, ricettacolo di artisti, falliti, geni e tossici, c’era sempre una colonna sonora in sottofondo che accompagnava gli happening di quella corte dei miracoli e dei peccati: da Maria Callas al rock, transitando per il rhythm & blues e il jazz. Ma il “banana album” non fu l’unico disco disegnato o illustrato dal genio di Pittsburgh. La “cover art” s’insinua nella sua carriera dalla nascita del long playing (1949) per concludersi nell’87 dopo aver realizzato l’artwork di oltre 60 copertine di dischi: non solo di rock, ma anche di musica classica, jazz e pop che il volume di Paul Maréchal intitolato Andy Warhol: The Album Covers, 1949-1987. Catalogue Raisonné (Prestel, 75 dollari) presenta in tutto il loro splendore artistico.
U
La prima musica illustrata, il grafico pubblicitario Warhol che moltiplicava i guadagni “arredando” le vetrine di Tiffany e Bonwit Teller, la realizza nello stile dei famosi angioletti di In The Bottom Of My Garden, le silhouettes di moda, le pantagrueliche torte di Wild Raspberries e le scarpe femminili. Utilizzando, cioè, la tecnica della “blotted-line” che consentiva di tracciare un disegno a matita su un foglio di carta non assorbente, a volte copiando o ricalcando una fotografia. Dal ’49 al ’57, sugli Lp di musica classica è tutto un rincorrersi di danzatori aztechi (A Program Of Mexican Music di Carlos
Chavez) e mazzi di papaveri (i Notturni di Frédéric Chopin eseguiti da Jan Smeterlin); pianoforti stilizzati (la Rhapsody In Blue di George Gershwin) e la mela rossa, trafitta da una freccia, per la William Tell Overture diretta da Arturo Toscanini. Il jazz, nella creatività warholiana, coincide dal punto di vista temporale (gli anni Ses-
La “cover art” s’insinua nella sua carriera dalla nascita del long playing (’49) per concludersi nell’87 dopo aver realizzato l’artwork di oltre 60 dischi santa) con l’esplosione della sua Pop Art fatta di Marilyns, Campbell’s Soup, Coca-Cola e Brillo Box. Ma se quelle opere facevano scintillare cromatismi e reiterare ossessivamente i marchi della pubblicità, i dise-
gni votati alla musica afroamericana sono sempre eleganti e aggraziati: sia che si tratti dell’espressivo faccione di Count Basie per l’omonimo disco e della seducente figura di donna di Blue Lights firmato Kenny Burrell; sia che visualizzino un celestiale volo di cherubini per l’Lp di trombettisti intitolato Cool Gabriels, un chitarrista in camicia hawaiana (The Congregation di Johnny Griffin) o una tastiera di pianoforte schizzata dome un disegno dadaista (Progressive Piano di Art Tatum ed Erroll Garner).
Lentamente ma inesorabilmente, il morbido tratto grafico di Warhol si trasforma in una scritta pura e semplice (Monk di Thelonius Monk) per poi scomparire dando spazio alle sequenze di scatti in bianco e nero che riempiono la copertina di un’incisione di John Wallowitch. Le fotografie, trattate e ritoccate, caratterizzano i dischi pubblicati dal ’67 all’87 facendo rima con rock e pop. Anche se il dopo “banana album”, ancora nel nome
Sopra, in alto e a destra, alcune tra le più famose copertine di Lp griffati dal re della Pop-art Andy Warhol. La “cover art” s’insinua nella sua carriera dalla nascita del long playing (’49) per concludersi nell’87
dei Velvet Underground, produce l’eccezione del tutto nero con un teschio in controluce sulla copertina di White Light White Heat (’68). Dopodiché, gli anni Settanta sono un trionfo di immagini per i Rolling Stones (i famosi blue jeans di Sticky Fingers, ’71, con tanto di vera cerniera lampo; i primi piani di Mick Jagger, Keith Richards, Ron Wood, Bill Wyman e Charlie Watts che si prendono a morsi, scattati con la Polaroid per Love You Live del ’77), per John Cale (ritratto sin nei minimi particolari nella sequenza di diapositive Kodachrome per The Academy In Peril, ’72) e per Paul Anka, immortalato nel ’76 sulla cover di The Painter. Gli anni Ottanta, sublimati dalla New York dello Studio 54 e dei graffitisti (Andy Warhol avrà modo di collaborare con Jean-Michel Basquiat e Keith Haring), vedono infine l’artista americano concentrarsi su ritratti tali e quali a quelli eseguiti su commissione per i facoltosi vip.
