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Il cuore è un gabbiano che vola

nei cieli della vita. Lascialo andare senza paura, ti condurrà alla felicità Sergio Bambarèn

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di Ferdinando Adornato

QUOTIDIANO • SABATO 12 SETTEMBRE 2009

DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK

A Chianciano gli Stati generali dell’Udc per rilanciare il progetto centrista

Parla Angela Merkel

«L’Europa ha bisogno di una nuova politica cristiana» di Margarete Huhnerbein

Un nuovo Centro per l’Italia Così il Paese non si governa: apriamo una nuova fase della vita della Repubblica. Oggi parlano anche Fini e Rutelli

«Bravo Casini, un buon inizio» «La strada del coraggio scelta è quella giusta»: parla Mino Martinazzoli.

di Errico Novi a pagina 4

alle pagine 2, 3, 4 e 5

a pagina 6

Lo strappo di Alfano

Senza etica il capitalismo non regge

Il Guardasigilli difende la magistratura. E Fini applaude di Francesco Capozza e Riccardo Paradisi

di Steven Malanga ell’opera Democrazia in America, Alexis de Tocqueville si preoccupava che le società libere e capitaliste potessero sviluppare un così forte «gusto per la gratificazione fisica» che i cittadini si sarebbero lasciati trasportare ed avrebbero perso il proprio ritegno. Cercando avidamente il guadagno personale, rischierebbero di «perdere di vista la stretta connessione che esiste tra fortuna privata di ognuno di loro e la prosperità del tutto» e infine indebolire sia la democrazia che la prosperità. Il genio dell’America agli inizi del XIX secolo, secondo Tocqueville, stava nel ricercare l’«industria produttiva» senza scivolare nel letale materialismo. Dietro all’atto di compensazione dell’America, come notò l’avveniristico filosofo sociale francese, giace una serie di virtù civiche comuni che celebrano non solo il duro lavoro ma anche la parsimonia, l’integrità, la fiducia in se stessi e la modestia - virtù che emergono dalla diffusione capillare della religione, che Tocqueville chiamava «la prima delle istituzioni politiche [dell’America],... che impartisce moralità» alla democrazia americana e ai mercati liberi». a pagina 12 seg1,00 ue a (10,00 pagina 9CON EURO

L

Intanto Bossi minaccia: «Il presidente della Camera deve stare ai patti»

La crisi ci ricorda che mercato e democrazia non possono fare a meno delle virtù civiche

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a Cancelliera Angela Merkel traccia in una lunga intervista il programma per un nuovo soggetto politico di centro nella scena europea. Il cui fulcro deve poggiare sulla dottrina sociale della Chiesa: il fattore “c”, come cristiano, che la leader del Cdu definisce “imprescindibile” se si vuole ottenere credito elettorale e buon governo.

ROMA. Nella maggioranza è tutti con-

I calcoli della Commissione in vista del G20

La crisi è già costata il 30% del pil europeo

tro tutti al punto che è difficile capire ormai gli schieramenti. Prendiamo quello che è successo ieri: Schifani per difendere Berlusconi ha attaccato Fini e i magistrati; Alfano - udite udite! - ha difeso i magistrati e Fini. Bossi ha attaccato Fini ma ha lanciato uno dei suoi soliti messaggi oscuri sul premier. Morale: è sempre più difficile trovare il bandolo delle alleanze, da quelle parti. Ha cominciato il Guardasigilli dicendo che sulla mafia i pm sono sereni e non fanno politica. Fini ha subito applaudito mentre Schifani ha tuonato: «Non è vero! Dietro la riapertura delle inchieste di mafia c’è un teorema». Bossi, invece, la mafia la vede nella vicenda del giro di prostitute di casa Berlusconi: «Una roba organizzata dalla mafia», ha detto in margine al consueto rito pagano dell’ampolla padana. E Fini la smetta di difendere gli immigrati, «o se li porti a casa sua».

ella immagine: quella utilizzata da Luca Paolazzi, direttore del Centro studi di Confindustria, per descrivere la crisi. Si è trattato di un grande incendio che ha devastato il territorio. Occorrerà ora una grande opera di rimboschimento. Operazione non semplice. Di solito i grandi incendi salvano gli alberi più forti, ma distruggono il sottobosco. Quelle miriadi di piccole e piccolissime imprese che costituiscono il vero tessuto produttivo italiano. Rivitalizzarle, non sarà quindi facile, specie se si considerano le resistenze del sistema bancario italiano. Comunque un filo di speranza si coglie nelle nuove previsioni elaborate dallo stesso Centro, all’insegna di un minor – anche se la correzione è micro: dal meno 4,9 al meno 4,8 per il Pil del 2009 – pessimismo.

alle pagine 10 e 11

segue a pagina 8

I QUADERNI)

• ANNO XIV •

NUMERO

181 •

di Gianfranco Polillo

B

WWW.LIBERAL.IT

• CHIUSO

IN REDAZIONE ALLE ORE

19.30


pagina 2 • 12 settembre 2009

centro/gli stati generali

Progetti. Sono iniziati i lavori degli Stati generali dell’Udc, l’appuntamento che vuole disegnare un soggetto politico inedito

Sta cominciando il futuro

A Chianciano un’aria da nuovo inizio: sia nei discorsi dei protagonisti del Centro sia nelle speranze degli ospiti. Oggi arrivano Fini e Rutelli di Franco Insardà e Errico Novi CHIANCIANO. Entusiasmo e consapevolezza: entusiasmo per il progetto che continua e consapevolezza del ruolo che i centristi avranno nei prossimi mesi. Un ruolo sottolineato nel discorso di apertura degli Stati generali dal segretario dell’Udc Lorenzo Cesa, e dal presidente della Costituente di Centro Savino Pezzotta. Convinti del lavoro svolto e del progetto che si sta concretizzando gli

nale festa», ma si è pensato di «utilizzare questi tre giorni per discutere delle nostre idee e dei nostri progetti». Allo stesso modo nel suo intervento Pezzotta tiene a sottolineare che la scommessa centrista «non è stata caratterizzata da un percorso facile e bisogna darne atto all’Udc di Casini, alla Rosa bianca, ai circoli liberal di Adornato, ai popolari di De Mita, di Carollo, agli amici di Gianni Rivera e a quelli di SAVINO PEZZOTTA Magdi Cristiano Allam. Una pluraAvvertiamo tutti lità di soggetti proche stiamo venienti da espea una svolta, rienze e storie disi respira un’aria verse che hanno da 1992, quando saputo individuaci furono i giorni re il filo comune di tangentopoli. degli ideali e della È cominciato proposta politica. il declino Gli Stati generali di Berlusconi devono segnare e sta inziando un passo in avanti una fase – dice Pezzotta - «e del tutto nuova sono contento che tanti amici delle associazioni parorganizzatori hanno voluto rap- tecipino al nostro dibattito e cerpresentare, anche plasticamente, chino di capire e camminare con che l’Unione di Centro è una noi. Il nostro è stato un atto di corealtà che, giorno dopo giorno, raggio politico, di moralità pubbliprende corpo. Sul palco c’è il con- ca. Sembra quasi uno scherzo delsiglio di presidenza rappresentato la storia che sia toccato a chi si deda Rocco Buttiglione, Lorenzo finisce moderato battersi per un Cesa, Savino Pezzotta e Ferdinan- cambiamento profondo, per cerdo Adornato. care di arrestare una deriva bipartitica». E Cesa annuncia che dopo Una data particolare. Nell’aprire i le Regionali si svolgerà il congreslavori il presidente dell’Udc Butti- so: «Abbiamo aperto un cantiere glione ricorda l’anniversario delle per costruire un partito nuovo auTorri gemelle e il sacrificio dei sol- tonomo, di centro, e dimostrato la dati italiani e di tutte le forze ar- nostra disponibilità a lavorare da mate impegnate nella lotta al ter- pari a pari, fianco a fianco senza rorismo. Con l’Inno di Mameli dif- rivendicare primogeniture, con fuso in sala e intonato da tutto il chiunque abbia in mente lo stesso popolo centrista. E in apertura del progetto e condivida la critica rasuo intervento il segretario Cesa dicale a questo bipolarismo rissoricorda «l’incondizionato soste- so e inconcludente. C’è bisogno di gno all’America e ai suoi valori di una forza laica che affondi le radiciviltà e democraLORENZO CESA zia», e invita la platea a un minuto Il governo di silenzio, mentre si è rinchiuso scorrono le tragiin un fortino che immagini dele gioca l’attentato dell’11 alla guerra settembre 2001. tutti. contro Cesa non nasconContro de la soddisfaziole banche, ne per il lavoro gli economisti, svolto dalla Costile Procure, tuente di Centro e i giudici spiega che «ree l’Unione sponsabilmente europea non è stata organizzata la tradizio-

Il programma degli Stati Generali. E stasera c’è anche una ”festa”

Parlano De Mita Buttiglione e Adornato Domani mattina chiude Casini CHIANCIANO. I lavori degli Stati Generali dell’Udc continunao oggi e domani a Chianciano. Di fronte all’Assemblea plenaria con i dirigenti del partito, i deputati, i senatori, gli europarlamentari, oggi parleranno tra gli altri Ciriaco De Mita, Rocco Buttiglione e Ferdinando Adornato. Poi ci saranno gli interventi di Enrico Cisnetto, presidente di Società aperta, Luigi De Vecchis, Nokia sistem networks, Angelo Santoro, presidente del Movimento disabili, Donato Raffaele del Ser.mi.g e Daniela Ropelato del Movimento per l’Unità. Sempre in mattinata parlerà Rita Clementi, la ricercatrice di Pavia che aveva scritto a Napolitano prima di andare negli Usa.

Nel pomeriggio – sempre oggi – sarà la volta di Giorgio N. Guerrini, presidente di Confartigianato, Simone Pillon, Forum delle famiglie, Paolo Voltaggio e Paolo Floris di Identità cristiana, Raffaele Lo Iacono di Rinnovamento dello Spirito, Roberto Grossi, presidente di Federculture e di Angelo Deiana, presidente del Comitato scientifico Colap. Saranno presentati i documenti del partito su economia, ambiente, famiglia, sicurezza, lavoro, federalismo e cultura. Domani mattina alle 11 chiuderà Pier Ferdinando Casini. Infine, sempre per statsera, è prevista anche una vera e propria «festa» dei centristi nel centro storico di Chianciano: ci saranno sia un’area ristoro sia due aree dedicate alla musica e al divertimento.

ci nella nostra comune identità cristiana, che metta al centro la famiglia e le fasce deboli».

si sta seduti a palazzo Chigi, ma cosa si fa per il bene del Paese».

Il caso Avvenire. E la polemica a La crisi economica. Il segretario distanza con il premier è prosedell’Udc evidenzia come «l’Italia guita sulla vicenda che ha avuto ha di fronte a sé molte emergen- per protagonista l’ex direttore di ze, ma il governo si è rinchiuso in Avvenire: «È difficile dialogare un fortino e gioca alla guerra con- con chi ha tempo solo per armare tro tutti: banche, economisti, giu- la penna avvelenata dei giornali dici, i pochi giornali e qualche te- di famiglia, salvo raccontare la falevisioncina che si permette di voletta di non essere d’accordo esercitare il diritto di critica, l’U- con il direttore che ha appena asnione europea, il Parlamento, la sunto a suon di milioni di euro e Chiesa». Quest’ultima, secondo con chi si preoccupa soltanto di Cesa, attaccata perché «si permet- tappare la bocca a chi dissente, te di criticare le politiche migrato- come è avvenuto nel caso di Dino rie dettate dalla xenofobia leghi- Boffo, un cristiano vero a cui va sta e di chiedere una condotta più tutta la nostra solidarietà». Anche discreta a chi ha la responsabilità su questo argomento Savino Pezdi rappresentare il governo dell’I- zotta va giù duro: «Il proditorio attalia». Cesa quindi MAGDI CRISTIANO ALLAM rincara la dose: «L’Italia, con il goDobbiamo verno Berlusconi, creare un Centro sta affondando. La che sia verità è che il goil riferimento verno è impegnato per la famiglia a coprire la sua innaturale capacità di fare e che abbia qualunque cosa. a fondamento Da un lato invenla cultura tandosi sempre della sacralità nuovi nemici che della vita: lo ostacolerebbero dalla nascita e dall’altro con la alla morte solita tecnica degli annunci popolari e populisti a cui non segue mai un fatto. Ed è una tecni- tacco al direttore di Avvenire, reo ca che purtroppo credo verrà uti- di aver dato voce con prudenza e lizzata sempre di più, perché di giusta discrezione al sentire di una cosa a mio avviso questo go- gran parte del mondo cattolico verno ha veramente il terrore: ha non colpisce soltanto il giornale, il terrore della ripresa». ma anche il suo editore e rischia di aprire problemi nella relazione Ripensano a De Gasperi. Sulla ri- tra laici e cattolici, tra Stato e presa che sta arrivando e sulla Chiesa». svolta Savino Pezzotta ha lanciato una suggestione: «Si respira nel Verso le Regionali. Sul ruolo dei Paese un’aria da ’92, quando co- centristi e sulle alleanze il segretaminciarono i giorni di Tangento- rio ha ribadito che l’Udc farà alpoli anche se con una diversa pro- leanze «solo con chi farà dell’inspettiva. Allora si pensava che si tesse nazionale e dell’unità di quepotesse aprire per l’Italia una nuo- sto Paese il perno della sua azione va fase, oggi dopo 17 anni la situa- politica a livello nazionale e locazione porta ad avere meno spe- le. Se negli altri schieramenti gli ranze». Il presidente della Costi- uomini e i programmi saranno tuente di Centro si dice convinto compatibili con i nostri, allora e che «sia iniziata la fase di declino soltanto allora potremo avviare di Berlusconi». E sia Cesa sia Pez- un discorso di possibili alleanze. zotta non resistono alla tentazio- Altrimenti andremo da soli». Anne di replicare al premier che si è cora più chiaro Pezzotta secondo paragonato ad Alcide De Gasperi. il quale appare sempre più evi«Il paragone è ridicolo – ha detto dente che «l’unico voto utile è al il segretario dell’Udc - De Gasperi centro. È il nostro. Dove è finito il ha ricostruito l’Italia, che invece bipartitismo assorbente e omolocon Berlusconi affonda». Per Pez- gante? Il Pd e il Pdl si ritenevano zotta « il problema non è quanto autosufficienti e ora, per le loro


centro/gli stati generali tensioni interne e le contraddizioni, si stanno rendendo conto della nostra indispensabilità». Ma l’ex segretario della Cisl avverte: «Ci cercano non certamente per amicizia, ma per dominare la carica dirompente che la presenza di un nuovo soggetto politico come quello che proponiamo introduce negli attuali equilibri politici. Dobbiamo mantenere la nostra autonomia, essere liberi e forti. Sarebbe la fine del nostro progetto se cedessimo alle lusinghe. Siamo il partito nuovo della democrazia italiana. Noi lavoriamo per vincere noi, non per far vincere gli altri». Le riforme. Il riferimento a quelle riforme invocate da tempo dai centristi sono riprese dal segretario dell’Udc: «All’Italia servirebbero invece riforme strutturali. Se il governo facesse sua questa agenda di riforme, se si presentasse alla riapertura del Parlamento con delle proposte su questi temi, non solo avrebbe la forza di approvarle, ma troverebbe nell’Unione di Centro un interlocutore attento e disponibile al dialogo». Ma Pezzotta polemizza sugli atteggiamenti e le posizioni della maggioranza: «Ci troveremo alla fine della Seconda Repubblica con delle macerie, delle lacerazioni, con dei ritardi che sarà difficile recuperare. E saremo costretti a chiedere dei sacrifici che non avremmo dovuto chiedere se ci fosse stato il coraggio di riformare il sistema. Si fa i duri con i deboli, si respingono in modo indiscriminato delle persone che fuggono dalla fame, dalla guerra, dalla disperazione. Si dichiara di avere radici cristiane, ma si respingono i cristiani che fuggono dal Sudan. Si istituiscono le ronde e intanto non si danno soldi alle forze di polizia».

dignazione espressa senza infingimenti, quella di Bonanni: «Vi chiedo aiuto a cominciare dalla manifestazione organizzata per il 5 ottobre dal Siulp insieme con gli immigrati. I poliziotti scendono in piazza con le loro divise per ricordare che loro non hanno nulla contro gli immigrati. E che piuttosto sono afflitti dalla mancanza di attrezzature e di fondi per la sicurezza». Le ronde, dice il segretario della Cisl, «sono il segno del degrado in cui rischia di L’appello di Bonanni. Proprio la precipitare il nostro Paese». Mesdenuncia sull’inganno delle ron- saggio chiaro per il governo, code, e in generale dell’immigrazio- me chiara è l’affinità elettiva tra il ne agitata in chiave populistica e linguaggio di Bonanni e il percorxenofoba, è l’esempio più chiaro so che l’Udc si è dato con la Costidella convergenza tra la Cisl di tuente di Centro. Se infatti con il Raffaele Bonanni e l’Unione di nuovo progetto politico il partito centro. Il segretario generale del di Casini vuole aprirsi alla partecipazione e al conFEDERICO VECCHIONI tributo del maggior numero possiDobbiamo bile di forze della iniziare società, è proprio un percorso sul tema della parper il bene tecipazione che il del Paese leader sindacale e per contribuire insiste con forza, a un profondo invocando appuncambiamento. to il sostegno dei La libertà centristi: «Siamo e l’autonomia in un tempo cui sono il sangue sarà importante il della nostra ruolo che può associazione svolgere una forza politica come la vostra, legata alla sindacato che, insieme alla Uil, ha tradizione popolare e incardinata promosso la riforma dei contratti, negli interessi popolari». interviene a metà pomeriggio, invoca l’aiuto del partito di Pier Fer- La sussidiarietà. Bonanni invoca dinando Casini su molte battaglie il contributo dell’Udc anche perma prima di tutto «per protestare ché «non tutta la classe dirigente contro lo scempio che sono state si mostra all’altezza di un mole decisioni sulle ronde». È un’in- mento come questo: il governo dà

vento dell’altro leader sindacale invitato agli Stati generali di Chianciano, il segretario generale della Uil Luigi Angeletti, che critica l’atteggiamento di chi si limita a sperare che il premier Silvio Berlusconi «vada via, invece di costruire una alternativa vera al governo. Se l’opposizione continua così, temo che lo deciderà la natura quando finisce Berlusconi...». Il segretario della Uil chiarisce: «Oggi i sindacati hanno bisogno di una politica normale, con una maggioranza che governa e una opposizione competitiva, perché se l’opposizione non è competitiva il potere del governo straripa. Non solo: non c’è nessun normale livello di contenimento agli errori che il governo fa». Secondo Angeletti più che un bipolarismo «in Italia c’è stato un sistema basato su Berlusconi e l’antiberlusconismo. Ci vorrebbero forze di opposizione in grado di spiegare al Paese quali sono le riforme necessarie per LUIGI ANGELETTI uscire dalla crisi, solo così si diventa in grado di In Italia c’è stato contendere consenso». il bipolarismo o un sistema Tremonti amitizzato. Di basato riforme parla anche Brusu Berlusconi sì no Tabacci, in uno degli e Berlusconi no? interventi più appassioLa verità nati e applauditi del poè che non meriggio, e ricorda tra abbiamo l’altro ad Angeletti che un sistema sono stati Giulio Tremonpolitico ti e Maurizio Sacconi a all’altezza sostenere che «in tempi delle necessità di crisi è meglio non far-

il cattivo esempio, ma una parte consistente dell’opposizione manca, a sua volta, dei titoli per criticare», perché «usa gli stessi criteri di quelli a cui ricorre, sbagliando, chi ci governa». E così parla di «nuovo protagonismo», quello «delle realtà locali, delle persone umili». E qui il segretario della Cisl mostra di condividere in pieno l’appassionato intervento che l’ha preceduto: quello di Luciano Ciocchetti, che indica uno dei punti chiave per la campagna dell’Udc in vista delle Regionali nella «difesa del diritto alla salute, nel superamento dell’idea per cui chi vince le elezioni vince anche le nomine dei primari». Quanto ai contratti, poi, il segretario della Cisl dice: “L’introduzione del principio della ripartizione degli utili, sancirebbe l’affermazione di un patto di responsabilità tra imprenditori e lavoratori, sulla quale c’è la disponibilità del governo”, ma che evidentemente per Bonanni richiede la vigilanza di un’opposizione severa e costruttiva nello stesso tempo. L’agenda di Angeletti. Sui rapporti tra maggioranza e opposizione si sofferma a lungo anche l’inter-

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con la sua linea isolata, nel Pdl, a difesa del parlamentarismo», dice il deputato centrista a proposito della Terza carica dello Stato, che oggi dovrebbe arrivare a Chianciano insieme con Francesco Rutelli. L’Udc, infatti, ha voluto invi-

BRUNO TABACCI Una volta, quando c’era il Tg1 la mia mamma diceva «L’ha detto la tv», voleva dire cioè che era una verità. Ascoltando il Tg di Minzolini uno può ancora dire «L’ha detto la televisione»?

tare i due co-fondatori di Pdl e Pd oggi in evidente disagio nei partiti che pure hanno contribuito a far nascere. Vecchioni e Allam. La platea degli Stati generali ha anche apprezzato molto l’intervento del presidente di Confagricoltura, Federico Vecchioni, che ha prima ringraziato Pier Ferdinando Casini e l’Udc per l’appoggio dato nella vicenda sulle quote latte, in cui tanti allevatori onesti rischiavano di essere discriminati: «Non accetto che un ministro mi chiami a casa la sera per dirmi che cosa debba fare. La libertà e l’autonomia sono il sangue del nostro sindacato». Il presidente di Confagricoltura ha espresso la volontà della sua organizzazione di fare «un percorso per il bene del Paese e per contribuire a un profondo cambiamento». Dopo di lui, arriva Magdi Cristiano Allam ad esprimere la stessa soddisfazione di Buttiglione, Cesa e Pezzotta per i risultati raggiunti dalla Costituente di Centro, e si dice fiducioso perché «ci sono tante persone di buona volontà. In Italia stiamo assistendo a un degrado etico e l’unico dio che viene adorato è quello dei sondaggi». L’auspicio dell’europarlamentare è la creazione di «un Centro che sia il riferimento per la famiglia naturale e che abbia a fondamento la cultura della sacralità della vita: dalla nascita alla morte. Un Centro che proponga un modello economico diverso dal liberismo esasperato e che sia riferimento per le piccole e medie imprese».

