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ALL’INTERNO DEL QUOTIDIANO PAGINE SPECIALI DI

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di Ferdinando Adornato

QUOTIDIANO • VENERDÌ 6 AGOSTO 2010

DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK

Bossi: «Difficile andare avanti così. Ma se si vota, Pdl e Lega spazzano via tutti. Sempre insieme al Cavaliere? Vedremo»

Scommettiamochenonsi vota?

Berlusconi si prepara alle elezioni (già circola la data del 27 marzo). Ma ora in Italia è tornata la politica e non è più detto che vinca la logica muscolare. Ecco allora lo scenario più probabile... OLTRE I MITI

di Errico Novi

È caduta la religione del bipolarismo cesarista

ROMA. Mai vista tanta mo-

di Rocco Buttiglione on gli avvenimenti di mercoledì in Parlamento entra in crisi non solo una formula politica ma anche un modello interpretativo della realtà italiana, quello che si usa chiamare bipolarismo. Alcuni ingegneri costituzionali hanno creduto che si potesse semplificare drammaticamente la politica italiana semplicemente attraverso una riforma del sistema elettorale che costringesse gli elettori a scegliere fra due schieramenti politici. Ne sarebbe dovuta emergere una matura democrazia della alternanza. Ne è emerso invece un cesarismo incompiuto che ha focalizzato la lotta politica per o contro non un programma ma una persona.

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L’Economist: «ha talento». La Faz gli dedica un ritratto

I media stranieri: «Forza Fini» La stampa internazionale tifa per il presidente della Camera Ubaldo Villani-Lubelli • pagina 3

«Sì, per i cattolici è arrivato il momento di ritrovarsi»

«Pezzotta, hai ragione» Il teodem del Pd risponde all’appello dell’esponente Udc Franco Insardà • pagina 5

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Fiat, Telecom e Unicredit

bilitazione d’ingegni nel Pdl. Almeno negli ultimi mesi e almeno sul fronte berlusconiano. Si danno apuntamento quasi tutti i big del partito, al teatro di Adriano, per parlare di giustizia. Cercano una linea comune, un’identità. «La cosa più importante era ricompattare tutte le componenti su un tema decisivo come questo», dice Gaetano Quagliariello. Troppo tardi. Da settimane, Fini detta l’agenda sul tema della legalità. Costringe il Cavaliere a rincorrere. E con la nascita di un’area della responsabilità, con Udc, Futuro e libertà, Api, Mpa, il Parlamento comincia diventare un luogo dove si fa politica sul serio, per la prima volta nella legislatura. È questa la novità con cui deve misurarsi Berlusconi. È in Parlamento che il Cavaliere rischia di trovare l’ostacolo più difficile. Anche la sua aspirazione a un rapido ritorno alle urne rischia di infrangersi. Scommettiamo? a pagina 2

Dossier Tutti i dittatori che vivono sul traffico delle gemme

La doppia morale dei sindacati Il racconto della Campbell riaccende i riflettori

Diamanti rosso sangue

di Giuliano Cazzola

di Luisa Arezzo

La finta ingenuità della top model

trano Paese il nostro. La Fiat ha presentato un programma di investimenti (Fabbrica Italia) che, oltre a valorizzare lo stabilimento di Pomigliano d’Arco (nonostante le criticità che lo contraddistinguono), punta ad affidare alle unità produttive italiane un ruolo strategico a livello internazionale, mettendole in sinergia virtuosa con i processi di delocalizzazione già operanti .

harles Taylor, fino al 2006, era il più famoso e famigerato leader africano a sfruttare i diamanti per mantenere il potere e alimentare un sistema di violenze, abusi e attività illecite. Oggi quel testimone è passato nelle mani di Robert Mugabe. Ma dovrebbe averlo José Eduardo dos Santos, presidente dell’Angola.

Naomi, tra Marilyn e Al Capone

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I QUADERNI)

• ANNO XV •

di Roselina Salemi l copione, in teoria, non è male. C’è un dittatore cattivo che paga in diamanti, c’è una top model, una festa a Città del Capo e sullo sfondo una guerra (questa è la parte più noiosa).

