2009_08_28

Page 1

di e h c a n cro

90828

Nulla somiglia a un innocente più di un colpevole che non rischia nulla. Tristan Bernard

9 771827 881004

di Ferdinando Adornato

QUOTIDIANO • VENERDÌ 28 AGOSTO 2009

DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK

Il governo tra Sud e spesa pubblica

INTERNET & PROTEZIONISMO

Settembre nero Si apre la partita della ripresa

Il motore di ricerca «ruba» le notizie ai giornali per attrarre pubblicità: l’Antitrust punta i riflettori sul colosso californiano. Che risponde: «Siamo noi a portare utenti ai siti». Arriva anche in Italia la grande guerra della Rete

Incontro a sorpresa tra Berlusconi e Tremonti dopo l’allarme di Draghi di Franco Insardà

ROMA. Draghi lancia l’allarme sulla crisi e Silvio Berlusconi convoca ad Arcore Tremonti. Nel vertice premier e ministro dell’Economia hanno discusso le priorità politiche per il riavvio dell’attività dopo vacanze. E, come si legge nella nota di Palazzo Chigi, tra «gli scenari esteri a quelli italiani, l’andamento dell’economia internazionale e quella interna, le tendenze della finanza pubblica», i due avrebbero trovato un accordo sul piano per il Mezzogiorno che tanto li ha divisi. È stato deciso che a curarne la realizzazione sarà il“Comitato per lo Sviluppo del Sud”, presieduto dallo stesso presidente del Consiglio. Ma che, come chiesto da Tremonti, potrà in seguito «assumere la forma di Istituto per lo Sviluppo del Sud». Di una nuova Cassa per il Mezzogiorno. segue a pagina 4

L’autunno caldo secondo Savino Pezzotta

alle pagine 2 e 3

Il governo si difende: «Noi in Libia per il Trattato di amicizia»

Putin e Sarkozy: no a Gheddafi Solo Berlusconi sarà a Tripoli a festeggiare il dittatore di Errico Novi

«Prepariamoci, il vero problema sarà la disoccupazione»

ROMA. Verrebbe da di-

di Francesco Pacifico

ROMA. «Autunno freddo? Io vedo già segnali di tensione sociale». Questa sera Savino Pezzotta è atteso al Meeting di Rimini per parlare di come il non profit può aiutare il Paese in un sistema di reale sussidiarietà. «E l’economia sociale», dice, «può molto contribuire a superare la crisi. Da presidente della Fondazione Sud mi sono accorto che queste attività sono uno straordinario volano in termini di innovazione e in termini di occupazione. Ora serve aiutare le start up, dare un sostegno a quella che Papa Benedetto XVI nella sua ultima Enciclica chiama“economia del dono”: non accumulare ricchezza ma fornire servizi». Ma proprio dalla platea di Cl – da dove Mario Draghi ha detto che «il peggio è passato» e Maurizio Sacconi ha parlato di “autunno freddo – il parlamentare dell’Udc e l’ex segretario della Cisl non nasconderà il suo pessimismo, il timore per una nuova fiammata della disoccupazione. segue a pagina 4 s eg ue a (10,00 pagina 9CON EURO 1,00

Processo a Google

re che il governo è rimasto con il cerino in mano, ed è un’immagine già di per sé surreale se si pensa che la fiamma è quella tricolore dei nostri aerei. Sta di fatto che il primo settembre l’Italia sarà l’unico Paese del mondo occidentale ad assicurare una presenza significativa alle celebrazioni di Tripoli. Ieri infatti sono arrivate a raffica le defezioni di alcuni leader “dati per certi”dal regime di Gheddafi: Medvedev, Putin e Sarkozy. Confermato invece l’arrivo di Hugo Chavez dal Venezuela e non è certo una consolazione per Berlusconi. Concedere l’omaggio delle nostre Frecce tricolori al quarantennale della Rivoluzione libica diventa ogni giorno più imbarazzante. Non a caso, pochi minuti dopo i lanci d’agenzia sulle illustri disdette, il sottosegretario alla Difesa Alfredo Mantica si affretta a precisare che il premier sarà a Tripoli

I QUADERNI)

• ANNO XIV •

NUMERO

170 •

Scontro su biotestamento e Ru486

«il 30 agosto e non il primo settembre» e che «le polemiche sulla sua presenza sono per questo inutili». Una cosa infatti è essere ospite di Gheddafi per il primo anniversario del trattato Italia-Libia, dice l’esponente del governo, altra è la ricorrenza della presa del potere da parte del Colonnello. In quel giorno, il primo settembre appunto, «ci saranno solo le Frecce tricolori», spiega Mantica. Ma la circostanza non suona come una rassicurazione. È arduo aggrapparsi al fatto che anche il presidente francese manderà, forse, un suo rappresentante (con al seguito un paio di caccia “Rafale”, in attesa di essere svenduti alla Libia). E che almeno fino a ieri pomeriggio non risultano ripensamenti da parte dei reali di Spagna, pure elencati tra le adesioni eccellenti.

WWW.LIBERAL.IT

Gasparri contro Fini La sfida sul laicismo ora divide il pdl di Valentina Sisti

RIMINI. Le questioni etiche continuano a scuotere la maggioranza dopo le dichiarazioni di Gianfranco Fini sul testamento biologico. Maurizio Gasparri, per esempio, non ha digerito le parole dell’exsegretario e ha tuonato: «Sul laicismo il Pdl non ha bisogno di lezioni da nessuno». E a riprova della sua determinazione ha anche rilanciato la necessità di una commissione (interna al Senato) che valuti se la pillola abottina Ru486 sia o no in contrasto con i principi della legge 194. Naturalmente, i temi della laicità e della bioetica sono rimbalzati a Rimini, al Meeting, tra i militanti di Cl.

segue a pagina 8

• CHIUSO

IN REDAZIONE ALLE ORE

a pagina 8

19.30


prima pagina

pagina 2 • 28 agosto 2009

Internet & news. La Fieg denuncia il motore di ricerca: «Saccheggia i nostri prodotti on line e non ci paga»

La guerra della Rete

L’Antitrust a Google: non «rubate» le notizie ai giornali per attrarre pubblicità. «Siamo noi che portiamo utenti ai siti» è la risposta di Marco Palombi

ROMA. L’Antitrust italiana ieri è entrata nel Terzo Millennio. Magari l’ha fatto dalla porta sbagliata, ma tant’è: l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha avviato un’istruttoria su Google Italy srl per abuso di posizione dominante. Il procedimento, avviato da un esposto della Fieg (la federazione italiana degli editori di giornali) del 24 luglio, è stato affidato ad Antonio Buttà, funzionario formatosi a Londra, e dovrà concludersi entro il 15 ottobre del 2010. Nel mirino dei garanti – ma ieri su blog e siti si sprecavano le ironie sul lavoro dell’Autorità su altri settori della vita pubblica, a partire da quello radiotelevisivo – è finito in particolare il servizio “Google News”, che aggrega e indicizza notizie provenienti da 250 siti in lingua italiana e dal quale, cliccando sull’articolo, si accede direttamente alle pagine interne dei siti dei giornali. I contenuti della sezione “News”, peraltro, compaiono anche in altre sezioni di Google: nelle pagine generate dalle ricerche, ad esempio, o nella home page “iGoogle” che ogni utente può essere impostare all’avvio del proprio browser. Ovviamente la società di Brin e Page chiede ai siti il permesso di utilizzare i loro contenuti, solo che gli editori italiani si lamentano curiosamente - del fatto che le notizie, prese da varie fonti, siano presentate all’utente in un ordine scelto «secondo criteri non pubblici regolati da un algoritmo coperto da segreto industriale». Questa «mancanza di trasparenza», secondo Fieg, «procura danni agli editori che competono con Google nel mercato della pubblicità on-line».

Non bastasse gli editori accusano pure il sito di ricerca più usato al mondo (e particolarmente in Italia) di cancellare automaticamente anche dalla sezione web quei siti che rifiutano di apparire sul portale News. Questa pratica, peraltro non ancora accertata, per Fieg penalizzerebbe pesantemente chi pubblica contenuti giornalistici sul web (e quindi è anche concorrente di Google nella raccolta di spot) perché «la presenza sul motore di ri-

Un (nuovo) fantasma s’aggira per l‘Europa: il protezionismo di Carlo Lottieri ue notizie, pur slegate l’una dall’altra, aiutano a cogliere qualche elemento cruciale della fase economica presente. L’Antitrust argentino ha stabilito che l’ingresso di Telefonica nel capitale di Telecom Argentina sarebbe lesivo della concorrenza nel mercato delle telecomunicazioni, e per questo obbligherà Telecom Italia a vendere i suoi asset nel paese sudamericano. Nelle stesse ore, a Roma è stato reso noto che su segnalazione della Fieg (la federazione degli editori) il nostro Antitrust ha avviato un’istruttoria nei confronti di Google Italia per possibile abuso di posizione dominante.

D

ridisce la sorgente stessa della crescita. Quello compiuto dai governi protezionisti e dalle agenzie che ne sposano l’ideologia è un calcolo comprensibile. Si tratta di ottenere un risultato immediato e facilmente percepibile, anche a scapito di vantaggi maggiori e più duraturi. Se proteggo la produzione “nazionale”e riesco a salvare le imprese locali grazie a finanziamenti pubblici o a barriere, incasso facilmente un successo d’immagine. Il guaio è che sto riducendo la possibilità per consumatori e imprese di rifornirsi da produttori di qualità, e quindi sto minando l’economia nel suo insieme.

Tra gli studiosi esiste un solido consenso intorIndipendentemente dalle peculiarità dei casi no ai danni dal protezionismo, ma la politica non specifici e anche al di là del prevalere di una visione assai contestabile su come dovrebbe essere un’economia concorrenziale (in qualche modo l’Antitrust presume sempre di“pianificare il mercato”), i due episodi si inseriscono in un quadro caratterizzato da un massiccio ritorno al protezionismo e da una rinnovata presenza dello Stato. Anche la trattativa tedesca intorno a Opel sarebbe incomprensibile al fuori di logiche neo-colbertiste, ma lo stesso si può dire per la condanna di Intel da parte dell’Antitrust europeo, che favorito la rivale Amd (la quale mantiene una parte della propria produzione in Europa). La stessa vicenda Alitalia – che ha visto Silvio Berlusconi impegnato a favore di una “cordata italiana”– esprimeva lo spirito dei tempi. Il riemergere di logiche autarchiche, però, causerà molti danni. Per la scienza economica, lo sviluppo è sempre legato all’ampliarsi dei mercati e, di conseguenza, all’integrazione tra diversi fattori di produzione. In un’economia chiusa, ognuno è costretto a produrre tutto da sé: senza trarre beneficio dalle competenze più avanzate. Ma l’avvento dello scambio suscita specializzazione, concorrenza, diffusione delle conoscenze. Senza considerare che ogni interazione contrattuale ha luogo perché entrambi gli attori ne traggono beneficio. Per definizione, allora, la costruzione di barriere ina-

segue necessariamente gli schemi dell’analisi razionale, né i governi sono interessati a rispettare i diritti naturali di chi rivendica la facoltà d’interagire economicamente con chi gli aggrada. Nemmeno l’evidenza degli ultimi vent’anni, caratterizzati da una crescita in larga misura figlia del pieno ingresso di Cina e India nel mercato internazionale, è riuscita a modificare gli orientamenti culturali prevalenti. La risposta politica dinanzi alla crisi finanziaria accentua questo ritorno del nazionalismo economico. Per definizione le ricette keynesiane, e quindi la scelta di incrementare il ruolo dello Stato nella vita sociale, producono conseguenze protezioniste. Intervenire a difesa di un’impresa o di una banca in difficoltà (come hanno fatto tutti i governi negli ultimi dodici mesi) falsa il mercato ed è equivalente all’adozione di barriere protettive. Occupazione e crescita già ne patiscono le conseguenze e altre ne subiranno. Ma la conseguenza peggiore (non ci si stancherà mai di sottolinearlo) è che quando i sistemi produttivi sono “nazionalizzati” da queste politiche economiche, gli effetti rischiano di essere molto gravi anche per la stabilità internazionale e per la pace. La prima guerra mondiale giunse al termine di una fase dominata da politiche economiche protezioniste. Il pericolo di ripetere quegli errori non è del tutto remoto.

cerca di “Google” è determinante per la capacità di un sito internet di attrarre visitatori e dunque ottenere ricavi dalla raccolta pubblicitaria, vista l’elevatissima diffusione di tale motore tra gli utenti». L’Antitrust indagherà, ma la battaglia di posizionamento è evidentemente già iniziata su contenuti a pagamento e pubblicità on-line: gli spot sul web, infatti, in Italia occupano ancora una quota marginale del mercato pubblicitario, ma nel 2008 hanno mosso comunque 560 milioni di euro (a stare all’Autorità per le Comunicazioni), una cifra destinata a crescere parecchio negli anni a venire. In buona sostanza

Il vero oggetto dello scontro è la gestione del mercato pubblicitario legato ai prodotti giornalistici in formato digitale Fieg teme, e con essa evidentemente l’Antitrust, che Google, sfruttando la sua immensa capacità di generare traffico per sé e per gli altri siti, metta in atto comportamenti capaci di consolidare la sua già rilevante posizione di mercato sia nella raccolta pubblicitaria diretta che nell’intermediazione (fonti, rispettivamente, del 66% e del 31% dei suoi 21 miliardi di dollari di ricavi globali l’anno scorso).

A Google Italy il procedimento è stato notificato ieri nel corso di un’ispezione condotta negli uffici di Milano dalla Guardia di Finanza. «Stiamo raccogliendo ulteriori dettagli – fanno sapere – ma sappiamo che la notifica è relativa a Google News, un servizio che porta traffico e utenti ai siti dei giornali». È questo, infatti, l’aspetto più strano della questione: non solo esporre i propri contenuti sul portale notizie è un atto volontario, ma Google News non copia le notizie, si limita a mostrare titoli e inizio dell’articolo e poi rinvia ai siti originali, generando quindi – gratuitamente - traffico ed eventuale raccolta pubblicitaria per gli altri (oltre che per sé,


prima pagina

28 agosto 2009 • pagina 3

È scoppiata la guerra della Rete fra Google e gli editori italiani: oggetto della contesa è il mercato della pubblicità. L’Antitrust è chiamata ora a dirimere la questione. Sotto, Franco Bernabè, ad di Telecom, sotto accusa in Argentina

ovviamente). Il fatto che non piace agli editori è che i cosiddetti deep link usati dal portale rinviino direttamente alle pagine interne, mentre è la home page – per così dire la prima pagina – quella che “rende di più” in pubblicità. Anche qui, però, la Fieg sembra guardare più alla rete come vorrebbe che fosse che alla rete com’è: molti spot sul web, tanto per dire, vengono bloccati dagli utenti attraverso programmi appositi e quanto ai siti esiste pure – lavorandoci un po’ – la possibilità tecnica di evitare l’indicizzazione su Google o qualunque altro aggregatore delle pagine singole. Al di là di eventuali scorrettezze che spetta all’Antitrust accertare, la Federazione editori dovrebbe ricordare che non è la posizione dominante, ma il suo abuso ad essere vietato: quella fondata da Brin e Page è una società privata e non le si può chiedere di comportarsi come un servizio pubblico. Semplicemente il motore di ricerca Google e gli altri prodotti sviluppati a Mountain View funzionano e gli utenti li usano, senza contare che hanno pure avuto un effetto benefico sull’opportunità del lettore di raccogliere e confrontare informazioni e linee politicoeditoriali delle varie testate. Disincentivare questo tipo di iniziative - quelle cioè che hanno trovato «spazio e risorse sul libero mercato», ha sostenuto Alberto Mingardi dell’Istituto Bruno Leoni – significa colpire «assieme la libertà di mercato e la libertà di informazione».

Sconfitta la strategia di espansione in Sudamerica di Franco Bernabé

E l’Argentina boccia Telecom di Alessandro D’Amato

ROMA. Forse per Telecom l’Argentina finirà davvero per essere indigesta. La Comision Nacional de Denfensa de la Competencia (Cndc), l’Antitrust argentina, ha annunciato che obbligherà l’azienda italiana a vendere i propri asset nel Paese. Lo ha anticipato il vice presidente della Cndc, Humberto Guardia Mendoza, al quotidiano La Nacion, secondo quanto si legge sul sito web del quotidiano. «La commissione applicherà l’articolo 13b della legge 25.156 per la difesa della concorrenza - dichiara Humberto Guardia Mendoza - e costringerà Telecom Italia a vendere tutti gli attivi in Argentina». Il quotidiano riferisce che fonti Telecom hanno già dichiarato di voler far ricorso al tribunale della Banca Mondiale per la risoluzione delle dispute sugli investimenti internazionali, noto con l’acronimo Ciadi.

La decisione dell’Argentina, ha spiegato lo stesso Humberto Guardia Mendonca, è legata al riassetto che ha portato la spagnola Telefonica al 42% di Telco, società azionista al 12% di Telecom Italia. «Abbiamo deciso che l’operazione è lesiva per la concorrenza», ha spiegato. L’Antitrust si è espressa in particolare in merito all’ingresso di Telefonica in Telecom Argentina conside-

rando che Telecom Italia ha il 50% di Sofora Telecomunicaciones, azionista di controllo dell’operatore delle tlc argentino. Sulla vicenda è in atto da tempo un confronto tra Telecom e le autorità di Buenos Aires, con diversi pronunciamenti e ricorsi, e anche alcuni colpi di scena, ma i diritti del gruppo italiano in Sofora restano per ora congelati. La quota restante di Sofora è in mano al gruppo argentino Werthein.

Nei mesi scorsi, allo scoppio della “grana”, ambienti di Telecom Italia si erano detti convinti di riuscire a risolvere il problema legale e a tenersi l’azienda, che ha una buona fetta di un mercato in crescita come le telecomunicazioni argentine. Ma poi, quando lo scontro ha cominciato a farsi sempre più duro, lo stesso management aveva ipotizzato la cessione delle proprie quote in caso di offerte ritenute eque. Di fatto l’ingresso della spagnola Telefonica nel capitale di Telco (la holding che controlla il 23% di Telecom Italia) ha generato, dopo i problemi in Brasile, l’ennesimo effetto dirompente sul mercato sudamericano. E quindi a questo punto a Telecom non resta che pensare a una cessione. Una vendita per la quale già diversi soggetti hanno mostrato un certo interesse. Si parla infatti da tempo di una cordata degli imprenditori Eduardo Eurnekian ed Ernesto Gutierrez, oppure di

un’offerta di Carlos Slim, importante finanziere messicano patron di Telmex, che aveva già tentato di comprare Telecom Italia ai tempi di Tronchetti. Sarebbe interessato a un intervento, secondo il quotidiano argentino La Nacion, anche l’imprenditore Alfredo Roman. E tra i candidati bisogna contare anche la famiglia Werthein, promotrice dei ricorsi e di tutti i guai legali che Telecom ha dovuto affrontare ultimamente, grazie a un’azione attenta e precisa di lobbying sia nelle istituzioni che sulla stampa, al grido di «i telefoni argentini agli argentini», che alla fine è riuscita ad influenzare opinione pubblica, politica e magistratura.

Telecom ha già un advisor per la cessione (Credit Suisse) e un prezzo-obiettivo: 300 milioni di euro per quella metà di Sofora che a cascata controlla Nortel e, da essa, le quote in Telecom Argentina. Ma sarà difficile in questo momento trovare un compratore che riesca a sganciare una cifra del genere, anche se il mercato sudamericano fa gola a molti. L’unica alternativa alla vendita è che Telefonica esca dall’azionariato di Telco: un’opzione che gli spagnoli potrebbero anche considerare, viste le minusvalenze che finora il titolo ha generato e le scarse possibilità di intervenire nei piani industriali. Ma un’alternativa sarà difficile da trovare per gli altri soci. Nel frattempo Telecom Italia starebbe valutando l’ipotesi di un bond nell’ordine di un miliardo di euro da indirizzare alla clientela retail.


pagina 4 • 28 agosto 2009

economia

Recessione /1. Vertice a sorpresa fra Berlusconi e Tremonti ad Arcore: dal Sud alla spesa pubblica, anche il governo ha paura di un autunno difficile

La ripresa a rischio Paganetto, Fassina e Secchi: gli economisti confermano l’allarme di Draghi sullo spettro del «settembre nero» di Franco Insardà segue dalla prima Per frenare i rischi paventati da Draghi la ricetta dell’economista Luigi Paganetto è: «Più competizione, più capacità di innovazione, più mercato per consentire che prevalgano i fenomeni di competizione e profitto rispetto quelli di difesa delle posizioni che ciascuno ha». Apprezzamenti vengono anche dall’ex rettore della Bocconi Carlo Secchi: «Il governatore è stato prudente come il suo ruolo da banchiere centrale prevede. C’è ancora un percorso difficile da compiere, con dei passaggi non certo piacevoli. Quindi la prudenza è d’obbligo, anche se i segnali sono incoraggianti. D’altro canto, soprattutto per un sistema come quello italiano, è del tutto evidente che il dopocrisi sarà caratterizzato da una situazione completamente diversa dal precrisi, anche dal punto di vista del tessuto sociale, delle tendenze alla specializzazione e di chi saprà trovare un ruolo sui mercati rispetto a chi dovrà arrendersi e chiudere».