le». E allora «quando bisognerebbe procedere», si chiede il deputato dell’Unione di centro, «se non adesso che c’è un governo con quel vantaggio parlamentare? E soprattutto - incalzaTabacci- come si pensa di far quadrare i conti, come il ministro dell’Economia è convinto di poter fare? Con i tagli lineari si rischia un’esplosione della spesa», ricorda citando le parole pronunciate poco prima da Gianluca Galletti, che aveva annunciato l’impegno del partito di Casini per una battaglia ampiamente condivisa anche dal vicepresidente delle Acli Michele Consiglio.Tabacci ribadisce il principio per cui «in una fase di crisi si taglia il suRAFFAELE BONANNI perfluo, non la scuola o la ricerL’alternativa ca». E non manca all’andazzo di ammonire sul attuale rischio di un goè partecipare: verno «convinto senza ormai di controllale preferenze, re tutto e dunque il Paese non solo incoraggiato a non sarà libero svolte pericolose ma asseconderà per la democrala delega ai zia».A scongiurarpoteri verticali: le potrà contribuidalle banche re anche «il presiall’industria dente della Camera Gianfranco Fini


centro/gli stati generali

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Passato & Futuro. La crisi del modello bipartitico nelle considerazioni di uno dei protagonisti della storia democristiana

La strada del coraggio

Parla Mino Martinazzoli: «La via scelta da Casini è quella giusta. È un compito è molto arduo: c’è da riscrivere la democrazia italiana» di Errico Novi

ROMA. L’occasione c’è. E per coglierla bisogna capire cos’è davvero in gioco oggi in Italia. Mino Martinazzoli non ha dubbi: «Bisogna ricostruire uno spazio democratico. Il Centro cattolico può riuscirci, se si rifà alla stagione più feconda vissuta da questa tradizione, quella della Costituente». Non si tratta solo di dare rappresentanza ai moderati («anche perché le persone e i valori, in natura, non sono mai moderati») ma di riproporre «un’idea moderata della politica». Una rivoluzione, se si pensa all’oggi, a quell’oggi che esce persino mortificato dalle pagine di Uno strano democristiano, il libro-testimonianza appena pubblicato dall’ultimo segretario della Dc. Una rivoluzione che d’altronde si rende ormai assolutamente necessaria, per Martinazzoli, se si vuole davvero rimettere in sesto la democrazia. Onorevole, crede che la radicalizzazione del linguaggio e dell’agire politico, che dalla Lega si è estesa al Pdl, possa ampliare lo spazio del Centro? Penso di sì, almeno in linea teorica. Perché è vero che la politica fa la realtà, ma la realtà puoi mutarla se cogli le occasioni. E qui, attenzione, non si tratta di prendere qualcosa di qua e di

là. Il Centro non lo ricostruisci se metti insieme un po’ di detriti ma se hai idee forti e capacità di rischio. In un momento come questo l’esito del tentativo dipende non tanto da quello che vuoi guadagnare ma da quello che rischi di perdere. Mettersi in gioco, dunque, senza preoccuparsi troppo di preservare il patrimonio di partenza, lei dice. È così, perché il patrimonio di partenza adesso è un seme sepolto in una terra arida, e ha bisogno di una terra che lo riscaldi e lo faccia fiorire. Che vuol dire andare in profondità, capire di cosa si tratta, cosa rappresenta davvero quel seme lì. Qual è il bene nascosto della tradizione cattolica? Non si riduce alla rappresentanza dei moderati, tanto per esemplificare, ma è l’idea moderata della politica, che è ben altra cosa. Io di moderati in natura non ne ho mai conosciuti, né tra gli uomini né tra i valori. Può moderarli la politica, e questo è sì un talento che può essere ricondotto alla tradizione cattolica. E adesso come si raccoglie la sfida? In questo momento mi pare che alcuni segnali Casini li dà. Gli accredito, per esempio, anche se so che è un apprezzamento

Parla Gerardo Bianco

«Questo bipartitismo è fallito. Riscriviamo le regole»

non condiviso da molti, di aver votato contro il federalismo fiscale. Credo che il tentativo di una nuova stagione del Centro vada messo in stretta relazione a una domanda: cos’è l’Italia, che destino ha, cosa significa uno Stato democratico in questo momento. La risposta, la verità, è nella lunga storia di questa tradizione. In che cosa, esattamente? Si può rispondere partendo dal

mi pare che la democrazia sta male, in questo momento. Quindi dobbiamo ricordarci che i cattolici in questo Paese hanno dato il meglio nelle occasioni in cui a questa domanda è stata data risposta. Penso alla stagione costituente. Non a caso la Costituzione italiana è il frutto più operoso e più alto di questa tradizione. Può sembrare paradossale forse, ma oggi come oggi il compito dei cattolici è la ricostruzione di uno spazio democratico. E come si vede, qui il discorso del moderatismo c’entra poco. La svolta di cui lei parla, lo scenario a cui fa riferimento, a ben guardare hanno qualcosa di rivoluzionario. Sì, devo ammettere che la visione che propongo pretende la definizione di un vasto programma… A rendere meglio il senso di tutto questo può venirci incontro una vecchia operetta di Jacques Maritain in cui il filosofo francese dice: ‘Il dralmma della democrazia moderna è che non siamo ancora stati capaci di realizzare la democrazia’. Ecco, a me pare che non solo non ci siamo riusciti, ma che abbiamo rinunciato a realizzare la democrazia.

Oggi come oggi, il Centro non lo ricostruisci se metti insieme un po’ di detriti ma se hai idee forti e capacità di rischio

fatto che siamo stati forti, significativi, non tanto quando ci siamo pensati come rappresentanti dell’Italia cattolica ma dei cattolici in Italia. Quando cioè si è messa al primo posto la politica come servizio per il bene di tutti. Quello che va recuperato è il coraggio e il senso del rischio. Bisogna porsi, ripeto, una domanda: a che punto è la democrazia in Italia. Perché non solo in Italia, piuttosto nel mondo,

ROMA. Se c’è una strada che può riportare il dibattito pubblico a un livello di civiltà, questa passa per un’assemblea costituente. Ne è convinto Gerardo Bianco, che vede in un grande riordino delle istituzioni la sola possibilità «per recuperare la partecipazione dei cittadini e sottrarli alla condizione in cui oggi la politica li lascia: che è o di forte distacco o di riduzione a plebe fanatica». A guardare in questa prospettiva, riconosce l’ex segretario del Ppi, oggi è di fatto solo l’Udc: «È l’unica forza ad esprimere una chiara sensibilità per l’ipotesi di una nuova Costituente. Non a caso la proposta di legge che io stesso ho presentato a riguardo nella scorsa legislatura è stata firmata anche da Bruno Tabacci». Insomma, forse sarebbe indispensabile un atto di onestà intellettuale da parte di Pdl e Pd: il riconoscimento che il bipartitismo è fallito. «La situazione attuale dimostra un dato preciso - dice Bianco -: non si può tradurre la politica in politologia. Chi pensava che il sistema italiano dovesse ridursi a mera preparazione del bipartitismo non aveva tenuto conto della storia del Paese, della varietà delle sue espressioni sociali, che richiedono articolazioni più ampie». Probabilmente l’esasperazione dello scontro attorno alla figura di Berlusconi ha favorito l’equivoco: «Nella confusione delle idee e delle analisi è stato commes-

Tra i molti, ulteriori quesiti che come sempre lei incoraggia a porre ogni volta che riesce a illuminarne altri, viene da chiederle a bruciapelo se alla fine il bipartitismo sia incompatibile con la democrazia. È così se il bipartitismo diventa un dogma. E mi pare che qua e là si tenti di affermare questa idea, cioè che il bipartitismo è il valore assoluto a cui bisogna subordinare tutto. Bene: siccome io so, come tutti sanno, che ci sono esperienze democratiche anche ricche che si sono sviluppate all’interno del bipartitismo, allo stesso modo so che non è vero quello che la vulgata vuole far credere oggi, e cioè che il bipartitismo è l’unico veicolo della democrazia. Non mi pare questo il problema, ma è vero che oggi come oggi sull’altare di questo bipartitismo si rischia di sacrificare quella che è la verità della democrazia. Ai cattolici spetta ancora una volta un compito impegnativo, dunque. Alla tradizione cattolica si deve la costruzione di una vera democrazia nel nostro Paese, adesso per certi aspetti le si deve chiedere, secondo la prospettiva che lei disegna, anche qualcosa di più. Ma vede, è stato sempre così. Il

so anche l’errore di sopprimere proprio la componente che aveva fondato la democrazia italiana», continua Bianco, alludendo evidentemente alla Dc. «Abbiamo assistito per anni al prevalere di un filone politico e culturale che immaginava la democrazia imperniata sull’esasperazione del ruolo del leader. A rafforzare queste tesi si è invocata anche l’urgenza di una semplificazione, ma oggi questa visione mostra tutta la sua deboilezza». Insomma, Gerado Bianco ritiene che un riordino del sistema debba passare per riforme strutturali, per una nuova legge elettorale, in ultima analisi per una Costituente: ma non ci sono troppi ingranaggi che girano ormai in senso contrario, per innestare un cambio di marcia? «Non c’è dubbio - risponde - che un certo filone sia riuscito a imporre trasformazioni importanti, a partire dal referendum Segni. Ma è anche vero che la legge elettorale seguita a quel pronunciamento sul maggioritario fu una legge equilibrata. Oggi il vero ostacolo è l’oligarchismo, c’è l’interesse degli eletti a difendere l’esistente». D’altronde il sistema di voto nel frattempo è cambiato e ha ulteriormente allontanato i cittadini dalla vita politica. Bianco conferma: «L’attuale oligarchia non acconsentirebbe mai a una vera stagione riformatrice, perciò sarebbe fondamentale un’assemblea costituente, eletta non con la legge elettorale oggi in vigore ma con sistema proporzionale. Nella pre-


centro/gli stati generali

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Occorre trovare la sponda di Gianfranco Fini e degli scontenti del Pdl

Un nuovo soggetto politico verso la Terza Repubblica Adesso l’Udc prenda l’iniziativa per uscire dal bipartitismo e rendere più veloce l’uscita di scena di Berlusconi di Enrico Cisnetto li “stati generali”dell’Udc coincidono con una fase tra le più brutte e pericolose della vita pubblica nazionale. In queste ore mi è capitato di fare un paragone con il 1992-1994: il livello di imbarbarimento è simile, salvo che rispetto ad allora non sono più (o solo) le Procure a“manovrare lo sputtanamento”, bensì i mezzi d’informazione, che allora furono comprimari, cui la politica ha colpevolmente dato piena delega a farsi rappresentare. Il risultato, temo, sarà lo stesso, ma oggi di fronte al gossip sulle abitudini sessuali del prossimo, si rischia di dover rimpiangere l’accusa di “rubare per il partito”, di certo più dignitosa di quella di organizzare festini a base di escort o di molestare la moglie del proprio amante omosessuale.

G

rapporto tra cattolicesimo e Stato democratico credo possa essere ben esemplificato da una bella pubblicazione dell’Istituto Sturzo, in cui è raccolto l’espistolario tra il fondatore del Partito popolare e Gaetano Salvemini: ne emerge tutta la stima reciproca che c’era tra i due, ma anche la divergenza di Salvemini sull’idea che possa esistere una democrazia cattolica; Sturzo naturalmente obiettava, e scriveva che lui pensava insieme come cittadino e come cristiano, che non avrebbe potuto avere l’istinto di pensare alle due cose separate. Ecco, è quello che va fatto.

Mino Martinazzoli e Gerardo Bianco sono stati tra i protagonisti della grande stagione della Democrazia cristiana e hanno sempre lavorato alla definizione di una politica forte per i moderati. Accanto, Pier Ferdinando Casini

cedente legislatura io stesso ho presentato una proposta in questa direzione, sostenuta anche da Bruno Tabacci dell’Udc. L’unica forza ad avere sensibilità per questo tipo di prospettiva è appunto il partito di Pier Ferdinando Casini, mentre l’opposizione di sinistra sta commettendo ancora una volta un errore, perché non si rende conto che l’unica possibilità di avviare un cambiamento sarebbe proprio nella promozione nel Paese di un grande dibattito sulle regole della democrazia». Lei cioè vorrebbe che fosse questo il tema centrale nel congerssso del Pd: «Non è così, e si perde l’occasione per riportare un po’ più in alto la qualità del dibattito pubblico e allontanarci da questo osceno gossip a cui ormai ci siamo ridotti. Con il distacco dei cittadini dalla politica si è affermato invece un solo, possibile modello di partecipazione, e cioè la trasformazione degli elettori in plebe esaltata, in fan che riempiono solo le piazze senza un coinvolgimento autentico».

Ma il problema ora è: si fa ancora in tempo a rimediare? Bianco è ottimista: «Io spero sempre che alla fine prevalga la ragionevolezza. Resto coerente con l’idea che all’Italia serva un sistema proporzionale alla tedesca e la fiducia costruttiva per il cancelliere. E mi sembra che la giustezza di questa idea sia sempre più sostenuta dai fatti». (e.n.)

Insomma, l’impressione è che la Seconda Repubblica abbia imboccato una strada senza ritorno come 17 anni fa accadde alla Prima, e che come allora dovremo stomacarci con una stagione mefitica fatta di veleni, di scene poco edificanti, di convulsioni strazianti. Con un’aggravante fondamentale, però: che oggi veniamo da un disastro durato oltre tre lustri, che ci ha costretto ad affrontare una crisi epocale come quella finanziaria e recessiva degli ultimi due anni dovendola sommare con la lunga “crisi italiana”, cioè con un declino che ha portato l’Italia a perdere qualcosa come 15 punti di pil rispetto ad Eurolandia e 35 rispetto agli Stati Uniti, e quindi a posizionarsi in una zona di marginalità nel contesto della competizione globale. Per questo il Paese è depresso, scettico, abulico, portato a difendere quel che c’è non certo per convinzione ma per la paura del vuoto che gli si apre davanti. Dunque, a mio avviso, in una situazione pericolosa e complessa come questa, una forza come l’Udc – che per amore o per forza si è chiamata fuori dai due schieramenti del falso bipolarismo italico, luogo terzo in cui consiglio vivamente di restare – non può non porsi due ordini di obiettivi: come fare perché la chiusura di questa stagione politica sia più veloce e meno dolorosa possibile; come fare perché l’apertura della nuova fase sia virtuosa. Qui voglio soffermarmi sulla prima e più urgente questione, rimandando le riflessioni più approfondite sulla seconda questione – e sulle conseguenze che essa ha per la stessa Udc – all’intervento che come presidente di Società Aperta sono stato invitato a fare nella giornata di oggi a Chianciano.

dentro il Pdl – che guardano con preoccupazione all’involversi della situazione. E chi meglio dell’Udc, forte della sua posizione terza, può fare questo lavoro prezioso? Sento già Cesa e Casini che mi tirano le orecchie: «Ma è quello che facciamo». Vero, occorre dare atto al gruppo dirigente dell’Udc di aver fatto questa scelta e di averla portata avanti con coerenza. Ma bisogna fare di più. Cosa? Almeno tre scelte. La prima: non limitarsi a opporre il buonsenso agli errori del governo e al vuoto pneumatico di proposta della sinistra, ma offrire al Paese un più vasto progetto di rinascita e sviluppo. Un grande “piano per l’Italia”, che si traduca anche nella creazione di una sorta di governo-ombra (tanto quello del Pd è morto e sepolto), con caratteristiche non tanto e non solo oppositive bensì propositive. Pensate, per esempio, a quale effetto politico si avrebbe se l’Udc riprendesse e rilanciasse – magari con una grande raccolta di firme per una legge d’iniziativa popolare – la proposta di Società Aperta della convocazione di un’Assemblea Costituente. Per di più se accompagnato, questo progetto, da una proposta dettagliata di come semplificare i troppi livelli istituzionali in cui è articolato lo Stato, cominciando così una grande battaglia politica antagonistica della Lega di opposizione al federalismo. Insomma, la parola d’ordine deve essere “se gli altri parlano di escort, noi indichiamo nel merito le grandi riforme strutturali da fare”.

Non basta opporre il buonsenso agli errori del governo e al vuoto della sinistra: occorre offrire al Paese un più vasto progetto di rinascita e sviluppo

Dunque, come ci si deve comportare di fronte alla progressiva, ma finora lenta, implosione del sistema politico imperniato sulla figura di Silvio Berlusconi? A mio avviso, occorre fare in modo che il processo acceleri, per evitare che la legislatura si trascini faticosamente, galleggiando sul guano. E per far questo occorre incalzare il premier e il governo con iniziative politiche forti e serrate, capaci di dare coraggio e di unire le forze – a cominciare da quelle che sono

La seconda decisione: dialogare in maniera più aperta con tutti quegli interlocutori che oggi pongono il “problema Berlusconi” nella maniera più corretta e utile, cioè quello non della sua demonizzazione o delegittimazione, ma della sua fragilità politica. E in questo senso per l’Udc l’interlocutore numero uno non può che essere Gianfranco Fini. Occorre dargli atto che è stato coraggioso sia nell’interpretare come doveva (e come aveva già fatto Casini) il suo ruolo di presidente della Camera, sia nel porre il problema della “monocrazia berlusconiana”(secondo la felice definizione di Giuliano Ferrara) dentro il Pdl, sia infine nel contrastare la “trazione leghista” del governo. Casini tenda dunque la mano a Fini, ed entrambi accolgano l’invito che gli dovesse essere lanciato – magari da Società Aperta – di un incontro pubblico che sancisca una loro alleanza. La terza e ultima decisione riguarda il partito: per svolgere oggi il ruolo di acceleratore del processo di superamento della Seconda Repubblica e domani di aggregatore di forze che siano protagoniste di un avvio virtuoso della Terza Repubblica, non basta auspicare l’allargamento dell’attuale Udc. Occorre fare molto di più, e io stesso ho più volte sollecitato – tramite liberal e i convegni della Fondazione liberal – la creazione di un partito holding che si ponga il problema di rappresentare vasti strati della società civile, a cominciare da quelli di cultura laica. Ma proprio di questo vorrei parlare oggi a Chianciano.