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NUMERO

151 •

WWW.LIBERAL.IT

• CHIUSO

Spazio solo alle beghe di casa nostra

Che tristezza il giornalismo italiano, che ignora la politica estera di Mario Arpino

Gli inviati vengono mandati a seguire soltanto la cronaca, ma delle analisi non si occupa più nessuno ino a un certo punto si può anche comprendere come, nel paese dei campanili, di Bartali e Coppi, di nord e sud e di laziali e romanisti la cronaca incontri molto favore da parte del pubblico. Si comprende di meno come, al contrario, la politica estera non lo incontri affatto. Eppure, quella condotta dalla Farnesina sembra oggi assai attiva, incisiva e apportatrice di idee e iniziative in ambito internazionale. Meriterebbe assai più attenzione - da parte del pubblico di una politica interna che non si può nemmeno considerare più tale, ma solo la cronaca quotidiana di un estenuante litigio. E invece non interessa.

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IN REDAZIONE ALLE ORE

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19.30


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pagina 2 • 6 agosto 2010

Cambio di gioco. La nascita di un’area della responsabilità obbliga il premier a discutere di politica e non lascia spazio a forzature

Anche Bossi piange

«Difficile andare avanti così, si torna dagli elettori», dice il Senatùr Ma lo scenario non è quello che lui e Berlusconi hanno in mente di Errico Novi

ROMA. Mai vista tanta mobilitazione d’ingegni nel Pdl. Almeno negli ultimi mesi e almeno sul fronte berlusconiano. Si danno appuntamento quasi tutti i big del partito, al teatro di Adriano, per parlare di giustizia. Cercano una linea comune, un’identità. «La cosa più importante era ricompattare tutte le componenti su un tema decisivo come questo», dice Gaetano Quagliariello a conferenza stampa finita.Troppo tardi, forse. Da settimane, per non dire mesi, Fini detta l’agenda sul tema della legalità. Costringe il Cavaliere a rincorrere. E con la nascita di un’area della responsabilità, con Udc, Futuro e libertà, Api, Mpa e altre possibili adesioni, il Parlamento comincia

diventare un luogo dove si fa politica sul serio, per la prima volta nella legislatura. NESSUN ALIBI PER ATTI DI FORZA È questa la novità con cui deve misurarsi Berlusconi. È in Parlamento, tra le file dei gruppi che si ripromettono di tenere aperto il confronto, che il Cavaliere rischia di trovare l’ostacolo più difficile. È soprattutto la sua aspirazione a un rapido ritorno alle urne che rischia di infrangersi. Scommettiamo? Si dirà che finora il premier e la Lega hanno condotto le sorti della legislatura senza interferenze. E che con altrettanta unilaterale determinazione possono ottenere nuove elezioni. Ma adesso il teorema è tutto da dimostrare. Perché quello che è successo due giorni fa al voto sulla mozione Caliendo di-

La Faz dedica al presidente Fini un ritratto a tutta pagina. Per l’Economist «ha talento»

La stampa internazionale ha scelto: «Meglio il Delfino che il Caimano» di Ubaldo Villani-Lubelli opo il voto alla Camera dei Deputati sulla mozione di sfiducia al sottosegretario Giacomo Caliendo, è chiaro che nel conflitto politico all’interno del centro-destra si è ormai intrapresa la strada del non-ritorno. Ma come vede ed interpreta la stampa straniera la crisi tra Berlusconi e Fini? La stampa internazionale ha dedicato ampio spazio agli eventi di casa nostra. Iniziamo dalla Spagna, dove sia El Mundo che El Pais hanno più volte messo in risalto come «il governo Berlusconi sia riuscito a salvarsi dal voto sulla mozione di sfiducia a Caliendo, ma questo è avvenuto solo grazie all’astensione dei finiani». Secondo l’interpretazione data dal primo «Berlusconi, dopo la voluta rottura con Fini, si sta già preparando alle elezioni anticipate». El Pais, invece, ha deciso di dedicare due lunghi articoli alle repliche di Fini ed alla forza politica e parlamentare del nuovo gruppo.Veniamo ora alla Gran Bretagna. Secondo la lettura offerta dal The Telegraph «la tenuta del governo italiano è messa seriamente in discussione, come è dimostrato dalla votazione sulla mozione di sfiducia. Con la costituzione dei gruppi parlamentari ispirati da Fini la maggioranza in Parlamento non è più tale». Interpretazione simile anche per il The Guardian, che sottolinea come Berlusconi «sia certamente sopravvissuto ad un voto definito cruciale, ma il destino del suo governo è tutto da decifrare». Per l’Economist, invece, «Fini è fra i due il più talentuoso. Ma deve dimostrarlo in Parlamento».