Di conseguenza, le copertine dei vinili mettono in mostra primissimi piani appiattiti su colori fluorescenti che trasformano le stelle della musica in icone da consegnare all’eternità. Ai volti glaciali di Liza Minnelli (Live At Carnegie Hall, ’79) e Diana Ross (Silk Electric, ’82), si contrappongono un’Aretha Franklin in technicolor e molto Pop (Aretha, ’86), un John Lennon virato in arancione coi capelli viola (Menlove Ave, ’86) e un Miguel Bosè che si triplica per Made In Spain (’83). Sono le ennesime testimonianze della “filosofia” di Andy Warhol. Che voleva produrre arte per le masse, e metterla a disposizione di tutti.
opinioni commenti lettere proteste giudizi proposte suggerimenti blog L’OCCHIO DEL MONDO - Le opinioni della stampa internazionale
da ”The Australian” dell’11/12/2008
Un “bailout” per i giornali di P.J. O’Rourke ello? Gente del bailout? Signor ministro del Tesor Hank Paulson? Non vi state, per caso, scordando di qualcuno? Qualcuno come me, per esempio. Io sono un giornalista della carta stampata. A proposito di crisi finanziaria! I giornalisti della carta stampata potrebbero presto essere costretti a mandare i loro figli nelle scuole pubbliche, a dare cibo liofilizzato ai loro gatti e ad abbandonare la prospettiva di comprarsi una macchina nuova, proprio ora che le case produttrici le offrono con sconti fantastici. L’industria del giornalismo tradizionale sta ricevendo una sonora batosta e rischia di scomparire in una nuvola di fumo. Non che la carta stampata sia granché responsabile dell’aumento dei gas serra nell’atmosfera. Siamo amici della Terra, noi. Perché le copie in circolazione di un giornale medio di una grande città possono essere stampate sacrificando un solo albero, ormai. Provate a compararlo con l’aria calda prodotta dalle talk radio, dalla tv via cavo e da Andrew Sullivan...
H
Ci sono molte buone ragioni per salvare il giornalismo americano di carta stampata. E cercherò di farmene venire in mente qualcuna, mentre aspetto che il cameriere mi porti il prossimo drink. Prima di tutto, almeno una famiglia americana su tre ha assoluta necessità della carta stampata (per impedire ai propri cuccioli di scappare di casa). E poi, pensate a quanto sono importanti i giornali per i senzatetto. Se perdete la casa e vi ritrovate homeless, non è un gran problema: sareste comunque membri di un importante gruppo di pressione, con molto sostegno politico e una potente lobby di supporto a Washington. Ma se perdete anche il vostro giornale, con cosa vi copri-
rete nelle freddi notti d’inverno passate in una panchina del parco? Provate a riscaldarvi con Matt Drudge. Il governo sta salvando Wall Street per essere stata malvagia e le aziende automobilistiche per essere state stupide. Ma la carta stampata ha Paul Krugman e Anna Quindlen. E nel 1898 Joseph Pulitzer del New York World e Qialliam Randolph Hearst del New York Journal hanno dato il via alla guerra tra Stati Uniti e Spagna. Tutti i Lehman Brothers messi insieme non potrebbero dare una prova simile di stupidità!