Meno ottimista l’economista Stefano Fassina, responsabile Finanza pubblica del Pd, secondo il quale Draghi è stato «molto, molto più cauto. Ero a Rimini e l’ho ascoltato - dice Fassina - e l’impressione che ne ho tratto è diversa da quella riportata da molti organi di informazione. Oltre ai segnali di ripresa, il governatore ne ha elencato molti di segno opposto. Anche io penso che siamo lontani da una svolta, anche se, fortunatamente la contrazione è terminata. Siamo in una fase di stabilizzazione del Pil che vuol dire crescente disoccupazione». Sull’autunno freddo annunciato dal ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, il professor Paganetto ha una posizione simile a quella del governatore di Bankitalia: «Draghi ha detto che occorre predisporre ammortizzatori sociali che siano in grado di fronteggiare il cambio di attività, dal momento che il nostro welfare è troppo concentrato sulle pensioni e meno sul sostegno a chi deve essere accompagnato da un lavoro a un altro». Concetto sottoscritto anche dal professor Secchi, secondo il quale «il vero problema non è quello di garantire l’esistente in quanto tale, ma conciliare le giuste esigenze sociali con un tessuto produttivo diverso da quello precedente. La vera sfida è quella di

L’ex segretario della Cisl: «Non si può risolvere tutto con la cassa integrazione»

Pezzotta: «Ristrutturazione significa disoccupazione» di Francesco Pacifico segue dalla prima Che fa, smentisce Draghi? Qualche segnale di movimento c’è. E lo noto bene dalle mie parti, nel bergamasco, dove l’imprenditoria è diffusa. Ma è altrettanto chiaro che quando arriverà la ripresa non mancheranno costi sociali. E il governatore l’ha spiegato. Finora non si è licenziato. Le imprese hanno tenuto il personale perché c’era la Cig. Con il ritorno degli ordinativi saranno costretti ad alleggerire i costi. E, poche storie, si parte dal personale. Già oggi c’è da mettersi le mani nei capelli pensando a quante imprese sono in cassa integrazione ordinaria e straordinaria. Sacconi dice che ci sono le risorse. Questa crisi imporrà a tutti di ristrutturarsi. La produzione di un tempo, per qualità e quantità, non basteranno. E il ministro che fa, pensa che basti la cassa integrazione? Ma è un’altra la domanda da porgli. Prego. Riusciremo davvero a salvare tutto il nostro manifatturiero? Certo, che non ci riusciremo. Quindi servono processi di innovazione, investimenti in ricerca, lanciare un disegno politico prima che si riparta e non soltanto aspettare la ripresa. Ci aspetta un autunno freddo? Secondo me ci sono già i primi segnali di tensione sociale. Non so se esploderà e se si tramuterà in protesta di piazze, ma girando tra la gente che lavora, tra chi rischia il lavoro e chi è in cassa integrazione, si registra soltanto un forte malcontento. E non si potrà sempre contenerlo affidandosi ai capri espiatori, come gli immigrati. Sacconi deve dirci cosa vuole fare quando saranno finiti i soldi per gli ammortizzatori. Le parti potrebbero fare di più? La contrattazione può aiutare, non risolvere i problemi. Le imprese hanno bisogno soprattutto di un sistema bancario efficiente, di un disegno di politica industriale che non va confuso, come si fa, con il dirigismo.

Qui si confonde Stato e privato. Bisogna avere un’idea plurale di economia. C’è il pubblico, con lo Stato che deve fare operazione di ordinamento perché non trionfi l’anarchia, e che deve intervenire soltanto quando non c’è la fa il privato. C’è il privato, che deve fare utili, perché il compito è dividere i risultati con tutti quelli che partecipano alla produzione. Infine c’è il privato sociale, che ha un fine non spazi diversi: l’occupazione e la tutela dei più deboli. La Cgil vira sulla sua proposta di una moratoria sui contratti. Quando ho fatto questo ragionamento non è che abbia avuto grande seguito… A me sembra di buon senso, vista la drammatica situazione occupazionale, proporre un aumento forfaittario e transitorio, evitando che di far infilare il sindacato in uno scontro. Il suo ruolo è partecipare alla gestione della crisi. Senza nuovi contratti, dice il ministro, non ci saranno sgravi. Sacconi non può passare la vita a minacciare chi non la pensa come lui. Non ci sono soltanto gli “aut aut”, ma anche gli “et et”. Invece, quando gli chiedono di detassare gli aumenti del secondo livello, replica che non ci sono soldi. Soldi, in verità, non ce sono. Intanto ricordo che se c’è un secondo livello, c’è anche un primo livello, il contratto nazionale, che qualcuno vorrebbe eliminare. Mentre sulla defiscalizzazione richiamerei l’attenzione di tutti sul fatto che un conto è chi ha una famiglia, un altro chi è single. Altrimenti, e lo dico guardando soprattutto ai diritti, ci sarà chi prende di più e chi di me. Per Giavazzi basta tagliare le tasse Ma vogliamo penalizzare chi è già penalizzato? Io sono per alleggerire il carico fiscale sul salario, ma anche in questo caso si deve partire dalla parte di reddito destinata alla famiglie. E pensare che doveva essere l’era dell’economia leggera. Errori di valutazione se ne sono fatti tanti. Se penso a chi diceva che si potesse fare a meno del manifatturiero, di un’attività così ad alta intensità di manodopera… certo, abbiamo bisogno di un manifatturiero più innovativo, capace di stare sul mercato e di acquisire innovazione tecnologica, ma non si può mica vivere di servizi!

Sopra, Mario Draghi e Giulio Tremonti. A sinistra, Savino Pezzotta. A destra, Giorgio Cremaschi accompagnare queste misure con altre che favoriscano il cambiamento nella direzione giusta, assecondando le tendenze dei mercati». «I sostegni alla disoccupazione sono insufficienti, soprattutto per i precari aggiunge Fassina - e lo stesso Formigoni, per esempio, ha annunciato che la Lombardia introdurrà ammortizzatori sociali per i lavoratori a tempo determinato del pubblico impiego. Mi sembra che a Sacconi più che altro interessi fare propaganda».

I segnali che giungono da Germania e Francia sono incoraggianti anche per la nostra economia e i mercati asiatici stanno per ripartire, ma la difficoltà di fare previsioni invita alla prudenza. Secondo il professor Paganetto «all’orizzonte ci sono situazioni molto diversificate, da una parte ci sono Paesi che sono già usciti dalla crisi come il Giappone, dove la recessione è iniziata prima e ora fa registrare una crescita. Ci sono altri Paesi in cui ci aspetta una ripresa a breve come Germania e Francia e ce ne sono altri come Italia e Spagna che sono nella condizione di poter ripartire, ma che devono cercare di spingere nella direzione che ha prospettato Draghi, se si


economia

28 agosto 2009 • pagina 5

Dai metalmeccanici alla sanità: braccio di ferro con la Cgil

Primo ostacolo: i nuovi contratti

Dalla prossima settimana molti accordi tornano in discussione. Con i sindacati divisi di Vincenzo Bacarani

ROMA. Terminate le ferie (è ormai questione di qualche giorno) circa undici milioni di lavoratori – circa tre quarti dei dipendenti – saranno interessati al rinnovo dei contratti nazionali di lavoro. Molti i settori coinvolti in questa tornata: telecomunicazioni, alimentare, metalmeccanico, lavanderie del tessile, energia e poi ancora chimico, tessile, settore pubblico, sanità. Alcune trattative sono in fase avanzata, altre devono ancora cominciare.

vuole riuscire ad agganciare la ripresa. La Cina ha fatto degli investimenti impegnativi e il 40 per cento sono green economy. Il che non vuol dire soltanto investire sulle energie rinnovabili, ma anche sulle auto elettriche».

Il ricorso a politiche anticicliche avrebbero, secondo Fassina, «permesso di attutirne gli effetti. Ma interventi del governo purtroppo non ce ne sono stati. Come ha ribadito Draghi, ci sono stati soltanto degli spostamenti da un capitolo di bilancio all’altro, non una reale manovra anticiclica. E i ri-

Carlo Secchi: «Siamo vicini alla resa dei conti: il contesto sarà completamente diverso da prima» sultati negativi rispetto a Germania e Francia lo dimostrano». Le diverse politiche adottate da Roma rispetto a Berlino e Parigi hanno, invece, una spiegazione diversa per il professor Secchi: «Germania e Francia hanno subito le ripercussioni della crisi molto più di noi. I segnali di inversione di tendenza sono confortevoli, ma non bisogna esagerare. Questi due Paesi hanno immesso sul mercato molti soldi e non va dimenticato che i tedeschi votano tra tre settima-

ne. L’Italia paga, invece, lo scotto dell’enorme disavanzo pubblico: una politica diversa porterebbe più danni che vantaggi». Luigi Paganetto insiste sulle prospettive che ci attendono per uscire dalla crisi: «L’importante è intervenire con una politica industriale che sia efficace per gli effetti che produrrà nel futuro. Chi coglierà meglio il segno dell’innovazione sarà quello che vincerà la sfida che si apre domani. Se negli anni Ottanta il driver è stato l’informatica, oggi la sfida è ancora tecnologica. La Corea, per esempio, ha investito molto in innovazione energetica e bisognerà fare altrettanto se si vorranno cogliere le opportunità del dopo crisi». In conclusione, se è chiaro che si uscirà dalla crisi, nessuno conosce con certezza i modi e i tempi. A questa domanda Carlo Secchi dà una risposta semplice quanto drammatica: «La fase critica comincia a essere alle spalle e sta iniziando un processo di recupero. Ma da qui a dire che si può archiviare tutto quello che è successo, ce ne passa. Il processo di trasformazione è in atto e probabilmente verrà anche accelerato dal fatto che molte imprese hanno cercato di tener duro. Ma ormai siamo vicini alla resa dei conti: il nuovo contesto competitivo a livello mondiale sarà completamente diverso da prima». Quindi, «ci saranno vincitori, ma, purtroppo, anche molti vinti».

Non saranno trattative facili anche perché i tre sindacati confederali, CgilCisl-Uil, per complicarsi la vita hanno deciso di presentare per tutti i rinnovi piattaforme separate. Una scelta dettata da una parte da una tattica generale consolidata negli anni che vuole dimostrare differenziazioni – a volte anche marginali – tra le tre organizzazioni e da un’altra parte dettata da sostanziali divergenze di carattere ideologico. Tuttavia uno spiraglio tra le tre confederazioni si è aperto. Spiega a liberal Paolo Pirani, segretario confederale Uil: «Il fatto che la Cgil abbia accettato a livello di contrattazione nazionale l’idea dell’aggiornamento salariale su base triennale anziché biennale è un dato importante». Un dato che, secondo Pirani, agevola di molto l’andamento delle trattative sui rinnovi contrattuali. Resta però il nodo dei metalmeccanici. «In quel settore – prosegue Pirani – la Cgil insiste sulla durata biennale e anche per questo motivo sarà uno dei rinnovi più difficoltosi da raggiungere». Ma non c’è soltanto la spina dei metalmeccanici. Per altri motivi addetti alla sanità e dipendenti pubblici locali troveranno non pochi ostacoli. «Il fatto è – spiega ancora il segretario confederale Uil – che la Conferenza delle Regioni non ha sottoscritto l’accordo tra sindacati e governo del 22 gennaio scorso. Questo potrebbe indurre a una frammentazione della contrattazione. Occorre una presa di posizione chiara da parte delle Regioni su questo fatto. Il rischio è che ogni Regione proceda per conto suo che poi è quello che vuole la Lega». Tanti contratti da rinnovare, ma pochi i veri, profondi contrasti tra Cgil, Cisl e Uil. La pensa così Giorgio Santini, segretario confederale Cisl: «A parte il nodo dei metalmeccanici – dice Santini –, credo che si arriverà in tutte le vertenze ad ac-

cordi ragionevoli.Vero è che ci sono dappertutto piattaforme separate, ma è anche vero che ultimamente la Cgil ha fatto alcune aperture importanti come quella sulla cadenza triennale dell’aggiornamento salariale. Non mi sembra poco». Secondo il segretario Cisl, si prospetta un altro dato positivo nei rinnovi in atto: «L’accordo del 22 gennaio scorso – spiega – prevedeva e prevede l’adeguamento del salario in base all’Ipca (Indice dei prezzi al consumo armonizzato, ndr). Con l’inflazione allo zero per cento, l’adeguamento della busta paga comincia pertanto a essere apprezzabile. Non solo, se il governo intende detassare gli aumenti della contrattazione di secondo livello ci sarebbe un ulteriore vantaggio per i lavoratori».

Tutto tranquillo, allora? Niente affatto: la trattativa sul rinnovo contrattuale degli alimentaristi si è di fatto interrotta e la Cgil minaccia scioperi a oltranza. Inoltre, come se non bastasse, è partita la battaglia precongressuale del maggiore sindacato italiano. L’ala sinistra della Cgil ha già annunciato la presentazione al prossimo congresso di un documento alternativo «assieme a tutti coloro che vorranno sostenere la battaglia per un sindacato democratico, combattivo e di classe che rimetta al centro della sua iniziativa la sola ed esclusiva rappresentanza dei bisogni dei lavoratori e delle lavoratrici». Oggi a Lemignano di Collecchio, in Emilia, la corrente sindacale che fa capo al segretario nazionale Fiom, Giorgio Cremaschi, apre una convention che si concluderà domenica. «Ci sono tutti gli elementi – dice Cremaschi per costruire una grande mobilitazione generale del mondo del lavoro. Noi crediamo che in questa fase, come mai dal dopoguerra ad oggi, sia a rischio l’esistenza stessa di un sindacato dei lavoratori, anche in considerazione del fatto che Cisl e Uil hanno ampiamente dimostrato di aderire all’idea del sindacato istituzionale, degli iscritti, subordinato alle logiche dell’impresa e del governo». Un messaggio al segretario generale Guglielmo Epifani che recentemente si è detto disposto a ragionare sulla contrattazione di secondo livello (patti aziendali o territoriali a seconda delle dimensioni dell’impresa interessata).

Ma la Cisl stavolta si propone di mediare: «Alla fine troveremo un punto d’incontro. Ci aiuterà l’inflazione a zero»


economia

pagina 6 • 28 agosto 2009

Recessione/2. Secondo Roubini le banche «nascondono i loro veri debiti». E questo potrebbe causare un nuovo stop

L’inflazione in agguato Negli Usa «il peggio è passato», la Germania risale, ma adesso tutti temono il rimbalzo di Francesco Pacifico

ROMA. Ripetere che il peggio è passato è ormai diventato un dogma, se non un mantra. Ma è arduo parlare di ripresa vedendo Arnold Schwarzenegger – governatore di quella che prima della crisi era l’area più ricca al mondo – scavare in soffitta e vendere su Ebay macchine di servizio e vecchi mobili d’ufficio pur di recuperare soldi. E provare così ad arginare il deficit della California da 26 miliardi di dollari. Lorenzo Bini Smaghi, membro italiano nel board Bce, ha detto che «la recessione globale e il conseguente crollo del Pil nelle economie più sviluppate ci ha portato indietro di dieci anni, ai livelli del 1999». Se questo è il passato il futuro non per forza sarà migliore. La “cassandra” Nouriel Roubini parla già di “crisi a W”: con una coda, una discesa non un precipizio, che alimentata dall’inflazione potrebbe materializzarsi l’anno prossimo. E a salvare il mondo non sarà una Cina che in quel periodo avrà ripreso a crescere a doppia cifra, ma una politica restrittiva dei tassi.

Ma parlare di inversione di tendenza è peregrino. Ha spiegato Yves Mersch, governatore della Banca del Lussemburgo e consigliere della Bce, al quotidiano Luxemburger Wort: «La ripresa economica che sta emergendo in questi mesi in alcuni Paesi dell’Eurozona come Francia e Germania non è sostenibile perché è ancora dipendente dagli aiuti pubblici e dal recupero degli stock, che partono da livelli molto bassi, e non è accompagnata da una crescita degli investimenti privati e dell’occupazione». Da due mesi a questa parte si registrano dati contrastanti.

gono i prezzi delle case (+1,7 per cento), ma le vendite al consumo arrancano (a sorpresa, -0,1). E se il petrolio, oggi verso gli 80 dollari, potrebbe essere frenato nel 2010 dai Paesi non Opec, le materie prime sono già meta di speculazioni.

Perché è impossibile fare previsioni sul futuro l’ha spiegato Nouriel Roubini, l’unico economista a rendersi conto nel 2007 dello tsunami che stava per travolgere l’economia mondiale. E al centro del contendere sempre le banche, la loro scarsa trasparenza e la tendenza a trasferire i rischi sulla clientela: ancora oggi nessuno conosce l’esposizione sui derivati. «Le banche chiudono buoni bilanci», ha chiarito l’economista francese in un’intervista a Repubblica, «perché con una buona dose d’incoscienza non stanno accantonando riserve adeguate né hanno completato la svalutazione degli asset tossici. Il loro patrimonio deve ancora contabilizzare le vere perdite». E al giornalista Eugenio Occorsio che azzarda un buco superiore ai 500 miliardi, Roubini replica: «Gli asset in questione restano superiori ai mille miliardi». Dopo iniezioni pubbliche di liquidità pari a 2 trilioni di dollari – che siano finite in speculazioni su borse e materie prime? – il mondo si rende conto di dover ripartire da dove tutto era cominciato: dai debiti delle banche. E perché, a scalare, il tutto si ripercuota sull’economia reale l’ha chiarito Stefano Micossi sul Sole 24Ore: «A livello mondiale, il problema centrale è la carenza di domanda aggregata: esauriti i margini per ridurre il risparmio e indebitarsi, i consumi delle famiglie nei Paesi avanzati potranno al meglio crescere al ritmo dei redditi da lavoro, che però è fortemente compresso dalla concorrenza del lavoro a basso costo dei Paesi asiatici». Prima delle elezioni americane era tutto un cicaleccio che il nuovo mondo sarebbe sorto su un accordo bipolare tra Washington e Pechino. Ma a pochi

tura sanitaria alla classe sanitaria. Difficile stabilire una exit strategy dalla politica degli aiuti che ha tenuto in piedi l’industria statunitense. Ma far ripartire l’America è fondamentale per tutti. Lo è per chi come l’Italia fatica a ottenere commesse dal Far east. Lo è per la stessa Cina, tra i maggiori possessori del suo debito.

L’incertezza durerà fino a quando non ripartiranno gli ordinativi. Ma in Italia si va verso il boom della disoccupazione

L’Ocse ha stabilito che nel secondo trimestre del 2009 la caduta si è interrotta. A livello congiunturale i Paesi più avanzati segnano un rallentamento soltanto dello 0,1 per cento contro il -2,1 precedente. Non accadeva da almeno diciotto mesi. Andando più nello specifico, tra aprile e giugno, e rispetto al periodo gennaio-marzo, in Giappone il Pil è salito dello 0,9 per cento (mettendo fine alla più lunga stagnazione della sua storia), in Francia e in Germania dello 0,3. Gli Usa vedono una schiarita con un -0,3 per cento congiunturale. In controtendenza Gran Bretagna (-0,8) e l’Italia (-0,5). Sorridono quindi Parigi e Berlino, che – per ora – sembrano frenare due problemi strutturali come lo sono, rispettivamente, la bassa domanda interna e il crollo delle esportazione.

