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Certo che la fortuna esiste.
Altrimenti come potremmo spiegare il successo degli altri?
9 771827 881004
Jean Cocteau di Ferdinando Adornato
QUOTIDIANO • VENERDÌ 14 AGOSTO 2009
DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK
La proposta di Luigi Paganetto: «Investiamoli in innovazione e sviluppo»
Un’idea sui capitali off-shore
BUONE NOTIZIE DA EUROLANDIA
A differenza del nostro, il Pil di Francia e Germania torna a crescere. Secondo la Banca centrale europea «è arrivato il momento della svolta». Per il governo è l’ora della verità: rischiamo, come al solito, di restare ultimi
Dopo l’accordo Svizzera-Usa e il caso della famiglia Agnelli, l’Agenzia delle Entrate indaga su 170mila nomi. Ma come utilizzare queste risorse?
Ma l’Italia no
di Francesco Capozza
alle pagine 2 e 3
ROMA. Sono 170mila i casi tenuti sotto osservazione dal Fisco nell’ambito delle indagini contro i paradisi fiscali. Liberal ha voluto sentire l’opinione del professor Luigi Paganetto. presidente dell’Enea, esperto di Economia internazionale ed ex preside della facoltà di Economia dell’università di Tor Vergata a Roma. a pagina 8
Si è spenta a Washington la moglie del nostro Michael
Birmania, l’Ue batte un colpo Bruxelles: i giudici di San Suu Kyi nella “lista nera“
Karen Novak, maestra d’arte e di vita
di Vincenzo Faccioli Pintozzi Unione europea batte un ed colpo, esprime una condanna formale sul comportamento della giunta militare che governa Rangoon. Nel silenzio delle Nazioni Unite, che si sono arenate in Consiglio di Sicurezza per il veto di Cina e Russia, è Bruxelles a decidere la strada da seguire: inasprimento delle sanzioni dell’Ue contro il Myanmar (ex Birmania) in risposta alla sentenza che condanna ad altri 18 mesi di arresti domiciliari il premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi. I quattro giudici che l’hanno condannata sono stati aggiunti alla lista di funzionari birmani soggetti a congelamento dei beni e divieto di ingresso nell’Ue. L’Ue, dopo le proteste dei monaci birmani nel settembre 2007, aveva imposto sanzioni a 1.207 società birmane di proprietà di esponenti del regime, i loro famigliari o
L’
di Massimo Fazzi egli ultimi giorni della sua lunga battaglia contro un male terribile, Karen Laub-Novak accoglieva tutti nella sua aura di felicità. Con un enorme e sincero sorriso, seduta su una sedia a rotelle, si godeva ogni singolo istante della sua vita». Con queste parole, sul sito della National Review, John Fowley ha voluto ricordare l’artista scomparsa nella notte fra l’11 e il 12 agosto. Moglie di Michael Novak, madre di due figli, Karen «aveva come grandissimo desiderio quello di visitare la basilica di S. Giovanni a Efeso. Per questo, nonostante fosse nelle fasi terminali della malattia, è venuta con tutti noi in una crociera sul Mediterraneo. Arrivati in loco, la soddisfazione gioiosa e perfetta che esprimeva il suo volto la rendeva meravigliosa. Era circondata dal marito, da figli e nipoti, da persone che la amavano sinceramente. Possa riposare in pace, libera dai suoi tormenti fisici».
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a pagina 17 se1,00 gue a (10,00 pagina 9CON EURO
Non potranno entrare nel Vecchio Continente; congelati i beni esteri
I QUADERNI)
• ANNO XIV •
NUMERO
160 •
Il discorso del figlio della Signora alla consegna del Nobel per la pace (del 1991)
amici, limitato i contatti diplomatici e sospeso gli aiuti non umanitari o dei programmi di sviluppo. Le sanzioni, però, sono «giuste e utili, ma la loro incidenza effettiva è parziale». Lo ha detto ieri Piero Fassino, inviato speciale Ue per la Birmania/Myanmar, intervistato da Cnr media. Fassino ha ricordato che alle sanzioni contro il Myanmar non aderiscono gli Stati asiatici, ovvero l’80 per cento dei partner commerciali del Paese. Per questo, «la nostra stategia deve muoversi anche in altre direzioni: penso a programmi di aiuto umanitario alla popolazione. Ma dobbiamo anche cercare di usare tutti i canali di pressione politico diplomatica per convincere il regime a liberare Suu Kyi e tutti gli altri prigionieri politici».
ono qui oggi per accettare a nome di mia madre, Aung San Suu Kyi, questo premio di inestimabile valore, il premio Nobel per la Pace. Dato che le circostanze non consentono a mia madre di presenziare personalmente a questa premiazione, cercherò di fare del mio meglio al fine di trasmettere a tutti voi i sentimenti a cui ritengo ella darebbe voce. In primo luogo, so che inizierebbe il proprio discorso accettando il Premio Nobel per la Pace non in suo nome ma in nome di tutte le genti della Birmania. Il premio è per tutti loro.
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• CHIUSO
Un’indifferenza che dura da diciotto anni di Alexander Avis
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IN REDAZIONE ALLE ORE
19.30
prima pagina
pagina 2 • 14 agosto 2009
Jean-Claude Trichet, presidente della Banca centrale europea.
Economia. Per la Banca centrale l’inflazione negativa è un fenomeno temporaneo. Ma il calo dell’occupazione non è ancora finito
Superati in curva
Secondo la Bce, il ritmo di contrazione dell’economia sta diminuendo. Aveva ragione chi chiedeva riforme strutturali per ripartire di Alessandro D’Amato
ROMA. Francia e Germania ritornano a crescere, mentre c’è chi resta ancora al palo. Ma nel complesso la recessione «è a un punto di svolta», come scrive la Banca Centrale Europea nel suo bollettino mensile di agosto, sottolineando i «crescenti segnali» in questo senso e come il ritmo di contrazione dell’economia dell’eurozona stia «chiaramente
diminuendo». Aggiungendo poi che «si attende che l’attività economica rimanga debole nella restante parte dell’anno, a una fase di stabilizzazione seguirebbe una graduale ripresa dei tassi di crescita trimestrali di segno positivo. Le significative azioni di stimolo adottate in tutte le principali aree economiche dovrebbero sostenere la crescita sia nel-
l’area dell’euro che a livello mondiale».
Dopo iz segnali contrastanti degli ultimi tempi, insomma, sembra davvero che la più grande recessione a livello mondiale degli ultimi cinquant’anni abbia veramente raggiunto il suo punto di massima crescita, e che quindi la crisi dovrebbe diminui-
re i suoi effetti dalla fine del 2009 e per tutto il 2010. Anche se, sottolineano a Francoforte, il grado di incertezza su questo scenario rimane «elevato» e i dati disponibili in futuro possono mostrare una continua volatilità. Nel complesso, queste prospettive restano soggette a «rischi bilanciati». In senso positivo, ci possono essere effetti più forti del previsto
dagli ampi stimoli macroeconomici in corso e da altre misure di politica economica adottate. Inoltre, il clima di fiducia potrebbe migliorare più rapidamente di quanto previsto al momento, mentre, in senso opposto, permangono timori su un possibile feedback più negativo o più duraturo del previsto tra l’economia reale e le turbolenze sui
Per l’economista Beniamino Quintieri, i segnali di ripresa sono ancora deboli: occorrono investimenti. E un colpo di reni
«Niente illusioni, ci aspetta un autunno caldo» di Franco Insardà
ROMA. «L’atteggiamento della Bce è giustamente prudente, quando le aspettative vengono disilluse possono causare effetti molto gravi». Beniamino Quintieri, professore di Economia internazionale all’università di Tor Vergata, commenta così gli ultimi dati sulla recessione. Allora professore, siamo alla svolta? Dopo lo scoppio della crisi ci si è chiesto quanto sarebbe durata, quando sarebbe finita e che cosa sarebbe successo dopo. Senz’altro questi sono i primi segnali concreti
per sperare di essere alla fine della fase recessiva. Cosa succederà dopo? È difficile prevederlo. Secondo alcuni ci sarà una ripresa non ai livelli precedenti, per altri si potrebbe verificare una situazione simile a quella giapponese con una lunga stagnazione. Alcuni elementi fanno presupporre che ci sarà una nuova fase dell’economia mondiale in cui il Pil dei Paesi occidentali crescerà a livelli più contenuti rispetto al passato. Perché? Per una serie di motivi, prima fra tutti la situazione delle fa-
miglie americane. Bisogna, infatti, tener presente che l’economia Usa trascinava anche gli altri Paesi industrializzati e i consumi delle famiglie americane rappresentano il 20 per cento del Pil mondiale. Purtroppo il forte indebitamento li costringerà, ancora per alcuni anni, ad aumentare i risparmi e a ridurre i consumi. E i mercati asiatici? I Paesi emergenti, sicuramente, cresceranno, ma il Pil complessivo di Brasile, Russia, Cina e India è di poco superiore al 10 per cento di quello mondiale. Nel breve periodo aiuteranno
l’economia, ma non ai livelli americani. Possiamo essere ottimisti anche in Italia? Il discreto andamento della nostra economia, nei mesi che hanno preceduto la crisi, era determinato dall’esportazione sulla quale bisognerà puntare per la ripresa. Le imprese dovranno investire su nuovi prodotti e sull’efficienza per conquistare i mercati emergenti. In Germania gli impulsi sono arrivati dalle spese private e pubbliche oltre che dalle costruzioni. Il piano casa ha funzionato?
Avevano più margini di noi per operare sull’economia interna. Teniamo presente che il governo tedesco aveva inizialmente sottovalutato la crisi e optato per una passività fiscale, poi, con il crollo dell’esportazioni, ha deciso di sostenere la domanda interna, Germania e Francia hanno aumentato il debito pubblico, l’Italia non è stata troppo prudente? Forse ci ha penalizzato nel breve periodo, ma gli effetti poi sarebbero stati catastrofici e le autorità europee e l’Ocse hanno apprezzato l’atteggiamento
prima pagina mercati finanziari, su ulteriori incrementi dei prezzi del petrolio e di altre materie prime, sull’intensificarsi delle pressioni protezionistiche, su condizioni più sfavorevoli del previsto nel mercato del lavoro e, infine, su sviluppi avversi nell’economia mondiale derivanti da una correzione disordinata degli squilibri internazionali.
Il bollettino di agosto della Bce ha comunque ulteriormente riveduto al ribasso le stime di crescita dell’Eurozona per il 2009, rispetto ai dati diffusi a metà maggio: le nuove proiezioni sono di -4,5% contro il precedente -3,4%. Rivedute leggermente al rialzo, invece, le stime per il 2010 che passano da +0,2%
calo dello 0,6% e la Banca di Francia che aveva stimato una contrazione dello 0,4%. Rivisto leggermente al ribasso il dato del primo trimestre al -1,2% contro il -1,3%. In ripresa anche l’economia tedesca: il prodotto interno lordo in Germania nel secondo trimestre di quest’anno ha messo a segno una crescita dello 0,3% rispetto al primo. Lo annuncia Destatis, l’ufficio statistico federale, precisando che la prima economia europea non registrava un tasso di crescita positivo dal primo trimestre del 2008. Gli analisti si attendevano una contrazione del Pil dello 0,2%. E, nonostante non riguardino l’Italia, i numeri della Bce e degli istituti di statistica europei non hanno mancato di sollevare polemi-
Per Trichet, «la crisi è arrivata a un punto di svolta». Un segno che le «significative azioni di stimolo adottate in tutte le principali aree economiche dovrebbero sostenere la crescita» che. Daniele Capezzone, portavoce del PdL, invita sinistra e media a non crogiolarsi nel catastrofismo. «Gli indicatori smentiscono le cassandre che tifavano per la crisi», dice Maurizio Gasparri, capogruppo Pdl al Senato.
a +0,3%, mentre per il 2011 la previsione é di un +1,5%. Tra i fattori principali alla base delle prospettive di breve-medio termine per la crescita del Pil in termini reali, i previsori citano la debolezza della domanda interna ed estera, così come le tensioni in atto nei mercati finanziari e le aspre condizioni di finanziamento. E la Banca centrale fa anche due ulteriori previsioni: l’inflazione negativa è un fenomeno temporaneo, destinato a fermarsi a breve, mentre per la disoccupazione c’è da attendersi un ulteriore aumento nei prossimi mesi. Intanto arrivano segnali positivi da Francia e Germania. A sorpresa, infatti, entrambi i paesi fanno registrare un Pil positivo. L’economia transalpina nel secondo trimestre ha fatto segnare un rialzo dello 0,3%. I dati hanno sorpreso l’ufficio nazionale di statistica che aveva previsto un
Diverso il commento di Cesare Damiano del Pd: «I dati della Bce non vanno letti a metà o con interpretazioni di comodo, come stanno facendo gli esponenti del governo. Se ci avviciniamo a toccare il fondo della crisi, per quanto riguarda la disoccupazione avremo effetti negativi di lungo periodo. Il governo dovrebbe preoccuparsi di varare nuove politiche per il reinserimento dei lavoratori disoccupati perchè, come denuncia Francoforte, gli effetti negativi sul mercato del lavoro saranno durevoli».
italiano. Non si tratta di valutare il livello della spesa pubblica quanto la sua composizione e ridefinizione per incrementare la domanda interna. La disoccupazione continua a salire, avremo un autunno caldo? Fino a ora l’occupazione rispetto al calo del Pil ha tenuto, ma in autunno qualche rimbalzo sarà inevitabile. In queste fasi è fisiologico che alcune imprese chiudano e altre si rafforzino. Il problema vero è quello di riuscire a creare le condizioni affinché chi perde il posto di lavoro possa trovarne un altro. Le misure per fronteggiare la crisi sono sufficienti? Il governo ha avuto un comportamento giusto e il plauso degli organismi internazionale lo conferma. Non dimentichiamo che molti Paesi, a differenza dell’Italia, sono intervenuti sostenendo il sistema finanziario.
Occorre un atteggiamento diverso delle imprese e una serie di riforme per fare in modo che la nostra economia sia pronta per la ripresa. Il Mezzogiorno continua a essere un problema, mentre in altri Paesi europei è una ricchezza. Alcune regioni dell’Irlanda e della Spagna avevano un reddito inferiore a quello della Calabria, oggi sono nella media europea. Cinquanta anni di politiche sbagliate non hanno consentito lo sviluppo del Sud. Non si tratta solo di risorse, ma di come si utilizzano in un territorio dove i mali del Paese sono amplificati. Più che a interventi straordinari bisogna pensare a politiche che facilitino gli investimenti, soprattutto stranieri. Un buon federalismo potrebbe essere una possibilità per recuperare efficienza.
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ll nodo non risolto per l’Italia è soprattutto nella caduta degli investimenti
Cambiamo passo, se non ora quando? di Gianfranco Polillo a speranza è che il dottor Morte – al secolo il professor Rubini, così chiamato per aver previsto il crollo di Wall Street – abbia torto. Le sue previsioni, per l’economia americana avevano assunto una forma a W. La crisi in atto, quindi una leggera ripresa e poi, nuovamente, nel corso del 2010, una successiva caduta.Voce per la verità isolata nello stesso establishment americano, che, invece, invita all’ottimismo. Siamo fuori dal tunnel come si sforzano di accreditare i principali quotidiani americani. Mentre Goldam Sachs – l’unica banca d’affari sopravvissuta al grande cataclisma – annuncia profitti e retribuzioni stellari per i propri dirigenti. Come se nulla fosse stato.
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Gli fa eco in Europa la Bce. Nel suo ultimo bollettino, pur tra mille se e mille ma, si intravede un pizzico di speranza. Anche per Francoforte il peggio sembra se non passato, almeno stemperato nel susseguirsi di dati meno peggiori del previsto. Questo è il dato costante che unisce le due sponde dell’Atlantico. I dati congiunturali, che gli analisti scrutano come una volta si guardava alle viscere ancora calde degli animali sacrificali per avere notizie sul prossimo futuro, sono migliori di quanto preventivato. Negli Usa la disoccupazione cresce, ma ad un ritmo inferiore. I prezzi delle case sembravo aver interrotto la rovinosa corsa al ribasso. Le nuove costruzioni sono addirittura acquistate a prezzi leggermente crescenti. La Bce si spinge oltre, prevedendo un fine anno ancora buio, ma un ripresa nel 2010, che dovrebbe rafforzarsi con il buon tempo di primavera.Noi che, alle grande astrazioni siamo stati sempre allergici, ci accontentiamo di rimanere con i piedi per terra e guardare al presente. Consola il dato francese: con una crescita del Pil nel secondo trimestre dello 0,3 che ha smentito quelle Cassandre che ipotizzavano una caduta dello 0,6 per cento. Siamo invece di fronte ad alcune certezze che fanno – fermo restando il fatto che una rondine non fa primavera – ben sperare. E l’Italia? Come vanno le cose nel Bel Paese, che molti vorrebbero alla testa di una più generale rimonta? Anche da noi qualcosa si sta muovendo.Tengono le entrate fiscali, grazie anche all’Superenalotto che attira frotte di turisti, attratti dal desiderio di realizzare il colpo grosso di una vita. Diminuisce, seppure leggermente, il debito per effetto della caduta dei tassi di interessi, dovuta allo eccesso di liquidità finanziaria. Qualche timido segnale si intravede anche negli andamenti dell’economia reale. Su base annua la crescita del Pil del secondo trimestre è rimasta stazionaria. La slavina, in altri termini, sembra essersi, almeno temporaneamente, arrestata. Solo nei prossimi mesi saggeremo la robustezza di questo supporto. Quello che è certo è stata la relativa tenuta dei consumi sia pubblici che privati. Nel primo
trimestre del 2008 – agli inizi della crisi – essi erano pari al 78,11 per cento del Pil. Nei mesi trascorsi si è molto ironizzato sugli inviti del Premier a non farsi spaventare dalla crisi e mantenere le proprie abitudini di consumo. I dati, certificati dall’Istat, in qualche nodo gli danno ragione, anche se questo non ci porterà fuori dal pantano dell’economia italiana e dalle cause di natura strutturale che ne sono alla base. Ma per aggredire questi nodi ci sarà tempo, a partire dai problemi del Mezzogiorno, nell’immediato era necessario allentare il cappio dell’emergenza. Per il futuro occorrerà, invece, un ragionamento più approfondito. Il nodo non risolto della crisi italiana è soprattutto nella caduta degli investimenti che, in questi ultimi anni si sono più che dimezzati, rispetto alla fine degli anni ’90. Si dice spesso che le cause del degrado vanno ricercate nella debolezza della ricerca e dell’innovazione. Ma ragionare così è mettere il carro davanti ai buoi. Se non ci sono investimenti, come vi può essere ricerca? Quest’ultima rappresenta l’investimento nell’investimento. Ma se mancano i primi, come invocare la seconda?
