90709
La sola funzione dell’utopia
di e h c a n cro
è consentire ai suoi adepti di condannare ciò che esiste in nome di ciò che non esiste
9 771827 881004
Jean-François Revel di Ferdinando Adornato
QUOTIDIANO • GIOVEDÌ 9 LUGLIO 2009
Come conciliare sviluppo, diritti e fraternità: il dibattito sulla nuova enciclica di Benedetto XVI
DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK
SI PROFILA UN ENNESIMO SUMMIT “INUTILE”
La teologia della globalizzazione di Savino Pezzotta n queste ore sono molti coloro che saranno tentati di fare il “bigino”della Caritas in Veritate e di riassumerla in pochi concetti per poterla utilizzare nella contingenza politica e sociale del momento. La prima cosa da fare, di fronte a un documento complesso come questo, è quella di diffidare di tali glossatori che finiranno per tradire e svuotare lo spirito e la profondità della tanto attesa enciclica sociale.
I
Fin dai primi commenti è chiaro che questa enciclica non susciterà le emozioni che a suo tempo provocò la Rerum Novarum e di cui ci fa menzione G. Bernanos nel Diario di un curato di campagna, quando fa dire al curato di Torcy: «La famosa enciclica di Leone XIII, voi la leggete tranquillamente, coll’orlo delle ciglia, come una qualunque pastorale di quaresima. Alla sua epoca, piccolo mio, ci è parso di sentirci tremare la terra sotto i piedi». È molto indicativo che sia così perché ciò evidenzia che la Chiesa sta nei temi della modernità e può affrontare i temi economici e politici con grande libertà. Se non fossimo soffocati dal politicamente corretto che tutto assume, omogeneizza e stempera, certamente ci accorgeremmo che sono posti molti motivi d’inquietudine. Ma ormai siamo abituati a “digerire” tutto. La società degli omogeneizzati non tollera i sapori distinti e quando questi appaiono c’è sempre un edulcorante a portata di mano. Dopo una prima visione a caldo del testo mi sono reso conto che esso va ruminato e lasciato sedimentare nella mente e soprattutto nel cuore perché apre molte piste. Pur nella continuità, abbiamo di fronte un nuovo punto di riferimento per il pensiero cattolico sulle questioni sociali, economiche e sulla missione dell’uomo nella realtà attuale che credo potrà interrogare e stimolare anche i non cristiani: quegli uomini di buona volontà cui è rivolto. È proprio per evitare di finire nella melassa interpretativa e laudatoria del momento che abbiamo il dovere d’individuare qualche chiave di lettura. segue a pagina 12 seg1,00 ue a p(10,00 agina 9CON EURO
G Zero
Un generico impegno a mantenere «liberi i mercati» e ancora veti incrociati sui “gas serra”. Crisi e clima: i Grandi della Terra non trovano alcun vero accordo sul governo del mondo da pagina 2 a pagina 7
Mentre il governo comincia a discutere il futuro degli stabilimenti
Verso una Fiat senza Agnelli? Il progetto della famiglia prevede l’abbandono dell’auto di Giancarlo Galli ormai trascorso più di un decennio da quel pomeriggio di fine luglio in cui, all’ottavo piano di corso Marconi in Torino, incontrai Gianni Agnelli. Stavo finendo di scrivere un libro sulla Fiat che s’apprestava a celebrare il centenario di fondazione,e sin dagli inizi guidata con polso fermo e mente lungimirante, dall’ex giovane tenente di cavalleria Giovanni Agnelli che l’aveva via via trasformata da fabbrichetta a grande
È
I QUADERNI)
• ANNO XIV •
NUMERO
134•
Vertice al ministero. Ma Scajola non si presenta
azienda,poi in Impero industriale. Mentre la Famiglia saliva al rango di Dinastia. Gianni, l’Avvocato, il nipote prediletto del capostipite, sforando l’agenda, m’intrattenne per oltre due ore, in una conversazione a tutto tondo (dallo stato di salute dell’economia mondiale a quella dell’Italia, vissuta sofferta anche nei panni di senatore a vita per la difficile governabilità).
Al primo incontro tra governo, azienda e sindacati della Fiat, mancavano sia il governo (il ministro Scajola non si è presentato) sia la Fiat (Marchionne non c’era): c’erano solo i sindacati che a Termini Imerese avevano organizzato uno sciopero contro la chiusura.
segue a pagina 8
a pagina 8
WWW.LIBERAL.IT
• CHIUSO
di Vincenzo Bacarani
IN REDAZIONE ALLE ORE
19.30
prima pagina
pagina 2 • 9 luglio 2009
Summit/1. La prima giornata dell’Aquila tra veleni, ricette contrastanti, veti incrociati e qualche compromesso
Il bicchiere mezzo vuoto Sulla crisi, impegni (generici) ma sul clima il G8 non riesce a convincere Pechino e New Delhi ad accettare il taglio dei gas serra di Enrico Singer li otto Grandi erano ancora seduti al tavolo rotondo del pranzo ufficiale che ha aperto il vertice dell’Aquila e già circolava la prima bozza su uno dei capitoli fondamentali del G8. Quello che dovrebbe indicare la strada per uscire dalla crisi globale. E, naturalmente, parla di impegni comuni, di contrasto del protezionismo, di rafforzamento della supervisione e della regolamentazione finanziaria, addirittura di alcuni segnali di stabilizzazione. Ma sulla difesa dell’ambiente, sulla riduzione del 50 per cento dei gas serra nell’atmosfera entro il 2050, è subito arrivata la doccia fredda. Il documento finale che i tecnici stanno preparando per i capi di Stato e di governo parla di un accordo a otto, ma Cina e India - che domani si uniranno alla discussione nel cosiddetto Major economies forum e che sono tra i più grandi inquinatori del pianeta - hanno già fatto sapere che non ci stanno e, quindi, all’Aquila sul clima si dovrà alzare bandiera bianca. La storia dei summit internazionali insegna. C’è sempre un nuovo appuntamento - in questo caso il G20 economico di settembre a Pittsburgh o la conferenza dell’Onu sul clima di dicembre a Copenaghen al quale rimandare le decisioni che non si riescono a prendere. Ma la verità è che, dietro la facciata consolatoria, ci sono ricette divergenti, veti incrociati, calcoli di politica nazionale. Certo, il G8 è appena cominciato, ma quando se ne potranno tirare le somme concrete apparirà come un G zero.
Il rischio che l’America “abbandoni” l’Europa in favore della Cina
G
Zero accordi effettivi, perché la divaricazione tra le ricette di Obama e quelle degli europei, o della Cina e dell’India, rimane. E molti veleni, perché le critiche sferzanti arrivate dal New York Times, proprio nel giorno dell’apertura, a Silvio Berlusconi e, più in generale, alla capacità italiana di gestire il vertice, hanno lasciato il segno. Anche se la prima mossa del presidente americano, appena uscito dall’incontro con Giorgio Napolitano al Quirinale, è stata quella di lodare «lo splendido
Se nel pianeta prevale l’asse del Pacifico di Gianfranco Polillo er il momento siamo solo alle prese di coscienza individuali. Ma tra qualche giorno, alla fine del vertice del G8, vedremo se quella consapevolezza si sarà diffusa. Per il momento, accontentiamoci delle parole di Gordon Brown e Carlo Azeglio Ciampi. Uomini diversi per posizione, temperamento e cultura, ma entrambi consapevoli della necessità che l’Europa esca dal suo “smarrimento”, come ha detto il Presidente, e faccia sentire la sua voce. Importante è soprattutto il ripensamento che traspare nell’intervista del premier inglese, non più distinto e distante, com’era tradizione, da qualsiasi coinvolgimento comunitario. Oggi, invece, Gordon Brown guarda all’Europa ed alle tesi italiane sul global legal standards – le nuove regole che dovrebbero regolare i mercati finanziari – con occhi diversi. Lo fa nel momento in cui Papa Ratzinger lancia la nuova enciclica
P
e a distanza di qualche settimana dalle decisioni sul tema assunte da Barack Obama. Decisioni non del tutto convincenti.
Come si spiegano queste novità? È il “dualismo Cina-Usa”, sempre per riprendere Carlo Azeglio Ciampi, che preoccupa non poco. La prospettiva, cioè, di un asse del Pacifico che rischia di emarginare l’Europa, isolandola dalle sue tradizionali alleanze. Che il pericolo sia reale è dimostrato da quanto è successo finora. L’economia cinese e asiatica è cresciuta soprattutto grazie alle importazioni americane. Prodotti a basso prezzo, anche se non sempre di qualità eccezionale, che hanno contribuito a frenare l’inflazione, consentendo politiche monetarie condotte all’insegna del moral hazard. Prodotti “usa e getta”, perfettamente fruibili in quel grande suk che è stata l’America di Clinton e Bush. E quando, nonostante tutto, il reddito dei consumatori non era sufficiente, ecco, allora, subentrare il credito. Risorse direttamente fornite dalla stessa Cina che, da sola, contribuisce
per oltre il 30 per cento al fabbisogno finanziario di quel grande Paese. Unica condizione: uno yuan sottovalutato. Elemento indispensabile per trainare l’industria ed, al tempo stesso, garantire i suoi accumuli valutari da reinvestire, successivamente, negli stessi Stati Uniti. Un modello che sembrava poter sfidare ogni legge di gravità economica e finanziaria. Finché quella corda non si è rotta, mettendone a nudo l’intrinseca fragilità. Oggi sono in molti a pensare a un possibile rattoppo. Se la Cina è in grado di soddisfare il mercato americano, sia dal punto di vista dei rifornimenti che da quello finanziario, perché occuparsi di questi Europei fastidiosi, con le loro beghe e rivalità continentali? Con quella storia ingombrante che impedisce di superare dissidi secolari. E se il prezzo deve essere l’abbandono della City londinese, che sia pagato. Ne guadagnerà Wall Street, costretta ad operare su un mercato finanziario colpito da un shock, che richiederà tempo per essere riassorbito. È un disegno realistico?
Nel breve periodo il pericolo è reale. Le proiezioni del Fmi dicono che l’asse del Pacifico uscirà, forse, dalla crisi prima e meglio del vecchio Continente. La tentazione di eliminare almeno un corno del dilemma è quindi particolarmente attraente. Se così fosse, per l’Europa sarebbero guai. Nei grandi equilibri geo-politici, il cuore del vecchio continente è una grande isola assediata. A nord la Russia di Putin, con le sue grandi riserve energetiche. A sud il mondo arabo con le sue infiltrazioni islamiche. Israele che non sembra godere più delle antiche protezioni. E più a sud ancora l’Africa dei poveri e di quel che resta del vecchio Terzo mondo. Se prendesse corpo la sindrome dell’isolamento, non sarà facile resistere alla tentazione – lo si è già visto per il caso Opel – di ricercare rapporti preferenziali con i nuovi zar. Che resterebbe, allora, del sogno comunitario? Ma nel medio periodo prevale un pizzico d’ottimismo. La Cina può fare da sponda a questo gioco? Il prezzo che pagherebbe, in termini economici, sarebbe rilevante. Il dollaro, checché se ne dica, è una valuta traballante. Esiste quindi il problema di diversificare gli strumenti di riserva. L’euro è un buon candidato. Il potenziale produttivo cinese, inoltre, è ben superiore alle capacità di assorbimento di un mercato, come quello americano, che dovrà inevitabilmente ridimensionarsi, per far aumentare il risparmio delle famiglie. In questo puzzle complesso l’Europa può quindi svolgere un ruolo. Ma ad una condizione: che prevalga un senso di appartenenza più complessivo, contro la miopia nazionalista.
lavoro degli italiani» e la «forte leadership del governo» nell’organizzare il G8. Ma, al di là delle frasi al vetriolo su Berlusconi - «Showmanship: forse. Leadership: no» - il giornale americano ha messo in fila anche i problemi di contenuto che sono, e che restano, sul tavolo: ha invitato Barack Obama a fare pressioni sulla Germania perché apra i cordoni della borsa e investa di più nel pacchetto di misure di stimolo alla ripresa e a convincere tutti gli altri leader a scongiurare le spinte protzionistiche. In sostanza: a imporre i piani della Casa Bianca. Che si tratti di economia, o di ambiente, o di lotta alla povertà che è il terzo capitolo-chiave affronato ieri.
Dell’impotenza del G8 si è già scritto molto: la formula
Al di là delle frasi al vetriolo su Berlusconi, il significato dell’attacco del NYT è l’invito rivolto a Obama perché assuma la ledership dei Grandi che affida agli otto Paesi con le economie più sviluppate del pianeta il ruolo di una governance globale è ormai consumata. Perché ci sono Paesi come la Cina e l’India, appunto, ma anche come il Brasile che hanno sconvolto la vecchia classifica. E perché quando si tratta di mettere d’accordo troppi protagonisti è inevitabile che i vertici diventino infiniti. La soluzione che popone il New York Times - che sia Obama ad assumere la guida del G8 - non è soltanto uno sgarbo a Berlusconi «troppo impegnato a eludere le accuse sulle sue frequentazioni con escort e minorenni»: è il rilancio della teoria di una leadership forte, capace di coagulare un fronte che superi le attuali divisioni tra le due sponde dell’Atlantico e quelle tra i blocchi vecchi e nuovi. Ma l’America deve fare i conti con la Russia - dove Obama ha appena incontrato Putin e Mevedev (che ha ritrovato anche all’Aquila) - con la Cina e con la stessa Europa. E la nuova formula della governance mondiale è ancora tutta da trovare.
prima pagina
9 luglio 2009 • pagina 3
I successi del ministro non sono mai utilizzati per rispondere agli scandali
Tremonti, lo “scudo” dimenticato da Silvio di Errico Novi
ROMA. Nell’attacco di giornata arrivato a Silvio Ber-
Il caso del clima è esemplare. Lo stesso Berlusconi aveva anticipato che sul tema dell’ambiente non c’era unanimità. «L’Europa vuole una legislazione di avanguardia, ma la Cina sta facendo resistenza, come ho potuto appurare personalmente durante il mio incontro con il presidente cinese». Adesso i negoziatori europei e americani sperano di inserire almeno nel comunicato finale l’obiettivo di impedire che le temperature crescano di più di 2 gradi rispetto ai livelli preindustriali entro il 2020. Sino ad ora, le temperature sono cresciute già di 0,8 gradi e si ritiene che cresceranno di altri 0,6 gradi nei prossimi anni per l’inquinamento. Per impedire che le temperature crescano ancora, le maggiori economie del mondo dovrebbero comunque adottare misure drastiche. Cina, India e gli altri Paesi in via di sviluppo sono irritati perché l’impegno preso a Bali, in Indonesia, nel 2007, di fornire aiuto finanziario per sostenere la transizione verso energie più pulite, in questi due anni, non ha portato a nulla. Ma Usa ed Europa dovrebbero spendere 150 miliardi di dollari l’anno per aiutare il Terzo Mondo a sviluppare tecnologie pulite, ridurre la deforestazione e combattere l’effetto serra. Non sarà all’Aquila che si troverà il punto d’incontro.
In alto, la foto ufficiale dei grandi riuniti nella Caserma di Coppito, vicino all’Aquila dove si sta svolgendo il vertice. Nella pagina a fianco, le vetturette elettriche che i leader usano per spostarsi all’interno della grande struttura militare che ospita i lavori del summit
lusconi dalle colonne del New York Times c’è tutto: tesi ostili, possibili repliche, incomprensibili omissioni. C’è sì l’ormai consueto sarcasmo anglo-americano nei confronti del premier, con il passaggio sulla carente vocazione per la leadersdhip e quella debordante per lo spettacolo. Ma c’è anche una quasi indiscriminata raffica di critiche a tutti i leader occidentali, in particolare ai rappresentanti di quell’Europa in scarsa sintonia con la prudenza di Obama sulle regole finanziarie.Tra le righe dell’autorevolissimo quotidiano newyorkese si intravedono dunque le distanze che ancora separano Stati Uniti e Vecchio continente sui global standard. E nell’invito rivolto al presidente americano affinché «prenda le redini» del G8 e smorzi quelli che genericamente il NYT definisce «nuovi impulsi protezionisti», si riflette un po’ della diffidenza dell’opinione liberal Usa per la supposta rigidità di Sarkozy, della Merkel e del governo italiano su crisi, speculatori e regole. Non sono certo, questi, i presupposti del fantomatico complotto internazionale ai danni del Cavaliere. Si tratta semplicemente delle sfere di interesse che in parte spiegano la severità del NewYork Times e della stampa britannica verso Berlusconi e i suoi scivoloni a luci rosse. Se questo è il terreno il presidente del Consiglio avrebbe avuto un argomento più che appropriato per difendersi.Assai più efficace sicuramente dei comunicati preventivi stilati da Niccolò Ghedini. Berlusconi avrebbe potuto ricordare il ruolo decisivo svolto dal suo ministro dell’Economia Giulio Tremonti nella preparazione dei documenti sulle regole finanziarie, vantarsi di questa iniziativa e opporne il significato ai diversivi scandalistici.
no alla conferenza stampa di Berlusconi di ieri dall’Aquila, si è registrata solo un’eccezione, arrivata comunque in zona cesarini, ed è quella del ministro della Cultura Sandro Bondi che ha ricordato «la consonanza tra il testo-chiave elaborato dal ministro Tremonti d’intesa con il presidente Berlusconi e l’ultima enciclica sociale di papa Benedetto XVI, licenziata proprio a ridosso del G8». Una mossa utile anche ad attenuare l’imbarazzo della Chiesa nei confronti di Palazzo Chigi. Ma a parte questo non si è registrato nessun altro intervento da parte della contraerea mediatica berlusconiana che utilizzasse i successi di Tremonti per rispondere all’offensiva sugli scandali.
Tanto che ieri lo stesso ministro dell’Economia ha provveduto da sé: all’assemblea annuale dell’Abi ha ricordato che il lavoro su «valori, etica e principi da imporre nell’economia globale» è addirittura «il senso del contributo della presidenza italiana al G8». E poi, ancora più significativamente: «Se posso fare una specifica in un momento in cui forse c’è stato un eccesso di critiche, credo che questa delle regole presentate dall’Italia al G8 sia la prima volta in cui questo Paese non è fuori dai processi messi all’ordine del giorno da altri Paesi. Si tratta di un tema di rilievo assoluto ed è straordinario quello che sta succedendo sul sito dell’Ocse». Dove sono pubblicate appunto le dodici “tavole” sui global legal standard ispirate in buona parte al lavoro di Tremonti. Più chiaro di così sarebbe impossibile. Eppure il ministro sembra scontare ancora l’inimicizia di molti tra i consiglieri più stretti del Cavaliere. Evidentemente preoccupati dalla sua visibilità come teorico dei processi globali e dalle sue implicite aspirazioni alla leadership futura. Resta il dubbio su quanto un simile ostracismo dipenda da timori dello stesso Berlusconi, che d’altronde nelle scorse settimane ha insistito fino alla noia sui suoi «eccellenti rapporti» con Tremonti. Certo è che gelosie e censure, in un buon sistema di potere, non dovrebbero mai avere cittadinanza.
La paura per le ambizioni di Giulio prevale sulla possibilità di “usarlo” nelle liti con la stampa anglo-americana
Non è mai avvenuto. Nonostante il valore dell’iniziativa di Tremonti sia stato enfatizzato dal coordinamento nato tra il responsabile dell’Economia e i tecnici dell’Ocse. Nonostante il lavoro offerto come base di discussione alla riunione del G8 di ieri pomeriggio abbia visto affiancata all’Italia la cancelleria tedesca. Fi-
prima pagina
pagina 4 • 9 luglio 2009
Summit/2. Cronaca di una giornata particolare con i leader riuniti in Abruzzo tra pranzi ufficiali e riunioni di lavoro
Pennette al terremoto
I grandi scoprono L’Aquila, mentre le mogli vanno in visita dal Papa. Ma, dietro al palcoscenico mondiale, domina la protesta degli sfollati di Franco Insardà
ROMA. Il G8 si apre nel segno di Obama. Perché il presidente degli Stati Uniti è l’indubbio protagonista del summit de L’Aquila. Che tutti gli occhi fossero puntati su di lui lo si è capito già in mattinata, dall’incontro al Quirinale con Giorgio Napolitano. E un’accoglienza simile l’ha ricevuta anche al suo atterraggio a Coppito, dove ha partecipato alla colazione di lavoro con gli altri leader. A fare gli onori di casa un Silvio Berlusconi molto soddisfatto soprattutto per la dichiarazione di Obama sull’organizzazione del vertice: «Il governo italiano ha dimostrato una forte leadership». I due si sono abbracciati e baciati. Poi hanno scambiato qualche battuta alzando il pollice in segno di “ok” per sottolineare il clima disteso che sta caratterizzando il G8. A pranzo, a gustare pennette tricolore volute dallo stesso Cavaliere, Silvio Berlusconi era attovagliato tra il premier giapponese Taro Aso e quello canadese, Stephen Harper, a destra. Obama, invece, era seduto di fronte a lui tra il francese, Nicolas Sarkozy, e il premier britannico Gordon Brown. Con loro anche la cancelliera tedesca Angela Merkel, il presidente russo Dmitrij Medvedev, il presidente della commissione Ue, José Barroso, e il premier svedese Fredrik Reinfeldt, presidente di turno dell’Unione. Già durante la colazione i Grandi hanno cominciato a discutere di economia e di clima. E soltanto la tradizionale “foto di famiglia” ha segnato una pausa prima dell’inizio della vera e propria sessione di lavoro.