Accanto ai numeri sulla crescita i trend di Borsa hanno visto i titoli bancari salire del 140 per cento, quelli assicurativi dell’83 e quelli del settore auto del 43. Eppure la disoccupazione – che, va ricordato, è un indicatore ritardato – dovrebbe superare presto quota 10 per cento negli Stati Uniti e in Europa. Soltanto in Italia rischiano il posto un milione di persone. Si segnalano sempre nuove svalutazioni bancarie, che finiranno gioco forza per restringere il credito. A luglio in America sal-

giorni dal G20 di Pittsburgh, quello che dovrebbe riscrivere la governance mondiale, nessuno sa chi sostituirà gli Stati Uniti nell’assorbire il grosso della produzione asiatica né quale sarà la nuova moneta. In attesa che si scontino i benefici della Green economy, l’America di Obama, per usare le parole del suo presidente, «mostra semi di ripresa, ma una piena ripresa dell’economia è ancora lontana». E ai problemi di domanda interna si aggiunge uno spaventoso deterioramento dei conti pubblici, con il deficit ai massimi dalla fine della guerra. La Casa Bianca ha dovuto rivedere al ribasso il Pil 2009, che calerà fino al 2,8 per cento. L’inversione di tendenza arriverà quindi nel 2010, quando la crescita sarà del 2 per cento, per salire al 3,8 nel 2011. Il tutto con un deficit federale che nonostante i tanti tagli non andrà sotto i 1.580 miliardi e una disoccupazione al 9,3 per cento nel 2009 e al 9,8 nel 2010. Difficile quindi estendere la coper-

In questo scenario l’Europa sembra sospesa. Da un lato c’è la paura che prima o poi Obama e Wen Jiabao trovino quell’accordo che riscriva le direttrici dei commerci mondiali. Dall’altro spera che Francia e Germania torninino a crescere stabilmente. Sull’area, dice senza remore il presidente della Ue, José Barroso, «l’impatto della crisi finanziaria ed economica è ancora tangibile». La cartina di tornasole sarà il livello degli ordinativi. Non la politica degli aiuti alla quale nessuno – Francia in testa con il maxiprestito – vuole rinunciare. L’ultimo dato disponibile, quello di giugno, dice che sono aumentati del 3,1 per cento, dopo essere scesi dello 0,5 a maggio. Ma l’attività è ancora troppo bassa, visto che tra giugno 2009 e giugno 2008 c’è un gap del 25,1 per cento. Almeno il rimbalzo delle scorte, seppur in ritardo, vede una risposta nella domanda di mercato. Eppure questi volumi fanno ipotizzare una selezione a monte nel mondo della produzione. Con rischi tragici per l’occupazione se aumenterà la pressione sulle materie prime. Al riguardo Jean Claude Tri-


economia

28 agosto 2009 • pagina 7

Per Franco Tatò è presto per parlare di miracolo: «Dipenderà dall’export»

«La Germania ha solo fermato la caduta»

«La lista delle cose da fare è talmente grande che non si sa da dove iniziare. Oggi il problema è sopravvivere al 2010» ROMA. La Germania che a sorpresa cresce

Qui sopra: Barack Obama (in alto) e Wen Jibao (in basso). A destra: Franco Tatò. Nella pagina a fianco, in alto Nouriel Roubini, in basso Maurizio Sacconi

chet starebbe già studiando una sua exit strategy. Come hanno svelato gli economisti della Deutsche Bank, il governatore centrale dovrebbe rialzare il costo del danaro, oggi all’1 per cento, da metà 2010. E con un anno di anticipo rispetto alle sue intenzioni, cioè nel momento in cui la ripresa dovrebbe essere più sostenuta. Il timore è che la grande massa di liquidità in circolazione possa tramutarsi in un’ondata inflazionistica. Da un lato indebolirebbe la già fragile domanda interna, dall’altro appesantirebbe le finanze pubbliche dell’area euro, con i deficit e i debiti alle stelle per gli aiuti alle banche come alle imprese. Senza un’azione concordata a livello comunitario, l’Europa vedrà correre soltanto pochi distretti, che sono storicamente d’eccellenza. Metafora di questa situazione la nostra Brianza. Ad agosto la locale Confindustria ha annunciato che nel secondo gli ordini dall’estero sono cresciuti del 7,67 per cento contro il +1,62 dell’intera regione Lombardia. Ma se l’America non ripartirà e se l’Europa non saprà dotarsi di un piano infrastrutturale per facilitare l’avvio del ciclo, questi ordini rischiano di essere gli ultimi. Di conseguenza potrebbe peccare di ottimismo il quadro, fatto dal ministro Maurizio Sacconi, di «un autunno freddo nel quale, pur avvicinandosi il punto di uscita dalla crisi, le imprese soffriranno dell’allungamento della crisi stessa e dei conseguenti problemi di liquidità».

dello 0,3 per cento nel secondo trimestre fa ben sperare anche l’Italia. E non soltanto perché Berlino è il nostro maggiore pagatore. Franco Tatò, oggi amministratore delegato dell’Istituto Treccani ma in passato capoazienda anche delle tedesche Mannesmann-Kienzle e Triumph-Adler AG, smorza gli entusiasmi sulla Locomotiva d’Europa: «Si è fermato il precipizio, ma il livello economico di partenza e molto più basso di quello che c’era prima della crisi. E questo è un dato di fatto che vale per tutti». Non siamo alla svolta? Quello del Pil tedesco è certamente un segnale positivo, ma manca, e non soltanto per la Germania, il dato degli ordini per l’autunno. L’ottimismo delle imprese registrato dall’indice Ifo e schizzato ad agosto a quota 90,5 punti fa pensare che il portafoglio ordini non sarà vuoto. Ma l’economia tedesca dipende fortemente dalle esportazioni. Germania e Francia crescono anche grazie agli incentivi pubblici. Dare aiuti è una scelta politica, nella quale vanno valutate una serie di componenti, non ultimo la disponibilità di mezzi. Ma la mia convinzione è che, nella forma di iniezioni dirette, servono soltanto a frenare la caduta. L’Italia ha concesso poco e arretra. È vero che la Francia ha fatto importanti iniezioni di liquidità per aiutare la domanda interna, ma la Germania non è stata altrettanto generosa. A naso, e in relazione alle dimensioni del Pil, il governo tedesco non ha fatto molto più di quello italiano. La Merkel non voleva intervenire, pensava che il sistema si sarebbe ripulito, soltanto alla fine ha dovuto mollare qualcosa all’auto e alle banche. Le banche, per l’appunto: Nouriel Roubini dice che nascondono i debiti. Si è detto “diamo aiuti alle banche in modo che queste si ristrutturino”. Per cambiare i criteri di erogazione del credito e di compenso dei depositi. Bene, i rischi di default sono bassissimi, ma davvero gli indirizzi politici degli istituti sono cambiati? Per ora conosciamo soltanto le difficoltà delle aziende di ottenere liquidità. Non tutti hanno questo problema Prendiamo il caso Zunino. Va vicino all’insolvenza e i criteri per la soluzione sono identici a quelli di prima della crisi. Questa è un po’ la sostanza, e la cosa mi preoccupa. Ha ragione Roubini: si va verso quella che lui chiama “crisi a W”, con un microprecipizio che intervalla la ripresa. E che non sarà a riccio. Perché la Germania riparte? Ritengo che, come confortato dai dati ottimi-

stici delle imprese, si sia fortemente ristrutturata. La stampa locale è piena di accordi tra aziende e sindacati per tagliare i costi o rimodulare gli orari o gli stipendi. Il tutto con un diffuso senso di solidarietà tra le parti per cercare di salvare i posti di lavoro in attesa di un riposizionamento. Lo si deve anche a Schröder. Certo, con la sua Agenda 2000 si è fatto una riforma del lavoro molto discussa, ma talmente redditizia che è oggi è l’asso della manica della signora Merkel. La ristrutturazione in fase di crisi è però una costante della storia industriale tedesca. È un riflesso della sua cultura sociale di mercato che in questi casi mostra il suo lato migliore: i rappresentanti sindacali e le direzioni aziendali si mettono attorno a un tavolo e, numeri alla mano, trovano la soluzione migliore affinché l’azienda continui a lavorare. In Italia le parti si dividono sulle strategie generali. Da noi qualcosa si è fatto sul versante del lavoro. Ma in Germania si decide ai tavoli industriali, non politici. La ripresa tedesca avrà ripercussioni anche da noi? I consumi non hanno ottenuto particolare incentivi dagli aiuti pubblici. Di conseguenza non mi aspetterei grandi benefici per l’Italia. Perché, e lo dico senza fare un’analisi particolarmente scientifica, lo sviluppo della Germania prima esportatrice al mondo è legato a quello delle altre economie. Una ripresa soltanto tedesca potrebbe avere un respiro molto breve. Allora, niente spinta da Berlino. A me preoccupa un’altro aspetto: il sistema italiano, più piccolo e meno globalizzato, tende a spalmare gli effetti della crisi nel tempo, non ha avuto un impatto violento come avviene altrove. Il 50 per cento della nostra economia è statale e parastatale, fa parte di un sistema sovvenzionato che va indipendentemente dal ciclo. Più in generale è complesso leggere i dati sulla recessione perché ci sono una serie incognite come l’alto stock di risparmio, la dimensione dell’economia in nero o la ricchezza della criminalità organizzata. La conseguenza? Se la Germania sta riprendendo a correre, noi facciamo ancora fatica a uscire dalla crisi. Diverso se avessimo fatto le riforme. La lista delle cose da fare è talmente grande che non si sa da dove iniziare. Ma nonostante le piccole imprese si stanno dando tanto da fare, oggi il problema è sopravvivere al 2010. (f.p)

C’è da imparare dalle imprese tedesche: vertici e sindacati si alleano per cercare di salvare il salvabile


politica

pagina 8 • 28 agosto 2009

Governo spericolato. Palazzo Chigi minimizza: il premier si fermerà solo per l’anniversario del trattato Italia-Libia

E Silvio restò solo. A Tripoli

Medvedev, Putin e Sarkozy rifiutano l’invito di Gheddafi per la festa del regime di Errico Novi segue dalla prima Prevale l’impressione di un’Italia che resta unico sponsor di prestigio della propaganda autocelebrativa di Gheddafi. Fa un certo effetto la rapida sequenza di annunci e smentite: in mattinata fonti del regime libico riferiscono all’agenzia France press che alla cerimonia interverranno appunto non solo la nostra pattuglia acrobatica ma anche il capo dell’Eliseo, il presidente russo Dmitri Medvedev e il premier di Mosca Vladimir Putin; pochi minuti e dalla stessa France press arriva la smentita di Parigi («il presidente non si recherà a Tripoli ma sarà rappresentato a un livello che non è ancora stato precisato»); quindi fonti dell’amministrazione presidenziale russa ribattono che Medvedev ha ricevuto un invito ma non andrà in Libia e che nemmeno Putin parteciperà, essendo impegnato a Danzica dove si festeggia l’anniversario dell’inizio della seconda guerra mondiale.

il primo settembre volerà a Danzica come Putin. E le Frecce tricolori? Ai piloti toccherà esserci. A parte le battute dell’irresistibile Francesco Cossiga («se ci dà il petrolio chissenefrega, io gli avrei mandato pure l’Amerigo Vespucci e la Garibaldi con gli aerei che decollano», dice in una geniale conversazione con il Riformista), non sembra bastare il realismo geopolitico opposto dall’Esecutivo. L’esibizione del fiore all’occhiello delle Forze

Si ha la sensazione, per un attimo, che possa aprirsi una breccia anche nel Pdl e in quella stessa componente aennina che pure ha finora confuso l’omaggio tricolore con’un’italica dimostrazione di potenza: al meeting di Rimini Gianni Alemanno riconosce che sì, «occorre fare molta attenzione, ci sono stati messaggi sbagliati dal presidente Gheddafi che vanno valutati attentamente». Si augura «un atteggiamento comune di tutta l’Europa», ma non va oltre. E nel Parlamento europeo d’altronde c’è chi non nasconde il disappunto per una scarsa trasparenza negli accordi Italia-Libia: Fernando Lopez Aguilar, presidente della commissione Libertà pubbliche di Strasburgo ricorda che «i trattati segreti non sono accettabili». Bruxelles continua a chiedere a Roma i particolari dell’intesa con Tripoli, riferisce Lopez Aguilar in un’intervista rilasciata all’Espresso.

Le polemiche con la Lega costringono Bertone a precisare: «Scorretto attribuire al Papa tutte le frasi dei porporati»

A quel punto anche Palazzo Chigi ribadisce quanto ha già detto Mantica: Berlusconi sarà a Tripoli per celebrare l’anniversario del trattato di amicizia con la Libia ma non si fermerà per la festa della “rivoluzione verde”. Anche lui, si apprende dalla presidenza del Consiglio,

armate italiane resta una cosa singolare. Conferma il suo dissenso l’Udc, che in Friuli andrà a protestare davanti alla “casa” della pattuglia acrobatica, la base di Rivolto in provincia di Udine. «È un errore andare a osannare, a prostrarsi in questo caso per i 40 anni di un sistema dittatoriale», dice Angelo Compagnon, segretario regionale del partito di Pier Ferdinando Casini, «non è pensabile, neanche in nome di cosiddetti interessi internazionali, non avere il coraggio di denunciare il carattere totalitario del regime libico».

RIMINI. «Nel Pdl c’è spazio per il dialogo e libertà di coscienza individuale, ma sul testamento biologico la presa di posizione del partito è quella espressa al Meeting dal ministro Sacconi». Mario Mauro, a Rimini prende le distanze dalle dichiarazioni di Gianfranco Fini, che aveva ammonito che l’ultima parola spetta «al Parlamento e non alla Chiesa», proprio mentre dal Meeting, a un dibattito sul Welfare, il ministro indicava tre priorità bioetiche discendenti direttamente dall’enciclica Caritas in veritate: monitoraggio sull’uso degli embrioni nella fecondazione assistita e sulla pillola Ru e - soprattutto - per evitare altri casi-Eluana, «fare subito una leggina sul modello per consentire sempre alimentazione ed idratazione». Imbarazzi crescenti tra Vaticano e Lega, tanto da indurre Bossi e Berlusconi a ispirare una dichiarazione congiunta dei capigruppo del Carroccio, che sconfessano le dichiarazioni della Padania sui Patti Lateranensi. Ma ecco, a peggiorare il cli-

Difficoltà simili a quelle incontrate sul fronte estero sembrano accompagnare il governo Berlusconi dentro i confini nazionali. Da Gianfranco Fini arrivano obiezioni non solo sull’approccio avuto rispetto al testamento biologico, ma sulla natura

stessa del Pdl, che in alcune circostanze, dice il presidente della Camera, «usa toni populistici». E che prima o poi dovrà «esprimere un’avanzata cultura di governo, altrimenti il suo consenso si indebolirà inesorabilmente». Scosse tutt’altro che impercettibili, registrate con intensità mai vista in passato sul versante dei rapporti con la Chiesa. Della delicatezza del momento dà testimonianza anche il segretario di Stato vaticano Tarcisio Bertone, che in un’intrervista all’Ossvatore romano fa i conti anche con le tensioni intercorse tra la Lega e alcuni porporati. E dice: «Non è corretto imputare al Papa tutto ciò che viene dichiarato da qualsiasi esponente membro di Chiese locali, istituzioni o gruppi ecclesiali. Le responsabilità sono sempre individuali». Non arrivano certo segnali rassicuranti, per la Santa sede, dai Palazzi romani: perché se da una parte c’è Gasparri che conferma l’indagine conoscitiva sulla Ru486, dall’altra lo schieramento laicista della maggioranza si irrobustisce, da Bocchino Berlusconi sarà l’unico leader d’Occidente a Della Vedova, da Urso a presenziare ai festeggiamenti alla Mussolini e a Granadi Gheddafi, che culmineranno ta, ed è pronto a sostenere con la celebrazione della rivoluzione Fini nella sua battaglia sul e il volo delle Frecce tricolori fine vita.

Meeting: i cattolici del Pdl prendono le distanze dal presidente della Camera

Gasparri contro l’ex capo, scontro aperto sul laicismo di Valentina Sisti ma, l’uscita del presidente della Camera che rivendica il diritto di legiferare del Parlamento nei confronti della Chiesa. E sullo sfondo, i rapporti tesi di Silvio Berlusconi stesso con la Cei, tanto da chiedere un incontro con il segretario di Stato Tarcisio Bertone.

La kermesse ciellina tenta di rinsaldare il Pdl, ma non c’è il tempo di mettere fine a una gaffe che ne spunta subito un’altra, e l’imbarazzo cresce, insieme alla preoccupazione di una deriva laicista nel centrodestra. Aveva fiutato il pericolo anche il ministro del

Welfare, che da Rimini si era rivolto, con le sue proposte «innanzitutto al governo e alla maggioranza». Gli ha fatto eco un altro autorevole azzurro ciellino, il vicepresidente della Camera Maurizio Lupi, ribadendo come quelle di Fini rappresentino «una posizione di minoranza, importante, ma di minoranza». Fino alla nota ufficiale di Maurizio Gasparri e Gaetano Quagliariello, capogruppo e vice capogruppo vicario del Pdl al Senato, che hanno dichiarato di non poter accettare che «ai senatori del Pdl vengano impartite lezioni di laicità», ricordan-

do come «la legge sul testamento biologico approvata a Palazzo Madama sia frutto del libero convincimento dei senatori». Nuove grane per il Pdl. C’è il rischio di trasformare una campagna elettorale per allargare i consensi, in un regalo al principale avversario, l’Udc, spingendolo nelle braccia del fronte opposto. Dal quale, con gli Enrico Letta, i Bersani, i Chiamparino arrivano verso Cl e verso la Chiesa segnali opposti rispetto a quelli di Fini. «L’errore – dice secco Alemanno – sta nel dare dignità politica alle affermazioni a ruota libera della Lega, che va ripetendo da vent’anni sempre le stesse cose, che non hanno alcun senso», sbotta il sindaco di Roma, rimarcando totale estraneità con le bordate in chiave anticlericale del Carroccio. Sulla stessa linea anche Mario Mauro: «La Lega sbaglia sia sui contenuti che sul metodo. Non credo che cercare consensi significhi attaccare la libertà della Chiesa», avverte.


N

a c q u e

otto pagine per cambiare il tempo d’agosto

o g g i

28 agosto(1749)

J. W. von Goethe

Il più grande poeta tedesco, si tenne sempre lontano dalla politica e dai filosofi

Le parole della serenità di Giancristiano Desiderio

ohann Wolfgang von Goethe, universalmente conosciuto semplicemente come Goethe, è il più grande poeta tedesco. Un grande poeta, un grande uomo. Diceva: «In ogni cosa è presente l’eterno«». Un pensiero che è il riassunto della nostra cultura occidentale, per quanto non riusciamo più ad essere all’altezza delle nostre verità, delle nostre passioni, delle nostre ossessioni. Goethe, sì. Goethe fu la sua stessa epoca che in lui si rispecchiò con i suoi travagli e le sue aspirazioni. Fu un poeta, non un filosofo, si illuse di essere uno scienziato. Fu un grande uomo. I filosofi li tenne un po’ a distanza. Tuttavia, le sue opere contengono più idee di quante non ce ne siano in tanti filosofi di professione.Tutto si trova in Goethe, tranne una cosa: la politica. Come mai? Benedetto Croce sentì il bisogno di porre una prefazione al suo libro dedicato al grande poeta europeo e scrisse: «Qualunque giudizio si porti sull’assenza di passione politica, tante volte notata, biasimata e variamente lumeggiata nel Goethe, mi sarà lecito dire che io ho sentito come singolare ventura che tra i sublimi poeti, fonti perenni di alti conforti, ce ne sia pur uno, il quale, sebbene esperto quanto altri mai in ogni forma di umanità, mantiene l’animo fuori e sopra gli affetti politici e le necessarie contese dei popoli. Questa ventura, com’è noto, non poté godere il nostro Carducci, quando, nell’ansia patriottica, nel furore delle lotte di parte, rivoltosi a commentare il Petrarca (“Messer Francesco, a voi per pace io vegno…”), anche dal Canzoniere udì uscire voci che lo riconducevano alle immagini dalle quali cercava stornarsi, gli rinnovavano la puntura che si era provato, per qualche istante, di accettare». Avete bisogno di serenità? Avete bisogno di lenimento? Leggete Goethe. Che conosce le passioni umane, che conosce il loro necessario equilibrio. O l’equilibrio o la vittoria delle passioni sul nostro animo umano, troppo umano, come avrebbe detto l’altro grande tedesco che continua a pag. II

J

SCRITTORI E CIBI

LE GRANDI BATTAGLIE DELLA STORIA

CAPOLAVORI DI PIETRA

La zuppa di fave di Verga

Palazzo Antinori-Gallenga

di Filippo Maria Battaglia

di Giuseppe Bonaccorso

Vittorio Veneto 1918 di Massimo Tosti

pagine 4 e 5

pagina 6

pagina 7

pagina I - liberal estate - 28 agosto 2009


ammirava Goethe e volentieri gli avrebbe rubato il segreto del suo equilibrio. Ma quell’equilibrio - la classicità di Goethe - fu una conquista. Il primo Goethe prese parte allo Sturm und Drang: impeto e assalto. Il frutto dell’assalto furono le sue opere “giovanili”: Gotz von Berlichingen, il Prometeo, il celeberrimo I dolori del giovane Werther, ancora il primo Faust e il primo Wilhelm Meister. Il passaggio di Goethe nella tempesta del Romanticismo provò a sminuirla lo stesso Goethe: quasi come se non avesse preso parte all’assalto, all’impeto, alla tempesta.