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La stampa tedesca, generalmente estremamente critica nei confronti di Berlusconi, anche questa volta non si è risparmiata. Il giornale conservatore Frankfurter Allgemeine Zeitung, ha deciso di dare spazio a un ritratto (moderatamente elogiativo) dell’attuale Presidente della Camera. Qui si ripercorrono tutte le tappe del suo percorso politico, dalla

nascita di Alleanza Nazionale fino all’ultimo Fini. La FAZ ha poi messo in risalto soprattutto la debolezza del governo dopo la formazione del nuovo gruppo parlamentare, riprendendo sia la sorpresa di Berlusconi che pensava che Fini ed i suoi fossero solo “quattro gatti” sia la posizione dell’UDC di Casini che non ha nessuna intenzione di voler soccorrere l’attuale governo.

La Süddeutsche Zeitung ha invece ironicamente titolato “Scheidung auf italienisch”, ovvero “Divorzio all’italiana”. Il giornale progressista tedesco propone anche un impetuoso bilancio dell’attività politica di Berlusconi dal 1994 ad oggi: «Aveva promesso la modernizzazione del Paese ed una rivoluzione liberale, ma a distanza di sedici anni nulla di tutto questo è stato realizzato». Restando in Germania, la testata conservatrice di Amburgo Die Welt paragona il voto sulla mozione di sfiducia allo “Stresstest” che le banche europee hanno dovuto sostenere pochi giorni fa: «Il Governo Berlusconi, più che promosso, è rimandato in autunno». Passiamo ora alla Francia. Le Figaro evidenzia le “minacce” berlusconiane a Fini ed alla sua truppa sull’eventualità di elezioni anticipate.Viene, inoltre, dato molto risalto alla consistenza del gruppo parlamentare che fa capo al Presidente della Camera. Rimanendo in Francia è interessante notare come Le Monde sottolinei il paradosso secondo il quale «Fini, da delfino di Berlusconi, sia diventato negli ultimi mesi il suo principale avversario». Per il quotidiano d’Oltralpe, inoltre, «il gruppo parlamentare “Futuro e Libertà per l’Italia”, seppur fedele alla maggioranza, rappresenterà comunque una spina nel fianco per il governo». L’autorevolissimo giornale svizzero Neue Zürcker Zeitung ha titolato “Incertezza politica in Italia”: il giornale svizzero tedesco ha poi ricordato come il governo sia uscito «sostanzialmente vincitore dalla votazione» ma ha aggiunto che «i conti si faranno in autunno. Insomma, tutto ancora da decidere».Infine, uno sguardo oltre Oceano, negli Stati Uniti. Il Wall Street Journal, come sempre molto attento alle vicende berlusconiane, evidenzia principalmente come il premier sia già pronto alle elezioni anticipate. Il giornale statunitense interpreta il voto sulla mozione di sfiducia come una sostanziale vittoria del governo di Berlusconi. Seppur nella diversità di interpretazioni e di approcci al caso-Italia, tutta la stampa straniera non ha mancato di mettere in risalto la nascita dell’area di responsabilità, così come è stata chiamata in Parlamento da protagonisti stessi. Fino alla fine della legislatura, scrive il Wsj, « sarà qui che si giocherà la partita politica».