Noi giornalisti della carta stampata siamo vittime di forze economiche al di fuori del nostro controllo. Siamo stati sorpresi, come chiunque, del veloce collasso dell’affidabile mercato dell’informazione. Non avevamo alcuna idea che le vere notizie e le analisi neutrali fossero vendute insieme a subprime sul gossip, derivati di US Weekly e swap di Jennifer Aniston e Angelina Jolie. Abbiamo urgente necessità di una robusta iniezione di denaro pubblico, altrimenti tutte le notizie in America riguarderanno la vita sessuale di Lindsay Lohan. Salvare il giornalismo di carta stampata sarebbe un peso per il governo, ma niente di simile ai 700 miliardi di dollari spesi per il bailout di Wall Street. Ci accontenteremmo che il Dipartimento del Tesoro pagasse i nostri conti nei ri-
storanti di Washington. Qualche contribuente potrebbe obiettare che a beneficiare di un bailout per la carta stampata sarebbe soprattutto l’elite liberal. E non possiamo biasimare chi è riluttante a finanziare un mucchio di “sfigati” delle scuole di giornalismo che hanno aderito ai Peace Corps per difendere Robert Mugabe. Senatori e deputati potrebbero, anche loro, sollevare obiezioni. Perché in fin dei conti questi “sfigati” sarebbero ottimi addetti stampa e potrebbero aiutare i politici ad ottenere un posto - come “segretario del cambiamento e della speranza”- nell’amministrazione Obama. E ovviamente, se tutti i giornali sparissero, ci sarebbero molti più “sfigati” a disposizione. Ma io credo che potremmo chiedere ai legislatori americani un sacrificio. E credo che i contribuenti sarebbero disposti a pagare qualche dollaro per far restare i giornalisti a ticchettare sulle loro innocue tastiere del New York Times piuttosto che rischiare di trovarseli in posizioni pubbliche importanti che magari possono influire sulla loro vita di tutti i giorni. Ricordati, America, che non è possibile incartare il pesce con una radio satellitare o foderare la base di una gabbia per uccelli con la Msnbc (anche se sarebbe appropriato). È anche estremamente costoso scacciare le mosche con il podcast di un iPod. E i ragazzotti che lanciano tv a schermo piatto ogni mattina sul vostro vialetto potrebbero danneggiare i vostri mobili da giardino.
L’IMMAGINE
La scuola che non cambia mai e la politica che non decide mai Ma allora è proprio vero che la scuola italiana non cambia mai. Da una parte c’è il ministro Gelmini che prima fa una cosa e poi ci ripensa, dall’altra c’è l’opposizione della sinistra che pur di essere contro al governo critica la riforma del suo ex ministro Fioroni. Da un’altra parte, ancora, ci sono i sindacati e i professori che non difendono la scuola, anche se dicono di farlo, ma difendono unicamente, i loro interessi corportivi. Da un’altra parte, infine, ci sono gli studenti che, data la giovane età sembrano un po’ il classico “asino in mezzo ai suoni”. Insomma, quello che manca in questo nostro benedettisimo Paese è la solita classe politica e dirigente capace di risolvere i problemi nell’interesse nazionale. La scuola è oggi il primo interesse nazionale che andrebbe curato e posto al centro del rinnovamento delle istituzioni. Dalla crisi del sistema scolastico, infatti, discende anche la crisi della nostra democrazia.
Filippo Dallari
LA STORIA DELLE RELIGIONI Penso che sarebbe una buona decisione istituire nella scuola lo studio della “Storia delle religioni”, in sostituzione dell’ora di Religione cattolica. Ovviamente le lezioni dovrebbero essere tenute da un esperto laico. Gli studenti potrebbero fare confronti interessanti, rafforzando o indebolendo le proprie convinzioni e soprattutto apprendendo il valore della tolleranza.