Cosa gli dava fastidio? La scapigliatura e la morbosa imitazione del suo Werther. Dice ancora Croce: «Quando ebbe pubblicato il suo Werther, si meravigliò che i giovani wertherizzassero, e quel che egli aveva tratto dalla vita alla poesia volessero trarre, invece, dalla poesia alla vita». Così non potette che essere un critico severo del

romanticismo tutto smania, morbo, imitazione letteraria. Goethe sapeva che sia la poesia, sia la vita erano altro. Il secondo Goethe volle essere classico perché classica è la

all’altezza dello spirito è la passione della vita che il sentimento romantico ha imposto al cuore umano. Sentimento e forma. Due antiche parole che ci servono ancora oggi. Il filosofo italiano Guido de Ruggiero, in una sua nota pagina, coglie nel segno e osserva: un critico di Goethe di nome Schubert aveva detto che tra Shakespeare e Goethe preferiva il primo perché più ingenuo, quindi più vero, mentre «pur riconoscendo nel Goethe la stessa meta, si deve fin da principio lottare col contrario, vincerlo e badare con ogni cura a non prendere per lucida verità ciò che sarà invece respinto come deciso errore». Proprio il poeta tedesco in un suo studio su Antico e moderno

Avete bisogno di serenità? Avete bisogno di lenimento? Leggete il poeta tedesco. Che conosce le passioni umane e che conosce il loro necessario equilibrio

Bellezza. Diceva una verità senza tempo e che pur ha bisogno del tempo, ossia della vita umana, per essere pensata e realizzata: chi vuol fare qualcosa di grande deve essere come i Greci ossia capace di innalzare all’altezza dello spirito la natura reale. Ciò che Goethe innalza

pagina II - liberal estate - 28 agosto 2009

disse che questa è la differenza che c’è tra gli antichi e i moderni, non certo una sua personale colpa o un difetto. «Tale risposta», osserva il nostro de Ruggiero, «va messa in relazione col lungo arrovellarsi del Goethe intorno alla distinzione schilleriana tra la poesia ingenua e la poesia sentimentale, cioè antica e moderna, di cui vi sono ancora tardive tracce nei Colloqui con Eckermann. Goethe non accettava quella distinzione e protestava contro il sentimentalismo che gli pareva sinonimo di malattia, mentre l’ ingenuità degli antichi era per lui sinonimo di salute. Eppure, di fronte al giudizio dello Schubert, egli ha rivendicato la sua modernità e se n’è fatto scudo contro il critico.

È vero che se l’è attribuita sotto un aspetto diverso dal sentimentalismo a lui ripugnante: cioè come un tormento critico, come un’insoddisfazione continua e un’ansia rinascente da ogni conquista; ma questi mo-

menti spirituali, ignoti agli antichi e costitutivi della modernità, non sono forse espressioni di un sentimento fondamentale, quello dell’Io, della forza interiore che l’età moderna ha scatenato, e che non può vivere in un consenso ingenuo e armonico con le cose, ma lotta incessantemente per trionfare o soccombere? Il classicismo non ha del tutto esorcizzato in Goethe questo demone, ma l’ha frenato e disciplinato, ne ha fatto di un genio tempestoso (sturmisch), un genio romantico». Ciò che Goethe respinge del romanticismo è la sua malattia, non la sua salute, la tensione, l’ascesa, la conquista, il «superamento». Fu romantico perché classico e all’inverso, classico perché romantico. A cominciare dalla concezione della natura. Che cos’è per Goethe la natura? Natura viva. Non certo un meccanismo, non certo una legge astratta, non certo la natura di Newton. La natura è viva. La natura, diceva, è tutta un getto, non ha né nocciolo né cortec-


L

o stesso giorno... nacque

L’attore Charles Boyer tombeur de femmes sul set fedele a sua moglie nella vita

Amico di Humphrey Bogart, tra i suoi film più famosi, ci sono “Come rubare un milione di dollari e vivere felici” (1966), “007 - Casino Royale” e “A piedi nudi nel parco” (1967), “Parigi brucia” e ”Sento che mi sta di Francesco Lo Dico succedendo qualcosa” (1969), “Stavisky il grande truffatore” (1974) e “Nina” ttore francese, divo statuniten- to, alterna il regise, tombeur de femmes inter- stro drammatico con nazionale sugli schermi, timi- quello brillante. Protado e impacciato nel privato. gonista ne l’ Arco di trionfo Charles Boyer nasce a Figeac, nel (1948) con Ingrid Bergman, Il giro del 1897, si fa le ossa come giovane guitto mondo in 80 giorni (1956), I quattro a teatro, studia filosofia preferendola cavalieri dell’Apocalisse (1961) e al palcoscenico di gran lunga, ma en- Fanny (1963). Sposato con l’attrice intra in contatto con il cinema negli an- glese Pat Paterson, perde nel 1965 l’uni ’20. Di voce sublime, nelle pellicole nico figlio Michael Charles suicidatosi mute lo notano in pochi, e con il sono- per amore. ro lo adorano tutte. Amabile metà di Amico di Humphrey Bogart, dedica conal a casa di un amico in Arizona. amori romantici e travolgenti, bacia- tempo e dolore fuori dal set alle lingue Seppellito accanto all’amatissima motore di muse, gira Tempeste di passio- e al gioco degli scacchi. Gira poi Come glie, a Culver City, Calfornia, diceva di ne (1932) e Mayerling (1936) con Da- rubare un milione di dollari e vivere fe- sé: «Ho avuto molto ruoli diversi nella nielle Darrieux, Il giardino di Allah lici (1966), 007 - Casino Royale e A pie- mia carriera da attore, ma in America (1936) con Marlene Dietrich, Maria di nudi nel parco (1967), Parigi brucia basta avere un accento esotico perché Walewska (1937) con Greta Garbo e e Sento che mi sta succedendo qualco- un uomo sia associato a baciamani e Delirio (1938) con Michèle Morgan. In sa (1969), Stavisky il grande truffatore maniere galanti. È stata la mia forza, e viaggio negli Usa nel 1939, ci resta (1974) e Nina. Resiste fino al 1978, e la mia condanna. Ma nella vita vera, quattordici anni. Nel dopoguerra, quando perde la moglie decide di se- che mi ha legato a una sola donna, ho amatore sempre più folle ed imbianca- guirla nel 1978 con un’overdose di Se- avuto la mia più dolce vendetta».

A

Sopra la locandina dell’opera goethiana il “Faust”. Sotto uno scorcio della via Appia percorsa da poeti e letterati nell’800 durante il Gran Tour. Nella pagina accanto il monumento dedicato a Goethe e Schiller a Weimar e due opere di Tischbein: un ritratto alle spalle del poeta tedesco e la campagna romana intorno al 1787

cia. La natura è il volto visibile di Dio che non si vede, il Dio nascosto. Fu panteista, ma senza dogmi. Disse di essere politeista come poeta e panteista come scienziato. Disse che poteva adorare sia Cristo sia il Sole. Il genio fu per lui «natura che crea» e l’arte è la natura della natura o ciò che completa la natura. Una creazione doppia. E doppia fu la sua creazione: il Wilhelm Meister e il Faust. Il Wilhelm Meister è un «romanzo di formazione»: una di quelle opere in cui il protagonista, Wilhelm, attraverso le esperienze della sua vita spirituale trova alla fine se stesso e si realizza mediante un’attività pratica, ossia inserendosi nella società in maniera operosa. Le esperienze d’arte hanno formato l’uomo e in Wilhelm bisogna evidentemente vedere lo stesso poeta che da scapigliato Sturmer era passato al servizio del governo di Weimar. Schlegel definì il romanzo qualcosa di paragonabile alla Rivoluzione francese e dunque come l’e-

spressione della tendenza del secolo. Il Mittner ha scritto: «Il romanzo va inteso come un tentativo di realizzare sul piano artistico ciò che era irrealizzabile sul piano economico-politico; esso è infatti, come il Faust, un vero e proprio Uno-Tutto, un Uno diverso in sé, poiché abbraccia vari mondi sociali ed etici che sono ben chiusi in sé e che pure sono idealmente ed anche realmente collegati tra loro, almeno nel senso che dal più piccolo di tali mondi si svolgono mondi sempre più grandi, che alla fine dovrebbero abbracciare tutta la realtà culturale e sociale dell’età goethiana».

Hegel fece la stessa cosa in filosofia con la Fenomenologia dello spirito: questa grande e avvincente cavalcata nella storia dello spirito dell’umanità fino al compimento del Sapere Assoluto (semmai esista qualcosa del genere, ma esiste almeno la sua de-costruzione). Al Faust ha arriso maggiormente la fortuna. Faust è di-

nologia. La modernità forse è in Faust: il demone dell’attivismo che ancora ci divora. Come se dall’azione continua e senza sosta, l’azione per l’azione, aspettassimo una salvezza. Gli Angeli del Cielo recitano: «Chi si affatica in un tendere perenne, Costui lo possiamo salvare!». In una lettera del 6 giugno 1831, un anno prima di morire, a Eckermann, Goethe scrive: «In questi versi è contenuta la chiave della salvezza di Faust». Dov’è la salvezza? In cosa consiste? In un incontro: tra la tensione umana e la mano divina: «In Faust medesimo c’è un’attività sempre

Il primo Goethe prese parte allo Sturm und Drang. Il secondo Goethe volle essere classico perché classica è la Bellezza. Diceva una verità senza tempo e che pur ha bisogno della vita umana: chi vuol fare qualcosa di grande deve essere come i Greci ossia capace di innalzare all’altezza dello spirito la natura reale

ventato un simbolo, un personaggio eterno. Non voleva fare proprio questo Goethe? E non voleva fare lo stesso anche Hegel? Il filosofo si ispirerà proprio a certi passaggi del Faust per pensare e sviluppare alcune passaggi della sua Fenome-

più alta e più pura fino alla fine, e dall’alto c’è l’amore eterno che gli viene in aiuto. Questo è in perfetta armonia con la nostra rappresentazione religiosa, secondo la quale noi non diventiamo beati mediante le nostre proprie forze, ma mediante la grazia divina che sopravviene». Ma bisogna pur tendere.

L’ultima nota. Non si può scrivere un articolo su Goethe e non dir nulla del Viaggio in Italia. «Son partito da Carlsbad alle tre del mattino, all’insaputa di tutti: altrimenti non mi avrebbero lasciato andar via. Gli amici, che avevano voluto festeggiare con tanta cortesia il ventotto agosto, mio natalizio, s’erano acquistati anche il diritto di trattenermi un po’ di più; ma ormai non mi era più possibile differire». Ma, piuttosto, festeggiamo anche noi l’anniversario e invece di scriverne, leggiamo il suo Viaggio: «Nulla è più prezioso di questo giorno».

pagina III - liberal estate - 28 agosto 2009


SCRITTORI E CIBI

Tu pane bianco io pane nero parola

DI VERGA Tra i personaggi dell’autore siciliano non ci sono mai grandi diversità. A dividerli è però il mangiare di Filippo Maria Battaglia

D

imenticate le tavole imbandite, i cibi annaffiati da vino e da oli, le posate d’argento e d’oro. Tra i pastori e i pescatori di Verga, regna incontrastata la fame. Una fame ancestrale che non ammette repliche e che non ha contorni definiti. L’unico sollievo può arrivare così dal «pane, le cipolle, il fiasco di vino». Qui, la cucina non ha rituale. Se ce l’ha, è scarnito, emaciato, consunto da una povertà così misera da non avere neppure gli aggettivi necessari a definirla. Come i suoi compagni, Jeli il pastore non bada dunque alla cottura del suo cibo, non gli importa: «arrostiva le ghiande del querceto sulla brace di un focherello di sarmenti di sommanco, abbrustoliva le larghe fette di pane che cominciavano ad avere la barba verde di muffa». Tra i personaggi dello scrittore siciliano non ci sono mai grandi diversità. Il destino è quasi sempre comune, ed infatti nel Mastro Don Gesualdo, Nanni l’Orbo spera «che ci sia una buona annata per il padrone e per noi». L’u-

nico elemento divisivo è il cibo. La conciliante società verghiana (diversa, anzi diversissima dalle opere degli scrittori russi dell’800 e dal romanzo sociale francese), infatti, è destinata a frantumarsi in due a tavola.

I s i g n o r i mangiano pane bianco, i cafoni si devono accontentare di pane nero. «Pane “scaccia fame”: è questo il leit-motiv che pare segnare le giornate di Jeli il pastore o di Rosso Malpelo e di tutto quell’esercito di “poveri cristi” che popolano l’universo verghiano - scrive Maria Ivana Tanga in I Malavoglia a tavola, Il leone verde edizioni - Il pane, sembra ricordarci Verga, è l’eterno assillo dei poveri, la loro primaria occupazione». Consumato quasi sempre senza companatico («pan e curtiddu», perché tagliato a piccoli pezzi con il coltello, in modo da durare il più a lungo possibile) o accompagnato al più con le cipolle che, come ricorda il rampollo dei Malavoglia, «aiutano a mandar giù il pane e costano poco».

pagina IV - liberal estate - 28 agosto 2009

La conciliante società verghiana a tavola si frantuma in due, tra signori e cafoni. La cucina dei ricchi è destinata a restare un miraggio. Osservata in lontananza, è guardata quasi con una certa incredulità, che fa persino dubitare della sua esistenza Tra ricchi e poveri, il contrasto sociale e cromatico è nettissimo.Verga ne approfitta per rimarcare la disgrazia di questi ultimi, stavolta nella novella di Nedda: «Verso mezzogiorno sedettero al rezzo per mangiare il loro pane nero e le loro cipolle bianche». Se va bene, il pane è infatti «cunzato» (caliato) e finisce in una zuppa, ora descritta da compare Meno in una delle Novelle rusticane: «Il pane come lo faceva la buon’anima nessuno lo sa fare. Pareva di semola addirittura! E con una manata di finocchi selvatici vi preparava una minestra da leccarvene le dita». La minestra per antonomasia resta però quella di fave: più che un piatto, il simbolo di una condizione sociale,

tanto che è lo stesso Mastro Don Gesualdo a gustarne una, succolentissima, preparata dalla fedele Diodata: «una minestra di fave novelle, con una cipolla in mezzo, quattro uova fresche e due pomodori ch’era andata a cogliere dietro la casa».

Per i più, la cucina dei ricchi è destinata a restare un miraggio. Osservata in lontananza, è guardata quasi con una certa incredulità, che fa persino dubitare della sua esistenza: «A Natale, quando le anguille si vendono bene, nella casa in riva al lago, cenavano allegramente dinanzi al fuoco, maccheroni, salsiccia e ogni ben di Dio» si legge in un’altra novella verghiana,

Malaria. Il primo piatto del menù dei ricchi recita «maccheroni e carne» o lasagne. In Sicilia, la prima è meglio conosciuta come «pasta cu capuliatu». Verga dimostra di conoscerla bene e di apprezzarla assai. Gli ingredienti sono quelli tipici della cucina contadina del Mediterraneo: pecorino, olio extravergine di oliva e soprattutto conserva di pomodoro, che dà al piatto la caratteristica principale, il colore rosso velluto. Nel Mastro Don Gesualdo Don Filippo Filippo Margarone rivolta «la conserva di pomidoro posta ad asciugare sul terrazzo». Ed il profumo di quel piatto impregna anche alcune delle più belle pagine dei Malavoglia: stavolta è donna Rosolina a cuocere la conserva con ossessiva dedizione. La buona riuscita dei maccheroni e carne si deve infatti alla salsa. Nei libri di Verga le lasagne godono della stessa fortuna. Diverse da quelle partenopee, sono simili a tagliatelle, si condiscono come maccheroni e non hanno bisogno della «ri-


La minestra di fave è il simbolo di una condizione sociale e Don Gesualdo ne gusta una succolentissima preparata con i legumi freschi, «una cipolla in mezzo, quattro uova fresche e due pomodori che la fedele Diodata era andata a cogliere dietro casa» lati più esigenti, si prepara il sorbetto, anche questo dal significato augurale. Nel Mastro Don Gesualdo la nobile

LA RICETTA = ZUPPA DI FAVE

(PER 2 PERSONE) 300 gr di fave fresche sgusciate 1 bicchiere d’olio di oliva extravergine 1 cucchiaino di prezzemolo 2 uova 1 cipolla Sale Cuocere le fave in acqua salata con l’olio, il prezzemolo e la cipolla, precedentemente affettata. Appena la zuppa è cotta, sgusciare le due uova e continuare la cottura per cinque-dieci minuti.

passata in forno». Nella Roba sono il simbolo della generosità e della ricchezza di Mazzarò. I contadini alle sue dipendenze non possono infatti lamentarsi del trattamento loro riservato: sfamati «col biscotto alla mattina, con pane e arancia amara a colazione e a merenda, e con le lasagne alla sera», scodellate «nelle madie larghe come tinozze».

Ma la Sicilia resta pur sempre un’isola. Il mare, nei romanzi dello scrittore catanese, è quasi sempre vissuto come castigo e come condanna, sebbene con i suoi frutti provveda a gran parte del sostentamento. Il pesce ha un ruolo centrale nelle pagine di Verga, in particolare le acciughe, altra metafora dell’immobilismo sociale, stavolta incarnata dal tragico destino della famiglia più nota della letteratura isolana. «Nelle zone costiere come Trezza – osserva la Tanga -, dove è ambientata l’epopea dei Malavoglia, tutto il ciclo alimentare ruota intorno alla pesca e alla conservazione delle acciughe, pesce povero

per antonomasia. Tutta la comunità appare concentrata su un’unica attività: la salatura delle “sardelle”. Le acciughe in salamoia saranno l’orgoglioso vessillo della comunità trezzina». Un pesce che si rivelerà infido, pregno di una speranza di riscatto sociale che sarà esiziale per la famiglia. Nei momenti di difficoltà, l’acciuga diventerà comunque l’unico lenitivo delle sofferenze: «il nonno, con la Maruzza, si consolavano a far castelli in aria per l’estate, quando ci sarebbero state le acciughe da salare». Dalla loro pesca provengono infatti le illusioni di un’arrischiata risalita sociale: «C’era stata una passata d’acciughe come mai se n’eran viste, una ricchezza per tutto il paese, le barche tornavano cariche, colla gente che cantava e sventolava i berretti da lontano per far segno alle donne che aspettavano con i bambini in collo». Lo stato di grazia dell’economia locale invaderà l’intera zona, prima di schiantarla nuovamente in uno stato di indigenza: «Per tutto il paese

non si vedeva altro che della gente con delle reti in collo e davanti a ogni porta c’era una fila di barilotti che un cristiano si ricreava il naso a passare per la strada e un miglio priva di arrivare in paese si sentiva che San Francesco ci aveva mandato la provvidenza: non si parlava d’altro che di sardelle e salamoia», ovvero del mix di acqua e sale dove le alici sono immerse per essere meglio conservate. Infarinate e fritte con l’olio bollente, sbollentate in acqua salata ed aceto, le acciughe possono essere anche un sapido condimento per la pasta: una volta fritte, si possono infatti cuocere con i pomodori spellati e serviti con prezzemolo, pepe, aglio tritato e mollica di pane raffermo.

Nei giorni di magra (che arriveranno, puntuali e drammatici, nella famiglia Malavoglia) ci sono invece le arance, utilizzate tra l’altro come l’elemento decorativo delle case dei ricchi e dei poveri, ove «si ornavano le immagini dei santi». Con la sanguigna, per i pa-

Bianca Trao raccoglie l’invito del marchese Rubiera: «piglia il sorbetto per amor mio, per la gente che ci osserva», e tenta così di dissimulare il disprezzo nei confronti dello sposo, Gesualdo appunto, che tratta con malcelato sussiego. Il frutto preferito da Verga è però il fico d’india. È una presenza costante, a cominciare da Jeli il pastore: «Così passaron tutta l’estate. Intanto il sole cominciava a tramontare dietro il “poggio alla Croce” e i pettirossi gli andavano dietro la montagna, come imbruniva, seguendolo fra le macchie dei fichi d’India». La sua pianta non è solo un elemento decorativo. È il muto testimone dei passi più drammatici dei suoi romanzi e dei suoi racconti. Eccolo, sullo sfondo del paesaggio, quando Don Gesualdo lascia Vizzini: «si buttò all’indietro alle spalle, con il cuore gonfio di tutte quelle cose che si lasciava dietro alle spalle, la viottola fangosa per la quale era passato tante volte, il campanile perduto nella nebbia, i fichi d’India rigati dalla pioggia che sfilavano di qua e di là della lettiga». I frutti della pianta sono lo specchio dell’umore e

delle attese dei protagonisti che Verga racconta. Così nella Cavalleria rusticana si tingono di rosso nel momento più drammatico dello scontro: «Turiddu annaspò un pezzo di qua e di là fra i fichi d’India e poi cadde come un masso. Il sangue gli gorgogliava spumeggiando nella gola». È lì che si consuma il tragico epilogo di una storia d’amore impossibile, fuori da ogni regola borghese. Insieme alle ginestre, i fichi d’India sono anche le prime sentinelle ad annunciare la risurrezione. L’ennesima illusione di una risalita sociale, che per i Malvaoglia sarà solo teorizzata: «La Pasqua era vicina. Le colline erano tornate a vestirsi di verde e i fichidindia erano di nuovo in fiore. Le ragazze avevano seminato il basilico alla finestra e ci si venivano a posare le farfalle bianche. Fin le povere ginestre della sciara avevano il loro fiorellino pallido. La mattina sui tetti fumavano le tegole verdi e gialle e i passeri vi facevano gazzarra sino al tramonto».