mostra che il campo di gioco è cambiato. Non più le prove di forza, non più le esercitazioni muscolari utili al bipolarismo di cartapesta, ma confronto e sfida sui contenuti. A cominciare dalla giustizia, evidentemente. Non verranno concesse, a Berlusconi, opportunità per dichiarare dissolta la maggioranza. Basta prendere una ad una le affermazioni di Fini e dei parlamentari del suo gruppo nelle ultime ore. Ieri Benedetto Della Vedova ha persino rintuzzato il Tg1 di Minzolini dopo aver visto assemblati gli interventi di Futuro e libertà nella batteria dell’opposizione. Margini non se ne vedono. I DUBBI DI BOSSI Ci sarebbe solo una via molto stretta: Berlusconi dovrebbe ricorre alla più estrema delle provocazioni, riproponendo il processo breve. Su quello i finiani non potrebbero seguirlo. Lo sa. Ma mercoledì sera Gianni Letta e altri gli hanno consigliato di accantonare l’idea. Il motivo è semplice: come potrebbe giustificare, il Cavaliere, un ritorno alle urne per questioni legate ai suoi processi? Sarebbe una scelta difficile da sostenere anche davanti all’opinione pubblica di

Come potrebbe, il Cavaliere, far digerire alla Lega una crisi di governo provocata dal processo breve? centrodestra. Non solo. La stessa Lega farebbe fatica a seguirlo. Bossi dovrebbe spiegare ai suoi elettori che la legislatura si interrompe, e il federalismo viene rinviato per l’ennesima volta, a causa del processo Mills. Può mai l’elettorato leghista accettare un ritorno alle urne provocato da una bocciatura del legittimo impedimento e da un no di Fini al processo breve? Se il punto si pone è perché Fini, Casini, Rutelli Lombardo, e altri che si aggiungono via via come Chiara Moroni, pretendono di discutere di politica. Di affrontare la questione della legalità e del garantismo su un piano di analisi, di confronto delle idee. Al di là della cieca obbedienza imposta nel Pdl su un tema del genere. Un atteggiamento di chiusura sicuramente comodo per quell’ap-


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Quagliariello riunisce tutte le fondazioni per programmare l’offensiva d’autunno

Ma il Pdl prepara la rottura sulla giustizia Il partito scosso dalle obiezioni “garantiste” di Chiara Moroni di Andrea Ottieri

ROMA. «Ma chi sono realmente i finiani?», si chiedeva ieri Alessandro Campi, direttore scientifico della fondazione Fare Futuro. E ponendosi la domanda sulle colonne del Secolo d’Italia, quotidiano di riferimento del presidente della Camera, la risposta era scontata.

Mentre ancora ci si interroga sulle reali prospettive di Futuro e Libertà, ieri, almeno a livello iconografico, si è avuta al contrario la risposta su chi invece siano le truppe che in questi giorni stanno organizzando il fortino dentro il quale Berlusconi è deciso a rinchiudersi.Seduti dietro lo stesso tavolo si sono schierati i ministri Alfano, Sacconi, Carfagna, Brunetta, Fitto, Brambilla. Accanto a loro il vertice politico e parlamentare del Pdl: Fabrizio Cicchitto, Maurizio Lupi, Stefania Craxi. A benedire l’incontro dalla prima fila, Maurizio Gasparri, ex-An, capogruppo al Senato. Hanno risposto tutti all’adunata convocata da Gaetano Quagliariello, vicepresidente vicario del partito di Berlusconi a Mon-

parato di partito cresciuto all’ombra del premier. Ma indigesto, ad esempio, per Bossi. Non a caso ieri il Senatùr si è lasciato sfuggire una risposta imbarazzata, quando i cronisti gli hanno chiesto se in caso di elezioni anticipate il Carroccio sarà di nuovo alleato di Berlusconi: «Vedremo, noi andiamo al voto sui programmi». Nonostante la successiva smentita dell’ufficio stampa, è il segnale di un disagio già diffuso nella base leghista e nascosto a fatica dall’ottimismo del capo. «Il Nord è sempre pronto, non teme la campagna elettorale, per noi è facile perché vinceremmo», dice Bossi. Che poi aggiunge: «In questa situazione non è facile andare avanti». Non c’è dubbio che le dichiarazioni del Senatùr siano abbastanza contraddittorie da rendere indecifrabile la sua posizione. Si pensi che poco prima si era lanciato in proclami del tipo «noi e il Pdl insieme spazziamo via tutti». Eppure affiora una distanza di fondo tra gli obiettivi del premier e quelli dei lumbàrd. L’AFFANNO DEI BERLUSCONIANI C’è grande agitazione sul fronte berlusconiano. E si guarda con interesse agli sviluppi delle indagini sul caso Montecarlo, la vicenda dell’alienazione di un’immobile appartenuto alla Fondazione di An che vedrebbe coinvolto Fini. Ieri si è avuta notizia dell’inchiesta avviata dalla procura di Roma per truffa aggravata. Ed è arrivata anche la netta presa di posizione di Pier Ferdi-