«Mentre assistiamo a segni di stabilizzazione nell’economia mondiale, incluso il recupero dei mercati azionari, la situazione resta incerta e significativi rischi continuano a minacciare la stabilità economica e finanziaria», si legge nella dichiarazione finale. I Grandi si dicono d’accordo sulla «necessità di preparare strategie appropriate per l’approvazione di misure straordinarie una volta assicurata la ripresa». Quindi si impegnano a mantenere gli impegni presi nei vertici di Washington e Londra per riformare la regolamentazione finanziaria e stabilire norme più stringenti fra cui il controllo sugli hedge funds e i tetti agli stipendi dei manager.
Altro argomento in discussione il clima. Silvio Berlusconi, aprendo la sessione sulle “global issue”,ha ricordato che «c’è un accordo sostanziale, ora bisogna verificare se sia possibile un’intesa con India e Cina». Il premier italiano, in veste di presidente di turno del vertice, ha fatto presente che durante il suo incontro con il presidente cinese Hu Jintau, sono emersi dubbi e cautele da parte di Pechino: «Ho incontrato forte scetticismo». Quindi ha spiegato che «nella sessione del G14» di oggi si dovrà «verificare con la Cina e l’India il grado di accordo che si può trovare». Ci sarà sostanzialmente l’impegno a contenere entro 2 gradi il riscaldamento globale, ma sembra lontano l’obiettivo di ridurre del 50 per cento l’emissione di gas serra. Il ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, ha ribadito la formula a geometria variabile di questo vertice che dopo l’iniziale G8 sarà allargato a Cina, India, I Grandi, infatti, hanno iniziato con Messico, Brasile, Sud Africa, Egitto, Auil capitolo crisi economica e dopo poco stralia, Corea del Sud e Indonesia, fino ai hanno approvato la dichiarazione eco- Paesi africani. Anche lo stesso Josè Manomica che dà forza al “Global Legal nuel Barroso ha evidenziato l’esigenza di Standard”, il codiallargare i summit ce di regole globainternazionali agli li. Dodici tavole emergenti. fissate dall’Ocse, Tutto in linea con che danno forma quanto scritto da al lavoro fatto da Benedetto XVI nelGiulio Tremonti, l’enciclica Caritas gli sherpa italiani “Yes we camp” è la grande scritta e quelli tedeschi al che ieri mattina è comparsa sulla “Lecce Fracollina di Roio dell’Aquila, che somework”. vrasta l’intera città ma soprattutto Sulle nuove regole la caserma della Guardia di Finanglobali si deciderà za di Coppito, dove è in corso il G8. al G20 di PittsburUna scritta che 50 attivisti dei comigh, ma da L’Aquila tati cittadini hanno realizzato con è arrivato un chiagrandi lettere in plastica, e che è viro imperativo per sibile sia per tutti coloro che arrivascrivere norme no dallA24, sia per chi giunge in elicondivise da tutti, cottero o in aereo all’aeroporto dei fermare il proteParchi. La protesta si è spostata anzionismo, contrache su diversi muri dell’Aquila, dostare i paradisi five sono stati affissi manifesti con scali e aumentare su scritto «Yes we camp, but we l’attenzione al ladon’t go away». voro e al sociale.
“Yes we camp, but we don’t go away”
in veritate sull’economia e sulo svilup- ganizzata dai movimenti. I comitati citpo. Non a caso, nell’udienza di ieri, il tadini, invece, hanno in programma alSanto Padre ha lanciato un duro moni- tre iniziative: tra queste la requisizione simbolica di alcune to ai leader mondelle circa «5mila diali: «Occorrono case sfitte, che non uomini retti tanto vengono assegnate nella politica agli sfollati». quanto nell’ecoIeri mattina quattro nomia, che siano giovani olandesi sosinceramente atno stati fermati a Ghirlande di arance alle finestre e altenti al bene coCarsoli, lungo la le balaustre in piazza del Campidomune». A/24, dalla polizia glio e un tappeto rosso alstradale che ha trol’ingresso dei Musei Capitovato sulla loro auto lini. È stata l’accoglienza ricaschi, mazze e maservata ieri alle first ladies schere antigas. Un del G8, cui è stato anche altro contestatore preparato un apposito pranitaliano è stato ferzo. I tre menu (standard, vemato a Sulmona. getariano e su richiesta) offrivano mini-porzioni di coIntanto, mentre i da alla vaccinara, carciofi in pastella, risotto alle erbe, loro mariti erano aspargi e fragole, fagottelli impegnati a discualla carbonara, triglia croctere sulle sorti del cante su erbe spontanee e filetto di Al termine della mondo, le first lady vitella con carciofi in pastella. sessione di ieri hanno avuto un’inBarack Obama, tensa giornata roin maniche di camana. Benedetto micia, ha fatto un sopralluogo insieme XVI ha ricevuto nell’aula Nervi in Vaticon il premier Berlusconi, al Duomo de cano la moglie di Gordon Brown, Sarah, L’Aquila. Il monumento che gli Usa si quella del presidente messicano Caldesono impegnati a ricostruire. In matti- ron, Margarita Zavala, e quella del prenata Angela Merkel, sempre accompa- mier indiano Singh, Gursharan Kau. gnata dal premier italiano, ha visitato Con loro anche la svedese Filippa HolmOnna, il paesino simbolo del terremoto berg Reinfeldt, la sudafricana Zuma. del 6 aprile. «Qui possiamo costruire Erano tutte vestite di nero con velo sul qualcosa dove prima abbiamo distrut- capo, tranne la moglie del presidente suto», ha detto la Cancelliera alludendo dafricano che indossava un abito tradialla strage della Wehrmacht dell’11 giu- zionale. Al gruppo si è aggiunta anche la gno del 1944, quando vennero uccisi 17 moglie del presidente della Commissiocivili innocenti. ne europea José Manuel Durao Barroso, Margarida Sousa Uva. Era presente alMa Barack Obama è stato anche al l’udienza anche il presidente dell’Ifad centro della protesta dei comitati (International fund for agricultural deabruzzesi. Suo malgrado, i manifestanti si sono ispirati al suo slogan della campagna elettorale tanto da installare sulla collina di Roio la scritta ”Yes we camp”, per salutare provocatoriamente i Grandi della terra. Uno slogan che era visibile su diversi striscioni appesi sulle pareti di alcuni edifici de L’Aquila. «La Un campetto di basket con un unico gente pensa che la ricostruzione sta canestro, tanto per fare qualche tiprocedendo liscia, che gli ro-relax e gonfiare la rete aquilani sono già tornati tra gli impegni del G8. È il nelle loro case e invece piccolo campo da gioco “Yes we camp», siamo tutche qualcuno assicura esti accampati, a tre mesi sere stato preparato per il dal sisma» ha detto Mattia presidente Usa, Barack Lalli, del Comitato 3e32. Obama, nella Scuola SotI manifestanti hanno pretufficiali della Guardia di so le distanze dai conteFinanza di Coppito. Altri, statori no global. «Non voinvece, sostengono che per gliamo essere strumentaricavare il campetto sareblizzati, perché in questi be stata “allargata” una casi, il rischio è dietro stanza dell’edificio, in mol’angolo». Anche per questo, dicono, do da consentire agibilità al cestista non parteciperanno alla manifestaziodella Casa Bianca. ne nazionale prevista per domani e or-
Coda alla vaccinara per le first ladies
Un canestro personale per il presidente Usa?
prima pagina
9 luglio 2009 • pagina 5
Barack: «Grande leadership del governo, il capo dello Stato riferimento morale»
Napolitano-Obama: l’Italia riabilitata di Marco Palombi
ROMA. Il campo da gioco è lo stesso, ma la partita è cambiata assai negli ultimi mesi. Il terzo tempo di Berlusconi a palazzo Chigi, quello che doveva consegnargli la corona da imperatore tra voli di colombe e fanciulli plaudenti, è diventato un percorso a ostacoli. Basti pensare che nemmeno tre mesi fa il capo dello Stato era costretto in panchina ad osservare pressoché impotente un premier intento a cambiare nei fatti la Costituzione materiale e a chiacchiere pure quella cartacea. Di più: ai tempi del decreto Englaro, a febbraio, Berlusconi aveva tentato di esporre alla pubblica riprovazione proprio il Quirinale, accusato senza mezzi termini di voler usurpare le prerogative del governo: dessimo retta al capo dello Stato - disse il premier durante il Consiglio dei ministri - significherebbe «trasferire la responsabilità legislativa da un organo di governo a un altro organo» (dichiarazione riportata da agenzie e giornali e mai smentita). Tradotto in italiano: un golpe, per quanto di velluto. Qualche mese dopo il mondo è cambiato: adesso il Cavaliere, azzoppato dagli scandali sessuali e da uno stile di vita che è anche quello della sua leadership, si presenta al mondo sotto la tutela del presidente della Repubblica, garante della continuità della politica italiana al di là di un capo di governo poco presentabile all’estero: quello di Berlusconi, oramai, è praticamente un governo del presidente.
le. Ed è sempre al Quirinale che si è recato il presidente statunitense appena arrivato in Italia: Giorgio Napolitano, ha detto, è un «vero gentiluomo» e gode di «una reputazione meravigliosa» e «dell’ammirazione di tutto il popolo italiano, non solo per la sua carriera politica, ma anche per la sua integrità e gentilezza: è un vero leader morale e rappresenta al meglio il vostro Paese». Laddove il senso delle parole s’amplifica e apprezza maggiormente grazie al non detto, a quel paragone rimasto nella penna dei ghostwriter della Casa Bianca e nella testa di tutti gli altri.
È il trionfo di Giorgio Napolitano, un uomo che ieri s’è finalmente portato a casa pure i complimenti di Antonio Di Pietro, tra i suoi critici più assidui. Il politico molisano ha evidentemente colto il senso dell’espressione moral suasion quando s’è accorto che il giustamente vituperato ddl intercettazioni è stato rinviato a data da destinarsi in Senato dalla stessa maggioranza. Il ritorno del capo dello Stato a incontrastato leader “morale” della nazione è frutto - al di là delle mosse, anche irrituali, messe in campo di recente - soprattutto della sua cultura politica: Napolitano è cresciuto ad una scuola dura, quella del Pci togliattiano, che sapeva ancora distinguere tra interesse del Paese e interesse del partito. Non si precipita nella fogna un’intera nazione solo per farci finire anche Berlusconi. Per questo il 29 giugno proprio nel momento in cui in qualche capitale europea si decideva se partecipare o no al G8 de L’Aquila accanto a un politico screditato come Berlusconi - il presidente della Repubblica ha fatto la sua uscita più discussa: «Sarebbe giusto scandì da Capri - di qui al G8, data la delicatezza di questo grosso appuntamento internazionale, avere una tregua nelle polemiche. Io capisco le ragioni dell’informazione e della politica, ma il mio augurio ed il mio auspicio in questo momento sono di una tregua». Da un posizione di forza, a quel punto, il capo dello Stato ha potuto convocare al Quirinale venerdì scorso - il ministro della Giustizia Angelino Alfano e imporgli, se vogliamo stare ai fatti nudi e crudi, il rinvio all’autunno della legge sulle intercettazioni. Ieri, infine, le parole di Obama hanno dato peso teatrale a un dato di fatto: i rapporti di forza tra Quirinale e palazzo Chigi si sono invertiti. Ora il Silvio III è quasi il Giorgio I.
Il “terzo tempo” di Berlusconi a palazzo Chigi è diventato un percorso a ostacoli. Oggi quello del premier, di fatto, si è praticamente trasformato in un governo del Presidente
velopment), Kanayo Nwanze. Poi pranzo in Campidoglio, accolte dal sindaco di Roma Gianni Alemanno e da sua moglie Isabella Rauti. Miss Obama, invece, ha accompagnato il marito al Quirinale ed è stata accolta dalla signora Napolitano. Le signore Michelle e Clio hanno fatto anche un breve giro delle sale del Quirinale. Poi la fist lady americana e le due figlie hanno fatto un breve tour turistico nel centro della Capitale. Domani sarà ricevuta dal Papa assieme con il marito.
Dulcis in fundo, è tornato in Italia Muammar Gheddafi che parteciperà al vertice de L’Aquila in qualità di presidente di turno dell’Unione africana. Questa sera interverrà alla cena offerta dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e alle due sessioni sull’Africa di domani mattina. Per il leader libico è stata allestita la tradizionale tenda beduina color verde militare su un prato adiacente alla caserma della Guardia di Finanza, a Coppito.
Sasha e Malia, gelataie per un giorno
Le figlie del presidente Usa Barack Obama, Sasha e Malia (rispettivamente di otto e dieci anni) sono diventate gelataie per un giorno a Roma. Le due bambine, sempre accompagnate dalla nonna, sono entrate nel laboratorio di Giolitti, lo storico gelataio vicino al Parlamento, e si sono cimentate con la preparazione artigianale del gelato. I gusti? Sasha e Malia hanno preparato con le loro mani il gelato alla mora e quello alla banana, e poi l’hanno incartato e portato via per offrirlo nella serata di ieri alla loro mamma Michelle, da sempre appassionata di prodotti genuini.
È un processo iniziato fin dal primo apparire sulle scene di Noemi Letizia, ma ieri la centralità del Quirinale ha avuto una sua conferma anche scenografica, quasi berlusconiana: è sul Colle più alto, accanto a Giorgio Napolitano, che Barack Obama detta le frasi sullo «splendido lavoro» dell’Italia al G8. Era accaduto, infatti, che dopo il Guardian - secondo cui l’Italia si sarebbe ritrovata a breve fuori dai Grandi - ieri era stato il New York Times a rincarare la dose: in un editoriale, il quotidiano statunitense, ha parlato di «una programmazione imperdonabilmente negligente del vertice da parte del governo ospite, l’Italia» e della «debolezza politica di molti dei leader presenti» che «lasciano poco spazio all’ottimismo». Di più, «se questa sessione non vuole essere uno spreco di tempo e impegno, il presidente Obama dovrà assumerne la guida». Una sorta di commissariamento. La Casa Bianca ha ovviamente smentito con una breve nota, ma lo ha fatto - significativamente - dal Quirina-
prima pagina
pagina 6 • 9 luglio 2009
Summit/3. Daniel Pipes, direttore del Middle East Forum: l’Occidente è passato dall’interventismo alla paralisi
Do not disturb?
Scontato quello su Pechino. Ma se il vertice dell’Aquila scegliesse il silenzio (o la prudenza) anche sull’Iran sarebbe davvero una viltà di Vincenzo Faccioli Pintozzi i sono differenze sostanziali fra le crisi in corso, ed è per questo che le risposte non sono mai simili. È, in sostanza, l’opinione di Daniel Pipes rispetto al cambio di atteggiamento che si sta verificando nei confronti della protesta iraniana. Dopo un decennio di “interventismo” a tutti i costi, persino umanitario, l’atteggiamento internazionale è radicalmente cambiato. L’Occidente ha presentato un fianco scoperto all’Iran, condannando le violenze ma senza fare alcunché per bloccarle. Un atteggiamento impensabile fino a poco tempo fa, anche e soprattutto riguardo l’ultimo intervento statunitense in Iraq. Pipes, direttore del Middle East Forum e analista internazionale, spiega a liberal le differenze esistenti fra queste realtà. Ed esprime la speranza che le potenze occidentali e libertarie tornino a lavorare insieme per aiutare i Paesi e i popoli che lottano per la democrazia. Professore, cosa è cambiato nell’atteggiamento internazionale rispetto alle crisi che avvengono in giro per il mondo? Come si è passati dall’interventismo portato avanti in Iraq alla quasi totale indifferenza per i fatti iraniani? Ci sono due fattori fondamentali. Il primo è ovvio: è cambiato il presidente americano. Bush avrebbe risposto con più forza alla crisi iraniana. Il secondo riguarda le realtà di cui parliamo: prima dell’intervento delle forze armate
C
americane l’Iraq era un regime dominato da un singolo individuo senza investitura popolare, che regnava incontrastato su molti aspetti del Paese. Era un mostro. L’Iran è diverso: ha un governo composto da differenti centri di potere che in un certo senso si bilanciano, ha una parvenza di democrazia popolare e c’è qualcosa che va oltre e che frena i desideri e le aspettative, a volte malvagie, dei suoi leader. Il regime iraniano può evolvere, in questo
quella gente. È chiaro che gli Stati occidentali non vogliono intervenire con forza: possiamo fermarli, sia dal punto di vista economico che militare. Ma siamo deboli in termini materiali, non abbiamo più una struttura morale da imporre. Eppure, il governo israeliano ha inviato un sottomarino al largo delle coste iraniane e gli Stati Uniti hanno dichiarato di non poter interferire. Crede che ci sia la
“
Non si possono paragonare i governi di Baghdad e Teheran. Ecco perché Washington non ha protestato nè reagito allo stesso modo davanti a una minaccia così evidente
senso c’è speranza. Cosa che mancava totalmente nei riguardi della dittatura irachena. Quindi non deve essere biasimato l’atteggiamento del mondo occidentale? Il G8 combatte al suo interno per capire se intervenire o meno sulla repressione iraniana: questo non è sbagliato? Io credo che ci sia un sentimento di paura nei confronti del regime di Teheran, ma credo anche che si possa lavorare con loro, migliorare i rapporti con
”
volontà di un attacco da parte di Gerusalemme? Credo che sia una possibilità, come già avvenuto in Iraq e Siria. In Israele c’è molta paura nei confronti dell’Iran, del loro arricchimento nucleare e della politica protezionista nei confronti del terrorismo. Credo che sia molto difficile, però, capire qualcosa dalle dichiarazioni pubbliche: nessuno aveva capito cosa avesse in mente Israele nelle settimane precedenti l’attacco all’Iraq. Non sappiamo, dall’esterno, co-
sa accada davvero all’interno di un governo come quello israeliano. Quello che posso dire è che c’è la possibilità di un attacco, ma questo potrebbe venire - per dire - anche da parte degli Stati Uniti. Semplicemente, non lo sappiamo. Professore, da diversi giorni è in corso in Cina una rivolta popolare. Anche nei riguardi di questa violenta repressione, l’Occidente sembra incapace di reagire. Cosa significa? Che il potere di Pechino è talmente forte da potersi permettere di fare ciò che vuole? Buona domanda. C’è una sorta di inconsistenza in quello che le nazioni fanno a questo riguardo. Inoltre, i cinesi hanno una considerazione molto bassa dei diritti umani. Ci sono questioni economiche che bloccano interventi molto più incisivi in tante realtà disperate in giro per il mondo. Perché avviene questo? Anche perché è nella natura della politica, in tutte le sue forme presenti, passate e future. Io non scuso questo fattore, ma è un dato di fatto. A volte i diritti umani sono nelle agende internazionali, altre volte no. Ritiene che il G8 possa intervenire in questi aspetti o si tratta soltanto di un incontro diplomatico? Anche alla luce della perdita di potere di questa formula, meno incisiva rispetto al G20. Crede che il mondo sia ancora influenzato dall’Occidente come un tempo o
Il sostegno esterno alla dissidenza è fondamentale. Lo insegna la storia europea
Quando facemmo cadere l’Urss di Gabriella Mecucci atan Sharansky, nel 1983 stava scontando una condanna a tredici anni di detenzione, quando visse un “momento meraviglioso”. Fu il giorno in cui da un giornale che in qualche modo era riuscito a procurarsi nonostante fosse rinchiuso in una rigorosa prigione sovietica - non ricordava se la Pravda o l’Isvestia - apprese che Ronald Reagan aveva definito l’Urss “l’impero del male”… Lui e i suoi compagni intuirono istintivamente l’importanza di quel discorso e si abbandonarono a esplosioni di giubilo».Così Renzo Foa raccontava «la storia letta dalla parte del dissenso» nella prefazione al libro L’ordine di
«N
Mosca, liberal edizioni. Quel saggio riproponeva cosa era stato fatto e cosa non era stato fatto a favore dei dissenzienti russi e dell’Est europeo. In realtà furono in pochi a muoversi e fra le massime autorità mondiali solo Reagan e Papa Giovanni Paolo II. In Italia i più (con la robusta eccezione di Bettino Craxi, Carlo Ripa di Meana e di un prudente ma efficace Forlani) tacquero.