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centro/gli stati generali

L’intervista. Medioriente, famiglia e radici comuni. Ecco il programma per un nuovo protagonista della politica internazionale

«Puntiamo tutto sulla C»

Parla il cancelliere tedesco Angela Merkel: «C come cristiani e C come centro: su queste basi bisogna ricostruire insieme la nuova Europa» di Margarete Huhnerbein di preservare la terra per le generazioni future, attuando ad esempio una gestione sostenibile delle risorse. Non molto tempo addietro, nell’ambito del Kardinal-Höffner-Kreis, lei ha sottolineato: «Ai cristiani giova promuovere le convinzioni radicate nella loro fede con cuor sereno». Che cosa intende? I cristiani non dovrebbero lasciarsi scoraggiare facilmente, ma avere una buona dose di fiducia in Dio, per poter così, con la forza della fede, guardare fiduciosi al futuro, anche in situazioni difficili della vita. Questa è la testimonianza che i cristiani dovrebbero dare, per essere esempio del “sì”alla vita. Ci sono cristiani che non si ritengono adeguatamente rappresentati dalla Cdu e che anche per questo motivo hanno creato un “mini-partito” a parte. Alle elezioni al Bundestag del 2002 a Edmund Stoiber mancavano solo seimila voti circa per risultare vincitore; alle ultime elezioni europee i piccoli partiti cristiani hanno raccolto circa 160mila voti. CoJOSEPH HÖFFNER me convincerà questi cristiani a Il defunto dare il loro voto cardinale alla Cdu? di Colonia, Noi cerchiamo morto nel 1987, di conquistare era uno tutti gli elettori, dei maggiori e proprio in teorizzatori quanto Cdu vodell’applicazione gliamo essere nella scena punto di riferipolitica mento per i cridella dottrina stiani delle varie sociale confessioni. La della Chiesa Cdu non è un partito esclusivamente per crialtri. La politica ha il compito stiani, ma paragonandolo ad di creare le condizioni favore- altri partiti popolari in Europa voli allo sviluppo delle singole e considerando gli obiettivi da capacità individuali. In altre noi raggiunti, emerge con parole: non vogliamo rendere chiarezza che il nostro partito tutti uguali, ma vogliamo far e la nostra politica sono forteemergere talenti e doni innati. mente caratterizzati dal penLa “C” racchiude in sè anche il siero cristiano. Ed è per questo compito di misurarci con la motivo che nell’ambito delle nostra responsabilità nei con- intense discussioni sulla posfronti del Creato. Il compito sibilità di abortire anche a dato all’uomo in termini bibli- gravidanza avanzata abbiamo ci, di sottomettere la terra, non lottato affinché pure alla vita vuol certo dire sfruttarla o di- disabile sia data una chance. struggerla. Abbiamo l’obbligo In democrazia, chi vuole rag-

al 2005 Angela Merkel è Cancelliere della Repubblica federale di Germania. Nata e cresciuta nella Repubblica democratica tedesca, figlia di un pastore protestante, nel periodo della grande svolta del 1989 si impegnò nel movimento Rinnovamento Democratico (Demokratischen Aufbruch). Nel 1990 è stata ministro per le Donne e la Gioventù del primo governo federale delle due Germanie riunite, guidato da Helmut Kohl, e dal 1994 al 1998 ministro federale per l’Ambiente. Dal 2000 Angela Merkel è presidente della Cdu tedesca. Signora Merkel, da nove anni lei è presidente della Cdu, l’Unione cristiano democratica. Che significato ha la “C”nella sigla Cdu? La “C” sta a significare un impegno che rappresenta il fondamento della nostra politica operativa. Noi ci sentiamo vincolati all’immagine cristiana dell’uomo. Consideriamo l’essere umano una creatura di Dio, capace di crescere in un clima di libertà e responsabilità. Sappiamo che ogni uomo è unico e dunque diverso dagli

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giungere un obiettivo, può farlo solo con le maggioranze. Se però le persone impegnate politicamente, che condividono le stesse posizioni di principio, si disperdono in piccoli gruppi per divergenze di scarsa importanza, non riusciranno mai a realizzare ciò che ritengono realmente importante. Se riguardo alla questione aborto lei potesse decidere da sola, cosa farebbe per evitare che una gravidanza su cinque si concluda con un aborto? Credo che dopo una lunga battaglia sul paragrafo 218 siamo infine giunti ad una soluzione accettabile. Dovremmo però incoraggiare madri e padri a dire di sì ad un figlio, facendo in modo che la Germania diventi un Paese sempre più a misura di bambino. Dovremmo ad esempio aiutare giovani genitori a gestire meglio il connubio di famiglia e lavoro e inoltre tenere in maggiore considerazione l’impegno che comporta l’educazione dei figli. Negli ultimi quattro anni il ministro federale per la Famiglia, Ursula van der Leyen è riuscita a fare grandi progressi nel facilitare ai giovani la decisione di avere un bambino. Attualmente il concetto di famiglia viene definito in molti modi. Lei come lo definisce? Abbiamo molto approfondito la questione e dopo lunga ed ampia discussione abbiamo inserito la seguente definizione nel programma di partito della Cdu: la famiglia è il contesto nell’ambito del quale genitori e figli si assumono la duratura responsabilità reciproca. Particolare rilevanza ha proprio questa responsabilità, che accompagna genitori e figli fin dal primo momento ed alla quale non si possono sottrarre. Per questo tuteliamo la famiglia quale nucleo della nostra società. Sulla base di questa responsabilità duratura nell’ambito della famiglia si trasmettono anche i valori, nonché amore e sicurezza. Ed è anche per questo motivo che vogliamo rafforzare la libertà di scelta. Le giova-

ni coppie devono avere la possibilità di decidere se debba essere un solo genitore a lavorare o ambedue. Cerchiamo di tutelare l’ambito famigliare e sottolineiamo il particolare valore del matrimonio per la creazione di una famiglia. Dunque siamo chiaramente favorevoli al cosiddetto splitting fra coniugi, un vantaggio per coloro che hanno deciso di sposarsi. Non solo in ambito cristiano vi sono state ripetute critiche nei confronti della

La politica ha il compito di creare le giuste condizioni favorevoli allo sviluppo delle singole capacità individuali. Far emergere talenti

politica familiare del suo governo. In particolare è il previsto ampliamento degli asili nido e il conseguente sostegno in primissima età a scatenare accese discussioni. Come valuta questa critica? Come già detto, ci siamo espressi a favore della libertà di scelta. Ciò significa che vogliamo poter proporre qualcosa a tutti i genitori: sia a chi per la sua atti-

vità lavorativa desidera affidare i propri figli ad una istituzione tipo asilo nido, sia a coloro che non desiderano sfruttare questa possibilità. Nell’ambito della discussione relativa all’ampliamento degli asili nido, è stato più volte espresso il timore che nella nostra società le madri e le casalinghe non siano tenute nella giusta considerazione. Questo ovviamente non è vero e sarebbe ingrato nei loro confronti. A conclusione dell’ampliamento degli asili nido e a partire dal 2012 offriremo un’indennità di sostegno ai genitori che


centro/gli stati generali seguiranno i loro figli a casa. Questo è un ulteriore passo importante nell’ambito della libertà di scelta dei genitori e delle loro decisioni individuali. In Germania da molto tempo gli esperti mettono in guardia dal continuo allargamento della “forbice sociale”. Questo ovviamente si ripercuote su bambini ed adolescenti che vivono in famiglie socialmente svantaggiate. Come intende realizzare le pari opportunità nell’ambito dell’educazione? Non possiamo certo accettare che i bambini provenienti da famiglie più povere non abbiano la possibilità di sfruttare tutte le opportunità di educazione e formazione a loro disposizione. Perchè la “Repubblica federale del Sapere” deve valere per tutti. Abbiamo fatto molto affinché nessuno si trovi in una situazione di bisogno a causa della nascita di un bambino. Per prevenire questa eventualità esiste l’assegno famigliare. Nonostante ciò vi sono molte famiglie che vivono una difficile situazione economica. È dunque importante garantire ai bambini provenienti da famiglie disagiate l’accesso ad una buona formazione prescolastica e scolastica. Passiamo ora ad un ulteriore argomento: l’attua-

grandezza hanno richiesto le fideiussioni, potendo così contare su un prezioso aiuto per superare il periodo di crisi. Contemporaneamente però il bilancio federale si trova a dover affrontare un indebitamento colossale. Cosa comporta questo enorme indebita-

responsabile. Per questo motivo nell’ambito del G20 mi impegno a favore della Carta per un’economia sostenibile. In Germania l’economia sociale di mercato riscuote grandi consensi e noi ci atteniamo ai suoi principi. Ma potremo continuare a farlo solo se anche gli altri lo faranno. L’economia non è fine a se EDMUND STOIBER stessa, ma esiste a vantaggio delLo sfidante l’uomo. Per cui di Schroder dobbiamo fare alle elezioni tutto il possibile politiche affinché una cridel 2002 è stato si del genere non criticato si ripeta mai più. per aver A livello interspaccato nazionale, molte il fronte persone in quecristiano sto momento si a poche preoccupano settimane per la situazione dal voto in Iran, che sta lavorando alla bomba atomica. mento per le future geneLei come considera la razioni? minaccia dei regimi islaDopo tre anni di consolidamici per il mondo occimento delle finanze pubbliche, dentale? un anno fa, dunque prima del- La questione dei programmi la crisi, stavamo per raggiun- nucleari, sia dell’Iran che della gere un pareggio di bilancio. A Corea del Nord, ci preoccupa causa dell’attuale drammatica molto. Ambedue gli Stati stanrecessione a livello globale no violando le decisioni della dobbiamo ora tamponare comunità internazionale. Un enormi perdite nelle entrate fi- ulteriore grave problema è la scali e contemporaneamente progettazione dei razzi vettori, dobbiamo cercare di reagire che potrebbero rappresentare con i nostri pacchetti un pericolo per Israele ed altri di aiuti finanziari. No- paesi. Dobbiamo assolutamennostante tutto, con la te trovare una soluzione a quecrisi in corso, sarebbe sto conflitto e vogliamo farlo a comunque contropro- livello diplomatico. A riguarducente attuare misu- do, nel corso dell’ultimo inconre di risparmio nel- tro, tutti gli stati membri del l’ambito degli investi- G8 hanno ribadito all’Iran la menti ed in quello dei loro disponibilità al dialogo. cosiddetti stabilizza- Tutto ciò va indubbiamente di tori automatici, dun- pari passo con l’annuncio che que nelle prestazioni l’Iran dovrà mettere in conto sociali. Per contrastare l’attua- ulteriori e pesanti sanzioni le crollo delle esportazioni qualora non accettasse la nodobbiamo rafforzare il consu- stra offerta di dialogo e contimo interno. Ed è per questo nuasse a non attenersi alle diche nel corso dell’attuale crisi sposizioni dell’Onu. Israele ha sicuramente finanziaria internazionale dobuno status particolare, biamo accollarci maggiori deunica democrazia del biti. A mio avviso la crisi sarà Medioriente la cui esisuperata solo nel momento in stenza è minacciata fin cui avremo recuperato almeno il livello antecedente la crisi. dalla sua creazione. A Suo avviso, quale responPer tornare a quel livello sabilità ha la Repubblica sarà certamente necessafederale tedesca nei conrio tornare anche ai valofronti d’Israele? ri dell’economia sociale di mercato. In che cosa Dopo il nazionalsocialismo e consistono per lei questi la Shoah, tutelare il diritto ad esistere dello Stato d’Israele è valori? Sono pienamente d’accordo una perpetua e specifica recon lei! L’attuale crisi non si sponsabilità della Germania. sarebbe verificata se sui mer- Al contempo ci impegniamo in cati finanziari internazionali ogni modo per far avanzare il fossero stati applicati i principi processo di pace in Medioriendell’economia sociale di mer- te. Siamo favorevoli ad una cato così come li conosciamo soluzione con due Stati, uno in Germania. Il mio obiettivo è Stato ebraico d’Israele e uno dunque quello di rendere l’e- Stato palestinese. Per raggiunconomia sociale di mercato, gere questo obiettivo le due garante di un benessere dura- parti devono essere disposte a turo, un “bestseller d’esporta- fare dei compromessi. Contizione”, e dare ai suoi principi nueremo a sperare e a dare il fondamentali maggiore impor- nostro contributo affinché il tanza a livello globale - a favo- processo di pace riprenda il re di un’economia sostenibile e suo corso.

La Cdu non è un partito esclusivamente per cristiani, ma la nostra politica è fortemente caratterizzata dal pensiero cristiano le crisi finanziaria ci ha mostrato a cosa può portare il capitalismo sfrenato. In base a che cosa ritiene giustificate le misure attuate dal suo governo, in particolare il sostegno miliardario all’industria? Le misure di emergenza da noi attuate erano inizialmente rivolte al mantenimento della capacità operativa del sistema bancario, irrinunciabile per l’intera economia, ed a garantire i risparmi dei cittadini. Abbiamo poi avviato un programma di fideiussioni e garanzie dello Stato a favore delle imprese in difficoltà a causa della crisi. La maggior parte delle fideiussioni da noi offerte vengono richieste da piccole e medie imprese, colonna portante della nostra economia e fornitori della maggioranza dei posti di lavoro e di formazione professionale. L’attenzione del pubblico e le discussioni sono focalizzate su aziende come Opel e Quelle (una delle maggiori aziende di vendite per catalogo ndT), ma nel contempo ben 1500 aziende di media

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diario

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Recessione. La ripresa, che ormai tutti danno per lunga e faticosa, è appesa alla contrapposizione fra banche e imprese

Quanto costa uscire dalla crisi?

L’Europa ha già investito il 30% del suo Pil per sostenere l’economia di Gianfranco Polillo segue dalla prima

dell’efficienza complessiva. I margini di razionalizzazione sono ampi. Ciò che manca è solo una volontà politica complessiva. Non alludiamo a questo o a quello schieramento, ma al sistema nel suo complesso. Finché durerà questa sorta di guerra civile, che uccide la politica, sarà difficile fare passi avanti verso quell’ipotesi di “colbertismo leggero”, cui ha fatto riferimento François Fillon, il primo ministro francese al meeting Ambrosetti, per giustificare i successi del suo Paese.

Peccato solo per un’imprecisione in cui è incorso il Sole 24ore. La crescita per il 2010 – è stato detto – sarà dello «0,8 per cento del PIL, una percentuale che nel Dpef, il Documento di programmazione economica e finanziaria si trova solo nel 2013». Purtroppo non è così. Le previsioni governative ipotizzano una crescita minore per il 2010 – 0,5 per cento – ma ben più alta – 2 per cento – per gli anni successivi fino al 2013. Previsione scarsamente attendibile, che sembra essere più scritta “per memoria” – come si indica per i capitoli di bilancio – che non frutto di una più approfondita previsione.

Comunque a movimentare il dibattito ci ha Pensato Romano Prodi, tornato al suo vecchio mestiere di professore di economia industriale.Anche in questo caso un pizzico di immaginifico. L’Italia come un centauro.Tedesca fino a Firenze. Francese dalla città dei Medici in giù. Industriale nel centro nord, sostenuta dal mercato interno nel centro sud, malgrado l’assenza del manifatturiero. Magari fosse così. Al centro nord va riconosciuta una grande capacità di adattamento. La crescita, per molti versi spontanea e solitaria del Nord-est, ha trasferito in loco una parte del vecchio potenziale produttivo del Nord-ovest, in una dimensione lilliput. Continuerà ad essere trainata dalle esportazioni verso i mercati dell’Europa continentale e non solo. Ma con un affanno crescente, come dimostrano i dati di Confindustria. Per il 2010 le previsioni di crescita della domanda globale sono del 17,3 per cento.

lontani i tempi di Giulio Natta e delle sue scoperte sul propilene, composto essenziale per le materie plastiche. Meno convincente, invece, il suo riferimento alla Francia. Se fosse questo il segno

Per l’Istat, la produzione industriale a luglio è risalita dell’1%. Mentre l’Ocse si lascia andare a un po’ di ottimismo per Italia e Francia L’impatto su quei territori meno di un quarto. Le esportazioni dovrebbero, infatti, crescere solo del 4,1 per cento.

Quindi, ha ragione Romano Prodi quando sottolinea il deficit di innovazione. Le industrie italiane sono rimaste abbarbicate a vecchie produzioni: grandi innovazioni di processo, per ottenere prodotti migliori ad un prezzo più competitivo; ma nessun brevetto sulle nuove frontiere tecnologiche. Sono quindi

della parte rimanente della Penisola, saremmo a buon punto. Nella grande crisi internazionale la Francia è quella meglio posizionata. Ha subito i minori contraccolpi. Merito di uno sviluppo che, a differenza della Germania, dipende meno dai mercati internazionali e più da quello interno. Un mercato, quest’ultimo, dotato di un’efficienza che nemmeno ci sogniamo. Ecco allora che il paragone, al-

meno su questo versante, è improprio. Se proprio bisogna trovare un modello di riferimento per gran parte del centro sud, esso è fuori dai confini dell’Europa. Ha come sponda gli altri paesi del Mediterraneo, con l’aggravante della mancanza di petrolio, ed alcuni elementi sud americani: almeno a

giudicare dalla presenza delle organizzazioni criminali e dai centri di smercio e diffusione della droga nei grandi circuiti internazionali. Ciò detto, la calamita francese può essere un buon viatico: a condizione che si affronti finalmente il tema delle grandi riforme e

Purtroppo il tempo stringe. Saremmo pure alla“fine del tunnel”come dice Emma Marcecaglia. Del resto una serie di indicatori si sono stabilizzati. Gli ultimi, in ordine di tempo, sono il dato della produzione industriale, reso noto ieri dall’Istat (a luglio la produzione è migliorata dell’1 per cento rispetto al mese precedente) e l’ottimismo su Italia e Francia espresso dall’Ocse, sempre ieri. Ma la ripresa – sempre per riprendere il Presidente di Confindustria – sarà“lenta”. E incerta: paventiamo noi. Non si dimentichi di cosa è figlia questa breve schiarita. Nei calcoli della Commissione europea, effettuati in vista del G 20, si parla di un intervento pubblico – le misure anticrisi decise dai principali paesi dell’Occidente – che è stato pari a circa il 30 per cento del Pil europeo: due volte il valore di quello italiano. Misure necessarie per avviare il motore dell’economia – e gli effetti si vedono nei dati che abbiamo indicato – ma c’è ancora benzina nel serbatoio? Come spesso capita ai possessori di vecchie autovetture, non basta sforzare la batteria per riprendere la corsa. Se poi tutto il resto non funziona. Non dimentichiamo quindi il contesto più generale. Ed esso è segnato da una crescita del debito pubblico senza precedenti. L’Italia, sotto questo profilo, ha fatto scuola trovando grandi imitatori, che l’hanno superata. Ci abbiamo messo anni per giungere al 115 per cento del PIL. La media dell’Eurozona è pari al 120, con paesi, come l’Irlanda e l’Inghilterra, che sono in prossimità del 200 per cento. Nessun dramma, se si guarda all’esperienza giapponese. Ma anche con una grande differenza. Il traino delle esportazioni per quell’economia è capace di smuovere una montagna. In Europa appena un bambino.


diario

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Sotto accusa la gestione troppo personale dell’ateneo

Depositate le motivazioni della sentenza sul delitto Sandri

L’Aquila in piazza contro il rettore

«Spaccarotella sparò solo per fermare l’automobile»

L’AQUILA. Manifestazione, ieri

ROMA. A quasi due mesi dalla

a l’Aquila, contro Ferdinando Di Orio, rettore dell’università locale, accusato di cattivo governo accademico da parte di molte forze della città. Il volantino distribuito durante la manifestazione diceva: «Arriva il terremoto. Annunciato da mesi con scosse ripetute e intense. In preda al furore organizzativo, il nostro Magnifico rettore Ferdinando Di Orio non coglie l’importanza di chiudere i corsi per le vacanze pasquali con qualche giorno di anticipo, come avevano fatto i Presidi delle scuole inferiori, dato il forte sciame sismico in atto e la scossa premonitrice del 30 marzo: avrebbe evitato tutte le morti di studenti fuori sede! Il suo sodale Luca D’Innocenzo, giovane politicante di professione nell’ultrasinistra e presidente dell’Azienda Diritto allo Studio, che lui ha contribuito a nominare, ignora le denunce sulle crepe alla casa dello studente. Alla richiesta di incontro gli studenti vengono cacciati via in malo modo. Stessa cosa si è verificata con il Rettore preso dalla necessità di coprire il suo sodale: il risultato è a tutti tristemente noto. Eppure neanche la tragedia fa cambiare certe persone: a 48 ore dal sisma, con i morti tra le macerie e l’università distrutta, il rettore convoca

condanna, è arrivata la motivazione: «ha sparato per fermare la macchina». Questa la motivazione della corte d’Assise di Arezzo che lo scorso 14 luglio ha condannato l’agente della Polstrada Luigi Spaccarotella a 6 anni di reclusione per l’omicidio colposo del giovane dj romano Gabriele Sandri, ucciso l’11 novembre 2007, nell’area di servizio di Badia al Pino (Arezzo), con un colpo di pistola sparato dall’allora agente della Polizia Stradale. La condanna dello scorso 14 luglio ha fatto discutere e le polemiche esploderanno dopo l’esternazione delle motivazioni, rese note nella tarda serata di giovedì scorso.

Finmeccanica, a terra gli elicotteri per Obama Ulteriore stop (ma non definitivo) alla commessa di Francesco Pacifico

ROMA. Il guasto al VH 60 di Obama avvenuto nei giorni del G8 dell’Aquila – una pala bloccata sostituita in modo più che repentino – non deve aver insegnato nulla. Giovedì a Washington, e approvando all’unanimità i finanziamenti 2010 per il dipartimento Difesa, l’Appropriations Commitee del Senato non ha inserito i 3 miliardi necessari per l’acquisto di nuovi elicotteri presidenziali. Ha dato l’ennesimo colpo alla commessa che Finmeccanica e Lockheed si erano aggiudicati durante la presidenza Bush e che si sono visti cancellare all’inizio di quella Obama. Piazza Montegrappa, che al momento non ha dovuto contabilizzare delle perdite, potrebbe vedere evaporare un business da almeno 3 miliardi. Ma quella che arriva dal Campidoglio non è certamente una sentenza definitiva. Anche perché opposta a quanto deciso dalla Camera. Fatto sta che il mondo politico americano sembra essere sempre più spaccato sui 17 elicotteri VH71 che, dopo i 7 ad consegnati aprile, sarebbero dovuti essere costruiti dalla joint venture tra gli inglesi di Lockheed-Martin e Agusta-Westland, società di Finmeccanica. Quarantott’ore fa, l’Appropriations commitee ha approvato un budget da 636 miliardi di dollari che raccoglie quasi in toto tutte le indicazioni del presidente Obama, compresi i finanziamenti per 128 miliardi di dollari per le operazioni in Iraq e Afghanistan. In linea con «il mio elicottero attuale? Mi sembra del tutto adeguato» pronunciato dal presidente nei giorni dell’insediamento, sono state accolte le raccomandazioni di stralciare i programmi per la costruzione del VH-71 come del caccia F-22 e di un nuovo motore per l’F-35 Joint Strike Fighter. La decisione della commissione deve essere vidimata dal Senato. Che, votando una rendicontazione di bilancio per il dipartimento Difesa diversa in molti punti da quella passata alla Camera, non potrà evitare quella che in gergo si chiama legge di riconciliazione. E

fondi potrebbero spuntare anche nel Defense Revenue, che ha valenza quadriennale. Di conseguenza, la vicenda non si concluderà prima di dicembre. Quindi è presto per capire come andrà a finire.Va da sé che la partita Finmeccanica la gioca in salita vista l’ostilità di Obama alla commessa. Eppure sembra passato un secolo – era febbraio – quando l’appena sconfitto John McCain si appellava al neo presidente perché «il suo nuovo elicottero costerà molto più caro di Air force One». E il nuovo inquilino della Casa Bianca era lesto nel rispondergli: «Caro John, prima della Casa Bianca non ho mai avuto un elicottero…Chissà, forse è stata una grande privazione e non lo saprò mai...». Alla base delle polemiche il budget finale passato da 6 a 12 miliardi di dollari per le continue richieste di “optional” arrivate della vecchia amministrazione Bush. E non a caso McCain aveva sottolineato: «Non credo vi sia una dimostrazione migliore di come buone idee finiscono poi per costare una gran quantità di danaro del contribuente». Perché in questa decisione si è inserita una campagna tutta mediatica, nella quale è molto labile il confine tra la necessità di ridurre la spesa pubblica in anni di crisi e il protezionismo. Guarda caso Obama ha insistito che la commessa Lockheed-Westland «è un esempio di come il processo di appalti sia fuori controllo e di come dobbiamo rimetterlo in sesto. Questa degli elicotteri sarà una delle nostre priorità più elevate, l’ho detto anche a Gates (il sottosegretario alla Difesa, ndr) chiedendogli di rivedere i costi del progetto».