nando Casini: «Non mi piace questo squadrismo intimidatorio che sta emergendo nei confronti del presidente della Camera». Il consiglio di guerra del Cavaliere cerca di cambiare il piano del confronto: non la politica vera e propria, ma la delegittimazione dell’avversario. Si profila il ribaltamento del consueto schema adottato in genere dagli avversari di Berlusconi. Stavolta la strategia del “carachter assassination” viene adottata dagli strateghi del Pdl. Ma è davvero attrezzato, il partito del Cavaliere, per sostenere un confronto politico che si annuncia così impegnativo? Non si direbbe. Intanto l’idea di allineare uno ad uno tutti i big berlusconiani alla conferenza stampa di ieri è indice dell’affanno con cui si tenta di affrontare i tema della legalità. Interpellato, Quagliariello ammette che sì, l’abitudine al confronto sulle idee e sui temi veri, nel Pdl, si era un po’indebolita: «Ma ora c’è molto lavoro da fare, ed è un lavoro appassionante», spiega prima di entrare nell’ennesimo conclave a Palazzo Grazioli. Ignazio La Russa e altri, al termine, spiegano che il leader li ha precettati anche per il mese di agosto: «Bisogna lavorare all’organizzazione del partito», dicono. In realtà il tema della discussione è la campagna elettorale. Berlusconi già ne pregusta i toni esasperati. Ma intanto Casini gli suggerisce di «prendere atto della novità politica ora in campo, come ha fatto rapidamente il Pd». Le elezioni antici-

tecitorio. Il pretesto? La presentazione del convegno «Libertà, legalità e garantismo», promosso da tutte le fondazioni vicine al partito del Presidente del Consiglio. «È la prima volta che tutte le fondazioni che provengono dal mondo di Forza Italia organizzano qualcosa insieme». Un segnale forte. «Nel nostro partito non c’è nessuno spazio per le correnti – spiega il professor Quagliariello – le accompagnamo fuori dalla porta». Un avvertimento chiarissimo, quello lanciato dal gotha dell’establishment vicino a Berlusconi, dopo il convulso dibattito parlamentare dei giorni scorsi. Il durissimo attacco degli uomini di Fini sul tema della legalità, impone al Pdl di mostrarsi compatto più che mai. Si avverte infatti l’esigenza di correre ai ripari, elaborando una linea tanto comune quanto organica sulla giustizia, l’unico argomento che ad oggi sembra poter incrinare la maggioranza al punto tale da poter imporre un ritorno alle urne. Come d’altronde sa bene Quagliariello, tra i primi firmatari del disegno di legge sul processo breve, che tanto fa tremare i polsi alla maggioranza, che fiuta il pericolo di cadere su quelle che ver-

Casini: «Prenda atto, il presidente del Consiglio, della novità politica creata da un’area della responsabilità» pate sarebbero «una follia», sostiene il leader dell’Udc: «La strada delle urne nel nome del bipolarismo è una fuga dalle responsabilità. non si può proporre una terza legislatura dopo che le ultime due sono durate solo due anni». Quindi, dice Casini, o Berlusconi si dimette o governa: in ogni caso «i governi vengono fatti e disfatti in Parlamento». L’ELETTROSHOCK DELLA MORONI E non si può semplificare tutto con l’opzione elettorale per l’ennesima volta. Come non si può banalizzare il senso dell’intesa

rebbero percepite da larghissima parte del Paese esclusivamente come faccende personali del premier. «Il modo di intendere la legalità – continua infatti il senatore azzurro – è uno dei principi fondamentali del nostro sentire politico».«Occorre creare un rapporto sano tra garantismo e legalità» gli fa eco Cicchitto, che probabilmente ancora sente la ferita delle parole di Chiara Moroni, che ha duramente attaccato il Pdl proprio su questo tema prima di abbandonarne i banchi per passare su quelli di Futuro e Libertà.