La slavina sembra essersi arrestata. Solo nei prossimi mesi saggeremo la robustezza di questo supporto. Di certo c’è stata una relativa tenuta dei consumi
Eppure negli anni passati – diciamo fino agli
inizi degli anni ’90 – gli investimenti erano una componente fondamentale della crescita del Pil. Erano fatti principalmente per aggirare le rigidità del mercato del lavoro. Innovazioni di processo per ottenere sul terreno della produttività quella parte di surplus che si doveva cedere sul terreno salariale. Poi la segmentazione del mercato del lavoro – stabili contro precari – ha reso inutile questo sforzo. Le aziende hanno tirato i remi in barca, preferendo assumere mano d’opera senza protezione. La riforma incompiuta del mercato del lavoro – eccessi di protezione per gli insider assoluta liberalizzazione per gli outsider – si è trasformata in una palla al piede che ha frenato gli animal spirits, ormai sazi di conseguire, senza rischio e senza sforzi, adeguati livelli di profitto. Su questo groviglio di problemi sarà necessario tornare a riflettere, anche in vista delle modifiche si renderanno necessarie per adeguare il modello contrattuale alle mutate condizioni dell’economia italiana ed internazionale. Una riflessione a tutto campo che dovrà investire la stessa politica fiscale. L’aliquota sugli utili aziendali forse è troppo favorevole a chi si limita a ridistribuirli. Mentre è troppo elevata per coloro che li destinano ad incrementare il capitale o gli investimenti. Un tema, questo, di cui purtroppo si parla poco, mentre il Pil italiano non riesce ad elevarsi oltre la soglia minima di un prefisso telefonico, costretto, com’è, a contare su un volume crescente di consumi quale principale elemento di dinamismo. Ed il risultato, purtroppo, è sotto gli occhi di tutti.
politica
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Guadi. Alleanza con l’Udc e ricucitura con il Vaticano: ecco la campagna d’autunno del Pdl. Incompatibile però con la presenza della Lega per atteggiamenti e posizioni del partito di Bossi
O la Chiesa o la Lega Immigrazione, gabbie salariali, emergenza meridionale: tra il Carroccio e i moderati l’intesa si fa sempre più difficile di Riccardo Paradisi l bastone e la carota. Soprattutto la carota. Il Pdl risponde alle critiche di parte cattolica sulla poca sobrietà del Premier e la sua ”tracotanza”ma poi fa subito intendere, con una raffica di dichiarazioni e con alcune indiscrezioni, che il prossimo autunno il centrodestra sarà in campo a difesa delle battaglie care alle gerarchie ecclesiastiche.
I
Battaglie che vanno dall’indagine parlamentare sui rischi della pillola abortiva Ru486 e sulla sua compatibilità con la legge 194, al diritto alla vita in riferimento al testamento biologico, per arrivare alla difesa dell’attuale funzione degli insegnanti di religione nella scuola pubblica. Funzione che, almeno per la partecipazione agli scrutini dei prof. di religione, è stata messa in discussione dalla controversa sentenza di martedì scorso del Tar del Lazio. Insomma il Pdl sembra realmente intenzionato a recuperare le posizioni che avevano animato la stagione del family day e della difesa dei valori. E così il presidente dei deputati del Pdl Fabrizio Cicchitto se da un lato replica all’Avvenire, il quotidiano dei vescovi italiani, chiedendo “rispetto reciproco”e negando che il premier sarebbe colpevole di una “tracotante messa in mora di uno stile sobrio”, dall’altro, esaurita la difesa d’ufficio, fa intravedere un incedere politico neomoderato e centrista per il Pdl dell’imminente futuro. E così ecco l’esibito sostegno del ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini– «Ha fatto bene a ricorrere contro la sentenza del Tar» che detto da uno degli esponenti più laici del Pdl fa un certo effetto – ed ecco la riproposizione dell’offerta di alleanza per le prossime regionali all’Udc «Sarebbe auspicabile – dice Cicchitto – trovare un’intesa con Casini alle regionali e
Nella foto grande il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Qui a lato il leader della Lega Umberto Bossi. Il Carroccio potrebbe essere un’ostacolo alla svolta moderata del Pdl
poi a livello politico». E sull’ipotesi che l’Udc scelga il Pd in alcune regioni? Il presidente dei deputati del Pdl replica indicando una prospettiva di soluzione: «Stiamo ragionando su un’intesa complessiva». Una prospettiva subito rilanciata da altri esponenti del Pdl. «Alle Regionali del prossimo anno ci sarà certamente in tutta Italia l’accordo con l’Udc. È normale e giusto che questa alleanza ci sia e la reputo anche assolutamente coerente con la storia del partito e con le persone», dice Marcello Dell’Utri a cui piacerebbe anche l’ingresso dei centristi di Pierferdinando Casini nel Pdl. Come non cogliere del resto tra Berlusconi e Casini una comunanza sul tema del Sud? sostiene il ministro degli Affari regionali, Raffaele Fitto. «Sintonia da mettere in relazione – spie-
Finita l’estate i fronti che aprirà il Pdl saranno Ru486, diritto alla vita, difesa dell’ora di religione. Una strategia di riavvicinamento alla Chiesa ga Fitto – al fallimento delle politiche finora adottate e alla necessità di cambiare la classe dirigente. Per questo in prospettiva delle regionali va comunque condotta una verifica per il dialogo con l’Udc di Casini». Politiche filocattoliche e alleanze con l’Udc dunque. Sembra questo il cartello programmatico del Pdl versione autunno-inverno 2009. E da via dell’Umiltà arrivano delle conferme sul fatto che finita l’estate i fronti che aprirà il Pdl saranno proprio Ru486, biotestamento e diritto alla vita, di-
fesa dell’ora di religione a scuola e sostegno alle scuole cattoliche. E pazienza per il mal di pancia del presidente della Camera Gianfranco Fini che continuerà a sollevare obiezioni e riserve. Una campagna d’autunno che dovrebbe servire anche a far dimenticare l’anno bravo del presidente del Consiglio e a far superare alla Chiesa il suo imbarazzo. Dal Pdl arrivano anche conferme sulla volontà di stringere sull’alleanza con l’Udc per le prossime regionali, un invito che negli ultimi mesi è diventato un leit motiv nelle dichiarazioni dei vertici berlusconiani. Per carità, in politica tutto è possibile, senonchè come dice il proverbio non si può essere tondi per entrare nel buco quadrato. Perché è evidente che in questi ragionamenti manca quel non piccolo particolare, rimosso, che si chiama Lega nord. Una variabile che risulta difficilmente assimilabile alla strategia moderata del Pdl. Come la si mette infatti con le posizioni della lega sull’immigrazione per esempio, sulle gabbie salariali o sui fondi per il sud? Si possono conciliare toni e atteggiamenti leghisti – che peraltro non sembrano in via di decantazione, anzi – con una politica moderata, che interloquisce col centro politico e con la Chiesa? Si ammetterà che è quanto meno difficile.
Basterebbe prestare orecchio alle polemiche che sulle alleanze per le prossime regionali stanno agitando la politica al nord per capire che il Pdl sarà prima o poi costretto a una scelta. In particolare basterebbe prendere in analisi quanto sta avvenendo per esempio nel Veneto. Dove il governatore Giancarlo Galan a chi gli chiede un commento sull’ipotesi di alleanza con l’Udc del Pdl alternativa alla Lega risponde: «Non sono un uomo per tutte le stagioni: non posso dimenticare di essere tra i fondatori di Forza Italia. A oggi, a bocce ferme, direi che è più che positiva la convivenza Pdl-Lega-Udc in giunta regionale del Veneto. Dunque, perché dovrei pensare a cambiamenti?». E agli esponenti dell’Udc (dal segretario nazionale del partito Pier Ferdinando Casini all’esponente regionale De Poli) che hanno sollecitato a Galan una sempre maggiore distinzione dalla Lega, lui rilancia la palla dall’altra parte del campo: «devono decidere da che parte stare». Per quanto riguarda il Carroccio e la sua vocazione all’autoisolamento, il governatore del Veneto dice che è una caratteristica della Lega quella di essere una forza territoriale: «Sta nel suo Dna, ma questo non è ostacolo al governo». L’esponente del Pdl Carlo Giovanardi arriva a supporto: «Per quanto ci riguarda nessuna allean-
za è possibile senza il concorso dei partiti che fanno parte della maggioranza che governa il Paese, meno che mai se qualcuno pensa localmente di sostituire la Lega con l’Udc».
Un’analisi che attira l’immediata replica del segretario regionale dell’Udc del Veneto, Antonio De Poli: «Il Carroccio mi sembra tanto il vecchio brontolone del Goldoni, Sior Todaro Brontolon, che voleva avere tutti al proprio servizio sentendosi il paron incontrastato e indiscusso della famiglia e di tutti coloro che in un modo o nell’altro si legano alla sua famiglia. Proprio come fa la Lega con il Pdl». Baruffe venete si dirà, ma altrove le cose non stanno poi tanto diver-
politica
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Ora di religione/1. Mario Mauro: «No alla proposta Cacciari. La Curia sceglie bene»
«Basta seguire il Concordato» di Marco Palombi
ROMA. «Questa sentenza del Tar mi sembra l’ennesima provocazione per smantellare il rapporto particolare che esiste tra Stato italiano e Chiesa cattolica. Insomma mi sembra che il vero obiettivo di questa sentenza sia proprio il Concordato e mi auguro che quella cultura che ha generato gli accordi del 1984 ora non si faccia intimidire». Mario Mauro, ciellino doc, capogruppo del Pdl al Parlamento europeo e per anni responsabile scuola e università di Forza Italia, a due giorni di distanza non ha ancora digerito la pronuncia dei giudici amministrativi che ha escluso gli insegnanti di religione dalla partecipazione agli scrutini: «È una forma di discriminazione vera e propria: perché se ho scelto l’ora di religione non devo essere valutato per quello che faccio? Se poi si pensa che questa scelta la fa oltre il 90% degli studenti, allora la richiesta di far partecipare alla valutazione anche i professori di religione mi pare decisamente legittima». Che ne pensa della proposta di Massimo Cacciari: insegnanti assunti per concorso e ora obbligatoria? Sono completamente contrario. Tutti fanno finta, giudici compresi, di non capire che in questo caso c’è di mezzo il Concordato del 1984, in cui la Chiesa mette a disposizione dello Stato un patrimonio di conoscenze e competenze volto a favorire le opzioni educative a disposizione dei ragazzi e delle famiglie. Non è un’ora di catechismo in senso stretto, ma non può diventare nemmeno un insegnamento di storia delle religioni. Perché si parla di “religione cattolica”.
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Certo, se si prescinde da questo siamo nel campo delle opinioni in cui si possono fare proposte, anche sensate come quella di Cacciari, che però non hanno niente a che vedere con questa vicenda. Resta che gli insegnanti delle scuole statali li sceglie la Curia. Il problema non mi pare proprio questo, ma con che tipo di insegnante si ha a che fare: se non appassiona, se non coinvolge, resta solo la noia. Io direi che la discrezionalità nella selezione ha salvaguardato l’alto profilo dell’insegnamento. Intende la competenza? Intendo soprattutto le motivazioni, che sono invece un grosso problema per moltissimi insegnanti e sono pure la fonte di buona parte del contenzioso tra professori e amministrazione pubblica. Se dobbiamo rivedere qualcosa allora parliamo della selezione degli insegnanti statali: quelle graduatorie ottuse che hanno fatto fallire tutti i tentativi di riforma. Così non si rischia di perpetuare un’anomalia tutta italiana? Io parlerei di modello italiano. Perché devo considerarla un’anomalia? Negli altri paesi è fallito ogni tentativo di insegnamento etico-morale o religioso. L’idea che una morale laica a buon mercato possa sostituire l’insegnamento di religione è assolutamente falso.
Il Tar? Provocazione per smantellare l’intesa del 1984 con il Vaticano. Spero che nessuno si faccia intimidire
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Ora di religione/2. Paola Binetti: «Se il concorso assicura qualità, non ci sono problemi»
«Dare credito alla fede» ROMA. Una sentenza «non tollerabile» e
Il Pdl continua a chiedere l’alleanza del Centro alle Regionali. Ma i moderati ribadiscono l’impossibilità di un’intesa con la Lega samente. E l’obiezione dei moderati è che se Lega e Pdl, a livello nazionale, sono in perfetta sintonia lo si deve non al fatto che si sia trovata una sintesi ma perché «Questo è un governo che segue le boutade dei leghisti». Questo per dire che la Lega non agevola la strategia d’autunno del Pdl.
«frutto di cultura laicista». Paola Binetti non ha gradito il pronunciamento del Tar, ma pare, pur cautamente, più possibilista sull’idea di Cacciari di assumere gli insegnanti di religione tramite concorso pubblico: «Possiamo certo aprire un dibattito, ma che sia sull’intera classe docente: sulla selezione, la formazione e la verifica del lavoro di chi domani insegnerà religione, ma anche matematica». Innanzitutto, spiega, «va chiarito che i professori di religione sono tutti laureati». Di più: «Conseguono anche quello che si chiama “magistero in scienze religiose”, che possiamo paragonare a una laurea triennale e serve a perfezionare conoscenza e competenza della disciplina. Si può dire che in qualche modo la Curia dà una sorta di permesso all’insegnamento che a conti fatti non è altro che un riconoscimento di competenza». È proprio il punto: i professori non vengono scelti dallo Stato. Se siamo sicuri che il concorso garantisce anche la formazione non ci sono problemi. Ma allora chiedo: chi potrà partecipare a questo concorso? Per insegnare una materia bisogna aver frequentato un corso di studi accreditato e questo ovviamente anche per la religione: finora le uniche ad averlo sono le università pontificie. Potrebbero averlo anche le altre università. Ogni cosa può avere il suo tempo. Un corso di laurea in teologia potrebbe essere aperto anche negli atenei pub-
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blici, ma allora la domanda è: chi garantisce la qualità? C’è innanzitutto il problema della selezione dei docenti, del loro profilo scientifico, e poi c’è il tema della valutazione: come si verifica che l’insegnamento sia di alto profilo? Anche un laico alla Odifreddi potrebbe essere competente. Intanto se la sua competenza su alcuni aspetti è eccellente su altri è viziata dall’impostazione. Non sono sicura che passerebbe gli esami di teologia morale o dogmatica. Perché oltre alla competenza viene richiesta anche la fede. Certo. Il professore di religione deve garantire competenza e conoscenza, ma anche una reale capacità di rispondere ai grandi quesiti che nascono all’interno della fede cattolica. Serve lealtà al contratto pedagogico che l’insegnante stringe con la disciplina insegnata: se insegnassi matematica senza amare la matematica sarei un pessimo insegnante. L’idea di Cacciari non la convince. Non vorrei che fosse una provocazione. La verità è che la scuola italiana avrebbe tutto da guadagnare da un corpo insegnante di religione capace di trasmettere conoscenze alte e sollecitare i giovani alla ricerca di ideali. (m.p.)
Il professore deve garantire competenza, ma anche una reale capacità di rispondere ai grandi quesiti del credo
”
mondo
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Documenti. Un duro testo di denuncia e accuse contro la giunta militare, che tiene il Myanmar stretto in una spirale di feroce povertà e crudele repressione
Vent’anni di solitudine Il discorso del figlio di Aung San Suu Kyi pronunciato nel ’91 alla consegna del Nobel dimostra che nulla è cambiato di Alexander Aris ono qui oggi per accettare a nome di mia madre, Aung San Suu Kyi, questo premio di inestimabile valore, il Premio Nobel per la Pace. Dato che le circostanze non consentono a mia madre di presenziare personalmente a questa premiazione, cercherò di fare del mio meglio al fine di trasmettere a tutti voi i sentimenti a cui ritengo ella darebbe voce. In primo luogo, so che inizierebbe il proprio discorso accettando il Premio Nobel per la Pace non a suo nome ma a nome di tutte le genti della Birmania. Ella affermerebbe che tale premio non è di sua sola proprietà, ma appartiene altresì a tutti quegli uomini, donne e bambini che, anche mentre noi tutti siamo qui, continuano a sacrificare il proprio benessere, la propria libertà e le proprie vite nel conseguimento di uno stato birmano democratico. A loro va questo premio; e loro sarà anche l’eventuale vittoria nella lunga lotta per la pace, la libertà e democrazia ingaggiata dalla Birmania.
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Parlando in qualità di figlio di Aung San Suu Kyi, desidererei comunque trasmettere a voi tutti la mia incrollabile convinzione che con la sua dedizione ed il suo sacrificio personale ella sia diventata un nobile simbolo attraverso cui il dramma di tutta la popolazione birmana possa essere finalmente disvelata. Nessuno deve sottovalutare tale dramma. È il dramma degli abitanti delle campagne e delle città, costretti a vivere in povertà e nella più totale indigenza; dei detenuti, vessati e torturati; il dramma dei giovani, la speranza della Birmania, che muoiono di malaria nella giungla dove sono fuggiti; è il dramma dei monaci buddisti, picchiati ed umiliati. Né possiamo dimenticare i molti grandi leader che si sono schierati accanto a mia madre e che ora si ritrovano in stato d’arresto. È da parte di tutte queste persone che io vi ringrazio, dal profondo del cuore, per questa altissima onorificenza. Il popolo birmano può oggi rialzare un po’ la testa nella consapevolezza che il suo grido di dolore da quella terra distante è stato udi-
L’Unione europea colpirà anche i giudici che hanno emesso la sentenza
La sveglia di Bruxelles: nuove sanzioni al regime di Vincenzo Faccioli Pintozzi Unione europea batte un colpo, ed esprime una condanna formale sul comportamento della giunta militare che governa Rangoon. Nel silenzio delle Nazioni Unite, che si sono arenate in Consiglio di Sicurezza per il veto di Cina e Russia, è Bruxelles a decidere la strada da seguire: inasprimento delle sanzioni dell’Ue contro il Myanmar (ex Birmania) in risposta alla sentenza che condanna ad altri 18 mesi di arresti domiciliari il premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi. I quattro giudici che l’hanno condannata sono stati aggiunti alla lista di funzionari birmani soggetti a congelamento dei beni e divieto di ingresso nell’Ue.
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L’Unione europea, dopo le proteste dei monaci birmani nel settembre 2007, aveva imposto sanzioni a 1.207 società birmane di proprietà di esponenti del regime, i loro famigliari o amici, limitato i contatti diplomatici e sospeso gli aiuti non umanitari o dei programmi di sviluppo. Le sanzioni, però, sono «giuste e utili, ma la loro incidenza effettiva è parziale». Lo ha detto ieri Piero Fassino, inviato speciale Ue per la Birmania/Myanmar, intervistato da Cnr media. Fassino ha ricordato che alle sanzioni contro il Myanmar non aderiscono gli Stati asiatici, ovvero l’80 per cento dei partner commerciali del Paese. Per questo, «la nostra stategia deve muoversi anche in altre direzioni: penso a programmi di aiuto umanitario alla popolazione. Ma dobbiamo anche cercare di usare tutti i canali di pressione politico diplomatica per convincere il regime a liberare Suu Kyi e gli altri prigionieri politici, a varare una legge elettorale democratica per il voto del 2010 e ad avviare un dialogo sul voto con opposizione e comunità etniche». Nel nome della sempiterna realpolitik, Fassino sottolinea come tutto questo vada fatto «coinvol-
gendo soprattutto i Paesi asiatici. Il ruolo della Cina è fondamentale, perché Pechino è il principale partner economico, commerciale e politico del Myanmar».
Fassino ha poi ricordato che in giugno il ministro degli Esteri cinese ha affermato che «è urgente aprire una nuova fase in Birmania prima che questo Paese diventi un problema per la stabilità e la sicurezza internazionale». In confronto alla precedente prudenza di Pechino, rileva l’inviato italiano, «tali parole significano che c’è una nuova consapevolezza nei cinesi e negli altri popoli della regione che la situazione non può essere mantenuta così com’è ancora a lungo. Occorre costruire una via d’uscita». Segnali di vita anche dagli Stati Uniti, che dopo la condanna formale per il verdetto ha inviato il senatore Jim Webb nel Paese per incontrare i leader della giunta militare birmana. Il senatore atterra oggi in Myanmar, anche se fonti del governo locale dicono: «Non è ancora chiaro se il presidente della commissione per Affari dell’Asia dell’Est e del Pacifico, nel quartier generale della giunta di Naypyitaw incontrerà il capo del regime, il generale Than Shwe». Webb, che in passato aveva proposto un cambio della politica di Washington nei confronti del Myanmar, sarà il primo senatore americano a recarsi in visita nel Paese in oltre dieci anni. La sua missione è finalizzata anche ad ottenere il rilascio di John William Yettaw, il cittadino americano che è stato condannato a sette anni di lavori forzati per aver raggiunto a nuoto la casa dove la leader dell’opposizione era detenuta agli arresti domiciliari. Rimane dunque lo sconcertante silenzio del Palazzo di vetro, che sembra preferire le singole iniziative degli Stati a un suo intervento diretto.
