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L’Uomo è un essere animato

di e h c a n cro

da una speranza, da un bagliore di eternità. Un raggio d’immortalità lo ha penetrato

9 771827 881004

Ernst Jünger di Ferdinando Adornato

QUOTIDIANO • VENERDÌ 2 OTTOBRE 2009

DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK

Fini, fra le polemiche, concede più tempo alle opposizioni. Il leader Idv scambia Montecitorio per un set e si traveste da “padrino”

Parigi e Berlino, la via giusta Oggi passa alla Camera lo scudo di Tremonti per gli evasori. In Europa invece Sarkozy elimina l’Irap e la Merkel prepara sgravi fiscali per imprese e famiglie. Draghi alle banche: «Rafforzate il capitale». E l’Ecofin accusa: «Basta avidità» di Alessandro D’Amato affronta la crisi trasformando uno scudo fiscale in un’amnistia penale, altrove in Europa, la seconda fase della guerra alla crisi economica e finaziaria è già cominciata. Con il taglio delle tasse, naturalmente. In Francia si parla già di tagliare la tassa professionale a carico delle imprese – un equivalente della nostra Irap – in Germania la nuova coalizione governativa, guidata sempre da Angela Merkel, dopo il crollo dei socialdmocratici, studia il problema e promette interventi. Forse dovremmo seguire il loro esempio. segue a pagina 2

Paradossi mediatici e disastri naturali

Un nuovo bilancio per un nuovo fisco

Solo oggi il voto finale alla Camera

ROMA. Mentre il governo italiano

L’agonia si allunga Come trovare i fondi (e Di Pietro fa cinema) per le vere riforme di Francesco Pacifico

di Gianfranco Polillo

ROMA. Oggi la Camera approverà in via definitiva lo scudo fiscale trasformato in uno «scudo penale». Ieri, infatti, il presidente della Camera Gianfranco Fini ha fatto slittare il voto sul provvedimento tanto discusso che in un primo momento diveva essere messo ai voti ieri. Intanto, per protestare contro l’amnistia fiscale, Antonio Di Pietro ieri ha messo in piedi una sceneggiata nel corso della quale si è travestito da “Padrino”. a pagina 3

trani paradossi quelli italiani. Stiamo discutendo, dal 2001, della necessità di ridurre la pressione fiscale, ma ancora i risultati non ci sono. Era, almeno in parte scontato, vista la posizione della sinistra italiana, convertita solo da poco sulla Via di Damasco, dopo il grido liberatorio di Tommaso Padoa-Schioppa ma il ritardo è evidente. segue a pagina 2

L’Onu destituisce Peter Galbraith

S

Per ora Teheran accetta gli ispettori A Catania meeting sulla sua attualità

Sumatra,Vietnam: Da Kabul arriva Iran, Obama Di cosa parliamo uno schiaffo due maremoti sarà costretto quando diciamo a Washington a copiare Bush? Luigi Sturzo due misure di Vincenzo Faccioli Pintozzi

di Enrico Singer

di Mario Arpino

di Rocco Buttiglione

ortunatamente, abbiamo la corsa agli aiuti umanitari. La tragedia del piccolo asiatico che corre nudo mentre tutto intorno la terra trema più essere cancellata dai nostri occhi con una donazione - comodamente effettuabile anche attraverso il proprio telefonino - che ci farà sentire meglio. E mentre la conta dei morti per il terremoto che ha colpito Sumatra prosegue inarrestabile (si parla di oltre 1100 morti accertati e di decine di migliaia di sfollati), una parte dei numerosi servizi che vengono dedicati al paradiso tropicale viene dedicato anche a Filippine e Vietnam. Perché, e siamo sicuri che non molti ne erano al corrente, quei due Paesi meno attraenti stanno affrontando un tifone (che ha già ucciso oltre quattrocento persone) e si preparano ad accogliere “Parma”, una tempesta tropicale che avanza verso le loro coste con raffiche di 240 chilometri orari.

arack Obama lo aveva personalmente scelto sfogliando la lista dei diplomatici di carriera più vicini alla nuova linea della Casa Bianca. E quando aveva trovato il suo nome non aveva avuto dubbi. Peter Woodward Galbraith, 60 anni, primo ambasciatore americano in Croazia, autore di due saggi sulla guerra in Iraq molto polemici con le scelte di Bush, nonché figlio dell’economista John Kenneth, sarebbe stato il suo uomo a Kabul. L’antenna politica che, dalla poltrona di numero due della missione Onu in Afghanistan - lo scettro di capo della rappresentanza è in mano al norvegese Kai Eide - avrebbe fatto da contrappeso allo strapotere dei militari che guidano le operazioni sul terreno. Era il 25 marzo di quest’anno quando Obama lo impose, quasi, al segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon. Ma il suo mandato è durato appena sei mesi.

l “cinque più uno”ripartiti ieri a Ginevra, dopo un lungo stallo, riportano all’attenzione il tema dell’efficacia della nuova politica estera, di sicurezza e difesa degli Stati Uniti.Tutta la vicenda del braccio di ferro con gli Ayatollah, che ormai comprende il time out dichiarato dalla triade americo-franco-britannica a Pittsburgh, ne sarà in qualche modo il banco di prova. Indubbiamente, Obama sa come suscitare grandi aspettative. Lo aveva già dimostrato durante la lunga campagna elettorale. In questi primi nove mesi alla Casa Bianca non si è smentito, almeno in termini di annunci, e sta dando quasi l’impressione che la campagna elettorale sia ancora in atto. Ha affrontato a pettine tutti i temi a lui cari, certamente buoni e giusti, ma sinora con scarsissima efficacia. Forse è presto per attendersi dei risultati, ed egli stesso, che vede innanzi a sé una strada lunga altri sette anni, forse non ha fretta.

erché don Sturzo? Perché lo svolgimento della storia contemporanea ci riporta verso una situazione di somiglianza straordinaria con i tempi della massima attività politica di don Sturzo. La attività politica di Sturzo arriva al termine della grande stagione della Opera dei Congressi. Infatti, negli anni subito successivi alla Unità nazionale i cattolici si astengono dalla vita politica del “nuovo” Paese. Il loro giudizio comune, o almeno prevalente, è che non esistano le condizioni per la partecipazione alla vita del nuovo stato unitario nato dal Risorgimento e dallo “strappo” del Nella 1871. astinenza dalla vita politica cresce però una straordinaria attività caritativa e sociale. È il sostegno del povero, è l’aiuto al contadino travolto dalla industrializzazione incipiente l’impegno prevalente dei cattolici.

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I QUADERNI)

• ANNO XIV •

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WWW.LIBERAL.IT

• CHIUSO

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IN REDAZIONE ALLE ORE

19.30


pagina 2 • 2 ottobre 2009

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Exit strategy/1. Sarkozy riduce le imposte alle aziende. Angela Merkel progetta esenzioni e riforme strutturali. E da noi?

Lezione da Parigi e Berlino L’Europa taglia le tasse per far ripartire l’economia dopo la stagione degli aiuti. In Italia, invece, tutto è affidato solo a un’«amnistia» di Alessandro D’Amato segue dalla prima Insomma, «The times they are achangin’», direbbe Bob Dylan. E, cosa strana, a guidare l’ondata è proprio il Vecchio Continente. Conclusasi, almeno secondo i maggiori indicatori internazionali, la fase più pesante della crisi economica che ha investito il mondo (e sempre sperando che non arrivi la cosiddetta “seconda ondata”), gli Stati cominciano a ripensare la propria politica economica. Dopo i salvataggi costosissimi di aziende e banche private, con conseguenti esplosioni dei debiti pubblici nei bilanci dello Stato, sembra che finalmente il vento stia cambiando. Per lo meno in alcuni paesi. Mentre altri, come il nostro, faticano ad adeguarsi.

Il primo annuncio è arrivato dalla Francia: il governo Sarkozy è pronto a cancellare la tassa professionale a carico delle imprese, l’equivalente della nostra Irap. La «taxe professionelle» è una tassa locale sulle attività produttive, che da sola genera un gettito pari a 8 miliardi di euro. «Voglio mantenere le imprese in Francia», ha detto Nicholas Sarkozy per spiegare il perché del taglio. E non è tutto: il presidente francese ha preparato il terreno a una riduzione dell’imposta sul reddito, con la possibile soppressione dell’aliquota più bassa, e promesso una serie di misure di sostegno sociale i cui fondi verranno trovati attingendo agli interessi fin qui maturati con i prestiti alle banche. Segnala Oscar Giannino che, come l’Italia, la Francia ha già deciso per il proseguimento nel 2010 degli incentivi per l’auto, graduati da 200 a 5.000 euro a seconda delle emissioni dell’auto che si acquista. La differenza essenziale è che però i transalpini confermano lo strumento pubblico in un quadro generale di tagli fiscali alle imprese che vale almeno 10 miliardi di euro netto di prelievo in me-

Due idee, una a breve e una a lungo termine, per alleggerire il carico fiscale. Subito

Organizzazione e patrimoni Ecco dove trovare i fondi di Gianfranco Polillo segue dalla prima E rischia di divenire controproducente. All’estero sono stati aperti nuovi cantieri, in cui predisporre – crisi permettendo – l’avvento di un new deal fiscale. All’estero sarà più facile investire e consumare, da noi tutto rischia di rimanere congelato nell’eccesso di spesa pubblica e del conseguente esorbitante carico fiscale. Che frena ogni possibilità di sviluppo. Come uscire da questa tenaglia? Ricette sicure e di breve periodo sono difficili da trovare. Le incrostazioni burocratiche sono profonde, l’eccesso di spesa è alimentato da una congerie di interessi che è difficile disboscare. Ogni tentativo di razionalizzazione si scontra con resistenze – i sindacati, gli enti locali, i gruppi di interesse, l’opposizione – che scoraggiano ogni iniziativa. Eppure, come più volte è accaduto, saranno le vicende internazionali a a farci rompere ogni indugio . Conviene, quindi, prepararci se non vogliamo che la fragile barca italiana sia colpita al di sotto della sua linea di galleggiamento.

cio. Timidi ed incerti tentativi. Le solite difficoltà della politica. Non sarà, comunque, questa la strada che ci consentirà, almeno nel breve periodo, di rincorrere i nostri concorrenti esteri per evitare i contraccolpi di un nuovo e più potente shock.

Un’ipotesi più operativa e di possibile rapida attuazione è stata quella suggerita da Carlo De Benedetti che fa già discutere le vestali dell’ortodossia. Si tratterebbe di pensare ad un’imposta patrimoniale direttamente finalizzata alla riduzione del carico erariale su imprese, lavoratori e pensionati. In questa eventualità la pressione fiscale complessiva rimarrebbe inalterata, ma sarebbe diversamente ripartita. Non più a carico dei settori più direttamente produttivi o dei ceti meno abbienti, (vista la possibile esenzione dei patrimoni minori e della casa di proprietà), ma di coloro che hanno accumulato le maggiori ricchezze. È giusta questa prospettiva – che ovviamente non ci riempie di felicità – ma, soprattutto, è eticamente proponibile? Si dice in genere che il patrimonio non va tassato perché è stato già colpito il reddito che ne ha consentito l’accumulo. Questo era assolutamente vero prima delle grandi follie finanziarie di questi ultimi anni. A partire all’incirca dal 2000, invece, il patrimonio di ciascuno di noi ha conosciuto una nuova vita. Come nella parabola evangelica, pani e pesci si sono moltiplicati, motu proprio. Al punto che gli economisti sono stati costretti a coniare un nuovo termine – “effetto ricchezza” – che nella vecchia economia sarebbe stato una bestemmia. Che abbiamo fatto per meritarci tanto? Nulla. Per noi ha lavorato Alan Greenspan allargando i cordoni della liquidità internazionale. I prezzi dei beni di uso corrente non sono aumentati perché c’erano i cinesi a produrre a costi sempre più bassi e perché le nuove tecnologie – computer e telecomunicazioni – hanno un ritmo di innovazione senza precedenti. Ma l’inflazione sommersa si è scaricata sugli asset, facendo crescere a dismisura il loro valore. Oggi incorporano una posizione di rendita sempre più elevata, che forse è bene tassare per ristabilire un più giusto rapporto tra chi rischia e lavora e chi vive da felice rentier.

Il patrimonio non va tassato perché è stato già colpito il reddito che l’ha prodotto. Questo era vero solo prima delle grandi follie finanziarie

In prospettiva occorrono riforme di carattere strutturale. La nuova finanziaria per il 2010 è stata costruita per evitare nuovi assalti alla diligenza. Ma si tratta di un intervento al margine, che non fa i conti con lo stock di spesa accumulata negli anni passati e che pesa sul mastodontico bilancio dello Stato. Dove, invece, bisogna intervenire. E farlo senza ricorrere agli inutili tagli orizzontali che lasciano il tempo che trovano. Ma per ottenere risultati effettivi è necessario rovesciare come un guanto prassi parlamentari e moduli organizzativi, nati e pensati negli anni ’70 ed oggi del tutto superati. Non sarà facile, anche perché la Ragioneria generale dello Stato vive nella torre d’avorio della sua tradizione: senza futuro. Su questi temi si sta, comunque, misurando il Parlamento italiano, dove si discute della riforma delle procedure di bilan-

no per le aziende transalpine, nell’anno a venire.

Poi c’è la Germania. Il cancelliere tedesco Angela Merkel, fresca vincitrice dalle elezioni tedesche, s’impegna a ridurre le tasse, anche se non specifica quando procederà ai tagli fiscali. «Procederemo in due tappe – ha detto nel corso di una conferenza stampa – che potrebbero realizzarsi nel 2011 e nel 2012, o nel 2011 e nel 2013, oppure nel 2012 e nel 2013. Queste sono le tre possibilità che abbiamo di fronte». La Merkel aveva posto al centro del manifesto elettorale l’esplicito impegno a un deciso taglio alle imposte per l’ammontare di 15 miliardi di euro. «Sono assolutamente convinta che in questo momento tagliare e risparmiare sarebbe il messaggio completamente sbagliato», ha detto la cancelliera intervistata dall’emittente pubblica Zdf. L’impegno prioritario, a suo avviso, è fare uscire il paese dalla recessione e riportarlo sulla strada della crescita, dopo avere segnato quest’anno il record negativo del pil con una decrescita del 6 per cento. Merkel è apparsa fiduciosa per le prospettive aperte dalla svolta elettorale che ha liquidato dopo quattro anni la grande coalizione con i socialdemocratici. Ha aggiunto che la Germania è tuttora nel pieno della crisi economica, ma iniziano a manifestarsi i primi segni di risalita: «La tenera pianticella della ripresa economica deve essere rafforzata e su questo punto gli sgravi possono rappresentare un contributo». Quindi c’è il Giappone, dove Il partito di maggioranza ha promesso di non alzare le tasse sui consumi per i prossimi anni. Anche se mantenere la promessa sarà difficile. Il debito pubblico salirà nel 2009 al 191 per cento del Pil, di gran lunga il peggiore del mondo sviluppato. Un ulteriore stimolo pubblico, combinato con un calo delle entrate fiscali, rinvierà di molti anni l’appuntamento con il pareggio del saldo primario del bilancio pubblico (cioè al netto della spesa per interessi). Il manifesto del Partito Democratico giapponese, in ogni caso, contiene alcune idee potenzialmente rivoluzionarie per la società giapponese, come l’aumento del reddito disponibile per le famiglie, gratuità dell’istruzione superiore, abolizione dei pedaggi autostradali, eliminazione delle addizio-


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Fini fa slittare di un giorno il voto finale di Montecitorio

Scudo, l’agonia si allunga di 24 ore

E Di Pietro trasforma Montecitorio in un set cinematografico mascherandosi da “padrino” di Francesco Pacifico

nali sulle aliquote d’imposta sui coprire la spesa attuale aggiunredditi. Misure che potrebbero tiva alzando le imposte. Ma, potrasformare quella giapponese sto che quasi sicuramente l’era in un’economia centrata sulla del Labour è tramontata – e le domanda interna, rispetto ad un elezioni confermeranno l’immodello in essere dal Dopopressione – sembra molto difficiguerra che è invece centrato le che i Tory riescano ad avere sulle esportazioni. Ma resta l’inun margine ampio di manovra cognita di come finanziare le Angela Merkel e da questo punto di vista, anche riforme: il pacchetto di tagli fi- Nicolas Sarkozy una volta aperte le urne: l’indehanno bitamento contratto da Brown scali e nuove prestazioni è stiannunciato per salvare gli istituti di credito mato ammontare a oltre il 3% del Pil, il DPJ sostiene che si una riduzione inglesi pare talmente ampio che consistente si potrà fare poco, specialmente può finanziare con tagli agli delle tasse nei prossimi anni. E l’Italia? Il sprechi, oltre che con l’utilizzo del “tesoro nascosto”, un fondo per le aziende. presidente di Confindustria, di riserva istituito in molte parti In Italia, invece, Emma Marcegaglia, ha chiesto per ora ieri di seguire l’esempio eurodel bilancio statale, stimato in il ministro peo: «Fino ad oggi non abbiamo 4000 miliardi di yen. Bisogna Tremonti è chiesto riduzioni di tasse perché vedere se ci riusciranno, ma le fermo comprendevamo il problema del intenzioni sono chiare. allo scudo debito pubblico e della necessità fiscale. L’Inghilterra, invece, si trova di stanziare soldi sugli ammornella classica situazione del Che ieri Antonio tizzatori sociali. Nel momento in Di Pietro cui cominciano a muoversi Pae“Vorrei ma non posso”. Il Sun(a destra) si come Francia e Germania che day Times ha organizzato un bel sondaggio, dal quale emerge ha contestato sono i nostri diretti competitori, che il 60% dei cittadini britanni- mascherandosi questo tema va posto all’attenda “padrino” zione anche del nostro governo. ci non hanno dubbi. Di fronte al È un problema di competitività e maxi deficit pubblico browniaconcorrenza». Per adesso, però, no da 175 miliardi di sterline non sembra che il governo itaquest’anno, invocano come soliano abbia intenzione di seguire luzione i tagli di spesa e di tasse. né il consiglio, né l’esempio. Solo il 21% pensa che si debba

ROMA. Ventiquattr’ore per frenare l’ostruzionismo di Pd e Udc. E per smarcarsi da Berlusconi e Tremonti. Come chiesto dalle opposizioni, il presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha deciso di far slittare alle 13 di oggi il voto finale di Montecitorio sullo scudo fiscale. Un giorno in più che però aumenta la suspance su quanto deciderà Giorgio Napolitano in relazione alla sua costituzionalità. Non a caso Fini ha motivato la sua decisione, ricordando che «è responsabilità della presidenza assicurare l’approvazione entro i termini costituzionali garantendo al presidente della Repubblica l’esercizio di esaminare il decreto». Che entro sabato dovrà diventare legge, pena il suo decadimento. Quindi, e «fermo restando la su citata necessità, considerata la scadenza del decreto e dopo pubbliche e reiterate richieste dei gruppi di opposizione», è arrivato «il prolungamento dei tempi che permetta di contemperare le esigenze sopra indicate consentendo alla minoranza di argomentare il dibattito». L’altro ieri aveva lasciato interdetti sentire da Fini che il provvedimento sullo scudo presenta «alcune anomalie». E di rimando aggiungere che era suo compito accelerarne l’iter. Poi il combinato disposto tra la fermezza di Pd e Udc e le proteste contro la sanatoria hanno spinto il presidente della Camera a questo compresso.

Intanto l’opposizione festeggia. Ma Rocco Buttiglione, nella dichiarazione finale a nome del gruppo dell’Udc, prima ha ricordato che «i condoni distruggono la credibilità dello Stato di fronte ai cittadini». Quindi ha chiesto al governo di utilizzare le «risorse dello scudo fiscale per avviare il processo per creare un fisco più giusto per le famiglie. Sarebbe una buona azione che riscatterebbe in parte la vergogna di questo provvedimento». Dario Franceschini nota: «Dire che lo scudo fiscale è uno schifo, è antiberlusconismo? È essere antitaliani?». Gli fa eco il suo sfidante alla segreteria

Buttiglione (Udc): «Il governo si riscatti tagliando le tasse alle famiglie». Da Napolitano una firma alla legge con distinguo

Oggi si continuerà con le dichiarazioni di voto, poi, alle 13, arriverà il voto che appare scontato. Spiega il parlamentare dell’Udc, Michele Vietti, «L’intransigenza con cui abbiamo condotto la nostra battaglia è stata premiata evitando così al Parlamento l’estrema umiliazione di non poter manifestare neppure il dissenso». Se è scontato l’esito, meno lo è quanto deciderà Napolitano. Il tam tam dice che il Quirinale non vuole creare tensioni in un’Italia che necessità di soldi e troppo lentamente sta uscendo dalla crisi. Ma allo stesso modo si scommette sulle note che accompagneranno la sua firma alla legge.

del Pd, Pier Luigi Bersani: «È aberrante che abbonino reati per reperire risorse per scuola, sanità e servizi pubblici». In maggioranza le speranze di grandi incassi a una guerra preventiva su come usare questo tesoretto. Nel dibattito se è meglio tagliare le tasse o defiscalizzare il secondo livello di contrattazione s’inserisce anche la Lega Nord. Ha spiegato il capogruppo Roberto Cota: «Il governo ha dato una stretta ai paradisi fiscali e ha consentito il rientro dei capitali. Questo significa che vengono fatte pagare le tasse a persone che non le hanno mai pagate e che si recuperano soldi per settori che ne hanno bisogno».