Antonio Casolari
LE FURBATE DI MURDOCH Recentemente Murdoch ha aumentato di 2 euro mensili gli abbonamenti alla sua pay-tv Sky. Sapevo già che la Commissione europea avrebbe imposto all’Italia di uniformare l’Iva e ha giocato d’anticipo. Poi dirà che metà
del maggior costo se lo accolla Sky ma l’altra metà lo dovrà scaricare ancora sugli abbonati. La mia meraviglia è che la sinistra difenda le “furbate” del miliardario australiano.
Valerio Genova
IL VATICANO È COERENTE SU DISABILI E GAY Ritengo che le due soluzioni dell’Onu per la depenalizzazione dell’omosessualità e per i diritti dei disabili siano state formulate in modo ambiguo. Nella prima non è chiaro se tra le discriminazioni viene considerato il no alle adozioni e ai matrimoni gay. Nella seconda, assieme ai giusti diritti per i disabili si intravede il diritto delle donne di abortirli prima di partorire. A queste condizioni il Vaticano, per coerenza
“Velo da sposa” e “Code di cavallo” Questa cascata della Nuova Zelanda si chiama Bridal Veil (velo da sposa) perché ricorda un candido tessuto di pizzo. Nel parco nazionale di Yosemite in California, invece, si trovano le Horsetail Falls (cascate a coda di cavallo). Chiamate così perché l’acqua che cade compatta, rimane vicina alla roccia, dando l’impressione di una lunga coda attaccata al “fondoschiena” della montagna ai propri principi, non poteva firmare. Dopo una vergognosa campagna diffamatoria nei confronti della Chiesa da parte di alcuni media, mi auguro di ricevere un po’ di spazio anch’io.
Alessio Nolan
SOBRIETÀ NELLA POLITICA Trionfano la partitocrazia e la spinta politicizzazione. L’uomo
della strada rischia d’esser penalizzato: nelle pubbliche assunzioni, l’intruppato in partiti, lobbies e gruppi di potere può essere preferito al cane sciolto. I politici devono avere specchiata moralità e dare il buon esempio: svolgono preminenti funzioni gestionali in istituzioni centrali e locali. Inoltre, dal serbatoio partitocratico del Belpaese statalista, vengono
pescati e nominati molti amministratori nei pubblici servizi, nonché nelle società pubbliche, municipalizzate e comunque a guida pubblica. Occorre un’accurata anagrafe patrimoniale pubblica dell’esercito di persone che campano direttamente o indirettamente di politica. Chi di dovere continui a indagare sui politici.
Gianfranco Nìbale
opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog LETTERA DALLA STORIA
Il linguaggio involontario dell’affetto Mia diletta Teresa, ti sei mostrata fredda verso di me; non mi hai indirizzata la parola; fra tutti sei parsa la meno accorata della mia partenza, e quando nell’ultimo istante io ti ho porta la mano, la tua era fredda e non tremava. Tutto questo è vero; ma perché te ne affliggi, mia buona Teresa, perché te ne scusi con me? E se questo è materia da rimprovero, non potresti fare a me lo stesso rimprovero? Perché non mi hai scritto: professore, voi non mi avete detto una sola parola affettuosa; innanzi a me siete stato taciturno o impacciato; se talora per caso i vostri occhi si scontravano co’ miei, voi li abbassavate subito a terra; parlavate con tutti, guardavate tutti, ed obbliavate spesso che in mezzo agli altri si trovava pure la vostra Teresa? Ecco ciò che potevi scrivermi: tu hai senza dubbio osservato tutto questo; perché se mi ami, non ci è stato un mio sì minimo atto che ti sia potuto sfuggire. Tu l’hai osservato, e non me ne hai detto nulla, e non hai dubitato di me. E perché, mia diletta? Perché tu mi stimi e perciò mi comprendi; perché tu hai sentito che, dal giorno in cui nella mia anima entrò una dolce speranza, io ti ho rispettato ancora di più e tenuto come cosa sacra. O Teresa, nessuno t’intenderà, nessuno ti amerà al pari di me. Francesco De Sanctis a Teresa De Amicis