Ma il nostro Paese non era un’eccezione: certo in Francia c’erano i “nuovi filosofi”e anche in Inghilterra e Germania non mancava chi si desse da fare. Ma i “grandi poteri”, così come i grandi partiti e i grandi sindacati, per non dire di numerosi
grandi intellettuali stettero a guardare, almeno in una prima fase. La spiegazione pelosa di questo comportamento era in genere che tanto non sarebbe servito a niente e che l’Urss e i suoi satelliti non sarebbero stati nemmeno scalfitti da quei romantici contestatori. Del resto allora - anni Sessanta, Settanta, Ottanta - nessuno credeva al crollo del comunismo ed erano pochi anche a desiderarlo: basti ricordare che un sicuro anticomunista qual era certamente Andreotti non riteneva auspicabile la riunificazione delle due Germanie. E così in tanti furono ciechi, sordi e silenti davanti alle feroci persecuzioni di Mosca, di Varsavia, di Praga. E invece aveva ragione Sharansky: con-
dannare i persecutori e schierarsi dalla parte dei perseguitati serviva. E parecchio.
Così come sarebbe utile, anzi utilissimo schierarsi oggi dalla parte dei dissidenti iraniani. E del resto non è detto che il business impedisca di parlare di diritti umani. Basti ricordare che Ronald Reagan non era certo un presidente che non avesse rapporti o non difendesse gli interessi di industriali e finanzieri americani, che pure intessevano rapporti diretti o indiretti con l’oriente comunista. Ma allora considerata poco convincente la “spiegazione pelosa” dell’inutilità di muoversi - perché in tanti preferirono tenersi alla larga da questi temi? Rispondere a tale interrogativo ci aiuta a comprendere meglio anche l’attuale comportamento verso Teheran. Perché, ad esempio, gli intellettuali italiani tacquero? Innanzitutto, molti di essi erano legati ad alcuni grandi gruppi che avevano fiorenti business con
prima pagina
9 luglio 2009 • pagina 7
Si aggrava il bilancio degli scontri
Alcune scene di repressione da Urumqi, la capitale della provincia settentrionale cinese del Xinjiang. Da domenica scorsa, sarebbero almeno 300 (secondo fonti indipendenti) le vittime dei soldati dell’esercito di liberazione popolare. Nella pagina a fianco, il Segretario del partito comunista sovietico Leonid Breznev. Sotto, Daniel Pipes
sta cambiando il baricentro? Il mondo occidentale è ancora dominante, dal punto di vista economico, militare e culturale. Credo che vi siano molti altri poteri, in giro, ma non hanno ancora le risorse giuste per intervenire in maniera incisiva nel resto della comunità internazionale. Voglio dire: nonostante la sua straordinaria portata, cosa ha dato la cultura cinese al re-
l’Urss. Facciamo qualche esempio più concreto.
Quando Carlo Ripa di Meana riuscì fra mille difficoltà a organizzare a Venezia la Biennale del Dissenso, gli si schierarono contro, fra gli altri, il presidente dell’Olivetti, Bruno Visentini, l’intera Rizzoli, la Rai, la Montedison Snia Viscosa. Quanto alla Fiat, invece, gli uomini del Pci provvidero a sconsigliarla di entrare nell’agone, ma il colosso dell’auto, che peraltro aveva uno stabilimento in Urss, non osteggiò - come gli era stato chiesto (lo ha testimoniato Giuliano Ferrara) - l’iniziativa sul Dissenso che venne organizzata a Torino.Insomma, molti fra gli intellettuali legati ai poteri economici e a quelli della comunicazione fecero scena muta. Ma fra questi non c’erano - tanto per fare qualche esempio - alcuni editorialisti della Stampa, lasciati liberi di esprimersi dal comportamento liberale dell’editore. Poi fra i più si-
sto del mondo, quello non cinese? Io non credo che il G8 sia del tutto morto, ma va anche sottolineato che questi incontri - in 30 anni di attività - non hanno prodotto molti cambiamenti reali. Un dato non certo accattivante. Cosa può fare la comunità internazionale per aiutare i dissidenti iraniani, le etnie cinesi e tutte le altre popolazioni che lottano per
lenziosi c’erano gli intellettuali legati al Pci, che erano allora i più, ma anche fra questi non mancarono eccezioni: da Trentin a Sacha Villari. Gli uomini di cultura più vicini alla DC si dividevano in due tronconi: la maggioranza preferiva la prudenza andreottiana, altri facevano parte dell’esigua ma combattiva schiera dei cattocomunisti. Naturalmente, c’era anche una minoranza attiva che lavorò in particolare per aiutare Solidarnosc: è il caso, ad esempio, di Comunione e Liberazione. C’erano infine alcuni non tutti naturalmente - intellettuali socialisti: si trattava in particolare dei craxiani, dei giolittiani, dei lombardiani, ma non dei demartiniani. Quanto ai sindacati, in Italia ma anche in altre parti d’Europa erano fortemente in-
ottenere la propria libertà? La prima cosa che le potenze occidentali, o comunque quelle che danno più rilevanza alla dimensione libertaria, possono fare è lavorare insieme. In secondo luogo, dobbiamo essere in grado di far sentire la nostra vicinanza agli iraniani, ai cinesi e a tutti coloro che chiedono la nostra comprensione e il nostro aiuto nella loro giusta lotta.
fluenzati dai comunisti, ma anche là dove erano legati alle socialdemocrazie tacquero: silenzio ideologico. E passiamo ai partiti. Quelli comunisti erano subordinati a Mosca. Il Pci lo era meno di tutti, ma nonostante ciò non fece nulla per i dissenzienti, come di recente hanno riconosciuto due ex dirigenti con posizioni molto distanti: Emanuele Macaluso e Pietro Ingrao. Il loro silenzio non era dovuto alla condivisione del socialismo reale e dei suoi metodi, ma piuttosto alla preoccupazione che Mosca spaccasse il partito e creasse una seconda forza politica a lei strettamente legata e guidata da Armando Cossutta.
Dove c’erano gruppi dissenzienti, è stato poi facile trovare una classe dirigente in grado di governare bene
Accanto a questa c’era la convinzione che con l’Urss e i
I blog: «Almeno 300 i morti nel Xinjiang» La notizia più preoccupante, si rimbalzano i blog che seguono la protesta nel nord della Cina, è il ritorno a casa del presidente Hu Jintato. La massima carica dello Stato è anche il comandante in capo dell’esercito, e il suo rientro può significare una nuova ondata di repressione. Il governo di Pechino ha già dimostrato di voler usare il pugno di ferro per soffocare le tensioni nello Xinjiang. Il capo del partito comunista della capitale Urumqi ha minacciato infatti ieri la pena di morte per i sobillatori delle violenze interetniche. La tensione resta alta: dopo il coprifuoco, migliaia di soldati hanno blindato la città e con una massiccia dimostrazione di forza migliaia di soldati sono entrati nel centro abitato, mentre gli elicotteri dell’esercito di liberazione popolare sorvolavano i cieli. Soldati e poliziotti, con indosso armi automatiche, molti in assetto anti-sommossa, hanno preso possesso di strade fantasma, con i negozi chiusi. Nelle ore del coprifuoco le pattuglie in formazione hanno percorso le strade e scandito marce militari al ritmo: «Difendi la Patria, difendi il popolo». Ma gli scontri tra la popolazione Han e gli uighuri - l’etnia turcofona che abita da secoli la regione - non accennano a placarsi; e ci sono voci di altre vittime, dopo le 156 vittime registrate domenica (ma il bilancio fornito degli esuli è comunque molto più pesante e parla di almeno 300 morti). Intanto Pechino ha sospeso i viaggi turistici nel Xinjiang e bloccato Facebook e limitato l’accesso a Internet nel Paese. Difficile anche l’accesso agli altre web stranieri, la cui connessione è molto rallentata.
suoi satelliti fosse comunque meglio trattare, anziché scontrarsi frontalmente. Nasceva da questa idea anche la Ostpolitik dei socialdemocratici tedeschi di Brandt e le “aperture” verso l’Est degli svedesi di Olaf Palme. Sulla vicenda degli euromissili, però, il presidente americano Carter convinse gli europei ad andare alla rottura. Ma, nonostante ciò, l’aiuto al dissenso continuò ancora ad essere scarso e discontinuo. E anche i moderati anticomunisti non brillarono per impegno. Ancora oggi in molti sostengono che l’appoggio esterno a chi si opponeva al totalitarismo ebbe un peso poco significativo nella sua caduta. Non è vero. La prima breccia nel muro comunista, infatti, si aprì, guarda caso, in Polonia con Solidarnosc. Non c’è dubbio che quei valorosi dissenzienti e combattenti cambiarono il corso della storia. Ed è difficile negare che fu fondamentale per loro l’aiuto della Chiesa e del Papa polacco. C’è
di più: appoggiare chi si opponeva ai regimi totalitari, con la sua opera non solo ne favorì la caduta, ma contribuì a forgiare nuove classi dirigenti. Il vantaggio di quell’impegno si è visto negli anni successivi alla caduta del muro di Berlino. Là dove erano nati e maturati importanti gruppi di dissenzienti, è stato relativamente facile trovare una classe dirigente in grado di governare il Paese e di condurlo nel modo migliore e più rapido fuori dalle drammatiche secche del comunismo. Al contrario, nelle Repubbliche, dove più flebile e meno organizzato era stato il movimento di opposizione, la fuoriuscita dal totalitarismo è stata più lunga, più difficile. E in alcuni casi non sono ancora emersi quadri politici e intellettuali all’altezza dell’impresa con gravissimo danno per quelle nazioni. Ecco perché l’appeasement con i dittatori è una malabestia da estirpare ogni volta che se ne presenta l’occasione. Ora tocca all’Iran.
pagina 8 • 9 luglio 2009
mondo
Strategie. La Dinastia ha sempre saputo scegliere il manager giusto al momento giusto. Per questo anche l’Avvocato avrebbe sostenuto la svolta internazionale
Una Fiat senza Famiglia? Alla fine dello “shopping” di Marchionne sembra esserci un obiettivo inedito: l’addio degli Agnelli al settore Auto di Giancarlo Galli segue dalla prima Ma a più riprese insistette su un punto, su un’affermazione categorica, così riassumibile: «Finché ci sarò io la Fiat resterà italiana». Precisando: «Anche mio fratello Umberto, le mie sorelle, hanno lo stesso proposito». E non si trattava di parole retoriche e romantiche: da poco, aveva siglato un accordo con la General Motors, colosso fra i colossi dell’auto, all’epoca, che introduceva gli americani di Detroit nel capitale Fiat, con in prospettiva un’opzione per acquisirne il controllo. Sappiamo com’è finita, un lustro fa: in una ciclica fase di crisi del settore automotiva, la GM s’è ritirata pagando una robusta penale. Nel frattempo erano morti sia l’Avvocato (Gianni) che il Dottore (Umberto). La Famiglia era però saldamente rimasta l’azionista principale e di riferimento del Gruppo. Chiamando al vertice il bravo e fidato Luca Cordero di Montezemolo. Cresciuto e formatosi all’ombra della Dinastia, messosi in luce alla guida della mitica Ferrari, quale amministratore delegato dal 1991. Successivamente anche presidente della Federazione Editori e per il quadriennio 21004-2008 della Confindustria.
Con sagacia, Montezemolo ha chiamato al timone dell’azienda, da amministratore delegato, il personaggio che oggi è sulla bocca di tutti: Sergio Marchionne, nato a Chieti nel 1952. Doppia cittadinanza: italiana e canadese, essendo già il padre là emigrato. Con un risvolto svizzero: la moglie (canadese) ei due figli vivono a Cham, sul lago di Zug. È talmente stimato dagli gnomi elvetici, che l’Ubs (in piena tormenta) gli ha affidato la vicepresidenza. Operativa. Nella tradizione secolare degli Agnelli,vi è una costante: nei momenti più difficili, saper individuare un manager con doti eccezionali, capace di togliere le castagne dal fuoco senza che Famiglia e azienda si bruciassero le mani. Fu così negli Anni Venti, con Vittorio Valletta che riu-
E Scajola diserta il vertice con i sindacati di Vincenzo Bacarani
ROMA. Tempi duri per i metalmeccanici presi tra Cisl e Uil hanno di nuovo ribadito le loro posiziocrisi produttiva, cassa integrazione, scioperi, annunciate o paventate chiusure di stabilimenti e liti, anche piuttosto pesanti, tra organizzazioni sindacali. L’estate si sta rivelando rovente. Ieri si è svolta al ministero dello Sviluppo economico la prima delle tre riunioni “tecniche”tra governo, Fiat e sindacati, ma senza il ministro Claudio Scajola. Si è parlato di politiche, industriali, credito alle imprese, componentistica, ricerca e innovazione. Tutti argomenti interessanti, ma che non vanno al cuore del problema e delle ragioni vere del problema che sono: l’annunciata chiusura da parte dell’azienda torinese dello stabilimento Cnh di Imola che attualmente produce macchine movimento terra e mezzi agricoli (in Italia rimarrebbero attivi soltanto i siti di San Mauro Torinese e di Lecce) e l’altrettanto annunciata “riconversione”dello stabilimento Fiat auto di Termini Imerese, in Sicilia. I sindacati hanno pertanto ottenuto, nel corso dell’incontro di ieri, due nuovi appuntamenti per trattare questi temi specifici sulla Cnh la prossima settimana e su Termini Imerese a settembre.
L’amministratore delegato del Lingotto, su quest’ultima questione, nei giorni scorsi é stato chiarissimo: Termini Imerese – ha detto in sostanza – è in una posizione geografica scomoda ed è logisticamente insostenibile. Le oltre duemila persone (fra stabilimento e indotto) che vi lavorano dovranno prepararsi pertanto, dal 2012, a produrre altro, ma certamente non più automobili. Un annuncio che ha provocato una raffica di scioperi nello stabilimento siciliano. L’ultimo di otto ore, in ordine di tempo, proprio ieri. Secondo la Fiom, hanno aderito tutti i lavoratori. I tre leader sindacali di Cgil,
ni in merito. «Noi vogliamo che Termini Imerese non chiuda – ha detto Guglielmo Epifani (Cgil) – Fiat valuti nel piano industriale che deve aggiornare un futuro per Termini Imerese che sia produttivo». Secondo Luigi Angeletti (Uil), serve «un piano concreto, vogliamo capire cosa è la produzione alternativa». Raffaele Bonanni (Cisl) invita la Fiat a non insistere «con la dismissione di Termini Imerese, una realtà che non ha nulla da invidiare, come responsabilità e produttività a nessuna parte d’Italia».
Sempre su questo tema è intervenuto anche il governo il cui intendimento è, secondo il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Elio Vito, è «di mantenervi una presenza industriale, anche con produzioni diverse dall’auto delleYpsilon, in particolare di quelle a gpl». Prossimi confronti tecnici tra governo, Fiat e sindacati il 20 e il 24 luglio. Ma tra i sindacati sta scoppiando una guerra per altri motivi più politici.A fare la voce grossa stavolta è il sindacalista più moderato della Fiom, Fausto Durante, segretario nazionale: «Con la presentazione di una piattaforma separata del contratto e soprattutto, con la scelta di disdettare unilateralmente il contratto nazionale in vigore fino a tutto il 2011, Fim e Uilm si sono assunte una gravissima responsabilità. La reazione della Fiom sarà durissima a partire dalla messa in discussione, a tutti i livelli, del patto di solidarietà tra Fiom, Fim e Uilm circa le elezioni delle Rappresentanze sindacali unitarie». Non solo, Durante ha “ammonito” le imprese metalmeccaniche che intendono seguire Fim e Uilm sulla strada di un ipotetico accordo separato senza e contro la Fiom «sappiano queste imprese – ha affermato - che si assumeranno la responsabilità di provocare uno stato di vera e propria guerriglia sindacale».
scì a sbloccare le fabbriche occupate; e nel secondo Dopoguerra condusse per mano Gianni verso la successione. Nel frattempo, con l’accordo che portò alla creazione degli stabilimenti di Togliattigrad, sul Volga, consolidandola caratura internazionale della Fiat. Indimenticabile anche, negli anni della Contestazione (nuova occupazione delle fabbriche), la figura di Cesare Romiti. Ristabilendo l’ordine, fece tornar grande la Fiat,esaltandone l’immagine di “bandiera” dell’Italia nel Mondo. A ogni tornante della Storia, insomma, Fiat-Agnelli hanno saputo trovare “l’uomo giusto”. È accaduto anche con Sergio Marchionne, subito alle prese con la patata bollente della GM. Gli americani pretendevano di ritirarsi chiedendo in sovrappiù una penale per supposte inadempienze. Marchionne riuscì rivoltare la frittata:gli inadempienti stavano a Detroit, e se volevano sganciarsi pagassero una paccata di dollari. Due miliardi. Vinse.
La Fiat restava però tutta da risanare. Montezemolo presidente e l’ultimo rampollo
mondo
9 luglio 2009 • pagina 9
Nella foto grande, Gianni Agnelli insieme al nipote John Elkann: fu proprio l’Avvocato a decidere che John avrebbe dovuto guidare il colosso familiare più importante d’Italia. Qui, sopra e sotto, la vecchia e la nuova Fiat 500 a confronto: due vetture che sono state il simbolo della rinascita dell’azienda. Nella pagina a fianco, Gianni Agnelli bambino al volante di una Bugatti d’epoca
Negli anni Venti, Vittorio Valletta riuscì a sbloccare le fabbriche occupate; e nel Dopoguerra organizzò la successione. Ma dagli anni Sessanta in poi, toccò poi a Romiti ricostruire l’immagine della Famiglia Agnelli, John Elkann (figlio di primo letto di Margherita Agnelli e già pupillo dell’Avvocato), hanno concesso a Sergio Marchionne pieni poteri. Con la massima determinazione, l’uomo “dal maglione nero” che lavora diciotto ore al giorno erifugge dalla mondanità, ha in poche stagioni rivoltato l’azienda come un guanto. Nuovi modelli, riorganizzazione della rete di vendita, risparmi all’osso. Cura da cavallo, premiante. Come testimonia l’andamento del titolo in Borsa:perle azioni ordinarie da un minimo di 4,61 euro nel 2005, a un massimo di 23,77 nel 2007. Pur oberata da una montagna di debiti finanziari peri quali è obbligata a pagare alti interessi sul mercato, l’azienda pareva tornata a marciare. Senonché è arrivata, brutale ma non inattesa,la “grande crisi”, che ha un nome preciso: recessione e con-
trazione dei consumi. La crisi ha colpito in maniera devastante, senza eccezioni, l’intero settore. Financo la giapponese Toyota che ha registrato il primo bilancio negativo della sua storia. Decisivo il sovrapproduzione. fattore Nel loro insieme,considerando anche quelle indiane e cinesi,le aziende possono sfornare 60 milioni di veicoli l’anno. Il mercato ne assorbe non più di 35-38 milioni.