Congelati i beni all’estero anche per i 4 giudici che hanno scritto la sentenza contro la leader democratica. Un senatore Usa oggi in Myanmar per colloqui
to e ha trovato ascolto. Dobbiamo altresì ricordare che la solitaria lotta che ha come teatro di battaglia un complesso di Rangoon strettamente e costantemente sorvegliato costituisce parte di una lotta più ampia, una lotta mondiale per l’emancipazione dello spirito umano dalla tirannia politica e dalla soggezione psicologica che ne deriva. Sono sicuro che questo premio vuole anche rendere omaggio a tutti coloro che si impegnano in questa lotta, ovunque essi si trovino. E non senza motivo questa cerimonia di premiazione cade proprio nella Giornata Internazionale per i Diritti Umani, celebrato tutto il mondo.
Signor Presidente, l’intera comunità internazionale ha salutato con soddisfazione la scelta fatta dal Vostro Comitato. Solo pochi giorni or sono, le Nazioni Unite hanno approvato all’unanimità una storica risoluzione con la quale si esprime approvazione e soddisfazione per la dichiarazione del Segretario Generale Javier Pérez de Cuéllar sul significato di questo premio e si ribadisce in termini espliciti la necessità di un immediato rilascio di mia madre.
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de, e cito, «il concetto di perfezione, la spinta a conseguirlo, l’intelligenza nell’individuare un percorso che ad esso ci conduca, e la volontà di seguire quel percorso se non fino alla fine, quantomeno per una distanza tale da elevarci al di sopra delle limitazioni individuali…». «Per vivere una vita piena», ella afferma, «è necessario avere il coraggio di sopportare la responsabilità insita nei bisogni degli altri… si deve volere una tale responsabilità”. Ed ella unisce saldamente tutto ciò alla propria fede nello scrivere che «il Buddismo, le fondamenta della cultura tradizionale birmana, ripone grande valore nell’individuo, che unico tra tutti gli esseri può raggiungere il grado supremo del Buddha. Ogni individuo ha in sé il potenziale per raggiungere la verità attraverso la propria volontà e la forza per aiutare gli altri a raggiungerla».
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Pochi giorni fa,l’Onu ha approvato all’unanimità una storica risoluzione con la quale si ribadisce in termini espliciti la necessità di un immediato rilascio di mia madre.Grazie a tutti per l’aiuto La preoccupazione suscitata a livello globale dalla gravissima situazione in cui la Birmania versa è stata chiaramente espressa. Sola ed isolata tra le nazioni del mondo una sola voce dissidente si è alzata, quella della giunta militare di Rangoon, con eccessivo ritardo ed eccessiva debolezza.
In quasi trent’anni di malgoverno, il regime che attanaglia il nostro Paese ha trasformato la terra un tempo conosciuta come la prosperosa “Terra Dorata”in una delle nazioni più indigenti dal punto di vista economico a livello mondiale. In cuor loro, anche coloro che attualmente detengono il potere a Rangoon sanno che il loro stesso destino sarà identico a quello di tutti i regimi totalitari che tentano di imporre la propria autorità grazie alla paura, la repressione e l’odio. Quando nel 1988 l’anelito di democrazia della popolazione birmana
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si riversò per le strade, si intravide la prima avvisaglia di ciò che sarebbe in seguito diventata un’ondata internazionale di movimenti che nell’Europa orientale, in Asia ed in Africa invocavano simili cambiamenti. Oggi, nel 1991, la Birmania deve affrontare immani sofferenze causate da una giunta che fa della repressione e dell’intransigenza i propri strumenti di governo, il Consiglio di Stato per la Restaurazione della Legge e dell’Ordine. In ogni caso, l’esempio di quelle nazioni che hanno conquistato con successo la democrazia costituisce un messaggio importante per il popolo birmano; e cioè che, in fin dei conti, attraverso la semplice ingestibilità del totalitarismo dal punto di vista economico, questo regime verrà spazzato via. Ed ora, a fronte ad un’inflazione in sempre maggiore aumento, a fronte ad un sistema economico mal gestito e di un Kyat quasi privo
di valore, il governo birmano sta indubbiamente raccogliendo quanto ha seminato.
In ogni caso, spero con tutto il cuore che non sia la crisi economica a determinare la caduta del regime, ma che la giunta al potere dia ascolto ai ripetuti appelli per il rispetto dei basilari diritti umani come il Comitato per il Nobel ha espresso nelle sue motivazioni per l’assegnazione del premio. So che anche all’interno del governo militare vi sono quanti provino disgusto di fronte alle politiche incentrate sulla paura e la repressione poste in essere dall’attuale giunta; politiche che violano i più sacri principi della tradizione buddista. Il mio non vuole essere un pensiero intriso di vuoti auspici, ma una convinzione a cui mia madre pervenne nel corso delle trattative con coloro che detengono dei ruoli d’autorità, esplicato dalle vittorie elettorali del suo partito in collegi composti quasi esclusivamente da membri del personale militari e dalle loro famiglie. È mio desiderio che tali elementi di moderazione e di riconciliazione con coloro attualmente al potere facciano comprendere a queste persona-
lità la gravità del male che affligge la Birmania.
So che, se oggi fosse libera, mia madre, nel ringraziarvi, vi chiederebbe di pregare affinché gli oppressori e gli oppressi possano deporre via le armi e possano finalmente unirsi al fine di costruire una nazione fondata sull’umanità e su uno spirito di pace. Sebbene mia madre venga sempre dipinta come un dissi-
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Infine afferma, «la battaglia della democrazia in Birmania rappresenta la lotta di un popolo per vivere una vita completa e densa di significati in quanto membri liberi ed eguali della comunità mondiale. È parte di un incessante sforzo umano per dimostrare che lo spirito dell’uomo può trascendere i vizi insiti nella sua natura». Questa è la seconda volta che io ed il mio fratello minore accettiamo un’onorificenza di grande valore a nome di nostra madre qui in Norvegia. L’anno scorso ci siamo recati a Bergen per ricevere sempre a suo nome il Premio Thorolf Rafto per i Diritti Umani, un meraviglioso preludio all’evento che noi tutti stiamo ora celebrando. Ed ora sentiamo una forte vicinanza con il popolo norvegese. Spero che presto mia madre possa essere in grado di condividere tali sentimenti e di parlare a voi tutti direttamente, senza intermediari. Nel frattempo questo grande sostegno alla sua causa ed a quella del popolo birmano ha permesso di avvicinare due popoli alle opposte estremità del globo. E sono sicuro che grandi cose fioriranno da questo legame qui forgiato.Non mi
Oggi,nonostante sia il 1991,la Birmania deve affrontare immani sofferenze causate da una giunta che fa della repressione e dell’intransigenza i propri strumenti di governo.Questo deve finire
dente politico che combatte con mezzi pacifici per conseguire un cambiamento in senso democratico, dovremmo ricordarci che la sua ricerca è fondamentalmente spirituale. Come ella stessa ha affermato, «la quintessenza della rivoluzione è quella dello spirito», e ha scritto di un “essenziale fine spirituale” nella lotta. La realizzazione di tutti questi obiettivi dipende esclusivamente dalla responsabilità umana. Alla base di tale responsabilità risie-
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resta altro che ringraziare voi tutti dal profondo del mio cuore. Speriamo e preghiamo affinché da oggi le ferite possano rimarginarsi e che negli anni a venire il Premio Nobel per la Pace del 1991 possa essere ricordato come uno storico passo in avanti verso il raggiungimento di una vera pace in Birmania. Le lezioni del passato non verranno dimenticate, ma oggi festeggiamo la nostra speranza in un futuro migliore.
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diario
Ieri i dati del ministero dell’Economia e delle Finanze
Da Cicchitto a Dell’Utri, il Pdl auspica accordi con Casini
Pensioni d’invalidità, al Sud il doppio che al Nord
Ennesimo segnale d’apertura verso l’Udc
ROMA. Sono 2.137.078 gli italiani che percepiscono una pensione di invalidità, includendo l’invalidità civile, i non vedenti e i non udenti. Il dato, relativo al 1 gennaio 2008, emerge dalla “Relazione Generale sulla situazione economica del Paese 2008” del ministero dell’Economia. Al Sud il numero di prestazioni, in rapporto alla popolazione, è superiore rispetto al Nord e al Centro. Nel Sud e Isole infatti ci sono 4,39 pensioni di invalidità ogni 100 abitanti, al Centro il rapporto è di 3,73, mentre al Nord scende ancora a 2,91. Nel Mezzogiorno quindi il tasso di pensioni di invalidità è di circa il 50% maggiore rispetto al Nord. «Si evidenzia un numero relativamente maggiore di prestazioni in tutte le regioni del Sud (in particolare Sardegna, Calabria, Campania, e Abruzzo) rispetto alle regioni del Centro-Nord sottolinea il ministero nella Relazione -. Tuttavia tra le regioni del Centro, in Umbria si rileva, in rapporto alla popolazione residente, il numero più elevato di prestazioni con 5,48 ogni 100 abitanti a fronte di un valore medio nazionale pari a 3,58 e di un valore medio della ripartizione pari a 3,73. Analogamente
ROMA. «Sarebbe auspicabile trovare un’intesa con l’Udc alle regionali e poi a livello politico». Lo ha affermato ieri Fabrizio Cicchitto in un’intervista al Quotidiano nazionale. E sull’ipotesi che l’Udc scelga il Pd in alcune regioni, il presidente dei deputati del Pdl ha replicato: «Oggi stiamo ragionando su un’intesa complessiva».
«Riportiamo in Italia i capitali off-shore» Luigi Paganetto: «Investiamoli in innovazione e sviluppo» di Francesco Capozza
ROMA. Sono 170mila i casi tenuti sotto osservazione dal Fisco nell’ambito delle indagini contro i paradisi fiscali. A fornire le cifre della lotta ai capitali detenuti illegalmente all’estero è il direttore dell’Agenzia delle Entrate, Attilio Befera. «Non abbiamo deciso di perseguire i miliardari, ma di intensificare l’azione su tutti coloro che hanno capitali detenuti illegalmente all’estero» ha spiegato Befera, commentando l’indagine avviata nei confronti degli Agnelli e dell’eredità dell’Avvocato. Befera ha sottolineato che «il raggio d’azione è allargato». «Stiamo operando a 360 gradi» ha aggiunto, precisando che con il nuovo decreto del governo sui paradisi fiscali, è iniziato un «fimportantissimo cambiamento di linea, perché commuta il capitale detenuto all’estero in reddito non dichiarato: in questo modo intervengono sanzioni molto più pesanti». Liberal ha voluto sentire l’opinione del professor Luigi Paganetto, presidente dell’Enea, esperto di Economia internazionale ed ex preside della facoltà di Economia dell’università di Tor Vergata a Roma. Come avrà sentito il fisco indaga su un ingente capitale che l’Avvocato Agnelli avrebbe depositato in conti svizzeri eludendo i controlli dell’agenzia delle entrate. Cosa pensa dei paradisi fiscali? Vorrei fare una premessa: la finanza negli ultimi anni è stata concentrata soprattutto - e forse erroneamente - su investimenti a breve termine. Questo fatto, oltre ad una cospicua presenza di capitali portati all’estero e per questo in un certo senso “privilegiati”, ha contribuito alla pesante crisi del sistema fiscale italiano. Dire che tutti devono pagare le tasse è fin troppo ovvio, incentivare chi porta capitali all’estero a farli rientrare ovvero ad utilizzarli per creare innovazione e sviluppo - che sarebbe sicuramente un grande aiuto per il sistema Italia - è un altro discorso, ben più complesso ma al contempo fondamentale per la ripresa economica del paese. Un noto editorialista economico ha scritto
ieri sul quotidiano di Confindustria che una cosa del genere negli Stati Uniti non sarebbe neppure pensabile. Come al solito siamo esempio negativo o forse è un male globale che risparmia solo pochi quello dell’evasione? Beh, se guardiamo agli Stati Uniti è evidente che il sistema fiscale sia molto più duro che qui da noi. I controlli sono molto determinati e forse anche più precisi. Le regole,in generale, vengono fatte rispettare con una fermezza abbastanza invidiabile. Che però il problema dei paradisi fiscali in America non esista è un’affermazione se non falsa quanto meno azzardata. Voglio ricordare, infatti, che uno dei punti cardine della politica economica dell’amministrazione Obama è proprio la lotta ai paradisi fiscali. Quindi il problema ce l’hanno anche oltreoceano, mi pare ben evidente. Secondo lei il “caso Svizzera”potrebbe essere un facile espediente per aggirare lo “scudo fiscale”? Come ha specificato ieri il direttore dell’agenzia delle entrate sul caso Agnelli non sarà possibile applicare lo scudo. In altri casi, a meno che non ci sia un provvedimento già in piedi, e in tal caso scatterebbe l’inversione dell’onere della prova, credo che possa essere un incentivo per gli interessati. In più, l’imposta prevista non è nemmeno così alta come si potrebbe pensare. Che ne pensa dell’ipotesi di rilancio del cosiddetto “bilancio universale”proposto dal ministro Tremonti? Servirebbe a qualcosa? Innanzi tutto questa proposta non è ancora così chiara da poterne giudicare in modo specifico gli eventuali effetti benefici sul sistema fiscale. Tuttavia, per come è stata presentata - pur non essendo, ovviamente, una panacea - mi sembra che un sistema in cui vi siano regole di bilancio condivise a livello internazionale possa essere una buona soluzione per controllare meglio, diciamo così, le entrate e le uscite dal nostro ad altri paesi e viceversa.
Intanto, dopo il caso della famiglia Agnelli, l’Agenzia delle Entrate indaga su 170mila nomi: «Non solo milionari»
nelle regioni del Nord, la Liguria presenta un valore pari a 4,10 contro il 2,91 calcolato sulla media delle regioni settentrionali».
La Regione con meno pensioni di invalidità in rapporto alla popolazione è la Lombardia (2,79). Al Sud il rapporto più basso è quello del Molise (3,76), seguono Basilicata (3,99) e Sicilia (4,06). «Nonostante i numerosi interventi normativi - si legge ancora nella Relazione la materia necessita ancora di un riordino complessivo, in particolare per quanto riguarda la definizione degli interventi, le modalità di accertamento e verifica». Anche per quanto riguarda l’importo delle pensioni, c’è una notevole differenza: al Nord ammonta a 4.674,5 euro l’anno (in media) ma sale a 5.250,4 euro nel Sud e nelle isole.
Dello stesso avviso anche Marcello Dell’Utri, senatore del Popolo della Libertà, che non ha dubbi: «Alle Regionali del prossimo anno ci sarà certamente in tutta Italia l’accordo con l’Udc. È normale e giusto che questa alleanza ci sia e la reputo anche assolutamente coerente con la storia del partito e con le persone». Dell’Utri lo ha affermato in-
vece al quotidiano online Affaritaliani.it e sulla possibilità di un ingresso dei centristi di Pier Ferdinando Casini nel Pdl ha sottolineato: «Iin politica nulla è impossibile». Non considera un problema invece la presenza della Lega al nord e lo scontro tra Carroccio e Udc: «No, nessun problema. Meglio fare accordi per vincere che non fare accordi per perdere». Per quanto riguarda le ultime esternazioni del movimento padano, Dell’Utri ha affermato: «Siamo abituati. Ma poi sono anche divertenti, fanno parlare, sono cose di cui si discute. Almeno c’è qualche argomento sotto l’ombrellone». Infine sul partito del Sud voluto da Miccichè ha aggiunto: «Non nascerà. Certo potrebbe anche nascere, ma nessuno se ne accorgerebbe». Per Dell’Utri inoltre un’eventuale “Lega del sud” non creerebbe problemi al Pdl: «È impossibile». «Tra Berlusconi e Casini non si può non cogliere una comunanza sul tema del Sud» e questo potrebbe essere «una buona base di confronto». Queste invece le parole di Raffaele Fitto, in un’intervista a Il Giornale. Il ministro per i Rapporti con le Regioni si è quindi detto convinto che «in prospettiva delle regionali, va comunque condotta una verifica per un dialogo» con l’Udc.
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otto pagine per cambiare il tempo d’agosto
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14 agosto(1876)
Sibilla Aleramo
Una poetessa tanto amata, ma sempre in cerca dell’amore mai trovato
Le quattro vite di un grande spirito di Alessandro Marongiu
è un ritratto, bellissimo, di Michele Cascella, che con pochi segni di matita coglie alla perfezione le due posture con le quali Sibilla Aleramo è solita farsi fotografare, ovvero il capo leggermente inclinato e lo sguardo altrove, verso un fuori campo che non è dell’assenza, della vaghezza o della distrazione, ma della più assoluta presenza e attenzione. E c’è poi una foto di pochi anni prima che ci testimonia di come il suo non sia solo un modo di fare, magari per seguire le mode del tempo, ma piuttosto un modo d’essere in tutto e per tutto: Sibilla è all’aperto, un uomo e una donna siedono alla sua sinistra, e l’amico poeta Vincenzo Cardarelli alla sua destra. Guardano tutti verso l’obiettivo, anche la bambina che, in piedi vicino alla coppia, si direbbe il terzo componente di una felice famigliola: tutti, appunto, tranne lei, con gli occhi vigili orientati a mancina, a scrutare cosa non ci è dato sapere. In questa e in molte altre immagini simili, sembra quasi che l’occasione di una foto, lo scatto che dovrebbe consegnare all’immortalità un momento, un incontro, un evento, abbia per Sibilla Aleramo lo stesso valore di una qualsiasi altra azione, sia pure la più insignificante: niente cioè che ne possa imbrigliare, foss’anche solo per pochi istanti, giusto il tempo del click dell’operatore, la volontà, se questa volontà segue una qualche sollecitazione esterna alla quale lei non vuole rinunciare. C’è, insomma, in quel ritratto di Cascella e in quella foto con Cardarelli di inizio anni Dieci, tutto il carattere di una donna – o, se preferite, di Una donna. Non che assecondare la propria volontà si riveli sempre una buona idea, anzi: è ciò che succede quando, vincendo le resistenze dell’amatissimo padre, così importante per la sua vita – «L’amore per mio padre mi dominava unico. Accanto a lui, la mia mano nella sua per ore e ore, noi due soli camminando per la città fuori le mura, mi sentivo lieve, continua a pag. II
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SCRITTORI E CIBI
LE GRANDI BATTAGLIE DELLA STORIA
CAPOLAVORI DI PIETRA
I confetti di Gozzano
S. Maria del Fiore
di Francesco Napoli
di Lamberto Ippolito
Normandia 1944 di Massimo Tosti
pagine 4 e 5
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pagina I - liberal estate - 14 agosto 2009
ta ne Il passaggio: «Chiara, Letizia, Vittoria. E un giorno, sul rovescio d’uno dei foglietti dov’io nella notturna prece della pineta gli sussurravo delle mie estasi, egli scrisse “Sibilla”. Nome di mistero, che doveva restarmi, nome del mio destino fiero e altero, nome che non ho mai amato ma che ho portato come un dono periglioso […]».
Sopra Sibilla Aleramo. In alto Tito Zaniboni e Dino Campana. Accanto Matilde Serao e Maria Montessori. Al centro uno scritto di Ada Negri. A destra un’altra immagine della poetessa come al disopra di tutto. Il babbo dirigeva i miei studi e le mie letture, senza esigere da me molti sforzi» –, sposa poco più che sedicenne Ulderico Pierangeli, l’impiegato della fabbrica di famiglia che, corteggiatala invano, le usa violenza dopo averla sorpresa «un mattino [con] un abbraccio insolito, brutale».
Nata sotto una simile stella, l’unione non può che rivelarsi un tormento per Rina Faccio, non ancora Sibilla, che si unisce in matrimonio proprio con quello che, con ogni probabilità, è l’unico uomo comune, banale, tra i tanti della sua vita. Ed è anche ciò che succede quando, dopo una fugace relazione clandestina con un «forestiero» subito scoperta dal marito, e il conseguente tentativo di suicidio, Rina inizia lentamente a maturare quella coscienza che la porterà a lasciare la famiglia e con essa l’adorato figlio Walter, sicura del fatto che dopo la separazione il bambino verrà dato in affidamento a lei: così non sarà, e il
peso di quell’abbandono la seguirà, come un’ombra propria e sotto forma di biasimo altrui, per tutta la vita. Ma per lei il momento di sostituire l’istintività e l’accumulo di amore (e di amori) con l’ordine e la progettualità è ancora lon-
per cui ottiene le collaborazioni della Montessori, della Serao e di Ada Negri. Quando il marito, all’inizio del 1900, la costringe ad abbandonare Milano, sede della rivista, per seguirlo a Porto Civitanova dove ha ricevuto l’offerta di sostituire il suocero alla guida dell’azienda di faRina miglia, porta con sé, in questa sorta di viaggio a ritroso verso le inquietudini e il malessere del passato, una grande consapevolezza delle sue qualità e della sua crescita culturale, visto che può contare sul riconoscimento della cultura ufficiale, da cui le vengono numerosi incitamenti a continuare nel suo lavoro di articolista e redattrice.