Della gaudente atmosfera risente anche la casa del Nespolo, che «sembrava avesse un’aria di festa, il cortile era spazzato, gli arnesi in bell’ordine lungo il muricolo e appesi ai piuoli, l’orto tutto verde di cavoli e di lattughe, e la camera aperta e piena di sole che sembrava contenta anch’essa, e ogni cosa diceva che Pasqua si avvicinava». La stessa Trezza è pervasa da una vitalità inattesa: «I vecchi si mettevano sull’uscio verso mezzogiorno, e le ragazze cantavano sul lavatoio. I carri tornavano a passare nella notte e la sera si udiva un’altra volta il brusìo della gente che chiacchierava nella stradicciola». Ancora una volta, però, è solo un abbaglio, destinato a eclissarsi di lì a breve: «Il giorno di Pasqua padron ‘Ntoni prese quelle cento lire che erano nel canterano e si mise il giubbone nuovo per andare a portarle allo zio Crocifisso». Sulla tavola dei Malavoglia, resta solo il pane raffermo. E, insieme ad esso, il dolore muto per un destino che non potrà mai essere sovvertito.

pagina V - liberal estate - 28 agosto 2009


LE GRANDI BATTAGLIE A un anno esatto dalla disfatta di Caporetto, l’esercito italiano sferrò l’attacco contro gli austriaci, che condusse in pochi giorni all’armistizio di Villa Giusti. La sconfitta precedente era stata salutare: aveva scosso il morale e l’orgoglio nazionale

DELLA

VITTORIO VENETO 1918

Cade l’Impero

l 24 ottobre 1918 - esattamente un anno dopo la disfatta di Caporetto - l’esercito italiano sferrò l’attacco decisivo contro gli austriaci, che condusse in pochi giorni all’armistizio di Villa Giusti e alla vittoria. La sconfitta dell’anno precedente era stata salutare: aveva scosso il morale e l’orgoglio nazionale. Cessarono gli scioperi, e le fabbriche di munizioni ripresero a lavorare a pieno ritmo. I soldati non furono più uomini dimenticati al fronte, ed ebbero generi di prima necessità, armi ed equipaggiamenti.

I

Nel frattempo, l’Impero Austro-Ungarico era in pieno disfacimento. I cechi, gli slavi meridionali e i polacchi dichiararono la loro indipendenza e si schierarono al fianco degli alleati. Lo stesso fecero, nell’ultimo momento utile, i rumeni. Persino gli ungheresi proclamarono la repubblica. L’esercito che combatteva ancora contro gli italiani non era più sorretto alle spalle da uno Stato. Non si sapeva più in nome di chi combattesse, e per che cosa. Armando Diaz – che dopo Caporetto aveva assunto il comando supremo delle forze armate italiane, prendendo il posto di Cadorna – decise di sviluppare la sua offensiva dal Piave in direzione di Vittorio Veneto. Le sorti della guerra erano già segnate. In pochi giorni il fronte austriaco fu sfondato. Interi reggimenti austriaci disertarono. Il 2 novembre la repubblica ungherese richiamò ufficialmente in patria le sue truppe. Cechi e croati avevano già lasciato il fronte. Gli italiani fecero trecentomila prigionieri nelle file nemiche. Il coman-

L’unica vittoria italiana della I guerra mondiale di Massimo Tosti

dante supremo austriaco, il generale von Arz, non prese neppure contatto con il proprio go-

Fu il prodotto del collasso dell’esercito austro-ungarico quando il Paese danubiano si disintegrava. L’evento segna la fine della guerra sul fronte italiano verno prima di firmare, il 3 novembre l’armistizio, che divenne operante il giorno successivo. Caporetto era vendicata. L’Italia avrebbe avuto un posto nel tavolo della pace. Prima dell’attacco, non erano manca-

pagina VI - liberal estate - 28 agosto 2009

te le polemiche. Diaz era accusato di eccessiva prudenza: molti esponenti politici e l’opinione pubblica ritenevano che si fosse atteso troppo tempo per passare all’offensiva.

Il generale era convinto, invece, che un attacco intempestivo non avrebbe procurato alcun vantaggio e che fosse invece necessario conservare le forze efficienti per sferrare il colpo finale quando l’andamento generale del conflitto si fosse rivelato favorevole. Il momento propizio si profilò il 15 settembre quando l’Armèe d’Orient (della quale faceva parte la XXXV divisione italiana) sfondò il fronte bulgaro in Macedonia e lo sfacelo del fronte bulgaro-tedesco nel Balcani divenne irreparabile. Pochi giorni dopo Diaz fece chiamare ad Abano, sede del Comando Supremo, il generale Caviglia, comandante dell’VIII Armata,

perché prendesse visione di un piano di operazioni nel quale era previsto di affidare alla sua armata il compito di attaccare il nemico sul Piave. Si trattava di passare il Piave di fronte al Montello, avanzare nella piana della Sernaglia e puntare su Vittorio Veneto per tagliare la principale via di comunicazione fra le armate austro-ungariche operanti sui monti e quelle schierate lungo il Piave. La direzione nella quale doveva essere sferrato l’urto principale era ben scelta, dal punto di vista strategico. Comportava, però, un preventivo sfondamento del fronte mediante un attacco frontale, reso difficile dalla necessità di passare il Piave dinanzi alla linea di difesa nemica, ma favorito dalla minore densità delle truppe che presidiavano il settore fronteggiante il Montello. Il piano originario prevedeva che l’VIII Armata (al comando di Caviglia)

STORIA

attaccasse dal Montello alle Grave di Papadopoli, appoggiata a destra, dalla II Armata (Duca d’Aosta) e, a sinistra, dalla IV Armata (generale Giardino) le quali, però, sarebbero entrate in azione dopo che l’VIII Armata avesse sfondato il fronte austro-ungarico. Il segreto che circondava i preparativi favorì l’impazienza degli ambienti politici italiani e le critiche si intensificarono. Gli Alleati era altrettanto impazienti: il presidente del Consiglio Vittorio Emanuele Orlando ebbe una tempestosa discussione con Clemenceau, capo del Governo in Francia, e le pressioni sul Comando Supremo divennero più insistenti. Diaz e Badoglio non si lasciarono impressionare: volevano attaccare quando la preparazione fosse completa, per conseguire con certezza una grande vittoria.

Purtroppo il Piave era in piena e le piogge persistenti fecero temere un ulteriore ingrossamento delle acque. Sul suo fondo ghiaioso, con una corrente di velocità superiore ai 2,50 metri al secondo, le ancore non avevano presa e i ponti non potevano essere gettati. Il Comando Supremo modificò il piano predisposto e il 18 ottobre ordinò che la IV Armata attaccasse il Grappa con 9 divisioni, in attesa che le altre armate potessero gettare i ponti sul Piave. Il generale Giardino dovette così improvvisare in pochissimi giorni un’offensiva contro una difesa fortissima, presidiata da truppe superiori in numero a quelle con le quali, da parte italiana, il Grappa era stato difeso nel mese di giugno. Il 21 ottobre il compito della IV Armata fu precisato: separare la massa austriaca del Trentino da quella del Piave, raggiungendo il solco Primolano-Arten-Feltre. La resistenza del nemico (esattamente come aveva previsto Diaz) si rivelò debole. In pochi giorni la battaglia fu vinta, mettendo fine alla Grande Guerra che costò all’Italia 650 mila caduti, 947 mila feriti, 600 mila fra prigionieri e dispersi. I danni ammontarono a oltre 12 miliardi di dollari dell’epoca. Il 3 novembre 1918, a Villa Giusti, vicino Padova, gli austriaci firmarono l’armistizio. Nel resto d’Europa la pace arrivò una settimana più tardi, con l’armistizio di Compiègne, che pose fine al conflitto sul fronte occidentale. Il bollettino della Vittoria – firmato dal comandante supremo delle forze armate italiane, generale Armando Diaz, e ancora scolpito su molti edifici pubblici del nostro Paese – si conclude con la frase, scritta da Diaz di suo pugno: «I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano disceso con orgogliosa sicurezza».


CAPOLAVORI DI PIETRA

CASA ANTINORI

lineo del prospetto costruito nel Settecento su piazza Fortebraccio, impiegando nella costruzione materiali, calchi, modani e talvolta perfino consuetudini del cantiere settecentesco.

Oggi Gallenga-Stuart l’edificio ospita l’Università per stranieri

L’uso prevalente di laterizi arrotati per le facciate, alternati ai modellati in pietra calcarea bianca, vengono quindi identicamente riproposti a più di duecento anni dalla conclusione del primo cantiere. La singolarità e l’inattualità della scelta di Lilli fu disapprovata dalla cultura architettonica e l’ampliamento à l’identique perugino finì nel Tavolo degli orrori, il fotomontaggio di denuncia dell’architettura passatista elaborato dal critico Pier Maria Bardi per la II Esposizione di architettura razionale di Roma del 1931. La distanza storica consente oggi di valutare con maggiore distacco la scelta di Lilli, che ebbe tuttavia il merito di confrontarsi corpo a corpo con la fabbrica settecentesca, studiandone a fondo le modalità compositive, i segreti costruttivi, le tecniche e i materiali. E

l palazzo Antinori, poi Gallenga Stuart, oggi palazzo dell’Università per Stranieri a Perugia, celebre per avere ospitato l’esordio teatrale di Goldoni quasi bambino, viene progressivamente riconosciuto un posto significativo nell’architettura residenziale tardobarocca. Questa rivalutazione è in controtendenza con una consolidata tradizione critica che deprezzava l’edificio, di cui si censurava il linguaggio architettonico, turgidamente barocco ed estraneo alla tradizione locale; ma soprattuto l’asimmetria distributiva e di impianto oltre che la scelta dell’architetto: quel «Francesco Bianchi romano», di cui fino a pochi anni fa si ignorava l’intero percorso professionale.

La stranezza barocca di Perugia medioevale

Per riassumere questa lunga

di Giuseppe Bonaccorso

A

quarantena storiografica valga per tutti il giudizio formulato da una guida di Perugia del 1784, che rimprovera all’edificio «aggetti sopra aggetti, incavi e misti di linee; dove in tutto si pecca per eccesso». Alla controversa esuberanza compositiva, il palazzo associa una vicenda costruttiva quantomeno singolare. Infatti allorché nel 1758 Girolamo Antinori si insediò nel nuovo palazzo, esso era edificato solo in piccola parte rispetto al progetto redatto dall’architetto Bianchi, che delineava un edificio smisurato, tanto da essere ritenuto il più grande di Perugia. Benché le fondamenta fossero state eseguite per intero, il cantiere, forse per sopravvenute difficoltà economiche, si arrestò dopo la realizzazione del corpo principale e della sua facciata e solo di una parte delle ali laterali, essendosi rinunciato a chiudere il blocco attorno al cortile centrale. Da questa interruzione dei lavori è derivato il disassamento dell’impianto che è all’origine delle più feroci censure al palazzo. In effetti secondo il progetto originale l’asse prospettico e volumetrico dell’edificio tagliava esattamente l’angolo, innervando una spettacolare direttrice diagonale rivolta alla città, che riassume con sintetica pregnanza un secolo di sperimentazioni architettoniche, urbanistiche e scenografiche condotte a Roma dai maestri dell’architettura barocca. Di conseguenza il leggero avancorpo che, in corrispondenza dell’ingresso, addensa la facciata sulla piazza, doveva essere bilanciato da un aggetto analogo nel prospetto laterale, convergente anch’esso verso il cantonale che, plasticamente concavo e sontuosamente chiaroscurato da ondulate finestre a edicola balconate, si attestava come cerniera prospettica e punto di vista focale dell’imponente palazzo. Siamo di fronte a una soluzione progettuale anticonvenzionale e di avanguardia, sottilmente sensibile alle di-

Quando il palazzo venne ceduto al Comune, del suo ampliamento fu incaricato Dino Lilli che compì una scelta spuria e sconcertante. Non capendone nulla

Palazzo Antinori poi Gallenga-Stuart a Perugia namiche della percezione urbana, più che alla logica ristretta del singolo edificio. Una novità che aveva nell’urbanistica barocca romana illustri precedenti, basti pensare al peso attribuito alle vedute angolari dagli edifici di Borromini, quali l’Oratorio dei Filippini o San Carlino alle Quattro Fontane, ma che doveva apparire arbitraria nell’ambiente conservatore della medievale Perugia. Dopo l’interruzione della fabbrica nella seconda metà del Settecento, si ebbero svariati passaggi di proprietà, finché il pa-

L’architetto Francesco Bianchi si rifà agli edifici del Borromini come l’Oratorio dei Filippini o San Carlino alle Quattro Fontane lazzo nel 1874 passò ai Gallenga Stuart, che agli inizi degli anni trenta del Novecento lo cedettero al Comune di Perugia, da cui passò in uso perpetuo all’Università degli Stranieri. Quest’ultima deliberò l’ampliamento del palazzo commis-

sionandolo all’architetto perugino Dino Lilli, segnando l’avvio della seconda disgrazia critica del palazzo. Ispirandosi ai disegni superstiti di Bianchi, Lilli compì una scelta spuria e sconcertante: replicò sui lati l’impaginato guizzante e misti-

non capendone nulla, come vedremo. Le demolizioni preliminari, sistematiche e ordinatissime, sono veloci: il materiale proveniente dallo smontaggio e dalle demolizioni viene ordinatamente accatastato per essere successivamente reimpiegato. Le foto d’epoca restituiscono un’idea nitida del cantiere in bilico fra tradizione e modernità: dove materiali tradizionali come pietra, laterizi di recupero e malte a base di calce, convivono con il moderno cemento armato, con cui fu realizzata l’ossatura portante dell’edificio. E’ evidente che le preoccupazioni filologiche di Lilli si allentano di fronte alla prassi operativa, tanto che tralascerà di replicare nella facciata su via Goldoni il leggero avancorpo che segnala l’ingresso sul fronte principale, mentre aggiungerà un secondo cantonale monumentale, non previsto dal progetto settecentesco, nell’angolo tra via del Maneggio e via Goldoni. Dando evidente prova di non avere capito nulla della sottigliezza e della peculiarità del rapporto tra l’edificio e la veduta urbana che guidava l’innovativo progetto di Bianchi.

pagina VII - liberal estate - 28 agosto 2009


ORIZZONTALI 1 Filologo tedesco che nel 1806 riportò la traduzione del Pater Noster in 500 lingue e dialetti n 8 Lo Stato dei Mormoni n 12 Bernat Xxxxx, scrittore catalano (1350-1410) autore di Il Libro di Fortuna e Prudenza n 17 Azienda dei Trasporti Municipale n 20 Opera di Rossini n 24 Le rane sono anfibi xxxxx n 25 ...il xxxxx suon della tartarea tromba (Gerusalemme Liberata) n 26 Personaggio della Tempesta n 27 Letame n 28 Mea puella / vovit, si xxxx restitus essem... La mia donna ha giurato che se a lei fossi ritornato... (Catullo, XXXVI) n 29 Meccanismo che scatta n 30 Autobiografia di Xxxxx B. Toklas di Gertrude Stein n 31 Xxxxx Gomez de la Sierna n 32 The Old Man and the Xxx di Hemingway n 33 Xxxxx Eusino n 34 Xxxxx Peron n 35 Autore di una Vita di Gesù del 1863 n 36 Articolo n 37 ...ma un asin bigio, rosicchiando un xxxxx.. (Carducci) n 38 Un cane n 39 Celebre quartetto inglese n 41 E una forza xxxxxxx le affatica... (Foscolo, I sepolcri) n 43 La xxxxx del sole n 44 Personaggio del Re Lear n 45 Iniz. dello scrittore Dante Trosi: n Diario di un giudice n 46 Popolo germanico n 47 Quartieri n 48 La freccia del xxxxx n 49 Titolo principesco n 50 Ne furono esponenti Saturnino e Carpocrate n 51 u’ siede il successor del maggior Xxxxx (Inferno II) n 52 Autore del Candelaio n 53 Di solito è mensile n 54 Società del gruppo ENI n 55 Tersi, pacati n 56 Parente acquisita n 57 La tipica grande famiglia dei nomadi arabi della “cabila” n 58 Opera lirica di Igor Stravinsky n 62 Rivale di Polifemo in amore n 63 Ite, xxxxx est n 64 Xxxx mi par esse deo videtur... (Catullo) n 65 Brilla nella costellazione dello Scorpione

VERTICALI 1 In provincia di Savona n 2 Il creatore del signor Malaussène 3 Tragedia di Euripide n 4 I Xxxx e i Penati n 5 Unione Monarchica Italiana n 6 Nota Bene n 7 Vi confluiscono Garonna e Dordogna n 8 Voce di lupo n 9 Astuccio n 10 Much Xxx About Nothing n 11 Xx Fi n 12 L’eterno xxxxxx di Dostojevskij n 13 Xxxxx Nicomachea n 14 A Xxxx Grows in Brooklyn, primo film (1945) di Elia Kazan n 15 Don Xxx dalle calze verdi n 16 Il poeta delle Occasioni (iniz.) n 17 O xxxxxx grazioso e benigno... (Inferno V) n 18 Tragedia di Shakespeare n 19 The Xxxx and Sixpence di W. S. Maugham n 21 Alvar Xxxxx, architetto finlandese n 22 Romanzo di Ingeborg Bachmann n 23 Fiume della Puglia n 29 Bocconi n 30 Antico popolo nomade di stirpe unno-tartara n 31 Crimine n 33 Gino Xxxxx, cantautore n 34 Gemello di Cassandra n 35 ...l’onesto e il xxxxx / conversar (Leopardi, La ginestra) n 37 Accademia della Xxxxxx n 38 Si ha quando due ragionamenti contrari hanno uguale validità n 39 L’evangelizzatore di Milano n 40 Demetrio, cantante italiano di origine egiziana n 42 I “furori” del 52 or. n 43 Il tesoro della Xxxxxx Madre n 44 Popolazione africana n 47 Frutti di bosco n 48 Che sembri allora, o xxxxx / dell’uomo? (Leopardi, La ginestra) n 49 ...lo scendere e ’l xxxxx per l’altrui scale (Patadiso XVII) n 50 Il Leone del Gioco delle parti n 51 Una zebra a pois, canzone di Mina n 52 Raging Xxxx, film (1980) di Martin Scorsese n 53 Xxxx Pavone, cantante n 55 Xxx Lanka n 56 La prime tre lettere della Commedia n 57 Xxx Nouveau n 59 Iniz. di Murolo n 60 Giorno n 61 Iniz. dell’attore Novelli

CRUCIVERBA

di Pier Francesco Paolini

QUIZ LETTERARIO

Lo Stato dei Mormoni

CHI È L’AUTORE DI QUESTO QUADRO? .................................... (1483-1520)

DI QUALE ROMANZO DEL 1951 È QUESTO INCIPIT? n gruppo d’uomini barbuti, vestiti di scuro sotto gli alti cappelli grigi, e di donne – talune incappucciate, altre a testa nuda – era raccolto davanti a un edificio di legno dalla massiccia porta di quercia, tempestata di grossi chiodi di ferro. Qualunque ideale di felicità e di probità umana muova i fondatori di una nuova colonia, essi pongono sempre come prima necessità quella di destinare una zona del territorio al cimitero e un’altra alla costruzione di una prigione. Si può ritenere perciò che i primi abitanti di Boston abbiano fin dagli inizi costruito una prigione nei dintorni di Cornhill, mentre recingevano di un muro il terreno da adibirsi a cimitero, nella proprietà di Isacco Johnson, e intorno alla sua tomba, attorno alla quale sorsero poi tutti i sepolcri del vecchio camposanto della cappella del Re. Certo è che quindici o venti anni dopo la fondazione della città, la prigione mostrava già i segni di una vecchiezza, che la rendeva ancor più cupa ed arcigna. Sui ferri della pesante porta di quercia, la ruggine spessa sembrava più antica d’ogni altra cosa d’intorno, della città, del suolo, antica come il delitto stesso; e come tutto quel che si riferisce al delitto, pareva non aver mai conosciuto un’era di giovinezza. Di fronte alla prigione, fino alla vicina carreggiata, si stendeva un prato irto di cardi, luppoli, ed altre piante del genere: vegetazione tutta aspra e rude, intonata al suolo sul quale era già sorta – oscuro fiore della civiltà umana – la prigione. Ma accanto alla porta di quel triste edificio, radicato quasi nella soglia, era un cespo di rose selvatiche, gremito tutto di petali delicati, i quali avevano l’aria di offrire il loro profumo e la loro fragile venustà al prigioniero che entrava per quella porta o al condannato che ne usciva verso il suo destino, come per attestar loro che il cuore profondo di madre natura...