In apparenza, lo scenario globale mostra (1998) il Gruppo Fiat in una posizione sì pesante, ma fra le meno compromesse. A tenerla a galla, soprattutto il complesso polacco di Tychy che, a costi competitivi, utilizza le linee per la 500 e la Panda oltre il 90 per cento della potenzialità. Note dolenti invece per gli stabilimenti italiani. Le catene di montaggio di Mirafiori, Cassino, Pomigliano, Melfi
e Termini Imerese attrezzate per produrre circa 940milavetture, ne hanno sfornate appena 630mila. Marchionne, di fronte a un tunnel della crisi del quale difficile intravedere lo sbocco finale, anziché ripiegare, ha deciso di contrattaccare. Con mosse clamorose, dettate dal convincimento che, fra non molto, sul mercato dell’auto vi sarà solo posto per una mezza dozzina di produttori. Lui, che di politica non s’è mai interessato, ha stretto un patto col neopresidente americano Barack Obama, proponendosi quale salvatore della Chrysler. Operazione riuscita, senza sborsare un dollaro, e lasciando al governo Usa i debiti pregressi. Ha tentato di bissare il colpaccio con la General Motors: prendersi la consociata tedesca Opel e magari altre filiali in Sudamerica e Sud Africa. Sulla strada ha però incrociato il secco “nein” del governo di Berlino, che considera la Opel «gloria nazionale». In più, devono aver pensato fosse più favorevole un’alleanza con la Magna, capitali in buona misura russi. Il “piano Marchionne” è insomma fini-
Si sta tentando di fare della “questione auto” un problema di sopravvivenza economica globale. Al di là degli esiti industriali, l’ipotesi che si delinea è il tramonto del capitalismo familiare to zoppo, e sarà difficile raddrizzargli le gambe giungendo ad un conglomerato da 6 milioni di veicoli-anno, quota ritenuta strategica per la sopravvivenza. Che ne sarà a questo punto del matrimonio Fiat-Chrysler? D’altra parte nemmeno è possibile illudersi, nascondendo la realtà: anche la “triplice intesa” (FiatChrysler-Opel), avrebbe dovuto confrontarsi con due questioni decisive: il Chi comanda e il Dove istallare il Quartier Generale. Ben difficilmente, ad essere realisti, a Torino. Infatti, al termine del giro di valzer azionario, la Famiglia Agnelli sarebbe risultata in minoranza; oltretutto non disponibile a sborsare miliardi freschi ma, semmai, proprio il contrario: ritirarsi in punta di piedi dall’auto, le cui prospettive si palesano tutt’altro che rosee. Tradendo l’Avvocato? Certo che no, ma nella con-
vinzione che forse, oggi, lo stesso Gianni Agnelli avrebbe preso in considerazione l’opportunità di trovare una nuova allocazione perla tanto amata Fiat. Com’egli riuscì in più di un’occasione in passato, riuscendo a far intervenire lo Stato per uscire dal guado. In termini brutali, come s’è spesso detto: privatizzando gli utili (quando c’erano) pubblicizzando le perdite. Ora la manovra è impossibile. O quasi. Marchionne sta tentando di fare della “questione auto” un problema di sopravvivenza economica mondiale, aggregando diverse e già gloriose bandiere. Al di là degli esiti industriali, un’ipotesi si delinea, e non solo in Italia: il tramonto del “capitalismo familiare” in campo automobilistico, per lasciare posto a un sistema di azionariato soprannazionale pubblico-privato, ancora tutto da inventare.
diario
pagina 10 • 9 luglio 2009
Moretti: risparmi ma più sicurezza L’Ad di Ferrovie ammette il calo di fondi per la manutenzione «grazie alla tecnologia» di Marcello Rossi
ROMA. «È vero che Ferrovie dello Stato spende meno in manutenzione, ma la qualità di intervento sulla sicurezza è nettamente superiore al passato». A dieci giorni dalla strage di Viareggio Mauro Moretti respinge le critiche piovute sull’ex monopolista dei trasporti su ferro.
Ieri, nel corso di un’audizione alla commissione d’inchiesta sugli infortuni sul lavoro del Senato, l’amministratore delegato di Fs ha ammesso che negli ultimi anni si è ridotto l’esborso per le attività di manutenzione, specificando però che i risparmi non incidono sul livello di sicurezza. «Fino al 2001», ha spiegato, «per fare i controlli si usava personale e si verificava manualmente, mentre oggi ci sono dei treni (come l’Archimede, ndr) che misurano 120-150 parametri qualitativi contemporaneamente e questo ha sostituito migliaia di persone». Di conseguenza, «la qualità di intervento sulla sicurezza è nettamente superiore. Anche perché qualità ed entità della manutenzione non si possono misurare solo in
termini di costi». Stando alle parole di Moretti, non si tratta di tagli ma di una semplice rimodulazione dei costi. Dovuta al fatto che il livello degli investimenti per l’alta capacità ha portato ogni anno ad aprire cantieri per 4 miliardi di euro, mentre è salita a dismisura (oltre 581 milioni di euro nell’ultimo bilancio) il passivo per i servizi sulle tratte regionali, che dovrebbero essere recuperati attraverso più generosi contratti di servizio con gli enti locali. L’amministratore delegato di Ferrovie, però, non vuole sentire parlare di problemi di sicurezza. Infatti anche ieri ha ripetuto che «gli incidenti ferroviari in Italia sono in forte discesa. Nel 1993 erano stati 202, nel 2008 sono scesi a 19. Questo significa che c’è stato un percor-
convogli vengono scelti gli orari e gli itinerari meno rischiosi. Ma per evitare tragedie future, bisogna far passare i treni merci per scali intermodali specializzati».
Per Moretti quindi bisogna investire di più sulla logistica. Anche se questo vuol dire rivedere tutta la politica d’investimenti delle Ferrovie, che finora ha premiato il trasporto passeggeri (con in testa l’alta capacità) dimenticando di rafforzare il cargo. Il ministro delle Infrastrutture, Altero Matteoli, chiede una stretta sulla sicurezza a livello europeo. Un’altra soluzione invece la offre il presidente della commissione Trasporti della Camera, Mario Valducci. Il quale ha segnalato che «occorrerebbe rivedere i limiti di velocità. Moretti, subito dopo l’incidente ha detto che il treno viaggiava entro i limiti, che sono di 90 chilometri. Ma visto che questi treni, sono 35 al giorno, passano nel centro delle città e queste merci (come il gpl) non sono deperibili, forse varrebbe la pena ridurre il limite di velocità». Intanto sono stazionarie le condizioni dei 16 feriti gravi dell’incidente della notte tra il 29 e il 30 giugno alla stazione di Viareggio. A destare maggiore preoccupazione sono i 3 passanti trasportati all’Ospedale di Genova. Resta ricoverato in pediatria il piccolo Leonardo, che nel rogo ha perso mamma Stefania e i due fratellini Luca e Lorenzo. Fortunatamente, le sue condizioni non destano preoccupazione.
Il ministro Altero Matteoli chiede alla Ue una stretta sui controlli. Valducci (Pdl): «Rallentare i merci in entrata nelle città» so costante che rappresenta una storia di sicurezza che ci vede leader in Europa». E al riguardo ha concluso che «il treno è molto più sicuro del trasporto su gomma». Eppure l’ingegnere entrato in Ferrovie come quadro presso l’officina Trazione elettrica di Bologna, sa bene che la tragedia di Viareggio finisce per scoprire un nodo, che da tempo l’azienda si porta appresso: il passaggio delle merci pericolose attraverso i centri abitati. «Il treno», ha spiegato, «ha il grande svantaggio di passare dentro le città. Nell’ ambito di individuazione dei percorsi dei
Benedetto XVI fa chiarezza con un motu proprio sulla spinosa questione della Fraternità S. Pio X. E riforma la Curia
I lefebvriani «sono ancora fuori dalla Chiesa» di Massimo Fazzi lefebvriani «non hanno uno statuto canonico e i suoi ministri non possono esercitare in modo legittimo alcun ministero». Questo perché la scomunica è stata rimessa dalla Santa Sede « per liberare le persone dal peso di coscienza rappresentato dalla censura ecclesiastica più grave. Ma le questioni dottrinali, ovviamente, rimangono». Lo ha chiarito una volta per tutte Benedetto XVI, che ha emesso ieri un motu proprio con cui mette chiarezza nella spinosa questione della Fraternità San Pio X e «ripensa la struttura della Commissione Ecclesia Dei, collegandola in modo stretto con la Congregazione per la Dottrina della Fede». Quando il Papa, di qualunque si parli, pubblica un motu proprio di solito mette la parola fine a una questione che ha molto a cuore. Con il termine, infatti, si intende un documento decisionale del pontefice che non è stato proposto da
I
alcun organismo della Curia Romana. Secondo il Codice di diritto canonico, infatti, il Pontefice è dotato di tutti i poteri per esercitare sovranità immediata su tutta la Chiesa universale, su ciascuna chiesa particolare (ad esempio le diocesi) e in materia di dottrina. In base alle decisioni del Concilio Vaticano I, inoltre, il magistero del Papa gode dell’infallibilità in materia di fede e di morale quando viene espresso ex
Esce di scena il cardinale Castrillòn Hoyos, che paga gli errori di comunicazione avvenuti nel caso del vescovo negazionista Williamson cathedra, cioè nel rispetto di alcune condizioni. Come in questo caso. Proprio perché i problemi che devono ora essere trattati con la Fraternità sono di natura essenzialmente dottrinale, si legge nel documento, «ho deciso - a ventuno anni dal motu proprio Ecclesia Dei, e conformemente a quanto mi ero riser-
vato di fare - di ripensare la struttura della Commissione Ecclesia Dei, collegandola in modo stretto con la Congregazione per la Dottrina della Fede», scrive il Pontefice. Ragion per cui, escono di scena il cardinale Dario Castrillòn Hoyos e monsignor Camille Perl, che finora avevano ricoperto la carica, rispettivamente, di presidente e segretario della Ecclesia Dei. Che ora viene di fatto accorpata alla Congregazione per la Dottrina della Fede: quindi il nuovo presidente è il cardinale Prefetto William Joseph Levada, mentre per l’incarico di Segretario è stato scelto monsignor Guido Pozzo. A quanto pare, il cardinale Castrillòn - a cui il Papa ha comunque fatto giungere un messaggio autografo di ringraziamento per il lavoro svolto - e monsignor Perl pagano i difetti di comunicazione che hanno causato le polemiche relative alla revoca della scomunica al lefebvriano monsignor Richard Williamson, resosi responsabile di aver negato la tesi della Shoah senza che il pontefice ne venisse informato.
diario
9 luglio 2009 • pagina 11
Una mostra sullo sterminio nazista dei disabili, alla Camera
Per il ministro dell’economia tedesco non ci sono condizioni
L’allarme di Fini «Il razzismo non è morto»
È difficile l’accordo Opel-Magna, dice Berlino
ROMA. «Sbaglieremmo se di-
BERLINO. Tramonta l’ipotesi della vendita di Opel a Magna, come stabilito dal governo tedesco alcune settimane fa al termine di un’asta alla quale – come si ricorderà – aveva partecipato anche la Fiat. Il co-ceo di Magna, Siegrfried Wolf, infatti, continua a ritenere possibile un’intesa con Gm su Opel entro il 15 luglio, ma il ministro dell’Economia tedesco, Jochen Homann considera improbabile che un accordo finale possa essere siglato entro la settimana prossima. Homannn rivela a Bloomberg che i due gruppi potranno raggiungere solo un’intesa sui programmi d’investimento. Malgrado ciò, il vertice di Magna continua a premere per un accordo: «Uno o due
cessimo che il razzismo è stato debellato e considerassimo vinta questa battaglia di civiltà. Il razzismo è un mostro che si presenta in forme diverse e ricordare è un modo per tenere alta la guardia». Il presidente della Camera Gianfranco Fini compie un nuovo passo di allontanamento dalla sua vecchia immagine di leader postfascista e fa un altro passo nella direzione dello statista sopra le parti, che si candida a un ruolo di guida (quasi bipartisan) dei vecchi conflitti ideologici del Paese. Le parole del razzismo sono stato il cuore del suo intervento all’inaugurazione della mostra «Prove di sterminio, l’eliminazione dei disabili nella Germania nazista» avvenuta ieri negli spazi della Camera in vicolo Valdina. «Non si è razzisti solo quando si arriva a certe forme di aberrazione - ha aggiunto Fini - ma anche, in misura apparentemente minore, quando si nega che tutti gli uomini siano degni di rispetto, a prescindere dalla loro provenienza, dal colore della pelle o dalla condizioni fisiche».
Fini ha esordito sottolineando che «le istituzioni hanno il dovere ineludibile di saper tramandare la memoria», ma «accanto al dovere della memoria le istituzioni e le società devono cimentarsi con un ulteriore dovere, quello di cercare di capire. Perché in una società come quella tedesca dell’epoca - ha continuato il presidente della Camera - non si diede luogo ad una ribellione verso la pianificazione di uno sterminio che fu tragica e folle prova generale della Shoah? A questa domanda c’è una sola risposta: il carattere perverso di una ideologia che partiva dal presupposto che non dovesse esistere la dignità della persona umana, bensì il mito criminogeno della presunta superiorita’ di una razza su un’altra». La mostra, organizzata dall’Istituto per gli Affari Sociali, sarà aperta al pubblico alla Sala del Cenacolo di vicolo Valdina dal 9 al 17 luglio.
Draghi scavalca Tremonti e strapazza le banche Il governatore chiede maggiori impegni per le imprese di Francesco Pacifico
ROMA. «È particolarmente intensa la decelerazione dei prestiti erogati dai gruppi bancari maggiori verso le imprese». E ancora: «Una volta per tutte si riducano le commissioni complesse e opache». Infine: «è necessario un rafforzamento patrimoniale delle banche». Chi ha ascoltato ieri Mario Draghi all’assemblea dell’Abi ha fatto fatica, in certi passaggi, a distinguere il governatore di Bankitalia da Giulio Tremonti. I richiami di via Nazionale su stretta creditizia, massimo scoperto e adesione ai Tremonti bond non sono nuovi. Ma mai erano stati pronunciati in maniera così netta. E, gioco forza, assumono un diverso significato a 24 ore dalla minaccia del ministro dell’Economia verso il mondo del credito – «Faremo i conti» – e la replica stizzita del presidente dell’Abi, Corrado Faissola, – «Non accettiamo di essere invitati a fare il nostro mestiere». Chi si aspettava dall’assemblea dell’Abi un redde rationem tra Tremonti e i banchieri è andato deluso. Paradossalmente l’attacco più duro si è letto proprio in un passaggio del discorso di Draghi sulla cassa integrazione e il calo registrato a giugno – «Una rondine non fa primavera» – che secondo il titolare dell’Economia dimostra che in Italia non c’è un problema occupazione. Ma tant’è, forte dell’appeasement (non si sa quanto voluto) del governatore, il ministro ha abbassato i toni e ha anche proposto alla categoria uno scambio: moratoria sui crediti in sofferenza verso le aziende in cambio di una rimodulazione, «naturalmente in meglio, del regime fiscale delle perdite su crediti». Il fronte dei banchieri è sempre più accerchiato: tanto che nelle critiche di Draghi è facile leggere i malumori della Bce, della Ue, dei governi e delle imprese del Vecchio continente. Il leit motiv, poi, è sempre lo stesso: a grosse iniezioni di liquidità di danaro pubblico per coprire le speculazioni finanziarie degli anni precedenti, non è seguito un ampliamento del credito verso l’economia reale.
Spiega infatti il governatore: «Da aprile la variazione su tre mesi è divenuta negativa: in maggio era pari a -0,9 per cento su base annua. I prestiti alle famiglie continuano a espandersi, ma a ritmi inferiori». Di conseguenza, da parte dei maggiori istituti «l’aumento del rischio di credito si è tradotto in un ampliamento del divario nel costo del credito tra piccole e grandi imprese con effetti negativi per chi oggi ha maggiormente bisogno di accedere al finanziamento bancario». Per Draghi la soluzione passa per un «rafforzamento del patrimonio. Indispensabile soprattutto per affrontare il deterioramento del quadro macroeconomico senza far mancare il sostegno di cui necessitano le imprese, le famiglie, l’economia». Di converso, va evitato «un eccesso di automatismi» nella valutazione del merito di credito. «Non si tratta», ha concluso, «soltanto di mantenere elevato il presidio della stabilità; occorre competere ad armi pari con gli intermediari esteri che nei mesi scorsi hanno dovuto far ricorso a massicce iniezioni di capitale pubblico». Di conseguenza, «bisogna prepararsi fin d’ora a operare con una dotazione di capitale che la regolamentazione vorrà, in prospettiva, più ampia di oggi». Sullo stesso tema Giulio Tremonti ha invece rilanciato una moratoria sulla scadenza dei crediti. Guarda caso lo stesso dossier aperto da mesi tra Abi e Confindustria.
Il ministro del Tesoro addolcisce i toni verso l’Abi e propone «una moratoria sulle sofferenze». In cambio meno tasse
Per il ministro serve «un avviso comune, uno sforzo» per dare il la «a un nuovo inizio. Abbiamo comune responsabilità per il nostro Paese. Quanto fatto è stato necessario. Ma ora, proprio ora, può essere necessario fare di più, da produrre subito prima di agosto. Nel rispetto delle regole del patrimonio delle banche, su base non obbligatoria e volontaria». Visto il clima, anche il presidente dell’Abi, Corrado Faissola, ha abbassato i toni: «Sta ora in noi tutti rifiutare la logica delle sterile contrapposizioni quotidiane e rilanciare, con un gioco di squadra, la battaglia dello sviluppo».
giorni di differenza – ha aggiunto Wolf - non fanno differenza, siamo sulla strada buona per arrivare a un accordo». In realtà, è ormai opinione diffusa che l’affare sia destinato ad andare a monte, confermando così le perplessità di tutti quegli osservatori che – all’indomani della decisione del governo tedesco – criticarono l’eccessiva fiducia che Berlino riponeva nella forza economica di Magna. Il problema, infatti, è tutto economico: il governo tedesco aveva identificato in Magna l’unico soggetto in gara (l’altro era Fiat) in grado di investire denaro nella Opel. Ma con tutta evidenza la sostenibilità economica della proposta Magna non era all’altezza delle necessità di Opel.
Di contro, quanti identificavano la proposta Fiat come quelle industrialmente più forte – grazie soprattutto al know how torinese – ne suggerivano anche il valore intrinsecamente economico. Il fallimento della proposta Magna – se fallimento sarà – dimostra che tali considerazioni non erano del tutto sbagliate. È proprio alla luce di tutto ciò che il futuro di Opel è ancora in alto mare e che sono in molti, non più solo in Italia, a fare - sia pure sottovoce - il nome di Fiat.
il paginone
pagina 12 • 9 luglio 2009
L’enciclica “Caritas in Veritate”, un nuovo punto di riferimento per il
La teologia della di Savino Pezzotta segue dalla prima La prima attenzione è rispetto all’introduzione in cui, con molta chiarezza, è definito un nesso, una relazione, tra la dimensione della carità e la verità. La dottrina sociale della Chiesa trae il suo fondamento dalla carità, intesa come principio di relazione personale con Dio e il prossimo. Ma il Papa ci ricorda che essa vive nella verità e che questa dimensione la distingue da ogni altra filantropia. Si tratta di una chiara risposta a quanti vorrebbero racchiudere l’impegno dei cristiani solo nell’attenzione alle problematiche sociali, agli ultimi e ai poveri. L’attenzione, la cura e l’immedesimazione con il prossimo e i suoi problemi, è connaturale alla vita cristiana, ma rischia di immiserirsi se non collocata nella testimonianza della verità dell’annuncio. Credo che l’introduzione sia la vera griglia di lettura di questo documento complesso e molto articolato. Il testo sembra proporre una Weltanschauung nell’ottica di Romano Guardini, ossia la visione che si ha rispetto alla totalità della realtà concreta dei problemi e delle situazioni del nostro tempo. Siamo veramente di fronte a uno sguardo d’insieme sul mondo e sui problemi che l’uomo e la dimensione dell’umano devono affrontare. Per cercare di addentrarci, per cogliere e assumere questo sguardo d’insieme sul mondo e l’uomo, è bene richiamare alcune parole chiave dell’enciclica. Sono quelle parole che abbiamo imparato a conoscere attraverso il messaggio della Populorum Progressio di Paolo VI cui Benedetto XVI fa esplicito riferimento.
SVILUPPO Il termine è quanto mai abusato e ha assunto una connotazione esclusivamente economicistica, diventando quasi sinonimo di crescita e di accumulazione. L’enciclica cerca di riportarlo a una dimensione più umanistica, più centrata sulla dimensione integrale della persona e pertanto sulla vocazione intesa come risposta all’assunzione di responsabilità da parte di tutti. In questo contesto le visioni utopiche e ideologiche contrastano con una chiara idea di sviluppo e tra le moderne ideologie negative va sicuramente collocata quella tecno-economicistica che pretende di dominare ogni progresso. Come ogni altra condizione il progresso tec-
nico deve essere posto a servizio dell’umano e della dimensione dignitaria di ogni persona. Non è un caso che sia perciò proposto un collegamento tra etica della vita ed etica sociale. Lo sviluppo esige comunque che sia garantita la libertà responsabile della persona, poiché nessun organismo o istituzione può garantirlo negando o ponendosi al di sopra della libertà. Pertanto le situazioni di sottosviluppo non dipendono dal caso ma dall’esercizio della libertà responsabile. Ma come perseguire lo sviluppo per far uscire i popoli dalla fame, dalla miseria, dalle malattie endemiche e dall’analfabetismo? Sono temi che in questi ultimi anni, a seguito della crisi economica, si sono posti con nuova e maggiore virulenza. Il giudizio su com’è stata gestita l’ultima fase economica è molto critico, ma nello stesso tempo è salvaguardata la dimensione del mercato chiedendo che la crisi diventi occasione di discernimento e di nuova progettualità. Per questo serve uno sguardo attento sul mondo per coglierne la complessità e la policen-
“
La dottrina sociale della Chiesa trae il suo fondamento dalla carità, intesa come principio di relazione personale con Dio e il prossimo. Ma il Papa ci ricorda anche che essa vive nella verità
”
tricità. I tempi corti dei risultati immediati su cui si è concentrata la finanza e l’economia hanno mostrato i loro limiti e, anziché promuovere sviluppo, hanno generato nuovi fallimenti con effetti pesanti e disastrosi su milioni di persone e su tante famiglie dei paesi ricchi e di quelli poveri. Una visione miope che ha condizionato la politica (che ha lasciato fare) e ha inciso sull’azione sindacale (che non sempre ha colto i processi). Di fatto si sono indebolite le relazioni umane, è diminuita la fiducia e si sono lasciate crescere le disparità. Da qui l’esigenza di nuove regole e di una capacità d’intervento dello Stato che, nel rispetto della libertà individuale, del principio di sussidiarietà, definisca elementi di tutela e promozione della persona e dei popoli.