Nel ritratto di Cascella c’è tutto il carattere di “Una donna“ che non rinunciò a nessuna sollecitazione esterna e che ebbe il coraggio di lasciare casa e figlio per diventare padrona della sua vita tano. Siamo appena a inizio Novecento, e alle spalle ha già numerose collaborazioni con periodici come Gazzetta letteraria, Vita Moderna e Vita internazionale, e la direzione, anche se per un tempo davvero breve, di L’Italia Femminile – Corriere delle donne italiane,
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Lo iato tra il periodo milanese, così fertile di gratificazioni, opportunità e lavoro, e quello
del ritorno al solo ruolo di moglie e madre segregata in casa da un marito geloso, sfocia quasi naturalmente nella decisione, che si compirà nel febbraio del 1902, di lasciare casa e figlio per diventare padrona della sua vita e, in seguito, scrittrice: e saranno in buona parte queste ultime vicende a fornire la materia per il suo esordio, Una donna. Ospite della sorella a Roma, Rina ha intrecciato da qualche tempo una relazione col poeta Guglielmo Felice Damiani, che presto lascia per quella ben più importante e durevole con Giovanni Cena. La casa in via Flaminia 45 nella quale convivono è un punto d’incontro per intellettuali e artisti di primo piano come Pirandello, la Deledda, Gor’kij, Pellizza da Volpedo, Balla. Si deve proprio al nuovo compagno la spinta a cercare nella scrittura un modo per superare i dolori del passato; e se il cognome che decide di adottare è un omaggio al Carducci di Piemonte, il nome Sibilla viene ancora da Cena, come raccon-
Dopo esser stato rifiutato da Treves e Baldini e Castoldi, finalmente il 3 novembre 1906 esce per Sten Una donna, deflagrante esordio narrativo che conosce da subito enorme successo e scatena altrettanto grandi polemiche. Rina Faccio diventa così per tutti Sibilla Aleramo, anche per evitare che il marito, che non ha nessuna intenzione di concedere la separazione e perdere così il figlio, e che anzi le fa sapere di essere disposto a ricomporre la famiglia se lei si decidesse a tornare sui suoi passi, possa rivalersi un giorno in sede giudiziaria. È un cambiamento doloroso, questo, per certi versi quasi una ritrattazione di tutto ciò per cui ha combattuto fino a quel momento, tanto che, sempre ne Il passaggio, scrive in proposito: «Dov’era la piccola gagliarda che si chiamava Rina, che da sola dopo tanta tribolata umiliazione aveva un giorno intrepidamente agito e s’era assolta? Ribattezzata, ripiantata»; parole che sono in stretta parentela con quelle che aprono quel primo romanzo: «La mia giovinezza fu libera e gagliarda». C’è un altro punto di Il passaggio in cui Sibilla confessa che la volontà di Cena è capace di soverchiare la sua, e riguarda in maniera concreta la stesura di Una donna: «Asportò egli dal mio libro le pagine dove io
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o stesso giorno... nacque
Magic Johnson e l’oro olimpico vinto a Barcellona di Francesco Lo Dico
estista, furia della natura, collezionò sul campo 6500 rimbalzi, 10mila assist, e 17mila punti. Playmaker inarrestabile, non lo fermò neppure l’Hiv. Earvin Johnson, nasce a Lansing nel 1959 e già da liceale prendono a chiamarlo Magic dopo una partita da 36 punti, 18 rimbalzi e 16 assist. A vent’anni approda all’università del Michigan e porta gli Spartans alla vittoria del campionato. Passa alla Nba tra i timori generali che la promessa si sgonfi, ma risponde gonfiando canestri in produzione seriale. Porta i Lakers al titolo e nella sesta finale contro i Philadelphia segna 42 punti. Insieme alla sua squadra si ripete nel 1982, 1985, 1987 e 1988 e per tre anni, è giocatore dell’anno Mvp Award (1987, 1989 e 1990). Numero 32 rivoluzionario, 206 centimetri di potenza e intelligenza, Magic passa la palla sen-
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diceva il mio amore per Felice. Ed io lasciai amputare così quella che voleva, che gridava essere opera di verità. Come un altro qualunque dei tagli operati sul manoscritto, come su un qualunque lavoro letterario»; mentre, in Un amore insolito, sempre su questo episodio: «Quel libro, testimonianza profonda di sincerità [...] si chiudeva, ecco, per l’intervento dell’uomo nelle deliberazioni della mia anima femminea, se non proprio con una menzogna, per lo meno con una mutilazione della verità. Era per amore che avevo ceduto, comprendendo che Cena mi chiedeva quel sacrificio non tanto per ragion d’arte quanto, con orgoglio di maschio, perché non si sapesse che avevo amato un altro prima di lui».
Il tempo della riflessione sembra non coincidere per Sibilla con quello della vita: e mentre si attarda ad annotare i compromessi imposti da Cena, ha già iniziato una nuova difficile relazione, che si sovrappone a quella, con Lina Poletti, la «fanciulla maschia» che ha conosciuto al I° Congresso Femminile Nazionale nel 1908. Sono di poco tempo dopo il primo dei suoi amori che nascono per corrispondenza (con Vincenzo Cardarelli, con cui va a vivere a Firenze), e il successivo, breve e tormentato, con Giovanni Papini. Mentre si sommano le edizioni estere di Una donna, che scatena dibattiti in Italia come in Francia, per Sibilla iniziano contemporaneamente la «terza vita», dopo la prima finita con la fuga dal marito e la seconda costituita dai dieci anni successivi, e la stesura di Il passaggio. «Priva di volontà, e ricca di passione e istinto», la definisce
Benedetto Croce, che interviene a mezzo lettera nella relazione tra lei e il giovane poeta Vincenzo Gerace che, appena nata, è gia finita («una delle più stolide che io abbia vissute»); e mentre la mente le detta l’adesione al futurismo («Le faccio mandare fotografie di quadri futuristi, con le indicazioni, ai lati o sul dorso, del verso per cui devono essere interpretati», le scrive Marinetti), nel suo cuore ha già trovato posto un altro, quell’Umberto Boccioni destinato a morire per una caduta da cavallo nel 1916. Dopo un periodo parigino, il rientro in Italia la porta a dirigere per 15 mesi La Grande Illustrazione, e a intrecciare nuove relazioni ad alto tasso di drammaticità e profluvi epistolari con Michele Cascella, che la guarisce in parte dalla perdita di Boccioni, Giovanni Boine e Fernando Agnoletti. «Lavatoio sessuale della letteratura italiana» la definisce inelegantemente Prezzolini, per la sua consuetudine a collezionare amori tra i romanzieri e i poeti nostrani. Nel maggio di quello stesso 1916, su sollecitazione di Emilio Cecchi, l’Aleramo legge Canti Orfici di Dino Campana: è l’inizio di una corrispondenza tra i due che nasconde una «premeditazione d’amore messa in atto dalla scrittrice» fin dalla prima lettera col suo «solito meccanismo amoroso, quasi ossessivo» (Bruna Conti), nonché il passo iniziale verso una relazione che porta a quei «mesi favolosi col poeta folle». Di sicuro, il quarantesi-
Cestista, furia della natura, il campione passa la palla senza neppure alzare la testa. Rivoluzionario il suo numero di maglia, il 32. Neanche l’Hiv è riuscito a fermarlo
za neppure alzare la testa, e talvolta, oltre gli avversari, sorprende anche i compagni. Nel 1990 i Red Hot Chili Peppers gli dedicano una canzone. L’anno successivo la vita gli dedica la partita più dura. A novembre annuncia di essere sieropositivo e di voler appendere le scarpette al chiodo. Le riacciuffa qualche mese dopo, nell’All Star Game Nba, in una grande partita condita da 25 punti e gioco spettacolare. Entra nel Dream Team e porta il quintetto alla vittoria dell’oro olimpico a Barcellona. Nella speranza di tutti, firma di nuovo per i Lakers. Nella paura dei compagni, non gioca neppure una partita.Torna in campo due anni dopo, a trentasette anni è ancora decisivo. Eliminati alle semifinali, i Lakers fanno a meno di lui a fine stagione. Magic esce di scena insieme al suo numero di maglia. Lo of-
mo compleanno di Sibilla, che la coppia festeggia il 14 agosto a Faenza, è ancora sotto il segno della «deflagrazione» dei sensi e dei sentimenti, per usare l’esatta parola di Mario Luzi, ma già in settembre la lucidità sta abbandonando la mente di Campana, che per gelosia la picchia e la riempie di «improperi e sputi».
Il 1917 è un anno di rincorse, lettere e quasi completa lontananza fisica: l’impressione, dal
Firenze; da lì al cronicario di Castel Pulci, dove morirà per setticemia nel ’32, alla vigilia dell’agognato ritorno nella società civile. Scrive la Conti: «Sibilla non si è mai fatta viva in tutti quegli anni. Sa d’essere stata per Dino il primo e l’ultimo amore.Tenterà di raccontare la loro storia in un soggetto cinematografico, per fortuna rimasto nel cassetto. La sua proverbiale fiducia in se stessa e nella vita la allontana dal dolore. Un anno più tardi si innamorerà di un certo Giovanni Merlo, nel 1920 vivrà il mito d’Endimione attraverso l’amore per Tullio Bozza. E poi, incontrerà Zaniboni, Evola, Giulio Parise, Emanuelli, Quasimodo e l’ultima illusione d’amore Franco Matacotta, poeta. Invecchierà tardi, grazie all’amore dell’amore, dopo aver scritto e riscritto di sé». Quello tra gli anni Venti e la fine della guerra è per la scrittrice un periodo estremamente difficile: nel 1919 esce Il passaggio, che definisce «la maggior delusione di tutta la mia vita di poeta, col suo completo insuccesso»; nel ’22 tenta senza fortuna di far rappresentare in Italia il
Amò, riamata, Damiani, Cena, Cardarelli, Papini e Boccioni. Intrecciò relazioni con Boine e Agnoletti. Trascorse mesi favolosi «con il poeta folle, Dino Campana». Si innamorò di Merlo, Bozza, Zaniboni, Evola, Parise, Emanuelli, Quasimodo e Matacotta. Alla fine sostituì l’amore con la politica carteggio e dagli spostamenti della Aleramo, è che lei non faccia poi molto per far ritrovare la stabilità al poeta, anche se gli è vicina in settembre quando lo arrestano per la somiglianza con un tedesco sospetto. Il 12 gennaio del ’18 Campana è ricoverato al San Salvi a
fre a Karl Malone nel 2003, ma questi rifiuta. Generoso in campo, è altruista come pochi dopo averlo lasciato. Dopo aver raccolto punti e trionfi, la sua Fondazione raccoglie fondi per combattere l’Aids. Terrore degli avversari, ammiratori del suo gran cuore, ne schivarono il sangue che veniva da questo. Leggenda per i media e appestato per gli altri, nelle figurine sarà sempre Magic Johnson.
dramma Endimione, e quando ci riuscirà, due e tre anni dopo, sarà un completo fallimento; firma il manifesto Croce, e per la sua veloce frequentazione con Tito Zaniboni, l’attentatore di Mussolini, viene arrestata e interrogata in questura sul finire del ’25, anche se poi, nel ’27, per le ristrettezze economiche sempre maggiori, il conte Tarpasso-Torre chiede proprio al Duce che intervenga presso il Corriere della Sera affinché il quotidiano pubblichi alcuni suoi articoli. Dopo un lunghissimo peregrinare, Sibilla si stabilisce a Roma in via Margutta 42, e sul finire del decennio scrive a Mussolini, che la riceve e le dona 10mila lire per evadere alcuni debiti, e che poi le fa avere nel 1933 un sussidio mensile di mille lire, al seguito del quale lei si iscrive all’Associazione Nazionale Fascista Donne Artiste e Laureate.
È quindi tra lo stupore generale che all’inizio del 1946 chiede con una lettera l’iscrizione al Pci, che rappresenterebbe il «coronamento della mia vita di scrittrice e di donna». Da qui in avanti, fino alla morte nel 1960, per Sibilla Aleramo l’Ide(ologi) a sostituisce definitivamente l’Amore: all’attività di scrittrice somma quella, frenetica, di conferenziera in Italia e all’estero e di articolista per un gran numero di giornali, ed è spesso presente sui luoghi in cui il disagio sociale si manifesta in scioperi o proteste. Una nuova vita per lei, la quarta, l’ultima.
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SCRITTORI E CIBI
Dolci e confetti per le signorine torinesi
DI GOZZANO
Con le dita senza guanto, le gozzaniane fanciulle ritratte mentre colgono i sapori di pasticceria di Francesco Napoli
S
fido chiunque in quel di Torino a non provare gli stessi sentimenti che poco più di cento anni fa Guido Gustavo Gozzano (1883-1916) ha saggiato nel vedere alcune signore e signorine «le dita senza guanto» che «scelgon la pasta» per delibarsi di confetti e dolciumi d’ogni genere in un testo mai raccolto in volume dal titolo che è un manifesto: Le signorine che mangiano le paste. Certo, si potrebbe obiettare, con il gran caldo di questo periodo non si trattava proprio del cibo più adatto da decantare e pertanto certamente la scena descritta doveva essere invernale casomai in una città sabauda grigia e freddina.
Sarà, ma almeno la poesia è datata 27 luglio 1907 e, quindi, come se la golosità di fatto non avesse né stagione e tantomeno età: la tentazione della gola è una condizione psicosomatica. Poi, stando all’aneddotica, quattro anni dopo la pubblicazione in rivista di quella poesia, trovandosi seduto a un tavolo con amici e amiche alla confetteria Baratti della sua Torino, sollecitato a recitare quegli
stessi versi, abbia invece preso un fazzoletto bello bianco, steso sul tavolo e trascritto un po’ a memoria il testo. Purtroppo però la mente gli giocò qualche brutto scherzo: non la ricordava per intero e così ne trascrisse lacunosamente le quartine e la titolò Le golose. I guai son venuti dopo per i filologi nel ricostruire il testo così come era in originale ma, almeno, a leggere e cercare di completare il puzzle di quartine tra i vari testimoni, autografi e a stampa, tra le tante citazioni di dolci e dolcini si saranno leccati i baffi. Buon per loro. Ma di baffi, ovviamente, neanche a parlarne per le gozzaniane fanciulle intente a cogliere i sapori di pasticceria con «le dita senza guanto» che così «ritornano bambine». Il ritratto di questo peccato capitale, la gola, e delle donne che ci cascano è pungente per acutezza e intensità. Ma Gozzano appare uno specialista del ritratto in versi, al pari di come ha saputo fare su se stesso più d’una volta. Ha amato in qualche modo farsi personaggio e ritrarre un’intera società, quella di inizi Novecento in rapida
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Alla facoltà di legge, il poeta piemontese preferisce le lezioni di Arturo Graf tenute alla Società della Cultura il sabato pomeriggio dove conosce i letterati suoi coetanei, tra cui Bontempelli, Vallini, Thovez, Momigliano e Calcaterra evoluzione; ha amato pose e travestimenti di cui è stato gran maestro: «sofista», «buono sentimentale giovine romantico», «borghese onesto», «avvocato», insomma anche – come ha scritto - tutto «quello che fingo d’essere e non sono», fino alla riuscita e più nota formula poetica «questa cosa vivente/detta guidogozzano».
Era un borghese Guido Gozzano, senza dubbio, nato da padre ingegnere, vedovo, che si innamora di una giovane di ottima famiglia, figlia di un onorevole del primo Parlamento italiano, grande amico di Massimo D’Azeglio. Poi studia con non molta voglia e quando si iscrive nel 1904 alla facoltà di Legge alle pandette e ai codici preferisce di gran lunga le
lezioni di Arturo Graf e in particolare quelle tenute alla Società della Cultura il sabato pomeriggio, le «sabatine», incontri molto ben frequentati. Di sabato era tradizione fermarsi in confetterie e caffè per scambiare quattro chiacchiere con gli amici e le amiche. E tra i tavolini dei dolci e le lezioni della Società della Cultura conosce i letterati suoi coetanei, da Massimo Bontempelli a Carlo Vallini, da Enrico Thovez ad Attilio Momigliano a Carlo Calcaterra che ne curerà le prime seppur imperfette edizioni postume delle poesie. Chissà se tra questi c’era qualche goloso, molto probabilmente sì. Da Arturo Graf apprende l’amore per i versi e, seppure continua a farsi chiamare avvocato, tra una gonnellina e un camerino d’attri-
ce, distinguendosi anche per una vita dissipata e un atteggiamento dandy, trova il tempo di leggere Petrarca e Dante, come D’Annunzio e Pascoli, Jammes e i tardosimbolisti francesi.
Vagheggia l’idea di mettere insieme le sue composizioni che nel frattempo cominciano a farsi notare sulle testate letterarie dell’epoca. Nel 1905 inizia a lavorare, su modello pascoliano, a quel Libro unico che doveva raccogliere i suoi versi. Sforzo che si concretizzò nel 1907 con La via del rifugio, un’opera che fu accolta con un giudizio quasi unanimemente positivo, di critica e di pubblico, ma tra i tanti che ne parlano a tacere è solo il giornale della sua città, La Stampa. Un fatto per il quale ci resta decisamente male e che lo spinge a una protesta nei confronti di questa indifferenza e agli amici chiede «A Torino che fate?». Be’, forse a Torino erano troppo impegnati a mangiar paste. Al successo segue il momento di più intensa relazione con Amalia Guglielminetti, anche lei frequentatrice delle «sabatine», che coincide con anni di eccezionale vena creativa
Montale lo considerava «il primo poeta che abbia fatto scintille facendo cozzare l’aulico con il prosaico». E che «fondò la sua poesia sull’urto di una materia apparentemente adatta ai soli toni minori con una sostanza verbale ricca»
LA RICETTA = MONBLANC
(PER 8 PERSONE) 1 kg di castagne 1 l di latte 250 gr di zucchero 300 gr panna montata Vaniglia Cacao in polvere Meringhe (opzionale) Marron glacè (opzionale) Lavate bene le castagne e fatele bollire in acqua per circa 20 minuti. Scolatele, fatele raffreddare e sgusciatele togliendo anche la pellicina interna. A questo punto mettete le castagne in una casseruola con il latte e un pizzico di vaniglia; fate bollire per 45 minuti a fuoco basso. Sgocciolatele e passatele con un mixer. Mettete al fuoco, in una casseruola insieme allo zucchero. Fate cuocere mescolando, fino a quando il composto non si staccherà dalle pareti della casseruola. A questo punto fate raffreddare dopo di che passate il composto nello schiaccia patate, formando degli spaghetti spargendoli su di un vassoio con le meringhe precedentemente disposte ricoprendole con la panna formando una sorta di monte; spolverate con cacao e guarnite con marron glacè.
fino al 1911 quando pubblica I colloqui. Ma il 1907 è anche l’anno in cui gli viene diagnosticata per la prima volta quella malattia, la tisi, che lo accomuna a Sergio Corazzini e che con lento decorso lo condurrà alla morte. Questa condivisione tra i due ha dato adito a qualche sterile polemica critica su correnti e caposcuola del crepuscolarismo, come e se l’uno o l’altro vi appartengono. Certo, la Torino di Gozzano e la Roma di Corazzini sono attraversate nelle loro menti poetiche migliori da un comune e avvertito disagio tra l’inadeguatezza del positivismo ormai agli sgoccioli e le possibili risposte neospiritualiste, espresso anche dalla negazione del ruolo di poeta che, anche questo, accomuna i due: «Perché tu mi dici: poeta?/ Io non sono un poeta./ Io non sono che un piccolo fanciullo che piange», Corazzini; «Io mi vergogno,/ sì, mi vergogno d’essere un poeta!», Gozzano.