Il Senato non introduce i fondi necessari per i nuovi mezzi. Ma la politica americana si spacca sulla scelta della Casa Bianca

il senato accademico con un ignobile ordine del giorno che prevede al primo punto “regolamento dottorati di ricerca”, insieme ad altre idiozie come accordi bilaterali e la chiamata in servizio di un inutile oculista (non c’è più l’ospedale!)».

Insomma, continua il volantino: «Assalito dai sensi di colpa, o forse per comparire sui media, il ns Rettore inventa una cerimonia per consegnare delle fantomatiche lauree post-mortem che non esistono nella legislazione italiana contrariamente a quelle honoris causa ufficialmente riconosciute». I manifestanti hanno chiesto l’intervento della magistratura.

Ma oggi questo scenario s’infrange con il sentire di un parte della politica americana che si chiede perché mandare all’aria il rinnovo della flotta di elettori presidenziali, dopo aver speso già 3 miliardi di dollari. Senza contare che blindare le commesse potrebbe creare nuove tensioni con i partner europei, ogni giorno più preoccupati dalle troppo stringenti relazioni tra Usa e Cina.

«L’ipotesi accusatoria di omicidio volontario nella forma del dolo eventuale non può essere ritenuta adeguatamente e sufficientemente provata», questo si legge nelle motivazione depositate i giorni scorsi. L’agente, secondo la corte, non potrebbe mai avere «seriamente pensato, accettando anche solo vagamente tale prospettiva, che il proiettile finisse invece col colpire e addirittura uccidere taluno degli occupanti».

«Il colpo venne sicuramente deviato dalla rete», hanno scritto ancora i giudici, secondo i quali la posizione dell’agente al momento di sparare rende «manifestamente evidente l’impossibilità di una concreta determinazione della precisa angolazione del braccio (o delle braccia) rispetto all’asse del corpo, e quindi della possibilità di desumere da ciò se l’obiettivo preso di mira fossero gli occupanti del veicolo o la parte inferiore di questo». Questa ricostruzione, ad ogni modo, non toglie il fatto che l’atteggiamento del poliziotto sia stato severamente criticato in sentenza e infatti bollato come «sciagurato». Il primo grado di giudizio insomma si è chiuso così. Aspettando il nuovo ricorso in Appello presentato dalla famiglia della vittima.


politica

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Alleanze. Nella maggioranza ormai è tutti contro tutti. Ma il bersaglio preferito resta il presidente della Camera

La minaccia di Bossi «Gianfranco si porti gli immigrati in casa» E intanto Fini cerca nuovi alleati nel Pdl di Riccardo Paradisi ra non è più un duello a distanza quello tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini. Dopo il discorso di Gubbio dove il presidente della Camera ha ruvidamente contestato linea politica e gestione del Pdl davvero è difficile parlare di «una normale dialettica fisiologica all’interno di un grande partito». No, quello tra il premier e l’ex leader di An è uno scontro ormai frontale e serve a poco l’acqua che i pompieri del Pdl, gettano sul fuoco della polemica. Il ministro della Giustizia,Angelino Alfano, nel corso del suo intervento di ieri alla Scuola di formazione del Popolo della Libertà a Gubbio, la stessa tribuna da cui ha tuonato Fini, ha usato addirittura la formula «Squadra che vince non si cambia».

O

Se le vittorie si vedono però, ha mormorato un dirigente del Pdl dopo le parole di Alfano, si fatica ormai a vedere la squadra visto il livello di scontro raggiunto. È stato più franco il presidente dei deputati del Pdl Fabrizio Cicchitto: «Va bene la sollecitazione al dibattito interno ma vorrei dire due cose: che finora il gruppo dirigente del Pdl è stato impegnato in una sorta di percorso di guerra, cioè non ce ne siamo stati con le mani in mano. E secondo che bisogna stare attenti che il dibattito interno non sfoci in un sistema correntizio di ripiegamento in sè stesso che ci allontanerebbe dalla gente». Guai insomma a logorare una leadership «che non è affatto, come dice D’Alema, al suo punto di declino ma continua a trainare il Paese». Insomma, uno stop a Fini intimato in maniera nemmeno troppo sottile, anche perché Cicchitto fa anche un riferimento alle inchieste sulle stragi di mafia e sulla necessità della loro riapertura, il passaggio del discorso di Fini che è stato registrato con più fastidio tra i berlusconiani: «Astrattamente – dice Cicchitto – nessuno ha paura di farlo ma stiamo vedendo strumentalizzazioni giudiziarie fortissime. Bisogna confrontarsi a viso aperto.

C’è il rischio di un uso errato dei pentiti. Quando pendiamo dalle labbra del figlio di Ciancimino mi vengono forti dubbi». A proposito del rischio correnti: una delle interpretazioni più accreditate all’interno del centrodestra è che Fini, dopo aver investito sulla guerra di posizione condotta dai suoi media abbia rotto gli indugi sull’idea di aprire un confronto interno diretto con Berlusconi, schierando alcuni dei vecchi supporter di An venuti allo scoperto dopo lo scontro con il Giornale e i nuovi amici del cotè laicista del Pdl, tra tutti l’ex radicale Benedetto della Vedova. Aprire il confronto dunque ma in vista di quale prospettiva? Si è detto la presidenza della Repubblica o addirittura per preparare un’uscita dal Pdl per partecipare alla fondazione di una nuova formazione di centro sul modello della Kadyma israeliana. Una fonte molto vicina al presidente della Camera smentisce questi scenari. La vera partita che vuole aprire Fini per ora sarebbe solo quella per la democrazia interna al Pdl.

Il leader del Carroccio «benedice» la vita del premier

Il caso Escort? «Roba di mafia» PIAN

Fini si sente fuorigioco, gli va stretto il ruolo notarile di presidente della Camera, soprattutto perché le linee da lui indicate nel discorso al congresso di fondazione del Pdl – quelle che ha continuato a ribadire in questi mesi, dal testamento biologico alle politiche d’accoglienza - non sono state prese nella minima considerazione all’interno del Pdl. Non ci sono mai state occasioni di confronto politico. Fini insomma confidava che il Pdl sarebbe stato un partito dove sulla linea politica si sarebbe discusso. Invece – continua la fonte finiana – Berlusconi ha continuato ad ascoltare solo Bossi, è con lui che continua a vedersi ogni settimana a cena, per stilare le candidature, addirittura per fare le nomine locali. E Bossi continua a rivolgersi a Fini tra l’ironico e lo sprezzante: sulle politiche migratorie, gli ricorda, c’è un vincolo di programma che Fini deve rispettare altrimenti gli immigrati «se li porti a casa sua. Voler riempire il Paese di immigrati non è molto tranquillizzante». Difetti di comunicazione insomma. Del resto che il leghista Cota fosse stato candidato al governatorato del Piemonte i finiani lo hanno appreso dai giornali così

DEL

RE (CUNEO).

«Penso che tutto sia stato messo in piedi dalla mafia». Così il leader della Lega, Umberto Bossi, a Pian del Re dove ieri ha rinnovato il rito arcestrale della raccolta dell’acqua dalle sorgenti del Po. Il leader del Carroccio ha così risposto a chi gli domandava una sua impressione sulle vicende delle ultime settimane che riguardano il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. «Abbiamo fatto leggi pesantissime contro la mafia ha proseguito Bossi - e quindi l’ho detto anche a Berlusconi: guarda che qui c’entra la mafia. Chi ha in mano le prostitute è la mafia e sono convinto che sia la stessa la mafia che ha organizzato tutta questa cosa qui». Per ritorsione contro il governo? Hanno chiesto quindi i cronisti. «Esatto», ha risposto secco il ministro per le Riforme e il Federalismo. Con queste considerazioni, molto secche per la verità, si è evidenziato ancora una volta il forte legame tra il premier Berlusconi (che non esita mai a pro-

teggere Bossi dalle accuse che spesso gli vengono rivolte) e il leader del Carroccio. In effetti, almeno per quanto riguarda il caso delle escort quello di ieri di Umberto Bossi sembrerebbe un passo indietro o, meglio ancora, una mano tesa, forse in vista degli accordi conclusivi sulle candidature alle prossime elezioni regionali. È la prima volta, infatti, che il senatur prende le difese di Berlusconi. In altre occasioni, sempre interrogato su questo tema, non aveva fatto mistero ora di non credere alla possibilità che un «uomo di 73 anni, per di più con tutto quel da fare» potesse trovare la forza ed il tempo di intrattenersi con giovani ed avvenenti donna, ora che fossero «tutte storie inventate dai giornali di sinistra», oppure, in un paio di occasioni, che «un uomo sposato deve rispettare la famiglia». In un giorno in cui sia il guardasigilli Alfano che il presidente del Senato Schifani hanno parlato di mafia, Bossi non poteva certo essere da meno.


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Il ministro difende i pm, il presidente del Senato li attacca

Mafia: botta e risposta tra Alfano e Schifani

Il presidente della Camera appoggia il Guardasigilli: «Così spazza via tutte le false dietrologie su di me» di Francesco Capozza

come hanno saputo dalla viva voce di Berlusconi, alla festa della Giovane Italia, che Formigoni sarebbe stato ancora il candidato della Lombardia per il Pdl. «Non è possibile – dice Fini – che un partito del 39% possa muoversi con questa logiche piramidali». Su questo anche Ignazio la Russa il più berlusconiano degli ex di An – uno dei coordinatori del partito insieme a DenisVerdini e Sandro Bondi, molto duri con fini dopo il discorso di Gubbio – , dice che Fini apre un pro-

reclamare un suo riconoscimento. E un suo diritto di tribuna in quella sedi che come lamentano appunto i finiani non vengono mai riunite. Sedi come il direttorio dei quaranta, rimasto lettera morta nello statuto del partito e i coordinamenti regionali.

Quello lombardo non s’è mai finora riunito da quando è nato il Pdl e in vista delle prossime regionali. A chi infine ricorda ai finiani che anche il presidente della Camera non ha scherzato in

Berlusconi in questi mesi – lamenta Fini – ha continuato ad ascoltare solo Bossi, è con lui che continua a vedersi ogni settimana a cena, per stilare le candidature, addirittura per fare le nomine locali blema reale nel Pdl. Si registrano come consensi finiani anche il silenzio di Tremonti, le aperture di Frattini alle posizioni di Fini sul voto agli immigrati e la presenza di Pisanu a certe iniziative del presidente della Camera. Ma per ora si tratterebbe appunto di operazioni di movimento. Le scosse vere potrebbero avvenire dopo le regionali che secondo alcuni sondaggi lascerebbero peraltro immutato in termini di consensi e percentuali il panorama politico attuale. Intanto Fini dovrebbe continuare a cercare spazi interni di manovra e per far mettere all’ordine del giorno le sue proposte, che saranno minoritarie come ha detto Formigoni in un’intervista a liberal, e su cui però converge una pattuglia che non è l’esatta pantografia della vecchia An e che sembra ormai

termini di stillicidio sulla linea del governo, che anche An era una caserma, che Fini conosceva Berlusconi e sapeva in quale partito faceva confluire la sua An questi rispondono in successione che: a provocare per primo fu Berlusconi quando si presentò alla fondazione della Destra di Storace prima delle politiche del 2007; che in An Fini aveva accentrato molti poteri ma non aveva eliminato, almeno formalmente, i luoghi istituzionali di dibattito interno al partito; che il presidente della Camera sperava davvero che si tenesse in conto delle promesse di partito plurale fatte alla vigilia della fusione di An e Forza Italia nel partito unitario. Sta di fatto che oggi Fini, garantisce ancora chi gli è vicino, non rifarebbe la stessa scelta. Non confluirebbe più cioè nel Pdl.

GUBBIO. «Se vi saranno elementi per riaprire i processi sulle stragi, i magistrati lo faranno con zelo e coscienza e siamo convinti che nessuno abbia intenzione di inseguire disegni politici, ma solo un disegno di verità». Lo ha detto ieri il ministro della Giustizia, Angelino Alfano a margine della Scuola di formazione di Gubbio, parlando dell’ipotesi di riaprire i processi sulle stragi mafiose degli anni Novanta. Una posizione, quella espressa dall’esponente del governo, che viene registrata con soddisfazione dall’Associazione nazionale magistrati: «Prendo atto con viva soddisfazione e con me l’intera Anm e certamente tutta la magistratura delle parole del ministro Alfano a proposito della serietà dei magistrati impegnati nelle inchieste sulle stragi di mafia» dice il presidente, Luca Palamara, sottolineando che il sindacato delle toghe era stato indotto «a intervenire proprio per il grave rischio di delegittimazione dei magistrati più esposti nelle inchieste sulla criminalità organizzata, ai quali oggi il Guardasigilli riconosce «zelo e coscienza», oltre che impegno. «Mi auguro - conclude Palamara che la posizione del ministro della Giustizia sia condivisa dall’intero governo».

circa quanto ho affermato ieri sulla necessità di giungere alla completa verità sulle stragi mafiose degli anni 90».

Era stato proprio un intervento di Fini, giovedì, a riaprire il dibattito all’interno del Pdl. Il numero uno di Montecitorio aveva parlato della necessità di tornare su quelle dolorose vicende senza lasciare adito al sospetto che la maggioranza abbia verità da nascondere. E ora Alfano spiega che, dal suo punto di vista, questo per il governo non sarebbe affatto un problema. Anzi. Sul fatto che un’eventuale riapertura delle vicende che portarono tra l’altro all’uccisione dei giudici Falcone e Borsellino e agli attentati a Milano, Roma e Firenze possa in qualche modo avere ripercussioni sull’esecutivo, il ministro Alfano si dice in ogni caso tranquillo: «Non abbiamo questa preoccupazione perchè riteniamo che il governo si sia qualificato per l’esatto contrario e per il grande contrasto alla criminalità organizzata che ha dato risultati straordinari». «Probabilmente c’è un certo rancore della mafia nei confronti di un uomo come Silvio Berlusconi che l’ha combattuta non con parole ma con i fatti» ha detto ancora Alfano. Il ministro per l’Attuazione del programma, Gianfranco Rotondi, sembra però non condividere la concessione di credito offerta da Alfano ai magistrati e parla di «sconcezze sulla stampa» e di «sinistri avvisi che arrivano dalla Procura di Palermo». Rotondi punta l’indice sulla riapertura delle indagini da parte dei giudici siciliani e ricorda la vicenda di Giulio Andreotti: «Abbiamo fatto i conti con il processo a Giulio Andreotti, trascinato nella vergogna per aver combattuto la mafia. A chi da Palermo vuole intimidirci diciamo che questo governo non fermerà la lotta alla malavita, che non fa progredire il Sud». Per il responsabile giustizia del Pd, Lanfranco Tenaglia, «le parole del ministro Alfano vanno nella giusta direzione, tuttavia e purtroppo, non bastano assolutamente a fare chiarezza». «A chi dobbiamo credere? Al presidente del Consiglio o al ministro della Giustizia? Il caos regna sovrano nel governo - fa notare l’esponente democratico - Tra gli attacchi alla magistratura del presidente del Consiglio e le rassicurazioni del Guardasigilli esiste una distanza siderale. Non vorremmo, infatti, che le parole rassicuranti ed emollienti del ministro Alfano altro non fossero che il tentativo di tranquillizzare la vittima per poterla colpire meglio».

E l’opposizione insorge: «Tra gli attacchi alla magistratura del premier e le rassicurazioni del ministro esiste una distanza siderale»

Ma dal fronte della maggioranza arrivano, sempre dalla convention di Gubbio, le parole del presidente del Senato, Renato Schifani, che suonano come un distinguo: la magistratura, ha detto il numero uno di Palazzo Madama, «mi piace meno quando alcuni singoli magistrati, seguendo percorsi contorti e nebulosi ed avvalendosi di dichiarazioni di collaboratori di giustizia che parlano per sentito dire, tendono a riproporre teoremi politici attraverso l’evocazione di fantasmi di un passato lontano che avrebbe visto congiure contro il regolare assetto delle istituzioni». Schifani sottolinea invece che la magistratura «mi piace di più quando si occupa, a volte addirittura pagandone il prezzo in prima persona, del contrasto diretto e senza quartiere alla mafia per distruggerne l’organizzazione territoriale, sradicandone le sue radici velenose e profonde». Il presidente della Camera, Gianfranco Fini, condivide invece in pieno le parole di Alfano: «La inequivocabile dichiarazione del Guardasigilli, che condivido al cento per cento, e che indica chiaramente l’auspicio del governo, spazza via le strumentali interpretazioni e le false dietrologie


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ell’opera Democrain America, zia Alexis de Tocqueville si preoccupava che le società libere e capitaliste potessero sviluppare un così forte «gusto per la gratificazione fisica» che i cittadini si sarebbero lasciati trasportare ed avrebbero perso il proprio ritegno. Cercando avidamente il guadagno personale, rischierebbero di «perdere di vista la stretta connessione che esiste tra fortuna privata di ognuno di loro e la prosperità del tutto» e infine indebolire sia la democrazia che la prosperità. Il genio dell’America agli inizi del XIX secolo, secondo Tocqueville, stava nel ricercare l’«industria produttiva» senza scivolare nel letale materialismo. Dietro all’atto di compensazione dell’America, come notò l’avveniristico filosofo sociale francese, giace una serie di virtù civiche comuni che celebrano non solo il duro lavoro ma anche la parsimonia, l’integrità, la fiducia in se stessi e la modestia - virtù che emergono dalla permeabilità della religione, che Tocqueville chiamava «la prima delle istituzioni politiche [dell’America],... che impartisce moralità» alla democrazia americana e ai mercati liberi. Circa 75 anni dopo, il sociologo Max Weber definì le qualità osservate da Tocqueville come “Etica Protestante”e le ha considerate il fulcro di un capitalismo di successo. Come Tocqueville, Weber vedeva quell’etica più completamente realizzata in America, dove pervadeva la società. Predicata da luminari come Benjamin Franklin, insegnata in scuole pubbliche, inserita in racconti popolari, ripetuta in libri per migliorare se stessi e trasmessa agli immigranti, questa etica ha avvolto e promosso il successo economico dell’America.

N

Che cosa penserebbero Tocqueville o Weber dell’America oggi? Al posto della parsimonia troverebbero una nazione di debitori che vacillano sotto il peso di prestiti ottenuti con false dichiarazioni. Al posto di un’accumulazione di ricchezza paziente e costante, troverebbero banchieri e finanziatori con una prospettiva talmente a breve termine che non si fermano mai a considerare le conseguenze o i rischi di vendere sicurezze che non capiscono. Al posto di un paese in cui tutto ciò che un uomo chiede al governo è «di non essere disturbato nel suo duro lavoro», come scriveva Tocqueville, troverebbero una nazione di cercatori di profitti che chiedono sussidi governativi per comprare case, iniziare

La crisi ci ricorda che mercato e democrazia, per prosperare nuove imprese o mettere in deposito quelle vecchie. Troverebbero quello che Tocqueville descriveva come «il cerchio fatale» del materialismo - il cerchio di acquisizione e gratificazione che porta indietro le persone ad un’acquisizione ancora più frenetica e che alla fine indebolisce le democrazie prosperose. E ne capirebbero il motivo.