FRATERNITÀ La seconda parola è fraternità. Un termine che ai più appare come arcaico e fuori luogo ma che deve essere ripreso con chiarezza. L’enciclica pone il tema del dono e della gratuità e afferma che l’essere umano è fatto per questo. La nostra società ha obliato e
banalizzato la dimensione del gratuito e del dono più di ogni altra cosa: oggi si fanno i “regalini”. Tutto quello che si fa, sembra debba dare un guadagno e questa mentalità è penetrata in tutti gli interstizi della vita e anche in modo forte nella politica. La domanda fondamentale che ci si fa è “quanto mi conviene, cosa mi rende”. Un modo di essere che affonda le sue radici nell’autosufficienza e nell’individualismo egoistico, ma è soprattutto in campo economico che questa propensione si è fatta largo quando si è pensato e teorizzato che l’autonomia dell’economia non dovesse accettare influenze di carattere morale. Abbiamo sotto gli occhi quanto sia stato nefasto questo modo di pensare: alla fine ha ucciso la speranza. Recuperare la fraternità significa assumere la dimensione del “I care”: mi sta a cuore la persona, la sua dignità, anche quando agisco nel mercato. Il mercato, dice il Papa, si regge sulla fi-
il paginone
l pensiero cattolico sulla missione dell’uomo nella realtà attuale
a globalizzazione
9 luglio 2009 • pagina 13
mo tornati a parlare di etica. Credo che dopo l’euforia si senta la mancanza di qualcosa che dia senso al fare, all’agire e questo non può prescindere da una dimensione morale.
COOPERAZIONE Se mettiamo in fila le parole che abbiamo usato: sviluppo, fraternità, diritti/doveri, non si può non pervenire alla parola cooperazione. Il termine riguarda le modalità delle relazioni interpersonali, le forme del lavoro, il fare impresa e la nuova governance mondiale. Acquista rilievo il tema della cooperazione internazionale. L’enciclica non condanna la globalizzazione. Prende atto della sua esistenza e invita a starci con valori, proposte e capacità di governo dei fenomeni che l’accompagnano. Proprio per questo sollecita gli organismi internazionali a ripensarsi e interrogarsi sull’efficacia della loro azione. Si propone una più equa distribuzione
“
Il carattere morale dell’agire economico assume rilievo se il principio di gratuità e la logica del dono diventano elementi di orientamento, capaci di produrre leggi giuste e forme di ridistribuzione
”
delle ricchezze materiali e immateriali, la salvaguardia della dignità del lavoro e la ricerca della sua stabilità, con un richiamo alle organizzazioni sindacali ad aprirsi alle nuove possibilità e ai nuovi problemi. Ma si chiedono anche nuove strutture e modalità di funzionamento della finanza. Il discorso sul credito è molto interessante: è valorizzata la cooperazione, la microfinanza e tutte quelle forme che aiutano le persone a superare le difficoltà. La consapevolezza della crescita dell’interdipendenza mondiale spinge l’enciclica a proporre una riforma dell’Onu e dell’architettura economica e finanziaria internazionale. In pratica auspica il formarsi di una vera e propria Autorità politica mondiale.
GLOBALIZZAZIONE ducia, sull’incontro, sul contratto, ovvero sulla reciprocità. Quando questa relazione s’incrina qualcuno può anche arricchirsi o guadagnare, ma alla fine a soffrirne è tutto il corpo sociale. Da qui la necessità di un costante orientamento verso il bene comune non come somma dei beni particolari o l’intreccio dei corporativismi, ma come bene per costruire la vita buona di tutte le persone che abitano la terra. Nel fondare l’idea della giustizia sociale c’è una stretta relazione tra bene comune, fraternità e uguaglianza. Il carattere morale dell’agire economico assume rilievo se il principio di gratuità e la logica del dono diventano elementi di orientamento, capaci di produrre leggi giuste e forme di ridistribuzione. In questo contesto anche i modi di intendere l’impresa vanno cambiati e ricondotti alla responsabilità sociale, a forme di partecipazione di tutti i soggetti dall’impresa, ad assumere l’imprenditorialità e l’in-
traprendere in modo plurivalente e soprattutto umano. In questa prospettiva il ruolo della politica è importante tanto quanto quello della società civile. Le due cose devo-
nalista e comunitario in ogni campo e a ogni livello territoriale, nazionale e planetario.
“
Oggi le persone tendono a coltivare una logica dei diritti individuali senza preoccuparsi dei doveri che ognuno ha verso l’altro, la comunità locale e nazionale in cui vive, l’ambiente, il lavoro. C’è un’esasperazione della logica dei diritti e questo fa nascere una serie di problematiche sul terreno sociale e relazionale. La coniugazione dei diritti con i doveri diventa una necessità soprattutto di fronte al problema demografico, al concepimento, alla nascita e alla morte, alla tutela e promozione della famiglia, alla fame e alla povertà. È chiaro che rispondere alle esigenze morali più profonde delle persone e del loro vivere con altri ha ricadute benefiche sul piano economico. Non è un caso che proprio in questa situazione di turbamento economico sia-
Lo sviluppo esige che sia garantita la libertà responsabile della persona, poiché nessun organismo o istituzione può garantirlo negando o ponendosi al di sopra della libertà
”
no camminare insieme anche perché nei sistemi democratici sono sempre strettamente collegate. In questa dimensione di fraternità larga l’obiettivo è favorire un orientamento perso-
DIRITTI E DOVERI
Così come la Rerum Novarum fu l’enciclica della questione operaia, semplificando molto potremmo definire questa enciclica quella della globalizzazione, non solo perché affronta le questioni sociali, economiche, tecnologiche e politiche, ma anche perché obbliga e richiama i cristiani a pensare in modo complesso e globale. In ultima istanza li invita riscoprire l’universalità propria dell’essere cattolici. E mentre propone di agire per determinare nuovi traguardi di umanizzazione, invita a cogliere anche la dimensione teologica della globalizzazione. Leggendo queste parole mi sono ricordato Theilard De Chardin e ho pensato se il processo di planetarizzazione oggi in corso - che aveva con grande lucidità intravisto - non abbia bisogno di essere accompagnato da una “teologia della globalizzazione”, cioè di una riflessione che aiuti a cogliere nella globalizzazione i segni dei tempi e il sogno di Dio sull’uomo, sul mondo e sul cosmo.
panorama
pagina 14 • 9 luglio 2009
Energia. Il presidente della commissione Ambiente al Senato sulle riflessioni di Carlo Ripa di Meana
Un clima poco sereno, eppure variabile di Antonio D’alì articolo su liberal di Carlo Ripa di Meana insieme ai successivi approfondimenti scientifici a sostegno, costituiscono un importante contributo al dibattito sui cambiamenti climatici, e per l’autorevolezza delle firme, e per la chiarezza dei contenuti. Il Senato italiano mediante i lavori di ben tre commissioni permanenti , la VII “Ricerca”, la X “Industria ed Energia”, la XIII “Ambiente”, ed esercitando la propria funzione di indirizzo ha riaperto da oltre un anno questo dibattito cercando di schiodarlo dai luoghi comuni del catastrofismo imperante che ancora condiziona
L’
posizioni inglesi e da una non accorta interpretazione dei fatti politica della statunitense e della sua più recente evoluzione.
Ques to a nche perché sull’interpretazione allarmista si spende una massiccia influenza mediatica, al fine di recuperare visibilità e attirare risorse da spendere sul terreno del consenso, quella parte della scienza più fanaticamente progressi-
I governi dovrebbero impegnarsi sul fronte degli adattamenti, dell’efficienza energetica, del riequilibrio strategico delle fonti alternative l’azione dell’Ue, dell’Onu, e in parte anche del nostro governo, che alla coraggiosa posizione assunta dal Presidente Berlusconi al vertice europeo del 15 dicembre 2008 non è riuscito a far assumere, almeno sino ad oggi, una consequenziale posizione ai vertici del G8, apparendo tuttora fortemente condizionato dalle
st’ultima tra attività a carico degli Stati che aderiscono agli impegni “ex Kyoto” e di quelle a carico degli Stati che non aderiscono. I distinguo e le obiezioni di Cina e India sul taglio delle emissioni che le cronache attuali riportano in sede di negoziati, anche in questi giorni ne abbiamo avuta testimonianza, non fanno che confermare l’esigenza per l’Europa di non procedere per partito preso. Tra l’altro proprio in questo consesso occorre sempre ricordare come molti dei Paesi che si profes-
sta che con indefessa regolarità continua a propinare all’opinione pubblica mondiale come certezze scientifiche posizioni e punti di vista maturate trascurando l’importanza di un corretto calcolo dell’incidenza in termini percentuali delle emissioni di CO2, prima tra natura e azione umana, poi nell’ambito di que-
IL PROVINCIALE di Giancristiano Desiderio
sano virtuosi dell’ambiente, additando il rispetto dei vincoli del 20-20-20, sono in realtà mossi da interessi economici e di tutela nazionale che si materializzano quando la non negoziabilità degli accordi li mette in condizione privilegiata di esportare energie pulite ai quei Paesi in ritardo nel rispetto degli obiettivi.
Sulla base di queste considerazioni non ci stupisce l’attualità, da registrare con favore e soddisfazione, che sempre più numerose ed autorevoli voci, tanto dalla parte della scienza che da quella della politica, si levano preoccupate dal velleitarismo della lotta ai cambiamenti climatici su base “catastrofista” e dalla possibilità che i governi impegnino enormi risorse su questo fronte piuttosto che non su quello degli adattamenti, dell’efficienza energetica, del riequilibrio strategico delle fonti alternative e della protezione degli elementi essenziali dell’ambiente e della biodiversità. Un risultato è comunque raggiunto: il dibattito, come testimonia l’articolo di Ripa di Meana, è da considerarsi più aperto che mai. E noi intendiamo praticarlo con determinazione.
Il caso del comandante dei vigili Luigi Sementa, che ha arrestato due colleghi corrotti
Chi controlla i controllori napoletani? e cose che accadono a Napoli fanno notizia solo se sono stravaganti o drammatiche, in ogni caso napoletane. Questa volta la notizia è davvero singolare. Forse, addirittura una buona notizia o, almeno, così appare: il comandante dei vigili urbani, Luigi Sementa, ha arrestato personalmente due vigili mentre intascavano una mazzetta da 800 euro a piazza Dante sotto gli occhi del Poeta. Tuttavia, se il comandante dei vigili urbani avesse arrestato due delinquenti comuni, ancorché pericolosi, la notizia non avrebbe avuto rilievo alcuno: tutto sarebbe stato normale. Invece, i vigili che arrestano i vigili è una notizia straordinaria - nel senso autentico della parola: fuori da ciò che è ordinario - e i giornali napoletani giustamente l’hanno pubblicata con rilievo in prima pagina (mentre i telegiornali - non si capisce bene perché - l’hanno quasi ignorata).
L
I vigili sono dei pubblici ufficiali e la loro funzione è quella di controllare e garantire l’ordine istituito dalla legge, ma se la loro attività è inquinata dalla corruzione allora invece di controllare l’ordine della legge garantiscono il disordine della violazione della legge. Il diritto
diventa storto o rovescio e la legge crea l’illegalità e il sopruso. Le indagini fatte per l’arresto dei due vigili a piazza Dante fanno capire come gli stessi vigili abbiano utilizzato la forza della legge per richiedere la mazzetta: qui le cose non stanno a posto, ma noi chiudiamo un occhio, tu ci dai i soldi e tutto va a posto.
«Stiamo facendo pulizia nel corpo», ha detto il comandante Sementa, «è stata un’operazione per difendere anche la parte sana della polizia municipale. Continueremo». Una dichiarazione che rassicura solo a metà: Luigi Sementa (un comandante che a Napoli si fa rispettare ed è diventato in poco tempo un personaggio: si ricorderà la sua apparizione a Striscia la notizia per aver preso a schiaffi un giornalista) il Sementa, infatti, dice chiaramente che
c’è nel corpo dei vigili urbani una “parte malata”. Se ne deduce che l’episodio non è isolato e che la corruzione è diffusa tanto da dover «difendere la parte sana della polizia municipale». Insomma, il corpo dei vigili urbani deve svolgere il suo ruolo di controllo e garanzia, ma contemporaneamente deve vigilare anche su se stesso perché il “corpo è ma«Chi lato”. controlla i controllori» diceva Giovenale e a Napoli c’è la versione aggiornata: chi vigila sui vigili? Il comandante Sementa è la risposta.
Siamo in buone mani, lo sappiamo. Ciò che non sappiamo è se il lavoro necessario del comandante sarà anche sufficiente. Il corpo dei vigili urbani non solo a Napoli, in verità, ma in tutta l’Italia - è concepito come un corpo a sé
nel quale l’amministrazione comunale cioè il sindaco e la giunta - non desiderano mettere mano per almeno due motivi: perché non rompere equilibri e per evitare un fastidio. Se le cose non dovessero andare bene si potrà sempre intervenire e cambiare il comandante dando l’impressione di un pronto intervento e di una svolta che invece non verrà perché il cambio periodico della dirigenza risponde solo alla perpetuazione del “corporativismo urbano” che, come si vede, produce la malattia del corpo.
Il fenomeno delle indagini sulle forze dell’ordine e degli arresti “incrociati” vigili che arrestano vigili, carabinieri che arrestano carabinieri, magistrati che indagano su amministratori e deputati - è un sistema di controllo che le democrazie hanno per salvaguardare il loro stesso funzionamento che si basa su legge e ragione (la classica divisione dei tre poteri: esecutivo, legislativo e giudiziario). Il fenomeno, però, diventa patologico, quando la vita democratica non crea più legge e ragione e così consuma se stessa. La democrazia, alla lettera, si “arresta”. Paradossalmente, per mancanza di vigilanza.
panorama
9 luglio 2009 • pagina 15
Polemiche. Il responsabile della Sigo risponde alle critiche di Luca Volontè sull’opuscolo diffuso dal Coni
Il manuale “Travelsex”? È contro l’ignoranza di Mauro Boldrini gregio Direttore, in riferimento al commento dell’onorevole Luca Volontè pubblicato sabato 4 luglio dal titolo «Chi paga quel manuale di libertà sessuale?», intendiamo chiarire alcune questioni, di forma e sostanza, per non svilire, banalizzare o travisare l’importante progetto che la Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia (Sigo) sta portando avanti da anni sul fronte della sessualità consapevole.
la contraccettiva e preservativo: il cosiddetto “dopolandese”, pio strategia adottata dal Ministero della Salute olandese che ha dimostrato negli anni di ridurre significativamente gravidanze indesiderate e infesessuali. zioni Per sensibilizzare i più giovani (e più vulnerabili) abbiamo sempre cercato di indivi-
E
Questo progetto si chiama “Scegli tu” e si pone l’obiettivo di fornire risposte a emergenze concrete che riscontriamo ogni giorno nei nostri ambulatori: le interruzioni volontarie di gravidanza, in calo per tutte le fasce d’età tranne nelle under 20 e le malattie sessualmente trasmissibili (Mst), come la clamidia, decuplicata negli ultimi 10 anni e responsabile di gravi rischi anche per la fertilità futura. La Sigo è la più rappresentativa Società scientifica della ginecologia italiana e non può che proporre strategie di prevenzione a fronte di problemi emergenti. Siamo tecnici e non è nostro compito fornire valu-
getto “Scegli tu” ha riscosso negli anni molti consensi, come testimoniano le innumerevoli richieste di scuole e consultori che si avvalgono dei materiali realizzati. E in questo cammino abbiamo via via identificato partner importanti, come il Coni, che ci hanno sostenuto (ovviamente a titolo completamente gratuito) proprio perché convinti che l’educazione a una sessualità consapevole sia strettamente legata a una più generale formazione alla salute e al rispetto di sé.
Abbiamo anche sempre mantenuto ottimi rapporti con
tito franco su questi temi. Con il Sottosegretario Roccella lavoriamo anche in altri ambiti, come l’infertilità, nell’assoluto rispetto dei ruoli e con la massima collaborazione e considerazione reciproca. La guida che lei critica, riporta in copertina una pillola contraccettiva (e non abortiva) e un preservativo: due dispositivi che riteniamo essenziali ma non sufficienti per tutelare i nostri giovani, convinti come siamo che sia necessario investire di più e in modo strutturato sull’informazione perché si possa raggiungere una vera prevenzione. È questo l’obiettivo di “Scegli tu”, un progetto reso possibile, come spesso accade quando il promotore è una Società scientifica, da un educational grant di un’azienda. Il che non implica alcuna ingerenza nei contenuti o negli obiettivi, definiti da Sigo sulla base di valutazioni esclusivamente di tipo medico-scientifico.
Una pubblicazione dai contenuti scientifici, non rivolta a persone “ossessionate dall’istinto sessuale” bensì ai tanti giovani poco informati tazioni etiche sulle scelte individuali, sui valori personali o sui principi educativi. Noi siamo chiamati a definire soluzioni percorribili per salvaguardare la salute: queste soluzioni, come indicano anche le esperienze internazionali, si basano sulla promozione di una sessualità consapevole, che prevede l’utilizzo combinato di pillo-
duare strumenti appropriati e accattivanti, come l’opuscolo “Travelsex” a cui l’articolo si riferisce. Una pubblicazione dai contenuti scientifici impeccabili, che non è rivolta a persone «ossessionate dall’istinto sessuale» bensì ai tanti giovani che a settembre rischiano di finire nei nostri ambulatori solo perché poco informati. Il pro-
le Istituzioni. Proprio l’onorevole Roccella, citata nell’articolo, è intervenuta martedì 30 giugno a un convegno da noi promosso sull’educazione sessuale. Occasione in cui ha potuto esprimere il suo dissenso sulla nostra proposta (introdurre questo tema nelle scuole in maniera strutturata) nella miglior tradizione di un dibat-
Primarie. Tra l’etica di Marino e la restaurazione di D’Alema-Bersani, tutti aspettano Franceschini
Dario e l’enigma del programma di Antonio Funiciello
ROMA. Non sarà trendy chiamarle piattaforme programmatiche, ma in qualche modo bisognerà pure chiamarle le linee politiche di chi si candida a guidare il Pd. E toccherà esplicitarle, spiegarle a iscritti ed elettori democratici che, al momento, non hanno capito su cosa litigano i big nazionali. Eccezion fatta per una minoranza di quadri di partito per i quali i rispettivi richiami identitari (exPci per Bersani ed ex-Dc per Franceschini) ha sortito l’immediato effetto di un allineamento, quanto non di un goffo richiamo alle armi, nei circoli locali dilaga un forte spaesamento. Il più atteso in tal senso è l’attuale segretario Franceschini, che dopo il discusso annuncio su internet della sua ricandidatura, è chiamato a chiarirne i contenuti.
rio nazionale del maggiore partito del centrosinistra italiano (che è poi anche il candidato premier alternativo a Berlusconi), è un leader politico che si occupa soprattutto d’altro. Di crisi economica, di disoccupazione e precarietà del lavoro, di assetti istituzionali, dei problemi dell’istruzione pubblica. Tutti temi su cui Marino avrà pure una sua personale idea, eppure è lontano
Dopo il seminario di Norcia, il segretario ancora non ha scoperto le sue carte. E così gli altri puntano tutto sulla possibilità del «governissimo»
Ignazio Marino, che accattiva le simpatie della sinistra radical chic metropolitana, è il candidato alla segreteria che più degli altri ha cercato di tematizzare il suo impegno, ma ad oggi con poco successo. Marino è uno scienziato brillante e autorevole sui temi eticamente sensibili. Ma il segreta-
dall’avere un posizionamento politico complessivo. Ecco perché D’Alema ha deciso di salutare con simpatia la discesa in campo dello scienziato e non rendere pubblica l’iniziale disapprovazione che aveva per tempo comunicato a Marino. Del resto D’Alema, da par suo, spadroneggia come se il candidato segretario fosse lui e non Bersani. Conoscendolo, era inevitabile e, difatti, alla prima festa dell’Unità (il Democratic Party di Roma) ha avuto modo di ribadire il concetto. La corsa alla segreteria democratica somiglia così sempre di più alle elezioni argentine del ’73, a cui il go-
verno militare del generale Lanusse aveva impedito che Peron partecipasse. Vi prese parte il peronista di sinistra Hector Campora al grido «Campora al gobierno, Peron al poder» e quelle elezioni le vinse. Non un buon auspicio per Bersani, perché Campora si dimise due mesi dopo la vittoria, per lasciare spazio al breve ritorno di Peron.