SCOMMETTIAMO SUL MEDITERRANEO Alcuni giorni fa un articolo sulle donne nei paesi del nordafrica mi è sembrata troppo pessimistico. Credo improprio accomunare storie femminili di provenienza diversa, una donna di Zagora, sperduta oasi del versante sahariano dell’Atlante marocchino, può essere assimilata a quella “europea” di Casablanca? Una ragazza dell’università Zituna di Tunisi ad una berbera pastorella del sud? Ho una frequentazione quasi quarantennale con il Nordafrica e mi ci sento, da anziano uomo mediterraneo, quasi a casa; mi ricorda molto la vita della mia infanzia quando le nostre donne di montagna o contadine vivevano in maniera non molto dissimile da quelle arabe e di bigami ne ho conosciuto solo uno, agricoltore novantenne, che aveva “accasato” la vedova di suo fratello. Tutto questo non vuol dire che non ci siano più gravi problemi, ma tanta strada è stata fatta grazie a persone come Bourghiba, “uomo di Dio” e padre vero della Tunisia dove, forse, ci sono più donne ministro che da noi. Discutendo con Tekari, ministro della Giustizia e responsabile dei diritti dell’uomo, sulla condizione femminile, asseriva che saranno proprio le donne a determinare il cambiamento, le università ne sono piene, e, grazie alla loro indipendenza economica, sarà impossibile per i maschietti continuare in futuro a fare i sultani. Sono contento che il “Silvio nostro” mi abbia spiazzato spalancandoci le braccia, ma ora - come molto efficacemente fa Sarkozy - dovrebbe spingere meglio i nostri im-
e di cronach di Ferdinando Adornato
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Ufficio centrale Andrea Mancia, Errico Novi (vicedirettori) Nicola Fano (caporedattore esecutivo) Antonella Giuli (vicecaporedattore) Franco Insardà, Luisa Arezzo, Gloria Piccioni Stefano Zaccagnini (grafica)
ACCADDE OGGI
13 dicembre 1941 Seconda guerra mondiale: Ungheria e Romania dichiarano guerra agli Stati Uniti 1949 La Knesset vota lo spostamento della capitale di Israele a Gerusalemme 1959 L’arcivescovo Makarios diventa il primo presidente di Cipro 1974 Malta diventa una Repubblica 1981 Il generale Wojciech Jaruzelski dichiara la legge marziale in Polonia 1996 Kofi Annan viene eletto segretario generale delle Nazioni Unite 2002 A Copenaghen l’Unione europea annuncia l’ingresso di dieci nuovi paesi membri: Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia e Ungheria 2003 L’ex presidente iracheno Saddam Hussein viene catturato nei pressi della sua città natale, Tikrit 2004 L’ex dittatore cileno Pinochet viene messo agli arresti domiciliari 2006 Il lipote (una specie di delfino che viveva nel fiume Yangtze in Cina) è dichiarato estinto
Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Francesco Capozza, Giancristiano Desiderio, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Francesco Lo Dico, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Francesco Rositano, Enrico Singer, Susanna Turco Supplemento MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Baiocchi, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Angelo Crespi, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei, Alex Di Gregorio,
prenditori verso l’area del Mediterraneo tutta e non solo verso la Libia per il gas. Equilibrare verso sud l’Europa è per noi politicamente ed economicamente vantaggioso, in più si controllerebbero meglio i flussi immigratori e, favorendo una “conoscenza dell’islam”, si abbasserebbero tante tensioni.