Più chiaro il collega di partito, Maurizio Fugatti: «Se la Fiat chiede una proroga alle rottamazioni incentivi, non si possono tenere fuori dal sistema degli incentivi le Pmi». Intanto Emma Marcegaglia fa notare che è «molto difficile fare previsioni sul gettito che deriverà dallo scudo fiscale». E la cosa non è secondaria, perché il provvedimento funzionerà soltanto se le imprese rimpatrieranno i capitali detenuti all’estero.


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Exit strategy/2. Malgrado la stretta sui mutui e sui prestiti, il risparmio familiare ha fatto fronte alle difficoltà. Finora...

La famiglia si è ristretta

Con la crisi le banche non danno più soldi e così i ”tesoretti” privati si riducono: «Ora gli Istituti siano meno avidi», dice l’Ecofin di Francesco Pacifico

ROMA. Dall’osservatorio privilegiato di chi guida le attività retail del primo istituto italiano, il direttore generale di IntesaSanpaolo e responsabile della divisione Banca dei territori, Francesco Micheli, sottolinea: «Il tema del credito alle Pmi finisce per avere maggiore visibilità, ma per noi è altrettanto prioritario il rapporto con tutti risparmiatori. Così come lo è evitare che la rata del mutuo o quella di un finanziamento vadano in sofferenza perché ciò non soltanto peserebbe sui nostri bilanci, ma comporterebbe anche la perdita del cliente, e questo non deve verificarsi». Entro la fine nel 2009 i disoccupati in Italia dovrebbero salire a 1,9 milioni. Sempre nell’anno della crisi la cassa integrazione interessa ogni mese più di 300mila lavoratori. Intanto il 4,6 per cento delle famiglie (1,126 milioni secondo l’ultimo rapporto Istat) vive in stato di indigenza. È questa l’ultima frontiera sulla quale si stanno muovendo le banche: evitare che un pagamento in scadenza possa mettere in crisi il bilancio delle famiglie, già colpito dalla congiuntura più grave dei tempi moderni.

A dispetto delle più nere previsioni non c’è stato il livello di default registrato altrove. Via Nazionale ha calcolato che a marzo 2009 il totale delle sofferenze riferibili alle famiglie italiane ha toccato quota 12.563 milioni di euro. Circa un miliardo in più rispetto a quanto accumulato 15 mesi prima. Allo stesso modo è emblematico che sul versante mutui IntesaSanpaolo abbia rinegoziate o allungate nel primo semestre 2009 25mila pratiche e sospese (al netto della situazione abruzzesi) 300. Mentre la seconda realtà del mercato, Unicredit, non è andata oltre le quasi 8mila rinegoziazioni. Eppure il combinato disposto tra minore domanda di prestiti, ridotta capa-

no, Anders Borg: «L’avidità è un fantasma molto difficile da intrappolare. È importante che i banchieri e i mercati non sottovalutino gli impegni politici presi per entrare in una nuova era di responsabilità di bilancio e finanziaria».

Rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, tra gennaio e luglio il volume dei mutui immobiliari è calata del 23 per cento. Questo è quanto ha calcolato il centro studi Kiron (Tecnocasa) su dati di Bankitalia. Secondo Assofin, nello stesso lasso di tempo, i prestiti personali invece sono scesi del 12,9 per cento, quelli destinati all’acquisto di beni del 20,1 per cento. Crescono invece, sul versante del credito al consumo, attività come la cessione del quinto (+10,6 per cento) dopo l’ampliamento della platea dei beneficiari ai pensionati, o le carte di revolving (+1,5). Guarda caso modalità dove sono minori i rischi per le finanziarie. Intanto la Cgia di Mestre ha fatto sapere che per ogni 100 euro di finanziamenti per cassa erogati dalle banche al 31 marzo 2009, sono stati richiesti agli affidatari 29,6 euro di garanzie reali. Mettendo assieme queste diverse voci, si comprende perché il mondo bancario deve intervenire. Ne va di quello che rimane del buon

frenesia sul lancio dei prodotti destinati ai più bisognosi. Eppure tutte le soluzioni sono destinate a famiglie con un reddito contenuto (massimo 25mila euro lordi) e figli a carico, nelle quali si registrano casi di licenziamento o di cassa integrazio-

PAOLO LANDI «Occorre sottoscrivere con le rappresentanze nazionali dei consumatori un accordo bilaterale per estendere alle famiglie la moratoria concessa alle imprese»

ne. Altrimenti si rientra nei canoni delle usuali rinegoziazioni, spesso molto onerose sul monte interessi da restituire.

simo di 5mila euro) senza interessi e spese accessorie. Mentre Monte dei Paschi si è segnalata per aver introdotto un tetto sul rialzo dei tassi variabili: superato un certo livello nello spread, la differenza la paga la banca. Molto attive su questo versante anche le banche di credito cooperative, per statuto legate al territorio e che danno alle famiglie un quarto dei 120 miliardi erogati ogni anno. Soltanto per citare alcune iniziative, la Federazione delle Bcc del Friuli Venezia Giulia ha predisposto l’anticipo della cassa integrazione con un finanziamento individuale a tasso zero senza garanzie. La Bcc dell’Alta Brianza garantisce microprestiti per spese sanitarie, scolastiche, abitative o logistiche non superiori a 3mila euro per 18 mesi e a un tasso fisso del 5,5 per cento senza spese accessorie. A chi è rimasto senza lavoro o è in mobilità la Bcc di Signa sospende il mutuo fino a 18 mesi, facendo pagare i soli interessi calcolati sul debito residuo e a un tasso agevolato.

Più in generale l’Abi ha lavorato intensamente perché i suoi associati facilitasGià in pieno 2008 IntesaSanpaolo, ha sero l’anticipo sulla cassa integrazione ai introdotto formule per sospendere fino a lavoratori in difficoltà, quindi ha aderito sei mesi – e per tre volte nella durata del al fondo anticrisi da 300 milioni lanciato rapporto – le rate del mutuo, senza oneri dalla Cei per attivare prestiti agevolati (a ulteriori a carico della clientela. Paraca- 12 e 24 mesi) per le famiglie in difficoltà. Ma basta soltanto rivedere le condizioni per aiutare la clientela? Aggiunge il direttore generale di IntesaSanpaolo, Francesco Micheli: «Il sistema creditizio italiano ha recuperato rispetto al passato e adesso guarda sempre più ai progetti, all’esigenza dei clienti nella destinazione dei finandute di un anno, e a costo zero, per Uni- ziamenti o delle famiglie nella gestione credit, che ha risposto con “Insieme del debito. Qualora si verificassero dei 2009”. Banca Carige, grazie a un fondo di problemi, i nostri direttori di filiale sono a garanzia da 3 milioni di euro del comune disposizione di chi ritiene di essere in difdi Genova, eroga prestiti a 3 anni (e mas- ficoltà per aiutarlo a trovare una soluzione. Ripeto, non farlo vorrebbe dire perdere i nostri clienti». La gestione del rischio passa quindi verso una diversa valutazione del cliente. E che la sbornia dei subprime o degli altri strumenti facili di remunerazione sia finita lo dimostra quanto sta avvenendo GOTEBORG. «Le banche devono continuare in Findomestic, storica realtà del a rafforzare il proprio capitale»: è la raccocredito al consumo e al quarto mandazione espressa dal governatore della posto per quota di mercato nel Banca d’Italia e presidente del Financial Sta2009. Racconta Stefano Martini, bility Board, Mario Draghi, nel suo intervenresponsabile dell’Osservatorio to ai lavori dell’Ecofin - il consiglio dei minisui consumi della banca: «Con la stri economici e finanziari dell’Unione - di crisi abbiamo lanciato il progetto Goteborg dove ha parlato sull’esito dei la“Credito responsabile”per limitavori del G20 e dell’Fsb. L’intervento di re il livello di indebitamento della Draghi, a quanto si apprende da fonti clientela. Allo stesso abbiamo riEcofin, ha ruotato attorno alla tesi che visto le condizioni per posticipail processo di riforma del sistema re le rate, il prendi oggi e paghi bancario deve procedere anche tra un anno, per intenderci. in questa fase benché le banChi ci chiede un finanziamenche stiano facendo utili, dato to viene valutato attrache ciò avviene anche grazie verso una più approfonagli interventi pubblici. dita azione di scoring,

Dall’inizio dell’anno il volume delle operazioni immobiliari è calato del 23 per cento, quello per i beni di consumo del 20,1. E il denaro per pagare è arrivato soltanto attraverso la cessione del quinto (+10,6 per cento) nome dell’istituzione creditizia. Ne va, più prosaicamente, di un tesoretto da 55 miliardi di euro, che è lo stock di risparmio degli italiani.

In questa logica lo scorso 15 settembre, è arrivata al comitato esecutivo dell’Abi la proposta di congelare per un anELIO LANNUTTI no o più le rate dei mutui ai soggetti più bisognosi. L’ha lanciata, ap«Se bussa pellandosi anche alle realtà del creun poveretto, dito al consumo, il presidente delle banche l’Adiconsum, Paolo Landi. Il quale chiedono ogni ha chiesto da un lato «di sottoscrigaranzia, vere con le rappresentanze nazioma quando nali dei consumatori un accordo bia bussare soldi laterale per estendere alle famiglie sono i sodali la moratoria concessa alle impredei Passera e se», dall’altro ha ricordato che Profumo, Zunino «spostare le rate in coda al mutuo o Zalesky, allora non comporti costi aggiuntivi, nesnon fanno sun aggravio». Il punto di partenza problemi» per la task force agli ordini del direttore generale dell’Abi, Giovanni Sabatini, è stato monitorare quanto cita di spesa e aumento delle garanzie per fatto finora dal sistema bancario, anche l’accesso al credito ha causato una stretta se in maniera non coordinata e omogenell’erogazione degli impieghi. In questa nea. Di più, e paradossalmente per un logica è emblematico quanto detto ieri al- settore che non brilla per aggressività l’Ecofin di Goteborg, dal presidente di tur- dell’offerta, si è registrata una sorta di

Draghi: «Le banche rafforzino il capitale”


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Rinviato l’intervento chiesto dalle associazioni dei consumatori

Non paghi le rate? Nessuna moratoria

Abi e governo non trovano l’accordo su come pagare i costi dello slittamento della restituzione dei mutui

che diventa più stringente nei prestiti superiori ai 2mila euro».

La crisi che ha indotto le banche a frenare il credito alle aziende, ma anche le famiglie hanno avuto molte difficoltà dalla stretta generale. A destra, il presidente dell’Abi Corrado Faissola. A sinistra, Mario Draghi

Tutto il sistema dei micro finanziamenti sembra aver cambiato passo, ridotto la propria aggressività, se il tasso di insolvenza media è quasi raddoppiato, sta sfiorando il 4 per cento. Giuseppe Mortari Piano, direttore dell’associazione di categoria Assofin, però ci tiene a sottolineare che «la flessione del 12 per cento registrata nelle erogazioni – la prima in quindici anni – è dovuta principalmente al calo della domanda. Perché la crisi spesso spinge gli italiani a rimandare il cambio dell’auto o dei mobili». Come accaduto con le piccole e medie imprese, il sistema ha retto, non ci sono stati default perché le famiglie si sono dimostrate virtuose nello spendere e le banFRANCESCO MICHELI che nel concedere credito. Inquadra «Il tema del al meglio la situacredito alle Pmi zione Elio Lanfinisce per avere nutti, storico leamaggiore der dell’Adusbef e visibilità, ma per oggi senatore delnoi è altrettanto l’Italia dei Valori: prioritario «Gli istituti non il rapporto hanno regalato con tutti mai niente, peri risparmiatori. ché gestiscono Altrimenti depositi che sono rischieremmo di il frutto del nostro clienti» perdere sudore. Se bussa alla loro porta un poveretto chiedono tutte le garanzie possibili, quando a chiedere soldi sono i sodali dei Passera e dei Profumo, i Zunino o i Zalesky, allora ogni criterio prudenziale va a farsi benedire.Tanto che importa se poi si scrivono a bilancio delle sofferenze».

ROMA. «Siamo favorevolissimi a intervenire in favore di quelle famiglie che possono trovarsi in situazioni di bisogno. Però, come abbiamo fatto per le imprese, credo non sia opportuna, anche per motivi etici, una specie di moratoria generalizzata per tutte le famiglie». Corrado Faissola ci ha messo pochi minuti per spazzare via le speranze dei tanti italiani indebitati e delle associazioni dei consumatori. E per giunta il presidente dell’Abi l’ha fatto da un consesso autorevole, intervenendo davanti alla commissione Attività produttive della Camera per parlare di crisi. A chiedere uno slittamento (a costo zero) di un anno o più per le rate dei mutui o dei finanziamenti per i beni di consumo è stato, a fine agosto, il presidente dell’Adiconsum, Paolo Landi. Il quale è rimasto alquanto choccato di fronte alla crescita del tasso di insolvenza. «Il problema non è soltanto l’esplosione degli spread, nonostante il calo dei tassi Bce e dell’Euribor. Il problema è soprattutto che 600 o 800 euro di mutuo diventano insostenibili se si perde in lavoro o si finisce in cassa integrazione».

settembre un accordo con Cna, Casartigiani e Confartigianato per destinare un plafond da 3 miliardi alle Pmi artigiane o nel luglio scorso un intesa con le piccole e medie imprese aderenti a Confindustria. E nemmeno con i tavoli territoriali previsti con i rappresentanti delle partite Iva da piazza Cordusio con il piano “Sos impresa”, firmato lo scorso 4 settembre a Roma. Eppoi mostrarsi “generosi” con disoccupati e cassintegrati avrebbe permesso al mondo del credito di attutire con più facilità le ripercussioni politiche scaturite dal loro rifiuto di emettere Tremonti Bond. Anche perché negli accordi preliminari tra ministro dell’Economia e banchieri era stato previsto che chi accettava gli strumenti per la ricapitalizzazione, avrebbe anche dovuto occuparsi dell’indebitamento delle famiglie. Ma poi alla fine sono prevalse altre considerazioni. Racconta chi ha studiato il dossier: «Un conto è favorire un’autoregolamentazione su base volontaria per aiutare categorie particolari o soggetti che si trovano in difficoltà, un altro è vedere applicato questo trattamento a chiunque lo chieda». Soprattutto non c’è stato accordo su chi avrebbe dovuto accollarsi gli oneri per lo spostamento delle rate: non soltanto le banche che vanno (obrtorto collo) verso una nuovo rafforzamento patrimoniale; non certo il governo che al momento non avrebbe risorse per attivare il fondo Gasparrini.

Si continua a lavorare per poter estendere anche ad altri soggetti i benefici già concessi ai disoccupati e ai cassintegrati

Ma guai a parlare di concessione. «La moratoria - aggiunge - come non ha nulla a che fare con gli attuali sistemi di rinegoziazione, così non deve essere un obolo, ma un protocollo dove chiarire quali categorie e a quali condizioni la banca deve accettare uno slittamento delle rate». Fino a qualche settimana fa banchieri e consumatori sembravano muoversi di pari passo. Almeno questo è sembrato accadere il 15 settembre, quando il dossier è arrivato al comitato esecutivo dell’Abi. Perché in questo consesso, oltre ad annunciare un’indagine su quanto era stato fatto singolarmente dagli istituti, si è provato ad andare ben oltre la proposta di Landi: non soltanto una moratoria sui mutui destinata alle famiglie più colpite dalla crisi, ma il rilancio del vecchio “fondo Gasparrini”, lasciato nel 2007 da Prodi, e che forte di 20 milioni di euro non ancora spesi avrebbe dovuto facilitare l’accesso al credito o sanare le sofferenze delle fasce della popolazione più deboli. IntesaSanPaolo e Unicredit le avrebbero provate tutte per convincere il settore a seguire questa strada. L’impatto sui loro conti (almeno rispetto ai 60 miliardi di euro necessari per l’anticipo dei pagamenti della pubblica amministrazione o ai 4-5 per la moratoria alle Pmi) sarebbe stato limitato: qualche centinaia di milioni di euro. Nulla a che vedere con l’accordo che ha portato Ca’ de Sass a sottoscrivere lo scorso 14

Chi si è mostrato nettamente titubante è stato il mondo del credito al consumo. L’entità di un prestito per l’auto è certamente irrisorio rispetto a quello per l’acquisto della casa. Ma proprio perché siamo di fronte a piccole cifre, dilazionare di un anno il loro incasso potrebbe dire perderle. Racconta un banchiere: «Intanto andremo avanti nel tentativo di monitorare quanto già fatto dal sistema, per razionalizzare le iniziative. Fatto questo screening, l’unica strada percorribile è quella di provare a estendere, ma su base volontaria, queste misure a quelle zone e a quei soggetti in particolari condizioni non ancora coinvolti. Ma non sarà un provvedimento generalizzato». Parole che spiegano meglio la chiosa di Corrado Faissola in commissione Attività produttive della Camera. E che è sembrata una sfida al governo. Ha detto: «Io sono assolutamente d’accordo che nei confronti delle famiglie sia venuto il momento di fare un Testo unico di tutte le iniziative del territorio messe in campo dall’Abi per comprendervi anche situazioni che oggi possono essere rimaste fuori». Testo unico nel quale sarebbe fondamentale il fondo Gasparrini. (f.p.)


diario

pagina 6 • 2 ottobre 2009

Il ritratto. Dagli esordi al “Messaggero” al debutto in video con Minoli. Fino alla conduzione nella stagione di ”Telekabul”

Un Tg3 stile Berlinguer

Via libera del consiglio Rai alla nomina della popolare giornalista

Q

di Gabriella Mecucci

uando si dice il caso. Il TG3 ha avuto come direttori due donne: Lucia Annunziata e da oggi Bianca Berlinguer. Non hanno nulla di comune queste signore: l’una, Lucia, self made woman salernitana, una carriera costruita dal nulla con partenza al manifesto e arrivo alla presidenza della Rai. E con in mezzo il lavoro da inviata: fra i guerriglieri latinoamericani, ma anche negli States e in Isreale. La seconda, Bianca, figlia di una grande famiglia della politica. Il padre Enrico è stato un leader molto amato: chi non ricorda le sue battaglie, ma anche i suoi funerali a cui parteciparono milioni di persone? E dietro la bara, insieme alla moglie del segretario del Pci, Letizia Laurenti e agli altri figli Marco Maria e Laura, c’era anche lei, la primogenita: Bianca. L’Italia intera imparò così a conoscere quella ragazza alta, sottile, decisamente carina.

Ebbeno fra Lucia e Bianca invece qualcosa in comune c’è: si tratta di Luigi Manconi che è stato in passato il compagno di Lucia ed ora lo è di Bianca con la quale ha avuto una figlia di 10 anni: Giulia. L’ex leader di Lotta Continua, sardo anche lui, e la discendente dei Berlinguer si conobbero e simpatizzarono alla «Festa d’addio del giornalista comunista», quella che venne organizzata a Rimini subito dopo lo scioglimento del Pci. Nessuno sa di preciso quando iniziò la loro storia, anche perché all’epoca Bianca era ancora sposata con Stefano Marroni, allora inviato di Repubblica e poi vicedirettore del Tg2. Se la vita sentimentale della primogenita di Berlinguer è scandita da questi due uomini, non sono mancati an-

Ma, aldilà del gossip, il nuovo direttore del Tg3 ha lavorato sodo per far carriera. Iniziò molto giovane al Messaggero e nel 1985 approdò al Mixer di Mino-

Figlia dello storico leader del Pci, ha sempre militato a sinistra. Ma è riuscita a evitare “padrinati”. Anche quello dello zio Cossiga che incontri meno intellettuali: basti ricordare quando nel 1996 il presentatore Valerio Merola raccontò di essersi perdutamente innamorato di lei, dopo che i due avevano vissuto un breve flirt. Bianca chiamata così clamorosamente in causa da colui che poco nobilmente era stato soprannominato il “Merolone”, scelse la via del silenzio. Ai Berlinguer lo stile non ha mai fatto difetto.

li. Insieme a lei c’era un’altra ragazza di buona famiglia, Giovanna Calvino, figlia del grande scrittore. Bianca si fermò al settimanale televisivo un paio d’anni e poi trasmigrò al Tg3 dove fu una delle protagoniste della Telekabul di Sandrio Curzi. La giovane conduttrice aderiva allo “spirito militante” di quel telegiornale, che era un capolavoro di faziosità, ma che ebbe anche qualche merito: fra

questi la promozione di una serie di giovani e capaci giornaliste. Ed è così che spuntarono e si formarono le varie Sciarelli, Cancellieri, Botteri: a tutte venne anche assegnata la conduzione. Bianca imparò rapidamente a stare in video anche se narrano di lei che è una donna piena di insicurezze. Del padre ha raramente parlato, ma non ha mai cessato di dargli ragione in politica. Lo difese energicamente scrivendo su l’Unità quando temette che nel corso di un dibattito aperto dall’allora giornale del Pds, «le critiche eventuali fossero piegate a usi contingenti e a interessi politici di breve periodo e di scarso respiro, da frettolosi commentatori». Nessuno dei figli Berlinguer è sceso nell’agone di partito: si sa però che Marco simpatizzava per la sinistra più radicale e che anche Bianca, pur restando sempre legata a quella ufficiale, aveva simpatia per certo discutibile pacifismo o per l’infuocato antiberlusconismo. Certamente non poteva essere definita una riformista moderata. Oggi, a 50 anni, ha imparato a non scoprirsi troppo e si è mossa con abilità nell’arcipelago democratico, fra Veltroni e D’Alema che sembra essere stato il suo sponsor più forte sulla strada della direzione.