Oggi la strategia dalemiana del «Bersani alla segreteria, D’Alema al potere» si articola, nel dibattito interno, nel proposito di destrutturazione del Pd veltroniano, con la cancellazione delle primarie e della vocazione maggioritaria. In quello esterno, invece, con la minaccia di «scenari imprevedibili», per cui quando il gioco che si fa duro, i duri cominciano a giocare. È un messaggio semplice diretto anzitutto ai quadri di partito e agli amministratori locali: se Berlusconi cade, chi meglio del gruppo di leader che appoggia Bersani (ovvero quasi tutto il secondo governo Prodi) può prendere la situazione in mano? Quello del governissimo con D’Alema in campo in prima persona sarà, insomma, un tema su cui il Pd discuterà ancora.
L’autore è direttore comunicazione Sigo e responsabile del progetto Travelsex
mondo
pagina 16 • 9 luglio 2009
Ue. All’Europarlamento i conservatori britannici e gli indipendentisti dell’Uikp guidano nuovi gruppi. La Lega con i duri e puri
L’onda euroscettica si divide in due di Enrico Singer appuntamento è per il 14 luglio a Strasburgo. Nella prima seduta plenaria del nuovo Parlamento europeo, la grande ondata euroscettica emersa nel voto di giugno si distribuirà in due nuovi gruppi che cambieranno il volto politico dell’assemblea. E che, non a caso, saranno entrambi guidati da partiti della Gran Bretagna, il Paese più freddo nei confronti del progetto comunitario così come lo immaginarono i padri fondatori di un’Europa che inseguiva un disegno federale. I conservatori britannici - che nella precedente legislatura si erano uniti ai popolari formando un gruppo che si chiamava Ppe-de - hanno dato vita al nuovo gruppo antifederalista che è stato battezzato Riformatori e conservatori europei al
L’
quale hanno già adertito 55 parlamentari. Gli autonomisti britannici dell’Ukip (United Kingdom Indipendence Party) hanno invece costituito il gruppo Europa della Libertà e della Democrazia, che comprende anche la Lega Nord e che può già contare su 31 deputati. Numeri che potrebbero ancora aumentare perché c’è tempo fino all’ultimo momento per aderire ai grup-
be comunque superiore al numero dei deputati - ottanta - del gruppo liberale (Alde) che nella scorsa legislatura era la terza forza dell’Europarlamento con 101 parlamentari dietro popolari e socialisti.
I due gruppi maggiori mantengono le loro posizioni, anche se con notevoli scossono interni perché i popolari hanno perso l’alleanza con i conservatori britannici e i socialisti hanno dovuto cambiare il nome del loro gruppo per consentire l’adesione dei 21 deputati del Pd italiano. Così almeno 264 parlamentari hanno già optato per il Ppe, 161 per l’ex Pse, che assumerà il nome di Asde.Tra gli altri gruppi che erano già presenti a Strasburgo si sono ricostituiti i Verdi ai quali si è iscritto anche Christian Engstroem, l’unico eurodeputato sve-
Insieme hanno già 86 deputati e superano i liberali che erano finora la terza forza dopo popolari e socialisti. Il polacco Jerzy Buzek verso la presidenza pi politici. Ma anche se il totale delle due formazioni euroscettiche dovesse rimanere fermo all’attuale risultato delle campagne acquisti - 86 parlamentari - sareb-
Parla il “paladino” dei nazionalisti olandesi che forte della vittoria di giugno guida la carica dei No a Bruxelles
L’urlo di Wilders Punto sui musulmani, non sull’Islam. Gordon Brown? È il più codardo di tutti di Sergio Cantone
BRUXELLES. Al nebbioso confine tra l’ostilità verso lo straniero e la “politically correct” difesa dei diritti di donne e omosessuali, c’è un’isola. È situata lassù, nel mare del nord, in
Olanda. Si tratta del Partito della Libertà (nella sua gamma arancione e non azzurra beninteso) di Geert Wilders, erede ideologico di quel Pym Fortuyn ucciso nel 2002 da un militante animalista di sinistra. Per capire Wilders occorre evocare l’odiato Pym Fortuyn, dandy gay e cattolico, che la attinse sua popolarità da un gesto semplice. Strappò la maschera liberal della “tollerante Olanda”.
zione degli immigrati che veniva portato ad esempio per tutti mostrò tutte le sue crepe strutturali. Geert Wilders dice di ammirare Toqueville, è una prova di liberalismo, e distingue tra il musulmano come individuo e l’Islam come religione. Dice di temere la seconda e di voler investire sul primo. Ma la sua retorica sembra cavalcare il nazionalismo di ritorno che si aggira per l’Olanda. Ne è la prova il suo successo alle elezioni europee, che ha attinto dal capitale politico del “nee”all’Europa. Europa e Islam, due bersagli facili, ma che fanno cadere in contraddizione chi li vuole affrontare di petto e contemporaneament. E questo vale anche per Geert Wilders, leader
“
L’immigrazione di massa e l’islamizzazione delle nostre società ci costeranno la libertà e la democrazia che abbiamo faticosamente conquistato Da allora nulla nei Paesi Bassi è stato più come prima. E il modello di integra-
”
olandese, cattolico ed ex del Partito Liberale: «Sono estremamente preoccupato per il futuro dell’Europa. Penso che l’Europa sia proprio un bel continente con Paesi forti, ma sfortunatamente l’immigrazione di massa e la conseguente islamizzazione delle nostre società ci costeranno la nostra libertà». Ma perché pensa che l’I-
slam sia una minaccia per l’Europa, che cosa la spaventa? Innanzi tutto vorrei fare una distinzione tra la dimensione ideologica, religiosa dell’Islam e la gente. Non ho nulla contro i musulmani, non ho nulla contro la gente, ho un problema con l’ideologia che viene dall’islam. Credo che sia un’ideologia totalitaria, impossibile paragonarla
con altre religioni, piuttosto con altre ideologie totalitarie come il comunismo e il fascismo. E nell’ideologia islamica non c’è spazio per nient’altro che l’Islam. Ed è questo che dovremmo temere. Non pensa che ridurre l’Islam a un’ideologia totalitaria sia pericoloso da un punto di vista intellettuale? Molti musulmani stanno
mondo
9 luglio 2009 • pagina 17
dese eletto nelle liste del Partito dei pirati che, a sorpresa, aveva ottenuto il 7,1 per cento dei voti facendo campagna per scaricare gratuitamente files da internet. Con l’adesione di Engstroem, il gruppo degli ambientalisti sale a 55 membri su un totale di 736 seggi. È scontata, invece, la fine del gruppo Uen (Unione per l’Europa delle nazioni) di cui facevano parte i deputati di An - entrati ormai nel Ppe attraverso il Popolo delle Libertà - e quelli della Lega che si sono spostati nella nuova creatura Europa della Libertà e della Democrazia insieme agli euroscettici britannici dell’Uikp. In questo gruppo siederà anche Matteo Salvini che si è dimesso dal Parlamento italiano preferendo quello europeo dopo la polemica scoppiata per la sua sconcertante esibizione alla festa della Lega di Pontida in cui aveva definito i napoletani «colerosi e terremotati». Salvini, esponente di primo piano della Lega Nord, è anche capogruppo al consiglio comunale di Milano.
A Strasburgo già lo chiamano il gruppo degli euroscettici duri e puri che, attorno al nucleo forte di Uikp e Lega (rispettivamente 13 e 9 parlamentari), raccoglie deputati di diversi partiti minori: due greci del Laos, due olandesi del ChristenUnie, due danesi del Folke-
parti, un finlandese del partito Vaaliliitossa e un eletto in Irlanda del Nord. Euroscettici duri e puri per distinguerli da quelli, considerati più moderati, che si sono riuniti nel gruppo dei Riformatori e conservatori europei sotto la spinta dei conservatori britannici. Alla nuova creatura hanno aderito i 9 deputati di Obcanská demokratická strana (partito democratico civico) del presidente della Repubblica ceca, Václav Klaus, e i 15 membri del Prawo i Sprawiedliwosc (Diritto e Giustizia) dei gemelli polacchi Kaczynski. In questo gruppo entreranno anche il nazionalista francese Philippe de Villiers e i 4 eurodeputati olandesi del Partij voor de Vrijheid (partito della Libertà) di Geert Wilders. L’ondata euroscettica, comunque, non dovrebbe cambiare il risulato previsto per la prima votazione importante: quella per eleggere il nuovo presidente del Parlamento che sarà, per i prossimi due anni e mezzo, il popolare polacco Jerzy Buzek con la benedizione dei socialisti-democratici dell’Asde ai quali andrà la presidenza della seconda metà della legislatura. Dopo il ritiro della candidatura dell’italiano Mario Mauro, la strada di Buzek dovrebbe essere tutta in discesa.
nelle nostre società, portandole così a un profondo cambiamento. Avremo quello che sta già accadendo nel Regno Unito, dove ci sono ottantacinque corti islamiche già funzionanti, dove una donna vale meno di un uomo, dove gli omosessuali potrebbero essere uccisi. Questo genere di leggi anti-democratiche, la sharia, sono parte integrante dell’ideologia islamica, e si stanno diffondendo in Europa. Lei ha detto una volta che tutti i musulmani che vogliono l’introduzione della sharia dovrebbero lasciare l’Europa. Conferma? Penso che l’adozione della sharia sia la fine della democrazia. Chi confida nella sharia, ritiene che tutti i non musulmani, i dhimmi, si debbano
“
altri. E le elite politiche europee li lascerebbero fare in nome del “politically correct”, perchè sono dei relativisti culturali, pensano che tutte le culture siano uguali. Gordon Brown, il primo ministro britannico, è il più grande codardo d’Europa, mi ha cacciato via dalla Gran Bretagna quando volevo entrare solo per mostrare un film e fare un dibattito alla Camera dei Lord. Questo è il tipo di leader che abbiamo oggi in Europa, e dovrebbero essere destituiti e rimpiazzati da leader più coraggiosi. Brown è il Chamberlain europeo del 2009. Lei è contro la Turchia in Europa… Sicuramente. Non ho nulla contro la Turchia, è un’alleata rispettabilissima nella Nato e una buona amica del popolo olande-
Turchia? No, grazie. Sono dei buoni vicini di casa ma non fanno parte della famiglia. Stessa cosa per l’Ucraina. L’errore? Far entrare nella Ue Bulgaria e Romania: troppo corrotti
Una delle tante manifestazioni anti europee che negli ultimi mesi si sono tenute a Bruxelles da parte dei movimenti indipendentisti. In alto, Jerzy Buzek, il polacco candidato alla guida del Parlamento Ue. A fianco, Matteo Salvini, il leghista che ha cantato slogan contro i napoletani e che siede all’europarlamento. A sinistra, Geert Wilders
lottando per la libertà in Iran... Non ho nulla contro la gente e penso che dovremmo investire sui moderati musulmani. Ma non credo in un Islam moderato capace di guardare alla separazione fra Stato e Chiesa. Come fa a separare il concetto di Islam nel suo insieme, che lei definisce“totalitario”, e il singolo indivi-
duo musulmano potenzialmente moderato? Ammetto che la maggioranza dei musulmani nelle nostre società occidentali non sono estremisti, non sono terroristi, sono gente normale come me e come lei. E credo che non ci sia nulla di sbagliato in tutto ciò, ma penso che con più immigrazione avremo più cultura islamica e identità islamica e ideologia islamica
attenere alle regole o rischiare la morte.Stesso concetto per donne e omossessuali, che potrebbero avere un’esistenza terribile in una società retta dalla sharia. Sicchè credo veramente che se sei in un Paese e sei favorevole all’adozione della sharia ci sia ben poco da fare per te. Mi scusi ma… No, la legge della Sharia è chiarissima… …le corti islamiche nel Regno Unito non impiccano gli omosessuali. No, ma hanno una legge basata sul Corano. E se cominciamo ad agire come lei suggerisce, se cominciamo a dire che in fondo è solo una questione di diritto civile e che non riguarda il codice penale vedrà che ci sarà un altro passo e poi un altro ancora. Dobbiamo dire no alla sharia nelle nostre società occidentali, europee e libere, perché dopo un primo passo potrebbero essercene
”
se. Ma credo che non sia un membro della famiglia, essere un buon vicino non è come essere un membro della famiglia, e poi è un Paese islamico. Aprirebbe la porta all’Ucraina ? No, penso che nessun’altro Paese dovrebbe aderire all’Ue. Sarei addiritura favorevole all’espulsione di Romania e Bulgaria. Il mio partito ha votato contro il trattato di ratifica nel parlamento olandese per l’accesso della Romania e della Bulgaria. Perché, che problema avete con loro? Il popolo olandese pensa che l’Europa sia già stata abbastanza allargata. Sono contrari ad altri Paesi nell’Ue. Condivido le loro opinioni, dovremmo avere una piccola Europa, con poche competenze, piuttosto che una grande e troppo influente. E poi ritengo che Bucarest e Sofia non fossero pronti all’adesione. Sono troppo corrotti.
cultura
pagina 18 • 9 luglio 2009
Ricostruzione. Parallelamente allo sviluppo della grande scuola di De Sica e Zavattini, il nostro cinema popolare si preparò a parodiare il Paese reale
Nuova commedia Italia Tutto cominciò con “Fabiola” di Blasetti. Così, accanto al neorealismo, scoprimmo i comici di Orio Caldiron a lunga gestazione di Fabiola – dall’avvio del progetto al primo trattamento sottoposto al giudizio preventivo dei critici più autorevoli, dai numerosi rifacimenti della sceneggiatura con gli apporti di uno stuolo di professionisti e di scrittori alla laboriosa formazione di un cast internazionale, dai travagliati problemi finanziari di un budget inconsueto per l’epoca alle difficoltà di una lavorazione iniziata al Centro Sperimentale di Cinematografia, proseguito prima a Cinecittà e poi all’Arena di Verona – è per tanti versi una delle storie di set più “romanzesche” e esemplari del cinema italiano che, alimentata dall’inevitabile fioritura di aneddoti, si snoda lungo l’arco di quasi due anni dal 1947 al 1949, quando il kolossal di Alessandro Blasetti arriva finalmente sugli schermi italiani.
L
corrisponde un consolidato repertorio dell’immaginario popolare.
La capacità blasettiana di pensare in grande non penalizza il film nel segno della magniloquenza esteriore, come lascia intendere parte della critica d’epoca, ma riesce piuttosto ad attribuire un empito energetico e sostenuto alle ambizioni
successo popolare del periodo, il campione di incassi che fa da spartiacque tra la fase iniziale del dopoguerra, conclusa con la sconfitta delle sinistre alle elezioni del 18 aprile 1948, e il progressivo avanzare della guerra fredda, tra la parabola, breve e circoscritta, ma profondamente innovativa del neorealismo e l’avvio della lunga stagione del postneorealismo. Il regista non manca di polemizzare con i critici che, preoccupati di sottolineare soprattutto i limiti della «grossa macchina», non colgono i pregi del film e tantomeno il suo ruolo in termini di lunga durata, ma si guarda bene dal proseguire per la stessa strada preferendo per Prima comunione (1950), l’ultimo film con l’Universalia, i toni più dimessi del cinema di commedia. Se prima si era reso necessario l’intervento di ben quattordici sceneggiatori, l’imponente schieramento di forze si riduce ora al solo Cesare Zavattini.
In origine ci fu una grande impresa cinematografica capace di conciliare il supercolosso antico romano e l’attualità
Il rapporto di grande sintonia tra «il regista con gli stivali» e il produttore Salvo D’Angelo risale ai tempi di Un giorno nella vita (1946), realizzato con l’Orbis Film prima del passaggio del testimone all’Universalia. La nuova società riprende con rinnovata energia l’ambizioso proposito di far decollare in Italia una produzione di ispirazione cattolica, che fino ad allora non era andata oltre qualche sporadica sortita, avviando insieme inedite forme di coproduzione internazionale. Il progetto di Fabiola – e cioè di una grande impresa cinematografica capace di conciliare il supercolosso antico romano e l’attualità neorealista, l’ispirazione religiosa e l’attrattiva spettacolare – sembra al regista e al produttore l’occasione giusta, confermata dalla possibilità di attingere ad un “classico” della narrativa edificante a cui
spettacolari del racconto. Se i nuovi maestri del neorealismo sembrano rinunciare alle lusinghe dello spettacolo e alle risorse della messinscena, mettendosi da parte per far posto alla “realtà”, il regista di Fabiola si compiace, come gli autori di formazione classica, di far sentire la sua presenza nella studiata definizione delle inquadrature, nella complessità dei movimenti di macchina, nella scansione drammaturgica del montaggio. Non si può negare tuttavia che l’intero impianto del film sia subordinato ai richiami dell’attualità, dal rientro dei reduci dopo le lunghe peregrinazioni in terre lontane alla forzata clandestinità dei cristiani dei primi secoli, in cui si avvertono gli echi della resistenza antifascista. I temi della pace, della giustizia, dell’uguaglianza sono al centro della rilettura del passato alla luce della più viva contemporaneità. Il primo kolossal di fine anni Quaranta è anche il grande
Sulla scia delle incursioni di Alessandro Blasetti nel cinema di intrattenimento, si muovono con grande disinvoltura registi come Pietro Germi che da In nome della legge (1949) e Il cammino della speranza (1950) accetta di realizzare La presidentessa (1952), una pochade fuori dalle sue corde. La crisi si riconferma con Gelosia (1953), cupo melodramma d’ambientazione siciliana, in cui il linguaggio “fisico”del suo cinema gira a vuoto. L’insoddisfazione del «grande falegname», ridotto a quelle che egli stesso considera esplicitamente mere «prestazioni d’opera», rimanda certo al disagio esistenziale, alla sua biografia privata. Ma siamo sicuri che non c’entrino per nulla il cambiamento in corso dell’immaginario cinematografico e l’avventurosa improvvisazio-
Due manifesti di “Fabiola”, il kolossal girato tra il 1947 e il 1949 da Alessandro Blasetti e che segna l’inizio di una nuova tradizione cinematografica: quella che apre la strada alla commedia popolare. A sinistra, una celebre scena della “Cena delle beffe” con Amedeo Nazzari e Clara Calamai. Nella pagina a fianco, il regista con Mastroianni, nel 1955, sul set di “Peccato che sia una canaglia”
cultura moderno all’insegna dell’irrealtà che sembra vera. Finita la fase dell’apprendistato tecnico, in cui prevalgono le esigenze della committenza, può ora avventurarsi nel progetto di Pane, amore e fantasia (1953), che all’inizio non trova un produttore. Nessuno si è ancora accorto che il regista milanese è perseguitato dalla maledizione del successo. Se i film di transizione sono andati bene, il nuovo film sarà il campione d’incassi della stagione, e uno dei maggiori successi del cinema italiano.
Il caso più curioso è quello di Mario Soldati. Il suo iperattivismo gli fa girare nel periodo una decina di film per le più diverse società. Botta e risposta (1950), prodotto da Dino De Laurentiis, è un indovinato film rivista che – grazie alla presenza di Louis Armstrong, Katherine Dunham, Ella Fitzgerald, i Nicholas Brothers – acquista oggi il valore aggiunto di documento. Con il marchese Nicolò Theodoli della Ics, specializzata in produzioni di serie B, il regista firma È l’amor che mi rovina (1951), O.K. Nerone (1951), Il sogno di Zorro (1952), tre scalcinati film comici con Walter Chiari. Il più divertente è O.K. Nerone che contamina i moduli della parodia, ricorrente nel cinema comico dell’epoca, con i ritmi della rivista e del musical. Il numero di Walter Chiari e Carlo Pampanini che, truccati da africane, decantano le loro qualità al mercato delle schiave, è esilarante. Se a lungo andare il gioco delle trovate avveniristiche è stucchevole, la complicità che si crea tra i due sciagurati e Nerone-Gino Cervi è tra le trovate più estrose del film.
ne di un’industria, incapace, nonostante il rilevante incremento quantitativo, di assestarsi su adeguati standard produttivi?