Dino Mazzoleni
GIOVANI ITALIANI NEL MONDO La prima conferenza “Giovani italiani nel mondo” inaugurata in sede parlamentare, non è solo il tentativo di riacciuffare il legame sensibile che esiste tra Italia e lavoratori, ma è, come ribadito dal presidente della Camera Fini, l’essenza della lotta alla discriminazione, perché ignoranza e paura sono le cause principali del razzismo, ma quando si conserva una identità senza renderla prevaricante sulle altre, si ottiene l’antidoto ideale per entrambi i mali.
Bruno Russo
IMITIAMO GLI USA MA CON DISCERNIMENTO Da sempre amo gli Usa ma il mio amore è sempre meno passionale, tant’è che mi capita sempre più spesso di avere dei dubbi sull’opportunità che gli italiani e la loro classe politica anelino a imitare l’alleato d’oltreoceano, prescindendo dai numerosi guai che la sua politica estera e economica va causando al mondo intero. Nell’amore come in politica giova aprire gli occhi e stigmatizzare gli errori del partner o dell’alleato.
Salvatore
Gianfranco De Turris, Rossella Fabiani, Pier Mario Fasanotti, Marco Ferrari, Aldo Forbice, Antonio Funiciello, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Alberto Indelicato, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Andrea Margelletti, Adriano Mazzoletti, Gabriella Mecucci, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo, Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Roselina Salemi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania
dai circoli liberal
SE LA GIUSTIZIA NON FUNZIONA CRESCE LA CRIMINALITÀ Una seria riforma della giustizia rappresenta una priorità non più rimandabile per il sistema Italia. I problemi legati all’inefficienza del sistema giudiziario, infatti, si stanno ormai trasformando da questione tecnica a questione culturale ed etica. I problemi della giustizia riguardano principalmente tre ambiti. La giustizia civile, la cui lentezza genera numerosi problemi al sistema economico. I processi penali, la cui lentezza, talvolta proporzionale al livello di spettacolarizzazione, non fa altro che alimentare il senso di insicurezza e generare la sensazione di una impunità diffusa per chi si macchia di reati. La delegittimazione reciproca tra giustizia e politica, cui si è aggiunto lo scontro tra diverse procure, che determina un sistema in cui non ci sono più colpevoli, ma soltanto perseguitati e persecutori, finendo per fornire un alibi dietro il quale nascondere le colpe di ciascuno. Tutto ciò determina un corto circuito etico e culturale nella società italiana, andando ad accrescere il livello di sfiducia dei cittadini nella Giustizia, e facendo crescere di conseguenza la sfiducia nello Stato e nelle sue istituzioni. In questo modo diminuisce il livello di censura sociale nei confronti degli illeciti, piccoli o grandi, che entrano a far parte del costume del Paese, e questa è una causa drammatica del progressivo incremento della criminalità. E allora occorre riformare profondamente il sistema giudiziario, con una riforma finalizzata a ridurre il tempo dei processi penali e civili, a garantire la certezza del giudizio e della pena e l’immediato risarcimento per chi è stato danneggiato. Riformando il Csm nell’ottica di una razionalizzazione del sistema dei contrappesi al sistema giudiziario, rispolverando la proposta della separazione delle carriere, favorendo la meritocrazia in luogo degli scatti di carriera per anzianità. La giustizia deve tornare ad essere, oltre che potere, anche pubblico servizio a tutela dei cittadini. E a questo punto non ci sarebbero più alibi per chi compie degli illeciti. Perché ciò avvenga, però, urge un atto di responsabilità da parte di tutte le forze politiche che siedono in Parlamento. Mario Angiolillo PRESIDENTE NAZIONALE LIBERAL GIOVANI
APPUNTAMENTI VENERDÌ 16 GENNAIO 2009 ROMA - PALAZZO FERRAJOLI - ORE 11 RIUNIONE NAZIONALE DEI CIRCOLI LIBERAL
ATTIVAZIONI IL COORDINAMENTO REGIONALE DELLA CAMPANIA VERSO LA COSTITUENTE DI CENTRO HA ATTIVATO IL NUMERO VERDE PER LE ADESIONI: 800910529
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