Daniele Renzoni va a Rai International

Alberto Maccari al TgR R OMA . Solo per metà le cose al Consiglio d’amministrazione della Rai sono andarte come previsto. Nessun colpo di scena quanto alla nomina di Bianca Berlinguer al vertice del Tg3: la promozione della giornalista è stata ratificata regolarmente (e votata all’unanimità dal Consiglio), mentre ancora non si sa dove sarà riccolocato il direttore uscente, Antonio Di Bella. Per il resto, come recitavano le indiscrezioni della vigilia, Alberto Maccari è il nuovo direttore della te-

stata giornalistica regionale (TgR), al posto di Angela Buttiglione: la sua nomina è stata votata favorevolmente da cinque consiglieri mentre due si sono detti contrari e due si sono astenuti. Nel ruolo di condirettore ci sarà Alessandro Casarin. Cambio – previsto pure questo anche a Rai International: Daniele Renzoni subentra a Piero Badaloni con sette voti favorevoli e due contrari. Sono state rinviate, invece, le nomine previste per la radio e per RaiNews24.

Per la verità in passato ha avuto un altro grande sostenitore: il presidente Cossiga infatti ha dichiarato di essersi mosso per aiutarla, di averla “raccomandata”. Bianca non ha gradito il racconto dell’ex picconatore e l’ha tacitato così: «La prego di astenersi per il futuro da simili raccomandazione perché non vorrei che, oltre che rivelarsi inutili, mi procurassero ulteriori danni». Ma il presidente emerito, che con i Berlinguer è imparentato, non ha desisito: una volta ha spiegato che la figlia di Enrico somigliava a una vecchia zia sarda, assai bella. E giù apprezzamenti sull’avvenenza della telegiornalista. Ora che ce l’ha fatta, che ha avuto la sua consacrazione, probabilmente Bianca avrà imparato a non innervosirsi, a non usare un certo turpiloquio sia in privato che in pubblico, come quando le sfuggì in diretta televisiva quel «non rompere i c...» che avrebbe troncato la carriera dei più. Battute del genere – narra chi la conosce bene – non sono così infrequenti nel suo eloquio quotidiano. Se fosse vero, sarebbe l’unica innegabile caduta nello stile Berlinguer.


diario

2 ottobre 2009 • pagina 7

Nell’iniziativa finiani, ex forzisti e outsider come Giovanardi

Il ministro ascoltato dalla commissione del Senato

Il manifesto dei senatori ribelli: «Il Pdl cambi passo»

Lite fra Turco e Sacconi su legge 194 e pillola Ru486

ROMA. A colpire di più è l’invoca-

ROMA. Polemiche in commissione Sanità di Palazzo Madama sulla pillola del giorno dopo. ieri mattina la commissione guidata da Antonio Tomassini ha ascoltato il ministro del Welfare Maurizio Sacconi nella prima audizione dell’indagine conoscitiva sull’impiego della pillola Ru486. il presidente della commissione Sanità ha inviato al presidente dell’Agenzia italiana del farmaco, Sergio Pecorelli, una lettera con la quale rende noto l’avvio della indagine da parte della commissione e invita il presidente dell’Aifa ad attendere la conclusione dell’indagine parlamentare prima di dare il disco verde alla commercializzazione della pillola. Iniziativa che ha mandato su

zione di un partito «forte» che si strutturi «per durare». I senatori “autoconvocati” del Pdl mettono dunque un riferimento non troppo implicito al dopo Berlusconi, nel “Manifesto” presentato ieri all’hotel Nazionale di Roma. Un documento concepito di fatto dieci giorni fa, durante un seminario al Palazzo della Cooperazione, e destinato ad animare la riunione del gruppo parlamentare di Palazzo Madama sulla forma partito prevista per martedì prossimo.A promuovere l’iniziativa sono soprattutto esponenti di provenienza An, da Mario Baldassarri a Giuseppe Valditara, dal sottosegretario Pasquale Viespoli all’alemanniano Andrea Augello, ma dentro ci sono ormai anche ex forzisti come Massimo Baldini o “indipendenti” come il genovese Enrico Musso. Nel “Manifesto per il Popolo della libertà”emergono molti punti di convergenza, tutt’altro che casuali, con Gianfranco Fini, e una dialettica sempre più incalzante con i vertici del gruppo Pdl di Palazzo Madama. Il vicepresidente Gaetano Quagliariello precisa subito che «le istanze presentate da alcuni senatori non devono essere patrimonio esclusivo di una sola area, ma contributi per la costruzione di un grande partito, che è ancora in atto. Condivido al-

Rissa Pdl-Lombardo per i rifiuti di Palermo Il governatore dice no al commissario per l’emergenza di Lucio Rossi

ROMA. Tornano i rifiuti per strada a Palermo e riesplode la polemica politica attorno alla necessità di dichiarare l’emergenza sull’isola. A volere con forza poteri speciali per realizzare il termovalorizzatore del capoluogo siciliano è il sindaco Diego Cammarata che un’idea ce l’ha e da tempo: affidare con procedure accelerate la realizzazione dell’impianto all’attuale commissario della discarica di Bellolampo, il prefetto di Palermo Giancarlo Trevisone, sotto i buoni auspici di Palazzo Chigi. Ma il governatore della regione Raffaele Lombardo attacca a testa bassa: «Da quando è saltata la gara per la costruzione dei termovalorizzatori perché dichiarata illegittima dalla Ue, con un presunto bando ‘ad uso delle imprese’ che noi non abbiamo accettato, e dopo che è stato avviato un contenzioso con le stesse, di punto in bianco è venuta l’emergenza dei rifiuti», ha detto il presidente della Sicilia. Il quale, senza fare troppi complimenti, ha sottolineato la necessità di «trovare un sistema di smaltimento adeguato non a interessi esterni alla regione, bensì al popolo siciliano». La stoccata è indirizzata agli ex concessionari (Falck e Waste Italia) che nel 2003 si videro affidare la costruzione di quattro impianti dalla struttura dell’allora commissario per l’emergenza Totò Cuffaro. E che oggi pretendono di essere risarciti dopo che nel 2007 la Corte europea di giustizia aveva impallinato le procedure di concessione perché contrarie alle norme comunitarie sulla pubblicità delle gare di appalto. I contratti sono stati annullati meno di un mese fa da Raffaele Lombardo, che non solo ha rimesso in discussione la realizzazione dei quattro termovalorizzatori, ma anche l’entità del rimborso che solo per il gruppo Falck vale oltre 130 milioni di euro.

cui sono stati sentiti decine di persone: gli alti gradi della magistratura e delle forze dell’ordine, i rappresentanti delle associazioni ambientaliste e degli imprenditori, sindaci e amministratori, con la sola eccezione di Lombardo, che ha clamorosamente disertato la convocazione. Tutti hanno delineato un quadro allarmante della situazione e persino il delegato ai rifiuti del governatore, l’assessore alla Protezione civile Gaetano Armao, ha dovuto ammettere che tra le soluzioni che dovrà esaminare la giunta regionale c’è quella della richiesta dello stato di emergenza.

La valutazione sull’opportunità di un intervento del governo nazionale sembra legata per la verità più a ragioni di natura politica che ad altro. Le discariche siciliane che inghiottono oltre il 90 per cento di quanto si produce sull’isola hanno un’autonomia di appena due anni. Gli Ato, gli enti che finora hanno gestito i rifiuti in Sicilia, vantano debiti per circa un miliardo, mentre le municipalizzate arrancano: l’Amia Palermo, che rappresenta l’esempio più eclatante, ha un passivo ancora non quantificabile, e nel frattempo ha ricevuto dal comune, sotto forma di aumento di capitale, un’iniezione da 80 milioni di euro (di cui 50 già versati) che l’amministrazione ha a sua volta ottenuto dal governo nel dicembre 2008. A questi si devono aggiungere i 150 milioni di euro stanziati a luglio dal Cipe e l’ordinanza firmata dal presidente del consiglio Berlusconi che autorizza Cammarata a raddoppiare l’Irpef per rimettere a posto i conti della municipalizzata. Due giorni fa nel corso della seduta del consiglio comunale si è sfiorata la rissa sulla delibera per bloccare il raddoppio dell’addizionale varato nei giorni scorsi dalla giunta Cammarata. Con insulti e spintoni che hanno visto impegnati da un lato i consiglieri dell’Udc e i fedelissimi di Cammarata e dall’altro Pd, Idv, l’Mpa di Lombardo ma anche i rappresentanti del Pdl Sicilia e Pdl Palermo, contrari alla stangata fiscale. Per ora, unico dato positivo su cui si dicono certi i magistrati e un po’meno le forze dell’ordine, pare che la mafia non abbia ancora fatto capolino. Pare.

Il sindaco Cammarata contro la Regione che ha bloccato la gara per l’inceneritore. Si avvicina il collasso delle discariche

cune idee del documento, etichettarle come ‘finiane’ avrebbe davvero poco senso».

Intanto avanza la richiesta di un «cambio di passo», di «tempi e metodi certi per stabilire l’inizio e la fine del tesseramento» e dell’elezione dal basso dei coordinatori regionali. Non va più bene insomma la gestione «in cui è deciso tutto da Roma, come accadeva forse nel Pci del centralismo democratico», per dirla con un altro degli imprevedibili outsider coinvolti nell’autoconvocazione, il sottosegretario Carlo Giovanardi. «Non si tratta di una fronda interna», dice Viespoli, «sarebbe da frondisti non affrontare il problema». E dopo la lettera dei 69 di Montecitorio, è sempre più chiaro che a “vedere il problema”, nel (e.n.) Pdl, sono in tanti.

A finire sotto i colpi dell’invettiva del governatore è anche il presidente della commissione Ecomafie Gaetano Pecorella, accusato di «essersi trasferito di fatto in Sicilia» (sempre parole testuali di Lombardo). La commissione ha appena concluso la seconda parte della missione sul caso Sicilia: ne verrà fuori in un documento da mettere all’attenzione del Parlamento. Una missione in

tutte le furie l’opposizione, che parla di «illegittimo e intimidatorio tentativo del Pdl di bloccare il lavoro dell’Aifa», come sostiene il senatore del Pd Lionello Cosentino. Antonio Tomassini nella lettera a Pecorelli scrive tra l’altro: «Colgo l’occasione per segnalare l’opportunità che l’Aifa tenga nella massima considerazione le valutazioni che emergeranno a conclusione dell’indagine conoscitiva condotta dalla commissione». Il Cda dell’Aifa, a questo proposito, si è riconvocato per il giorno 19 ottobre.

In margine, ieri c’è stata una polemica tra Sacconi e Livia Turco. L’ex ministro della Salute si è detta «stupita dalle affermazioni del ministro Sacconi che, dopo aver trascorso anni ad attaccare la legge sull’aborto, oggi con una disinvoltura senza pari si accorge della sua bontà. È troppo - ironizza il capogruppo Pd in commissione Affari sociali della Camera - chiedere un briciolo di coerenza e anche di misura?”. Pronta la replica del ministro del Welfare: «All’onorevole Livia Turco chiedo solo: quando mai avrei attaccato la legge 194? Posso, semmai, averne chiesto la piena attuazione proprio perché il testo va considerato in tutte le sue parti come il frutto di un buon equilibrio».


politica

pagina 8 • 2 ottobre 2009

Primarie. Le uscite dell’ex leader della Margherita fanno discutere il mondo politico, aspettando il congresso

Battaglia su Rutelli Un nuovo movimento tra centro e sinistra: tutti scommettono sul suo futuro di Andrea Ottieri

ROMA. Francesco Rutelli più che indeciso tra il restare o l’uscire dal Pd è intrappolato nel partito democratico. Le idee non mancano, la voglia pure; ci sono a disposizione un giornale (Europa) e un po’ di fondi (una parte di quelli della ex Margherita gestiti dal fedelissimo Luigi Lusi) e persino qualche parlamentare e diversi amministratori pronti a fare il salto. Ma per andare dove? Qui la faccenda non solo si complica, ma almeno per ora è irrisolvibile. Nei retroscena degli ultimi giorni s’è molto favoleggiato sul fatto che lo schema tattico di Rutelli s’appoggiasse sulla creazione di un suo movimento con il quale poi partecipare alla costruzione di un progetto totalmente inedito, magari convergendo su quello messo in cantiere da tempo dall’Unione di Centro. Comunque sia, per arrivare a questo approdo, si parla della costituzione di nuovi gruppi parlamentari – a Montecitorio servono venti deputati, a palazzo Madama dieci senatori – che l’ex sindaco di Roma starebbe mettendo assieme in gran segreto. Il nuovo raggruppamento (chiamiamolo approssimativamente liberaldemocratico), sul modello di quell’Alde che Rutelli ha contribuito a creare in Europa e che ora il Pd sta svuotando a favore dell’alleanza coi socialisti, si dovrebbe alimentare dai canali più disparati: dal gruppo dei teodem che furono (i deputati Luigi Bobba, Paola Binetti, Enzo Carra, Marco Calgaro e Donato Mosella e i senatori Benedetto Adragna, Emanuela Baio Dossi, Egidio Banti, Dorina Bianchi, Antonio Papania) ai rutelliani storici o almeno quelli rimasti (Linda Lanzillotta, Gianni Vernetti, Lapo Pistelli alla Camera e Luigi Lusi al Senato). Del resto, Rutelli lo ha scritto chiamente nel suo La svolta, se cade Berlusconi, serve un governo del presidente fino al 2013: sembra di capire che pure di ottenere questo risultato, poco cambia - per Rutelli - che il prossimo segretario del Pd sia Bersani o Franceschini.

Appello di Franceschini davanti ai giovani del partito

«Ora convinciamo anche i delusi» ROMA. La sfida comincia adesso e sarete voi con il voto alle primarie a decidere chi sarà il segretario del Pd. Io non mi candido per garantire gli equilibri ma per cambiare». Dario Franceschini apre così a Roma la campagna per le primarie del 25 ottobre, riunendo ieri a piazza San Lorenzo in Lucina la “generazione primarie”. «Io vi chiedo la fatica e il coraggio per battere nostalgie e istinti di conservazione. Quelle forze – ha aggiunto - hanno impedito a Prodi di far crescere l’Ulivo e a Veltroni di fare il Pd. Io non mi fermerò». Nel suo intervento il segretario democratico ha voluto anche commentare i risultati pervenuti dopo i voto dei circoli del partito di tutta Italia che lo vedono nettamente sotto Pierluigi Bersani: «Il mio risultato è stato oltre le aspettative. Ringrazio i 150mila iscritti che hanno votato la nostra mozione» ha detto Franceschini ai giovani del partito. «In Calabria, in Campania e in Puglia le cose potevano andare meglio e non ho nessuna difficoltà a riconoscere il risultato forte di Bersani tra gli iscritti e non ne sono stupito perchè

conoscendo il partito so quanto hanno condizionato le filiere, le provenienze», ha aggiunto. «E non sto dicendo – ha voluto sottolineare che sono cose negative. Ma so quanto hanno contato tra gli iscritti queste cose organizzative».

«Io non so cosa sia questo anti-berlusconismo, che addirittura ha una versione in cui chi lo pratica diventerebbe antitaliano». Franceschini, parlando ai giovani del partito, ha annunciato, quindi, un’opposizione dura al governo e in una tirata polemica rivolta a molti all’interno dello stesso partito democratico, aggiunge: «Ma dire che lo scudo fiscale è uno schifo, è antiberlusconismo? È essere antitaliani?». E ancora: «dire che le ronde sono una vergogna, difendere la libertà di stampa, dire “no”al lodo Alfano è anti-berlusconismo? È essere antitaliani? O è fare il nostro dovere?». Franceschini, invitato dal direttore del Tg5, Clemente Mimun, a partecipare assieme agli altri due candidati ad un confronto televisivo all’interno del telegiornale dell’ammiraglia Mediaset ha risposto: «io sono disponibile a qualsiasi forma di confronto che andrà bene agli altri candidati». In merito alle eventuali fuoriuscite dal partito se vincesse Bersani, il segretario ha precisato che nel Pd «bisogna far convivere le diversità e convincere a restare, chiunque sia. Perchè c’è la sinistra, ma anche i moderati; ci sono i laici e i cattolici».

Ma il giorno dopo la presa di distanze di Rutelli e la poco garbata replica di Rosy Bindi e Franco Marini (che lo hanno quasi trattato a maleparole), ieri è stato il giorno delle gentilezze, se non delle lusinghe. Sicuramente Rutelli avrà letto con piacere le parole di Piero Fassino. Interrogato sull’ipotesi che Rutelli potesse lasciare il partito, l’ex-segretario dei Ds ha detto: «Mi auguro che nessuno lasci il Partito democratico e naturalmente non mi au-

detti teodem, ieri ci ha pensato Enzo Carra: «Anche se il cattolici nel Partito democratico sono una minoranza, vogliono essere rispettati. Nel partito c’è una vasta platea di eletti che va da Marini ai teodem e quel vasto elettorato cattolico che ha votato il Pd che guarda a ciò che offre il centro e che, come Rutelli, valuterà se rimanere nel Pd dopo aver sentito quello che la nuova leadership pensa di fare». È lo stesso Enzo Carra a suggerire parole forti: «Dopo

Enzo Carra usa parole forti: «Anche se siamo una minoranza, vogliamo essere rispettati. Dopo il 26 ottobre potremmo puntare a una scissione, magari cercando un’alternativa al centro» guro che lo lasci chi come Francesco Rutelli ha avuto un ruolo determinante nel fondarlo. Il Pd lo abbiamo voluto come un grande partito capace di tenere insieme uomini e donne che provengono fa culture ed esperienze diverse, quindi il pluralismo delle opinioni e delle idee, e il loro libero confronto, è la cifra stessa di identità del Pd. Penso quindi che Rutelli possa benissimo continuare a esprimere le proprie opinioni e anche le proprie critiche dentro il Partito Democratico e non vedo alcuna ragione perché lo debba lasciare. Non solo non me lo auguro ma non credo che sia nelle sue intenzioni». A chiarire le posizioni dei cosid-

il 26 ottobre, potremmo puntare a una scissione, magari cercando un’alternativa in quello che offre il centro». L’esponente teodem, poi, volge uno sguardo al passato e pensa «agli errori che sono stati commessi nel voler stressare i tempi» e avverte che «se ci andiamo a infilare, come pensa qualcuno, nel filone delle socialdemocrazie europee, dobbiamo pensare oltre alle sconfitte rimediate in Italia, a quelle che le socialdemocrazie stanno inanellando in Europa».

Occhi puntati anche sull’altro fronte, quello dei centristi. Parole importanti ieri sono venute da Cesa, segretario del-


politica

2 ottobre 2009 • pagina 9

Le reazioni del Pd. Anche Franco Marini rivolge a Rutelli critiche durissime. E ingenerose

La svolta e gli insulti

Rosy Bindi (nei panni di Gesù) lo paragona a Giuda di Riccardo Paradisi e scissioni, anche quelle solo annunciate o paventate o preparate, sono sempre dolorose. Il fuoco incrociato che si è già aperto su Francesco Rutelli all’indomani della sua spietata analisi sul Pd – «un partito mai nato che sta tradendo le idee che diedero vita al suo progetto» – si annuncia solo come la breccia d’apertura d’una valanga polemica a cui l’ex leader della Margherita sa bene di non potersi sottrarre. «Se Francesco Rutelli ha deciso di lasciare il Pd lo faccia subito e non cerchi il pretesto della vittoria di Bersani» dice Rosy Bindi, che prosegue evocando addirittura la figura di Giuda Iscariota: «Mi viene in mente quello che Gesù dice a Giuda nel Vangelo prima del tradimento: ”quello che devi fare fallo subito”.