U

L’AUTORE DEL QUADRO DI IERI È: René Magritte, “L’idea fissa” (1927-1928)

Il cruciverba di ieri

LA SOLUZIONE DI IERI È: Michail Bulgakov “Il Maestro e Margherita”(1967)

pagina VIII - liberal estate - 28 agosto 2009

inserto a cura di ROSSELLA FABIANI


mondo

28 agosto 2009 • pagina 17

Triangolo. Giornale polacco rivela che, per non irritare Mosca, Washington «cerca soluzioni alternative». Nonostante gli accordi

Varsavia sedotta e abbandonata

La Polonia si sente tradita da Obama che frena sullo scudo antimissile di Enrico Singer rima blanditi, poi traditi. La Polonia si sente sedotta e abbandonata da Washingotn, complice il cambio della guardia alla Casa Bianca, nella partita con Mosca sullo scudo anti-missile che l’amministrazione Bush voleva installare nel Paese e nella Repubblica ceca e che Barack Obama sembra deciso ad accantonare. Uno dei più importanti giornali polacchi, Gazeta Wyborcza, lo ha scritto ieri senza mezzi termini. «I segnali inviati dai generali del Pentagono sono assolutamente chiari: il governo degli Stati Uniti cerca soluzioni diverse dalle basi in Polonia e in Repubblica ceca», afferma un lobbista americano favorevole allo scudo, Riki Ellison, citato dal giornale. Nel corso di una conferenza di esperti di difesa che si sarebbe tenuta una settimana fa, «i generali non hanno menzionato una sola volta i piani riguardanti la Polonia e la Repubblica ceca», riferisce sempre Ellison, secondo il quale Obama starebbe già testando la reazione del Congresso alla rinuncia ai piani d’installazione dello scudo in Polonia e in Repubblica ceca che potrebbe, addirittura, essere dirottato «su navi o in basi in Israele e Turchia e forse anche da qualche parte nei Balcani» come scrive Gazeta Wyborcza, citando una fonte anonima del Congresso.

lonia e Stati Uniti, tradizionali, ottimi alleati sin da quando i polacchi si sono liberati dall’orbita sovietica (e anche prima attraverso la dissidenza anticomunista), sono al loro punto più basso. Il fatto è che il governo del primo ministro Donald Tusk e del presidente Lech Kaczynski non solo teme di fare una brutta figura di fronte all’opinione pubblica polacca, ma non vuole perdere quello che, alla fine, era ruscito a costruire come un ottimo business.

P

Quanto ci sia di vero nelle informazioni del giornale polacco è difficile dirlo. C’è anche chi ipotizza che l’articolo sia una mossa ispirata dal governo di Varsavia per esercitare un’estrema pressione sugli americani perché mantengano gli accordi presi esattamente un anno fa dall’allora segretario di Stato, Condoleezza Rice. Ma una cosa è certa: i rapporti tra Po-

Condoleezza Rice con il premier polacco, Donald Tusk, e il ministro degli Esteri, Radoslav Sikorski, nell’agosto 2008 quando fu firmato l’accordo per l’installazione dello scudo antimissile che dovrebbe utilizzare i nuovi razzi Interceptor

Un affare politico ed economico. Politico, perché diventare la base del sistema dei missili anti-missili americani (nella Repubblica ceca dovrebbe essere installato il centro radar) avrebbe ulteriormente rinsaldato i legami con gli Usa. Economico perché diventare quello che la Germania è stata per decenni - il cuore delle forze americane stanziate in Europa - significa anche avere un ritorno in dollari dai militari statunitensi e dai loro familiari che si sarebbero trasferiti in territorio polacco. Adesso tutto questo è in bilico. Anche se il patto firmato il 20 agosto 2008 dalla Rice e dal ministro degli Esteri polacco, Radoslav Sikorski, era molto preciso. In Polonia dovrebbero essere installati entro il 2012 non soltanto i nuovissimi missili Interceptor (in siglia Gmd) che sono ancora in fase di messa a punto in due basi americane (Vandenberg in California e Fort Greely in Alaska), ma anche delle batterie di Patriot a difesa del sistema. In un intervento in televisione, Donald Tusk lo aveva detto in modo molto schietto: ospitando lo scudo la Polonia diventerà un possibile obiettivo di attacchi e, per questo, le sue difese do-

vranno essere rinforzate. Dagli americani, naturalmente. E il New York Times scrisse, dopo la firma dell’intesa, che «l’accordo contiene clausole non usuali». Quello che si dice è che la Polonia avrebbe chiesto e ottenuto dagli Usa, a fronte dell’installazione di dieci missili Interceptor, che almeno temporaneamente i soldati americani presidino le installazioni e che gli Stati Uniti siano addirittura obbligati a difendere la Polonia in caso di attacco intervenendo con una rapidità maggiore di quella già richiesta dalle regole Nato. «La Polonia non intende far parte di un’alleanza nella quale l’assistenza giunge quando è troppo tardi: non va bene se l’assistenza la si porta a dei cadaveri», dichiarò testualmente Donald Tusk alla tv polacca. E c’è da ricordare che proprio in quei giorni la Russia aveva invaso la Georgia.

Ma è proprio la Russia ad avere messo in crisi il piano dello scudo. Nonostante le rassicurazioni degli Usa, Mosca è convinta che il sistema antimissile non sia diretto a difendere l’Occidente da possibili attacchi da parte dell’Iran o della Corea del Nord, ma sia una minaccia contro il suo territorio: una tappa di quell’accerchiamento che è la principale preoccupazione di Putin e di Medvedev. Timori che durante la visita di Barack Obama al Cremlino sono stati ripetuti e confermati e che hanno spinto il presidente americano a prendere una pausa di riflessione sul futuro del progetto. Anche perché, a sua volta, Mosca ha minacciato di installare dei missili Iskander nell’enclave baltica di Kaliningrad se non riuscirà a trovare un accordo con gli Stati Uniti.


pagina 18 • 28 agosto 2009

quadrante

Afghanistan. Tensioni con Washington sulla nomina del vicepresidente, considerato un trafficante di droga dagli Usa

Gli alti papaveri di Karzai

La Clinton minaccia Kabul di ritorsioni in caso di nomina di Qasim Fahim di Pierre Chiartano ’ex ministro della Difesa afghano sarebbe un trafficante di droga. Lo riferisce il New York Times, secondo cui la questione è ancora più grave adesso che Marshal Muhammed Qasim Fahim è candidato alla vicepresidenza del gabinetto di Hamid Karzai. Il problema che si pone, secondo quanto sottolineato da Hillary Mann Leverett responsabile per l’Afghanistan del Consiglio per la sicurezza nazionale, è anche di natura legale: negli Usa esiste una legge che proibisce gli aiuti militari ai trafficanti di droga. Il dibattito su come agire nei confronti del «signore della guerra» fu sollevato negli Usa nel 2001, quando un rapporto della Cia, ai tempi dell’amministrazione Bush, provò il coinvolgimento del politico in un traffico di droga. Se Marshal Fahim prendesse il potere, sostengono fonti ufficiali, gli Usa considererebbero l’ipotesi di imporre sanzioni, come rifiutargli il rilascio di un visto di ingresso. Un sistema già sperimentato con altri funzionari stranieri sospettati di corruzione. Ma potrebbe anche adottare misure peggiori, come vigilare sui movimenti finanziari del probabile futuro vicepresidente, anche se questa sarebbe una mossa pericolosa, dato il profondo coinvolgimento degli Usa in Afghanistan e l’importanza della relazione con il governo di Karzai. A conferma del clima di tensione sul caso, il segretario di Stato, Hillary Clinton aveva fatto notare a Karzai che presentarsi alle elezioni con Marshal Fahim avrebbe compromesso la sua immagine. Anche l’ambasciatore afghano negli Stati Uniti, Tayeb Jawad, si è detto contrario alla scelta di Fahim come candidato alla vicepresidenza. «È stato incaricato per il ruolo che avrebbe potuto giocare nell’unità dell’Afghanistan» – è stato ex comandante dell’Alleanza del Nord – «non per la sua abilità nei viaggi all’estero», ha commentato il diplomatiico. Fahim era stato un collaboratore della Cia, e quando Karzai era divenuto il capo del governo di transizione afghano, nel 2002, era stato nominato ministro della Difesa. Sempre secondo fonti della Cia, Fahim ha adesso a disposizione un aereo da trasporto di origine sovietica

L

Foto grande, campi d’oppio in Afghanistan. Foto picccola, l’inviato speciale, Richard Holbrooke

con cui è stata trasportata eroina in Russia. La vicernda esplode a poche ore dalle accuse dell’inviato speciale della Casa Bianca Richard Holbrooke, contro le istituzioni finanziarie del Golfo. Accusate di riciclare il denaro dei trafficanti d’oppio afghani e quindi di fatto aiutando a sotenere la guerriglia talebana. Con i soldi della droga si comprano le armi che servono per attaccare la coalizione occidentale nel Paese centrasiatico.

L’ayatollah dissidente iraniano: «Processi spettacolo, parodia della giustizia islamica»

Montazeri attacca il regime: «Si svegli prima che sia tardi» TEHERAN. L’ayatollah “dissidente” iraniano Hossein Ali Montazeri ha nuovamente messo in guardia le autorità di Teheran, affermando che la loro gestione della crisi postelettorale rischia di causare la caduta del regime. «Spero che le autorità si sveglino prima che sia troppo tardi, che non macchino ancora la reputazione della Repubblica islamica... e che non provochino la loro caduta né quella del sistema», ha detto Montazeri in un comunicato pubblicato sul proprio sito internet. L’ayatollah ha chiesto anche la fine dei «processi spettacolo» che ha definito «parodia della giustizia islamica», esortando al contempo i dirigenti iraniani a «non spingersi ancora più in là sulla cattiva strada che han-

no imboccato». Montazeri ha sottolineato che «si dovrebbe almeno avere il coraggio di dichiarare che questo governo non ha nulla della repubblica e nulla di islamico, perché nessuno ha più il diritto di protesta, di fare critiche o avanzare rilievi». Montazeri, il cui rango è il più elevato all’interno del clero sciita iraniano, è stato uno dei primi a criticare duramente il potere per la sua gestione della fase post elettorale che ha visto, tra dure accuse di brogli, la rielezione del presidente Mahmoud Ahmadinejad. Dal 1997 al 2003 Montazeri, un tempo indicato come uno dei probabili successori dell’ayatollah Ruollah Khomeini, era stato posto in soggiorno vigilato a causa delle sue critiche al regime.

L’inviato speciale degli Stati Uniti per Afghanistan e Pakistan, ha affermato che i ribelli talebani ricevono ingenti somme di denaro dai Paesi ricchi di petrolio del Golfo Persico. Denaro che proviene anche dalla vendita in questi Paesi dell’oppio afghano, ha detto Holbrooke in un’intervista rilasciata, martedì, alla Cnn. «In molti casi approfittano dei pellegrinaggi (alla Mecca e Medina, in Arabia Saudita) o degli hawala (un sistema informale per il trasferimento di denaro), a volte attraverso l’elemosina», ha spiegato «tutto ciò è una parte importante nella guerra ai talebani». Mercoledì le autorità kirghize avevano annunciato di aver sequestrato 204 chilogrammi di oppio proveniente dall’Afghanistan. Si tratta, secondo quanto riporta l’agenzia di stampa Interfax, del più grande quantitativo intercettato quest’anno. «Una grandissima partita di oppio afghano, per un peso di 204 chilogrammi e oltre 7 milioni di dollari di valore, è stata sequestrata in un’operazione speciale condotta dall’Agenzia di controllo sulla droga», aveva dichiarato il primo vicedirettore dell’agenzia Vitaly Orozaliev. «L’operazione - ha continuato è stata sostenuta anche grazie ai Paesi della Comunità degli stati indipendenti». Il Kirghizistan è uno dei Paesi attraverso i quali passano l’oppio e l’eroina dall’Afghanistan verso la Russia. Kabul vanta il non invidiabile primato di massimo produttore mondiale di eroina, con una ”quota di mercato”superiore al 90 per cento, secondo l’agenzia dell’Onu per la lotta agli stupefacenti.


quadrante

28 agosto 2009 • pagina 19

I socialdemocratici potrebbero conquistare 320 seggi su 480

Domani Obama parteciperà alla messa privata

Giappone, conservatori molto indietro nei sondaggi

Stasera a Boston i funerali di Kennedy

TOKYO. Taro Aso prende atto delle «critiche» contro il Partito liberaldemocratico (Jiminto) che, secondo i sondaggi, sembra destinato a perdere nelle elezioni politiche di domenica. Il premier, leader della compagine conservatrice, attribuisce i motivi del malcontento nei confronti della ”Balena gialla”a difetti di comunicazione.

WASHINGTON. Il corpo del senatore Edward M. Kennedy ha viaggiato oltre 110 chilometri dalla sua casa di Cope Cod fino a Boston, dove la camera ardente è stata allestita ieri pomeriggio nella biblioteca presidenziale che porta il nome del fratello, John Fitzgerald Kennedy, e che lui stesso contribuì a far nascere. Sempre ieri, la famiglia ha partecipato a una messa privata nella tenuta di Hyannis Port. Poi il corteo si è mosso passando per alcuni dei luoghi più cari a Ted Kennedy, come la chiesa di Saint Stephen, dove la madre Rose fu battezzata, o il parco di Boston, la Rose Fitzgerald Kennedy Greenway; la stori-

«Contro il Partito liberaldemocratico e le sue politiche si stanno manifestando critiche sempre più forti», ha detto Aso, rispondendo a Osaka alle domande dei cronisti, secondo quanto riporta l’agenzia di stampa Jiji. «Non abbiamo spiegato - ha aggiunto - le virtù del conservatorismo. Non siamo riusciti a inviare un messaggio chiaro in questi ultimi anni». I liberaldemocratici sembrano destinati a una pesante sconfitta. Secondo un’inchiesta pubblicata ieri dal quotidiano Asahi shinbun, il Partito democratico (Minshuto) guidato da Yukio Hatoyama, potrebbe arrivare a formare da solo il governo (servirebbero i due terzi dei parlamentari. Il sondaggio dà 320 seggi su 480 ai democratici). Resta comunque un certo margine d’incertezza dovuto al fatto che tra il 30 e il 40 per cento del campione dice di essere ancora incerto. Intanto, nella campagna eletto-

Arctic Sea, in Russia spunta la pista Mossad Si sospetta un coinvolgimento dei servizi segreti israeliani di Michael Sfaradi he sulla sparizione nel canale della Manica e la ricomparsa al largo delle isole di Capo Verde del cargo Arctic Sea, la nave che tanto ha fatto parlare di sé nei giorni scorsi, ci potesse essere una situazione da 007 è stato chiaro fin dal primo momento. A conferma lo spiegamento di forze, cinque navi e un sottomarino, che la Russia ha messo in campo per la sua ricerca; troppo per un semplice cargo. Mentre la “Arctic Sea”riempiva le prime pagine dei giornali, per distrarre il pubblico, che si era appassionato alla vicenda, le autorità russe hanno fatto credere che il dirottamento fosse stata opera di pirati in cerca di un riscatto. L’ultima cosa che si è saputa prima che si spegnessero i riflettori sulla faccenda, è che i “pirati” erano stati arrestati. Non è trapelato nessun particolare sulla loro identità e nazionalità, l’unica indiscrezione sarebbe la presenza fra loro di uno spagnolo e un lituano; sempre che sia vero che i russi abbiano arrestato qualcuno. La Spagna e la Lituania, fino ad ora, non hanno confermato il coinvolgimento di loro cittadini nella faccenda. Il sito del canale 2 della televisione israeliana, riprendendo fonti di un’agenzia giornalistica moscovita, dà dei fatti una versione completamente diversa: dietro al dirottamento potrebbe esserci la lunga mano del Mossad, i servizi segreti israeliani.

C

delle autorità israeliane è impossibile averne, anche se sono in molti a pensare che uno scenario di questo tipo non sia solo possibile… ma molto probabile. Ci sono inoltre diversi segnali che confermano attriti, a livello di intelligence, fra Russia ed Israele…attriti al limite dello scontro.

L’installazione di missili antiaerei russi nei pressi delle centrali nucleari iraniane, renderebbe l’opzione militare per fermare la rincorsa al nucleare iraniana più complicata se non impossibile, e se Israele vuole mantenere aperta questa possibilità deve fare di tutto pur di non permettere l’arrivo di questo tipo di contraerea in Iran. Il dirottamento della “Arctic Sea” potrebbe essere stata, allora, una scelta obbligata e rischiosa. Israele ha i mezzi per mettere in piedi azioni di questo tipo come ad esempio il raid di Entebbe e il bombardamento della centrale nucleare irachena di Osirak che sono entrati nella storia moderna. Nel 2002 la nave ”Karine A”, carica di armi illegali iraniane destinate ai palestinesi fu dirottata nel porto di Haifa dal famoso ”Shayetet 13” il gruppo d’assalto della marina israeliana e trattandosi di una missione in alto mare, è presumibile, anche se il condizionale è assolutamente obbligatorio, che proprio lo “Shayetet 13”potrebbe essere stato la mano militare che ha condotto l’azione. Al contrario della “Karine A”, che era stata portata in Israele, la ”Arctic Sea”, battente bandiera maltese con equipaggio russo, è stata ritrovata alla deriva in pieno oceano Atlantico con le stive probabilmente vuote. L’ultimo particolare, squisitamente politico, riguarda la visita del presidente israeliano Shimon Peres in Russia dove ha incontrato il suo omologo Medvedev. Peres ha esplicitamente chiesto il fermo delle forniture di armamenti verso l’Iran. Una richiesta di questo tipo proprio a distanza di pochi giorni dal ritrovamento del cargo maltese lascia diversi punti interrogativi senza risposta. Considerando che nei mesi scorsi c’era stata a Mosca una visita del ministro degli esteri Libermann, queste due visite, molto vicine fra loro, confermano i dubbi che ancora accompagnano la vicenda.

La nave, oltre al legname diretto in Algeria, forse trasportava sofisticati sistemi missilistici destinati all’Iran

rale, irrompe Internet. Una legge del 1950 impone ai partiti politici e ai candidati tetti di costo, ponendo regole precise sul numero di minuti in televisione e perfino di volantini distribuiti. Naturalmente Internet non viene presa in considerazione, ma fino a oggi è prevalsa un’interpretazione restrittiva delle norme, che di fatto ha reso off-limit le campagne elettorali online. Negli ultimi mesi, però, sta crescendo il fronte di chi ritiene queste regole obsolete. Secondo Ken Takeuchi, presidente di Japan Internet News, quest’anno i candidati hanno iniziato a comprendere che la rete «è il luogo più conveniente e uno dei più efficaci per fare campagne elettorali».