Dopo tre secoli di prosperità in America, l’etica protestante ha iniziato a disintegrarsi, con elementi chiave che scomparivano lentamente dalla società moderna americana, dalle scuole, dagli affari, dalla cultura popolare, e che ci lasciavano con un sistema economico che ha perso i vincoli della virtù civica. Nemmeno Adam Smith - che era un filosofo morale, dopo tutto - aveva immaginato che il capitalismo avrebbe operato in un tale vuoto etico. Piani di prestito, nuovi schemi regolatori e strategie di politica monetaria non serviranno a produrre una solida ripresa a lungo termine dell’opportunità economica americana senza un rinnovamento di quello che un tempo era considerato il co-

Senza etica, che c di Steven Malanga dice morale: non solo duro lavoro, ma anche una serie di virtù collaterali, il cui ruolo fondamentale nello sviluppo e nel sostegno dei mercati liberi ora tornano in maniera troppo limitata. L’esperimento americano che raccontò Tocqueville intorno al 1830 fu

un’auto-disciplina che era, per Max Weber, il centro dell’etica capitalistica. «L’impulso all’acquisizione, la ricerca del guadagno, dei soldi, della somma di denaro più alta possibile, non ha in se stesso niente a che vedere con il capitalismo» scrisse Weber in

Alexis de Tocqueville si preoccupava che le società libere potessero sviluppare un così forte «gusto per la gratificazione fisica» che i cittadini avrebbero perso il proprio ritegno più che un semplice tentativo di vedere se gli uomini potevano vivere senza un monarca e un governo. Era necessaria una società libera in cui le persone potevano perseguire opportunità economiche con solo la minima interferenza dello stato. Fare questo senza produrre anarchia richiedeva

L’Etica protestante e lo spirito del capitalismo. «Un’avidità senza limiti per il guadagno non è minimamente identica al capitalismo, e ancora di meno al suo spirito». Invece, l’essenza del capitalismo sta in una «tempra razionale» dell’impulso di accumulare ricchezza come di

In alto, la Dichiarazione d’Indipendenza. Qui sopra, dall’alto (in senso orario): Adam Smith; Alexis de Tocqueville, Max Weber, Benjamin Franklin

mantenere un affare (e alla fine l’intera economia) sostenibile e auto-rinnovante, scriveva Weber. Sta nella «ricerca del profitto, e nel profitto rinnovato per sempre, attraverso un lavoro razionale e continuo». Nella famosa affermazione di Weber secondo cui la Riforma Protestante - con l’enfasi di Calvino e Martin Lutero sulla responsabilità individuale, sul duro lavoro, sulla parsimonia, sulla provvidenza, sull’onestà e sulla gratificazione differita al centro di essa - si dà forma allo spirito del capitalismo e si contribuisce al suo successo. Il calvinismo e le sette che crebbero attorno ad esso, specialmente il Puritanesimo e il Metodismo di John Wesley in Inghilterra, erano religioni principalmente per la classe media e la classe operaia e le virtù che promuovevano conducevano ad un nuovo tipo di affluenza e movimento verso l’alto, basato non sulla terra (che era per lo più di proprietà dell’aristo-


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e, non possono fare a meno delle virtù civiche

capitalismo è? crazia), ma sulle iniziative produttive. In nessun posto come in America, dove gli esploratori puritani si stabilirono animati da una calvinista dedizione al lavoro, l’unione del capitalismo con le virtù che erano alla base del codice etico hanno trovato

no il lavoro, negli Stati Uniti «un uomo ricco pensa che deve la sua ricchezza all’opinione pubblica per dedicare il suo tempo libero a perseguire imprese commerciali o industriali, o agli affari pubblici. Egli si considererebbe in cattiva reputazione se

Dopo tre secoli di prosperità in America, l’etica protestante ha iniziato a disintegrarsi, lasciandoci con un sistema economico che ha perso tutti i vincoli della virtù civica un’espressione più completa. Come risultato ci fu una considerevole società in cui, come Tocqueville avrebbe osservato, tutti «i richiami onesti sono onorabili» e in cui «la nozione di lavoro viene quindi presentata alla mente da ogni lato come la condizione necessaria, naturale e onesta dell’esistenza umana». Diversamente dall’Europa, dove gli aristocratici e i borghesi spesso disprezzava-

spendesse la sua vita solo per vivere». Questa etica del lavoro complessa e densa, così essenziale al successo dei primi insediamenti americani, divenne parte del tessuto civico del paese. Questa trovò la sua espressione più concisa negli scritti di Benjamin Franklin, le cui ben note massime, oggi considerate singolarmente obsolete, raccomandavano ai cittadini del nuovo Paese una visione glo-

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bale che promuovesse il lavoro e la ricerca della ricchezza. «Il tempo è denaro» e «Non tenere soldi prestati un’ora in più del tempo promesso» e «Presto a letto, presto in piedi, questo serve per rendere un uomo sano, ricco e saggio» esprimevano virtù che Franklin e i suoi contemporanei consideravano non solo come religiose ma come utilitariste. Una reputazione onesta rende più facile ottenere soldi in prestito per nuoimprese, consigliava ve Franklin. Un uomo che dimostra auto-disciplina nella sua vita privata ispira fiducia nei prestatori e negli uomini d’affari. Questo insieme di virtù, che Weber descriveva come «l’ideale dell’uomo onesto dal credito riconosciuto», rappresentano il modo di andare avanti nella vita. Gli scritti di successo di Franklin ebbero un enorme impatto sull’America. Le sue idee, ampiamente applaudite, permeavano la cultura popolare e l’educazione.

I libri di testo delle scuole del XIX secolo, per esempio, di William Holmes McGuffrey e di suo fratello Alexander, inculcavano nei bambini le virtù del lavoro e della parsimonia. Per drammatizzare le “Conseguenze dell’ozio”, il libro di testo per la IV classe di McGuffey “Fourth Eclectic Reader” raccontava la storia del povero George Jones, che sciupava il suo tempo a scuola e sprecava i soldi che suo padre aveva dedicato alla sua educazione e finì col diventare un vagabondo. Nella quinta classe, gli studenti imparavano a memoria la lode al lavoro di Eliza Cook, intitolata semplicemente “lavoro”, che li spronava a “lavorare, lavorare, ragazzo, non avere paura; /guarda il lavoro in faccia con coraggio”. Con un’educazione del genere, la gioventù americana del XIX secolo abbracciava i romanzi su miseria e opulenza di Horatio Alger Jr. (200 milioni di libri venduti), le cui trame rappresentavano una mappa per l’etica del lavoro. Nel suo primo successo commerciale, Rugged Dick, troviamo un quattordicenne senza casa che conquista i suoi padroni per la sua onestà e laboriosità e lentamente la sua posizione nel mondo sale. Un giorno si trova sull’orlo di perdere tutto perché un ladro sgraffigna i risparmi del suo libretto, i banchieri lo riconoscono grazie alla regolarità con cui si recava per depositare, e riescono a far arrestare il ladro. In un racconto successivo, Costretto a crescere, il povero Henry Walton vince una biografia di Benjamin Franklin per aver superato gli esami e, inspirato dalla storia

della sua vita, decide di andare via per guadagnare una fortuna. L’etica del lavoro influenzò perfino lo svago americano. Il gioco più popolare dell’epoca, Il gioco a scacchi della vita, creato da Milton Bradley alla metà del diciannovesimo secolo e venduto porta a porta, sfidava i giocatori a guadagnarsi punti ogni volta che terminavano la scuola, si sposavano, lavoravano duro e stavano alla larga dalle scommesse e dalla pigrizia. Quando presentò la patente per il suo gioco Bradley disse che mirava a «imprimere nelle giovani menti i grandi principi morali della virtù e del vizio». Il successo del gioco portò alla nascita di un nuovo genere. «Seguirono molti altri giochi con la stessa spinta morale», scrisse Jennifer Jensen del New York Historical Society in un articolo intitolato «Come insegnare il successo tramite il gioco». Giochi che «enfatizzavano virtù secolari quali la parsimonia, la precisione e la gentilezza». L’etica del lavoro distingueva inoltre le colonie del nord da quelle del sud, aiutando alla fine il nord a battere il sud. Molti pionieri sudisti erano alla ricerca di opportunità economiche, non di libertà religiosa. Invece che fondare villaggi e città con un comune sentimento civico, i sudisti crearono piantagioni isolate. Invece di sviluppare un’economia diversificata, affidarono agli schiavi alcune colture tradizionali. Crearono una società dove pochi proprietari terrieri si comportavano come un’aristocrazia.

Ai loro occhi non tutti i lavori onesti erano rispettosi, e svilupparono ciò che lo storico C.Vann Woodward chiama «l’etica del sud» secondo la quale certi tipi di lavori devono essere lasciati agli schiavi. Alla lunga, questa attitudine si rivelò la più grande vulnerabilità del sud mentre il nord, forgiato dall’etica del lavoro, rafforzò il suo ruolo industriale a scapito della limitata economia sudista costruita precariamente sul tabacco e la schiavitù, oltre che su un etica arrogante e non puritana. All’indomani della Guerra Civile questa versione secolare dell’etica protestante attirò come calamita milioni di poveri immigrati provenienti da paesi con poca conoscenza del libero mercato e della democrazia. La loro assimilazione all’interno di una cultura che non vedevano come protestante ma come americana rinvigorì il Paese, mettendo l’America d’inizio novecento su una direzione opposta rispetto a gran parte dell’Europa.


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Tutto inizia a sgretolarsi con gli anni della contestazione È in quest’epoca che essere virtuosi diventa qualcosa di totalmente separato dal mondo del lavoro er ironia della sorte molti di questi immigrati assorbirono gli insegnamenti di Franklin dalla chiesa cattolica Americana. Personaggi di punta della gerarchia ecclesiastica - tra cui l’irlandese John Hughes, il primo brillante arcivescovo di New York cresciuto nella povertà - seguivano l’etica del lavoro e ne avevano colto il ruolo che poteva giocare nel successo del paese. La missione di Hughes era l’ascesa morale ed economica dei milioni di poveri immigrati irlandesi di Gotham. Fondò un network di un centinaio di scuole cattoliche dove ai ragazzini irlandesi veniva insegnato «un codice spirituale di condotta personale», come scrisse William J. Stern nel 1997 in City Journal. La chiesa di John era una “chiesa della disciplina”, sosteneva le scuole di quartiere che inse-

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dici di questa disintegrazione affondano in ciò che Daniel Bell chiamò in Le Contraddizioni Culturali del Capitalismo «il rigetto delle tradizionali virtù borghesi da parte di artisti e intellettuali europei di fine ottocento che volevano sostituire alla religione o alla moralità una giustificazione estetica della vita». Negli anni Sessanta questa tendenza modernista si era trasformata nella fede nella realizzazione di sé secondo la quale “niente è vietato, tutto è da esplorare”, scrisse Bell.

orientati al profitto. In quest’epoca essere virtuosi divenne qualcosa di separato dal lavoro. Quando la Milton Bradley Company reintrodusse sul mercato Il gioco a scacchi della vita nella versione moderna Il gioco della vita a metà anni Sessanta, non c’era più traccia delle tradizionali virtù borghesi come finire gli studi o sposarsi. Ciò che restava del gioco originale era la corsa alla ricchezza, finché Milton Bradley, attaccato dalla critica, modificò il gioco introducendo dei premi per le buone azioni. Ma il risultato fu semplice correttezza politica: il riciclaggio di rifiuti e la salvaguardia di specie in pericolo (che facevano vincere punti) mischiandosi alla tolleranza e alla sensibilità non fecero che gonfiarsi per riempire il vuoto lasciato dall’etica protestante.

Fu così la fine dell’etica protestante con la sua prudenza, parsimonia, temperanza, auto disciplina e differimento della gratificazione. Insieme alle virtù dell’etica del lavoro americana s’indebolì la stessa fede nel valore del lavoro. I contestatori sessantottini ruppero questo schema. Nel 1973

Gli shock economici post-sessantotto (e soprattutto l’inflazione galoppante degli anni Settanta) rafforzano il materialismo emergente: «Spendere prima che i soldi diventino polvere» gnavano la vocazione professionale e la buona condotta a migliaia di ragazzi di strada irlandesi abbandonati o orfani, dando loro una buona preparazione per entrare nella società americana. Le scuole cattoliche in giro per il paese seguirono il suo esempio, e ancora oggi fanno miracoli con i bambini difficili.

Per la fine del diciannovesimo secolo gli irlandesi erano in maggioranza usciti dalla povertà ed entrati a fare parte della società americana. Furono seguiti da folle di cattolici e di ebrei provenienti dall’est europeo - circa 20 milioni di immigrati tra il1890 e il 1925 che presto copiarono il successo irlandese in un paese le cui istituzioni riconoscevano e premiavano il lavoro faticoso, la parsimonia e l’ascesa sociale. Secondo uno studio nell’arco di una sola generazione la famiglia d’immigrati media d’inizio novecento raggiunse la parità di reddito e di educazione con quelle americane. I loro figli avevano le stesse possibilità di diventare contabili, ingegneri e avvocati di chi era nato e cresciuto in America da generazioni. Il consenso attorno all’etica del lavoro cominciò a sgretolarsi con la contestazione degli anni Sessanta, che si oppose e scardinò molte qualità tradizionali americane. Le ra-

il direttore di American Work Ethic scriveva che «la prosperità, l’edonismo e il radicalismo» stavano allontanando dal lavoro e dalla carriera molti americani, con il risultato che la produttività Usa ebbe un crollo dal 1965 al 1970. La trasformazione dei valori era talmente forte che, come scrisse George Bloom del MIT in un saggio del ’71 sul declino della filosofia del lavoro americana, «È una vera sfortuna, ma indubitabilmente vero, che il progresso sta diventando una brutta parola in ogni settore della società». Cambiò anche l’approccio verso gli industriali. Se prima i film ritraevano in maniera neutra il mondo del lavoro e gli imprenditori, dagli anni Sessanta in poi i manager e gli amministratori delegati erano quasi sempre villani o buffoni. Il film simbolo dell’epoca, vincitore dell’Oscar Il Laureato, narra un storia esemplare di un fresco laureato che s’interroga sull’etica “fatica e sfonda” della società adulta. Odioso è il personaggio dell’amico di famiglia che dà una lezione al laureato dicendogli che «il futuro sta nella plastica». Simili ritratti riflettevano e rafforzavano le attitudini della generazione del baby boom. Un sondaggio Fortune del 1969 scoprì che il 92 percento degli universitari considerava i dirigenti troppo

Dall’alto: George Washington; Martin Lutero; Thomas Jefferson; Calvino

Le scosse culturali dell’epoca cambiarono profondamente le istituzioni portanti dell’etica del lavoro- soprattutto le scuole. Le università volevano che gli insegnanti di grammatica sostituissero li metodo tradizionale finalizzato a forgiare cittadini educati che abbracciassero l’etica del lavoro con un nuovo metodo incentrato sul bambino che vede lo sviluppo personale di ogni singolo alunno come speciale e diverso. Negli anni sessanta, quando intellettuali e studenti combattevano i valori americani di base perché considerati ostacoli oppressivi alla realizzazione personale, le scuole di grammatica abbandonavano i piani di studio tradizionali. «Gli insegnanti seguirono i loro colleghi di sinistra nel promuovere l’idea che qualsiasi imposizione dall’alto di un programma scolastico era una trama oscura della destra per perpetuare la dominante struttura di potere borghese, maschile e bianca», scrive il teorico riformatore E.D. Hirsch Jr. nel libro prossimo all’uscita La nascita degli americani: la democrazia e le nostre scuole. I valori borghesi avevano sostenuto “la moderazione razionale” di Weber circa l’impulso nell’accumulazione della ricchezza: la razionalità divenne interesse personale o come disse Tocqueville «un interesse personale giustificato». Quando le scuole e la società denigrarono questi valori, i risultati furono prevedibili. Nelle scuole l’approccio “ogni bambino è speciale” determinò una crescita dell’egocentrismo dello studente, stando ad alcuni studi di psi-

cologia. E ciò portò allo sviluppo di generazioni intere caratterizzate dal narcisismo e dall’ossessione della ricchezza materiale e dell’apparenza fisica. La generazione sessantottina aprì così la strada all’avvento della Me Generation degli anni Settanta, per arrivare infine agli anni Ottanta con numerosi sondaggi che dimostrano come per nove su dieci teenager lo shopping sia il miglior passatempo. Gli shock economici post-sessantotto, soprattutto l’inflazione degli anni settanta, rafforzarono un materialismo emergente. Le illusioni dell’amministrazione Johnson, convinta che l’America potesse finanziare guerre cieche e massicci programmi di assistenza sociale, portarono il paese nel 1974 a cadere in un’inflazione a 2 cifre. I più colpiti furono coloro che avevano sposato l’etica del lavoro. Risparmi andati in fumo, prezzi alle stelle, fu la fine dell’austerity. Il nuovo messaggio era «spendere, spendere e spendere prima che i soldi diventino polvere».

L’America uscì dall’inflazione soltanto dopo la cura restrittiva lanciata nel 1980 dal banchiere centrale Paul Volcker. Ma era un paese diverso, che aveva perso «la prudenza razionale della corsa al profitto» tanto osannata da Max Weber come unica via per ottenere un «guadagno stabile e duraturo». Negli anni Ottanta partì la ristrutturazione industriale ad opera di una nuova generazione di imprenditori amanti del rischio che usavano aggressivi strumenti finanziari soprannominati “obbligazioni spazzatura” per comprare e poi rivendere società in crisi. Rivoluzionarono l’America del business, superando la gratificazione degli anni Settanta. Sta di fatto che le ristrutturazioni e i fallimenti industriali del decennio successivo diffusero ansia tra i lavoratori. Il vecchio ideale di un impiego a vita in un’azienda madre cedette il passo a una carriera altalenante e precaria in un mondo del lavoro in costante mutamento. Sebbene i risultati fossero positivi - innovazione, aumenti salariali per i migliori - tra lavoratori e investitori si sviluppò una mentalità del “prendi tutto finché puoi” che trovò la sua ultima espressione nei “broker giornalieri” del boom della borsa tecnologia, speculatori legati all’hic et nunc più che investitori con una visione a lungo termine.


il paginone

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suo libro biografico La mia personale crisi creditizia. All’indomani del credit crunch la discussione sembra limitata tra chi vede nel governo un’ancora di salvezza per raddrizzare il capitalismo e chi invece crede che possa farlo solo il libero mercato. Pochi si chiedono se possiamo recuperare le virtù civiche che per 300 anni hanno guidato la nostra economia. Sono poche le chiese che oggi predicano quei valori. Anche se l’America è molto più religiosa di tanti altre potenze economiche, solo alcuni pulpiti diffondono l’etica borghese del lavoro.

Dopo il crollo, torniamo a educare l’America Le scuole che insegnano i principi morali del capitalismo sono ormai una minoranza uando i corvi speculativi del calibro di Michael Milken e Ivan Boesky furono condannati per aggiotaggio, le loro confessioni rafforzarono l’idea che una nuova etica aveva preso il posto del giocare secondo le regole. Lo stesso governo incentivò la mentalità “prendi tutto” e una nuova era di consumo basato sul credito fiorì negli anni Ottanta, trasformando gli americani da risparmiatori in debitori. Ostentazioni di ricchezza divennero frequenti. Dal 1982 quando Volcker domò l’inflazione al 1986 raddoppiarono le vendite di macchine di lusso. L’età media di chi comprava pellicce crollò da 50 a 26 anni. Per alimentare tali consumi, il debito pubblico nelle mani dei cittadini dal 1980 al 2008 si triplicò fino a raggiungere 2.56 milioni di miliardi di dollari, mentre i tassi di risparmio della nazione si contrassero da un 12 per cento di reddito pro-capite annuo all’uno percento nel 2005.

Q

Alcuni americani di classe media non erano più la borghesia agiata della rivoluzione industriale, ma erano diventati i possidenti terrieri che drenavo le loro proprietà per avere liquidità a piacimento per sostenere i loro stili di vita stravaganti. Insomma, gli americani si indebitavano prima ancora di vedere i profitti dei loro investimenti. La conseguenza di tale trasformazione fu la crisi dei mercati

globale del 2008. L’America ha sempre avuto i suoi speculatori, ma questa volta a scatenare lo tsunami furono i milioni di mutui contratti da cittadini americani qualunque – mutui che si rivelarono fraudolenti. Un caso tipico è quello di Bradley Collin, un imbianchino 27enne del Minnesota padre di tre figli.

Un bel giorno decise di buttarsi nel settore immobiliare perché non voleva certo «dipingere muri per il resto della vita». Con l’aiuto di alcuni speculatori edilizi lui e sua moglie acqui-

2007. Nessuno sa davvero quanto fu grave il problema, ma secondo alcuni studi circa il 70 percento dei mutui erano stati concessi con false garanzie, mentre altri sulla base di “bugie” sull’effettivo reddito comunicato dai clienti. Un altro 20 percento mentiva sulle intenzioni dell’operazione (comprare per poi rivendere).Va da sé che tutte questi frodi non sarebbero mai state possibili senza la complicità degli istituti che portò al crollo totale dell’industria immobiliare. Esemplare il collasso della sesta banca americana, Washington

Ma sarà difficile insegnare agli adulti cos’è la frugalità e la parsimoniosa accumulazione di ricchezza tramite il duro lavoro quando non lo hanno imparato né a scuola né a casa starono quattro case in via di realizzazione con l’intento di venderle e farci poi dei soldi. Furono costretti a sottoscrivere quattro diversi mutui, mentire sulle loro intenzioni e nascondere ciascuna operazione dall’altra perché nessuna banca si sarebbe prestata a finanziarli. Quando scoppiò la bolla dei sub-prime i Collin furono costretti a lasciare le loro case in mano alle banche contribuendo così a un ulteriore crollo nel valore del mercato. I Collin non furono gli unici. Stando al Fbi le frodi sui mutui crebbero dieci volte dal 2001 al

Mutual, che costruì un impero sui prestiti fatti alla leggera e senza garanzie solide. Ai dipendenti veniva insegnato a non fare troppi controlli, a preferire contratti leggeri e poco impegnativi. I mutui venivano perfino venduti per telefono.Tutta questa leggerezza portò a un totale di 11 miliardi di dollari di mutui spazzatura e la banca fu commissionata dal governo centrale e venduta alla JP Morgan Chase. Un caso di ciò che Weber chiamava «opportunità speculative irrazionali», che finiscono per minare il capitalismo anziché rafforzarlo.

Non c’è bisogno di aggiungere che non è quello che avrebbe voluto Adam Smith. Nella sua opera La Teoria dei sentimenti morali Smith tracciò l’evoluzione dell’etica partendo dalla natura dell’uomo come essere sociale che prova vergogna se fa qualcosa di improprio agli occhi altrui. Secondo Smith l’evoluzione della società porta alla nascita delle istituzioni – i tribunali, per esempio - che rappresentano e codificano l’etica degli individui e costituiscono la spina dorsale di un sistema economico. Le neuroscienza hanno confermato le teorie di Smith che vedono le nostre virtù derivanti dall’empatia che proviamo verso gli altri. Ma l’etica individuale ha bisogno di essere codificata dalle istituzioni e può essere scardinata da un messaggio sociale sbagliato. Quando ciò accade (esemplare il caso dei dipendenti della Washington Mutual spinti dai loro capi verso operazioni sempre più rischiose), alcuni si dimetteranno per avversione ma altri sopprimeranno il sentimento di vergogna legato alla violazione dei loro principi morali.Tale meccanismo di disonestà ha caratterizzato la bolla immobiliare: ingannare per ottenere facili mutui divenne una pratica talmente consueta che chi ingannava nemmeno si accorgeva di farlo. Anzi, alcuni si sentivano addirittura “eroici” per aver contratto mutui oppressivi,come racconta il giornalista del New York Times Edmund Andrew nel

Il Consiglio Nazionale delle Chiese si rifà a un “vangelo sociale”di sinistra finalizzato a ridistribuire la ricchezza. E se un tempo la chiesa cattolica assorbiva intere generazioni di immigrati nella vita economica americana, oggi le sue associazioni di carità e volontariato sono diventate un’emanazione dello stato sociale. Perfino le chiese evangeliche, le più vicine ai grandi riformatori protestanti, vivono di questioni sociali quali i movimenti contro l’aborto e le coppie gay. È vero, alcuni gruppi, quali la federazione dei consumatori Usa e l’istituto per i valori americani, hanno lanciato una campagna nazionale a favore del risparmio, come all’indomani della Guerra. Ma sarà difficile insegnare agli adulti cosa è la frugalità e la parsimoniosa accumulazione di ricchezza tramite il duro lavoro quando non lo hanno imparato né a scuola né a casa. Possono le scuole tornare a forgiare cittadini educati con i sani principi morali del capitalismo? Questo implicherebbe che le scuole tornino a plasmare gli americani, come propone Hirsch nel libro che sta per essere pubblicato. Fortunatamente alcuni istituti sia privati che pubblici hanno sostituito l’approccio incentrato sul bambino con l’insegnamento delle nostre cultura e istituzioni. Alcuni asili nido, per esempio, insegnano agli alunni la storia dei Padri Pellegrini, il Giorno dell’Indipendenza e George Washington. Certe elementari insegnano chi era Ben Franklin, cos’è la legge e come si articola la costituzione americana. Altre scuole hanno reintrodotto la sana educazione civica. Ma si tratta di casi isolati, limitati, rispetto al mainstream. In tarda età, Adam Smith notò che le istituzioni non possono addomesticare e regolare una società in cui i cittadini non sono stati educati sulla base di certe virtù comuni. «Quali istituzioni possono promuovere la felicità umana come prevalenza di saggezza e virtù?», scriveva Smith. «Ogni governo può fornire soltanto un rimedio imperfetto a qualsiasi mancanza». L’America del ventunesimo secolo sta imparando quella lezione.