L

Se qualcuno ha già deciso di lasciare il partito – avverte Bindi – non cerchi un pretesto nella vittoria di Bersani. Che democratici sono quelli che non riconoscono l’esito del congresso e delle primarie? La responsabilità di una rottura sarà solo di chi esce». La vice presidente della Camera che ha sostenuto la candidatura di Bersani, assicura che con la vittoria dell’ex ministro il partito non scivolerà a sinistra. L’ambizione del Pd secondo lei è quella piuttosto di parlare al mondo cattolico, ai ceti produttivi, ai moderati». E all’obiezione che Bersani è un uomo di sinistra–sinistra la Bindi risponde che però «ha saputo governare con le liberalizzazioni, vince nel

rebbe troppo a sinistra? Bindi e Marini assicurano che non è vero, che se dovesse vincere la partita congressuale Bersani non darebbe un’impronta socialdemocratica al Pd. Non è vero insomma come sostiene Rutelli che il PD va ormai verso l’identità di «ultimo partito della sinistra italiana, diviene una variante nello sviluppo della storia della sinistra». Hanno ragione Rosy Bindi e Franco Marini o ha ragione Francesco Rutelli? L’intervista che Bersani ha rilasciato alle Nuove ragioni del socialismo, la rivista diretta da Emanuele Macaluso in edicola oggi, non lascia per la verità molti dubbi. Leggiamone alcuni passaggi. A proposito di identità: «Se Bossi domani baciasse in tv un immigrato clandestino la sua gente penserebbe: se lo fa avrà i suoi buoni motivi, e domani o dopodomani li capiremo pure noi. Perché la sua gente sta dalla parte sbagliata, ma sa dove sta. La lezione vale per tutti, anche per noi, che sembriamo degli sbandoni: la comunicazione politica per essere efficace, non deve veicolare solo razionalità, ma anche un senso comune che ti renda riconoscibile». A proposito di sinistra poi Bersani dice chiaramente che non potrebbe fare il segretario di un partito in cui la parola “sinistra”è tabù: «Salute, istruzione, salario, redditi. Il partito popolare che bisogna costruire deve partire da qui, per declinare il concetto di eguaglianza. Ma del suo senso comune fanno ugualmente parte la li-

L’ex ministro vorrebbe un Pd posizionato al centro, liberale, moderato, riformatore. Non è esattamente lo stesso partito che ha in mente il candidato più favorito alla segreteria dei democratici

l’Udc. Che ha esordito così: «Rutelli è un cattolico come noi e una persona seria. Nel Pd fa parte di un’ala cosiddetta ”teodem” che troppo spesso viene messa all’angolo dall’ala laicista dominante. Colpa di un partito troppo eterogeneo, che pensava di far andare d’accordo cattolici e post-comunisti e che oggi si trova incartato in mille contraddizioni». Quanto alla politica centrista, Cesa ha aggiunto che «Il nostro posizionamento è già chiaro, ed è al centro. Attendiamo certamente con attenzione il responso del congresso del Partito democratico, perché da loro ci aspetteremmo un’opposizione forte e incisiva in Parlamento che spesso non arriva a causa delle fratture interne. In ogni caso cambia poco per noi se vince Bersani o se viene confermato Franceschini». E poi conclude: «Respingiamo al mittente l’accusa di fare “politica dei due forni”. Semmai, essendo stati all’opposizione sia del governo Prodi che di quello Berlusconi, sono anni che non vediamo “forni”. Non dipendiamo in alcun modo dalle scelte degli altri».

Insomma, la strada sembra segnata. Sembra segnato l’approdo, ma il percorso appare ancora lungo e difficile. Anche perché il congresso del Pd, lungi dall’essere una semplice formalità politica, è destinato a incidere parecchio su questo percorso e le sue peculiarità

Nord e al Sud, dialoga con gli imprenditori e con i sindacati. Franceschini è più capace di lui? È tutto da dimostrare». E comunque per Rosy dal Pd non si torna indietro e soprattutto, riferita di nuovo a Rutelli «Non si getta la spugna durante il confronto congressuale, è scorretto». L’ex presidente del Senato Franco Marini nei modi è più dolce di Rosy, ma solo nei modi: «Questo partito lo conosco bene: di popolari pronti ad andarsene non ce ne sono, i popolari stanno nel Pd e ci restano Il Pd è stata l’aspirazione del nostro mondo. Quanto a Rutelli posso capire la sua insofferenza, è coerente con le posizioni che ha assunto da tempo ma non mi convince la motivazione di fondo e cioè che in questa battaglia congressuale si giochi lo scivolamento a sinistra del partito». Sono critiche molto dure quelle di Bindi e Marini, forse anche ingenerose. Perché se il Pd nella sua giovane vita ha potuto guardare anche al centro, se al suo interno s’è coltivata un’opzione liberaldemocratica questo è stato anche e soprattutto grazie alla Margherita. Infine è davvero solo un pretesto quello di Rutelli che sostiene che con Bersani il Pd vire-

bertà, la lotta contro le corporazioni, la laicità. Naturalmente il concetto di sinistra va aggiornato: su sanità e istruzione il mercato va tenuto fuori ma ce ne sono altri sui quali il mercato bisogna portarlo».

A proposito del centro: «Il centrosinistra non è un’identità, è un luogo, e per giunta un luogo abbastanza anonimo». Ecco, forse Rutelli non ha tutti i torti su un Pd schierato visibilmente a sinistra in caso di vittoria di Bersani. Ma Rutelli come lo vorrebbe questo partito? «Posizionato al centro, liberale, moderato, riformatore, progressista». Chissà forse ha ragione Clemente Mastella quando a proposito dei tormenti di Rutelli dice che «Chi nasce quadro non può diventare tondo. I presupposti dell’itinerario culturale di Rutelli si sapevano già dall’inizio.Quando all’epoca era segretario della Margherita non si capì quale fu il motivo che spinse Rutelli a fare il Partito democratico. Dire oggi che era sbagliato è inutile. La conclusione di oggi forse delinea lo sbaglio di allora».


panorama

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Polemiche. Quando gli intellettuali di destra si appropriano (e travisano) l’autore di «Ragazzi di vita»

Veneziani e il Pasolini bucolico di Pier Mario Fasanotti a qualche anno non sono pochi coloro che vorrebbero tirare dalla loro parte Pier Paolo Pasolini. Anche l’estrema destra, che vede nello scrittore-profeta, il Savonarola tremendo e violento contro la scomparsa dei valori, il contro non frequente sbeffeggiare l’ottusità della sinistra staliniana e contro il consumismo patologico che poi nella pratica, e dopo la morte dell’artistapoeta, ha sostituito i ritrovi spontanei e ritualmente rurali con i centri commerciali, luoghi di neon, aria condizionata e imbambolamento dinanzi agli oggetti: e questi sono poi fine unico della giornata dedicata al riposo,

D

IL PROVINCIALE di Giancristiano Desiderio

baricentro di smozzicato e quasi afasico fraseggiare. Momenti in cui il vero turpiloquio non è l’ossessiva ripetizione di “cazzo” o di “minchia che figata”, ma l’ossessiva decantazione di un iPod, di un cellulare o di un cavetto televisivo che fa superflui miracoli mediatici.

C’è anche un modo di tirare in ballo l’autore di Ragazzi di vita e di tanti pregevoli e sofferti film di marca intimamente cristiana - e non si deve citare

le di ieri l’altro, prendendo spunto dall’intervento di un intellettuale francese che ha associato la scomparsa delle lucciole, così care a Pasolini, al clima berlusconiano e alla rozzezza del pensiero leghista, racconta di aver rivisto le lucciole. Persino a Roma. Forzando la sua intelligenza, Veneziani parla del Pasolini “anti-moderno” che avrebbe sacrificato un’intera Montedison pur di riavere le lucciole. Ma queste stelline ad altezza uomo erano

La disputa più recente è quella sulle lucciole: rileggendo troppo di fretta certe pagine, non si capisce il valore simbolico della sue metafore solo e soltanto il Vangelo secondo Matteo - che ironizza, acrobaticamente, i suoi presunti errori in nome di un futurismo industriale foriero certo di benessere diffuso, ma che è anche fabbricatore di bare spirituali e di pensieri sottovuoto. In nome del nichilismo strisciante e invadente, della coercizione pubblicitaria, della omologazione e della tensione verso un falso “alto” sociale. L’ottimo Marcello Veneziani sul Giorna-

per Pasolini un simbolo. Leggendo un libricino intitolato “L’eredità di Pasolini” (Mimesis editore) si ricorda che il poeta che scriveva in versi friulani si scagliava contro l’Italia degradata «dallo sviluppo senza progresso». Che è ben altra cosa rispetto agli strali avvelenati dall’accusa di anti-modernità. E poi c’è la faccenda dell’elogio della civiltà contadina. Verità (molto personale per l’autore), ma anche metafora. Pasolini

spiegava che il mondo rurale assicurava «l’eterno ritorno stagionale», che era un valore, un’ancora esistenziale più che ambientale. E lo stesso scrittore così concludeva: «L’eterno ritorno è finito: l’umanità è partita per la tangente».

Singolarmente sono le stesse le amare considerazioni che Veneziani e molti altri condividono, nella stanza segreta della propria intelligenza. Il fatto che oggi, come scrive Veneziani, nessuno rinuncerebbe ai cellulare, al computer e alla tv non significa che le lucciole, come simbolo di silenzio, di anima bucolica, di riflessioni libere e autonome, siano da prendere alla lettera e da segnalare ai disinfestatori. Le lucciole ci sono ancora, scrive Veneziani, ma questo non è rilevante perché i fasci di luce dell’idiozia di massa sono colpevoli di ben altro, e non sono, almeno in parte, laser mortali per quegli insettilanterne. Accade che quando un qualsiasi pensatore tiri in ballo il nesso lucciole-Berlusconi, scatta l’automatismo anti-pasoliniano. Facendo finta di dimenticare la valenza simbolica del suo pensiero.

Uno studio negli Stati Uniti smonta un mito nascente dell’apprendistato

Ecco perché l’e-book non serve a niente è tutta una retorica entusiasta che circonda il libro elettronico: il cosiddetto e-book. I pedagogisti più avanzati - ci sono sempre pedagogisti più avanzati degli altri - non vedono l’ora di introdurre in maniera stabile e definitiva l’ebook a scuola.Vuoi mettere, infatti, che bello è leggere e studiare la Divina Commedia sul video del computer o sullo schermo gigante invece che su quei vecchi libri della Nuova Italia. Non c’è paragone, la lettura è più facile, il “testo” non è ingombrante, hai “tutto Dante” e “tutto di tutto” in un cip micro micro e, argomento allettante per un ministero che non sa più dove diavolo prendere i soldi per mandare avanti la micidiale baracca della scuola statale, l’ebook è anche conveniente, insomma costa meno. Che bello, vero? Solo che c’è un piccolissimo problema: con il libro elettronico lo studio è impossibile.

C’

La notizia arriva dagli Stati Uniti. Oddio, qualche intuizione l’aveva avuta anche noi. Ci sembrava strano, così a naso, che fosse possibile concentrarsi e sottolineare e prendere appunti sullo schermo del computer, però, che volete, se la notizia non ci viene dall’A-

merica sembra quasi che non ci sia. Invece, da Princeton è accaduto proprio così: per risparmiare la carta delle fotocopie erano stati distribuiti agli studenti e ai docenti i lettori Kindle e così docenti e studenti avevano in mano tutto lo scibile umano pronto a essere tradotto elettronicamente. Ma dopo qualche giorno è arrivata la novità: va bene una ricerca rapida, va bene una consultazione, va bene una ricognizione in archivio, ma va bene una veloce lettura, ma lo studio è tutta un’altra cosa. «Gran parte del mio apprendimento dipende dall’interazione fisica con il testo: segnalibri, sottolineature, appunti a margine per segnare i passaggi più importanti», ha spiegato Aaron Horvath, studente del corso di Società Civile e Politica Pubblica. Ciò che

dice lo studente è la cosa più semplice del mondo e che conosce chiunque abbia studiato seriamente o anche solo studiato nella vita. Lo studio con il libro è una lotta corpo a corpo. È un esercizio che si fa da soli. La solitudine è tipica dello studio. Il libro va letto, l’autore va compreso, l’opera va mangiata. Gli autori, infatti, vanno digeriti, anche se ci sono di quelli che possono rimanere sullo stomaco. Per fare questo tipo di esercizio spirituale è stato inventato il libro. Nessuna invenzione è stata così importante e perfetta. È l’invenzione che ha letteralmente sconvolto l’umanità. Il libro, il libro a stampa, è alla base della modernità. Il libro è la cosa più moderna che ci sia. Altro che libro elettronico. Il libro elettronico è vecchio, oltre che terribilmente scomodo.

Non c’è cosa più comoda e pratica del libro. Lo potete portare ovunque: a casa, a scuola, in spiaggia, in montagna, in strada, in biblioteca. Lo avete sempre a portata di mano. È malleabile, si fa strapazzare, piegare, sottolineare, conoscere, annusare, perfino fotocopiare (anche se questo è triste). Il libro è tascabile per definizione. Il libro elettronico non è semplicemente un libro. Non ne ha la forma, non ne ha l’odore, non ne ha l’inchiostro, non ne ha la maneggevolezza. L’e-book è scomodo. Non ha i numeri di pagina. Non si può sottolineare. Non è pratico per ripassare velocemente. Non favorisce il rapido orientamento dello studioso. L’e-book è astratto. Freddo. Tecnologico e antiespressivo. È tutto il contrario di ciò che deve essere un libro. La sua colpa più grave è che non invoglia alla lettura. Un e-book non si legge, non si sfoglia, al massimo si scorre, si clicca, si copia e incolla. Non si fa leggere e l’esercizio della lettura è propria del libro. Ora, chi ha un minimo di esperienza scolastica, sa benissimo che il vero problema delle nuove generazioni è proprio la lettura: non sanno leggere e non sanno come si lotta con il libro. Il libro è un oggetto sconosciuto, mentre il computer è familiare.


panorama

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Dispute. Ancora una volta le polemiche seguite al viaggio a Praga hanno mostrato la forza del Pontefice

È il Papa l’unico Muro contro il relativismo di Luca Volontè homas Jefferson, non proprio il più pio dei Padri Fondatori americani, amava ammonire i suoi concittadini sulle distorsioni della libertà: «Le libertà di una nazione sono al sicuro quando abbiano rimosso la loro unica base ferma, la convinzione nelle menti delle persone che queste libertà sono un dono di Dio, e che non possono essere violate se non incorrendo nella sua ira?». Non è dunque solo un problema cattolico, né di questo particolare Pontefice, quello di tornare a considerare la vita dei singoli e delle nazioni come se Dio esistesse.

T

Da questo argomento e su questo tema tutta la sfida cristiana non solo nel ‘900 parte e si combatte. Perciò l’acredine verso il recente viaggio al cuore dell’Europa, la visita di tre giorni a Praga di Benedetto XVI, non può che far sorridere e, nello stesso tempo preoccupare. Sorridere perché è scontato per un cristiano e per di più cattolico sapere di essere avversato quando propone la Verità, preoccupare per la cocciutaggine irresponsabile dei tanti che vogliono con le loro

La «malapianta» e i suoi attenti coltivatori non smettono di strumentalizzare la fede cattolica attaccando Benedetto XVI a ogni sua uscita polemicucce sbiadire, inquinare, ombreggiare la preoccupazione di ogni uomo e cittadino europeo mediamente avveduto. La malapianta e i suoi attenti coltivatori non smettono di strumentalizzare, deprecare e ridicolizzare la fede cattolica e gli straordinari segni benevoli della Provvidenza. Così passiamo dalla ridicole accusa di scaramanzia di Augias alle depre-

cabili infamie della presunta conoscenza del Papa sul caso Williamson, dalle banali accuse di essere «quattro gatti» ad ascoltare il Papa ai silenzi sulle centinaia di migliaia di persone in ogni parte del mondo venga visitata. Dai tempi degli Apostoli è così, «in Cristo la nostra unica forza». Il Papa lo ripete con una passione e una continuità sconvolgente, non si fer-

ma ai limiti delle persone e delle società che incontra, nemmeno si stanca di ripeterlo ad ogni occasione. Ogni settimana la sua genialità stupisce, affascina, «prende» e coinvolge in quell’incontro, in quella familiarità che lui ha con Dio. Siamo tutti un poco «tonti», intontiti dalle schitzofrenie del mondo in cui siamo immersi, abbiamo diffoltà a trattenere le lucide parole del Papa e perciò lui, amorevolmente, ci colpisce, ci urta, ci sveglia. Sin dalla udienza del mercoledì su San Anselmo d’Aosta, Benedetto ha dato l’avvio al suo viaggio nel cuore europeo, scandendo tra l’altro un appello ai credenti, «amino la chiesa senza abbandonarla e tradirla!». Non c’è da stupirsi dunque se venerdì prima di partire, abbia richiamato la piaga e le sofferenze provocate nei bambini, nel futuro delle nazioni, dagli egoisimi delle famiglie allargate. Le polemicucce giornalistiche che son seguite, manco a dirlo, sono il segno che il Pontefice non solo ha parlato a ragion veduta sul piano della fede ma, questo manda in bestia, anche sul piano scientifico, psicologico e statistico. Nei tre gironi di Pra-

ga, lo stesso Benedetto ha messo a nudo l’esperienza positiva di quel popolo e dei popoli dell’Europa che vent’anni orsono erano schiavi del totalitarismo sovietico. Ha smascherato ancora una volta citando l’esperienza storica reale, la tirannia dell’ateismo ma anche quella dell’attuale relativismo, un medesimo e terribile ateismo semplicemente fondato sull’ego (egoteismo).

L’annuncio della lotta alla «tirannia del relativismo», fatto dalla sua elezione al soglio petrino, non è stata dimenticata e perciò, di pari passo, sorge semrpe l’invito alla fedeltà, all’amore verso Cristo, alla lotta per conformarsi a comportamenti coerenti. Già nella lotta ala Regime Sovietico, Havel e prima di lui Berdajev facevano una disamina preoccupata del consumismo totalitario del mondo occidentale, allora come oggi nel ventesimo anniversario della caduta del Muro, il punto su cui riflettere e agire è quello:solo riaprire l’orizzonte a Dio consente uno sviluppo integrale e rispettoso delle persone, della malata società occidentale.

Media. Per la prima volta, in Gran Bretagna, la rete è in vetta alla classifica della raccolta pubblicitaria

È ufficiale: internet ha sorpassato la tv di Andrea Mancia ufficiale: la raccolta pubblicitaria su Internet ha superato quella televisiva. Non vi emozionate troppo, però, perché lo storico evento - finora - è accaduto solo nel Regno Unito. Nella prima metà del 2009, infatti, la spesa per la pubblicità su web in Gran Bretagna è cresciuta del 4,6% (in un periodo in cui l’intero mercato dell’advertising è crollato del 17%), facendo della Rete il medium preferito in assoluto dagli investitori. Secondo il rapporto dell’Internet Advertising Bureau, il fatturato pubblicitario su Internet ha toccato gli 1,75 miliardi di sterline e il 23,5% della spesa totale, superando per la prima volta la televisione. Guy Phillipson, chief executive della Iab ha dichiarato alla Reuters che il “sorpasso” è arrivato prima di quanto gli analisti avessero previsto. E che il distacco sembra destinato a crescere nel corso dell’anno.

È

Secondo Phillipson, si tratta di una tendenza in grado di consolidarsi nel 2010, per raggiungere tassi d’incremento in “doppia cifra” nel 2011. «Questo è una pietra miliare - dice - perché siamo

di fronte al primo dei grandi mercati in cui l’online ha superato il mezzo televisivo». Per la verità, rispetto alla crescita del 2008 - durante il quale era arrivata al 21% - l’andamento del 2009 potrebbe sembrare insoddisfacente. Ma se si prendono a confronto i dati di tv,

stampa e radio, ci si rende conto che le cose stanno diversamente.

«Sorprendentemente - spiega Eva Berg-Winters del World Advertising Research Center - il rallentamento dell’economia ha provocato un’accele-

Nella prima metà del 2009, la quota di mercato nel Regno Unito ha raggiunto il 23,5%, mentre la televisione - in netto calo - si è fermata al 21,9%

razione nella migrazione alle tecnologie digitali. Provocando uno slittamento costante da forme più tradizionali di pubblicità verso l’online, che promette più ritorni e misurabilità in un periodo poco stabile». Secondo la ricerca della Iab, la quota di mercato relativa a Internet è arrivata al 23,5%, rispetto al 18,7% della prima metà 2008. Alle spalle della Rete: la televisione con il 21,9% (-16,1%) e la stampa con il 18,5% (-20%). A trainare l’online, con il 60% di tutte le spese pubblicitarie su Internet, sono stati soprattutto i cosidetti siti “pay-per-search” (come Google) e la sempre maggiore diffusione degli annunci economici.

I dati confermano il periodo di forte crisi dei media tradizionali (broadcaster generalisti, giornali e radio), tutti ormai alla disperata ricerca di fonti alternative di entrate. Non bisogna però dimenticare le peculiarità del mercato britannico che hanno reso possibile questo exploit. In Gran Bretagna, infatti, la Bbc è finanziata pubblicamente e commercial-free. Sarebbe interessante compiere un esperimento del genere anche in Italia.


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ortunatamente, abbiamo la corsa agli aiuti umanitari. La tragedia del piccolo asiatico che corre nudo mentre tutto intorno la terra trema più essere cancellata dai nostri occhi con una donazione - comodamente effettuabile attraverso il telefonino - che ci farà sentire meglio. E mentre la conta dei morti per il terremoto che ha colpito Sumatra prosegue inarrestabile (si parla di almeno mille morti accertati e di decine di migliaia di sfollati), una parte dei numerosi servizi che vengono dedicati al paradiso tropicale viene dedicato anche a Filippine e Vietnam. Perché, e siamo sicuri che non molti ne erano al corrente, quei due Paesi meno attraenti stanno affrontando un tifone (che ha già ucciso oltre quattrocento persone) e si preparano ad accogliere “Parma”, una tempesta tropicale che avanza verso le loro coste con raffiche di 240 chilometri orari. Il capoluogo della provincia di Sumatra è oggi una città fantasma: edifici crollati, ponti caduti, strade allagate, auto accartocciate. La città, che conta quasi un milione di abitanti, è rimasta praticamente senza elettricità o linee di collegamento con l’esterno. I sopravvissuti raccontano scene di orrore: una donna ha visto in pochi secondi portare via dalle onde i tre figli che giocavano sulla sabbia; la gente raccoglie i pesci morti per sfamare i familiari. Dopo le scosse, la Commissione europea ha stanziato tre milioni di euro per provvedere alle prime esigenze umanitarie. La Commissione, bontà sua, ha anche stanziato altri due milioni di euro per aiutare le vittime del tifone Ketsana. Un team del dipartimento aiuti umanitari della Commissione (Echo) è stato già inviato in Vietnam per individuare i bisogni principali della popolazione. Per la quale, però, non si è mobilitata ancora nessuna rockstar. Ora, va detto che la furia della natura è da sempre uno degli spettacoli più suggestivi su cui l’uomo ha il privilegio di posare gli occhi.