Fra le varie ipotesi quella che riteniamo la più credibile è che la Arctic Sea oltre al legname, caricato sul ponte e destinato in Algeria, potrebbe aver trasportato, nelle stive, armi estremamente sofisticate, si pensa ai sistemi missilistici del tipo X-55 che dovevano essere scaricati, nella massima segretezza, in Iran. Anche se il rappresentante russo alla Nato, Dimitri Rogozin, ha bollato queste notizie come fantasie dichiarando che la Russia non fornisce tecnologia militare di questo tipo all’Iran i dubbi su questo punto crescono, anche perché la versione di Dimitri Rogozin contrasta con la politica dello stesso Putin che non ha mai fatto mistero di voler mettere gli iraniani in condizione di difendere i loro siti nucleari. Conferme di un coinvolgimento in questa storia da parte

ca Faneuil Hall, dove il sindaco Thomas Menino ha fatto suonare le campagne; infine l’ufficio dove Ted Kennedy ebbe il suo primo impiego come assistente del procuratore distrettuale. Nella Kennedy Library, una guardia d’onore militare si è unita ai familiari per vegliare giorno e notte. Migliaia di persone dovrebbero sfilare di fronte alla bara chiusa per porgere l’ultimo omaggio al senatore. Stasera, nella biblioteca si terrà un servizio funebre solo per gli invitati. Domani, il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, parteciperà alla messa privata in onore di Kennedy alla basilica di Our Lady of Perpetual Help, meglio nota a Boston come Mission Church. In questa chiesa, Kennedy pregava ogni giorno nel 2003, mentre la figlia Kara subiva le terapie contro il tumore ai polmoni che ha poi sconfitto. Obama parlerà alla funzione; previsti in chiesa anche gli ex presidenti Jimmy Carter, Bill Clinton, George H. W. Bush e George W. Bush. Kennedy sarà poi sepolto sabato sera al cimitero nazionale militare di Arlington, alle porte di Washington, insieme e i due fratelli assassinati, John Fitzgerald e Robert.


cultura

pagina 20 • 28 agosto 2009

Un quadro una storia. Il pittore romano cominciò a lavorare sulla famosa foto del 1909 subito dopo l’invasione dell’arte made in Usa alla Biennale del 1964

Futurismo in maschera Nel lavoro seriale di Mario Schifano sull’avanguardia storica la voglia di trovare una via italiana alla pop art americana di Angelo Capasso uando, nel 1995, ebbi la fortuna di conoscere Mario Schifano (per inserirlo nel mio progetto di dialoghi con gli artisti), ci soffermammo a parlare del Futurismo, o meglio dei suoi futuristi. In quei giorni, a Roma, era possibile rivedere alla galleria di Sauro Bocchi alcune delle sue opere del ciclo dei Cardinali, provenienti da una mostra che aveva aperto alla Galleria Mazzoli di Modena (nel 1993) dal titolo Udienza. Parlammo di quelle opere, della serie di Innocenzo X di Francis Bacon, del nostro comune amore per il film di Derek Jarman su Caravaggio. Quando nominai i futuristi, lui s’illuminò e disse: «Il futurismo è la velocità. Io sono veloce». Ed era la verità. In ogni cosa, il suo studio di via delle Mantellate, sembrava vivere in una dinamica aperta slanciata oltre il confine del presente: nei grandi schermi televisivi accesi su canali diversi, nelle opere di pittura su cui lavorava contempo-

Q

gueva quel suo spirito sanguigno onnivoro e curioso con cui affrontava le questioni dell’arte secondo un assunto perfettamente marinettiano, «Non v’è più bellezza se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro». Le opere del ciclo Futurismo rivisitato a colori sono certamente un punto centrale del suo lavoro. Di quella serie esiste una versione strabiliante realizzata su più pannelli (della collezione Franchetti) che in modo del tutto originale sintetizza l’arte, il design, il puzzle, la spazialità della pittura, la questione dell’oggetto “Arte”. La sua era un’aggressività culturale vissuta con grande delicatezza ed eleganza. Con stile. Schifano era un passionale, un genio del gesto e della mano, un intuitivo. Un artista di razza, senza alcuna velleità concettista o concettuale, sostanzialmente un uomo che esprimeva la sua indiscutibile genialità attraverso le immagini. Futurismo rivisita-

spinta industriale che in Italia ancora faticava a partire, ovvero le catene umane e disumane di montaggio ancora diventate un costume nazionale, e poi le scoperte tecnologiche (le automobili, il telegrafo senza fili, la radio, gli aeroplani); ma anche le incertezze politiche che l’arte assorbiva come vera speranza del cambiamento. Le novità della tecnologia erano interpretate dai futuristi come un segnale del tempo che polverizza lo spazio e avvicina le distanze geografiche, anzi le congiunge in rotte: geografie del possibile. È questa la velocità di cui si poteva parlare in un’epoca ancora di archeologia industriale: erano le strade, quelle slanciate nell’etere e quelle che invadevano la città illuminate dalla luce artificiale.

Dinamismo, velocità, futuro sono i termini chiave che lanciano la spinta dell’arte e la prospettiva italiana con cui ci si rivolgeva a Parigi. Schifano sintetizza tutto

operato con vernici spray creando una sorta di aeropittura pop, a partire dalla fotografia, da una immagine fissa del reale che si muove col gesto del movimento della mano che agita la bomboletta spray e lascia volare una polvere che si trasforma in velatura di colore. Si tratta certamente di una prosecuzione dell’estetica della velocità futurista, e quindi del dinamismo che lega i due mondi, Schifano e Marinetti, attraverso l’entusiasmo per i media. Come per il dinamismo futurista dei treni, degli aeroplani, delle masse multicolori e polifoniche e delle azioni quotidiane (del cane che scodinzola andando a spasso con la padrona, della bambina che corre sul terrazzo, delle ballerine), qui la leggerezza del pulviscolo del colore industriale si posa e crea una velatura trasparente lasciando spazio ad errori, sbavature, proprio a riprendere quasi la costruzione composta da linee spezzate,

Il suo studio era come un’astronave, dove oggetti, suggestioni, immagini e idee si mescolavano a ritmi elevatissimi. E diverse televisioni restavano sempre accese ciascuna sintonizzata su un canale diverso raneamente (ricordo un Andy Warhol con le ali da Angelo che ho poi ritrovato nella prima mostra antologica celebrativa dal titolo Tutto al Macro), nello stravagante jumping appeso alla parete dove, mi disse, il figlio, allora bambino, faceva free-climbing, nel telefono che squillava continuamente. Lo studio di Schifano era una navicella spaziale. Ed era proprio la velocità la qualità più seduttiva della sua pittura: antiretorica, disinvolta, elegante, capace di scrivere ad ogni gesto un nuovo capitolo anche di quanto poteva sembrare superato e prosciugato di ogni possibilità di interpretazione. Schifano, come Picasso, era un mediterraneo (nato in Libia, ma profondamente romano) e lo contraddistin-

to a colori è un’opera che sintetizza una storia tutta italiana in una sola immagine. I cinque futuristi, Balla, Boccioni; Marinetti, Sant’Elia, Severini, sbarcati a Parigi si lasciano immolare come i quattro moschettieri più uno.

Quei cinque uomini, che Prampolini ricorda come cinque dioscuri, incontratisi a casa di Marinetti, vero condottiero del futurismo, dalle voci decise e dal piglio certo, sono effigiati in quella foto in posizione di guerra. Una guerra fantascientifica lanciata verso il nuovo. Qual era il nuovo che l’Italia poteva proporre? Il futurismo assorbì in sé tutte le istanze di cambiamento sociale e culturale: sul piano sociale la povertà con la insita

ciò in un’immagine. Lo fa col suo metodo di artista che si muove sulle onde del Pop. Il ciclo del futurismo, per Schifano, è una risposta certa all’invasione della Pop americana, celebrata a Venezia con la Biennale del 1964: un vero sgambetto per l’arte italiana. Schifano contrappone all’immaginario dei media americani e dei film di Hollywood un’immagine fissa, che forse pochi conoscevano allora, con cinque sagome misteriose senza volto ritagliate sul vuoto. È il cappello a segnare il confine e lo stile dei cinque. «È il cappello a fare l’uomo» diceva Max Ernst. Sulla mascherina ritagliata da quell’immagine antica e supermoderna ad un tempo, Schifano ha

spigolose e veloci, dei futuristi e riportarla in una onda morbida, tra gioco, ironia, libertà del pensiero visivo.

Balla è stato un artista spesso citato da Schifano nelle sue opere. Romano, Giacomo Balla è stato colui che ha aperto la strada alla pittura astratta del gruppo romano di «Forma 1» (Carla Accardi, Ugo Attardi, Pietro Consagra, Piero Dorazio, Mino Guerrini, Achille Perilli, Antonio Sanfilippo e Giulio Turcato), proprio a partire dalla scomposizione del colore assorbita dalle scomposizioni fotografiche e fotogrammetriche della scena rese possibili dalla macchinetta fotografica. Balla è importante anche per il Cinema: è tra i firmatari

nel 1916, del «Manifesto della Cinematografia futurista», con Marinetti, Corra, Ginna e Chiti e Settimelli dove sosteneva come il cinema fosse “per natura” arte futurista, grazie alla mancanza di un passato e di tradizioni. I futuristi consideravano il cinema narrativo come la forma più deleteria del cinema, era per loro il vero cinema “passatista” ed erano invece a favore di un cinema fatto di «viaggi, cacce e guerre», all’insegna di uno spettacolo «antigrazioso, deformatore, impressionista, sintetico, dinamico, parolibero». Nelle loro parole c’è tutto un entusiasmo verso la ricerca di un linguaggio nuovo slegato dalla bellezza tradizionale, che era percepita come un retaggio vecchio e soffocante. Se per i futuristi, la retorica passatista era da identificare con le “tre corone” della poesia decadente (Carducci, Pascoli e D’Annunzio), per Schifano era la scena dei guttusiani, della pittura neorealista e del cinema malinconico, patetico del post dopoguerra da superare.

Il futurismo di Schifano è “rivisitato a colori” in quanto celebra la nascita di un gioiello che lui ha amato profondamente (dedicandovi vari cicli di opere) e noi continuiamo ad adorare come un dio laico: la televisione. Gran parte delle opere di questo ciclo dedicato ai Futuristi, sono infatti ricoperte da una calotta di plexiglas proprio a simulare uno schermo televisivo. E su quell’onda futurista, Schifano ha proseguito interessandosi poi - inevitabilmente - al computer per creare opere con le prime immagini elaborate in digitale e riportate su tele emulsionate (le ”tele computerizzate”). E’ questo ambito tecnologico ante litteram che Schifano può considerarsi il più grande interprete di una


cultura tri gruppi italiani (tra cui l’Equipe 84). E questo suo profondo amore lo portò a realizzare nel 1971 un film strepitoso, figlio della migliore tradizione del cinema di ricerca: è Umano non umano, in cui figurano la bellissima Rada Rassimov, il giovane critico cinematografico Adriano Aprà, il giovane attore e regista teatrale Carmelo Bene, il delicatissimo, fragile e ironico Sandro Penna, l’ormai dinosauro della letteratura italiana Alberto Moravia e, soprattutto, Mick Jagger che canta in playback, con tanto di recitazione, Street Fighting Man, il brano più impegnato dei Rolling Stones, intonato perfettamente con il film e con i tempi, in uno dei primissimi esempi di videoclip musicali. Per completare la congiunzione Schifano-Rolling Stones, il film fu coprodotto da Anita Pallemberg e Keith Richards. Molto futuro in quel film. Certamente un futuro a colori. Un futuro senza confini, ma anche senza limiti.

In queste pagine alcune opere dell’ultimo periodo di Mario Schifano. Qui sotto, invece, una delle varianti di “Futurismo rivisitato a colori”: una serie di lavori iniziati negli anni Sessanta Pop Italiana originale, in alcuni casi, più autentica di quella americana perché costruita su un immaginario popolare antico e supermoderno allo stesso tempo. Schifano del resto era molto più vicino alla Pop originaria, quella inglese nata nel 1956 con una mostra alla Whitechapel dal titolo This is Tomorrow dove si esponevano le opere di Richard Hamilton, Peter Blake, Antony Donaldson, Peter Phillips: un’idea di Pop che nasceva veramente dal basso e anelava ad un superamento della depressione

del dopoguerra ed ad un nuovo spirito con cui proporsi al mondo. Da qui, in Italia ed in Inghilterra nasce la cultura del design, degli oggetti industriali, della musica pop, della moda. Schifano, come Warhol assunse nel suo lavoro il processo del lavoro in team. Aveva anche lui una sua Factory, attraverso la quale produceva serialmente i suoi lavori. Soprattutto, anche lui amava la musica e si spinse fino a produrne. Se Warhol aveva prodotto i Velvet Underground di Lou Reed, Schifano lanciò un proprio gruppo, Le Stelle (il titolo anche di una sua serie di dipinti), che incise un album alla fine del 1967 di cui lui, oltre ad essere un componente, realizzò anche il design grafico. Lo entusiasmava la musica pop italiana, tanto che lavorò alla copertina dei dischi di al-

«Penso che un intellettuale debba essere sempre estremo, è l’unica qualità che ha l’arte, deve andare in fondo alle cose», confidava Alberto Moravia a Mario Schifano, visitando lo studio di Trastevere. Era futurista non in termini retorici, ma in quanto aveva interpretato perfettamente l’onda del tempo, dalle opere sino alla personalità, nel comportamento gentile e delicato, nel fascino maschile semplice. «Era soprannominato maestro del dolore perché sembrava stanco e vestiva di velluto nero», ricorda il gallerista Plinio De Martiis. «I suoi occhi erano di fuoco e aveva uno sguardo che mi consumava», racconta Marianne Faithfull nel film di Luca Ronchi Mario Schifano Tutto, di recente pubblicato in DVD per la Feltrinelli Cinema. Il lavoro cinematografico di Schifano, così come molti progetti di oggetti di design, oltre che molti lavori fotografici, sono ancora oggi poco conosciuti, anche dopo la lunga sequela di mostre dedicategli nel decennale dalla sua morte sopraggiunta nel 1998. Quel mio incontro con Mario

28 agosto 2009 • pagina 21

Nel 1971 realizzò uno strepitoso film d’avanguardia: «Umano non umano», con Rada Rassimov, Sandro Penna, Alberto Moravia, il giovane Carmelo Bene e Mick Jagger che canta in playback «Street Fighting Man»

Schifano è stato il testimone della Roma del boom targato anni Sessanta e poi degli Anni di piombo. Quel Futurismo rivisitato a colori è ancora una sintesi dei due tempi diversi, opposti, che hanno attraversato e rovesciato la Capitale come un treno in corsa. È anche il segnale di un’autonomia che Schifano ha vissuto con libertà apollinea anche nei confronti dell’arte stessa. Piuttosto che i circoli degli artisti, preferiva i circoli letterari, del cinema, della moda. L’intensità della vita. Per questo stesso motivo ha avuto, e talvolta rifiutato, esperienze internazionali che gli

Schifano non produsse molto per il mio libro di dialoghi con gli artisti. Ogni volta che lo chiamavo al telefono mi diceva di andare a trovarlo, era gentile, generoso, ma poi qualcosa succedeva nella sua navicella spaziale e quindi cambiava umore, si allontanava. In seguito scoprì che Schifano non amava molto rilasciare interviste, o perlomeno aveva perso ogni interesse per le dichiarazioni perentorie e definitive, quindi lasciava andare, scorrere liberamente la vita senza un contatto inciso e ultimo col mondo. Perfettamente normale per un intellettuale che opera attraverso le immagini. Una delle ultime volte, gli raccontai che avevo conosciuto il suo lavoro attraverso mio padre, che era un suo estimatore da tempo. Lui mi chiese di invitarlo a studio. Non si comportava da star. La qualità principale propria della sua genialità è ancor oggi leggibile attraverso le opere: una curiosità a 360° che lo ha spinto su territori sconfinati, sempre con un grande amore. Più di altri,

avrebbero oggi forse dato una notorietà internazionale diversa, del tutto meritata. E’il caso di ricordare l’occasione propostagli da Ileana Sonnabend, notissima gallerista di NewYork, moglie di Leo Castelli, cui Schifano rispose con un quadro con una sola scritta in rosso che recitava “No”, un rifiuto sostanziale alla richiesta di collaborazione a costo di dipingere meno. Il futurismo rivisitato a colori è certamente il principio di una teoria leggera che intende la moltiplicazione del pensiero in una pluralità di immagini e soluzioni che sul piano estetico ha intrecciato monocromi, policromi, ingrandimenti dei marchi della Esso e della Coca Cola, paesaggi anemici, campi di grano e campi di pane, ninfee, e sul piano sociale è rimasto un passaggio rapido tra le strade di Roma. Quando lo salutai, l’ultima volta (quando decisi che non sarei riuscito nel mio intento di registrare un dialogo con lui) mi disse sorridendo: «Scusa Angelo, ho da fare... Io sono veloce».


opinioni commenti lettere proteste giudizi proposte suggerimenti blog L’OCCHIO DEL MONDO - Le opinioni della stampa internazionale a cura di Pierre Chiartano

da ”Hareetz” del 27/08/2009

Ecco i progetti di Auschwitz piani architettonici, se così si può di re, di Auschwitz sono stati mostrati, ieri, al primo Ministro israeliano, Benjamin Netannyahu. Durante la visita tedesca, il premier ha potuto guardare i 29 schizzi e le planimetrie di quello che è stato uno dei più grandi campi di sterminio nell’Olocausto ebraico in Europa. I progetti sono stati scoperti a Berlino, lo scorso anno, e verranno portati in Israele per una mostra. I progetti risalgono al 1941, nella la Polonia già occupata dalle truppe naziste, dove si trovava il campo. I progetti comprendono degli schemi dettagliati per i baraccamenti dormitorio, gli impianti di disinfestazione e i forni crematori, comprese le camera gas. Gli schizzi del progetto sono considerati un elemento importante per meglio comprendere la genesi del progetto nazista di genocidio. Furono avviati dall’allora comandante delle SS, Heinrich Himmler e dal responsabile del campo di Auschwitz, Rudolf Hoess. Netanyahu visterà Wansee house, il posto dove, nel 1942, si tenne una riunione strategica, dove i nazisti formalizzarono il progetto per lo sterminio degli ebrei. Il premier ha anche stato nella redazione del settimanale Bild, per visionare le carte. «Non possiamo più permettere che qualcuno possa condurre progetti per l’eliminazione di massa, e neanche permettere che coloro che vorrebbero la distruzione della popolazione ebraica e dello Stato d’Israele rimangano impuniti» ha affermato Netanyahu. Il premier non ha menzionato direttamente l’Iran, ma è stato un chiaro riferimento al programma nucleare di Teheran che Israele considera una grave minaccia. Il leader israeliano ha ringraziato per il documento pubblicato da Alex Springer Verlag e per avergli fronito i documenti originali da

I

poter consegnare al museo dello Yad Vashem in Israele. «Ci sono coloro che negano l’esistenza dell’Olocausto» ha affermato il primo ministro. «Vengano a Gerusalemme e guardino questi progetti, questi progetti per una fabbrica della morte». Netanyahu è stato accompagnato nella visita in Germania da Yossi Peled, membro dell’attuale governo. Peled in quel periodo si nascose in Belgio da alcuni parenti cristiani, dopo che i suoi genitori erano stati ammazzati dai nazisti. Peled scoprì di essere ebreo quando aveva 7 anni, nel 1948, l’anno della fondazione d’Israele, dove poi si trasferì, diventando un generale dell’esercito. Gli schemi sono saltati fuori in un appartamento di Berlino, nel 2008. Come fossero finiti lì, non è ancora chiaro, ma la loro autenticità è stata certificata dall’Archivio federale tedesco. Mentre non sono gli unici progetti di Auschwitz in circolazione – altri schemi furono presi dagli uomini dell’Armata rossa e portati a Mosca – «sono i soli che verranno portati in Israele allo Yad Vashem», ha commentato il direttore del museo dell’Olocausto.

«È il progetto iniziale, quello trovato a Berlino, che risale all’autunno del 1941» ha spiegato il direttore Avner Shalev. «Fa capire meglio l’intero processo e le intenzione dei progettisti del campo, da questo punto di vista è di estrema importanza». Gli schemi sono stati comprati dalll’editore tedesco del noto settinale Bild, Axel Sprinter Verlag. Li aveva un personaggio rimasto anonimo. Ora Verlag li ha

regalati al museo di Gerusalemme. Shalev ha assicurato che potranno essere esposti al pubblico dal prossimo mese di gennaio, in occasione di una mostra per festeggiare il 65mo anniversario della liberazione del campo di Auschwitz. Le carte comprendono anche i progetti di espansione delle strutture del lager, poi diventato Auschwitz-Birkenau, dove avvennero la maggior parte delle uccisioni. Più di un milione di persone, gran parte ebrei, morirono nelle camere a gas o a causa dei lavori forzati, delle malattie e della fame, nel campo che i nazisti costruirono nella Polonia occupata. Netanyahu si trova a Berlino per incontri ufficiali con la cancelliere Angela Merkel e con il ministro degli Esteri, FrankWalter Steinnmeier. Il vertice di Wansee fu la certificazione del progetto di sterminio, ma gli ebrei avevano cominciato a morire ben prima. L’ordine non scritto venne direttamente da Adolf Hitler e Wansse servì solo come coordinamento del folle progetto.