Al poeta piemontese malato di tisi a nulla valgono i temperati soggiorni liguri o un lungo viaggio in India per dargli sollievo. Scrive, anche tanto per i giorna-
li poiché le mutate condizioni economiche della famiglia, morto il padre, lo costringono a procacciarsi denaro, e cerca di allontanare da sé l’idea della morte. Si impegna, come D’Annunzio, nella scrittura di una sceneggiatura cinematografica, una vita di San Francesco, e siamo nel 1916. La malattia ormai lo ha preso e il 9 agosto di quell’anno muore. Solo i famigliari e i pochissimi amici non trattenuti dal servizio di leva riescono a dargli l’estremo saluto, due giorni dopo, nel cimitero dell’amata e mai dimenticata Agliè. «Fondò la sua poesia sull’urto, o “choc”, di una materia psicologicamente povera, apparentemente adatta ai soli toni minori, con una sostanza verbale ricca, gioiosa, estremamente compiaciuta di sé», scrisse Eugenio Montale che tanto apprese da questo poeta, e fu «il primo che abbia dato scintille facendo cozzare l’aulico col prosaico», sempre Montale. Parlando un po’ più a lungo di Guido Gozzano ho perso di vista le bambine golose mirabilmente tradotte in versi: sono voluttuosamente intente a non farsi riconoscere, «volgon le spalle, in fretta,/
sollevan le velette,/ divoran la preda». Confesso apertamente che, nonostante il gran caldo che ora ci avvolge, la tentazione di imitarle, almeno delibando un ghiotto gelato, non tarda a venire. Il poeta dopo averci descritto cosa fanno le tre donne «l’una, pur mentre inghiotte/ già pensa al dopo», «un’altra – il dolce crebbe-/ muove le disperate/ biondissime al giulebbe/ dita confetturate!» e qui, prima di arrivare all’ultima di queste tre grazie golose, occorre dire qualcosa su quel «giulebbe» che il mio ignorante pc segna in rosso. È, propriamente, una bevanda fatta con acqua, succo di erbe o frutti, zucchero o miele che deve il nome al suo tipico colore rosato derivantegli dall’originario estratto appunto della rosa, ma probabilmente qui Gozzano vuole indicare, con piano gusto metaforico, più in generale una cosa dolcissima. La terza delle fanciulle ingolosite, per riprendere il discorso dopo la breve digressione culinario - filologica, viene quasi sbeffeggiata nella sua voluttà perché mentre «con bell’arte,/ sugge la punta estrema:/ invano! chè la crema/ esce dall’altra par-
te!». Ben gli sta, così impara a farsi beffe di chi legge i sublimi versi di Guido Gozzano e non può, o non vuole, aderire alla stessa voluttuosa golosità.
Ma come un uovo di Pasqua la lettura di questi versi regalano una sorpresa: alle prime fanciulle se ne aggiungono altre due, spinte dalle medesime voglie e attratte dall’invitante vetrina, a questo punto oserei dire della confetteria Baratti ma potrebbe anche essere un’altra qualunque tra i tanti esercizi commerciali simili che costellano i bei corsi porticati della capitale piemontese. Deve essere impossibile per queste donne resistere agli «aromi acuti» commisti di cedro, di sciroppo, di creme e di cioccolatte in un belvedere di paste e pasticcini. Ci sarà forse tra queste, l’amica Luisa Giusti, donna minuscola proprio con in mano un cartoccio di cioccolato alla quale Gozzano dedicherà anche Dolci rime. Sublime il confronto in questo testo poetico tra quartine e «dischi di cioccolatto». Mi sembra di vedere Guido Gozzano seduto al tavolino spiegare all’amica Luisa come comporre un testo
poetico e farlo con i suddetti dischi. Li prende da una confezione, a naso direi che qualcuno di questi ghiotti bottoncini di cioccolato lo assaggia pure, al pari di come si fa con penna e foglio, si gettano le parole prima di andare a comporle in un senso più liricamente compiuto, e poi comincia a contare: «Due volte quattro metti/ undici dischi in fila/ (già dolce si profila/ sonetto dei sonetti)» e la prima parte del componimento è fatto; ma poi «due volte tre componi/ undici dischi alfine/ (compiute in versi “buoni”/ quartine ecco e terzine)». A far poesie con i dischi di cioccolato sarebbe bello per tutti, ma per Gozzano è in realtà alquanto noioso, anche perché nulla di goloso può esserci in versi fatti «di sillabe soltanto/ e non di cioccolato!». Di tutto queste donne e dolci al nostro poeta qualcosa resta però in gola che non riesce a mandar giù, lui che è «innamorato di tutte le signore/ che mangiano le paste nelle confetterie», vorrebbe avvicinarle ad una ad una e baciarle «nel sapore/ di crema e cioccolatte». Ma questo è troppo, signor Guido Gustavo Gozzano!
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LE GRANDI BATTAGLIE Il 6 giugno inizia sulle spiagge francesi l’operazione militare, nome in codice Overlord, che colse di sorpresa i tedeschi convinti che l’invasione da parte degli Alleati sarebbe avvenuta al Pas de Calais: questo piano venne chiamato Operazione Fortitude se lo sbarco fosse fallito? Domande oziose, dicono gli studiosi. Non è difficile, tuttavia, intuire che cosa sarebbe accaduto se i tedeschi fossero riusciti a respingere l’attacco anglo-americano in Normandia. Le sorti della guerra non sarebbero cambiate. La Wermacht era allo stremo delle forze: il fronte orientale stava cedendo, i russi sarebbero comunque arrivati a Berlino. Le atomiche su Iroshima e Nagasaki avrebbero comunque piegato la resistenza giapponese nel Pacifico.
DELLA
NORMANDIA 1944
Lo sbarco storico
E
Tutto uguale, allora? Nient’affatto. Vale la pena di ricordare che – terminata la guerra – il confronto assunse una fisionomia diversa, e riguardò l’Occidente e il blocco comunista. Se l’operazione Overlord si fosse chiusa con un fallimento, l’Armata Rossa non avrebbe incontrato alcun ostacolo fino alla valle del Reno, occupando i bacini industriali della Ruhr e catturando gli scienziati tedeschi che stavano progettando le nuove armi «segrete» di distruzione di massa. L’equilibrio fra Est e Ovest si sarebbe sbilanciato a favore di Stalin, e la guerra fredda avrebbe avuto esiti diversi. Berlino non sarebbe uscita dal conflitto divisa, e sotto il controllo delle potenze vincitrici, ma sarebbe diventata una provincia dell’impero sovietico. Il D-day – progettato per sconfiggere il nazismo – servì, in definitiva, per contenere la resistibile ascesa del comunismo. Sessant’anni dopo si può tirare un sospiro di sollievo. Il giorno più lungo ebbe una gestazione proporzionata all’importanza della posta in
Il D-day che sconfisse il nazismo e impedì l’ascesa del comunismo di Massimo Tosti
gioco e allo sforzo che il Comando alleato si apprestava a compiere. Nel maggio 1943 –
Gli inglesi, sotto la spinta del Primo ministro, avevano compiuto uno sforzo titanico per liberare la Francia. “Sudore, lacrime e sangue”, aveva promesso Churchill dopo le prime sconfitte alla conferenza Trident (a Washington) – fu presa la decisione di invadere l’Europa, attaccando le coste francesi, e fu scelto il nome in codice dell’operazione. Overlord. Fu anche decisa la zona dello sbarco (le
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spiagge della Normandia) e fu approntato il piano di intelligence che avrebbe mirato a convincere i tedeschi che l’attacco avrebbe avuto come obiettivo Calais. Fu lo Special Operations Service britannico a mettere a punto il piano Fortitude, destinato a depistare i tedeschi, convincendoli che lo sbarco avrebbe avuto luogo quasi 300 chilometri a nord-est della zona scelta per l’operazione.
Furono creati reggimenti fantasma attestati sulla costa di fronte a Calais, con false divisioni e false colonne corazzate; carri armati, cannoni e automezzi erano giocattoli, le truppe erano composte da fantocci. Un attore caratterista, Clifton James ebbe il compito di impersonare il maresciallo Montgomery, e partecipare a visite e cerimonie in un autentico tour de force, mentre il ve-
ro Montgomery lavorava a Portsmouth alla preparazione dello sbarco. Che colse di sorpresa i tedeschi. Nel mese di dicembre del 1943 il presidente americano Franklin Delano Roosevelt comunicò a Dwight Eisenhower che sarebbe toccato a lui comandare l’operazione. Dopodiché il lavoro divenne frenetico. Mai nella storia era stato progettato un attacco con tanti uomini e tanti mezzi. Quasi tre milioni di uomini, 2.500 mezzi da sbarco, 700 navi da guerra, 2.700 navi mercantili, 1.136 aerei inglesi, 1083 americani. La linea del fronte corre da Le Havre a Cherbourg. I punti di sbarco sono cinque, indicati con nomi di fantasia: Utah e Omaha (a occidente) di pertinenza americana; Gold, Juno e Sword (a oriente) dove sbarcheranno gli inglesi. L’operazione è programmata per l’alba del 4 giugno 1944, ma – all’ultimo mo-
STORIA
mento – ci fu un rinvio di 48 ore a causa delle avverse condizioni atmosferiche. Sulla spiaggia di Utah, la più occidentale, la 4° divisione americana incontrò una resistenza scarsa. Al termine della giornata, le perdite ammontavano ad appena 200 uomini. Ad Omaha le cose andarono in modo molto diverso: la 29° divisione americana incontrò molti ostacoli disseminati sul terreno dai tedeschi. C’erano, inoltre, molte postazioni di mitragliatrici tedesche che operarono un fitto fuoco di sbarramento. Il comandante della divisione disse una frase che viene ancora ricordata dai superstiti: «Su questa spiaggia si trovano due tipi di uomini, i morti e quelli che stanno per morire. Vediamo di uscirne». I caduti, prima che tramontasse il sole, erano già 2.500. A Gold gli inglesi e a Juno i canadesi, raggiunsero gli obiettivi prefissati. Sulla spiaggia più orientale, Sword, la 3° divisione inglese raggiunse la 6° divisione aerotrasportata che aveva già occupato un ponte sul fiume Orne, bloccando l’afflusso delle riserve tedesche.
S e c o n d o l o s t o r i c o Basil Liddel Hart soltanto alla fine l’operazione «andò secondo i piani». In un primo momento il margine tra vittoria e disfatta fu pericolosamente ridotto. L’esempio lampante del divario fra aspettative e risultati venne dalla conquista di Caen. Secondo il piano originale, la città doveva essere conquistata nel giorno stesso dello sbarco. Ci volle invece più di un mese per raggiungere l’obiettivo. L’elemento determinante per la vittoria fu l’indiscutibile supremazia di cui gli alleati godevano nell’aria. L’altro elemento decisivo sull’esito dell’operazione fu rappresentato dai conflitti di opinione che emersero nello Stato maggiore tedesco. Il feldmaresciallo von Rundstedt, comandante supremo delle forze tedesche, tentò inutilmente di convincere Hitler a modificare i piani di difesa. L’unico risultato delle sue insistenze fu l’esonero dall’incarico. Hitler continuò, fino alla fine, a opporsi a qualunque ripiegamento dei suoi soldati. Ci furono anche dei dissapori fra Churchill e il capo del governo provvisorio francese. Gli inglesi – sotto la spinta del loro Primo ministro – avevano compiuto uno sforzo titanico per liberare la Francia dai nazisti. «Sudore, lacrime e sangue», aveva promesso Churchill dopo le prime sconfitte. I sudditi di Sua Maestà avevano risposto all’appello, consapevoli che era in gioco la loro libertà, quella dei francesi, quella di tutti i popoli europei, e forse del mondo.
CAPOLAVORI DI PIETRA a cupola di Santa Maria del Fiore ha rappresentato nel tempo il più immediato ed esaltante segno di identificazione di Firenze. Il suo forte messaggio simbolico, ancora oggi intatto, aveva trovato un testimone di eccezione in Leon Battista Alberti allorché nel celebrare Filippo Brunelleschi, primario artefice della costruzione, aveva espresso la sua meraviglia per le dimensioni smisurate di una cupola tanto «ampla da coprire con sua ombra tutti i popoli toscani». L’ambizioso programma costruttivo della cattedrale di Firenze di Santa Maria del Fiore, avviato nel 1296 su disegno di Arnolfo di Cambio, ha in effetti nella cupola il suo atto conclusivo di entusiasmante genialità tecnica e capacità gestionali. Organico complemento dell’impianto composito della cattedrale, la cupola aspira sin dalle premesse a caratterizzarsi come primario coronamento dell’intero organismo architettonico, simbolico elemento di identificazione civile e di orientamento per la città e il territorio. La dimensione della luce interna della cupola raggiunge circa 45 metri: programmaticamente superiore al diametro interno del Pantheon (43.30), essa costituisce una sfida esaltante quanto temibile per il comportamento statico della struttura.
L
All’avvio dei lavori nel 1420 si assumono i caratteri tipologici e formali di una cupola a padiglione estradossato, con profilo a sesto acuto libero da contrafforti esterni visibili. L’attenzione dell’Opera del Duomo, a cui il governo fiorentino affida l’attuazione della cupola, si concentra sulla ricerca delle più opportune modalità costruttive e la predisposizione delle dotazioni tecniche. Un concorso di idee promosso nel 1418 ha lo scopo di raccogliere indicazioni sulle tecniche costruttive più indicate, sulle opere provvisionali (ponteggi, armature di sostegno, centine), sulle macchine di cantiere. Una prima verifica su modelli in scala porta alla definizione di un programma costruttivo, che contempla modalità operative, aspetti procedurali e competenze individuali. A Filippo Brunelleschi e Lorenzo Ghiberti, nominati Provveditori, toccano la direzione e il controllo dell’attività di cantiere: il loro rapporto non sarà privo di contrasti e si concluderà, dopo crisi burrascose, con l’affermazione definitiva del solo Brunelleschi. Nel perseguire l’obbiettivo di non intaccare con contrafforti la slanciata eleganza del profilo della cupola, si ravvisa la necessità di scaricare le spinte della volta nello spessore del
FIRENZE ARDITA La cupola di Santa Maria del Fiore ideata da Filippo Brunelleschi
L’ombra che copre tutti i popoli toscani di Lamberto Ippolito
na, per poi suddividersi in due calotte: una interna, con spessore di 2.20 m, e una esterna, di 0.90 m; l’intercapedine di 1.20 m tra le due calotte consente la risalita fino alla lanterna. La chiave di volta della cupola in marmo è denominata serraglio e salda la cupola alla lanterna, che costituisce la fonte privilegiata della luce per il presbiterio.
L’osservazione ravvicinata della costruzione consente di cogliere alcuni accorgimenti costruttivi e geometrie che hanno consentito di diminuire il peso della struttura mano a mano che la costruzione procedeva verso l’alto. Il raccordo tra i filari di mattoni in corrispondenza degli angoli, là dove si incontrano vele adiacenti, e ottenuto sviluppando la giacitura dei piani di posa secondo superfici coniche: una disposizione già dal ‘700 definita «a corda blanda», cioè in forma di festone, che permette di evitare pericolose discontinuità strutturali nei punti più delicati.
La dimensione della luce interna della costruzione raggiunge circa 45 metri: una sfida esaltante quanto temibile per il comportamento statico della struttura
La cupola di Santa Maria del Fiore a Firenze
muro, rafforzandolo con catene di pietra, di ferro e di legno. Ancora all’avvio dei lavori permane irrisolto il modo con cui sostenere la grande volta nel corso della sua costruzione, risultando impraticabile, a causa delle eccessive dimensioni, l’uso delle tradizionali centine o armature in legno. Vengono avanzate ipotesi anche molto fantasiose, come quella di formare un mucchio di terra, grande quanto la cupola, che funzioni come supporto alla costruzione. Una volta terminata la cupola, per accelerare la rimozione della montagna di terra, si ipotizza
Per questa meraviglia, all’architetto va il grande merito di aver trovato una soluzione per la sua costruzione che non ricorresse a nessuna armatura di disseminare al suo interno monete d’oro, in modo che l’avidità spinga i cittadini a scavare e ad asportare con ceste il terriccio. A Brunelleschi è riconosciuto il merito di aver trovato la soluzione per la costruzione dell’opera senza fare ricorso ad armature temporanee di qualsiasi natura. Im-
postata su di un poderoso tamburo ottagonale, la cupola si sviluppa in otto vele, saldate esternamente da arcuati costoloni marmorei che convergono verso la lanterna, accendendo un vivace contrasto cromatico con il rosso del rivestimento laterizio delle vele. La cupola nasce a parete pie-
Di grande rilievo e di assoluta novità risulta poi l’accorgimento costruttivo detto «spinapesce»: termine che fa riferimento a una particolare forma di apparecchiatura muraria che rende stabili piccoli settori murari grazie all’azione di contrasto esercitata da mattoni emergenti, posti alle estremità di ogni settore. L’espediente, che non ha valore strutturale ma solo costruttivo, consente al maestro muratore di evitare lo slittamento verso il basso della muratura in corso di realizzazione, prima ancora che si raggiunga l’equilibrio complessivo di ogni strato di mattoni con la chiusura sull’intero perimetro dell’ottagono. La soluzione della «spinapesce», cosiddetta dalla disposizione dei mattoni, diventerà frequente nella costruzione delle cupole nella seconda metà del ‘400. Un cantiere fuori misura come questo ha richiesto una forza lavoro qualificata, ma anche un’organizzazione del lavoro attenta e programmata. I centinaia di documenti che ne hanno accompagnato la costruzione e la storia sono su www.operaduomo.firenze.it.