F

Enormi onde che si abbattono con forza su una scogliera, il mare nero che ringhia in direzione di una spiaggia sferzata dal vento, una tromba

il paginone

Viviamo in una società costruita sulla tv, dove l’immaginario collettivo vale molt

Due maremot

Il terremoto di Sumatra scatena il sostegno internazio Il tifone che sta devastando Filippine e Vietnam, così com

di Vincenzo Fa d’aria che lentamente si avvicina a una isolata costruzione attraggono con forza lo sguardo e costringono a trattenere il fiato. Non si tratta, ovviamente, di macabro voyeurismo: è una naturale inclinazione, un richiamo forzato di natura ancestrale che condividiamo con i nostri simili di ogni razza e colore. Va anche però sottolineato che, nell’attuale società delle immagini, alcuni disastri sono più affascinanti di altri: la macchina della solidarietà internazionale, la stampa del mondo intero, i governanti sono più propensi a impegnarsi quando viene colpito un paradiso tropicale o un’isola idilliaca.

Il disastroso terremoto che ha colpito due giorni fa l’isola indonesiana di Sumatra è una dimostrazione pratica di questo assunto: con il dovuto rispetto per le vittime e i feriti di quei

Il Bangladesh è invaso in primavera da alluvioni disastrose, che spazzano via case e città. L’Asia orientale affronta i monsoni e perde ogni anno migliaia di persone. Nell’indifferenza dell’Occidente, che si mobilita solo quando vengono colpiti i suoi paradisi

luoghi - al momento parliamo di circa 800 morti e migliaia di sfollati - è necessario fare un paragone fra la copertura e l’aiuto destinato all’Indonesia con quello riservato invece a Filippine e Vietnam. Due Paesi colpiti nei giorni scorsi dal tifone Ketsana, che ha ucciso circa 400 persone e continua a devastare zone abitate e campagne. Un disastro naturale, così come le scosse indonesiane, assolutamente imprevedibile e contro il quale si può fare molto poco. Ma che, per una qualche ragione, guadagna molto meno spazio nel mainstream dei media e del sostegno internazionale. Certo, a sforzarsi alcune ragioni vengono in mente. Da una parte, c’è la dittatura delle immagini: viviamo in una società che ruota intorno alla televisione e a internet, dove YouTube detta la linea su cosa piace o non piace al pubblico. E certamente, come si diceva in apertura, le immagini più evocative sono quelle della furia del mare. Chi si è sforzato di vedere le comunque non poche testimonianze visive del tifone ha guardato piccoli filippini sotto la pioggia, magari immersi in una certo non fotogenica fanghiglia, che sulle spalle portano averi incartati nel miglior modo possibile secondo le possibilità a disposizione.

Al limite dell’indecenza, invece, i servizi collegati all’Indonesia: un lancio d’agenzia di ieri sosteneva infatti che «il terremoto che ha colpito l’Indonesia, ed in particolare Padang, avrebbe potuto causare molte vittime tra i surfisti che affollano la zona, se si fosse verificato tra maggio e agosto. È infatti quella la stagione principe del surf a Padang, celebre spiaggia dove c’è un’onda eccezionale dal punto di vista sportivo». Non contenti di questo grande risultato giornalistico, gli autori scrivono a beneficio di tutti che «la stagione va da maggio ad agosto. Quest’anno poi non si è celebrata la Rip Curl Pro, una delle gara più importanti del circuito mondiale che attira sportivi da tutto il mondo, e la cui edizione 2008 si era tenuta pro-


il paginone

to di più dei fatti oggettivi. Ma non è giusto che a pagare siano sempre gli stessi

ti, due misure

onale e approda sulle prime pagine di tutto il mondo me le alluvioni annuali in Bangladesh, finiscono in cronaca

accioli Pintozzi invece gli argini di un fiume fatto di inchiostro. Le cause di questo diverso trattamento sono molteplici. Bisogna considerare prima di tutto l’innegabile atteggiamento repressivo della giunta militare birmana, che governa con pugno di ferro il Myanmar, non permette agli stranieri di entrare nel Paese e censura in maniera feroce ogni mezzo di comunicazione, rendendo quasi impossibile ottenere notizie dall’interno.

In C in a, in ve ce, una popolazione tecnologicamente più avanzata e soprattutto la presenza stabile di un massiccio contingente di corrispondenti esteri ha reso possibile una copertura mediatica dell’evento quasi impeccabile. Inoltre, il governo cinese ha brillantemente utilizzato il dramma per distogliere l’attenzione della comunità internazionale dalla crisi tibetana, ed ha indossato negli ultimi giorni del dramma una maschera di permissivismo con cui ha cercato disperatamente di far tendere le simpatie del mondo dalla sua parte, nell’inconsueta veste di vittima.

Lo stesso fenomeno si è verificato lo scorso anno, quando le scosse del Sichuan fecero molto più rumore del ciclone Nargis sul Myanmar. Eppure, il secondo ha ucciso almeno 150mila persone. Si tratta di uno sbilanciamento troppo vistoso, anche per l’Asia prio a Padang. In questo momento chi vuole fare surf predilige piuttosto il Sud America, il Brasile in particolare. A fine anno anche l’Australia attrae molto».

A scanso di ogni dubbio, va precisato che il suddetto capolavoro è frutto di un’intervista a un esperto di surf. Ma fa riflettere che, pur di tirare in alto la notizia, si arrivi a commentare “cosa sarebbe potuto succedere se…”. Lo stesso fenomeno si è verificato lo scorso anno, quando il Segretario generale delle Nazioni Unite Ban Kimoon definì il ciclone Nargis in Myanmar (che uccise circa 200mila persone) «un disastro di proporzioni disumane». La stessa identica frase pronunciata dal primo ministro cine-

se Wen Jiabao davanti ai 15mila morti causati dal terremoto che aveva sconvolto il Sichuan. Per la stampa internazionale, tuttavia, sembra che i due avvenimenti non siano neanche paragonabili. Aprendo i giornali italiani, britannici e statunitensi nella settimana in cui i due disastri ebbero luogo, si aveva l’impressione di avere davanti una sorta di proporzione all’incontrario rispetto ai canoni base di quella che dovrebbe essere una notizia, intesa in senso lato.

Mentre aumentano i morti birmani, diminuiscono le righe dedicate all’evento; davanti alla conta dei decessi cinesi (tragici allo stesso modo, ma in maniera non paragonabile ai loro cugini dell’ex Indocina), si rompono

A ben vedere, però, pesano molto di più altri fattori. Da una parte c’è lo squilibrio geopolitico che separa le due nazioni: la Cina, con l’economia più forte del mondo ed una popolazione che rappresenta un quinto di quella terrestre; il Myanmar, poverissimo ed abitato da un gruppo di persone che non ha presa sull’immaginario collettivo. Dall’altra parte, va considerato il “nuovo corso” che ha intrapreso la stampa occidentale, drogata di immagini e di storie da mostrare, più che da raccontare. Lo spartiacque di questa rivoluzione copernicana nel mondo dei media, che nasce dall’avvento della televisione commerciale, può essere individuato nel disastroso tsunami del 2004, che ha tenuto banco per settimane sulle prime pagine

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dei giornali di tutto il mondo soltanto per la presenza di stranieri al momento del disastro. Questi hanno ripreso ogni fase della tragedia, mostrando la ferocia della natura ed il dramma della morte di decine di migliaia di persone.

Ep p ure, le vi tti m e dello tsunami sono state quasi 250mila in cinque Paesi diversi: oggi muoiono 200mila persone nel solo Myanmar. Da allora, scrivere una cosa non vale neanche la metà del mostrare una fotografia. Per esperienza diretta, si può citare la repressione operata dalla giunta militare di Yangoon sui monaci buddisti che protestavano per le strade del Paese contro la repressione della democrazia e la corruzione del governo. Davanti alle prime fotografie e riprese dell’evento, si sono scatenati giornalisti di tutto il mondo. Una volta depurato il Paese dalla presenza straniera, il mondo ha dimenticato. Davanti a disastri naturali di proporzioni minori, invece, il mondo decide di ignorare: facendo un rapido calcolo a spanne, basandosi sui dati disponibili sul sito delle Nazioni Unite, lo scorso anno sono morte soltanto in Asia circa 600mila persone. La causa di queste morti, oltre ai citati terremoti e cicloni, sono principalmente alluvioni, monsoni e maremoti. La Cina viene costantemente evacuata all’arrivo dei venti meridionali, tanto che le impalcature dei numerosi edifici in costruzione vengono montate con il bambù. Più facile da smontare, più leggero in caso di crollo, garantisce una maggiore stabilità se investito da raffiche dirette. Il Giappone ha a che fare con i terremoti praticamente ogni settimana: un terreno altamente sismico costringe la popolazione a dei valzer grotteschi per evitare danni permanenti. Il Bangladesh viene invaso, sempre sotto monsoni, da veri e propri fiumi d’acqua ch e - complice un terreno non coperto da cemento - scatenano delle rapide interamente composte da fango. I morti sono in media nell’ordine delle centinaia, ma questo sui giornali non finisce. Ora, com’è normale, l’attenzione viene rivolta a Sumatra. Ma due maremoti e due misure è un modo di fare che non può andare avanti per molto. E non è soltanto un invito umanitario, dettato da spirito buonista. È in primo luogo una constatazione, come già spiegato, ma è anche un’indicazione dettata da buon senso. L’Asia sud-orientale e quella meridionale sono invase da catastrofi naturali e terrorismo.Vivono in una corrente di fattori che acuiscono la caducità della vita, di per sé fattore legato a ogni essere umano, e quindi sono disponibili a compromessi molto più radicali di quelli del mondo occidentale. Vedono l’aiuto del mondo sviluppato soltanto quando, ad essere sferzate, sono le cose dei paradisi del surf: i dorati rifugi in cui la jeunesse doree delle ricche università americane ed europee si rifugiano per “staccare” dal loro stressante mondo. In pratica, i popoli della nuova frontiera ci guardano con molta poca simpatia: noi siamo quelli che sfruttano i loro territori, usano i loro call-center pagandoli una miseria e piangiamo i loro morti soltanto quando ci conviene.


mondo

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Strappo. Il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, destituisce Peter Galbraith che era stato scelto dalla Casa Bianca

Lo schiaffo di Kabul Silurato l’uomo di Barack in Afghanistan «Così l’Onu manda un pessimo segnale» di Enrico Singer arack Obama lo aveva personalmente scelto sfogliando la lista dei diplomatici di carriera più vicini alla nuova linea della Casa Bianca. E quando aveva trovato il suo nome non aveva avuto dubbi. Peter Woodward Galbraith, 60 anni, primo ambasciatore americano in Croazia (dal 1993 al ’98), autore di due saggi sulla guerra in Iraq molto polemici con le scelte di Bush, nonché figlio dell’economista John Kenneth Galbraith, sarebbe stato il suo uomo a Kabul. L’antenna politica che, dalla poltrona di numero due della missione Onu in Afghanistan - lo scettro di capo della rappresentanza è in mano al norvegese Kai Eide da un anno e mezzo - avrebbe fatto da contrappeso allo strapote-

B

re dei militari che guidano le operazioni sul terreno. Era il 25 marzo di quest’anno quando Obama lo impose, quasi, al segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon. Ma il suo mandato è durato appena sei mesi. Travolto da quello che qualche analista americano ha già ribattezzato lo «schiaffo di Kabul». Uno schiaffo alla Casa Bianca, naturalmente, perché è senza precedenti nella storia del Palazzo di Vetro il siluramento di un personaggio del rango di Peter Galbraith. Certo, il diplomatico aveva scritto una lunga lettera a Ban Ki-moon spiegando fin nei minimi dettagli il suo disaccordo con l’operato di Kai Eide nel delicato compito del controllo della regolarità delle elezioni presidenziali afghane. E aveva messo il segretario generale dell’Onu con le spalle al muro.

Sconfessare Eide avrebbe significato riconoscere che il voto a favore di Hamid Karzai era stato falsato dai brogli, proprio come ha denunciato il diplomatico americano. Ban Ki-moon non ha avuto il coraggio di rompere la tradizionale politica del compromesso che governa l’Onu e ha rimosso lo scomodo Peter W. Galbraith. Che ha reagito a modo suo, senza peli sulla lingua: «Così le Nazioni Unite mandano un pessimo segnale al mondo», ha detto ieri in un’intervista alla Bbc, dichiarandosi «sorpreso» dalla deci-

sione del segretario generale. Invece di prestare attenzione ai suoi circostanziati rapporti sui «seggi fantasma», Ban Kimoon ha preferito destituirlo: in altre parole, più che preoccuparsi di accertare la verità, l’Onu evita d’indagare e fa finta di niente. Questo è il «pessimo segnale» di cui parla Galbraith che, sin dal suo arrivo a Kabul, era entrato in rotta di collisione con Kai Eide, nonostante un’amicizia di lunga data maturata durante una comune missione

ha attenuato lo scontro pubblico sulla gestione della missione dell’Onu a Kabul.

Da un personaggio come Peter Galbraith c’era da aspettarselo. Nel 2003, dopo ventiquattro anni di servizio diplomatico, in piena era Bush, si dimise dal Dipartimento di Stato per criticare più liberamente la politica seguita allora dalla Casa Bianca in Iraq. Due suoi libri sono diventati la Bibbia dei contestatori del conflitto: Iraq, come l’incompetenza

Figlio dell’economista John Kenneth Galbraith, era stato il primo ambasciatore americano in Croazia e aveva denunciato i brogli nell’elezione di Hamid Karzai. Criticò Bush per la guerra in Iraq in Bosnia e cementata anche da una vicenda molto particolare: proprio Eide ha fatto conoscere a Peter Galbraith l’antropologa norvegese Tone Bringa che il diplomarico americano ha poi sposato e dalla quale ha avuto tre figli. Ma la vita privata non

americana ha creato una guerra senza fine e Conseguenze indesiderate, come il conflitto in Iraq ha rafforzato i nemici degli Usa. Nel gennaio del 2008 aveva anche annunciato l’intenzione di candidarsi alla poltrona di governatore del Vermont - lo Stato

Nella foto a sinistra, Peter Galbraith e, in quella piccola in alto a destra, suo padre: l’economista John Kenneth Galbraith. A fianco, il presidente Barack Obama con il repubblicano John McCain che lo aveva sfidato nella corsa alla Casa Bianca


mondo chard Holbrooke, il diplomatico scelto da Obama come suo rappresentante personale per il Pakistan e l’Afghanistan: una miscela perfetta per entrare nella short list dei fedelissimi della Casa Bianca al Dipartimento di Stato sotto la guida di Hillary Clinton.

in cui risiede - per il partito democratico contro il repubblicano Jim Douglas, ma poi aveva rinunciato in favore di un altro esponente democratico, la signora Gaye Symington. La vittoria di Barack Obama nelle presidenziali del novembre dello scorso anno ha rilanciato la sua carriera diplomatica alla quale era giunto dopo tre lauree (in legge, economia e affari internazionali) nei più prestigiosi atenei americani: Harvard, Oxford e Georgetown. Nel 1993 il presidente democratico Bill Clinton gli affidò il compito di promo ambasciatore degli Stati Uniti nella Croazia indipendente dopo l’implosione della Jugoslavia e, nel 1995, Peter Galbraith fu il principale architetto dell’accordo di Erdut che segnò la fine del conflitto tra Croazia e Serbia per la Slavonia orientale. Dopo il 1998 passò tra i diplomatici americani impegnati nelle missioni dell’Onu e fu inviato a Timor Est per mediare le contese marittime con l’Australia che si conclusero con due accordi - compreso il Trattato del 2002 - che quadruplicarono i diritti di estrazione del petrolio offshore a favore di Timor. Un curriculum di tutto rispetto, condito con una militanza nel campo del partito democratico e con l’amicizia con Ri-

Ma c’è anche un dettaglio davvero non secondario nella vita di Peter Woodward Galbraith. Suo padre morto nel 2006 - è stato uno degli economisti più famosi degli Stati Uniti di ispirazione dichiaratamente democratica. John Kenneth Galbraith, per la verità, era nato in Canada nel 1908, ma era stato naturalizzato americano nel 1937 e fu consigliere ecoonomico di tre presidenti democratici: Franklin D. Roosevelt, John Fitzgerald Kennedy e Bill Clinton. Fu anche ambasciatore in India (dal 1961 al 1963), ma la sua grande notorietà la raggiunse con il libro The affluent society che, come scrisse il New York Times, «costrinse la nazione americana a riesaminare i suoi valori» perché sosteneva che gli Usa erano diventati ricchi in beni di consumo, ma poveri nel campo dei servizi sociali. Quell’opera, del 1958, tradotta in italiano col titolo La società opulenta è considerata un classico della critica ai meccanismi dell’economia americana di quei tempi e suscitò polemiche anche molto aspre. L’idea che si potesse mettere in discussione il progresso economico misurato esclusivamente da indicatori quantitativi come la crescita del prodotto interno lordo, per motivi, ad esempio, ambientali suonava come un’eresia, e fu bollata come qualcosa a metà fra il luddismo e la negazione della libera iniziativa. Accuse che, naturalmente, lasciarono indifferente John Kenneth Galbrait che in un altro famoso libro The New Industrial State sviluppò le sue teorie sulla complessità del sistema produttivo in cui entra da protagonista anche il consumatore criticando l’autoreferenzialità delle grandi corporation americane. Un libro, questo, che entrò tra i testi sacri della montante contestazione studentesca.Tra l’altro, John Kenneth Galbraith si dimise da consigliere economico del presidente democratico Lyndon Johnson a causa della guerra in Vietnam. Alla quale dedicò anche un libro. Proprio come suo figlio Peter ha fatto con l’Iraq.

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Il senatore attacca: «Non possiamo permetterci un anno senza strategia»

Afghanistan, McCain mette Obama all’angolo di Osvaldo Baldacci ra Afghanistan e Washington un anno dopo, i nodi vengono al pettine. Non sarà proprio l’ora della resa dei conti, ma certo l’opposizione repubblicana comincia a rialzare la testa. E l’Afghanistan diventa un infuocato terreno di scontro anche politico. Perché i nodi da sciogliere sono molti, e l’atteggiamento di Obama appare ancora piuttosto indeciso e tentennante. Tanto che torna in campo John McCain, il rivale di un anno fa. Non sono proprio un“ve l’avevo detto”le dichiarazioni che ha rilasciato all’Abc News, ma certo non sono neanche quell’appoggio bipartisan con cui aveva riconosciuto la vittoria del rivale. Proprio oggi che Obama ha più bisogno che mai dei repubblicani, specie a proposito dell’Afghanistan. E intanto il presidente democratico prende tempo, annunciando che una decisione sulla strategia in Afghanistan sarà presa nelle prossime settimane. Troppo perché uno come John McCain possa sopportarlo.

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Mercoledì a Washington si è tenuto l’incontro ai massimi livelli per decidere della strategia statunitense in Afghanistan. I problemi sul tappeto sono molti e complessi, e hanno un prezzo alto. Ma il problema è che l’Amministrazione sembra non solo non sapere bene come fare, ma forse neanche cosa fare. Si confrontano linee molto diverse, e la cruda realtà si scontra con la retorica. Il presidente già quando era candidato ha continuato a ripetere che la guerra in Afghanistan è vitale per gli interessi statunitensi. Era anzi arrivato al punto di sostenere la necessità di azioni militari oltre il confine pakistano. Anche di recente, l’11 settembre, ha ribadito che la guerra al terrorismo è una priorità che non sarà interrotta prima del raggiungimento degli obiettivi di sicurezza per gli Stati Uniti. E in Afghanistan, Pakistan ma anche in Africa l’amministrazione Obama sta facendo la sua parte. Ma allo stesso tempo il presidente democratico deve rendere conto al suo partito e ai sentimenti della sua base. Per cui ha sottolineato come la guerra afghana non sia una guerra degli Usa, bensì della Nato e della comunità internazionale tutta. E ha “osato”dire che gli americani sono stanchi della guerra. E ieri Obama ha preso tempo. Il portavoce Gibbs ha fatto sapere che «il presidente annuncerà nelle prossime settimane quale sarà la nuova strategia statunitense nei confronti dell’Afghanistan, e soprattutto se ci saranno modifiche di spicco». Il prossimo vertice alla Casa Bianca è stato convocato per il 7 ottobre. Obama sta riunendo periodicamente nella Situation Room della Casa Bianca i suoi consiglieri politici e militari, ma sembrano intravedersi più contrasti che soluzioni. Il comandante americano McChrystal chiede un significativo impiego di rinforzi, ma il vicepresidente Biden è contrario. McChrystal chiede almeno 40mila uomini in più, e questo la base liberal che sostiene Obama non sembra volerlo digerire: né l’elettorato e neanche i deputati democratici, e delle voci meno belliciste si sarebbero fatti interpreti anche Holbrooke, il rappresentante speciale per Afga nistan-Pakistan, la segretaria di Stato Clinton, il capo della Cia Panetta. Altri consiglieri di Clinton, in particolare i militari, sono invece schierati a favore di McChrystal e dell’invio dei rinforzi: il capo del Pentagono Gates, il capo di Stato Maggiore

Mullen, il comandante delle forze Usa in Medio Oriente Petraeus, il consigliere per la Sicurezza Nazionale Jones. Preoccupante però che sia trapelato che anche il Ministro della Difesa Gates, peraltro repubblicano ed ex di Bush, non abbia ancora una posizione precisa.