L’IMMAGINE

Valorizziamo la cultura locale nel processo formativo degli studenti e degli insegnanti Sarebbe il caso di smetterla di fare polemiche inutili. Meglio conoscere il contenuto delle proposte prima di criticarle. Inoltre occorre rappresentare correttamente le dinamiche del confronto in Commissione. Punto primo: il presunto esame di dialetto è una bufala. La proposta è quella di fare dei test preselettivi per consentire l’accesso agli albi regionali degli insegnanti, albi previsti proprio dalla proposta di legge in discussione. Tali test sono visti come propedeutici rispetto al superamento dei concorsi pubblici. Bisogna eliminare la sperequazione che si crea dando esclusivo peso alla valutazione dei titoli scolastici, perché ci sono università più “generose” e università più “rigorose”. Il test dovrà riguardare uno spettro culturale ampio, non riconducibile alla banalizzazione che viene fatta dai giornali. Quanto alle dinamiche del confronto in Commissione vorrei precisare che il ministro Gelmini è la prima a ritenere che sia necessario quell’approfondimento al testo Aprea.

Tiziana Passerotto

PRATICHE A TUTELA Le pratiche a tutela costituiscono un importante tema di riflessione e proprio per la loro importanza non meritano strumentalizzazioni. Costituiscono infatti quegli interventi che il Csm fa per dovere istituzionale a difesa di taluni magistrati sottoposti a critiche, considerate ingiuste e delegittimanti, per la loro attività giudiziaria. Ciò invero serve anche a riaffermare il principio costituzionale dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura nel suo insieme (artt. 101 e 104 della Costituzione). L’apertura di queste pratiche deve tener sempre conto dell’esigenza di trovare un punto di equilibrio tra la necessità di difendere l’autonomia di ogni singolo collega e quella di esigere che processi delicati si ce-

lebrino con riservatezza, con imparzialità e senza dare adito a polemiche e a strumentalizzazioni. Negli ultimi anni questa tipologia di atti si è notevolmente incrementata, ma vorrei ricordare come il prof. Giovanni Conso, presidente emerito della Corte costituzionale, alla cerimonia celebrativa per il cinquantesimo anniversario della legge istitutiva dell’organo di autogoverno dell’Ordine giudiziario, abbia sottolineato la positività delle pratiche a tutela delle toghe, spesso vittime di «ingiuste colpevolizzazioni, più o meno manovrate, genericamente formulate», e invitato a nulla troppo affrettare, stando «attenti, semmai, a ricercare il perché della campagna denigratoria». La mole di fascicoli pendenti presso il Consiglio induce

Carne senza ossa In questo campo di soia nasceranno le “bistecche” per i vegetariani. In Giappone tofu, il famoso “formaggio” di soia significa infatti “carne senza ossa”. Si pensa che l’alimento sia stato creato da un monaco cinese più di duemila anni fa. Liu An nel corso dei suoi esperimenti scoprì che facendo cagliare i fagioli di soia, si otteneva un prodotto non solo commestibile ma anche buono ad una riflessione sulle modalità e i limiti di queste pratiche a tutela dei magistrati, sul perché esse vengano aperte in favore di determinati magistrati mentre in altri casi analoghi il Csm taccia. Inoltre, il fatto che l’istituto delle pratiche a tutela non sia previsto dalla legge, ma sia invalso in una “prassi” consolidatasi nell’ultimo quindicennio, consiglierebbe – a

mio avviso - una ulteriore rivisitazione della materia. In questo quadro la minaccia di dimissioni da parte del collega Pepino, motivata dal mancato inserimento nell’ultimo ordine del giorno del plenum di alcune “pratiche a tutela”, non è condivisibile (perché esse ben potranno essere discusse entro il mese di settembre) ed è stravagante (perché le dimissio-

ni sono “accompagnate” dall’immediato dichiarazione di ritiro delle medesime per inspiegabili ragioni legate a chi eventualmente gli subentrerebbe). Ritengo che la strada da seguire debba sempre essere quella del dialogo accompagnato dalle fermezza delle proprie idee.

Cosimo Maria Ferri Componente del Consiglio Superiore della Magistratura


opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog

dai circoli liberal

LETTERA DALLA STORIA

Vorrei riscattare le tue lacrime con altrettanti bicchieri di sangue Le lacrime che trovo sulle tue lettere, queste lacrime che io ho causato, vorrei riscattarle con altrettanti bicchieri di sangue. Me ne rammarico, ciò aumenta il disgusto che ho di me stesso. Senza l’idea che ti piaccio, mi farei orrore. Del resto, succede sempre così: si fanno soffrire quelli che si amano, o sono loro a farvi soffrire. Ma come puoi rimproverarmi questa frase: «Vorrei non averti mai conosciuta!» Non ne conosco di più tenere. Vuoi che ti dica quale vi metterei in parallelo? Una che ho pronunciato la vigilia della morte di mia sorella, che mi è partita come un grido e che ha fatto indignare tutti quanti. Si parlava di mia madre: «Se potesse morire!». E poiché protestavano: «Sì, se volesse gettarsi dalla finestra, gliela aprirei subito». Sembra che tutto ciò non sia di moda e appaia strano o crudele. Cosa diavolo dire quando il cuore è così pieno da scoppiare? Chiedi a te stessa se ci sono molti uomini che ti avrebbero scritto la lettera che ti ha fatto tanto male. Pochi, credo, avrebbero avuto quel coraggio e quell’abnegazione gratuita. Quella lettera, amore, bisogna strapparla, non pensarci più, o rileggerla ogni tanto quando ti sentirai forte. Gustave Flaubert a Louise Colet

ACCADDE OGGI

PER UNA SCUOLA LIBERA DALLA RELIGIONE La sentenza del Tar del Lazio, che esclude l’insegnamento della religione cattolica dalla valutazione sul profilo scolastico degli studenti, è una sentenza degna di un Paese civile. L’Italia da un quindicennio conosce scarsissimi squarci di civiltà. Quando giungono: ben vengano, visto che ci fanno ricordare che viviamo in Europa e nell’Occidente democratico (ovvero non in una teocrazia). E così sia, miei cari parrucconi: la religione cattolica a scuola è materia di serie B. Non vi sta bene? Vogliamo allora far notare che gli insegnanti di religione sono pagati dalla Stato, ma scelti dalla Curia? Vogliamo far notare come la religione cattolica sia materia gravemente “di parte” in una scuola pubblica che si pretenderebbe essere laica? Vogliamo farlo notare alla ministra Gelmini che pur stimiamo quando si tratta di ridurre gli sprechi, che sarebbe bene ridurli anche e proprio in quel settore/materia scolastica? Ovvero, se uno vuole conoscere qualche cosa della religione cattolica vada pure a catechismo. Ci siamo andati anche noi, da bambini, in fondo. Ma la scuola rimanga luogo di cultura libera (e di culto libero), per favore. E gli insegnanti di religione li paghino pure i preti nelle loro parrocchie. Dateci pure degli anticlericali borghesi, d’antan, vieti, vietati e così via. Ne andiamo fieri proprio in quanto non solo amiamo il concetto del sacro, ma finanche la libera spiritualità, che spesso stanno alla base del libero pensiero di

e di cronach di Ferdinando Adornato

Direttore Editoriale Ferdinando Adornato Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Francesco D’Onofrio, Gennaro Malgieri, Bruno Tabacci

Ufficio centrale Gloria Piccioni (direttore responsabile) Andrea Mancia, Errico Novi (vicedirettori) Nicola Fano (caporedattore esecutivo) Antonella Giuli (vicecaporedattore) Franco Insardà, Luisa Arezzo, Stefano Zaccagnini (grafica)

28 agosto 1963 Durante una manifestazione per i diritti civili che raduna 200.000 persone Martin Luther King tiene il famoso discorso del I have a dream 1968 Scontri a Chicago durante la Convention democratica 1972 Durante i giochi olimpici di Monaco, Mark Spitz ottiene la prima delle sue sette medaglie d’oro nelle gare di nuoto 1975 Il missionario Armand Doll viene imprigionato in Mozambico dagli estremisti marxisti. Nei molti mesi seguenti riuscirà a far pervenire delle lettere all’esterno, infilandole in tubetti del dentifricio 1979 Una bomba dell’Ira viene fatta esplodere a Bruxelles 1981 Il National Centers for Disease Control annuncia un’alta incidenza di pneumocisti e sarcoma di Kaposi negli uomini gay 1986 L’ufficiale della Us Navy Jerry A. Whitworth, viene condannato a 365 anni di carcere per spionaggio a favore dell’Unione Sovietica

Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Francesco Capozza, Giancristiano Desiderio, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria)

bruniana memoria (di quel Giordano Bruno che tentò invano di spiegare alla Chiesa i suoi grossolani errori, anche spirituali, e che per questo finì al rogo). Aborriamo l’ateismo proprio perché gli atei sono come i clericali: sbandierano Dio e la Religione a loro esclusivo uso e consumo. E invece, sommessamente ma con una certa forza, vogliamo sostenere la laica e liberale abolizione dell’ora di religione, sostituendola con la ben più utile ora di storia delle religioni. Magari anche storia delle religioni dalle antiche civiltà ai nostri giorni: un vero excursus approfondito nel solco del sacro. E si lascino anche nelle Chiese quei tanto vilipesi crocifissi! Non li si esponga in luoghi nei quali, francamente, non c’entrano nulla (così come un cane non si è mai visto in una Chiesa). E allora, fra corsi e ricorsi di ministri e politici impazziti alla ricerca della benedizione taleban-vaticana, fra laici e laicisti, sanamente laici e laici malati come noi (malati d’amore per il sacro, non certo per il potere temporale e secolare, lo ribadiamo)... ricordiamoci ora e sempre della massima che Tocqueville ispirò al conte di Cavour: «Libera Chiesa in Libero Stato». Il 20 settembre è vicino. E anche Papa Paolo VI soleva ricordare che la liberazione dal potere temporale dei Papi fu un bene per l’Italia. Non rimane, oggi, che liberare l’Italia dai politici (del Pd e del Pdl) soggetti a certe nefaste influenze che vorremmo definire «insanamente clericali ed ancor più illiberali».

ITALIA FRANCIA 1-5 C’è chi parla di seconda o terza repubblica in Italia. Il richiamo storico è alla Francia. La Prima Repubblica fu quella della rivoluzione, durò dal 1792 al 1804 e morì con il colpo di Stato di Napoleone. Poi la restaurazione monarchica e la Seconda Repubblica nata nel 1848: finì nel 1852 e fu il doloroso parto di una forte crisi economica a cui seguì un colpo di Stato. Significò la libertà per tutti gli schiavi delle colonie e riforme sociali a cui seguì Luigi Napoleone del Partito Imperialista che vinse sia sui repubblicani che sui socialisti. E la Francia diventò una potenza industriale. La Terza Repubblica seguì alla guerra franco-prussiana nel 1870 e all’espansione coloniale. La Quarta alla fine della guerra fino al 1958 e cioè fino a quando non si riuscì a porre rimedio all’instabilità politica e alle ripercussioni della crisi algerina. Con la Quinta Repubblica,la Francia entrò nella fase moderna e post coloniale, con un sistema politico parlamentare e semipresidenziale. La fase di riforma si concluse nel 1962: attraverso un referendum il 62% dei francesi scelse l’elezione del presidente, a cui erano stati dati poteri più forti, attraverso il suffragio universale. La Francia riuscì così a superare la fase post coloniale e a darsi programmi lungimiranti sia sotto il profilo energetico, di infrastrutture, di welfare e a mio avviso molto si deve a Valéry Giscard d’Estaing. Fu uomo di De Gaulle, il suo “Tremonti”. Poi iniziò il distacco, fondò un partito di centro di repubblicani, democratici cristiani, liberali e socialdemocratici e partì la sua avventura alla conquista dell’Eliseo. Ci riuscì, evitò che la Francia finisse in mano alla sinistra, il che facilitò la sua evoluzione verso il socialismo moderato che poi portò alla presidenza Mitterand. Tutto ciò garantì il perdurare nella continuità di una certa visione della Francia e dei suoi piani di sviluppo economici e sociali per il popolo. Parlare di Prima o Seconda Repubblica è quindi ridicolo da noi. Nella storia politica della Francia la sensazione è quella che dalla Rivoluzione in poi i fatti conseguirono dalla triangolazione dei rapporti reciprocamente condizionati tra il ruolo della Francia negli avvenimenti epocali mondiali. Il popolo francese e le forme politiche di potere come risposta adeguata. Da noi la triangolazione è sempre stata tra l’adattamento agli avvenimenti mondiali per sopravvivere, le ragioni-negazioni unitarie costitutive risorgimentali e le sue conseguenze sulle forme di occupazione del potere a prescindere dal popolo e dalla qualità degli atti di governo esecutivo, legislativo e giudiziario. Francia 5 - Italia 1 Repubbliche. Leri Pegolo CIRCOLO LIBERAL PORDENONE

APPUNTAMENTI SETTEMBRE 2009 LUNEDÌ 7, ROMA, ORE 11 HOTEL AMBASCIATORI - VIA VENETO Riunione straordinaria del Consiglio Nazionale dei Circoli liberal. VINCENZO INVERSO, SEGRETARIO ORGANIZZATIVO NAZIONALE CIRCOLI LIBERAL

Luca Bagatin

Aldo Forbice, Antonio Funiciello, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Aldo G. Ricci, Giorgio Israel, Robert Kagan,

Supplemento MOBYDICK (Gloria Piccioni)

Filippo La Porta, Maria Maggiore,

Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Baiocchi, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Angelo Crespi, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei, Alex Di Gregorio

Andrea Margelletti, Adriano Mazzoletti,

Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Gabriella Mecucci, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Ernst Nolte, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo,

Società Editrice Edizioni de L’Indipendente s.r.l. via della Panetteria, 10 • 00187 Roma

Distributore esclusivo per l’Italia Parrini & C - Via di Santa Cornelia, 9 00060 Formello (Rm) - Tel. 06.90778.1

Amministratore Unico Ferdinando Adornato

Diffusione Ufficio centrale: Luigi D’Ulizia 06.69920542 • fax 06.69922118

Concessionaria di pubblicità e Iniziative speciali OCCIDENTE SPA Presidente: Emilio Bruno Lagrotta Amministratore delegato: Raffaele Izzo Consiglio di amministrazione: Ferdinando Adornato,Vincenzo Inverso, Domenico Kappler, Gennaro Moccia, Angelo Maria Sanza Amministrazione: Letizia Selli, Maria Pia Franco Ufficio pubblicità: 0669924747

Gianfranco De Turris, Rossella Fabiani,

Emilio Spedicato, Davide Urso,

Tipografia: edizioni teletrasmesse Editrice Telestampa Sud s.r.l. Vitulano (Benevento) Editorial s.r.l. Medicina (Bologna)

Pier Mario Fasanotti, Marco Ferrari,

Marco Vallora, Sergio Valzania

Agenzia fotografica “LaPresse S.p.a.”

Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Roselina Salemi, Katrin Schirner,

Abbonamenti

06.69924088 • fax 06.69921938 Semestrale 65 euro - Annuale 130 euro Sostenitore 200 euro c/c n° 54226618 intestato a “Edizioni de L’Indipendente srl” Copie arretrate 2,50 euro

Registrazione Tribunale di Salerno n. 919 del 9-05-95 - ISSN 1827-8817 La testata beneficia di contributi diretti di cui alla legge n. 250/90 e successive modifiche e integrazioni. Giornale di riferimento dell’Udc

e di cronach

via della Panetteria 10 • 00187 Roma Tel. 0 6 . 6 9 9 2 4 0 8 8 - 0 6 . 6 9 9 0 0 8 3 Fax. 0 6 . 6 9 92 1 9 3 8 email: redazione@liberal.it - Web: www.liberal.it

Questo numero è stato chiuso in redazione alle ore 19.30


PAGINAVENTIQUATTRO

Paradiso perduto. Il premier Tuilaepa Sailele abolisce la guida a destra a partire dal 7 settembre

Samoa non vuole la svolta di Francesco Lo Dico utentici paradisi per turisti e correntisti, ammantate di gradevoli attrazioni naturali come gli alberi di cocco, le barriere coralline e milioni di dollari esentasse, le isole Samoa hanno tutta l’intenzione di tramutare nei prossimi giorni l’Oceano Pacifico che le ospita in un luogo assai meno serafico. A scatenare la buriana ci ha pensato l’attuale premier Tuilaepa Sailele, reo di aver annunciato l’introduzione della guida a sinistra a partire dal sette settembre.

A

Un provvedimento che ha scatenato l’indignazione degli altrimenti cordiali indigeni, che hanno sollevato una ridda di proteste contro il metodo di marcia all’inglese. In realtà dietro la rivoluzione stradale capeggiata da Sailele non si annida alcun vassallaggio postumo nei confronti dei baronetti di Sua Maestà, ma un semplice tornaconto economico che pure, con le avventure britanniche nei Mari del Sud, ha a che vedere. Il premier punta infatti all’importazione di numerose auto di seconda mano che gli emigranti di Samoa oggi residenti in Australia e Nuova Zelanda (circa 170mila), potrebbero concedere a familiari e parenti rimasti nelle isole a costo zero. Una misura che andrebbe a incidere in modo significativo sul tenore di vita di molti isolani, a prima vista. Se infatti si considera che solo 18mila samoani su 180mila hanno il privilegio di scorrazzare tra le foreste pluviali di Upolu a bordo di autovetture, l’originale import no-cost sembra una misura degna della più alta finanza creativa tremontiana. Se invece si guarda la cosa dal punto di vista di chi la patente ce l’ha già, cambia tutto. Che cosa mai dovrebbero farsene, si chiedono basiti almeno 12mila samoani attrezzati per la guida a destra, di un volante simpaticamente collocato a sinistra come vuole la bisogna? Osservare i fortunosi possessori di auto con volante a destra, che in numero di 4mila potranno circolare felici, liberi d’un colpo dal peso esistenziale di 12mila vetture che ingombravano i loro sogni,

A SINISTRA cancellate dalle mappe stradali per decreto? La mossa pare insomma bislacca: l’obiettivo è aumentare il parco macchine samoano. La sostanza è invece che l’unico effetto visibile sulle strade samoane, sarà simile a quello che prova l’automobilista romano in tangenziale il 15 di agosto: prove libere per tutti e dilettante chi non derapa

d’auto, che sottolineano come i loro mezzi diventerebbero in un mondo che preferisce la sinistra, obsoleti rigurgiti destrorsi, schifati a ogni latitudine delle isole. Senza contare poi che l’agguerrita associazione sorta fra gli strenui difensori della destra (stradale), ha consegnato al premier Sailele una tignosa sfilza di domande alla D’Avanzo. Quanto costerà l’adeguamento della segnaletica stradale all’erario di Samoa? E quanto, in termini di vite umane, l’inevitabile trafila di incidenti legata a una lunga e inveterata militanza stradale destrorsa? Gli affiliati, sempre più numerosi e agguerriti, hanno ottenuto per il momento un primo risultato: un sesto dell’intera popolazione ha sottoscritto una petizione contro la svolta a sinistra, e il tribunale, sull’onda delle proteste, si esprimerà la prossima settimana sulla validità del provvedimento. E di meno non potrebbe importar loro, se il 36 per cento della popolazione mondiale, tra cui giapponesi, indiani, australiani e neozelandesi se la spassa un mondo a guidare a sinistra. Il comitato People Against Switching Sides ha intrapreso un’azione legale contro il governo, ritenendo la proposta del primo ministro anticostituzionale perché non garantisce il diritto alla vita dei cittadini.

ll capo del governo punta all’importazione di numerose auto di seconda mano che gli emigranti oggi residenti in Australia e Nuova Zelanda (circa 170mila), potrebbero cedere a costo zero a familiari e parenti rimasti nelle isole del Pacifico sui cordoli. Dal sette settembre, a Samoa, 12mila vetture saranno infatti fuori dal giro, nella speranza che gli emigranti si ricordino dei familiari appiedati e spediscano loro qualche traballante berlina a bordo di una piroga. Non basta, perché i polinesiani più pacifici dell’Oceano, una volta che riesci a farli arrabbiare non li tieni più.

Altro che talofa lava e saluti di benvenuto. Autisti di autobus e pullman, che da queste parti in cui si campa di turismo sono come furgoni portavalori, minacciano giorni di sciopero e disservizi da far impallidire le nostre municipalizzate. Entro una settimana dovrebbero spostare tutte le portiere dei loro mezzi e nel migliore dei casi accolgono l’incombere del provvedimento con una grassa risata. Molte meno se ne farebbero i turisti costretti a uscire a destra alla vecchia maniera. L’equivalente di un’eccitante sessione di Grand Tefht Auto, vissuta dalla parte dell’incauto pedone. Ridono poco anche i noleggiatori

Nessuno vuole la svolta a sinistra. Roba da far tremare i polsi a Franceschini. Un affaire che suscita tra gli oppositori samoani impertinenti domande sul premier Sailele: fareste mai guidare la vostra macchina a quest’uomo? Solo se ha il volante a destra, e passa la svolta a sinistra, risponderebbero in molti.


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.