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ORIZZONTALI 1 Scrisse Il demone meschino n 8 Famosi
CRUCIVERBA
di Pier Francesco Paolini
La dea greca del focolare
i suoi Pensieri n 14 Capitale sudamericana n 21 Vescovo di Siviglia (dal 600) e santo n
n
lare n
22 Sacerdoti dell’antica Roma
23 Isola sarda n 24 Dea greca del focon
25 Xxxx de Vega n 27 Colpevole
28 Regista de I gangster (1946) n 29 In-
contaminato n 30 Fu sostituita dalla Ghepeù n 31 Portata allo scoperto n 33 Il Colosso di Xxxx n 34 “Dentro” nei prefissi n
35 Quell’anima lassù che ha maggior
xxxx (Inferno) n 36 Senza xxxxxxx, in silenzio n 37 Il poeta del Corvo
n
38 “Nostro”
commerciale n 39 Xxxx Lagorio, scrittrice n
40 In diretta dal Xxxxxxx di Gore Vidal
n
41 Becco Xxxxxx n 44 Grande deserto
n
46 Antica moneta germanica n 47 Atten-
zioni n 48 Sondrio n 49 Sorella e moglie di Zeus n 50 Pesci dei gadiformi n 51 Non è nuova agli orecchi miei tale xxxx (Inf. XV) n
52 Xxx Ullman, attrice n 53 Recipienti per
misurare il grano n
n
55 Città andalusa
56 Segna il confine fra Siberia e Manciu-
ria n 57 Xxxx Morgana n 58 Uomo politico irlandese (1846-1927) travolto da uno scandalo erotico n 60 Xxx Krzynanonowaska, attrice polacca (Cenere e diamanti) n
QUIZ LETTERARIO
61 Juan Xxxx, pittore spagnolo n 62 Fran-
CHI È L’AUTORE DI QUESTO QUADRO? ............................................. (1822)
DI QUALE ROMANZO DEL 1840 È QUESTO INCIPIT?
cisco Xxxxx, attore cin. spagnolo n 63 Cel. film di Dovãenko (1928) n 64 Infermiere inglesi n 66 Grida n 68 In prov. di Brindisi n
69 Vi alloggiano le pecchie n 70 Stella
dello Scorpione
VERTICALI 1 Soc. elettrotecnica tedesca n 2 Indemoniata n 3 Un xxxxx di vino n 4 Avversione n
5 Regione dell’India n 6 Città sumerica
n
7 Anna Xxxxxx, una delle mogli di Enri-
co VIII n 8 San Lino fu il secondo n 9 Dal dì che nozze, tribunali ed xxx... (I Sepolcri) n n
10 Savona
n
11 Città della Colombia
n
12 Rischiosi 13 Governatore di Messi-
na in Molto rumore per nulla n 14 Intemerate n 15 Continente n 16 “Xxx Bo” di Palazzeschi n
n
17 Immette nel cortile
18 Poeta Portoghese (õ = o) n 19 Città
della Romania n 20 Presudonimo di Hector Munro, umorista inglese n 26 Bagna Gorkij n 30 La xxxx delle beffe n 31 Libri di scuola n 32 Pappagallo n 35 Di quella xxxx... (Trovatore) n 36 Assistenza fornita ai nuovi assunti di un’azienda n 37 Xxxx n
siccome un angelo... (Traviata) 39 In tandem con Giovannini nel teatro leggiero n
n
40 Valle del Trentino 41 Romanzo sto-
rico di Gore Vidal n
n
42 Star in forse
43 Poeta ted. degli Inni alla notte (1797)
n
45 Isola dell’Antartide n 46 Dopo il bis
n
47 Accademia della Xxxxxx n 50 Zuppo
n
51 Bel Xxx di Maupassant n 52 Ars et
Xxxxx n n n
n
53 Squadra di calcio ligure
54 Si sottrae dal lordo per avere il netto 55 Gruppo
n
56 Contrario di tesi
57 Xxxx di loro il mondo esser non las-
arei contento di vincere il premio per poter compiere un’opera che alcuni potrebbero chiamare pietosa, e che a me risulta semplicemente giusta: far ritornare dalla terra d’Africa, dove sono sepolti e dimenticati da oltre undici anni, i resti mortali di mia Nonna materna, Margherita Di Gasparre, di Napoli. Era una vecchiettina come ce ne sono tante nella vita dei fanciulli: breve statura, visetto roseo, grinzoso, pupille azzurre un po’ vitree, difesa da lucenti occhiali, una bocca sdentata da cui uscivano, con le brevi sentenze, le più dolci favole. Essa passava il giorno nella sua camera parata con carta a fiori bianchi e dorati, misti di verdi fronde, con una coperta sulle ginocchia, sferruzzando e alzando talora la testina guarnita di una cuffia bianca, per guardare oltre la finestra la calma distesa delle sabbie, dalle lente curve di onda. Intorno a quella casa bianca, c’era infatti il gran silenzio e lo splendore delle regioni primitive. Eravamo venuti là da molti anni, sì che io non conservavo quasi nessun ricordo del paese natale. Credevo d’essere nato là. Mio padre era un ufficiale di artiglieria. La mia vita (perché non dovrei riferirmi particolarmente ad essa?) era caratterizzata da una calma straordinaria, rotta però talvolta, come il mare è dalle correnti, da un filo sottile d’inquietudine, da gorghi di malinconia, che però svanivano presto. Oh, la Nonna, quale cara compagna essa fu per me! Io mi ero dimenticato ch’ella avesse ottant’anni: cosa strana! Io la sentivo piuttosto come una creatura della mia età, un essere misterioso carico d’innocenza e dolce sapienza. Istintivamente io preferivo la sua compagnia a quella rumorosa dei fratellini, la sua stanza alle vie assolate, alle oasi e alla spiaggia marina, dove essi si sbizzarrivano...
S
L’AUTORE DEL QUADRO DI IERI È: Joan Miró “Die kleine Blonde im Park der Attraktionen” (1893)
Il cruciverba di ieri
sa (Inf. III) n 59 Moglie di Alfonso XIII di Spagna n
n
61 Modo infinito verbale (abbr.)
62 Xxx musqué n 65 Salerno n 67 Iniz.
di Nono
pagina VIII - liberal estate - 14 agosto 2009
LA SOLUZIONE DI IERI È: Alexandre Dumas “Vent’anni dopo” (1845)
inserto a cura di ROSSELLA FABIANI
in memoria
14 agosto 2009 • pagina 17
Addio Karen, maestra d’arte e di vita Si è spenta a Washington la moglie di Michael Novak di Massimo Fazzi egli ultimi giorni della sua lunga battaglia contro un male terribile, Karen Laub-Novak accoglieva tutti nella sua aura di felicità. Con un enorme e sincero sorriso, seduta su una sedia a rotelle, si godeva ogni singolo istante della sua vita». Con queste parole, sul sito della National Review, John Fowley ha voluto ricordare l’artista scomparsa nella notte fra l’11 e il 12 agosto. Moglie di Michael Novak, madre di due figli, Karen «aveva come grandissimo desiderio quello di visitare la basilica di S. Giovanni a Efeso. Per questo, nonostante fosse nelle fasi terminali della malattia, è venuta con tutti noi in una crociera sul Mediterraneo. Arrivati in loco, la soddisfazione gioiosa e perfetta che esprimeva il suo volto la rendeva meravigliosa. Era circondata dal marito, da figli e nipoti, da persone che la amavano sinceramente. Possa riposare in pace, libera dai suoi tormenti fisici e in compagnia di quegli Evangelisti che tanto hanno rappresentato per lei nella sua vita».
«N
Il viaggio, prosegue Fowley, «dimostra tutto quello che Karen era: una donna forte, piena di spirito e di gioia di vivere. Non posso pretendere di raccontarla, ma posso condividere con voi questi ultimi ricordi».
Kathryn Jean Lopez, amica da tanto tempo di Karen, aggiunge: «Un’amica della National Review, del movimento conservatore e mia è morta. Artista di grande
Sirico, presidente dell’Acton Institute, scrive: «L’Istituto perde una delle più nobili amiche. Io perdo una delle persone migliori che abbia mai conosciuto. La
Padre Sirico la ricorda come «una delle persone migliori che abbia mai conosciuto. La sua pacifica morte è oggi una lezione per tutti noi» spessore, era semplicemente stupenda. Era piena di senso dell’umorismo, di buon gusto, di amore per la famiglia e generosità per gli altri». Il reverendo Robert
pacifica morte di Karen rappresenta una lezione per tutti noi. Mentre vivevo a Washington, circa 25 anni fa, la tavola dei Novak era divenuta un salone per la
Il messaggio inviato da Adornato al filosofo americano
La fede e la memoria la terranno sempre con noi di Ferdinando Adornato aro Michael, solo una grande fede, quella che anche tu ci hai insegnato, può permettere di resistere al dolore e al mistero, alla dittatura dell’inspiegabile. Accanto alla fede ci soccorre la memoria, l’unica amica capace di tenere in vita il nostro passaggio sulla terra. E la memoria di tua moglie resta e resterà viva dentro di noi. Ricordo l’arte e la passione di Karen. Ricordo i colorati racconti del vostro primo incontro, dei ripetuti viaggi in Italia. Ricordo l’immagine dell’amore discretissimo e fortissimo che trasmettevate sempre a chi vi era intorno. Anche il vostro amore in un certo senso era filosofia, era fede. Da fratello, se mi permetti anche un po’ da figlio, ti abbraccio con tutto il cuore. Saluta Karen anche da parte mia.
C
società libera. Mentre Michael preparava i suoi magici Manhattan (che mi ha insegnato a fare), io e Karen affollavamo la cucina per preparare cibo italiano: antipasti, pollo alla cacciatora, broccolini. Il tutto servito fra conversazione brillante e dibattiti. Erano anni in cui, a casa Novak, si incontravano le persone che avevano qualcosa da dire alla nostra società. Karen, artista di rilievo, aveva un’abilità naturale per l’esercizio intellettuale e un senso infallibile di ospitalità. Chiunque visitasse la sua casa, si sentiva a proprio agio. Con la sua morte, un pezzo di bellezza se ne è andato dal mondo».
Parole altrettanto commoventi di quelle pronunciate da Joseph Bottum. Il direttore della rivista conservatrice First Thing scrive infatti: «Karen se ne è andata via. Era un’artista, un’amica e una presenza stimolante a tutti i nostri eventi. Potete trovare i suoi lavori sul suo sito internet: ma questi non raccontano il suo spirito, non spiegano quanto abbiamo perso con la sua morte. È stato un lungo anno, pieno di perdite. Troppi funerali hanno attraversato i nostri cancelli: quello di Karen dovrebbe essere sabato. Ora pregate per lei e per il suo adorato marito Michael».
Sculture, quadri, incisioni
Artista innovativa ma nel solco della tradizione Scultrice, pittrice, artista dell’incisione, Karen Laub-Novak era alla ricerca costante di una rilettura dei vecchi della tradizione maestri, ma i suoi lavori restano comunque nuovi e personalissimi. Le sue opere sono rappresentate in molte collezioni permanenti in tutti gli Stati Uniti: dalla William Sawyer Gallery di San Francisco alla Los Robles Gallery di Palo Alto; dal Botolph and Impressions di Boston al Des Moines Art Museum nell’Iowa; dal Rochester Museum del Minnesota alla Rockefeller Foundation di New York. E poi le università di Stanford, Harvard, Yale, Duke e molte altre. Senza contare le mostre europee e quella organizzata a San Pietroburgo nel 2003. Un “assaggio” delle sue opere principali è disponibile online, all’indirizzo laub-novakart.com. Le illustrazioni di Karen LaubNovak sono apparse in riviste (Washington Monthly, The New Republic, Crisis and Motive), libri e giornali. Ha illustrato libri per bambini, pubblicato una quarantina di disegni nel Book of Elements e progettato molte copertine di libri. Uno dei suoi lavori più recenti (che riproduciamo anche in questa pagina) è stata una scultura in bronzo della testa di Alexander Hamilton.
quadrante
pagina 18 • 14 agosto 2009
Islam. Le milizie musulmane si scontrano con l’esercito: almeno 50 morti a giornata di scontri nelle Filippine, tra le forze governative e il gruppo indipendentista islamico di Abu Sayyaf, si è conclusa con un bollettino parziale di 50 morti. Considerata però la tipologia dell’operazione pianificata dal governo di Manila - di ampio raggio e sul lungo termine - si prevede che il bilancio tenderà a crescere. Sono 400 i soldati regolari, schierati al comando del generale Benjamin Dolorfino, impegnati in questo nuovo confronto armato. L’obiettivo è penetrare nel cuore del Mindanao, epicentro della lotta di Abu Sayyaf e regione che quest’ultimo vorrebbe rendere indipendente. Qui l’intervento dovrebbe puntare sulla eliminazione di tutti i campi di addestramento nonché sulla cattura del maggior numero possibile di guerriglieri. Le forze in campo sono addestrate state inoltre per la caccia individuale a due capi del gruppo: Khair Mundus e Furuji Indama. Manila è convinta che i tempi siano propizi per effettuare un’operazione militare di sfiancamento e a questa far poi seguire un intervento politico che preveda negoziati. Picchiare duro per poi tendere la mano, questa la tattica. Ma sempre da una posizione favorevole al governo. L’episodio mette in evidenza una serie di particolari che meritano attenzione. Il generale Dolorfino, in prima persona, ha messo in evidenza che i guerriglieri uccisi o catturati risultavano armati di bombe rudimentali e di altra strumentazione artigianale.
L
È noto che il gruppo di Abu Sayyaf sia legato ad al Qaeda. Perché allora questo equipaggiamento di così scarso livello per un partner di Osama bin Laben tanto rilevante nell’area? Possibile che il terrorismo islamico globale abbia abbandonato a se stesso il gruppo indipendentista filippino? Questa è solo un’ipotesi. Tuttavia, non si può escludere che Mindanao risulti marginale nella prospettiva del jihadismo mondiale. Con l’approssimarsi delle elezioni in Afghanistan e con il livello di allerta costantemente alto
Abu Sayyaf sfida ancora Manila di Antonio Picasso
in Africa - continente da sempre stimolante per il proselitismo islamico - come pure in Pakistan e nel Caucaso, è plausibile che bin Laden e al Zawahiri abbiano deciso di ridurre le risorse da destinare ai fratelli filippini in armi. In questo modo si spiegherebbe il motivo della bassa qualità degli armamenti sequestrati. Ma non solo. Abu Sayyaf, da qualche tempo a questa parte, sta dando maggior peso alla sua identità di gruppo indipendentista e criminale - impegnato in attività di estorsione, sequestri e stupri anziché alla lotta islamica del jihad. Ai tempi della sua creazione, all’inizio degli anni Novanta, Abu Sayyaf si era posto l’obbiettivo di instaurare una repubblica panislamica che comprendesse l’isola di
Mindanao, le Sulu, il Borneo, la Malesia, l’Indonesia, per poi salire verso il Mar Cinese Meridionale e inglobale Thailandia e Myanmar. Oggi un progetto di così ampio respiro è inimmaginabile. Un’inversione di rotta - ma anche una riduzione delle ambizioni che può essere dovuta al mancato sostegno dall’esterno nel perseguire un obiettivo
Ciò non toglie che il Paese annovera un elenco di criticità impossibili da gestire per le sole istituzioni locali. Il Moro National Liberation Front, anch’esso di matrice indipendentista, è attivo nel Paese ormai da più di trent’anni. I negoziati per un riconoscimento politico del gruppo fallirono a metà degli anni Novanta. Da allora sono ripresi gli scontri armati. Ben più preoccupante è la presenza del Moro Islamic Liberation Front (Milf). Anche in questo caso Manila aveva cercato un accordo politico. Ma le trattative sono saltate nel 2007 in seguito all’intervento della Corte Suprema la quale si era detta contraria a una negoziazione. Le Filippine, aveva sottolineato il più alto tribunale nazionale, non possono scendere a patti
Il movimento islamico sta dando sempre maggior peso alla sua identità di gruppo indipendentista e criminale: è impegnato in attività di estorsione, sequestri e stupri fin troppo temerario per una realtà armata sostanzialmente regionale com’è appunto Abu Sayyaf. Da tutto questo, l’opportunità per il governo di Manila di contrastare un nemico improvvisamente più debole.
con un gruppo terroristico. Da qui l’intensificarsi della lotta armata che ha coinvolto aree sempre più vaste, vessando la popolazione e portando distruzione nei piccoli villaggi delle isole meridionali dell’arcipelago. Infine, va menzionato il Partito comunista delle Filippine, ancora oggi operativo. Ma per questo si auspica il raggiungimento di un cessate il fuoco entro lo stesso mese di agosto. Secondo le stime dell’International Crisis Group, i profughi vittime della guerriglia sono ormai quasi 400mila. Gli osservatori stranieri attribuiscono le responsabilità di un quadro tanto negativo direttamente al governo centrale. Alla mancanza di una strategia operativa si è affiancata l’assenza di un intervento riformista sul piano economico e amministrativo che potesse garantire da un lato un miglioramento generale del tenore di vita, dall’altro una effettiva attenzione per le autonomie locali. Va aggiunta inoltre una scarsa preparazione militare delle Forze Armate nazionali che non hanno saputo contrastare un fenomeno tipicamente asiatico come la guerriglia nella giungla. Non è un caso che gli Stati Uniti mantengano una forza di 500 consulenti militari in loco, a disposizione delle Forze Armate filippine. Washington è ben attenta a non perdere l’influenza sulla sua ex colonia e su tutto il quadrante del sud-est asiatico.
A luglio la liberazione del nostro connazionale, Eugenio Vagni, nelle mani di Abu Sayyaf da oltre sei mesi aveva fatto pensare che nel Paese si potesse cominciare un confronto politico tra le forze in campo. L’impegno della Chiesa e della Croce Rossa Internazionale, significativamente incrementato dall’inizio dell’anno a oggi, era volto proprio a questo. Ricostruzione, aiuti umanitari e soprattutto dialogo interreligioso in un contesto culturale dalla forte tradizione cattolica in cui l’islam è riuscito ad attecchire. Questa la road map per la pace nelle Filippine. È evidente però che, nell’ottica di Manila, questa fase sia ancora lontana dall’attuazione.
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14 agosto 2009 • pagina 19
Sotto inchiesta il governo, che ha presentato un testo “esagerato”
Il riformista denuncia torture fisiche e psicologiche
In India parte la polemica per il piano economico
Iran, Karrubi accusa il regime: «Prigionieri morti in carcere»
DELHI. Esplode la polemica
TEHERAN. Alcuni detenuti ar-
sulla reale fattibilità degli obiettivi perseguiti con il programma di spesa presentato il 6 luglio dal governo indiano. Il governo vuole rilanciare le opere pubbliche e prevede di spendere 500 miliardi di dollari per realizzare infrastrutture tra il 2007 e il 2012. Ma oggi una nota ditta di consulenza economica afferma che il piano presenta gravi margini di incertezza e di inefficienza. Il dettagliato programma economico del governo vuole attirare gli investimenti esteri e promette, tra l’altro, di raggiungere una crescita economica del 9 per centoannuo e di creare 12 milioni di nuovi posti di lavoro ogni anno. A questo fine indica che per il 2014 sarà impegnato nelle realizzazione di infrastrutture il 9 per cento del Prodotto interno lordo. Questa settimana il ministro indiano ai Trasporti Kamal Nath è volato a Zurigo dove spera di trovare finanziatori per 139 progetti di opere stradali per realizzare 14.396 chilometri di nuove strade, per una spesa di 21 miliardi di dollari.Tuttavia la nota ditta di consulenza McKinsey ritiene i costi sottostimati di almeno il 25% per cento ma anche fino al 50 secondo i singoli progetti. L’analisi critica si fonda anzitutto su dati storici: negli ultimi
restati durante le manifestazioni antigovernative in Iran sarebbero morti in carcere in conseguenza di torture: lo afferma, sul proprio sito web, l’ex candidato riformista Mehdi Karrubi. La denuncia avviene in risposta alle dichiarazioni del governo di Teheran, secondo il quale «nelle carceri iraniane non ci sono stati casi di violenze sessuali su detenuti che, anzi, sono soddisfatti della loro situazione». Sono le singolari risultanze di due interventi del presidente del Majlis, il Parlamento, e di una commissione parlamentare. Essi giungono contemporaneamente alle affermazioni della moglie di un ex viceministro sulle torture fisiche e
Hrw accusa: a Gaza Tsahal sparò sui civili Durante “Piombo fuso” ucciso anche chi si arrendeva di Massimo Ciullo oldati israeliani avrebbero deliberatamente sparato contro civili disarmati durante l’ultima offensiva nella Striscia di Gaza decisa dallo Stato ebraico. La denuncia arriva dalla Ong Human Rights Watch, che nel suo ultimo rapporto diffuso ieri accusa i militari di Tsahal di violazioni dei codici di guerra. Gli episodi descritti nel report di Hrw sono particolarmente raccapriccianti: i soldati con la Stella di Davide avrebbero aperto il fuoco contro almeno undici civili palestinesi, tra cui cinque donne e quattro bambini, disarmati e con vistose bandiere bianche, in luoghi in cui «erano facilmente visibili e identificabili e non avevano atteggiamenti aggressivi che potessero far pensare ad una minaccia per la sicurezza». Hrw ha sollecitato Tel Aviv ad aprire un’inchiesta ufficiale su quanto accaduto nella Striscia di Gaza. L’Ong ha dichiarato che esistono almeno tre testimoni oculari di quanto raccontato nel suo ultimo rapporto, che hanno confermato diversi dettagli in ognuno dei sette fatti di sangue in cui soldati israeliani sarebbero rimasti coinvolti. Il documento di Hrw è solo l’ultimo di una lunga serie di resoconti elaborati da diversi gruppi che si battono per la tutela dei diritti umani, che accusano Israele di aver violato le regole di guerra durante la sua ultima offensiva contro Gaza. Il report di Hrw però si differenzia dagli altri per aver messo in evidenza anche le violazioni commesse da Hamas e da altri gruppi di estremisti palestinesi, per aver lanciato ripetutamente razzi contro obiettivi civili in Israele. Le nuove accuse sono state immediatamente respinte dal governo di Tel Aviv, che ha biasimato la campagna anti-ebraica messa in atto da gruppi come Hrw, attraverso la diffusione di notizie infondate e palesemente di parte, basate unicamente su testimonianze palestinesi. Nella sua replica Tel Aviv ha affermato che i suoi soldati non hanno mai deliberatamente aperto il fuoco contro civili inermi e disarmati. Se qualche vittima è stata provocata tra la popolazione civile, la responsabilità va addebitata
S
ad Hamas e agli altri gruppi terroristici che hanno usato i civili come scudi umani e hanno lanciato i razzi e ammassato le loro munizioni in aree densamente popolate della Striscia di Gaza. Il portavoce del governo di Tel Aviv, Mark Regev, ha messo in dubbio anche l’imparzialità dell’Ong. Pur non commentando direttamente le accuse su Gaza, il portavoce israeliano ha parlato di una polemica che ha interessato proprio Hrw e la sua attività di raccolta fondi in Arabia Saudita.