Una minima mediazione arriva con l’aiuto di un altro militare, il comandante delle truppe in Iraq Odierno, che ha dichiarato essere possibile accelerare il ritiro dall’Iraq rendendo disponibili già da ottobre 4.000 soldati che potrebbero essere spostati in Afghanistan. Ma l’ipotesi che nessuna decisione strategica venga presa prima di dicembre preoccupa molto chi come McCain ha le idee chiare. L’ex candidato repubblicano alla presidenza e altri autorevoli membri del Gop non hanno certo assistito con piacere agli sviluppi delle ultime vicende afghane: l’avanzata militare dei talebani, il recupero di immagine dei leader di al-Qaeda Bin Laden e al-Zawahiri; le in-

Il presidente stretto tra la base pacifista del partito e la necessità del sostegno repubblicano.A rischio la sua immagine decisionista e vincente certezze politiche sulla gestione delle elezioni presidenziali afghane; il calo di popolarità della guerra. Che all’immagine decisa e vincente dei grandi discorsi di Obama si stia sostituendo una ben meno rassicurante immagine di un presidente che non sappia dove cercare il bandolo della matassa è chiaro. Per cui McCain è tornato allo scoperto, con un messaggio molto chiaro: «Non abbiamo tutto questo tempo per affrontare il problema afghano, non possiamo permetterci un anno senza strategia. Credo che tergiversare metterà in pericolo i nostri uomini. Obama esporrà gli Usa a un pericolo ben più grande se non invierà i rinforzi». Un concetto lampante per un uomo d’azione come lui, ma che ha anche un forte valore politico. Incrina l’immagine di un Obama che si era presentato come l’uomo delle soluzioni, e lo mette nell’angolo rispetto alle sue stesse contraddizioni. Per questo Obama rischia di perdere il consenso dei deputati democratici più liberal e pacifisti (non pochi) ma potrebbe non ricevere il sostegno di quelli repubblicani pur favorevoli in linea di principio ai rinforzi. Un pasticcio politico a Washington, che però paga i suoi prezzi soprattutto in Afghanistan.


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Nucleare. Ieri a Ginevra, dopo 14 mesi di stallo, ripartiti i colloqui l “cinque più uno”ripartiti ieri a Ginevra, dopo un lungo stallo, riportano all’attenzione il tema dell’efficacia della nuova politica estera, di sicurezza e difesa degli Stati Uniti. Tutta la vicenda del braccio di ferro con gli Ayatollah, che ormai comprende il time out dichiarato dalla triade americo-franco-britannica a Pittsburgh, ne sarà in qualche modo il banco di prova. Indubbiamente, Obama sa come suscitare grandi aspettative. Lo aveva già dimostrato durante la lunga campagna elettorale. In questi primi nove mesi alla Casa Bianca non si è smentito, almeno in termini di annunci, e sta dando quasi l’impressione che la campagna elettorale sia ancora in atto. Ha affrontato a pettine tutti i temi a lui cari, certamente buoni e giusti, ma sinora con scarsissima efficacia. Forse è presto per attendersi dei risultati, ed egli stesso, che vede innanzi a sé una strada lunga altri sette anni, forse non ha fretta. I tempi lunghi, oltretutto, consentono a tutti un processo di maturazione, ed offrono margini sufficienti anche per cambiare idea ed invertire la marcia. In politica interna, come sappiamo, a creare grandi attese erano stati i temi relativi all’impegno sociale e al climate change, entrambi in evidente difficoltà. In politica estera e in politica di sicurezza e difesa, invece, i due principali motori sono: l’Afghanistan - sul quale ora sembra ci sia una pausa di riflessione - e il nuovo approccio verso l’Iran. Sfondo comune, ma il problema in questo caso è globale, la crisi economica.

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Il piano per rilanciare il processo di pace israelo-palestinese era rimasto un po’ in sordina, almeno fino al controverso discorso di grande apertura verso il mondo musulmano pronunciato da Obama al Cairo. L’intervento all’Onu dei giorni scorsi era sembrato ai più l’occasione unica per esplicitare in termini consequenziali sia il tema, sia gli intendimenti. Invece, niente. Si è preferito giocare l’asso del disarmo nucleare, che, in buona sostanza e considerati i tempi necessari, non scontenta nessuno e rappresenta quindi un’utile pausa di riflessione. La bomba - se davvero i fatti dimostreranno che è tale - è invece scoppiata al vertice di Pittsburgh. Nella regione Obama aveva in precedenza una strategia ad ampio spettro fondata sull’engagement, ovvero il colloquio parallelo, ma in un

Obama sarà costretto a copiare Bush? Ecco perché il vertice non conferma la politica della “mano tesa” di Mario Arpino

ta, essendo la pace tra palestinesi e israeliani in grado di influenzare positivamente la comunità internazionale ai fini del comune confronto con la minaccia iraniana. Fino a quel momento, nonostante i risultati delle elezioni in Iran e le reiterate intemperanze di un Ahmadinejad che la situazione postelettorale rende sempre più intransigente, la politica della mano tesa rimaneva inalterata. Improvvisamente, ora sembra che l’approccio americano nei confronti del problema palestinese abbia perso mordente e il fuoco sia di nuovo centrato sull’Iran, come ai tempi di Bush e come ha chiesto Netanyahu.

Certo è che lo show-down di Obama, Gordon Brown e Sarkozy non ci sarebbe stato senza un tacito consenso di Russia e Cina ed una maggiore consapevolezza da parte europea. Anche questo, tuttavia, almeno indirettamente è stato oggetto di verifica a Ginevra, dove l’Unione Europea è stata di fatto rappresentata da Gran Bretagna, Francia e Germania. Se si tratti di una vera e propapre ria inversione di politica lo si vedrà forse già nei prossimi giorni - al 5 + 1 partecipano, oltre ai tre europei, anche Usa, Russia e Cina - e trarre conclusioni oggi è prematuro. Davvero i colloqui in agenda saranno per l’Iran un’ultima occasione? Se Obama, come sostiene, desidera davvero che l’Onu torni ad essere il luogo per la risoluzione delle controversie internazionali, allora la strada sarà lunga e difficile. In quella sede - che non è Pittsburgh e nemmeno Gi-

In Svizzera l’incontro fra i negoziatori di Usa e Iran

Nuovo summit a fine mese L’Iran e i sei Paesi coinvolti nei negoziati sul nucleare si incontreranno di nuovo entro la fine di ottobre: l’accordo è stato raggiunto nel corso del vertice svoltosi ieri a Ginevra, secondo quanto riferito dalla televisione di Stato iraniana, che non ha fornito ulteriori dettagli. Un nuovo incontro a breve termine era peraltro un risultato che gli analisti consideravano già positivo; nel corso del vertice sono tuttavia emersi segnali contradditori: il caponegoziatore iraniano Said Jalili aveva ribadito che l’Iran non rinuncerà mai ai propri «diritti sovrani». Jalili ha lanciato il suo avvertimento nel corso del primo incontro con la delegazione dei 5+1, guidata dal responsabile della politica Este-

ra e di Difesa dell’Ue, Javier Solana. A margine della riunione principale si è poi tenuto un colloquio tra Jalili e il rappresentante statunitense William Burns: è il primo incontro diretto ad alto livello tra Washington e Teheran sui programmi nucleari iraniani. Parallelamente al vertice di Ginevra, il ministro degli Esteri iraniano Manucher Mottaki, in visita a Washington, avrebbe consegnato alle autorità statunitensi le ultime proposte iraniane per riaprire i negoziati: fonti di stampa araba - non confermate ufficialmente parlano della possibilità di arricchire l’uranio all’estero, proposta alla quale Francia e Russia hanno già dato la loro disponibilità di massima.

Il presidente Usa, pressato dal decisionismo e dall’autonomia di Israele, potrebbe dover riaprire i cassetti della vecchia Amministrazione unico quadro, con i singoli Paesi dell’area, pur mantenendo la ormai famosa mano tesa all’Iran. Secondo questa dottrina, ai fini della stabilizzazione nessun paese dell’area aveva, per Obama, priorità nei confronti degli altri. Nel senso che era necessario lavorare parallelamente su tutte le problematiche, senza stabilire a priori alcuna gerarchia. Quando, la primavera scorsa, nel corso dei colloqui bilaterali a Washington, il premier Netanyahu aveva chiesto si desse la precedenza assoluta alla minaccia iraniana, Obama aveva risposto che, a suo avviso, la priorità andava semmai inverti-

nevra - è assai probabile che Russia e Cina tornino a temporeggiare sul tema delle sanzioni, se è vero che accordi industriali di rilievo sono in atto proprio in questi giorni. È poi prevedibile che l’Europa, come al solito, non sia capace di coordinare al suo interno, in materia, posizioni più coese. Se sarà così, Ahmadinejad sarà in grado di procedere senza eccessivi disturbi nei suoi intendimenti. A meno che Obama, sotto la spinta di paventate decisioni autonome israeliane, non sia costretto - come in Afghanistan - a riaprire i non ancora polverosi cassetti dove sono pronti i piani di Bush.


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Gli ultimi sondaggi danno i favorevoli al 55 per cento

L’Unesco stila la classifica delle usanze popolari a rischio

Irlanda al voto sul Trattato Ue: “sì”in vantaggio ma restano dubbi

Sono dodici le tradizioni in via d’estinzione

DUBLINO. Conto alla rovescia

ABU DHABI. L’Unesco ha annunciato di aver selezionato 12 tradizioni, in otto Paesi, che appartengono al Patrimonio culturale dell’umanità e che necessitano di urgenti misure di salvaguardia: fra questi il “Cantu in paghjella” un canto della Corsica e “il Festival del nuovo anno dei Qiang” in Cina. Il comitato, riunito a Abu Dhabi, aveva già individuato 76 pratiche e tradizioni che appartengono al Patrimonio culturale dell’umanità, per verificarne la vitalità: fra queste il tango argentino e uruguayano, che però non versano in stato di crisi. A necessitare un piano di salvaguardia ad hoc, invece, sono una dozzina di pratiche popolari. Fra queste il Cantu in paghjella profano e liturgico

per il referendum che domani chiamerà alle urne gli elettori irlandesi per pronunciarsi sul Trattato Ue di Lisbona, con gli ultimi sondaggi che vedono quasi certa la vittoria dei sì, dopo la clamorosa bocciatura dello scorso anno. Il primo ministro Brian Cowen ha condotto una impegnativa campagna a favore del Trattato, avvertendo i suoi compatrioti che un ulteriore no ostacolerebbe il cammino dell’Irlanda per uscire dalla recessione. I leader europei attendono con ansia i risultati, sperando nella fine dello stallo costituzionale in cui la Ue è precipitata dal giugno del 2008, quando gli irlandesi respinsero il Trattato con il 53,4% di voti contrari. Secondo quanto pubblicato dal giornale Sunday Business Post lo scorso fine settimana, nei dati dell’ultima rilevazione consentita i favorevoli raggiungevano il 55% contro il 27% di contrari. L’Irlanda è l’unico paese obbligato dalla Costituzione a sottoporre il Trattato ad un referendum prima di convertirlo in legge. A parte le garanzie fornite da Bruxelles su alcuni punti-chiave del testo, come le assicurazioni di non intereferenza sul divieto di aborto e sul suo sistema fiscale, a spingere gli elettori a votare sì sarà soprattutto la crisi. Que-

Cade il governo bicolore a Bucarest Dopo il siluramento di un ministro, la sinistra molla i liberali di Pierre Chiartano olano gli stracci della politica in Romania. Cambia la compagine partitica del governo, dove restano solo i liberali. I ministri social-democratici si sono dimessi, in segno di protesta contro la sostituzione del ministro degli Interni. Al posto del social-democratico Dan Nica, è stato nominato ad interim il viceministro per lo Sviluppo, Vasile Blaga, un conservatore. Nica sarebbe colpevole di aver denunciato possibili brogli elettorali in vista delle presidenziali d’autunno, cosa che avrebbe messo in pericolo la rielezione del presidente Basescu. È finita l’esperienza del governo di centrosinistra guidato da Emil Boc in Romania, perlomeno nel suo assetto bicolore. Dan Nica, il ministro degli Interni il cui siluramento è stato ufficializzato ieri con la firma d’un decreto di dimissioni da parte del presidente Traian Basescu, è in politica dal 1996. Cominciò la carriera di governo con il gabinetto di Adrian Nastase, come minsitro delle Telecomunicazioni. Il socialdemocratico aveva assunto la carica al ministero in febbraio, dopo aver ricoperto quella di vicepermier. Da responsabile degli Interni aveva avviato un’inchiesta sulle elezioni europee di quest’anno, denunciando brogli e promettendo che i protagonisti della frode elettorale sarebbero stati arrestati. Ora viene destituito per aver allungato l’ombra del sospetto anche sulle prossime presidenziali di fine novembre. Dove l’attuale presidente sarebbe favorito. I liberaldemocratici, ora, potrebbero decidere di proseguire la legislatura con un governo di minoranza. Ma la crisi di governo fa sprofondare il Paese nell’incertezza politica, a meno di due mesi dalle presidenziali del 22 novembre e sullo sfondo di tensioni sociali aggravate dalle turbolenze economiche. La decisione dei socialdemocratici, annunciata dal leader del partito Mircea Geoana, viene dopo giorni di convulsi tentativi per evitare la crisi. Tentativi definitivamente naufragati, dopo che ieri il presidente Basescu ha proposto un incarico al dicastero agli interni per un in-

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dipendente. L’idea è stata respinta dagli esponenti del centrosinistra, che sono usciti dal governo subito dopo la promulgazione del decreto di revoca del mandato a Nica. Secondo gli osservatori, il Partito liberaldemocratico di Boc potrebbe a questo punto decidere di continuare a governare da solo con un esecutivo di minoranza. La crisi, infatti, va a intrecciarsi con la rincorsa finale verso le elezioni presidenziali di novembre, dalle quali Basescu vorrebbe ottenere una riconferma. Geoana, che è candidato alle presidenziali, ha accusato proprio il presidente di essere dietro una manovra volta a sacrificare il governo di centrosinistra, in carica solo da dicembre 2008, per garantirsi le elezioni. Il clima è elettrico da quando Dan Nica ha ventilato la possibilità che le elezioni di novembre siano macchiate da brogli. Basescu ha deciso di interrompere il suo viaggio a Cluj per tornare nella capitale. Sullo sfondo della crisi politica, permane in Romania una devastante situazione economico-sociale.

Nica è stato destituito dopo aver parlato di rischio brogli anche per le presidenziali di novembre, dove Basescu è favorito

st’anno le previsioni sul prodotto interno lordo parlano di una contrazione record dell’8%, mentre la disoccupazione è salita al 15%, tre volte il livello del 2008. I sostenitori del sì sottolineano come senza i 120 miliardi di euro stanziati dalla Banca Centrale Europea gli istituti di credito irlandesi sarebbero stati costretti a chiudere. Tutti i principali partiti sostengono il sì e l’unico timore è il momento di grave impopolarità attraversato dal premier Cowen, visto come il responsabile dell’incredibile crisi economica dopo anni di boom. L’Europa tutta resta comunque in ansia: in caso di un nuovo no, non ci sarebbero altre possibilita di modifica del testo.

L’aumento della criminalità nei primi sei mesi dell’anno aveva già contribuito a far crescere il malcontento popolare. Poi Bucarest è stata investita in pieno dalla recessione globale e il governo romeno si trova a dover attingere a un prestito del Fondo monetario internazionale per pagare i salari dei dipendenti pubblici. Nelle scorse settimane la Romania è stata teatro di diverse proteste e manifestazioni, dai magistrati ai ferrovieri. Ricordiamo i forti legami economici tra Romania e Italia. Sono già 28mila le aziende italiane in quel Paese e nel 2008 l’interscambio commerciale con il Belpaese è stato di circa 11,5 miliardi di euro. Durante la visita di Boc in Italia, a metà settembre, la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia aveva definito la Romania «un esempio, grazie alla sua capacità di fronteggiare la crisi economica e di sostenere, in ambito europeo, progetti di allargamento ad est incentrati sul supporto al libero commercio e ad una maggiore tutela degli investimenti».

della tradizione orale (tutta al maschile) corsa. Il Festival del Nuovo Anno dei Qiang, che ha luogo il primo giorno del decimo mese lunare nella provincia cinese dello Sichuan, minacciato di estinzione. «In questi ultimi anni, la partecipazione al festival è diminuita per effetto delle immigrazioni, del crescente disinteresse dei giovani per il patrimonio Qiang e per l’impatto di culture esterne; inoltre, il terremoto che ha devastato il Sichuan nel 2008, distruggendo numerosi villaggi Qiang, ha messo gravemente in pericolo il Festival del Nuovo Anno», rileva l’organizzazione dell’Onu. Le altre pratiche che necessitano di salvaguardia sono: Il rito degli Zar di Kalyady (Zar di Natale Bielorussia); La concezione e le pratiche di costruzioni dei ponti cinesi in legno (Cina); le tecniche tessili tradizionali dei Li: filatura, tintura, tessitura e ricamo (Cina); Le tradizioni e pratiche associate ai Kayas nelle foreste sacre dei Mijikenda (Kenya); lo spazio culturale dei Suiti (Lettonia); Il Sanke mon: rito di pesca collettivo nel Sanke (Mali); il Biyelgee mongolo: danza popolare tradizionale mongola (Mongolia); il Tuuli mongolo: epopea mongola (Mongolia); la musica tradizionale per flauto tsuur tsuur (Mongolia) e il canto Ca tru (Vietnam.


cultura

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Maestri. Il Papa Benedetto XVI ha più volte ribadito il bisogno di un nuovo impegno dei cristiani in politica

Don Sturzo e noi Il suo esempio aiuta a capire la crisi del nostro tempo e anche a trovare le risposte necessarie di Rocco Buttiglione segue dalla prima Sorgono, in contrasto con lo stato liberale ed in concorrenza con i socialisti le cooperative e le casse rurali, per finanziare l’attività dei piccoli imprenditori agricoli e artigiani ed aiutarli a riorientarsi nel mondo che cambia rapidamente negli anni in cui si forma un mercato nazionale. È il sostegno alle famiglia e alle imprese familiari, è la animazione morale di un popolo spesso sfiduciato in anni di grandi trasformazioni. I socialisti pensavano che il futuro appartenesse alla grande industria e che piccola impresa, artigiana ed agricola, fossero destinati a scomparire.

grande impresa, i sindacati cattolici per la difesa del lavoro indipendente. Tutto questo lavoro anima la vita di un popolo che si viene aggregando attorno ad una esperienza di fede e di significato della esistenza ed impatta inevitabilmente con la poli-

I cattolici invece puntano tutte le loro energie sul sostegno a questi settori in crisi, ai quali nessuno allora attribuiva un grande futuro, mentre contemporaneamente nascono anche nel mondo della

tica, L’Opera dei Congressi raccoglie in se questa straordinaria operatività sociale, incrementata e guidata dalla enciclica Rerum Novarum di Leone XIII. Il popolo cristiano che così si riaggrega e recupera la fiducia in se stesso arriva inevitabilmente al confine della politica ed è incerto sul modo di superarlo. Alcuni propongono una alleanza con le forze conservatrici contro i socialisti. I cattolici daranno i loro voti a chiunque prometta di salvaguardare alcune architravi morali della società. Ad altri questa soluzione non basta. Essi pensano che la fede viva chieda non solo di difendere alcuni valori irrinunciabili ma anche di riformare profondamente la società.

I valori cristiani non sono solo una sopravvivenza del passato ma la promessa di una società nuova più a misura della persona umana. Qui l’Opera dei Congressi si ferma. Il confine della politica non si può su-

Alcune immagini di don Luigi Sturzo e nella pagina a fianco dall’alto: Salvatore Martinez, monsignor Michele Pennisi, Francesco Alberoni e Andrea Olivero

perare in processione guidati dal vescovo che alza l’ostensorio. È necessaria una vera e propria “transitio in aliud genus” (il passaggio a un diverso modo di essere). È qui che si vede la saggezza e il coraggio di don Sturzo. Egli dice “io faccio un partito”. Non altri, non i vescovi, non la gerarchia. Io, cioè don Luigi Sturzo, insieme con quelli che ci stanno e accettano di condividere con lui questo rischio. È questo il senso del Manifesto ai Liberi e ai Forti. Senza impegnare la responsabilità di altri che di quelli che liberamente questa responsabilità accettano di assumere sul laico terreno della politica. Insieme con i suoi amici Sturzo offre una rappresentanza politica al popolo cristiano. Sarà responsabilità di questo popolo e di ciascuno dei suoi componenti accettare o respingere questa offerta. Inizia così la storia del Partito Popolare e del cattolicesimo politico in Italia.

Oggi noi ci troviamo per molti aspetti a uno snodo analogo nella storia della Chiesa e della Nazione in Italia. Da un lato l’epoca ruiniana della Chiesa italiana ha visto, dopo il crollo della Democrazia cristiana, una grande crescita religiosa e culturale del popolo cristiano, nel volontariato, nell’impegno caritativo e civile. Per un altro aspetto si è approfondita la crisi politica del nostro sistema. Esso ha disperatamente bisogno di essere rinnovato ma non si vede da dove possano venire le energie morali nuove necessarie per salvare il paese se i cristiani continuano rifiutare l’impegno politico.