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Iran. Il primo sermone della Guida suprema dalle elezioni presidenziali l sermone tenuto ieri a Teheran dalla Guida suprema iraniana Ali Khamenei è stato, come nelle attese, un progredire di autocelebrazione del regime. Di fronte a migliaia di fedeli, l’alto prelato ha guidato la preghiera per la prima volta dalle elezioni presidenziali del 12 giugno. L’evento è stato trasmesso in diretta dalla televisione al-Alam e, tradotto in arabo, dall’emittente satellitare al-Arabyia. Tuttavia, superando la facciata scontata di retorica, sono molti gli elementi messi in evidenza dall’ayatollah che meritano una riflessione. Per prima cosa, l’intervento in sé di Khamenei è importante. Siamo alla conclusione della terza settimana del Ramadam, quindi una fase di profonda contemplazione collettiva in tutto l’Islam. Khamenei ha colto l’occasione per pronunciarsi in qualità di massimo esponente del clero sciita iraniano. Si è mostrato al pubblico nelle vesti di uomo di fede, ma ha pronunciato un discorso dai contenuti esclusivamente politici. Così facendo, ha legato a filo doppio l’aspetto secolare del Paese con il Corano. Ha ribadito che il Presidente Ahmadinejad non può essere oggetto di discussione da parte della piazza e dalle opposizioni sostenute dai governi stranieri. La sua è stata una sorta di benedizione, in nome di Allah, che è scesa sul Capo dello Stato. Contestualmente le manifestazioni hanno ricevuto un implicito anatema.

I

Per l’ennesima volta, Khamenei ha detto che «il popolo iraniano non ha perso la sua fiducia nel regime islamico». Secondo le sue osservazioni, già la massiccia affluenza alle urne il 12 giugno sarebbe la dimostrazione di come il Paese stia attraversando una fase di vigore e stabilità. Effettivamente, il giorno delle elezioni si presentò ai seggi l’85 per cento degli aventi diritto al voto.Tutto il contrario, quindi, rispetto alle accuse che i media stranieri hanno rivolto al regime. Khamenei ha mostrato i muscoli, come leader incontrastato del Paese. Si è rivolto ai giovani, ricordando loro di avere nelle proprie mani il futuro del regime. Infine, ha voluto ribadire il sostegno della Rivoluzione iraniana alla causa palestinese. Si è trattato, nella sua complessità, di un ottimismo retorico per nulla nuovo in contesti simili. Non è la prima volta infatti che un despota, nel momento di massima difficoltà, pretenda di apparire alieno da qualsiasi preoccupazione e rifiuti di vedere il gap che si è venuto a creare fra sé e l’opinione pubblica. La Guida su-

Così parlò Khamenei Le critiche al regime «sono accettate, ma soltanto se non colpiscono il Corano» di Antonio Picasso

promuovere il rientro di Gerusalemme fra le braccia dell’Islam e contro gli israeliani. La Guida suprema quindi è conscia del rischio di un potenziale ritorno di fiamma da parte dell’Onda Verde dell’opposizione. E forse la teme. Tant’è vero che ha minacciato nuove ritorsioni, se anche un solo corteo non autorizzato si venisse a comporre nelle strade della capitale iraniana. È così che si dimostra inconsistente quell’atteggiamento di tolleranza verso le “divergenze positive”e quella sicurezza che il Paese non abbia problemi di carattere interno. Nel frattempo, fuori dalla moschea centrale di Teheran, la repressione è proseguita. La polizia ha arrestato un altro personaggio di rilievo del fronte riformista.

Il quarto dall’inizio di questa settimana, dopo Alireza Hosseini Beheshti, Morteza Alviri e il direttore di Etemade Melli, testata ufficiale del riformista Karroubi. In questo caso si è trattato di Mohammad Ozlati-Moghadamm, membro dello staff elettorale di Mir-Hossein Mousavi. La notizia ha cominciato a circolare nella metà mattinata di ieri su Twitter, praticamente in tempo reale con l’arresto. Questo è indicativo perché suggerisce come l’opposizione sia tutt’altro che sopita. I social network e i blog, punti di partenza della contestazione nella seconda metà di giugno, continuano la loro attività sovversiva. Segno questo che i giovani - primi destinatari del sermone di Khamenei non hanno intenzione di ar-

Continuano gli arresti eccellenti: questa volta è stato fermato Mohammad Ozlati-Moghadamm, uno dei consiglieri del riformista Mousavi prema ha negato qualsiasi criticità interna. Anzi, si è esposta addirittura a propagandare una salute di ferro per il Paese. Come se le manifestazioni degli ultimi tre mesi fossero accadute altrove. Per quanto riguarda il fronte riformista dell’opposizione, Khamenei ha ricordato che le divergenze vengono ascoltate dalle istituzioni. «A condizione però che rientrino nel contesto della Rivoluzione islamica». Lo stesso Khomeini, secondo l’ayatollah, si sarebbe prodigato affinché le tante correnti politiche, che avevano partecipato alla detroniz-

zazione dello Scià, restassero in vita. «Se le divergenze sono positive - ha spiegato ancora la Guida suprema - devono essere affrontate con la dovuta serietà e non possono essere respinte da nessun funzionario del governo». «Invece se l’opposizione colpisce il regime, allora dev’essere combattuta».

Il messaggio è inequivocabile. Gli ayatollah, in teoria, sono disposti ad ascoltare le critiche. Ma spetta unicamente alla loro discrezione stabilire quali di queste meritino di essere rispettate e quali, invece,

perseguitate. Questa sicurezza tuttavia stride con la realtà attuale del Paese. Le manifestazioni, infatti, non sono terminate del tutto. Ahmadinejad, per quanto sia entrato in pieno possesso delle funzioni del suo secondo mandato, resta un Presidente eletto in modo non cristallino. E non è un caso che lo stesso Khamenei, contraddicendo se stesso, abbia sfidato chiunque a portare in piazza slogan sovversivi il prossimo venerdì - l’ultimo del Ramadam - in occasione della “Giornata di al-Qods”, la ricorrenza annuale sostenuta dal regime per

rendersi di fronte alle repressioni. Ma la solidità pubblicizzata dalla Guida suprema viene confutata anche dagli avvenimenti fuori dall’Iran. È in agenda per lunedì prossimo infatti il vertice dei Ministri degli Esteri dell’Unione Europea, il dimissionario Solana, per decidere se irrigidire ulteriormente le sanzioni verso Teheran. Le condizioni offerte da quest’ultima in merito al nucleare sono state valutate insoddisfacenti. L’isolamento diplomatico del regime si aggiungerebbe ai problemi interni che Khamenei non vuole assolutamente vedere.


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Il presidente americano commemora le vittime dell’11/9

Lo ha annunciato la Commissione elettorale indipendente

Obama: «Nessuna tregua per al Qaeda»

Afghanistan, 500mila voti «non validi». Slitta il risultato

WASHINGTON. «Gli Stati Uniti non indeboliranno mai la loro lotta contro Al Qaeda». Barack Obama ha riaffermato l’impegno degli Stati Uniti contro il terrorismo intervenendo al Pentagono in occasione dell’anniversario degli attentato dell’11 settembre 2001. «Restare uniti nel dolore e nell’impegno alla vicinanza gli uni agli altri: è la più grande lezione che abbiamo imparato da questa giornata» ha aggiunto il capo della Casa Bianca. «Questo giorno deve diventare un momento di virtù attraverso l’eredità luminosa che le vittime ci hanno lasciato nell’oscurità di questi giorni. Essi ci chiedono di restare uniti e questo vale oggi e varrà per tutti gli altri 11 settembre perché gli an-

KABUL. Fino a cinquecentomila schede elettorali delle presidenziali afghane del 20 agosto scorso, oggetto di numerose accuse di frode, potrebbero essere messe da parte per essere sottoposte a indagine. Lo hanno annunciato oggi le autorità elettorali afghane. Le schede di «447 seggi sono già state messe da parte, in tutto circa duecentomila», ha dichiarato il portavoce della Commissione elettorale indipendente (Iec), Noor Mohammad Noor. «Passeremo poi a circa 660 seggi» le cui schede saranno messe da parte, ha aggiunto Noor, stimando che «si arriverà così probabilmente fino a cinquecentomila schede». Il portavoce dell’Iec ha spiegato che i seggi su cui pesano sospetti saranno segnalati alla Commissione per i reclami elettorali (Ecc), che ha il potere di ordinare all’Iec di escludere dal conto dei voti le schede ritenute irregolari. L’Iec conta di annunciare oggi i risultati preliminari relativi alla totalità dei seggi, che dovranno in seguito essere convalidati dopo la conclusione delle indagini della Commissione per i reclami sulle migliaia di denunce di irregolarità. Tuttavia la quantità di denunce da trattare fa pensare che l’annuncio dei risultati definitivi, inizialmente previsto per il 17 settembre,

Dal Libano partono tre razzi verso Israele Crisi politica a Beirut, Hariri verso un secondo incarico di Pierre Chiartano ncora lampi sul paese dei cedri. «Sono partiti almeno due razzi, 6 o 7 chilometri a sud della città di Tiro.Vicino al villaggio di Al Qulaylah. Una nostra squadra è in loco per gli accertamenti» dichiara a liberal il tenente colonnello Diego Fulco, Public information officer di Unifil 2, la missione militare Onu di stanza a sud del fiume Litani in Libano. La salva di razzi – in serata di ieri si parlava di tre ordigni – sarebbero del tipo katiuscia, simile a quelle già sparata lo scorso febbraio in concomitanza con l’apertura dell’operazione Cast lead a Gaza. L’area di lancio è nella zona di competenza del comando italiano, oggi sotto la guida del generale Graziano. E non lontano dalla base dei militari cinesi del genio. «Unifil ha contattato entrambe le parti, israeliana e libanese» ha continuato il colonnello Fulco «per una verifica della situazione». In pratica, non si sarebbero registrati feriti o danni da entrambi i fronti. La risposta israeliana è stata quasi immediata, con una nutrita salva di colpi di cannone, indirizzati nella zona di provenienza dei razzi. Un area a nord di un’altra zona, Tayr Harfa, da cui era partita un altro attacco a Israele l’inverno scorso. Tsahal ha attivato un sistema di risposta automatica a queste incursioni improvvise, come aveva confermato in precedenza a liberal una fonte del ministero degli Esteri di Gerusalemme. Fonti militari parlano di un doppio tracciato radar che non escluderebbe il lancio di un terzo ordigno.

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ni che passano non diminuiscono la pena». Sotto una pioggia battente, Obama e e la moglie Michelle hanno deposto una corona di fiori sulla lapide a ricordo dell’attentato al Pentagono. Dopo il discorso e la cerimonia di cordoglio, il presidente ha quindi salutato i parenti e familiari delle 189 persone che morirono nello schianto: 64 erano a bordo del volo 77 dell’American Airlines che cadde sull’ala ovest del ministero della Difesa americano, 125 erano all’interno dell’edificio. Il presidente ha poi inviato un messaggio alla città di NewYork, la più colpita dagli attentati. «Ogni anno in questo giorno siamo tutti newyorkesi», ha scritto Obama. «Come presidente, il mio primo pensiero è la sicurezza del popolo americano. È il primo pensiero con cui mi sveglio al mattino, l’ultimo pensiero con cui vado a dormire. Questa responsabilità è il cuore delle politiche che la mia amministrazione sta portando avanti Nessuno può garantire che non ci sarà più un altro attacco. Ma quello che io posso garantire è che noi faremo ogni cosa in nostro potere per ridurre la probabilità di un attacco, e non esiteremo a fare ciò che è necessario per difendere l’America», ha concluso Obama.

ra di 25 chilometri quadrati, occupato da Israele nel 1967 e conteso da Damasco e Beirut. Lo scorso giugno la stessa Nna aveva annunciato che Israele stava ammassando mezzi militari al confine con il Libano e procedendo con il dispiegamento di carri armati.

Sul fronte politico, intanto, si delineano i contorni di una nuova crisi. La situazione sarebbe tornata «al punto di partenza» e un incarico a Saad Hariri non è da escludere, e la soluzione potrebbe arrivare dal Qatar. Lo scrivono i media libanesi dopo la rinuncia, giovedì da parte del giovane leader sunnita, a formare il governo. L’esponente di punta della coalizione filo-occidentale «14 marzo», premiata alle urne lo scorso 7 giugno, ha rimesso il mandato nelle mani del presidente Michel Suleiman. «Visto che il mio impegno a formare un governo di unità nazionale si è scontrato con le difficoltà di cui tutti sapete» ha dichiarato il figlio dell’ex premier Rafik ammazzato nel 2005, si dice da elementi legati a Damasco. E da lì arrivano anche i problemi di oggi, dalla contrarietà dell’opposizione filo-siriana, insoddisfatta dalla lista provvisoria dei ministri. Secondo quanto scrive il portale libanese Naharnet, Suleiman «tornerà durante il fine settimana al palazzo presidenziale per aprire 48 ore di intense consultazioni» e assegnare un nuovo incarico in tempi brevi. Dal Qatar, intanto, riferisce il quotidiano francofono L’Orient Le jour, arriva una nuova proposta di mediazione: il governo dell’emirato si sarebbe detto disponibile a ospitare una Doha II, ossia la riunione di tutti gli esponenti politici sulla falsariga di quella che nella primavera del 2008 sbloccò lo stallo politico e permise l’elezione di Suleiman. Nel frattempo, diversi esponenti della maggioranza stanno accennando alla possibilità che l’incarico torni ad Hariri, mentre salterebbe la formula 15+10+5 sulla quale si erano accordati, dopo lunghe trattative, i due blocchi contrapposti: 15 ministri alla maggioranza, dieci all’opposizione e cinque di nomina presidenziale.

Aumenta la tensione sul confine, dopo che i filo-siriani hanno bloccato il primo tentativo per un nuovo governo libanese

I razzi sarebbero caduti, uno nelle campagne a nord della cittadina costiera di Naharyya, senza provocare danni apparenti. E l’altro vicino a Gesher Aziz. Il clima in questi giorni si starebbe scaldando. Anche i militari con la stella di David starebbero operando con un’«esercitazioni su larga scala» lungo il confine con il Libano e all’interno delle fattorie di Shebaa. Secondo quanto riporta l’agenzia di stampa libanese Nna, velivoli israeliani avrebbero sorvolato la regione durante le manovre. Le fattorie di Shebaa sono un fazzoletto di ter-

debba essere posticipato. Mentre Carl Levin, presidente della Commissione Difesa del Senato Usa, ha detto che gli Stati Uniti devono aspettare ad inviare altri soldati in Afghanistan cercando prima di rafforzare le forze di sicurezza afgane. Levin, che è tornato da poco da un viaggio in Afghanistan, ha fatto oggi un intervento al Senato esprimendo la sua opposizione ad un aumento immediato delle truppe Usa in Afghanistan. Gli Stati Uniti, ha spiegato, «devono accelerare gli sforzi per sostenere le forze di sicurezza afgane nel loro tentativo di diventare autonome sul fronte della sicurezza».


cultura

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Cartolina da Venezia. Il cineasta di Amburgo ci racconta la Germania che vorrebbe e annuncia un lavoro sul diavolo

«Non chiamatemi turco» Parla Fatih Akin, regista di “Soul kitchen”: «Amo Istanbul, ma mi sento tedesco» di Andrea D’Addio

VENEZIA. A 36 anni Fatih Akin ha già vinto, nell’ordine: un Orso d’oro, una migliore sceneggiatura a Cannes, due European film awards e due premi tedeschi per il migliore film dell’anno. Il suo primo lungometraggio è del ’98, da allora altri cinque film, tra cui i successi di La sposa turca e Ai confini del paradiso. Chissà se a questo elenco di trionfi presto dovremo aggiungere anche Soul kitchen, nuova pellicola del regista tedesco (ma figlio di turchi), presentata in questi giorni al Festival di Venezia. Una commedia che ha divertito e conquistato i favori di molti critici, ponendosi immediatamente come possibile oustider nella corsa per il Leone d’oro. Due fratelli al centro della storia: uno gestisce, con successo, il ristorante Soul Kitchen, l’altro è in libertà vigilata dopo aver scontato una pena per rapina. Quando il primo ha bisogno di partire per raggiungere la fidanzata trasferitasi a Shanghai, il secondo prende le redini del locale. Le cose logicamente non vanno come devono andare. Incontriamo Fatih Akin presso l’Hotel Excelsior. Capelli neri mediamente lunghi, jeans, camica e scarpe da ginnastica. A vederelo, non gli daremmo più di 25 anni. Lei oggi presenta il suo sesto film di una carriera già ora ricca di successi. Nello stesso giorno l’italiano Giuseppe Capotondi, quarantuno anni, presenta il suo esordio

La doppia ora. Si sente ancora un giovane cineasta? Come persona mi rendo conto di stare invecchiando. Un tempo facevo cinque feste a settimana, passavo buona parte del mio tempo libero senza curarmi di stanchezza o responsabilità. Ora è già diverso, mi sento più impostato nel ritmo, forse anche più giudizioso. Forse è per questo che ho girato ora Soul kitchen: avevo bisogno di ritrarre quel modo di vivere prima di dimenticarlo. Come regista ho ancora tantissime cose da impare. Spero che la mia sia una carriera lunga, vo-

Mi piacerebbe che alle elezioni vincesse la sinistra: una nuova grande coalizione sarebbe una prova di immobilismo

glio cimentarmi con tanti generi, posti e situazioni, avere la possibilità di rielaborare lezioni di cinema che ancora, quando vado al cinema o vedo vecchi film in televisione, ho modo di ricevere. I suoi personaggi hanno sempre un grande rapporto con i luoghi in cui vivono. Stavolta l’ambientazione è ad Amburgo, la sua città, uno dei più grandi porti europei, punto di incontro di molte culture . La sua è stata una scelta dettata da questa considerazione? Sono riuscito ad unire due miei obiettivi: realizzare un film in una metropoli e allo stesso tempo omaggiare la mia città natale. Ci avevo girato solo il mio film e una parte di La sposa turca. Con questo progetto ho avuto modo di riscoprirla, di guardarla con nuovi occhi. Amburgo è la città dove c’è l’asilo dei miei figli, il comune a cui pago le mie tasse, dove cammino la domenica pomeriggio assieme alla mia famiglia. Ho viaggiato molto in questi anni e visto posti bellissimi, luoghi che ogni volta mi facevano desiderare di gira-

re lì la mia prossima storia, ma avevo bisogno di fotografare l’Amburgo di oggi, i locali che amo e che domani non ci saranno più, i ponti e le strade che l’amministrazione ha già deciso di abbattere e ricostruire. Amburgo è una città in continuo e veloce cambiamento. Il continuo cambiamento è riferibile a tutta la società tedesca. Dalla caduta del muro ad oggi, la Germania ancora non ha assunto una propria, definita, fisionomia politica e sociale. Pensa che alle prossime elezioni del 27 settembre possa verificarsi qualche grande cambiamento al vertice del Paese? Potranno forse cambiare alcuni equilibri, ma sostanzialmente penso che si rimarrà su un panorama politico incen-

trato sulla contrapposizione tra liberali e sinistra. Sarei curioso di vedere come andrebbero le cose se vincesse la sinistra, sono anni che non abbiamo un governo simile e, sulla scia della vittoria di Obama, anche io desidero una grossa frattura con il passato, un cambiamento. Qualsiasi tipo di grande coalizione sarebbe una prova di immobilismo. Come pensa che la Germania abbia reagito alla crisi? Relativamente bene, anche troppo bene. Non che sia stato contento della crisi, ma una volta che è arrivata ho sperarato che diventasse quantomeno uno stimolo a cambiare alcune cose della nostra società. È normalmente l’unico aspetto positivo di una situazione che per tante famiglie significa povertà e disperazione. In Soul Kitchen, ad esempio, si accenna al sistema sanitario tedesco. Così come quello americano, anche questo è a pagamento. È questa una delle “cose” che desiderebbe fossero cambiate? Senza dubbio. Conosco molte persone, anche amici, che non fanno l’assicurazione medica per risparmia-

re, sicure di godere sempre di buona salute. Purtroppo non è così, ci sono sempre imprevisiti e se non paghi non hai cura. Il protagonista del mio film è vittima anche lui di questa situazione. Emergono così le sottoculture di medicina turca, indiana e di altri paesi. In certe occasioni, come quando nel film si tratta di una discopatia o altri problemi muscolari o nervosi, riescono con bassi prezzi, a raggiungere gli stessi risultati della medicina tradizionale, ma il sistema sanitario tedesco è comnunque da rivedere e correggere in alcuni suoi punti. In Turchia la considerano un regista turco, eppure lei è nato ad Amburgo ed è in Germania che ambienta e produce quasi tutti i suoi film. Che effetto le fa questa percezione? Io amo la Turchia, lì c’è buona parte della mia famiglia e ho avuto tante conoscenze ed esperienze, ma sono nato e cresciuto ad Amburgo. Istanbul mi piace, ma ormai con piccole cifre è possibile viaggiare ovunque. Quando ne sento il desideriovolo ad Istanbul, ma non penso mai di trasfericisi. La amo ma non la sento mia, io mi sento tedesco. Qual è lo stato del cinema tedesco oggi? In questo momento la sua forza è nella varietà. Ci sono molte possibilità, c’è l’aiuto dello Stato e delle televisioni ed in più, con il passaggio al digitale, anche i costi di produzione si sono abbassati, anche se questo non solo in Ger-


cultura

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Outsider ma non troppo, tra i candidati figura pure l’ottimo “Life during Wartime”

“Baarìa” superfavorito per il Leone d’Oro?