L’Ong è stata criticata per aver dato ampio spazio alla sua posizione ipercritica nei confronti di Israele, in un incontro al quale hanno partecipato diversi rappresentanti sauditi. Secondo Regev, questo episodio «pone questioni di estrema importanza sull’imparzialità dell’organizzazione, sulla sua professionalità e sulla sua credibilità». Alle accuse del report di Hrw hanno voluto replicare direttamente anche i vertici dell’esercito israeliano, affermando che i soldati hanno l’obbligo di proteggere chiunque sventoli una bandiera bianca ma che in alcuni casi si sono trovati di fronte a militanti di Hamas che hanno usato civili che facevano segnali di resa come diversivo per le loro operazioni. «Una persona che mostra una bandiera bianca in questo modo si comporta in modo illegale, non riceve protezione da azioni di ritorsione e mette in pericolo la popolazione civile nelle vicinanze» ha dichiarato un portavoce delle Forze armate israeliane. A luglio, il governo di Tel Aviv ha pubblicato un suo rapporto per difendere l’operato dello Tsahal a Gaza. Nel documento si legge che esistono cinque indagini in corso su altrettanti militari che avrebbero aperto il fuoco contro civili disarmati con bandiere bianche,“incidenti”che avrebbero provocato la morte di dieci palestinesi. Due dei cinque episodi riportati sono menzionati anche nel report di Human Rights Watch. Il bilancio finale dell’ultima mattanza compiuta a Gaza è ancora oggi oggetto di scontro tra palestinesi e israeliani.
Israele risponde puntando il dito contro Hamas: «Hanno usato come protezione i civili con in mano una bandiera bianca»
due anni il Paese non ha realizzato almeno il 30 per cento dei progetti previsti in materia di centrali energetiche, autostrade e porti, per cui non crede possibile invertire questa tendenza, almeno nel breve termine. Anche considerato che il sistema stradale, portuale, aeroportuale ed energetico indiano appare ancora molto sottodimensionato rispetto alle esigenze. Altri esperti ritengono tuttavia improponibile il confronto di efficienza operato dalla consulente tra India e Cina. I due Paesi hanno infatti sistemi giuridici e politici assai diversi: basti pensare che per realizzare un’opera la Cina spesso ha acquisito con la forza la terra, nonostante le proteste interne.
psicologiche subite dal marito e alla presentazione da parte del leader “riformista” Mir Hossein Mousavi di un elenco contenente 69 nomi di persone uccise durante gli scontri seguiti alle elezioni presidenziali. Le autorità invece avevano dato un bilancio di circa 26 vittime. È stato il presidente del Majlis, Ali Larijani - ritenuto uomo di fiducia della Guida suprema, Ali Khamenei - a replicare alle accuse lanciate da Mehdi Karroubi, leader dell’opposizione e candidato alla presidenza, che le guardie carcerarie hanno stuprato uomini e donne protagonisti delle proteste antigovernative, definendole «una vera menzogna». Larijani ha anche chiesto a Karroubi di «presentare le prove» delle sue affermazioni. Da parte sua, il presidente del Comitato parlamentare per la sicurezza nazionale e la politica estera, Alaeddin Boroujerdi, ha riferito di una indagine compiuta da un gruppo di deputati. Secondo la governativa Press Tv, egli ha sostenuto che la maggior parte delle lamentele dei prigionieri erano relative al centro di detenzione di Kahrizak, chiuso per ordine di Khamenei, mentre «tutti i prigionieri sono soddisfatti della loro situazione nella prigione di Evin». Evin, in realtà, è un carcere speciale.
cultura
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Un quadro una storia. L’opera è incollata con un procedimento digitale su L’Isola dei Morti di Böcklin e rappresenta l’icona dell’origine che si incarna nella fine
Moreau in versione liquida La rivisitazione in chiave simbolica dell’Edipo e la Sfinge di Vettor Pisani, tra i più grandi artisti degli ultimi 40 anni di Angelo Capasso l Salon del 1864, dopo averne realizzato una lunga serie di schizzi preparatori e ripensamenti, Gustave Moreau presentò il suo Edipo e la Sfinge. Un’opera enigmatica che assorbe in sé tutto il mistero del Simbolismo francese. È un dipinto che distilla il climax della storia di Edipo in una lettura moderna: Edipo non immagina il destino di morte che si sta compiendo per suo stesso tramite: armato del suo solo coraggio è giunto finalmente alla sommità del Monte Ficio, presso la città di Tebe, dove vigila mostruosa la Sfinge. L’orrenda chimera, volto di donna, corpo di leone e ali d’aquila, si posa sul petto dell’eroe e pone l’indovinello, sicura e maliarda. Stavolta però è lei a non sapere qualcosa: Edipo conosce la risposta, e non è che un attimo di sospensione nel dramma quello che Gustave Moreau ritrae sulla tela.
A
na, col suo fascino e i suoi tranelli; così l’enigma più non sarebbe un indovinello, ma il mistero stesso che lega il maschile e il femminile, secondo una dialettica eterna fatta di contrasti e congiungimenti. Quest’opera di Moreau ha lavorato a lungo sulla storia dell’arte e riappare nel Museo mentale di Vettor Pisani, artista del mistero.Vettor Pisani, come in molti altri casi della letteratura artistica, ci offre un’interpretazione dell’Edipo e la
do la sua naturale destinazione: la morte.Vettor Pisani è uno dei grandi protagonisti dell’arte italiana degli ultimi quarant’anni. È un artista totale: ha operato con l’installazione, con la scultura, l’architettura, ha pubblicato di recente due romanzi. È un artista che ha preso di mira il mondo e lo ha chiuso nelle dimensioni che l’arte può offrire. Nel corso degli anni, Vettor Pisani ha sviluppato un pensiero trasversale sull’arte che riflette la libertà dell’immaginazione che viaggia liberamente attraverso i luoghi culturali proposti dall’arte e dalla cultura in genere: è un lettore dell’iconografia occidentale, un interprete dei miti, non solo quelli classici, ma anche dei miti proposti dall’arte contemporanea.
Nel corso degli anni, ha sviluppato un pensiero trasversale sull’arte che riflette la libertà dell’immaginazione che viaggia liberamente attraverso i luoghi culturali
La corona che orna la testa della Sfinge andrebbe così interpretata, secondo Edouard Schuré (uno tra i principali critici del Simbolismo francese): come immagine della tradizionale vittoria della Natura sull’Uomo, il quale però, forte del suo ingegno, sta per prendersi la rivincita tanto inseguita. Edipo scioglierà l’enigma, la Sfinge sconfitta finalmente rotolerà giù dal monte, e con essa la corona. La Sfinge simboleggia la Natura, ma anche l’universo della Don-
Sfinge di Moreau trasformandone pochi elementi. L’immagine di Edipo e la Sfinge di Moreau è ritagliata dal contesto originario e incollata, con un procedimento digitale, su un’altra opera misteriosa del simbolismo appartenente a Arnold Böcklin, svizzero di Basilea: L’Isola dei Morti. È l’opera amata da Freud, Hitler, Lenin, Dalì, Strindberg, Druié, D’Annunzio: elegia alla morte. Vettor Pisani associa due elementi del simbolismo, con piccole modifiche cromatiche e con un procedimento informale che distorce alcuni punti quasi impercettibili nella zona inferiore del quadro.
Come se l’opera fosse in via di liquefazione, come se stesse subendo un processo di putrefazione, ovvero stia raggiungen-
Si ritrovano nelle sue opere reintepretazioni oltreché di Edipo e la Sfinge, dell’Estasi di Santa Teresa (Bernini), della Monnalisa di Leonardo, quest’ultima attraverso una lettura psiconalitica offerta da Freud in un saggio dal titolo Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci, pubblicato nel 1910. Il lavoro di Vettor Pisani è quindi nello scavo, nell’ibrido, nelle contaminazioni culturali. Ha condotto il suo lavoro nel solco dell’ermetismo simbolico di cui Marcel Duchamp ha ripreso le sorti nel Novecento. Quella di Vettor Pisani è un’arte democratica (se il termine può appli-
carsi all’arte), in quanto lo spettatore è indispensabile a realizzarne la concretezza storica che è una parte integrante dell’opera, da considerare secondo un meccanismo di azione e reazione del pensiero del soggetto che guarda all’installazione come ad una struttura che produce e trasforma i significati. Il suo microcosmo di citazioni attraversa l’arte (Arcimboldo, Bernini, Klinger, Böcklin, Dalì, Bellmer, Beuys), le filosofie esoteriche, la psicanalisi (Freud, Weininger), e tutto un simbolismo personale tratto dall’arte, strappati dal loro contesto originario e ricuciti in un nuovo ordine-disordine assunto da inquietudini collettive, sociali o politiche, che storicamente hanno costituito la struttura portante della cultura moderna. Nel caso di Edipo e la Sfinge, l’opera è ricca di suggestioni autobiografiche: l’Isola dei Morti di Böcklin è per Vettor Pisani l’icona dell’origine che si incarna nella fine. Si dice che quell’isola misteriosa, governata dai cipressi, nasca nell’immaginario di Böcklin dopo un suo viaggio in Italia.
È l’isola d’Ischia: il luogo di nascita di Vettor. Questo lavoro d’intreccio di significati diversi appartiene ad un metodo che Vettor Pisani ha elaborato negli anni secondo il quale i codici artistici sono letti in chiave alchemica, lavorando sulle trasformazioni di ordine fisico e psichico, sui giochi di parole, sulle associazioni incongrue e spiaz-
zanti, sulle immagini decontestualizzate. È un metodo coinvolgente atto a giungere alla conciliazione del pubblico con la dimensione educativa dell’arte, o meglio dei suoi luoghi misteriosi che normalmente sono ospitati dal Museo. Edipo, quindi, il figlio caduto, è anche il suo alter ego. Ed anche l’icona dell’Uomo, dalla sua fallibilità e per questo, una delle icone che più affollano la storia dell’arte.
È proprio questa lettura storica che entra a far parte dell’immaginario di Vettor Pisani. L’immagine di Edipo ha avuto molteplici interpretazioni, attraverso letture sincretiche, transculturali, intermediali ha costruito un immaginario ricco e complesso e quindi rende impossibile una interpretazione unica e definitiva: ogni parola non significa e non spiega l’opera, ma ha la stessa intonazione enigmatica delle immagini simboliche che si generano l’una nell’altra; le figure si smontano nel pensiero e vengono dislocate nello spazio espositivo per colmare la distanza con lo spettatore in modo tale da farlo coincidere per un istante con l’artista, l’enigma però non viene mai svelato. Quest’opera, come molte altre di Vettor Pisani, è un “battello ebbro” che attraversa la Storia e giunge fino al presente in un viaggio folle, condotto tra due punti cardine: la vertigine (il senso panico) e il vuoto (lo spazio del senso panico). Il suo viaggio ha stagioni diverse ed è fatto di incontri metaforici che si sviluppano nel territorio della cultura, tra affinità elettive molteplici, attraverso quello stupore naturale che si legge attraverso gli oc-
cultura
chi trasparenti dell’artista ischitano. Mai pago del presente, Vettor Pisani ha trasformato le immagini dell’iconografia condivisa sul piano collettivo in calchi della storia sul presente, statue disinstallate dalla loro sede originaria e riportate in piazza, nel calore e colore della festa popolare. Proprio come nel caso di quell’ibrido genetico prodotto dall’innesto da un’opera di Moreau sullo sfondo di un’opera di Böcklin.
scio, la follia, il sublime, con i loro diretti reciproci nel presente: la follia di alcuni aspetti della medicina, il sublime folle-
ca, giungendo ad una soluzione finale che somiglia ad una frittata cosmica, dove l’Uovo - uno dei simboli cruciali dell’arte cristiana e l’icona della perfezione secondo l’arte rinascimentale (la Pala di Brera di Piero della Francesca), inteso come simbolo elementare della vita e della rigenerazione-resurrezione - diviene una possibilità di installare, in termini artistici, elementi diversi legandoli mentalmente tra di loro con il solo chiarore viscido dell’albume.
La sua è un’arte democratica, poiché lo spettatore è indispensabile a realizzarne la concretezza storica, che è una delle parti integranti del lavoro
La grandezza di Vettor Pisani è in questa sua capacità di misurarsi con stature alte dell’arte. Sebbene abbia iniziato in epoca concettuale (agli inizi degli anni Settanta), il suo lavoro non è mai stato prigioniero dei concettualismi minimali angloamericani ma ha proseguito in quel lungo percorso labirintico quale è la cultura della mittel-Europa, un territorio che in quegli anni sembrava destinato ad rimanere rinchiuso nel Romanticismo, tra le memorie del sette-ottocento letterario e artistico. Con il suo lavoro totale, tra installazione, fotografia, video, Vettor Pisani ha dimostrato l’attualità di figure della storia che non ha mai considerato come simulacri o feticci di un gusto retrò, quanto come l’essenza del Moderno e del presente storico. Sono quelle le questioni su cui si fondano gli studi sull’incon-
mente intollerante delle ideologie e dei fondamentalismi.
Il tono preferito da Pisani per le sue opere non è però quello aristocratico-professorale del saggio o del poeta vate, ma quello dell’ironia. Lo dimostrano esplicitamente i suoi due romanzetti picareschi: Un Cigno in Germania e Edipo Borderline. In entrambi,Vettor Pisani adotta uno stile picaresco certamente apparentato al Don Chisciotte di Cervantes, ma con i toni deliranti ed istrionici del Dalì dei Cornuti della Vecchia Arte Moderna, dissacrante (nel senso etimologico del termine) come il Bataille della Storia dell’Occhio, ma leggero e semiserio come un romanzo sognante e affezionato di Breton, dove il nostro eroe si inebria non di un amore folle per una donna, ma dell’amore totale per l’arte, nella follia che si libera della folla del quotidiano e sublima il pensiero mescolando immagini, nomi, la storia dell’arte e la storia universale, fino alla cronaca dell’arte del presente e con questa quella della società civile, della politi-
È un pensiero liquido che s’insinua nelle cose e ne prova la morbidezza, la loro inconsistenza acquosa o torbida. Un pensiero che diventa immagine, si sedimenta nella Storia, e poi si scioglie ancora col calore della sua relazione condivisa con gli altri per colare nelle viscere delle città alla ricerca della sua origine oscura.
In alto Edipo e la Sfinge di Vettor Pisani. A destra, alcune opere dell’artista napoletano che richiamano il suo legame con i personaggi della mitologia. A fianco, Gustave Moreau e il suo Edipo e la Sfinge. Nell’altra pagina, Arnold Böklin e L’Isola dei Morti
14 agosto 2009 • pagina 21
opinioni commenti lettere proteste giudizi proposte suggerimenti blog L’OCCHIO DEL MONDO - Le opinioni della stampa internazionale a cura di Pierre Chiartano
dal “Washington Post” del 13/08/2009
Il sorriso degli afgani di Carol Graham Afghanistan è in guerra, più o meno in maniera continuata, da oltre trent’anni. La nazione è stata invasa e distrutte diverse volte. E oggi, mentre si avvicinano le elezioni presidenziali, diversi sondaggi dipingono gli afgani sull’orlo del baratro, in un abisso fatto di frustazione, violenza e truppe straniere. Ma le ricerche che abbiamo condotto in maniera indipendente quest’anno dimostrano che, rispetto ai parametri internazionali, gli afgani sono sorprendentemente felici. E, anche se non capiamo cosa renda quel popolo così ben disposto, è certo che siamo molto lontani dallo schiacciarne «cuori e menti». Un certo livello di stabilità, ovviamente, è necessario per far funzionare una società. Mentre il concentrarsi esclusivamente sulla questione della sicurezza può calmare le ansie della comunità internazionale, una strategia del genere non basta alla popolazione locale. Dopo anni di guerra, gli afgani sembrano essersi adattati all’insicurezza, così come si sono abituati al crimine e alla corruzione. Un approfondimento fatto bene sulla ridotta tolleranza per la corruzione, tesa a migliorare la fiducia pubblica e basata su una vera comprensione di come questi sentimenti cambino attraverso i vari distretti, potrebbe aiutare a potenziare la speranza per quella libertà politica che andiamo cercando.
L’
Abbiamo condotto il nostro sondaggio in otto regioni del Paese, e questo ci ha permesso di capire come cambi la percezione del benessere rispetto alle circostanze socio-economiche. Grazie all’auto di ricercatori di Kabul, abbiamo concluso la ricerca in gennaio. Il livello di felicità in giro per il Paese è enorme: l’81 per cento degli intervistati ha detto di aver sorriso il
giorno prima. E le motivazioni di questi sorrisi sono sorprendenti: la chiave sembra comunque essere evidentemente la capacità di adattarsi. Degli intervistati soltanto l’11 per cento era donna, ma va ricordato che le afgane non parlano con le persone che non conoscono. Inoltre, il 25 per cento era stato negli ultimi mesi vittima di corruzione e l’11 per cento di crimini gravi. Eppure, le vittime di questi reati non erano meno felici rispetto alla media. Dato che crimine e corruzione sono divenuti la norma, questi fenomeni non sembrano avere la capacità di disturbare l’umore degli afgani. L’abilità di adattarsi alle avversità è un buon fattore per un singolo individuo, ma dal punto di vista sociale può portare a una compiacenza molto pericolosa. Gli afgani non pensano che la loro vita sia migliore rispetto a quella di altri popoli, ma sono ottimisti rispetto al futuro. Il 60 per cento degli intervistati, ad esempio, ritiene possibile per una persona nata povera di diventare ricca. In America Latina, che ha sicuramente una stabilità politica ed economica migliore dell’Afghanistan, soltanto il 30 per cento delle persone la pensa allo stesso modo. Gli afgani soddisfatti della democrazia sono più felici rispetto alla media nazionale, così come coloro che puntano alla libertà di espressione. Gli afgani sono poi sensibili alla situazione politica, anche se ancora non coniugano l’idea di democrazia con la fiducia nelle istituzioni pubbliche o nei concittadini. Ad esempio, sol-
tanto il 10 per cento degli intervistati dice di avere fiducia nei propri vicini di casa; il 20 per cento ha fiducia nel governo; il 21 nella polizia e il 17 nelle forze militari internazionali. Ancora più importante, fattore da sottolineare, è che la felicità cresce nelle aree lontane dal controllo dei talebani. In sostanza, l’ottimismo e la evidente preferenza per la libertà potrebbero divenire un’importante contro-forza da opporre al clima generale di violenza e paura che pervade l’Afghanistan.
Molti studi dimostrano come una bassa percentuale di fiducia nelle istituzioni crea poco sviluppo interno. Sfortunatamente, però, ridare fiducia nel governo è una di quelle missioni di cui noi sappiamo poco. Questi obiettivi sono ancora più difficili da raggiungere in quei posti dove la popolazione è compiacente con il problema. Tutto questo serve a dire che la strategia statunitense a Kabul, focalizzata sulla lotta ai talebani e ai signori della guerra, potrebbe non soddisfare le vere necessità degli afgani. Che ora vogliono essere felici.