Occorre, a mio avviso, che qualcuno abbia il coraggio di dire oggi di nuovo quello che allora disse Sturzo. Io faccio un partito per offrire a questo popolo la possibilità di una rappresentanza. Liberamente, laicamente, ma animati da una fede profonda. Bisogna infatti es-


cultura

2 ottobre 2009 • pagina 19

Inizia oggi il convegno internazionale sul pensiero sturziano

«Serve impegnarsi per il bene comune» di Franco Insardà

ROMA. Un convegno internazionale per rilanciare «il “metodo cristiano” che don Luigi Sturzo indicava nelle parole fattive: amicizia, sincerità e collaborazione». Così Salvatore Martinez, presidente di Rinnovamento dello Spirito Santo, illustra la tre giorni siciliana, che inizia oggi, ed è dedicata al sacerdote di Caltagirone nel cinquantesimo anniversario della morte. Un convegno che «non a caso – aggiunge Martinez - mette insieme per la prima volta voci, competenze, istituzioni abitualmente “lontane”. In una fase di forte dibattito intorno a un nuovo rapporto tra società e politica il convegno si pone come incubatore di idee per nuove prassi di intervento nella società e di dialogo tra fede e politica, tra fede ed economia, tra fede e giustizia al di là di precostituite appartenenze ideologiche».

sere credenti per essere credibili. Come si fa infatti a dare fiducia a chi non crede in nulla? Non si può fondare la democrazia sul relativismo. La democrazia di quelli che non credono in nulla rapidamente decade, travolta dalla corruzione e si arrende alla fine alla tirannia. Per salvare la nostra democrazia è necessario un profondo rinnovamento morale.

In questi ultimo mesi il Santo Padre Benedetto XVI torna continuamente su questo tema: c’è bisogno di un nuovo impegno dei cristiani nella città politica per costruire il bene comune. La crisi demografica, la crisi della educazione, la crisi economica e la crisi politica minacciano l’esistenza stessa della nazione. Davanti a questa sfida i cristiani sono chiamati ad un nuova, grande testimonianza Come? Non spetta al Papa dirlo. Guardare all’esempio di Sturzo aiuta a capire la crisi del nostro tempo ed anche

a trovare le risposte necessarie. Guardando a Sturzo non possiamo dimenticare che egli vide giusto, ma fu tuttavia un perdente. Il dramma della azione politica di Sturzo è tutto contenuto nel fatto che egli fu in anticipo sui tempi di maturazione della Chiesa italiana del suo tempo e tuttavia in ritardo sui tempi della crisi politica e morale del paese. Il Partito Popolare non riuscì ad arrestare il degrado della fragile democrazia italiana che, poco dopo la sua fondazione, si arrese al fascismo.

Diverse sono le minacce del tempo nostro e tuttavia è difficile sottrarsi alla sensazione che anche per noi il tempo a disposizione non sia infinito, se vogliamo salvare la democrazia italiana.

L’esempio di don Sturzo, con la scelta di mettere la politica al servizio del bene comune, dovrebbe essere fondate nelal nuova Italia che da più parti si vuole costruire. Eppure monsignor Michele Pennisi, il vescovo di Piazza Armerina che presiede la Commissione storica per la causa di beatificazione del sacerdote di Caltagirone, sottolinea che «non si tratta di ricette per forme concrete di questo impegno da applicare anche oggi». «Il convegno», aggiunge Salvatore Martinez, «sarà un’occasione propizia per rileggere la concezione cristiana della storia attraverso il pensiero e le opere di don Luigi Sturzo. E i suoi sguardi e gesti di carità testimoniano ancora l’attualità del metodo cristiano e l’attuabilità degli ideali permeati dei valori dello Spirito. Noi non vediamo altra via da seguire, nella stagione in cui diaspora e crisi non sembrano trovare soluzione». E il segreto è semplice, «stare insieme, dialogare con un grado di sincerità relazionale e di obbedienza all’amore del prossimo, che non può più ammettere egoismi generazionali. In Sturzo “protesta” contro i mali e “proposta” a favore del bene comune non furono mai disgiunti: oggi come allora, servono profezia e opere. E servono uomini disposti a impegnare la propria vita e le migliori risorse di cui il nostro tempo dispone per un servizio alla nostra gente che generi umanità vera e liberante dal male». Gaspare Sturzo, ex magistrato della procura distrettuale antimafia di Palermo, esperto giuridico presso la Presidenza del Consiglio, componente del Centro Internazionale studi Luigi Sturzo e autore del libro “Mafia e questione meridionale nelle analisi di Luigi Sturzo” nel tratteggiare la concezione cristiana della giustizia nel pensiero dello zio, dice: «Per lui nel fondo della coscienza civile c’è sempre il senso del diritto che non può essere

impunemente violato; ci sono antiche tradizioni di libertà, diremmo oggi buone prassi, che non possono mai perdersi neppure di fronte alle nuove esigenze della storia e della evoluzione dello Stato». E aggiunge: «C’è una civiltà che si basa su un pensiero etico e religioso che impone il rispetto della personalità umana e la giustizia come piattaforma di ogni sistema giuridico e politico».

Uno dei capisaldi del pensiero poliedrico di don Sturzo è la ricerca di una sintesi tra etica ed economia. Come ricorda monsignor Pennisi, «Sturzo voleva che la politica governasse l’economia, facendole recuperare i principi che le sono necessari, senza però che i loro ruoli arrivassero a confondersi: lo Stato faccia lo Stato, il mercato faccia il mercato». Sull’attualità del pensiero sturziano concorda il presidente delle Acli, Andrea Olivero. «Leggendo alcuni scritti», racconta, «mi sono sono reso conto di come la dottrina sociale della Chiesa cammini attraverso il popolo cristiano. Molte riflessioni di don Sturzo sono alla base delle elaborazioni più recenti, su tutte l’enciclica di Benedetto XVI Caritas in veritate». Innanzitutto l’economia al servizio dell’uomo, «con al centro l’elemento etico, senza demonizzare quello economico. L’appello a umanizzare l’economia dell’enciclica del Papa è presente nell’insegnamento sturziano». La costituzione dell’agenzia nazionale Reinserimento e lavoro per ex detenuti e per la creazione di nuovi insediamenti nel polo Mario e Luigi Sturzo di Caltagirone, in collaborazione con la Fondazione “Istituto di promozione umana Monsignor Francesco Di Vincenzo”, è per Olivero «una testimonianza reale dello spirito sturziano che ha un valore molto importante. L’impegno a favore degli ultimi, dei carcerati, è un tema che noi cristiani dobbiamo riprendere con forza. Anche perché come organizzazioni sociali crediamo che la famiglia sia il grande soggetto educativo della società». Anche Massimo Ferlini, vicepresidente della Compagnie delle Opere, conferma la consonanza tra il messaggio di don Sturzo e i passi principali dell’enciclica di Benedetto XVI: «È il mettere l’etica al centro dell’economia e non come aggiunta. Oltre al concetto di sussidiarietà, che è il modo che permette di saldare libertà e responsabilità. In economia le due cose o stanno assieme o creano disastri». Il professor Francesco Alberoni ritiene però che questo convegno «abbia un significato politico anche di orientamento: si va nel passato per trovare le radici di un rinnovamento. La mia analisi è tesa a capire che cosa avviene nelle fasi che procedono i movimenti e la preparazione al nuovo».

Martinez: «Sarà un’occasione propizia per rileggere la concezione cristiana della storia attraverso il suo esempio»


cultura

pagina 20 • 2 ottobre 2009

veniva dalla denuncia che vi era espressa a tutte lettere dell’operato della Fiat, padrona e sfruttatrice degli immigrati a più livelli, anche illegali». Lo stop dell’Einaudi è tanto più clamoroso quando si scopre che in favore della bocciatura si sono schierate personalità di rilievo tra cui Noberto Bobbio, Italo Calvino e Franco Venturi, nel cui studio - ricorda sempre Fofi nell’introduzione - «avevo scritto materialmente il libro». In effetti, il saggio del critico è una puntuale e precisa indagine che ha il merito di svelare per la prima volta gli ingranaggi di un meccanismo su cui fino ad allora si era poco indagato, a cominciare dai livelli di governo più radicati nel territorio: «L’amministrazione comunale può vantare infatti tra i risultati della sua inattività un piano regolatore, fatto, in gran parte, in funzione degli interessi della Fiat e che lascia larghi margini alla speculazione privata». Quella della azienda automobilistica è un vero e proprio monopolio che «ha costruito una sua catena d’influenza economica e politica, esercitata attraverso il controllo diretto o indiretto della vita pubblica». Un sistema-fortino che gode anche di «uno strumento formidabile di formazione e controllo dell’opinione pubblica, “La Stampa”. Il giornale della Fiat ha infatti un’influenza determinante nella vita e nelle opinioni dei torinesi».

immigrazione meridionale a Torino di Goffredo Fofi è un saggio che ha poco più di quarant’anni. È uscito per la prima volta per i tipi di Feltrinelli nel 1964 e tratta di un tema che sembra ormai superato. Come lo definisce il suo autore con una buona dose di understatement, è «una vecchia inchiesta dei primi anni Sessanta del secolo scorso». Sembrerebbe dunque relegato alla status di un libro cult che ha segnato un’epoca, preda golosa di un gruppo di nostalgici. Sembrerebbe appunto, ma non è così. Sono infatti almeno due le ragioni della ristampa del libro, ora riproposto da Nino Aragno editore (pp.337, euro 20), che già da sole la motiverebbero.

L’

Una è di carattere strettamente sociale; l’altra, per così dire, è più genericamente culturale. Partiamo da quest’ultima. Quando l’inchiesta

va in stampa, Goffredo Fofi ha poco più di venticinque anni. Come ricorda nella prefazione alla ristampa del saggio, dal 1956 il critico italiano si era unito «al gruppo raccolto intorno a Danilo Dolci in Sicilia, a Trappeto e a Partinico» e aveva frequentato «“le mie università”, lavorando con i bambini del poverissimo Cortile Cascino di Palermo». Era stata poi la volta di Roma e, quindi, di Torino perché, «come diceva Raniero Panzieri e a me e ai giovani torinesi che avevano lavorato con Dolci in Sicilia… le novità sul piano politico e sociale sarebbero venute di nuovo a Torino, e non dal sud, dove masse ingenti di contadini lasciavano le loro ingrate terre per cercare lavoro e sicurezza nel “triangolo industriale”». Fofi afferra il suggerimento al volo. Raccoglie la sfida di Panzieri e si mette al lavoro sull’inchiesta. L’indagine procede veloce e - sempre grazie al contributo del fondatore dei Quader-

Libri. Torna la storica inchiesta sull’immigrazione di Goffredo Fofi

Una Torino proibita 35 anni dopo di Filippo Maria Battaglia ni rossi - è persino retribuita con un piccolo assegno dell’editore Einaudi. Da subito, lo Struzzo si mostra assai interessato all’idea. Tutto fila liscia fino a quando dal capoluogo piemontese arriva inaspettata una lettera di Luca Baranelli, redattore einaudiano e sodale del giovane autore che «mi fece sapere che qualcuno aveva letto l’inchiesta, pronta per la stampa, trovando che non andava bene. Mi si chiesero interventi e tagli, alcuni dei quali accettai,

Il lavoro ebbe prima il favore e poi il rifiuto dell’Einaudi: vi era denunciato «l’operato della Fiat, sfruttatrice e padrona degli immigrati» In alto a sinistra, lo scrittore Goffredo Fofi. Sopra, un disegno di Michelangelo Pace

ma bastai e si disse che l’inchiesta non era sociologicamente valida, che non era abbastanza “scientifica”, come se non avessero sempre saputo che non ero un sociologo ma, semplicemente, un inchiestatore onesto e pignolo».

Le ragioni del diniego faticano ad emergere fino a quando «Massimo Mila, lode alla sua memoria, osò dire quello che tutti pensavano e non volevano dire: che l’ostilità al mio lavoro

Il rifiuto einaudiano la dice lunga sui pericoli di conformismo che si possono annidare persino nelle attività di una delle più attive case editrici italiane del dopoguerra. Eppure, sarebbe assai riduttivo immaginare che il saggio di Fofi abbia un suo interesse e una sua attualità solo per questo incidente. Le poco più di trecento pagine dell’inchiesta torinese, infatti, non sono solo un dettagliatissimo spaccato di una delle realtà italiane più significative dell’ultimo mezzo secolo, corredato da interviste, dati e approfondimenti mirati. Costituiscono una miniera di spunti ancora oggi utili ad affrontare il problema sud fuori dai soliti schemi. Un esempio, fra i tanti: «Nella ripresa dello sviluppo economico del dopoguerra si sono avuti squilibri regionali sempre crescenti le cui origini vanno ricercate in una politica meridionalista di presa insicura e il più delle volte confusa, demagogica, limitata da quel cumulo di contraddizioni e insufficienze politiche che, con i vari governi succedutesi, hanno prodotto una serie di interventi sfocati, spesso con una chiara base di mancanza di volontà nel risolvere i problemi di fondo». Superfluo, ogni commento sull’attualità di simili constatazioni.


cultura

2 ottobre 2009 • pagina 21

Tra gli scaffali. In “Memorie di un cartografo veneziano” di Francesco Ongari, le gesta dell’esploratore Sebastiano Caboto

Viaggio al centro degli oceani di Massimo Tosti ze nell’epoca in cui visse Caboto. Un’epoca intrisa di una robusta (e proficua) sete di conoscere, ma attraversata anche da superstizioni, pregiudizi e credenze che oggi fanno sorridere.

ell’arco di mezzo secolo, anno più anno meno, il mondo cambiò completamente fisionomia, agli occhi dei suoi abitanti. Ne 1492 Cristoforo Colombo - dopo due mesi di navigazione nell’Oceano - approdò nel Nuovo Mondo, convinto che si trattasse del Cipango, o del Catai (del Giappone o dell’India). Prima della metà del Cinquecento, Gerardus Mercator disegnò le sue prime mappe, che comprendevano le Americhe, ormai già in via di colonizzazione. In quei cinquant’anni molti uomini persero la vita «per seguir virtute e canoscenza» (come recita Ulisse nei versi della Divina Commedia di Dante Alighieri), sfidando l’ignoto. Non erano, tuttavia, degli avventurieri (o, almeno, non lo erano tutti). Erano autentici interpreti del Rinascimento: allargavano i confini del mondo con le loro imprese, ma offrivano ai contemporanei e ai posteri i risultati delle loro esperienze.

N

Un caso esemplare fu quello di Sebastiano Caboto, figlio di Giovanni Caboto, esploratore degli oceani negli anni in cui Colombo raggiungeva le Indie, inghiottito dal mare in uno dei suoi viaggi alla ricerca del “passaggio a nord” dopo aver raggiunto le coste del Canada. Sebastiano non rinunciò alle spedizioni, ma contemporaneamente - annotando con rigore scientifico le rotte seguite e le terre esplorate - disegnò le carte geografiche che avrebbero agevolato gli altri marinai. Sperimentava di persona e descriveva le sue scoperte, con un metodo scientifico che può essere paragonato a quello dettato nel secolo successivo da Galileo Galilei. Non era un topo di biblioteca e non era neppure un mercante alla ricerca di facili guadagni. Era un uomo moderno. Che combatteva, soffriva, non si tirava indietro di fronte agli ostacoli, per quanto potessero apparire insormontabili. Un uomo che meritava di essere raccontato, scavando anche nei suoi pensieri, nelle passioni, nei dubbi morali ed esistenziali (materie che sfuggono agli storici, che non possono affidarsi alle supposizioni o alle ipotesi). Da alcuni anni gli scaffali delle librerie “s’impienano” (sono zeppi, per dirla in linguaggio corrente) di biografie di uomini illustri e di romanzi storici che ne raccontano le gesta. In qualche caso i romanzi deragliano verso l’invenzione pura e sem-

Come, per esempio, la teoria degli undici cieli, «dieci mobili e uno immobile, al centro dei quali si trova la Terra». Sono «sfere trasprenti che con il loro movimento di rotazione portano in giro i corpi celesti. Nei primi sette cieli si dispongono la Luna, Mercurio, Venere, il Sole, Marte, Giove e Saturno. L’ottavo cielo è il firmamento delle stelle fisse, che non si muovono per proprio conto come i pianeti, ma tutte assieme, senza mai dar mutamento alle distanze che le separano. Il nono cielo è il cristallino o cielo d’acqua e prende il nome di Secondo Mobile. Il decimo cielo è il Primo Mobile e in ventiquattr’ore dà la volta all’intorno del mondo da Levante a Ponente, strascinando con sé tutti gli altri cieli». L’undicesimo, infine,

Annotando con rigore scientifico le rotte seguite, disegnò le carte geografiche che avrebbero agevolato gli altri marinai. Il suo metodo può essere paragonato a quello dettato nel secolo successivo da Galileo Galilei plice di narratori disinvolti (e questo, purtroppo, capita talvolta anche con le biografie “rigorosamente” storiche). In altri casi, viceversa, si rivelano un eccellente strumento divulgativo su personaggi che meritano di essere conosciuti, più di quanto consentito dalla documentazione disponibile. Gli autori, cioè, rispettano tutto quel che è certo, e riempiono i vuoti con la propria immaginazione, ma badando a non tradire il personaggio che hanno scelto di narrare.

Questo è il procedimento seguito da Francesco Ongaro (fisico di professione, scrittore per vocazione) che ha dedicato un romanzo a Caboto: Memorie di un cartografo veneziano sottotitolo: “Un uomo, il mare e un mondo sa scoprire”; Corbaccio editore, 340 pagine, 18,60 euro). Ongaro racconta Sebastiano in prima persona, con un linguaggio originale e carico di arcaismi (come il verbo “impienare”, e molti sostantivi che odorano di tempi antichi: esploramento, trascuranza, addestrazione, navigamento, stupefazione), mai leziosi, sempre in sintonia stilistica con il testo. Con un rispetto assoluto (e scientifico) della verità storica e dello stato delle conoscen-

In alto a sinistra, l’esploratore Sebastiano Caboto. Sopra, la copertina del libro di Francesco Ongaro “Memorie di un cartografo veneziano”

quello immobile «è l’Empireo, la dimora di Dio, degli angeli e dei santi, che racchiude al proprio interno tutti gli altri». Può apparire incredibile che gli stessi uomini che sapevano usare con grande maestria l’astrolabio e altri strumenti complessi, che sapevano fare il punto della nave con grande precisione, potessero credere contemporaneamente a una cosmogonia così primitiva - e confondere l’astrologia con l’astronomia, e pensare che gli oceani fossero popolati di mostri, e che spingendosi oltre il limite si potesse precipitare fuori dalla Terra, immaginata ancora da qualcuno come un disco, e non una sfera. Ma il Rinascimento fu anche questo: le nuove conoscenze si sovrapponevano a quelle passate, ma senza cancellarle. In una sua riflessione, ripensando ai primi viaggi compiuti insieme al padre, Sebastiano dice: «Vien quasi da sorridere di compatimento nel metter paragono tra quanto poco si conoscesse allora di tal genere di navigamenti e quanto adesso sia normale disporre vela in acque tanto perigliose. Paiono trascorsi evi interi, invece per tanto avanzamento sono andati consumati solo poco più di quarant’anni».

Nel romanzo si incontrano come è naturale che sia - molti personaggi passati alla storia: da Alvise Cadamosto, ad Antonio Pigafetta, da Amerigo Vespucci a Cristoforo Soligo. Ma soprattutto - si incontra lo spirito di quel tempo, quando i cartografi - sulla base degli appunti presi in viaggio (fra una tempesta e l’altra, una battaglia con gli indigeni, la scoperta di un nuovo continente - disegnavano la Mappa Mundi. E i migliori fra i navigatori, terminato un viaggio (che durava spesso molti anni, e dal quale rientravano in pochissimi fra i tanti che erano salpati), ne progettavano subito un altro: spinti non più dalla brama di ricchezza e dai sogni di gloria, ma da una ragione “bastevole”: l’orgoglio. «Quando il corso della vita declina, l’orgoglio ti fa mettere faccia contro al vento e ti dà la saldezza per resistere alle sue sferzate. L’orgoglio di esserci, di far mostra a te e alla restanza del mondo che non sei finito, che ancora vali». Fino a quando - sull’orlo della morte - il bilancio è ancor più crudo: «Della restanza non ci appartiene nulla. La gloria del mondo è un fuoco che dà luce, ma non scalda».


opinioni commenti lettere proteste giudizi proposte suggerimenti blog L’OCCHIO DEL MONDO - Le opinioni della stampa internazionale a cura di Pierre Chiartano

da ”South China Morning Post” del 01/10/2009

Cina, avanti mezza ontinua la ripresa del settore manifatturiero cinese anche in settembre. E non aumentano solo gli ordini alle imprese, ma anche la produzione e i posti di lavoro. Lo ha reso noto un’indagine della federazione cinese dei buyer. Nel mese di agosto, il Purchasing manager index – che segnala gli acquisti, non al dettaglio, ma all’ingrosso – è cresciuto dello 0,3 percento, passando al 54,3. È stato il dato più forte degli ultimi 17 mesi ed è il settimo mese che l’indice si trova al di sopra della quota 50.