Non meno interessante l’atteggiamento di Luigi Comencini che dopo un esordio d’autore con un film importante come Proibito rubare (1948) non esita a compromettersi con un film comico come L’imperatore di Capri (1949), che considera estraneo al suo temperamento, anche se guadagna il sesto posto nella classifica della stagione. Il passaggio dal comico al melodramma avviene con Persiane chiuse (1951). La professionalità artigianale del regista ha la
meglio sulla banalità della vicenda ambientata nel mondo della malavita, tra bische e locali notturni, dove un padre cerca la figlia, finita nel giro della prostituzione. Il film va così bene al botteghino che Carlo Ponti e Dino De Laurentiis – hanno appena lasciato la Lux per mettersi in proprio – vogliono subito fare il bis con La tratta delle bianche (1952). L’abilità di Comencini è notevole. In entrambi i casi il massimo distacco dalla greve materia narrativa si salda alla capacità mimetica di riprodurre gli stereotipi del film francese di mala e le atmosfere ambigue del noir americano, dando vita a un racconto disinibito e
Soldati ritrova sulla sua strada Ponti e De Laurentiis, con cui fa i due film salgariani, I tre corsari (1952) e Jolanda la figlia del corsaro nero (1952), girati in contemporanea con la stessa troupe. Anche quando vanno all’arrembaggio, i pirati cercano di farlo con cautela perché si dispone soltanto di mezza nave inchiodata sulla spiaggia a Palo, vicino al Castello Odescalchi. Il regista torinese, che non ha certo il mito di Salgari, si muove con assoluta disinvoltura e sovrano divertimento nell’affabulazione avventurosa dello scrittore, prendendosi tutte le libertà possibili come un guastatore deciso a mandare all’aria i ricordi infantili dei lettori spettatori più devoti e meno disponibili all’irriverenza della sua decostruzione. Naturalmente c’è chi si strappa i capelli, trovando insopportabili e grossolane simili incursioni nel cinema di consumo più corrivo, e tira un respiro di sollievo quando il regista ritorna alla cineletteratura con La provinciale (1953), più in li-
9 luglio 2009 • pagina 19
nea con i film importanti di qualche anno prima.
La disponibilità di Mario Soldati – all’epoca sembra a molti eccessiva, sgangherata, irresponsabile – può anche essere l’espressione dell’allegra dissipazione di uno straordinario talento letterario che, costretto a lavorare per il cinema, scopre masochisticamente di non riuscire mai a toccare il fondo, per quanto brutti e sconclusionati siano i suoi film. Ma nella carnevalizzazione del ruolo dell’autore, nel cinema capovolto di uno dei «peggiori registi italiani» c’è qualcosa di più. Si avverte la lungimirante prefigurazione del cambiamento epocale implicito nell’imminente avvento della televisione italiana, che
Il primo kolossal degli anni Quaranta fa da spartiacque anche con I’inizio della guerra fredda
dopo le prove tecniche degli anni precedenti debutta il 3 gennaio 1954. Sarà un caso ma il primo film trasmesso nel giorno dell’inaugurazione è Le miserie del signor Travet. Nei palinsesti successivi appaiono anche È l’amor che mi rovina, Policarpo ufficiale di scrittura, Piccolo mondo antico, Daniele Cortis. Nel dicembre 1957 – dopo un’apparizione al Musichiere, mentre Carla Del Poggio sostituisce l’amata Alida Valli in Piccolo mondo antico – il primo sceneggiato tratto da un romanzo italiano – lo scrittore, microfono in una mano e ombrello nell’altra, diventa uno dei più popolari personaggi televisivi con Viaggio nella valle del Po alla ricerca dei cibi genuini, storico programma gastronomico antropologico oggetto in Un, due, tre della memorabile parodia di Ugo Tognazzi e Raimondo Vianello.
Sarebbe un errore farne un caso personale, trascurando lo scenario più ampio dei processi di trasformazione dell’industria culturale, i segnali prima
latenti e poi sempre più generalizzati della contiguità tra il cinema degli anni cinquanta e la televisione ai suoi primi passi. L’antidivismo degli attori presi dalla strada del neorealismo in crisi si mescola al divismo minore e maggiore (maggiorato?) dei panamorefantasia e dei poverimabelli prima di confluire nella «domenica della buona gente», alimentando le fortune dei programmi tv che sembrano attingere a piene mani dalla irrealizzata progettistica zavattiniana e più in generale neorealista. Il palinsesto della prima televisione nazionale non solo si alimenta di cinema presentando cicli di film, destinati a moltiplicarsi nella proliferazione selvaggia dei decenni successivi, ma assorbe spunti, suggestioni, interferenze del panorama cinematografico del periodo, dall’inchiesta al film a episodi, dall’adattamento letterario ai fatti di cronaca, fermandosi solo davanti alla irriducibilità dei generi forti, dal peplum al western, nei confronti dei quali scattano meccanismi di rimozione e di censura. Certo, il comico e la commedia sono inve-
ce i generi che, nel momento in cui incrementano l’omologazione del pubblico, favoriscono insieme il passaggio al nuovo mezzo di comunicazione dei protagonisti dell’intrattenimento, gli attori e gli sceneggiatori, i corpi e le parole.
Negli sguardi incrociati tra gli artigiani della regia e il mondo della produzione cinematografica, la sintonia implica la complementarietà, la solidale ma fragile reciprocità all’interno di un sistema fatto di compromessi e di assestamenti, in cui nessuno può fare da solo, nessuno ha interesse a dire che il re è nudo. Non appena si aggiunge un posto a tavola per la televisione, il convitato di pietra, si rimettono in discussione antiche alleanze e tenaci complicità, si riaprono i giochi di ruolo e di potere. Cambiare diventa necessario. Il cinema che è diventato televisione dovrà cedere il passo al nuovo cinema che si delinea alla svolta di fine anni cinquanta per esplodere all’inizio dei Sessanta.
cultura
pagina 20 • 9 luglio 2009
i sa che gli americani adorano mettere tutto in classifica. Sarà lo spirito protestante che declina la lettura di ogni fatto in ambito competitivo, sarà l’innata abitudine alla semplificazione, fatto sta che neppure i libri si salvano. Tanto che, di tanto in tanto, un’università, piuttosto che una fondazione culturale o una rivista, stilano la loro classifica dei libri considerati migliori, per aprire dibattiti interminabili sulle immancabili e sorprendenti inclusioni o esclusioni. Un modo intelligente, poco in voga in Europa, per dare il destro a spassose e serissime discussioni critiche, che appassionano non solo gli addetti ai lavori, ma anche i tanti lettori americani. La rivista newyorkese Newsweek si è inventata una classifica diversa dalle solite. Aveva già compilato la propria Top Fifty Books; stavolta Peter Bernstein e Annalyn Swan hanno cercato di ridurre il livello di discrezionalità che presiede alle scelte.
S
Hanno così selezionato dieci delle classifiche dei libri migliori di sempre del canone occidentale, mettendo insieme elenchi più autorevoli da un punto di vista critico (come quelle del St. John’s College o della New York Public Library) e indici più “commerciali” (dal Club dei libri della conduttrice televisiva Oprah Winfrey alla classifica dei bestseller di Wikipedia). Alcune di queste liste comprendevano solo romanzi, altre un mix di narrativa e varia saggistica. Alcune solo titoli del Novecento, altre libri che sprofondavano nel tempo fino agli albori della civiltà occidentale. Quattro i più importanti criteri di riferimento nella scelta delle dieci classifiche: l’impatto del singolo volume sulla storia umana, il contributo reso alla crescita culturale, la modernità e l’attuale popolarità. Selezionate le dieci classifiche, è cominciata l’opera di combinazione dei dati acquisiti. Quando due libri acquisivano lo stesso punteggio, la ricerca su Google della frequenza dei risultati trovati inserendo il titolo dell’opera e il nome del suo autore, stabiliva definitivamente le gerarchie. Risultato: una meta-classifica (meta-list) dei 100 libri più apprezzati oggi dal lettore americano. Medaglia d’oro a Leone Tolstoj e al suo memorabile Guerra e pace; argento a 1984 di Orwell e bronzo all’Ulisse di Joyce. L’assenza sul podio di un libro americano è rilevante, ma non deve impressionare. Nei 100 titoli in classifica
Top 100. Tolstoj, Orwell e Joyce guidano la classifica di ”Newsweek”
Le migliori pagine della nostra vita di Antonio Funiciello
Colpisce subito l’assenza di americani sul podio, ma in realtà sui 100 titoli in lista, ben 46 provengono dagli Stati Uniti ben 46 sono di autori americani e 34 britannici; un totale di 80 a cui, aggiungendo i due irlandesi Joyce e C. S. Lewis, tornato alla ribalta con le Cronache di Narnia, e il nigeriano Chinua Achebe, fa 83 libri in lingua inglese. Un solo libro in lingua spagnola (Cent’anni di solitudine),
quattro in francese (Flaubert, Rousseau, Proust e Tocqueville), due in tedesco (Marx e Freud), due in russo (Anna Karenina e Guerra e pace di Tolstoj) poi il cinese Mao, le Confessioni di Sant’Agostino, tre libri in greco antico (Omero, Erodoto e Tucidide), la Bibbia e, infine, la Commedia di Dante e il Principe di Machiavelli. Settantatre i romanzi, 5 libri di poesia (Omero, Dante, Milton, Shakespeare, Whitman), 3 testi teatrali e tutti del Bardo, 19 libri di varia umanità (filosofici, sto-
Qui sopra, Leone Tolstoj che si aggiudica il primo posto di ”Newsweek” con il suo ”Guerra e pace”. A sinistra, George Orwell, secondo, e a destra il terzo, James Joyce
rici, scientifici, etc.). Il Novecento la fa da padrone con 73 titoli (43 della prima metà, 30 della seconda), lasciando gli altri secoli a dividersi le briciole. La classifica è reperibile sul sito internet di Newsweek.
Gli americani, a conti fatti, leggono quasi esclusivamente libri scritti nella loro lingua. Malgrado siano il popolo più meticcio d’Occidente, l’inglese è la lingua egemone. Ciò è senz’altro dovuto al criterio prescelto nella composizione della classifica che tiene conto di soli libri scritti o tradotti in inglese. Eppure il riferimento a questo crite-
rio non basta a spiegare come una nazione in cui il 15% (più di 40 milioni) degli abitanti utilizza come lingua prevalente lo spagnolo, sia ancora così distante da quella cultura. Non volendo così cedere a sociologismi di maniera, è però evidente che rappresentando gli ispano-americani fasce sociali meno agiate della comunità statunitense, essi fanno più fatica a modificare i gusti letterari della nazione. Ne è una prova la presenza in classifica di importanti libri “neri”, ormai assurti invece a classici, come L’uomo invisibile di Ellison (6° posto), Il crollo di Chinua Achebe (14° posto), Il buio oltre la siepe di Harper Lee, Le anime del popolo nero di Du Bois, Il colore viola della Walker e l’autobiografia di Malcolm X. Si nota l’assenza di scrittori tedeschi, quando ancora poco più di cento anni fa la Germania era il cuore pulsante della cultura occidentale. Mentre prevedibile è la vittoria di Tolstoj, che piazza anche Anna Karenina al 48° posto, da sempre scrittore molto affine allo spirito statunitense, almeno quanto lontano dallo stesso è da sempre considerato il più bravo Dostoevskij, assente tra i primi cento scrittori d’America.
L’Italia piazza Dante al 10° posto e Machiavelli al 31°. Non male guardando agli altri Paesi europei. Entrambi i piazzamenti testimoniano una lunga frequentazione dei lettori americani con i due classici prediletti della nostra cultura. Dante è un poeta studiatissimo nelle università americane e ha avuto un’influenza diretta su alcuni dei più apprezzati poeti statunitensi. Machiavelli, da par suo, è considerato il punto d’inizio della moderna riflessione sulla politica: il suo Principe è oggetto di continue rivisitazioni critiche sia da destra che da sinistra. Infine, uno degli aspetti più singolari che rivela la metaclassifica di Newsweek è la presenza di tre autori greci contro un solo libro della latinità (il cristianissimo e poco romano Sant’Agostino). La vulgata che vuole gli States coinvolti fino all’eccesso dal mito di Roma Antica, risulta in aperta contraddizione con l’assenza di qualsiasi scrittore, filoso o storico della romanità in classifica. La presenza di Omero, Erodoto e Tucidide testimonia, invece, un legame profondo con una grecità rispetto alla quale l’odierna democrazia americana ha evidentemente molto più da dire.
spettacoli
9 luglio 2009 • pagina 21
Lieto fine. Alla scoperta di Selick, regista americano che ha incantato critica e pubblico con ”Coraline”, film animato in 3D
La fiaba di Henry il maghetto di Francesco Ruggeri
Nella foto grande, un’immagine tratta da ”Coraline e la porta magica”, film d’animazione in 3D del regista americano Henry Selick che ha ottenuto unanimi consensi al botteghino e sulla stampa. In basso, a sinistra, il filmaker alle prese con Tim Burton, per il quale elaborò il processo creativo in stop- alla motion alla base di ”Nightmare before Christmas”
enry Selick è il regista più sfigato del mondo. Dopo vent’anni passati nel suo fantasmagorico laboratorio di pupazzi e diavolerie meravigliosamente artigianali e orgogliosamente retrò, sforna uno dei capolavori assoluti del cinema degli anni Novanta, il celeberrimo Nightmare Before Christmas. Un magico punto d’arrivo di tutte le ricerche condotte sul campo della stop-motion, un gioiello prezioso di reminiscenze gotiche e strizzatine d’occhio pop. Il problemino è che il film viene prodotto, fra gli altri, anche da un certo Tim Burton. E da quel momento in poi (complice anche il titolo originale del film, Tim Burton’s The Nightmare Before Christmas), la storia di Jack Skeletron e compagnia bella continua a essere associata al genio birichino di Burton. Selick rimane in purgatorio. E nel frattempo pare aver perso la sua straordinaria vena creativa: James e la pesca gigante e Monkeybone (datati rispettivamente 1996 e 2001) sono carini, ma nulla di più.
H
La scintilla che rimette tutto in gioco arriva quattro anni fa. A Selick capita di leggere un libro per bimbi di Neil Gaiman e capitola immediatamente. Il titolo: Coraline. È un racconto strano. I riferimenti al mondo dell’infanzia ci sono tutti (animali, porte magiche, signore stravaganti, streghe cattivissime), ma si tratta di una semplice facciata. Dietro si nascondono suggestioni che definire adulte è poco. Henry è ufficialmente invitato a nozze. E si rinchiude in laboratorio. Tre anni dopo, arriva nelle sale di tutto il mondo Coraline e la porta magica. Film dei record per almeno due buoni motivi: è la prima opera d’animazione in stop-motion a essere realizzata con doppia foto-
camera digitale che consente di vederlo in 3D. Ed è infine uno dei pochissimi film dell’anno a essere stato portato in trionfo dai giornalisti di mezzo mondo che lo hanno bollato come capolavoro assoluto. Selick gongola e ne ha ben donde. La rivincita è arrivata e ha assunto le forme di una fiaba moderna e ancestrale che attanaglia il cuore e riempie di meraviglia. Si inizia sguazzando nel tempo da tregenda che accoglie la piccola Coraline (la protagonista) all’arrivo nella casa nuova. ‘Casa’ si fa per dire. Muri scrostati, stanze deserte e interruttori scassati. Come se non bastasse papà e
sembra infatti nascondere qualcosa. Una piccola porta murata alta meno di un metro, per esempio. Cosa nasconderà mai? Per i genitori della protagonista assolutamente nulla, ma si sa, gli adulti certe cose non le vedono.
Coraline se ne accorge la prima notte. Attirata dallo squittio fastidioso di tre topolini, la bimba li segue, scende in soggiorno e li vede infilarsi come niente dietro la porta. Che, guarda caso, non è più murata, ma spalancata su un corridoio azzurro piuttosto lungo da attraversare gattoni. Non se lo fa ripetere due volte. E dopo aver compiuto l’attraversamento notturno, si ritrova in una
Dopo aver trascorso vent’anni a ideare le trovate di ”Nightmare before Christmas” era stato oscurato da Tim Burton. Oggi, la rivincita mamma, presi dal loro lavoro, è come se non ci fossero. L’unico contatto esterno Coraline lo stabilisce con Wybie, un coetaneo bizzarro che se ne va in giro con motorino e gatto selvatico d’accompagno. È lui a regalarle una bambola di pezza con due bottoni al posto degli occhi e una veste completamente sdrucita. Della serie, il buongiorno si vede dal mattino. C’è un ‘ma’. L’abitazione
casa. La sua. Ma i cambiamenti sono palesi. L’abitazione decrepita che ben conosce si è trasformata in una lussuosa casa curatissima. Dalla cucina poi arriva un profumino inconfondibile di pollo e di altri piattini succulenti.Varcata la soglia, le viene incontro la madre. Più o meno. I tratti sono gli stessi, ma al posto degli occhi ha due bottoni neri. Lo stesso dicasi per il padre. Tutto il resto sa di sogno a oc-
chi aperti. Il letto da principessa, gli orsacchiotti sul comò e l’aria di festa che trasuda dappertutto. Un bel passo in avanti rispetto al grigiore precedente. Mai come stavolta però l’apparenza inganna e noi ci fermeremmo decisamente qui. Il resto non va svelato. Esistono film ed esistono esperienze. Coraline e la porta magica rientra nel secondo gruppo. Prima di far ingresso nella sua infinita suggestione, è bene armarsi di un bel filo, come Arianna nel labirinto. Il filo in questione ce lo porge la Alice nel paese delle meraviglie del mai troppo celebrato Lewis Carroll. Coraline è la cosa più vicina al capolavoro carrolliano mai partorita dal cinema negli ultimi anni. In luogo dello specchio, una porta magica. Ma il risultato non cambia. Henry Selick, da instancabile sciamano della celluloide, intarsia i contorni di una realtà completamente mutata di segno, rovescia forme e ribalta cose. Il risultato è un helzapoppin’ carnevalesco che odora di romanzo di formazione e che traccia una serie infinita di temi, percorsi e lampi. Una vera miniera. Non c’è sequenza in cui il regista americano non escogiti una trovata geniale, non c’è momento in cui non si rimanga letteralmente frastornati dalla rutilante genialità di ogni luce, angolo di ripresa e dialogo.
E fra i mille spiragli di un testo da incorniciare (non a caso premio Hugo quale miglior romanzo breve), scorre come un fiume carsico un’indimenticabile riflessione sulla cecità degli adulti, la potenza dell’immaginazione e lo shining nascosto negli occhi dei più piccoli. Perché Coraline è anche uno straziante apologo sull’infanzia e i suoi terribili mostri. Cinema, letteratura, filosofia. E la chiamano animazione…
opinioni commenti lettere proteste giudizi proposte suggerimenti blog L’OCCHIO DEL MONDO - Le opinioni della stampa internazionale a cura di Pierre Chiartano
dal ”New York Times” dello 08/07/2009
Le fragili colonne di Khomeini di Michael Slackman ra che i rumori dei tumulti nelle strade si stanno spegnendo, comincia la vera lotta politica, dietro le quinte del regime iraniano, che vede messa in gioco la natura del suo stesso potere. È un confronto che va ben oltre le dispute sui risultati delle ultime presidenziali. Cominciato trent’anni fa quando prese le mosse la rivoluzione khomeinista che portò alla nascita della Repubblica islamica e al tentativo di miscelare teocrazia con qualche pezzo di democrazia. Ora serpeggia un sentimento di disagio nelle élites iraniane. La percezione è che il potere, nato da quella rivoluzione, si sia trasformato in una sorta di dittatura, garantita e protetta da un apparato militare e di sicurezza. Un regime che avrebbe totalmente spogliato il sistema della sua legittimità religiosa e popolare. Tra gli alleati più vicini al presidente c’è chi si domanda se il Paese abbia ancora bisogno di istituzioni elette democraticamente. Il parere corrente è che i più importanti leader religiosi non siano intervenuti a sostegno dei due “assediati” dalle porteste: Mahmoud Ahmadinejad e Ali Khamenei. Infatti, anche tra coloro che tradizionalmente hanno sostenuto il governo, molti sono rimasti in silenzio o addirittura hanno lanciato delle deboli ma inconfondibili critiche. Secondo le fonti ufficiali iraniane, solo due della cerchia più importante dei capi religiosi si sono congratulati con Ahmadinejad per la sua rielezione. Il che equivale a una pubblica critica, in un Paese dove tutto passa e viene letto attraverso la lente di Dio. Un religioso conservatore della città sacra di Qom come l’ayatollah, Ibrahim Amini ha parlato di «persone» e non di «rivoltosi» riferendosi alle manifestazioni di piazza. Il grande ayatollah Nasser-Makarem
O
Shirazi ha, invece, sostenuto la tesi per una riconciliazione nazionale. Naturalmente tutta quella parte del clero, vicino all’area dei cosiddetti riformisti, ha dichiarato il risultato elettorale «illegittimo» e definito come «brutale» la repressione attuata dal governo. Parliamo comunque della più alta cerchia di rappresentanti del clero sciita. Eppure la coppia Khamenei e Ahmadinejad ha ancora il controllo di tutte le leve del potere, dalle forze di sicurezza ai posti chiave di governo e della magistratura religiosa. E c’è chi, proprio tra i religiosi, definisce il caso «come chiuso». Infatti nessuno tra i riformisti e tra il clero più critico è attualmente in grado di disarcionare dal potere gli uomini del regime.