Oggi verrà assegnato il Premio. A contenderselo, anche “Lebanon”, “Il cattivo tenente” e “Capitalism” di Alessandro Boschi

VENEZIA. Non crediamo che a qualcuno, magari tra

mania. Ci sono molte opportunità: il Paese sta cambiando e questo significa anche nuove storie. La gente riflette sempre di più sul proprio passato, sulla propria storia.Abbiamo copiato per tanti anni il cinema americano, ora stiamo cominciando a ritrovare una nostra autonomia sia stilistica che concettuale. Quale sarà il suo prossimo progetto? Mi hanno offerto di dirigere l’opera a teatro ma non credo che lo farò perchè sono un tipo da cinema. Ho bisogno della pellicola, del montaggio. Mi piacciono però le scene di ballo e così penso che in futuro

potrò forse provare a dirigere un film musicale. Nell’immediato futuro invece ho in mente un film sul diavolo di quattro ore in un particolare bianco e nero. Alcuni mi hanno detto che le commedie vanno sempre bene in periodi di crisi, per questa ragione spero proprio di affrontare una storia drammatica.

Sopra e a sinistra, due immagini del regista tedesco (di origini turche) Fatih Akin. Sotto, un fotogramma del suo film in concorso a Venezia “Soul kitchen”. A destra, la locandina della pellicola “Baarìa” di Giuseppe Tornatore

un po’di anni, verrà in mente di girare un documentario omaggio intitolato Directed by Tom Ford. Ma non c’è dubbio che A single man, film in concorso alla Mostra di Venezia sia stata comunque una bella sorpresa. Certo, la sceneggiatura tratta dal romanzo autobiografico di Christopher Isherwood è a prova di bomba e la sua riduzione cinematografica ne ha di molto giovato. A single man è ambientato nei primissimi anni ’60 a Los Angeles e racconta la complicata elaborazione del lutto di un professore, interpretato da Colin Firth, che ha perso il compagno in un incidente stradale. Uniche risorse per il nostro una bislacca vicina di casa ed ex amante, Julianne Moore, e un intraprendente allievo. Il film dà davvero la sensazione, non ce ne voglia il grande stilista, di essere stato realizzato da un grande sarto, talmente accurata e pignola risulta la confezione. Il che non è certo un difetto, ma rivela la necessità di volere eseguire un compito almeno formalmente impeccabile. Poi, in verità, il risultato va anche oltre, a dimostrazione che la tecnica nell’arte è indispensabile. L’atmosfera della elegante disperazione del protagonista è resa alla perfezione e, a parte qualche scena forse troppo patinata, coinvolge lo spettatore fino all’inevitabile epilogo, con l’arrivo di “lei”, che si presenta sempre, anche se non invitata. Altro film italiano non in concorso ma incluso nell’ottima sezione Orizzonti, è l’ultima fatica di Vincenzo Terracciano, Tris di donne e abiti nuziali.

pea, che solo l’amore riesce a tenere unite. Giunti in prossimità della diritture di arrivo urge fare un minimo di previsione su chi potrà aggiudicarsi il 66^ Leone d’oro. Una strana teoria circola al lido. Quella che, essendo Ang Lee Presidente di giuria, ed essendo egli per Leoni d’oro pregressi in debito con Marco Müller, potrebbe decidersi per assegnare il premio a Baarìa di Giuseppe Tornatore. Ora, a parte che ci sfugge il nesso che dovrebbe spiegarci perché Müller dovrebbe preferire Baarìa piuttosto che altri titoli, ma ve l’immaginate voi che putiferio succederebbe? Un film Medusa trionfatore nell’anno in cui il direttore della mostra viene ritratto con il pugno alzato? Beh, a dirvi la verità a noi divertirebbe molto, e forse il livello di banalità registrato in questi giorni sulla stampa batterebbe un nuovo record. Altri favoriti, Lebanon, di Samuel Maoz, perfetto film da concorso, Il cattivo tenente di Werner Herzog, nonostante non sia piaciuto a molti con la puzza sotto al naso, Capitalism – A love story, del figlio prediletto di una certa nostra sinistra Michael Moore. E poi, outsider ma non troppo, Life during Wartime del nostro prediletto Todd Solondz. Francamente non crediamo che la giuria se la sentirà di premiare un prodotto del genere. Ma non perché molto intelligente, bensì perché si tratterebbe veramente di una scelta di rottura. Premiare il re dei nerd significherebbe riconoscere che a volte per fare un buon film, un ottimo film a nostro avviso, siano necessari talento e idee. E questo magari potrebbe risultare poco gradito a chi di idee non sempre dimostra di averne tante ma in compenso riesce ad ottenere i finanziamenti per i propri film. Discorso vecchio, lo sappiamo, ma quanti di voi sono disposti a scommettere che tra un po’ si ricomincerà a discutere e a protestare (in maniera ultralegittima) per i tagli al Fus e, sempre tra un po’, i soliti noti si aggiudicheranno ancora i fondi del ministero per realizzare le solite invedibili pellicole? E qualcuno che ne parlerà bene, statene sicuri, lo troveranno ancora.

Il nostro prediletto è l’intelligentissimo film di Todd Solondz. Premiarlo sarebbe davvero una “rupture”

Si tratta di un film sulla malattia del gioco, con Sergio Castellitto nelle vesti di un irresponsabile padre di famiglia che si gioca tutto e tutto si perde. Questo a fronte dell’imminente matrimonio dell’adorata figlia. Il problema del film di Terracciano è che risulta un po’ troppo scontato e disordinato, uno di quei film in cui le uniche cose chiare sono l’inizio e la fine. In realtà le storie sono sempre le stesse, e raccontare una ennesima storia sul gioco e sulle sue nefaste conseguenze è un ulteriore azzardo che spesso delude lo spettatore. In mezzo al film ci sono vari elementi che non convincono, come l’accenno alle poesie di Camillo Sbarbaro, un po’ troppo appiccicato per non sembrare il frutto di una necessità, quella di mettere un ulteriore raffinato lembo di cultura ad un film che avrebbe bisogno di altro. Come ad esempio una maggiore delineazione dei personaggi, un po’ troppo ondivaghi e irrisolti, forse vittime di un’ironia che non sempre riesce a essere dosata nella giusta maniera. Interessante invece l’uso di una protagonista femminile di origini tedesche, Martina Gedeck, nei panni della moglie del protagonista. La coppia mista riesce a diventare metafora della difficile compatibilità di due culture così differenti, quella tedesca, appunto, e quella parteno-


cultura

pagina 20 • 12 settembre 2009

Hobby. Immutate ma sempre in voga, le biciclette sono insostitubili a verità della bicicletta va al di là degli anni. Va molto al di là di ogni oggetto sportivo che si voglia esaminare e richiamare al presente. La bicicletta è “cosa” che appartiene all’uomo ma allo stesso tempo fa parte soltanto di se stessa e della sua singolarità, come ogni cosa la quale appartenga nello stesso tempo all’uomo, a un oggetto meccanico e a una “civiltà”.

L

Basterebbe esaminare il tempo trascorso, i lunghi anni e tutto quanto la bicicletta ha dato all’uomo, alla civiltà e a tante generazioni di uomini dediti allo sport o semplicemente al diporto e al più semplice e quotidiano bisogno. Bisogno di muoversi, di correre, di andare a “vedere”luoghi, di toccare “cose” le più varie e talora nascoste. Dobbiamo avere il coraggio di misurare il valore della bicicletta nel mondo d’oggi, che è il mondo della velocità, della fretta. E non possiamo dimenticare che la bicicletta è stata e sta al fianco della motocicletta e dell’automobile. Eppure noi abbiamo anche il dovere di non dimenticare mai che la bicicletta resta praticamente immutata negli anni, malgrado il mutare dei bisogni e malgrado solo minimi mutamenti nella meccanica. In un mondo il quale ha misurato se stesso col più grande mito del mutamento, la bicicletta ha fornito la misura più limpida di ciò che dura e sa durare, e sa mostrarsi praticamente immutato, tale e quale esso fu in passato, anche nel passato più lontano e quindi più lontano da noi. Con quale oggetto in mano, come la bicicletta, noi possiamo chiederci come sia cambiato il tempo e quanto gli anni abbiano mutato la nostra vita e le nostre cose? Quanto e come si è conservata la bicicletta? Nel mondo che muta di continuo come è potuto verificarsi questa sorta di miracolo: nel quale si mostra la durata della cosa, quindi la sua necessità? La verità è che nel mondo d’oggi la bicicletta resta una delle “cose”, pochissime in verità, che non hanno subito che mutamenti circospetti, misurati e controllatissimi. D’altro canto la bicicletta s’è manifestata sin dai primissimi giorni come uno strumento, e forse l’unico, nato per se stesso e – diremo – su se stesso, incapace di piegarsi a mutamenti, adattamenti di alcun genere, cedimenti, salve pochissime condizioni. La bicicletta rimane, nel grande momento della nostra civiltà, un punto fermo: un momento di conqui-

Quelle due ruote misurano il mondo di Claudio Marabini sta e di certa e pacata condizione, contro la quale da subito non appare possibile nessun cedimento. La bicicletta è da subito non tanto una conquista, quanto una pacata certezza: la quale vede coinvolti l’uomo pienamente inteso, il fondamento della sua personalità, tutte le sue necessità e i suoi desideri fondamentali. Questi desideri consistono nel suo fondamentale e misuratissimo dominio, nell’essere l’uomo il dominatore, il padrone in assoluto, di tutto quanto viene proposto e realizzato. E nell’altro fatto fondamentale che la “cosa” inventata, quindi la bicicletta, non solo è autonoma ma è colma di se stessa e di tutte le sue virtù: pochissime, misurate e controllate, ma intoccabili, immutabili, certe, certissime, alla stessa maniera che è e resta cortissima la virtù dell’uomo, della sua personalità, delle sue virtù e dei suoi bisogni. E viene naturale la chiarezza con cui si manifesta la virtù dell’uomo e dell’oggetto – la bicicletta – l’essenzialità dei suoi meccanismi semplici, si direbbe immutabili, esemplari, esemplari e – in qualche maniera – intoccabili.

La bicicletta è fatta di pochissime “cose”, di pochissimi “meccanismi”. E di una vitale e semplicissima struttura fondata su una “cosa” immutabile: la ruota. A cui si affianca un’altra

Da quel momento essa può solo accogliere qualche ornamento. Ma la sua sostanza è colma e – si può ben dire – il dado è tratto. A questo punto il dado è veramente tratto pienamente: e solo possono essere aggiunti ammennicoli, piccoli oggetti, ornamenti. La bicicletta da questo momento è quello che è e che solo può essere: che “deve” essere per suo destino e per la legge che detta la sua forma stessa. Due ruote: che altro? Che cosa di più, o diverso? E un telaio fatto di un tubo a misura praticamente fissa, e due ruote a misura praticamente “misurata”alla persona e alla sua statura. La statura della persona è una delle pochissime leggi vincolanti che la bicicletta possa raccogliere. A questo punto la bicicletta è quasi fatta, si direbbe pronta all’uso. La bicicletta – diciamolo – dalla sua nascita osserva il duplice servizio: per l’uomo e per la donna, con qualche evidente adattamento. Adattamento che per nulla entra nella sostanziale distribuzione dell’arredo e degli oggetti chiamati alle funzioni fondamentali. Arredo che mai viene a toccare la distribuzione della materia stessa: materia, per così dire, che resta vincolata alla sua destinazione, sia in materia maschile che ovviamente femminile. Da questo punto in avanti la bi-

Pedali e manubrio, nel grande momento della nostra civiltà, sono punti fermi: momenti di conquista e di certezza, che non sono mai soggetti a cedimenti “struttura” fondamentale: il telaio, l’ossatura – come chiamarla? – di tutto il corpo. Non c’è altro da aggiungere a tutto questo. La sua realtà, il suo corpo è completo. Essa esiste già e dal quel momento è completa in ogni sua parte. Da quel momento può essere migliorata nelle sue piccole e anche molto belle parti, ma sicuramente è colma di se stessa, del suo corpo e di ogni sua funzione.

Nella foto in alto, uno dei più antichi modelli di bicicletta. Qui sopra, un modello di bici da corsa recente. Nonostante l’evoluzione tecnica e l’impiego di materiali sempre più leggeri, la struttura di base resta immutata

cicletta è fatta e – diremo – può, deve, vivere. E vive legata in senso ornamentale anche nella sua funzione di trasporto, di svago: diremo di vita “comune”, come accade agli oggetti chiamati alla funzione pratica e ornamentale: alla funzionalità e alla bellezza, alla praticità e al buon gusto. E quindi è non solo accettabile, ma è ricercata, quella parte ornamentale che ricerca, per così dire, la bellezza nell’ornamento, nel colore della vernice, nelle nichelature eccetera. E nasce quella parte, diciamo così, ornamentale, che si sparge su tutta la bicicletta e che investe la bellezza, l’ornamento, il luccicore, il colore chiamato alla sobrietà o più apertamente a colpire la persona attraverso l’oggetto. Ma la bicicletta rimane bicicletta, è bicicletta, che significa un oggetto utile e bello nello stesso tempo. Un oggetto che mai dimentica se stesso e la sua funzione umana e pratica, che serve e deve servire, fatta per un uomo ma consapevole (come essere umano) di tutte le sue funzioni, compresa quella della sobrietà e bellezza. La bicicletta è forse l’oggetto più umano che noi abbiamo inventato e chiamato all’uso. E non conosciamo altro oggetto utile più preciso, più utile e quindi, con parola piena, bello umanamente e civilmente. Resta la bicicletta, nata dall’uomo l’oggetto più umanamente pieno e completo, bello e utile nello stesso tempo, che l’uomo potesse inventare e costruire. Cosa fra le cose, è figlia dell’uomo, fatta per lui solo, ornata come deve e può essere ornata: ma compagna dell’uomo, del suo sacrosanto bisogno, del suo sacrosanto gusto per la bellezza, la sobrietà. E per l’utilità. Una bicicletta serve sempre. Forse non esiste oggetto più necessario. E per questo più chiamato alla bellezza, alla sobrietà.

Una bicicletta può essere bellissima. Bella come null’altro. Ma non cancelliamo mai dal nostro cuore nulla, con maggiore volontà, di quella sobrietà che fora il vero fondo della sua utilità, del suo valore a far compagnia all’uomo che opera e s’affanna nel lavoro della sua giornata. Una bella bicicletta, anche se unica al mondo, deve essere utile. Questa è la sua vera bellezza. E noi la cerchiamo, la chiamiamo. E sappiamo che in quel preciso momento essa offre a noi la sua parte migliore: quella parte in cui si unisce insieme utilità e bellezza, eleganza e praticità. Una bella bicicletta è un dono della virtù e dell’intelligenza, della praticità soprattutto. Ci accompagna ogni momento della vita, è la nostra compagna, immutata sempre. È parte di noi e del nostro vivere, di ogni nostra giornata.


società

12 settembre 2009 • pagina 21

Nella foto grande, la corazzata Roma. Affidata all’ammiraglio di squadra Carlo Bergamini come nave da bandiera, la sua flotta restò nella base navale di La Spezia per tutto l’inverno 1942-43. Presa di mira dai costanti bombardamenti aerei sull’arsenale militare, riuscì a salvarsi sino all’armistizio. Finché, il 9 settembre del 1943 fu colpita e affondata dai tedeschi. Nella foto in basso, l’esplosione

Storia. Individuato al largo dello stretto di Bonifacio il relitto della corazzata italiana affondata il 9 settembre del 1943

Dagli abissi riemerge la ”Roma” di Marco Ferrari a storia considera l’affondamento della Corazzata Roma, avvenuta il 9 settembre 1943, uno dei principali episodi della resistenza al nazi-fascismo. Un velo di silenzio e di riserbo copre da 76 anni il relitto della nave più potente della flotta italiana della seconda guerra mondiale. Ma ora sta per essere svelato: è infatti partita la caccia al recupero della Roma. Varata nel 1940, operativa dal 1942, appartenente alla nuova classe Littorio assieme alle unità Impero,Vittorio Veneto e Littorio, fu affidata all’ammiraglio di squadra Carlo Bergamini come nave da bandiera. La flotta restò nella base navale della Spezia per tutto l’inverno 1942-43. Presa di mira dai costanti bombardamenti aerei sull’arsenale militare riuscì a salvarsi sino all’armistizio.

L

La sera dell’8 settembre la flotta in rada alla Spezia fu raggiunta dall’ordine dell’ammiraglio Raffaele De Courten, Capo di Stato Maggiore della Regia Marina, di salpare prima verso la Sardegna e quindi di dirigersi verso Malta per rimettersi in squadra con gli Alleati. Bergamini, all’oscuro delle trattative tra la casa reale e gli anglo-americani, restò fedele alle indicazioni del ministero, nonostante un certo scetticismo a mostrare i pennelli neri prescritti dalla clausole di accordo per evitare gli attacchi dei caccia angloamericani e nonostante altri settori della Marina, come la sezione spezzina della Flottiglia della Decina Mas, scelse di restare in rada e di riorganizzarsi nella Repubblica di Salò. Le indicazioni di De Courten erano che nessuna unità della flotta dovesse cadere nelle mani del nuovo nemico tedesco. L’ipotesi di auto affondamento in alti fondali, che pure fa parte della tradizione navale e che in quella occasione venne considerata, alla fine fu scartata. Se tale gesto

fosse stato compiuto, ad armistizio firmato, avrebbe portato alla distruzione di un patrimonio ingente delle forze militari italiani, a quel punto pienamente inserite nello scacchiere alleato come avvenne per le navi di stanza a Taranto, per una parte della Decina Mas che venne chiamata Mariassalto, per numerosi prigionieri italiani liberati dai britannici, per il personale e i mezzi delle unità Legnano e Mantova i gli alpini del Piemonte, paracadutisti, bersaglieri, reparti del genio e dei servizi per un totale di 10mila italiani agli ordini del generale Umberto Utili che dal marzo ’44 assunse il nome ufficiale di Corpo Italiano di Liberazione. La fedeltà dell’ammiraglio Bergamini, premiata con la medaglia d’oro al valore militare alla memoria, si è consolidata nel tempo grazie ai diari dello stesso De Courten e a una attenta ricostruzione di quelle interminabili ore che passa-

«quella bomba a razzo deriverebbe da studi e da prove fatte da mio padre presso il balipedio di Nettuno».

La tragica cronologia dell’8 e 9 settembre segnò un susseguirsi spasmodico di ordini e contrordini, di tensioni e di reazioni, di vita e di morte. Mentre il ministero annunciava a Bergamini di non dirigersi più verso la Maddalena perché occupata da un manipolo di soldati della Wehrmacht che controllava le potenti bocche di fuoco della piazzaforte, ma di raggiungere Bona in Algeria, l’ammiraglia della flotta si avventurò nello stretto di Bonifacio, individuata e centrata dagli aerei tedeschi. L’esatta collocazione del relitto è rimasta a lungo un punto interrogativo, ma ora siamo a

Attaccata da due bombardieri tedeschi la nave colò a picco, spezzata in due tronconi, nel giro di 22 minuti con il sacrificio di 1.253 marinai, tra cui l’ammiraglio Bergamini rono dalla partenza dalla Spezia alle 3,40 del 9 settembre 1943 all’affondamento avvenuto nel pomeriggio al largo dell’Asinara. Attaccata da due bombardieri tedeschi la nave fu centrata da due colpi e calò a picco, spezzata in due tronconi, nel giro di 22 minuti con il sacrificio di 1.253 marinai tra cui, oltre a Bergamini, 86 ufficiali su 114, 175 sottufficiali su 224 e 992 sottocapi e marinai su 1511. La corazzata fu colpita alle ore 15,30 sul lato destro da una prima bomba a razzo radiocomandata, la Ruhrstahl SD 1400 detta anche Fritz X, usata per la prima volta dai tedeschi. Cinque minuti dopo un secondo centro annientò i depositi di munizioni prodieri, provocò una grande incendio e distrusse due torri con i cannoni. A giudizio del figlio di Bergamini, Pier Paolo,

una svolta. In questi giorni si è mossa una spedizione scientifica, con in beneplacito della Marina italiana, guidata da Francesco Scavelli, giovane studioso e documentarista calabrese, a capo della società Blueimagine, già autore di filmati su parecchi relitti depositati in fondo al mare. A lui si è aggiunto il famoso oceanografico Herni Germani Delauze per molto tempo direttore scientifico dell’équipe di Jacques Cousteau. Già nel 1996 la nave Ammiraglio Magnaghi compì ricerca con sensibili ecosonde a 15 miglia a sud ovest di Capo Testa. Da quattro anni, poi, è operativo un tavolo d’intesa tra ministero

della Difesa e Marina militare diretto dall’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, attuale capo del ComSubIn, il reparto speciale che si occupa di attività sottomarine, proprio con l’intento di localizzare i resti della nave. Cinque le spedizioni ufficiali effettuate in quel tratto di mare tra Corsica e Sardegna.