C

Un limite che indica l’espansione nel settore manifatturiero, mentre al di sotto di quella cifra, ci troviamo nel campo della contrazione di mercato. Gli ordini dall’estero stanno crescendo costantemente, raggiungendo il massimo degli ultimi 16 mesi, dinamica positiva seguita anche dai dati dell’impiego, che avrebbe raggiunto il secondo valore mai registrato. «Sono condizioni che dimostrano che l’economia cinese sta continuando il suo percorso d’uscita dalla crisi, con un lieve recupero sui dati di occupazione e produzione di reddito, a un passo che è sostenibile» ha affermato Zhang Liqun, un ricercatore presso il Consiglio di Stato per lo sviluppo, che ha commentato di dati del Pmi in crescita. Aggiungendo che «l’economia, in generale, dovrebbe continuare a mantenere la tendenza alla crescita». L’indagine è stata condotta per conto dell’Ufficio centrale di statistica di Pechino. Indicazioni in linea con i rilievi già resi pubblici in precedenza che, dal mese di giugno, lanciano segnali per una ripresa non episodica. Il timore era che fossero segnali legati alle misure anticrisi messe in campo dal governo cinese e non ancora dei cambiamenti

di carattere strutturale. L’indice Pmi viene redatto anche dalla HSbc (Hong Kong e Shangai bank corporation) e per settembre registrava 55, appena meno del 55,1 di agosto, ma sempre abbondantemente nel campo positivo della crescita. Entrambe le indagini hanno rilevato un aumento dell’occupazione. Un fattore necessario per rendere duratura la ripresa economica. Specialmente dopo che, nella prima parte dell’anno, il governo aveva immesso nel sistema una quantità enorme di liquidità, un’azione sostenuta anche da una politica monetaria ultra-espansiva. Nel secondo trimestre la crescita ha raggiunto il 7.9 per cento, su base annua, e i dati di agosto hanno suggerito che il segnale non fosse contingente. Ma le fonti governative, cautamente, avevano sempre sostenuto che il fenomeno della ripresa non fosse ancora abbastanza solido.

«Riteniamo invece che i dati di settembre suggeriscano che la ripresa a “V” nel settore manifatturiero possa continuare» ha affermato Mingchun Sun della sede di Hong Kong di Nomura (uno dei giganti bancari nipponici, ndr) in un report ai clienti dell’istituto. «Reputiamo che ci siano aspettative per una ripresa a “V” della crescita del pil per quest’anno, che potrebbe raggiungere l’8,5 a fine dicembre e il 10,5 l’anno seguente». Per No-

mura i dati dell’’indice Pmi potrebbero lasciar sperare che la crescita della produzione industriale superi il 14 per cento a settembre, rispetto al 12,3 di agosto. Nonostante la notevole spinta espansiva, le tendenze inflazionistiche si sarebbero attenuate. L’indice dei prezzi all’ingrosso sarebbe caduto da 62, 6 di agosto a 57,5 di settembre. Un dato grosso modo condiviso anche dall’economia statunitense ed europea.

Nonostante i numeri positivi, la voce di Pechino, Zhang, misura molto l’entusiasmo, convinto che l’economia, oggi, faccia ancora affidamento sull’intervento governativo. E che le imprese private, i consumatori e il mercato non abbiano ancora cominciato a giocare il proprio ruolo. «Ecco perché la politica macroeconomica deve continuare a svolgere la funzione di sostegno alla crescita, alla ristrutturazione dell’economia e a profondere ancora di più l’impegno nelle riforme».

L’IMMAGINE

Ru486: l’arroganza della politica, le vere ragioni dell’indagine Sono finalmente emerse le ragioni e gli obbiettivi dell’indagine conoscitiva sulla Ru486, fino ad oggi formalmente negate: condizionare, bloccare una decisione dovuta di un organo tecnico, l’Aifa, in base all’appartenenza all’Unione europea (procedura di mutuo riconoscimento). La decisione del Cda dell’Aifa di rimandare ulteriormente la pubblicazione della delibera è la risposta alla “richiesta”pervenuta dal presidente della Commissione Sanità di aspettare le valutazioni della indagine conoscitiva e di tenerle nella «massima considerazione». Un atto illegittimo sia formalmente (non rientra tra i compiti delle indagini conoscitive dettare atti di indirizzo ad organi tecnici) che politicamente. La maggioranza e il governo, dettando la linea politica ai tecnici, si trasformano in organismo inquisitore che trasforma la ragion politica in verità scientifica, teologica. Oggigiorno, se la scienza nega ciò che il potere sostiene sia la verità, ci si adopera perché la scienza riveda la sua posizione.

Lettera firmata

D’ADDARIO PAGATA PER “ANNO ZERO”? E CON QUALI FONDI?

MALATTIE REUMATICHE CRONICHE ED AUTOIMMUNI

La prevista partecipazione della escort Patrizia D’Addario ad Annozero è condizionata dal pagamento da parte della Rai o di qualsiasi sua consociata o controllata di un cachet, rimborso o qualsivoglia contropartita in denaro? In caso affermativo, a quanto ammonta questo esborso per il servizio pubblico, se risulta regolarmente autorizzato dal direttore di rete o se sia, invece, nelle disponibilità della struttura del programma. Con quali modalità il corrispettivo sia stato liquidato e a fronte di quale documento contabile o fiscale fa sottintendere velatamente la difficoltà per una “escort” di giustificare eventualmente di fronte al fisco il suo reddito?

In Italia le malattie reumatiche colpiscono più di cinque milioni di persone, quasi un decimo della popolazione. Sono malattie invisibili, silenziose, e per questo non hanno grande attenzione, ma creano grosse sofferenze nei pazienti e nelle loro famiglie, a cui bisogna destinare più cure, più attenzione, più risorse. Queste malattie causano dolore e stanchezza, implicano il ricorso a frequenti spese per farmaci e visite. Bisogna quindi riconosce a tali patologie e alla organizzazione del servizio di previdenza e assistenza.

Sarah Ostinelli

D. S.

TREMONTI E LE BANCHE Il confronto tra Tremonti e le banche è un passo assai delicato del-

Ma dove sono finita? Non è un fotomontaggio. Questa capretta si è davvero arrampicata fin lassù a causa della sua golosità. La pianta dell’argan infatti, dà frutti di cui le capre vanno matte e sono capaci di arrampicarsi fino a 10 metri di altezza per soddisfare la gola. Per cui, per quanto sembrino strane, scene di questo tipo sono in realtà molto comuni in Marocco, dove cresce la pianta

l’attuale legislatura, al punto da mettere in crisi il sistema se trattato senza il necessario sostegno di tutto l’arco politico. È stato detto che per uscire dalla crisi senza idee rivoluzionarie, occorre il sostegno deciso alle imprese, soprattutto le medio-piccole. È il metodo stesso, infatti, adoperato

dagli istituti finanziari per sfruttare le possibilità della globalizzazione, che ha permesso di creare strutture bancarie allargate per superare le stesse difficoltà; ma ciò non significa poi cambiare velocità di marcia. Lo stesso Tremonti ha sempre espresso perplessità sui limiti della globalizza-

zione, che dando certe sicurezze svincola dalle necessità espresse dallo Stato e dalle sue legiferazioni. Ma è anche vero, che andare oltre in questa contesa significa esporsi, e non è giusto che un ministro delle Finanze lo debba fare quasi da solo.

BR


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dai circoli liberal

LETTERA DALLA STORIA

Vorrei fare qualcosa per farti sorridere Cara Tania, ho ricevuto sia la tua lettera che quella di Giulia. Non avevo più ricevuto lettere ed ero in grande pena, tanto che ho fatto qualcosa che a te sembrerà una sciocchezza: te la dirò quando verrai a colloquio. Mi dispiace che tu ti senta moralmente stanca. Mi dispiace tanto più, perché sono persuaso di aver contribuito a deprimerti. Ho sempre un gran timore che tu stia peggio di quanto mi scrivi e che ti possa trovare in qualche imbarazzo. Per causa mia. È questo uno stato d’animo che niente può distruggere. È radicato in me. Sai che nel passato ho sempre fatto una vita da orso nella caverna proprio per questo stato d’animo: perché non volevo che nessuno fosse legato alle mie traversie. Ho cercato di farmi dimenticare anche dalla mia famiglia, scrivendo a casa il meno possibile. Basta! Vorrei fare qualcosa per farti sorridere almeno. Ti racconterò la storia dei miei passerotti. Ho un passerotto e ne ho avuto un altro che è morto. Il primo passerotto era molto più simpatico dell’attuale. Era fiero e vivace. L’attuale è modestissimo e di animo servile. Il primo divenne subito padrone della cella. Credo che avesse uno spirito goethiano. Conquistava tutte le cime della cella e si assideva ad assaporarne la sublime pace. Antonio Gramsci a Tania

ACCADDE OGGI

SANTORO IN MUTANDE Santoro invita la D’Addario per parlare di “donne e politica”. Si indigna il centrodestra? No: prevale la rassegnazione. Inviperite sono invece, in Parlamento, le rappresentanti in rosa della sinistra. La considerano una provocazione contro tutto quello per cui si battono e si sono battute.Vuoi vedere che, a forza di strappi, Santoro rimarrà in mutande.

Gianfranco Polillo

SI SOSPENDA LA VENDITA DEL MEROPUR Alcuni farmaci di derivazione umana presentano il rischio di contrarre patologie virali come il morbo di Creutzfeldt-Jacob (variante umana della mucca pazza) e i consumatori è bene che ne siano informati. In caso contrario occorre sospenderli dalla vendita. Tali carenze di informazione sono state rilevate sulle avvertenze del farmaco Meropur della Ferring, una specialità farmaceutica usata nei trattamenti di fecondazione assistita, a base di gonadotropina corionica ottenuta da urine umane. Già alcune associazioni si erano rivolte al ministro della Salute e all’Agenzia italiana del Farmaco, chiedendo la doverosa completezza d’informazione nelle avvertenze di questo farmaco. Il dr. Martini dell’Aifa specificò di aver fatto quanto possibile per il completamento delle informazioni ma, trattandosi di un medicinale ammesso in Italia attraverso una procedura di mutuo riconoscimento con la Danimarca, Paese

e di cronach di Ferdinando Adornato

Direttore Editoriale Ferdinando Adornato Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Francesco D’Onofrio, Gennaro Malgieri, Bruno Tabacci

Ufficio centrale Gloria Piccioni (direttore responsabile) Andrea Mancia, Errico Novi (vicedirettori) Nicola Fano (caporedattore esecutivo) Antonella Giuli (vicecaporedattore) Franco Insardà, Luisa Arezzo, Stefano Zaccagnini (grafica)

2 ottobre 1889 A Washington, si apre la prima conferenza degli Stati americani 1919 Il presidente Wilson viene colpito da un attacco cardiaco che lo lascia parzialmente paralizzato 1924 Il Protocollo di Ginevra viene adottato come metodo per rafforzare la Società delle Nazioni 1925 William Taynton è il primo uomo a comparire in televisione 1928 San Josemaría Escrivá fonda l’Opus Dei 1935 L’Italia invade l’Abissinia: inizia la guerra d’Etiopia 1944 Olocausto: le truppe naziste pongono fine alla rivolta di Varsavia 1950 La striscia Peanuts di Charles M. Schulz viene pubblicata per la prima volta, su sette quotidiani statunitensi 1955 Il computer Eniac viene disattivato 1958 La Guinea dichiara l’indipendenza dalla Francia 1968 Una dimostrazione studentesca a Città del Messico finisce nel Massacro di Tlatelolco

Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Francesco Capozza, Giancristiano Desiderio, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria)

produttore, non si possono operare modifiche in maniera autonoma. Il ministero, per voce del sottosegretario Fazio, rispondeva allo stesso modo, adducendo che, per normativa europea, ogni variazione sui relativi stampati deve essere decisa in Danimarca. La cosa non cambia il problema e il rischio per chi assume il Meropur di contrarre malattie virali da questo farmaco è oggi confermato e risulta più grave, visti i risultati di due recenti studi pubblicati su due riviste scientifiche specializzate, che rilevano la presenza, nel Meropur e in altri farmaci di derivazione da gonadotropine umane, di prioni (agenti infettivi) fino a un totale di 39 diversi elementi impuri. Rischio che continua a non essere segnalato, in contravvenzione delle leggi italiane ed europee.

Lettera firmata

POSITIVA L’INIZIATIVA PER RIAGGREGARE I MODERATI LUCANI Cari amici, sono convinto che il dibattito sollecitato in Basilicata dagli amici dei Circoli Liberal, e svoltosi a Sasso di Castalda ha consentito ai tanti moderati lucani di offrire un importante contributo, in termini di idee e proposte, agli Stati Generali del Centro. Il percorso intrapreso con la Costituente di Centro non si caratterizza, infatti, come semplice confronto tra classi dirigenti finalizzato alla costituzione di un nuovo partito, ma si propone di dare avvio ad un partecipato dibattito che, scevro da pregiudizi ideologici, partendo da valori condivisi e da una comune visione di società, sappia indicare una nuova via alla crescita e allo sviluppo del nostro Paese. Il sistema Italia necessita, infatti, di grandi riforme finalizzate ad una profonda opera di modernizzazione economica, sociale, istituzionale, andando a riscoprire il senso di concetti basilari per un Paese maturo, quali il merito, la responsabilità, il giusto rapporto tra diritti e doveri, il senso dello Stato e della giustizia, la solidarietà per i più deboli. Avendo anche il coraggio di affrontare la questione etico-morale, per proporre con determinazione un modello di società che non ceda al secolarismo, alla cultura materialista ed edonistica, all’individualismo esasperato. Perché ciò avvenga non sarà sufficiente una semplice operazione di facciata, ma servirà il coraggio di innovare e rinnovare profondamente la politica, nei contenuti, nelle formule organizzative, e anche negli uomini. E in quest’ottica sarà fondamentale il contributo delle giovani generazioni, per dare effettivamente vita ad una «nuova generazione di cristiani impegnati in politica» che abbia come caratteristica il “rigore morale e la competenza”, come richiamato da Papa Benedetto XVI. Mario Angiolillo P R E S I D E N T E NA Z I O N A L E LI B E R A L GI O V A N I

MARKETING TELEFONICO MOLESTO Da anni, un marketing telefonico molesto, insistente e scorretto importuna gli utenti. Non vengono risparmiati neppure gli abbonati che hanno scritto al loro gestore di rifiutare tali telefonate di promozione vendite e che compaiono in elenco senza l’icona di accettazione (cornetta, ricevitore). Il marketing telefonico persevera sfacciato e imperterrito. Chi di dovere intervenga seriamente e severamente – anche con sanzioni – per far cessare tale martellante pubblicità (non solo di società telefoniche), che viola la privacy e la serenità, anche nelle abitazioni.

APPUNTAMENTI OTTOBRE 2009 VENERDÌ 9, ORE 16, MUSEO CITTÀ DI BETTONA Omaggio a Renzo Foa. VENERDÌ 16, ORE 15, TORINO PALAZZO DI CITTÀ - SALA DELLE COLONNE “Verso la Costituente di Centro per l’Italia di domani”. Intervengono: Ferdinando Adornato, coordinamento nazionale Unione di Centro, e Gianni Maria Ferraris, consigliere comunale e coordinatore regionale Circoli liberal. VINCENZO INVERSO, SEGRETARIO ORGANIZZATIVO NAZIONALE CIRCOLI LIBERAL

Gianfranco Nìbale

Aldo Forbice, Antonio Funiciello, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Aldo G. Ricci, Giorgio Israel, Robert Kagan,

Supplemento MOBYDICK (Gloria Piccioni)

Filippo La Porta, Maria Maggiore,

Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Baiocchi, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Angelo Crespi, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei, Alex Di Gregorio

Andrea Margelletti, Adriano Mazzoletti,

Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Gabriella Mecucci, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Ernst Nolte, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo,

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PAGINAVENTIQUATTRO Memoria. Gli ungheresi non hanno distrutto le statue del regime caduto vent’anni fa: le hanno messe in museo

Nel parco c’è il fantasma del di Enrico Singer ll’ingresso ti accoglie il fantasma di Stalin. Due giganteschi stivali: tutto quello che resta di una statua che era alta otto metri e che dominava il palco delle parate in piazza Felvonulási. Il colosso di bronzo era stato abbattuto e distrutto dalla folla il 23 ottobre 1956. Quando, ai primi di novembre, i carri armati russi soffocarono la rivolta di Budapest quegli stivali finirono in un magazzino perché, dopo il XX congresso del Pcus, era già cominciata la destalinizzazione e nemmeno a Mosca c’era più qualcuno che avesse voglia di ricostruire il monumento al “piccolo padre” del comunismo sovietico. Adesso sono lì, di fronte all’arco che immette in un parco pressoché unico: il Memento Park. Nel resto dell’Europa orientale, le centinaia di statue di Lenin, di Marx e di Engels, come quelle – immancabili – dedicate al soldato liberatore dell’Armata Rossa, o all’amicizia tra i popoli dell’Urss e dei Paesi satelliti, sono letteralmente sparite. Fuse o finite in qualche collezione privata. In Ungheria, invece, dopo tante discussioni, le hanno smontate dai loro piedistalli - che sorgevano nei punti più visibili e strategici della capitale - e le hanno raccolte in un’area verde di un distretto un po’ periferico della città - sull’altipiano di Téténi, oltre la collina di Buda - che è rapidamente diventato una meta turistica sempre più frequentata.

A

COMUNISMO mocrazia può riflettere sulla dittatura», dice Eleöd Ákos. «Se lo avessi realizzato con mano più pesante, se avessi costruito un parco contro-propagandistico con queste statue propagandistiche, non avrei fatto altro che seguire la ricetta della dittaturta».

Così le statue sono sistemate lungo i viali spogli di una specie di cittadella chiusa da mura di mattoni che simboleggiano l’oppressione del regime che ha dominato l’Ungheria dalla fine del seconda guerra mondiale e dalla spartizione di Yalta fino a vent’anni fa: fino al 23 ottobre del 1989, giorno della recuperata e definitiva indipendenza dall’impero comunista già in disfacimento. La più grande delle statue è quella del soldato dell’Armata Rossa, con il Kalashnikov a tracolla e la bandiera in mano. È alta sei metri e sorgeva nel punto più elevato di Budapest, in modo che tutti potessero vederla da qualsiasi parte della città, inserita nel complesso del momumento alla vittoria sul nazismo. Al centro del parco è stata anche ricostruita la rotonda con il prato e la stella rossa a cinque punte che si trovava all’imboccatura del Ponte delle Catene, il più bello di quelli che attraversano il Danubio e che unisce quelle che una volta erano due città: Buda e Pest..

Dagli stivali del colossale monumento a Stalin, abbattuto nel ’56, alle figure in stile cubista di Marx ed Engels, a Lenin, al soldato dell’Armata Rossa. A Budapest una galleria di 42 simboli sovietici. Per non dimenticare Soltanto in Lituania c’è qualcosa di simile. Ma il Mondo di Stalin, come si chiama il parco costruito a Grutas, nel Sud del Paese, da Viliumas Malinauskas, un miliardario lituano, magnate della coltivazione dei funghi ed ex campione di wrestling, è più un’attrazione in stile Disneyland-political-horror che un’operazione storico-culturale come quella nata dal progetto dell’architetto Eleöd Ákos e realizzata per volontà della nuova amministrazione pubblica che ha, addirittura, organizzato una specie di referendum tra i cittadini per sapere quali statue volevano salvare al loro posto originale e quali, invece, dovevano finire in questo particolare “parco delle rimembranze”. «Il mio è un parco che parla della dittatura. Ma, poiché è stato possibile costruirlo, vuol dire che parla anche della democrazia, perché soltanto la de-

Marx ed Engels, fondatori dell’ideologia comunista, sono ancora uno a fianco all’altro in una interpretazione scultorea cubista che è unica nel suo genere e si discosta nettamente dal classico stile del realismo socialista che trionfa nelle altre statue. Le enormi figure di Karl Marx e di Friedrich Engels sono opera dello scultore ungherese Gyorgy Segesdi che le ha realizzate in granito nel 1971. Per la verità, lo scultore avrebbe voluto usare delle lastre d’acciaio, ma l’idea sembrò troppo radicale e così Segesdi ripiegò su un

materiale più classico. Il gruppo marmoreo era sistemato di fronte all’ingresso della sede del partito comunista, in piazza Jászai Mari. Adesso è vicina al bronzo che raffigura Lenin che indica il radioso futuro comunista con il braccio destro teso e la mano aperta. La statua si trovava all’ingresso delle acciaierie Csepel, il più grande complesso industriale di Budapest.

Nel Memento Park le statue sono complessivamente 42 e descriverle tutte è impossibile. Ma nel memoriale non ci sono soltanto i monumenti del regime. C’è anche una sala cinematografica viene dove proiettato di continuo un documentario realizzato con filmati originali trovati nel-

la sede della poizia segreta. Vere e proprie lezioni di spionaggio per la formazione degli agenti e per il reclutamento degli informatori che sono una testimonianza unica e impressionante di un passato che gli ungheresi hanno messo in museo.

Nella foto grande, il monumento, alto 6 metri, al soldato dell’Armata Rossa che dominava Budapest. Nelle foto sotto, da sinistra, la statua di Stalin sul podio delle parate, la stessa statua abbattuta nel 1956, una visione d’insieme del parco, Marx ed Engels in stile cubista


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