Molti osservatori, membri della diaspora iraniana, sono convinti che nel breve termine la dittatura si rafforzerà, ma ormai la gente non si fida più del sistema. Gli hardliner del regime sparano a zero sulle istituzioni repubblicane e democratiche, descrivendo la loro inutilità. Ed è stata proprio questa la deriva che ha spinto uno stretto collaboratore di Khomeini, ormai ritiratosi dalla vita pubblica, come Mir Hossein Mousavi a candidarsi alle presidenziali. In ballo c’è molto. C’è la dimostrazione che i nemici della rivoluzione sciita avevano ragione affermando che religione e modelli repubblicani erano incompatibili. Soprattutto che il modello di Stato teocratico sciita non può più essere portato come esempio per gli altri Paesi islamici. I brogli elettorali vanno al di là dei soli confini iraniani. Di
più, Khamenei è sceso in campo per una parte, contravvenendo nello spirito e nella lettera i dettami religiosi che lo vogliono arbitro neutrale del governo del Paese. Le due colonne dello Stato che Khomeini aveva costruito, basandole sulla responsabilità pubblica e sull’autorità religiosa, sono state danneggiate. Fin dall’inizio si è discusso su quest’argomento. Ma sia la forte personalità di Khomeini, sia la guerra contro l’Iraq avevano cementato il Paese. Appena scomparso il leader supremo e finito il conflitto con Baghdad, le polemiche hanno ripreso forza. Personaggi come Hashemi e Rafsanjani volevano esaltare l’aspetto repubblicano delle istituzioni e Khatami fu eletto per varare una politica riformista in questo senso. Nel 2005 si pose termine all’esperimento di Khatami. Ora il Paese è permeato da una logica da scontro all’ultimo sangue, in cui ogni compromesso è visto come inutile e come sintomo di debolezza.
L’IMMAGINE
Appendiamo un drappo verde per non dimenticare ciò che accade in Iran Iniziative come il posizionamento di un drappo verde ad ogni finestra, è un importante segno di attenzione delle coscienze civili ai fatti che stanno avvenendo in Iran. Il colore rappresenta anche la condivisione di un simbolo che appartiene ad una bandiera, come sempre avviene quando si tratta di lottare per il principio di appartenenza allo Stato che svanisce, se questo diventa nemico della gente. Ma le diplomazie internazionali sono in ritardo nei luoghi della sensibilità umana, perché essa spesso si misura sulla sostanza di colui che rivendica i propri diritti, e adopera parametri riduttivi se il Paese rappresenta un importante partner commerciale. Le fiaccolate sarebbero state come una veglia su qualcosa che se ne è andata o giù di lì, mentre il drappo verde è un modo per dire, che molti cittadini sono schierati dalla parte della politica che tutti coloro che manifestano in Iran vorrebbero, ma che soprattutto vorrebbe il mondo occidentale che se l’Iran ripiegasse su se stesso il manto del terrore e delChiara Crespi l’incubo nucleare.
NUOVE MODIFICHE AL CPC Lo scorso 4 luglio sono entrate in vigore le ulteriori modifiche al Codice di procedura civile emanate con l’intento di ridurre il tempo di durata dei giudizi e di dare una sfoltita all’enorme carico dei giudizi pendenti. Ulteriori modifiche perché, negli ultimi tre lustri, il Cpc ha subito piccole e grandi modifiche con la soppressione degli uffici di conciliazione e la creazione del Giudice di pace prima e la successiva abolizione delle Preture. Non mi pare che le modifiche abbiano raggiunto l’obiettivo sperato perché la pendenza e la durata dei giudizi è andata progressivamente aumentando. Speriamo che le nuove norme ottengano l’effetto auspicato. Le notizie apparse sull’organico dei Giudici
di pace, al quale sono state attribuitre con le nuove norme altre competenze, lasciano molto perplessi. E infatti su una pianta organica di 4690 Giudici di pace, solo 2864 sono in servizio. Vi è una vacanza di posti del 39% (oltre un terzo dei posti in organico). Non mi pare che con tali vuoti di organico si possa riuscire a smaltire il carico annuale. Altra anomalia che balza in evidenza è la differenza di trattamento tra i Got (Giudici onorari ditribunale) e i Giudici di pace. Mentre i primi hanno solo il gettone per ogni udienza, i secondi oltre al gettone per le udienze ricevono anche un piccolo fisso mensile, un compenso per ogni sentenza nonché compensi per i decreti ingiuntivi emessi e per le cause definite. Forse era il mo-
Predatrice premurosa Spietata con le prede, ma tenera con i figli. Nell’intimità familiare l’aquila reale (Aquila chrysaetos) smette i panni di cacciatrice e indossa quelli di madre affettuosa. Ancor prima che nascano i piccoli pensa a farli stare comodi, foderando il nido con materiali soffici come muschi e licheni. E dopo la schiusa li sorveglia stando attenta che non litighino, o che non succeda di peggio. Capita infatti che i pulcini più robusti uccidano i fratellini più gracili, forse per eliminare un po’ di concorrenza. Anche se in realtà, ci sarebbe cibo per tutti. Pur di sfamare i nuovi nati infatti, le aquile trasportano prede - come lepri e scoiattoli - di 3 chili e mezzo di peso. Più di due terzi del loro peso (4 chili e mezzo circa)
mento favorevole per evitare disparità di trattamento.
Luigi Celebre
LA TRAGEDIA DI VIAREGGIO Una parte della folla grida “vergogna”, l’altra applaude al premier: un rituale che sancisce le aspre conseguenze delle campagne denigratorie e della solita
attribuzione delle responsabilità ai governi, attua il suo protocollo nella tragedia di Viareggio. Manca purtroppo la ragionata consapevolezza che oggigiorno treni e aerei, e altre realtà, sono affette dalla mancanza di manutenzione: troppi vuoti economici, troppe aziende estere che gestiscono la nostra energie. Sono
problemi perpetrati nel tempo addietro e che il governo ha solo ereditato, stabilendo subito una difficile sinergia di intenti con l’opposizione, sui temi delle riforme e, soprattutto, sull’esigenza di riattivare nuove forme energetiche compresa la questione del nucleare.
Simonetta Bini
opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog LETTERA DALLA STORIA
La poetica e la forza della speranza sono il mio capitale Sono del tutto stanco di una vita di bettole e stanze ammobiliate; mi uccide e mi avvelena. Non so come ho fatto a resistere fino adesso. Sono stanco dei raffreddori e delle emicranie, e delle febbri e soprattutto della necessità di uscire due volte al giorno, e della neve e del fango e della pioggia. Manco di tutto. Si tratta dunque di un sacrificio più grande o di un anticipo più grande del solito, ma io ne trarrò, e quasi subito, immensi benefici, soprattutto niente più perdite di tempo. È la mia piaga, la mia grande piaga, perché esiste uno stato ancor più grave dei dolori fisici ed è la paura di vedersi usurare e rovinare e sparire in questa orribile esistenza piena di colpi, la mirabile facoltà poetica, la lucidità delle idee, e la forza della speranza che costituiscono il mio vero capitale. Mia cara madre, voi ignorate a tal punto cosa sia un’esistenza da poeta che, senza dubbio, non capirete granché di quest’argomento. Tuttavia è lì che risiede il mio più grande terrore; non voglio crepare oscuramente, non voglio veder arrivare la Vecchiaia senza una vita regolare, non mi ci rassegnerò mai e credo che la mia persona sia molto preziosa, non dico più preziosa di altre, ma sufficientemente preziosa per me. Charles Baudelaire alla madre
ACCADDE OGGI
LIMITARE LA FUGA DELLA DISPERAZIONE Potrà essere tutto, il nostro governo, ma non è assolutamente né ipocrita né amorale: partendo proprio dalla questione immigrazione, la legge non vuole criminalizzare e provocare sofferenze, perché anche con la lotta alla droga si è sempre detto che si deve limitare la disperazione e combattere lo spaccio, lo sfruttamento umano di chi riceve tantissimi soldi, per consentire un posto in un gommone malandato, per permettere la fuga verso un paradiso artificiale. Scappare dalla propria terra è proprio come fuggire verso un isola che non c’è, perché certe volte, il mondo diventa colmo di scrittori e talenti, per i quali una vita non basta per sognare il ritorno, la polvere che partorisce. Certo, le scelte sono spesso costrizioni alle quali bisogna in qualche modo adeguarsi, ma proprio in questo senso sono venuti i termini del decreto sicurezza: limitare la fuga per la disperazione per gratificare l’accoglienza che si può sostenere. Adesso serve migliorare un provvedimento doloroso ma necessario, cercando di far crescere il senso civile di una nazione moderna che non conosce muri e separazioni.
Giovanni Sepe
SEMPLICEMENTE ASSURDO Le Banche hanno recentemente inviato una lettera: coloro che hanno il conto corrente scoperto di pochi euro o la carta di credito in eccedenza dovranno, dal 28 giugno 2009, ricevere un ad-
e di cronach di Ferdinando Adornato
Direttore Editoriale Ferdinando Adornato Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Francesco D’Onofrio, Gennaro Malgieri, Bruno Tabacci
Ufficio centrale Gloria Piccioni (direttore responsabile) Andrea Mancia, Errico Novi (vicedirettori) Nicola Fano (caporedattore esecutivo) Antonella Giuli (vicecaporedattore) Franco Insardà, Luisa Arezzo, Stefano Zaccagnini (grafica)
9 luglio 1955 A Londra i due famosi scienziati Albert Einstein e Bertrand Russell firmano il Manifesto Russell-Einstein sul disarmo nucleare 1968 Inaugurazione ufficiale della Hayward Gallery sul South Bank di Londra 1978 Sandro Pertini presta giuramento come settimo presidente della Repubblica Italiana; è stato eletto l’8 luglio con 832 voti su 995 1993 - Il ministero degli Interni inglese dichiara che le ossa ritrovate nella fossa di Ekaterinburg sono appartenute allo zar Nicola II di Russia ed alla zarina Alessandra d’Assia, della famiglia dei Romanov, fucilati dai comunisti nel 1918 1997 La licenza di pugile di Mike Tyson viene sospesa per almeno un anno ed egli viene multato per 3 milioni di dollari, per aver morsicato un orecchio a Evander Holyfield durante un incontro 2001 La Corte d’appello di Santiago del Cile stabilisce che Augusto Pinochet non è processabile temporaneamente per «moderata demenza»
Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Francesco Capozza, Giancristiano Desiderio, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria)
debito mensile maggiorato e relativi interessi. Una anziana parente, che ovviamente non ha la possibilità di leggere le missive in tempo, si è ritrovata con notevoli problemi e nell’incapacità di capire secondo quale logica si può arrivare a tanto. Come è possibile che a luglio, con l’inizio dell’estate e con le situazioni di disagio per gli anziani, le banche e gli istituti finanziari non hanno fatto tesoro delle ottime iniziative del governo e peggiorano giorno dopo giorno? Forse se ne infischiano delle parole di Tremonti e cercano di aspettare un poco futuribile governo, che sia più statalista e vicino a loro, piuttosto che il presente, che sta svolgendo una chiara politica liberale, per rinvigorire le imprese e accrescere il credito, privati compresi.
Pietro Cardinone
IPOCRISIE MONDIALI Al G8, parlare di una terra che rema è il modo ideale e terribile allo stesso tempo, di prendere coscienza di cosa devono sopportare gli abruzzesi, forti e pazienti per antica natura. Il disordine mondiale si assesterà su tali zolle di terra, all’ombra di quanto succede in Iran e alle sterili prese di posizione mondiale nei confronti di un regime. Intanto, proprio vicino a tale dissesto, oltre le parole di Napolitano sulle questioni di Uighuri e Tibetani, resta il fatto che la Cina è diventata la terza nazione più ricca del mondo, e si prepara ad accogliere le fabbriche Fiat per la costruzione di nuovi modelli di punta.
dai circoli liberal
IL “LABORATORIO PUGLIA” L’appena conclusa tornata elettorale pone all’attenzioni degli osservatori quello che può essere definito il “laboratorio” pugliese, composto da Udc, Pd e Io Sud, fortemente voluto e sostenuto dai rispettivi leader Casini, D’Alema e Poli Bortone come risposta all’avanzata della Lega al nord. In quest’ottica Bari si candida ad essere, come ha più volte sottolineato il rieletto sindaco di Bari Emiliano, la cittadella della questione meridionale. Questione meridionale rispetto alla quale le forze politiche si possono unire trasversalmente in un fronte comune contro la disgregazione dell’Unità nazionale. La sfida per i ballottaggi ha visto, infatti, prevalere il centrosinistra nelle città capoluogo di Bari e Foggia e nelle province di Brindisi e Taranto. L’alleanza per il Sud, come sostenuto dal coordinatore pugliese dell’Udc, Angelo Sanza, è la vera novità che nasce all’indomani delle votazioni amministrative e che pone all’attenzione dell’elettorato una possibile alternativa di programma e di governo. Un’alternativa di governo che grazie all’Udc supera l’antiberlusconismo degli ultimi anni e si pone, quindi, non solo come possibile ma plausibile progetto politico. In quest’ottica l’Unione di centro pugliese diventa, in un quadro di semplificazione, il partito di riferimento fondamentale per qualsiasi nuova alleanza in vista del futuro appuntamento elettorale delle regionali del 2010 in quanto forza capace di riequilibrare le compagini in cui viene con rispetto ascoltata. L’Unione di centro si pone, quindi, all’attenzione degli elettori per la voglia si creare un partito vero in cui si studia, si discute e si decide democraticamente. Un partito che gli Italiani devono sentire proprio e che sia capace di dare forma alle loro speranze; un partito in grado di costruire un’alleanza capace di battere la destra populista e la sinistra antagonista; un partito che faccia il bene del Paese, sia al governo degli enti locali che all’opposizione nazionale in attesa di candidarsi al governo dell’Italia. Ignazio Lagrotta
Massimo Foglia
Aldo Forbice, Antonio Funiciello, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Aldo G. Ricci, Giorgio Israel, Robert Kagan,
Supplemento MOBYDICK (Gloria Piccioni)
Filippo La Porta, Maria Maggiore,
Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Baiocchi, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Angelo Crespi, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei, Alex Di Gregorio
Andrea Margelletti, Adriano Mazzoletti,
Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Gabriella Mecucci, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Ernst Nolte, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo,
Società Editrice Edizioni de L’Indipendente s.r.l. via della Panetteria, 10 • 00187 Roma
Distributore esclusivo per l’Italia Parrini & C - Via di Santa Cornelia, 9 00060 Formello (Rm) - Tel. 06.90778.1
Amministratore Unico Ferdinando Adornato
Diffusione Ufficio centrale: Luigi D’Ulizia 06.69920542 • fax 06.69922118
Concessionaria di pubblicità e Iniziative speciali OCCIDENTE SPA Presidente: Emilio Bruno Lagrotta Amministratore delegato: Raffaele Izzo Consiglio di amministrazione: Ferdinando Adornato,Vincenzo Inverso, Domenico Kappler, Gennaro Moccia, Angelo Maria Sanza Amministrazione: Letizia Selli, Maria Pia Franco Ufficio pubblicità: 0669924747
Gianfranco De Turris, Rossella Fabiani,
Emilio Spedicato, Davide Urso,
Tipografia: edizioni teletrasmesse Editrice Telestampa Sud s.r.l. Vitulano (Benevento) Editorial s.r.l. Medicina (Bologna)
Pier Mario Fasanotti, Marco Ferrari,
Marco Vallora, Sergio Valzania
Agenzia fotografica “LaPresse S.p.a.”
Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Roselina Salemi, Katrin Schirner,
COORDINATORE REGIONALE CIRCOLI LIBERAL PUGLIA
Abbonamenti
06.69924088 • fax 06.69921938 Semestrale 65 euro - Annuale 130 euro Sostenitore 200 euro c/c n° 54226618 intestato a “Edizioni de L’Indipendente srl” Copie arretrate 2,50 euro
Registrazione Tribunale di Salerno n. 919 del 9-05-95 - ISSN 1827-8817 La testata beneficia di contributi diretti di cui alla legge n. 250/90 e successive modifiche e integrazioni. Giornale di riferimento dell’Udc
e di cronach
via della Panetteria 10 • 00187 Roma Tel. 0 6 . 6 9 9 2 4 0 8 8 - 0 6 . 6 9 9 0 0 8 3 Fax. 0 6 . 6 9 92 1 9 3 8 email: redazione@liberal.it - Web: www.liberal.it
Questo numero è stato chiuso in redazione alle ore 19.30
PAGINAVENTIQUATTRO
Sfide. L’azienda di Mountain View prepara ”Chrome”, il software pronto a spezzare il dominio Windows
Google, colpire al cuore il di Francesco Lo Dico ono stati mesi di guerre a bassa intensità, tutte giocate sullo scacchiere mediatico con annunci a sensazione e meditate mosse di marketing. Ma ora, esaurita la strategia della tensione, i due colossi dell’informatica mondiale, Google e Microsoft, lucidano i propri arsenali pronti a scendere in campo aperto. Consapevoli che stavolta, quello che dei due saprà colpire al cuore l’avversario, resterà padrone incontrastato di un impero vastissimo. Una sfida lunga e scandita da mille battaglie e poche tregue, quella fra BigM e MisterG. Una sfida che, a doverla raccontare come in un film, avrebbe lo stesso copione de I duellanti di Ridley Scott. La scintilla dell’imminente battaglia viene dal quartier generale di Mountain View, sede della doppia o più famosa del Pianeta: entro il secondo semestre del 2010 sarà disponibileGoogle Chrome,sistema operativo basato su codice open source, che si candida a bonificare desktop e netbook dal malware di Richmond.
S
Il riferimento inevitabile è naturalmente a quell’abuso di posizione dominante che l’Unione europea ha contestato a Gates e soci, colpevoli di aver instillato nei transistor dei pc un monopolio non autorizzato. Una guerra processuale, che naturalmente ha visto anche Google puntare le proprie bocche di fuoco contro il tirannico avversario. Ma anche un partita giocata sul fronte strategico e culminata nell’invenzione del citato Chromeoperating system, un prodotto che punta alla gola del core business di Microsoft, che sulle finestre di Windows ha costruito le proprie fortune. Presentato come smilzo e flessibile, laddove Vista si è rivelato piuttosto una clamorosa svista, mastodontica e onnivora, l’o.s di Larry Page e Sergey Brin si posizione sui nastri di partenza in posizione favorevole. Migliaia di utenti Mi-
SISTEMA crosoft hanno lamentato in forum e blog la sequela di limitazioni e difetti insiti nella creatura di Richmond, incapace di accogliere la modernità partecipativa del web 2.0 a gelosa tutela del proprio blasone e delle proprie risorse. Una scelta pagata a caro prezzo, che ha indotto Microsoft a un frettoloso lancio di Windows 7. E che ha aperto una breccia
lizzatori i virus e i problemi relativi alla sicurezza». Ma abbiamo detto che questo fosse un film, sarebbe ricco di colpi di scena. E proprio come ne I duellanti, BigM e MisterG, si studiano, si confrontano e tentano di mettere in scacco l’avversario con la stessa studiata arte della guerra che vide Harvey Keitel e Keith Carradine dare scintillio filosofico alla novella di Conrad. Una guerra che ha avuto un lungo e minaccioso squillo di tromba anche nel quartier generale di Richmond. Dove i colonnelli di Gates, preparano la contromossa. Nei sotterranei Microsoft si lavora infatti a Gazelle, erede di un campione ormai imbolsito come Internet Explorer. Un erede che già a partire dal nome, scommette sul dinamismo. Si tratta di un browser in possesso di un proprio kernel. Qualcosa che lo avvicina a un sistema operativo.
La nuova creatura di Larry Page e Sergey Brin sarà improntata alla filosofia dell’open source. Un progetto aperto e partecipativo che risponde alle esigenze del web 2.0, e che farà di flessibilità, velocità e sicurezza le proprie virtù dalle parti di Mountain View. In casa Google si fa tesoro degli errori dello storico nemico: per cui binari sorgente aperti a tutti gli utenti, collaborazione ed emulazione della funzioni operative, vicine all’essenzialità di quelle dell’omonimo browser, saranno i punti di forza di Chrome Os. Apertura totale che però non vuol dire instabilità o accesso indiscriminato. «Come per Google Chrome – spiega la nota del gruppo – abbiamo ripensato completamente l’architettura della sicurezza, per evitare agli utiNella foto grande, da sinistra a destra, il patron di Microsoft, Bill Gates, e poi Larry Page e Sergey Brin, coppia d’oro che nel 1998 creò il browser Google
Anche per Gazelle, grande risalto sarà destinato all’affidabilità. Il browser, spiegano a casa Gates, si incentrerà sull’idea di ”isolare” i vari componenti del programma in modo tale da ottenere benefici in termini di stabilità e difendere il sistema dall’azione di software maligni. Dichiarazione d’intenti che suona come un altolà alle ambizioni di leadership che soffiano dalle parti di Mountain View. Per sapere come andrà a finire non resta che attendere l’anno prossimo. Per MIsterG e BigM è in arrivo il duello finale. L’ennesimo.