L’IMMAGINE
No a chiusura ospedale Petralia Sottana Sì al confronto tra operatori sanitari e cittadini In base al piano di riordino della rete ospedaliera territoriale, i cittadini dei nove comuni delle Alte Madonie non vengono inseriti tra quelli che si trovano in una particolare situazione orografica. In questo modo, i tagli che l’assessore si appresta a fare colpiscono il diritto alla salute dei cittadini di quel territorio che a causa della cattiva condizione delle vie di comunicazione si troverebbero nell’impossibilità di accedere a qualsiasi forma di assistenza sanitaria. L’assessore Massimo Russo e Salvatore Iacolino, attuale dirigente generale dell’Ausl 6 di Palermo, dovrebbero attivarsi concretamente affinché l’ospedale di Petralia Sottana mantenga le funzioni di diagnosi e di cura di primo livello con gli attuali reparti di medicina, chirurgia, ostetricia e ginecologia, ortopedia e tutti i servizi annessi. Sarebbe, inoltre auspicabile che l’assessore alla Sanità convocasse al più presto un confronto con gli operatori del nuovo ospedale Madonna santissima dell’alto di Petralia Sottana e con i rappresentanti dei cittadini dei nove comuni.
Davide Romano
PRECISAZIONE Precisiamo che le fotografie a supporto dell’articolo a firma di Mauro Canali dal titolo “La Terra, un pianeta assetato d’acqua”, apparso su liberal del 12 agosto scorso a pagina 24, sono state pubblicate per gentile concessione di “Telespazio, società Finmeccanica-Thales”.
potenze per vari motivi, e mai da noi per opportune azioni di copertura strategica. Non è un inneggiare a vanti militari, ma la necessità di eliminare certi complessi e dotare chi rischia la propria vita per la pace, degli opportuni mezzi per non soccombere.
Gennaro Napoli
TORNADO PER L’AFGHANISTA
COLPO SOVIETICO ALLA NUCA PER 4.400 UFFICIALI POLACCHI
Qualcuno da destra chiede l’utilizzo dei nostri Tornado per un’ampia azione di difesa e sostegno del lavoro che le nostre truppe stanno facendo in Afghanistan e che non sono sempre pacifiche e non certo per merito nostro. È un’ottima idea che tiene conto che il nostro patrimonio bellico è stato utilizzato da tante
Il 17.09.1939 l’Armata Rossa invase la Polonia dal confine orientale. Catturò più di 22.000 ufficiali polacchi e li deportò in campi di prigionia. Nel 1940 circa 4.400 di tali ufficiali polacchi furono uccisi con un colpo alla nuca dai sovietici, nella foresta russa di Katyn, controllata dall’Urss. Nella primavera 1943 le truppe tede-
Lasciatemi in pace Poche ore di vita e già decine di paparazzi da affrontare: questo cucciolo ha un buon motivo per essere così imbronciato! Ma è meglio che si abitui alla celebrità, la sua nascita per i veterinari dello Smithsonian’s National Zoo di Washington è un evento eccezionale. Il piccolo insieme al fratellino, è infatti il primo leopardo nuvola (Neofelis nebulosa) partorito nella struttura dopo 16 anni di tentativi falliti
sche in ritirata ne scoprirono i cadaveri, sepolti in otto grandi fosse comuni. Il 7 marzo 1989 il governo polacco attribuì l’eccidio ai servizi di sicurezza sovietici. Il 13 aprile 1990 il governo sovietico, mediante la Tass, ne addossò la responsabilità alla Nkvd (polizia politica sovietica), definendolo «uno dei maggiori crimini dello stalinismo». Così il comunismo
sovietico ha ammesso la sua responsabilità dell’orribile bagno di sangue (malgrado l’iniziale tentativo di colpevolizzare i tedeschi). «La verità non si può cambiare», come afferma un personaggio del film “Katyn”di A. Wajda.
G. N.
IL PIANO PER IL SUD Il piano di rilancio per il Sud si
prestava come il logico corollario dell’azione positiva del governo, in un’area dove si svolgono due eventi paralleli di grande importanza: la mobilitazione dei parlamentari, che richiedono un piano reale che adegui i fondi alle necessità critiche, e l’inizio della contrattazione per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici.
Salvatore Apuzzo
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dai circoli liberal
LETTERA DALLA STORIA
Quella prodigiosa presunzione di un poeta Signora, serve tutta la prodigiosa presunzione di un poeta per avere l’ardire di attirare l’attenzione di Vostra maestà su un caso piccolo come il mio. Ho avuto la sventura di essere condannato per una raccolta di poesie intitolata “I fiori del male”, non avendomi sufficientemente protetto l’orribile franchezza del mio titolo. Ho creduto di fare un’opera bella e grande, soprattutto un’opera chiara, invece è stata giudicata abbastanza oscura perché io sia condannato a rifare il libro e a togliere alcune poesie (sei su cento). Devo dire che sono stato trattato dalla Giustizia con un’ammirevole cortesia e che i termini stessi del giudizio implicano la riconoscenza delle mie alte e pure intenzioni. Ma l’ammenda, gonfiata da spese per me incomprensibili, supera le facoltà della proverbiale povertà dei poeti e, incoraggiato dalle tante dimostrazioni di stima che ho ricevuto da amici altolocati, e allo stesso tempo convinto che il Cuore dell’Imperatrice sia aperto alla pietà per tutte le tribolazioni, sia spirituali che materiali, dopo un’indecisione e una timidezza di dieci giorni, ho concepito il progetto di sollecitare la graziosissima bontà di Vostra Maestà e di pregarla d’intervenire in mio favore presso il ministro della Giustizia. Charles Baudelaire all’Imperatrice
ACCADDE OGGI
ATENE RECLAMA I “SUOI” MARMI, URBINO E RAVENNA I “LORO” QUADRI La decisione della Soprintendente di Brera di richiedere all’Accademia Raffaello di Urbino di restituire la pala di Giovanni Santi, padre di Raffaello, ivi in deposito da un quarantennio, ha suscitato polemiche. Ma, soprattutto, ha sollevato o scoperchiato una questione tanto grande quanto delicata. L’opera di Giovanni Santi fu infatti dipinta a Urbino e per Urbino, ma entrò nell’enorme lotto di opere d’arte che il vicerè d’Italia, Eugenio di Beauharneis, fece deportare a Milano dalle ex Legazioni pontificie, in specie dalle Marche, per fare di Milano ciò che il patrigno Napoleone stava cercando di fare di Parigi, cioè il “luogo eletto delle arti”. Con opere razziate soprattutto nel Centro Italia. Operazione contro la quale, nel 1796 e dalla prigione, aveva già scritto, nelle Lettres à Miranda, memorabili parole di fuoco uno dei più grandi teorici della tutela del “contesto” storico-artistico, e cioè il parigino Antoine Chrisostôme Quatremère de Quincy. Grande amico di Canova e collaboratore delle prime leggi pontificie sulla tutela, il chirografo di Pio VII di Carlo Fea e il successivo editto del cardinal Bartolomeo Pacca. Come comprovano i penetranti studi di Antonio Pinelli e del sapiente Edouard Pommier. È così che, fra le tante opere segnalate al vicerè e ai suoi trafugatori da Andrea Appiani, giunsero, nel 1806, da Città di Castello lo Sposalizio della Vergine di Raffaello e, nel 1811, da Urbino la Pala di
e di cronach di Ferdinando Adornato
Direttore Editoriale Ferdinando Adornato Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Francesco D’Onofrio, Gennaro Malgieri, Bruno Tabacci
Ufficio centrale Gloria Piccioni (direttore responsabile) Andrea Mancia, Errico Novi (vicedirettori) Nicola Fano (caporedattore esecutivo) Antonella Giuli (vicecaporedattore) Franco Insardà, Luisa Arezzo, Stefano Zaccagnini (grafica)
14 agosto 1912 I Marines invadono il Nicaragua
1933 Dei boscaioli provocano un incendio nel Coast Range dell’Oregon 1935 Negli Usa viene passato l’Atto sulla previdenza sociale 1945 Fine della seconda guerra mondiale. L’Impero giapponese si arrende a seguito dell’invasione sovietica della Manciuria e della devastazione di Hiroshima e Nagasaki 1947 Pakistan e India ottengono l’indipendenza dal Regno Unito 1967 Nel Regno Unito entra in vigore una legge che costringe alla chiusura di molte stazioni radio ”offshore” 1969 Truppe britanniche vengono schierate in Irlanda del Nord 1971 Il Bahrain dichiara l’indipendenza dal Regno Unito 1980 Lech Walesa guida gli scioperi nei cantieri navali di Danzica in Polonia 2003 Un blackout di ampie proporzioni si verifica nel nordest degli Stati Uniti e in Canada
Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Francesco Capozza, Giancristiano Desiderio, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria)
San Bernardino di Piero della Francesca. Con un contorno di opere considerate minori che, o finirono nei depositi di Brera, o vennero smistate, assurdamente, dopo il 1815, nelle chiese lombarde. Caduti sia Napoleone che Eugenio, arrivò ai parroci delle chiese depredate una lettera con cui li si invitava a riprendersi le loro tele. Ma, coi mezzi finanziari e coi trasporti di allora non successe praticamente nulla. Rimasero a Brera opere fondamentali trafugate a Pesaro (La Madonna e i quattro Santi di Savoldo dalla chiesa di San Domenico) e a Ravenna (la Pala Portuense di Ercole Roberti da Santa Maria in Porto e il Martirio di San Vitale di Federico Barocci dalla chiesa di San Vitale). Tutti casi esemplari di asportazione. Da qualche anno si sta muovendo in quelle terre, cioè dall’Emilia-Romagna e dalle Marche, un movimento d’opinione che tende a far “tornare a casa” quelle opere così deportate. La soprintendente di Brera va in senso opposto a tale movimento reclamando invece la restituzione a Milano della pala urbinate di Giovanni Santi per costruire una “Sala Urbino” prima dello Sposalizio della Vergine di Raffaello e della Pala di Piero. Gli urbinati si chiedono, non senza ragione: se Atene appare sempre più legittimata a reclamare dal British Museum i marmi del “suo” Partenone, perché mai Urbino non dovrebbe essere abilitata a chiedere che tornino a casa la Pala di San Bernardino e altre opere d’arte?
UNA PROPOSTA DIVERSA PER RINNOVARE IL TURISMO IN BASILICATA Te ne accorgi subito che sei arrivato in un posto particolare, appena leggi Basilicata sul cartello dell’autostrada ed è incredibile, proprio in quel momento, il paesaggio, plaf, cambio di colpo. Diventa tutto verde - un verde, cupo, fitto, ombroso - di pini e abeti da foresta nordica. Non per niente Lucania deriva dal latino lucus, bosco sacro. Anche il clima cambia di colpo, si fa più fresco e una volta lasciata la A3 per la statale che s’insinua tra le maestose montagne di Lagonegro - il paese dove nella bella chiesa di San Nicola, secondo un’antica leggenda riposerebbe la Monna Lisa di Leonardo - l’aria diviene balsamica, carica degli odori di lentisco, ginepro e mirto che il vento spinge dal mare. Del resto, già nell’Ottocento, la Basilicata sembrava offrire a Edward Lear, l’elegante scrittore e pittore inglese nonché famoso inventore dei limericks - quelle filastrocche apparentemente prive di senso - «il modello più perfetto di solitudine», modello che rimane per lo più inalterato nella nostra epoca di turismo di massa in modo che questa nostra regione può essere ancora la meta ideale per chi coltivi il gusto romantico dei viaggiatori di una volta, e voglia avventurarsi per chilometri senza incontrare anima viva, per esempio nell’ azzurra vastità dei monti del Pollino, con le sue cinque vette al di sopra dei 2000 metri e i suoi alberi imponenti tra cui l’antichissimo pino loricato; o tra i paesini delle Dolomiti lucane dove, invece che in mezzo ai monti trentini da cui queste più modeste pendici prendono il nome, si avrà piuttosto l’impressione di trovarsi in un racconto fantastico di Eta Hoffmann. Tutte queste suggestioni le conosce bene Gaetano Fierro, che con la sua “Proposta diversa per cambiare il Turismo in Basilicata”, individua i modi e gli strumenti per fare della Lucania una delle mete più adatte proprio a coloro che agli itinerari battuti dal turismo di massa preferiscono il gusto dell’avventura o, almeno, della scoperta. E la prima cosa da fare in tal senso è l’identificazione del “Mito-Lucania”, ovvero di tutta quella serie di costruzioni simboliche che passando attraverso letteratura, cinema, leggende, storia e arte, hanno restituito della Basilicata un’immagine magari vaga, misteriosa, ma perciò stesso piena di fascino. E questa, come acutamente scrive l’autore, è l’unica possibilità per una terra piccola come la nostra di porsi come alternativa alle offerte di regioni dotate di più grandi strutture ricettive e visibilità mediatica. Gianluigi Laguardia C O O R D I N A T O R E PR O V I N C I A L E CI R C O L I LI B E R A L D I PO T E N Z A
APPUNTAMENTI SETTEMBRE 2009 LUNEDÌ 7, ROMA, ORE 11 HOTEL AMBASCIATORI - VIA VENETO Riunione straordinaria del Consiglio Nazionale dei Circoli liberal. VINCENZO INVERSO, SEGRETARIO ORGANIZZATIVO NAZIONALE CIRCOLI LIBERAL
Vittorio Emiliani
Aldo Forbice, Antonio Funiciello, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Aldo G. Ricci, Giorgio Israel, Robert Kagan,
Supplemento MOBYDICK (Gloria Piccioni)
Filippo La Porta, Maria Maggiore,
Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Baiocchi, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Angelo Crespi, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei, Alex Di Gregorio
Andrea Margelletti, Adriano Mazzoletti,
Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Gabriella Mecucci, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Ernst Nolte, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo,
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PAGINAVENTIQUATTRO Icone. “Il lago dei cigni” interpretato dalla Compagnia del Balletto di Mosca, per la regìa di Elik Melikov
Sogno di una fiaba di mezza
di Mario Bernardi Guardi ago su lago. L’argento nordico, freddo, lunare del Lago dei cigni illumina la dolce notte mediterranea di Massaciuccoli, sotto un cielo generosamente stellato. La Compagnia del Balletto di Mosca, diretto da Elik Melikov, formata da più di cinquanta artisti provenienti dalle più prestigiose accademie russe, porta in scena un’icona dello spettacolo. E lo fa con dovizia di immagini (le coreografie sono firmate da Alexandre Vorotnikov che è anche maître de ballet della compagnia) e con ammirabile perizia “tecnica”, grazie all’interpretazione di Nadejda Ivanova e di Andrey Lyapin, alla certificata professionalità dell’Orchestra del Festival Puccini, alla magistrale direzione di Giuseppe Acquaviva. Un palcoscenico come si deve, dunque, per un’antica fiaba di amore e magìa che Johann Karl August Musäus trasse dal vasto archivio della tradizione germanica e di cui il compositore russo Pëtr Il’ic Cajkovskij colse incantamenti onirici e suggestioni “morali”. Insieme a qualche segnale “inquietante”.
L
Il balletto di Cajkovskij è del 1875-76 (seguiranno La bella addormentata nel 1889 e Lo schiaccianoci nel 1892), il battesimo teatrale avvenne il 20 febbraio del 1877. Ma non fu un successo. Anzi, la rappresentazione deluse e irritò il pubblico. Tutt’altro che incantato dalle coreografie di Julius Wenzel Reisinger e dal libretto di Vladimir Petrovic Begicev. Colpa dei tagli e delle manomissioni con cui si era intervenuti sulla partitura originale? Della ballerina Pelageja Karpova che fu una ben modesta Odette? Oppure della scadente esecuzione orchestrale? Sia come sia, i cigni volarono basso, e non andò meglio nelle rappresentazioni che seguirono. Finché, il 15 gennaio 1895 (Cajkovskij era morto due anni prima) il lago non prese a brillare con i suoi argentei lunari e con le piume lattate dei suoi cigni, grazie al “revival”promosso dal coreografo Marius Petipa e dal suo assistente Lev Ivanov, che rilessero e revisionarono il balletto, aggiungendovi brani scritti dal compositore italiano Riccardo Rigo, maestro di cappella dei teatri imperiali. Questa volta, la sala plaudente del Teatro Imperiale Ma-
ESTATE riinskij di Pietroburgo decretò il trionfo. La fiaba, sogno e incubo, giardino delle delizie e selva oscura fitta di insidie, aveva finalmente trovato uno scenario. Del resto, di questo necessita la grazia aerea e plastica del balletto, quel rituale corporeo che deve essere esemplare perché l’intreccio della vicenda si sciolga e si risolva nella disciplina ieratica della figura e la
zione. Soprattutto se a incarnarlo è un Cigno Nero che sprigiona voluttà da ogni piuma: Odile, figlia di Rothbart, ovvero la Femmina, che, con le sue arti, ha facile gioco a “distrarre” il principe Siegfried dall’amore per Odette, il Cigno Bianco, la Donna Angelicata. Al punto che, al castello dove si svolge la festa di compleanno di Siegfried, il giovane, ammaliato dalla sinuosa danza di Odile, la sceglie come futura sposa, con tanto di presentazione alla Regina Madre. Turbamenti e contraddizioni della crescita? Tormentose incertezze tra i sublimi vertici dell’Amor Sacro e gli umani, troppo umani abissi dell’Amor Profano? Confuse e contraddittorie pulsioni giovanili cui comunque farà seguito l’esito “maturo” della scelta giusta? Il lago dei cigni è un balletto, d’accordo: onusto di glorie passate (pensiamo alla straordinaria interpretazione che ne dettero Rudolf Nurejev e Margot Fonteyn), si ripropone nella sua compiuta misura artistica in questa edizione torrelaghese dove non si sa che cosa ammirare di più, se l’abilità dei ballerini che dominano il corpo e ne liberano i multiformi spiriti («anche il corpo ha il suo spirito», diceva Friedrich Nietzsche) o il linguaggio della musica così complice e così avvolgente nella perfetta esecuzione orchestrale.
Il battesimo teatrale di Cajkovskij avvenne il 20 febbraio del 1877. Ma non fu un successo. Anzi, la messa in scena deluse e irritò il pubblico. Finché il 15 gennaio 1895, la sala del Teatro Imperiale Mariinskij di Pietroburgo decretò il trionfo composizione dei quadri rechi in sé i tratti dell’armonia estetica, del perfetto accordo tra l’intento narrativo, il linguaggio musicale e la forma variamente plasmata nelle sequenze della drammatizzazione. Il balletto è sempre tensione che si libera: e più che mai lo è quando evoca i “paesaggi” fondativi dell’esperienza umana: quelli in cui si incontrano e si scontrano la Vita e la Morte, l’Amore e l’Odio, il Bene e il Male, la Verità e la Menzogna, la Purezza e la Corruzione, con le maiuscole che si addicono agli opposti “emblematici”. Ebbene, Il lago dei cigni racconta questo conflitto eterno: ma eterne sono anche ambiguità e contiguità. E come potrebbe essere diversamente allorché la magia nera (il perfido Rothbart) innesca un processo metamorfico (candide vergini, colpite da incantesimo, diventano cigni) non solo “a tempo”(le belle fanciulle di notte tornano ad assumere la forma umana) ma reversibile (una promessa di matrimonio fatta in punto di morte ha la forza di sciogliere l’orribile stregoneria)?
Aggiungiamo che, se è vero che il Bene è destinato a trionfare, addirittura sconfiggendo la Morte, il Male esercita una potente fascina-
Sì, “Il lago dei cigni” è un balletto, un’arte che ha un linguaggio raffinato e difficile, che sembra fatto apposta per stabilire distanze: eppure, entro questa dimensione aristocratica e rarefatta, e nello spazio senza tempo della fiaba assalita dall’incubo, racconta una storia. La nostra, quella di sempre. Il corpo, lo spirito. La pesantezza, la leggerezza della condizione umana. E soprattutto il mistero della donna, angelo e diavolo tra luci e tenebre lacustri, a spasso tra gli archetipi.