Al largo dello Stretto di Bonifacio ha compiuto ricerche in acqua nel 2007 anche la nave Anteo e da una corvetta di appoggio senza captare segnali negli abissi che si estendono a una profondità di mille metri, nonostante la Corazzata Roma avesse una stazza di circa 45mila tonnellate, una lunghezza di quasi 240 metri ed una larghezza di 32,9 metri. I sonar sono stati puntati nel cosiddetto canyon di una Castelsardo, frattura stretta e profonda dove solo particolari strumentazioni possono operare. È così entrata in azione una unità speciale, la Minibex della società francese Comex, che già a febbraio ha scandagliato quella porzione di fondo marino riscontrando un segnale a 400-500 metri di profondità compatibile con i resti dell’ex ammiraglia italiana. Da quel punto degli abissi è rimbalzato sullo schermo del computer di bordo una «anomalia» non naturale che potrebbe provenire dalla nave più ricercata nel Mediterraneo. E se sembra improbabile che il ritrovamento coincida con l’anniversario dell’affondamento, è possibile che entro settembre giungano notizie più certe sull’ultimo mistero italiano del secondo conflitto mondiale.


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da ”Straits Times” dell’11/09/2009

Le mie prigioni a Taiwan n tribunale Taiwan ha condannato venerdì scorso l’ex presidente Chen Shui-bian. È stato sentenziato l’ergastolo e dovrà rimanere in prigione a vita a causa delle accuse di corruzione. Al culmine di un processo che ha visto il leader pro-indipendenza sbattere i pugni e dichiarare essere stato sottoposto ad una vendetta politica. In fatti c’è stata qualche preoccupazione per la gestione del caso. Alcuni esperti legali avevano espresso perplessità per come era stato gestito il procedimento penale, compresa la decisione del giudice di trattenere Chen Shui-bian prima del processo e poi il cambio il presidente del collegio giudicante. Jerome A. Cohen, uno studioso americano di legge e presidente di un noto istituto della Harvard University, ha affermato che se ci fosse un appello, che avrebbe preferito vedere Chen rilasciuato a piede libero fino al momento del nuovo processo. Di più, Chen, il primo leader di Taiwan ex ad essere messi sotto processo, ha boicottato il verdetto della corte distrettuale di Taipei, che ha per le mani anche una sentenza a vita per la compagna di Chen, la moglie Wu Shu-chen, che vive ormai su una sedia a rotelle.

U

Un funzionario del tribunale ha affermato che Chen – che è stato imprigionato in un centro di detenzione nella periferia della capitale a partire dal dicembre scorso – è stato condannato per appropriazione indebita di fondi statali, riciclaggio di denaro e di preso tangenti. «Chen stava usando il suo potere e la sua posizione per arrecare un danno al Paese. È per questo che il giudice lo ha condannato al carcere a vita» ha affermato il portavoce del ministero della Giustizia Huang Chun-ming. «Wu in qualità di first lady ha anche lei commesso dei crimini, e, pertanto,

il Tribunale ha condannato il suo comportamento», ha aggiunto. Il loro figlio Chen Chih-chung ha ottenuto una pena detentiva di due anni e mezzo per il riciclaggio di denaro, mentre la nuora Huang Jui-Ching ha ricevuto una sospensione condizionale della pena per la stessa accusa. I verdetti hanno segnato il culmine di un dramma processuale che ha appassionato e diviso, per mesi, i 23 milioni di abitanti dell’isola.

Chen, 58 anni, ha sempre sostenuto che il processo fosse una vendetta politica. Una ritorsione per i suoi anni al potere, quando cercò in ogni modo di promuovere una politica che potesse portare il Paese ad una vera indipendenza dalla Cina continentale. Taiwan è stata governata in maniera autonoma dalla Cina, dal 1949, ma Pechino considera l’isola ancora come parte del suo territorio e ha promesso di avere intenzione di riprendersela con la forza, se necessario. Una vicenda che ha spesso creato tensione fra i due Paesi e Washington, in un delicato equilibrio d’interessi. Chen ha sostenuto che il suo successore, amico di Pechino, Ma Ying-jeou sia stato all’origine della presunta caccia alle streghe, un’accusa respinta da Ma. Il rifiuta dell’ex-presidente di accettare il verdetto è stata una forma di protesta contro quello che considerava un governo «illegale e illegittimo», ha spiegato il suo avvocato Cheng Wen alla stampa.Presso l’edificio nel distretto della corte governativa di Taipei, un gruppo di circa 20 sostenitori di Chen aveva raccolto, venerdì mattina, uno di loro portava un cartello con sopra

scritto: «vergogna sulla corte di giustizia». «La giustizia è controllata da un governo fascista. I giudici non hanno una coscienza», ha affermato uno dei manifestanti, il signor Yang Tze-fu, dopo che i poliziotti in divisa avevano steso del filo spinato attorno all’edificio del tribunale. Chen, che ha lasciato l’incarico politico a maggio 2008, dopo aver terminato due mandati quadriennali, è stato accusato di abuso dei circa 25 milioni di dollari taiwanesi (circa 35,5 milioni dollari taiwanesi).

L’ex-presidente aveva ammesso di aver usato false ricevute per richieste di denaro per compiti istituzionali, ma ha insistito che tali fondi fossero stati utilizzati per «missioni diplomatiche segrete» non a suo vantaggio personale. Chen ha anche affermato la moglie aveva portato 20 milioni di dollari all’estero, dai fondi della campagna elelttorale, ma di non esserne stato a conoscenza.

L’IMMAGINE

La nostra attuale civiltà relativista è assediata da invasori fondamentalisti Su 500 milioni d’abitanti dell’Ue, 50 milioni sono immigrati. La nostra identità è a rischio. Gli immigrati islamici hanno mediamente tre figli (o più) per coppia. A Torino gli immigrati extracomunitari contribuiscono ogni anno alle nascite dei residenti per il 25% e alle morti solo per lo 0,2%. La massiccia immigrazione extracomunitaria non è giustificata da motivi economici, né sociali, né etici. Gli immigrati costano: abbisognano di casa, istruzione, sanità, servizi, strade, infrastrutture, polizia, carceri. E l’Italia, su 133 posizioni, è solo al 48esimo posto di graduatoria (maglia nera del G 7) per competitività. Immigrati svolgono lavori che sono rifiutati dai nativi, perché sottopagati.Talvolta si tratta di posti poco produttivi, destinati successivamente a sparire, per il progresso della tecnologia e dell’organizzazione del lavoro. Pure gli immigrati invecchiano e diventano pensionati. Hanno problemi di salute, di cui l’assistenza sociale deve farsi carico.

Gianfranco Nìbale

FINALMENTE IL TRASFERIMENTO DEL CREDITO RESIDUO I gestori di telefonia mobile si sono organizzati per trasferire il credito residuo dal vecchio operatore al nuovo, lo ha reso noto l’Agcom. Il costo dell’operazione è minimo, al massimo 1,6 euro. L’obbligo del trasferimento diretto del credito residuo era stato ribadito nel 2007, quando fu approvata la legge Bersani. Ma disposizioni dell’Agcom in materia, mai attuate dai gestori, risalgono al 2001. Nel 2007, nelle linee guida alla legge 40/07 (legge Bersani) l’autorità scriveva: «in caso di ulteriore ritardo da parte degli operatori a realizzare gli accordi e le procedure necessarie per consentire la pratica realizzabilità della trasferibilità del credito residuo in caso di portabilità del numero,

gli Uffici competenti interverranno nel breve periodo in tema sia di riconoscimento del credito residuo che di sua trasferibilità, rimuovendo ogni ostacolo all’attuazione dei diritti sanciti dalla Legge n. 40/07 e disciplinando l’adozione di soluzioni efficienti atte a realizzare condizioni di effettiva concorrenza fra gli operatori e di trasparenza nei confronti degli utenti». Il breve periodo ipotizzato dall’Autorità per le comunicazioni è durato due anni, meglio tardi che mai? Ai consumatori raccomandiamo, in sede di richiesta al nuovo gestore della portabilità del numero, di specificare anche l’opzione di Tcr, Trasferimento credito residuo. I soldi devono essere accreditati sulla nuova sim entro tre giorni dall’avvenuto trasferimento del numero. In

Pozzo senza fondo «Quanto se la prende, ho solo fatto uno spuntino», starà forse pensando questo cucciolo di potamochero (Potamochoerus porcus) mentre scappa da un contadino infuriato. Dissestare i campi in cerca di piante, semi e radici da mettere sotto i denti è una delle attività preferite di questo “cugino” africano dei cinghiali che da adulto può sfiorare anche i 130 chili di peso

caso di ritardi, occorre chiedere chiarimenti al nuovo operatore. Ma se il problema si incancrenisse, per evitare le snervanti ed inutili attese con i call center, è meglio procedere direttamente con una raccomandata a/r di messa in mora. Il passo successivo è il tentativo di conciliazione davanti al Corecom regionale.

Domenico Murrone

SERVE ALTRO, CARO OBAMA Il ricordo dell’11 Settembre non può eludere la sensazione comune degli americani, che il capitolo torri gemelle non sia chiuso. Non è solo la possibilità che un evento del genere o più rocambolesco si possa ripetere, ma la scia e le conseguenze che esso potrà ancora portare, essendo pari come importanza a

quell’attacco a Perl Harbour che determinò non solo la reazione militare contro il Giappone, ma tutta una vertenza nel sud est asiatico che sappiamo bene essere continuata anche dopo la II guerra mondiale. Obama potrà essere più democratico e pacifico di Bush, ma serve molto altro di fronte ad un nemico terribile.

BR


opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog GLI INVASORI CI ASSEDIANO Data anche la crisi, la gran maggioranza degli immigrati (il 70 per cento in Germania e Francia) non lavora, perché troppo giovane oppure disoccupata: quindi non paga contributi e costituisce un costo per il sistema del welfare. Può convenire – anche eticamente – aiutare gli extracomunitari a casa loro. Il diritto d’asilo politico può diventare farsa: la stragrande maggioranza degli abitanti del Terzo mondo potrebbe accamparlo, abitando in Paese economicamente sperequato e non democratico. Più che “integrare” (come affermano gli immigrazionisti), pare opportuno assimilare, ossia evitare di concedere tutto senza contropartita. I barbari – portatori d’una cultura debole – sono stati assimilati dalla nostra civiltà, la quale tuttavia non pare in grado di fronteggiare (senza esserne distrutta) la massiccia invasione musulmana. Questa è forte e radicalmente diversa da noi, nei rapporti fra: uomini e donne, fede e ragione, religione e violenza, maggioranze e minoranze religiose. La nostra civiltà relativista è assediata da invasori fondamentalisti: i musulmani si sentono superiori all’Occidente declinante. Franco Padova I DETTAMI DEI SOMMI SACERDOTI In tema di droga, i centri che forniscono legalmente droga ai tossici, specie di lunga data, in Italia sono proibiti: c’è solo il proliferare delle redditizie “comunità di recupero”, dove alcuni preti applicano la “cristoterapia”. La fecondazione artificiale è di fatto vietata e se una donna vuole avere un figlio può andare all’estero o recarsi in pellegrinaggio in qualche santuario mariano a chiedere la grazia. Il pianete sta scoppiando,ma il diktat è sempre lo stesso: “andate e moltiplicatevi”; proporre un controllo delle nascite è una bestemmia. Parlare poi di anticoncezionali è come essere indemoniati. In epoca Aids viene costantemente demonizzato il preservativo e le gerontocrazie vaticane raccomandano l’astinenza. In tema di immigrazione è giusto accogliere tutti. Ci penserà poi la divina provvidenza. La pillola abortiva Ru486 è vietata perché chi vuole abortire deve farlo in maniera cruenta (il sacrificio deve essere cruento). L’omosessualità è un vizio e va curato chiedendo a Dio la grazia! Il divorzio breve, anche in assenza di prole è vietato perché “ciò che Dio ha unito…”bla bla bla. Fra poco arriverà il testamento biologico dettato da santa romana chiesa, perchè la sofferenza è un dono che Dio gradisce tantissimo(dicono) ed è giusto che soffriamo fino all’ultimo istante di vita. La prostituzione di fatto non va regolata perché ufficialmente non esiste. Bisogna invece educare i circa 15 milioni di italiani che vanno a puttane (forse terranno i corsi negli stadi!). Caro direttore le ho fatto alcuni esempi di come i cattolici delle istituzioni possono plasmare la società italiana non secondo il volere della plebe ma secondo i dettami dei sommi sacerdoti. Edoardo

e di cronach di Ferdinando Adornato

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LETTERA DALLA STORIA

Regina Coeli è stato il periodo più brutto Carissima Tania, ti ho scritto una cartolina per avvertirti che avevo ricevuto la tua assicurata; prima avevo scritto una lunga lettera per te all’indirizzo della signora Passarge. Riepilogo gli avvenimenti principali di tutto questo tempo. Arrestato l’8 sera e condotto immediatamente in carcere, sono partito da Roma il mattino prestissimo del 25 novembre. La permanenza a Regina Coeli è stato il periodo più brutto della detenzione: 16 giorni di isolamento assoluto in cella, disciplina rigorosissima. Ho potuto avere la camera a pagamento solo negli ultimi giorni. I primi tre giorni li ho trascorsi in una cella abbastanza luminosa di giorno e illuminata di notte; il letto era però molto sudicio; le lenzuola erano già adoperate; formicolavano gi insetti più diversi. Non mi è stato possibile avere qualcosa da leg-

gere; ho mangiato la minestra del carcere che era abbastanza buona. Sono passato quindi a una nuova cella, più oscura di giorno e senza illuminazione la notte, ma che è stata disinfettata con la fiamma di benzina e il letto aveva biancheria da bucato. Ho incominciato a comprare qualcosa dal bettolino del carcere: le steariche per la notte, il latte per il mattino, un pezzo di lesso, vino, mele, sigarette, giornali e riviste illustrate. Antonio Gramsci a Tania

ACCADDE OGGI

12 settembre 1940 Pitture rupestri sono scoperte nelle grotte di Lascaux, in Francia 1943 Benito Mussolini è liberato dal luogo dove si trovava agli arresti da commando tedeschi guidati da Otto Skorzeny 1953 John Kennedy sposa Jackie Bouvier 1962 Il presidente statunitense John Kennedy dichiara che gli Stati Uniti spediranno un uomo sulla Luna entro la fine del decennio 1974 L’imperatore etiope Haile Selassie è deposto 1980 Colpo di stato militare in Turchia 1990 Le due Germanie e le Quattro Potenze alleate firmano a Mosca il trattato che apre la strada alla riunificazione tedesca 1992 L’esploratore Ambrogio Fogar è vittima di un incidente durante una spedizione: rimarrà paralizzato 1994 Viene rilasciato il browser Netscape 2006 Papa Benedetto XVI tiene la lezione di Ratisbona che provoca violentissime reazioni da parte islamica

Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Francesco Capozza, Giancristiano Desiderio, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria)

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Questo numero è stato chiuso in redazione alle ore 19.30


PAGINAVENTIQUATTRO Scontri. Un nuovo libro rilancia i brogli (ai danni della Royal) compiuti da Martine Aubry per la guida dei socialisti

In Francia esplode la guerra di Nicola Accardo ue rose, una rossa e una blu. Un campo di fiori appassiti, il Partito Socialista francese. Ma le spine di Martine Aubry (la rossa) e Segolene Royal (la blu) riprendono vigore e pungono di nuovo, aizzate da un libro che dissotterra il cadavere dei brogli all’ultima elezione per la segreteria, quando la Aubry la spuntò per soli 102 voti, tra le proteste dell’ex candidata all’Eliseo. Il libro, uscito ieri, si chiama Holds-uPS, arnaques et trahisons (Rapine, truffe e tradimenti, da notare la sigla Ps in hold-ups) e accusa i socialisti «di aver fabbricato di sana pianta la vittoria di Aubry». Gli autori, i giornalisti della radio Europe 1 Antonin André e Karim Rissouli, raccontano un’elezione “truccata” e parlano di “«una truffa di mille voti a favore di Aubry». Avrebbero “le prove”, ma non le pubblicano “per cortesia”. Dei brogli già si sapeva. Da una parte e dall’altra. Il clan di Aubry aveva “gonfiato le urne” a Lille (dove la figlia di Jacques Delors è sindaco dal 2001), i “royalisti” lo avevano fatto a Montpellier e dintorni, forse anche in Guadalupa e all’Isola della Riunione, dove al primo turno Segolene aveva già sbaragliato i rivali Martine Aubry e Benoit Hamon (che ora è il portavoce del partito). Il congresso di Reims per l’elezione del nuovo segretario si concluse il 21 novembre, con il secondo turno tra le due dame.Votavano solo i militanti del partito. Dalla parte della Aubry stava Bertrand Delanoe, il sindaco di Parigi, che aveva rinunciato alla sua mozione per aggiungersi al campo del “tutti contro la Royal”. C’era appunto il giovane Benoit Hamon, ma soprattutto gli “elefanti”, i dirigenti storici del partito tra cui il numero uno dell’Fmi Dominique Strass-Kahn, per molti il vero artefice della vittoria di Aubry per puntare alle presidenziali del 2012. Una notte interminabile, prolungata dai ricorsi, le minacce di denuncia, le proteste della Royal e dei suoi giovani luogotenenti, ora emancipati e con sogni di Eliseo, Manuel Valls e Vincent Peillon. La commissione incaricata di ufficializzare il risultato non aveva scelta: dare la vittoria a Aubry o sbucare in una nuovo impasse, perché sarebbero piovute allora le accuse di brogli contro la Royal.

D

Con le buone o le cattive, Martine Aubry diventò segretario del partito: lo ha ricolorato di rosso parlando di operai e giustizia sociale, ha tenuto lontano gli sguardi bluastri della Royal, che da tempo spinge per un’alleanza con il MoDem, il centro liberale di François Bayrou. La guerre des roses è continuata sottoforma di pace armata, le due leader non apparivano insieme in pubblico, non si parlavano, Segolene attaccava davanti alle telecamere - tra gaffes e uscite fuori luogo - mentre la Aubry preferiva la strategia del silenzio. Poi la tregua, firmata a fine agosto alla consueta festa estiva di La Rochelle, in casa Royal (che è presidente della regione atlantica Poitou-Charentes), dove si fanno fotografare tra abbracci e sorrisi, celebrando l’intesa del partito sulle proposte della Aubry per le riforme: primarie per la presidenziale e non cumulo dei mandati. La lettura di alcuni estratti del libro, pubblicati in anteprima dal settimanale Le Point, è bastata alla Royal per rompere la tregua: «Sono sotto shock - ha detto - e penso alle decine di migliaia di militanti che si sono fatti rubare

DELLE ROSE il voto. Si sapeva che qualcuno aveva barato ma non in tale quantità e con una tale organizzazione». E ha annunciato una “dichiarazione solenne” per il 19 settembre, alla Festa della fraternità di Montpellier, non prima di essersi consultata con Robert Badinter, l’ex ministro della Giustizia che abolì la pena di morte con Mitterrand, che dopo il voto del 21 novembre scorso propose che si rivotasse nelle sezioni a forte sospetto di frodi. Il libro, che sfiora soltanto i dubbi sulle frodi a favore della Royal, è un attacco frontale alla Aubry, che non ha «nessuna intenzione di leggerlo» e aspetta piuttosto «l’uscita del film». Ma le testimonianze dirette non mancano, e si tratta di fuoco amico. «Ora non usiamo più i guanti, riempite le urne il più possibile», avrebbe ordinato al te-

partimenti d’Oltremare (Guadalupe e Isola della Riunione). Il risultato fu un pastrocchio: solo 102 voti di scarso su circa 135mila. La federazione del Nord non ha mai comunicato i risultati seggio per seggio, ma una denuncia sporta a Lille da un presidente di seggio fu risolta a favore della Aubry.

«Hanno barato tutti al Partito socialista», taglia corto Daniel Cohn-Bendit, che con la sua formazione Europe-Ecologie alle ultime europee ha fatto il pieno dei voti (il 16 per cento, alla pari con lo storico Partito dei socialisti delusi). «La truffa fa parte della cultura del PS in diverse regioni, è l’eredità socialista del partito comunista». «Semplicemente», sostiene Cohn-Bendit, «tra la Royal e la Aubry la seconda ha barato meglio, come al Tour de France, dove sono tutti dopati ma c’è qualcuno dopato meglio». L’ex leader del maggio ’68 è il principale invitato alle primarie per le presidenziali, previste nel 2011: «Se avverranno seguendo la cultura socialista, non è roba per me». La difficile coabitazione continua sotto gli occhi attenti di Strauss-Kahn, pronto a tornare da Washington per le primarie. Secondo Le Monde la Royal ha meno interesse della Aubry di scatenare nuove polemiche, visto l’avvicinarsi delle regionali di marzo 2010 in cui per lei è fondamentale una riconferma. Tutto sommato lei è sempre la vittima: quindi è meglio mantenere gli stessi equilibri. E le spine ben appuntite.

La difficile coabitazione continua sotto gli occhi attenti di Dominique Strauss-Kahn, pronto a tornare da Washington per le primarie. E a candidarsi per le prossime elezioni presidenziali lefono a un responsabile di seggio Guillaume Blanc, consigliere politico della Aubry. Poi avrebbe mandato un sms a tutti i seggi di Lille: «Non comunicate i risultati alle federazioni di partito, mandateli direttamente al municipio». La consegna, proveniente da Parigi e rivolta ai seggi del Nord (la regione di Lille), era una sola: «Riempire le urne» e garantire matematicamente la vittoria di Martine Aubry anche nel caso la Royal prendesse il 100 per cento nei di-


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