«Nel nostro Paese non c’è una gara tra garantismo e legalità – afferma convinto il ministro della Giustizia Alfano – Per noi il garantismo non è sinonimo di impunità», conclude, rispondendo anche lui indirettamente alle parole della Moroni.Conclude con una battuta al vetriolo Maurizio Lupi, vice di Fini sullo scranno più alto di Montecitorio: «Diceva il buon vecchio Pietro Nenni che a fare a gara a chi è più puro, si troverà sempre uno più puro di te che alla fine ti epurerà». Al presidente della Camera saranno fischiate le orecchie.

raggiunta alla Camera tra gruppi di maggioranza e di opposizione come l’Udc. Continua Casini: «Non è nato un nuovo polo, non è il grande centro. Il collante di questa area è la responsabilità nazionale, il Paese va ricucito, non sfasciato». Quindi: «Non tutti gli italiani accettano di essere cooptati tra gli adulatori o i carnefici di Berlusconi». Materia sufficiente per costringere il Cavaliere e i suoi a giocare sul terreno del confronto politico puro. E, seppure sotto traccia, qualche ammissione, dal campo del Pdl, viene fuori. Dice un berlusconiano che tiene a definirsi “uno della prima ora, sopravvissuto alle purghe di Scajola e Verdini”: «L’intervento di Chiara Moroni è stato una specie di elettrochoc, per Silvio. Si è reso conto che l’accanimento giudiziario è un discorso valido per lui perché riguarda il suo passato di imprenditore, ma non per tangentisti e

faccendieri che si arricchiscono per la politica e confondono il garantismo con l’impunità». E ancora: «Dopo questo trauma subito ieri (mercoledì per chi legge, ndr), si è cercato di correre ai ripari, e la conferenza stampa sulla giustizia è un primo passo verso una strategia di appropriazione di un discorso politico che con la gestione Verdini era scaduto in una sorta di consociativismo borderline». Secondo questa interpretazione le obiezioni rivolte da Fini, ma anche da Casini, costringono dunque i berlusconiani ad accantonare almeno un attimo la pulsione elettorale e a cercare una qualche risposta di merito. È il segno, forse il primo, che con la nascita di un’area di responsabilità nazionale si costringe il Pdl ad affrontare le questioni politiche, con poco margine per scivolare rapidamente nella exit strategy del voto anticipato.


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l’approfondimento

Le buone leggi elettorali sono fatte su misura per corrispondere alla storia della nazione cui devono servire

La caduta degli Dei

Da noi il “bipolarismo” non è stato inteso come un normale sistema di alternanza ma è diventato il simbolo di un cesarismo democratico sconosciuto in Europa. Questa “religione” oggi è finita: ma i suoi sacerdoti lo hanno capito? on gli avvenimenti di mercoledì in Parlamento entra in crisi non solo una formula politica ma anche un modello interpretativo della realtà italiana, quello che si usa chiamare bipolarismo. Alcuni ingegneri costituzionali hanno creduto che si potesse semplificare drammaticamente la politica italiana semplicemente attraverso una riforma del sistema elettorale che costringesse gli elettori a scegliere fra due schieramenti politici. Ne sarebbe dovuta emergere una matura democrazia della alternanza. Ne è emerso invece un cesarismo incompiuto che ha focalizzato la lotta politica per o contro non un programma ma una persona. Le coalizioni che emergono dal nuovo sistema faticano a durare per più di una metà di una legislatura.

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È successo con Prodi ed è successo con Berlusconi. Invece di continuare a maledire il destino cinico e baro oppure gli immancabili traditori sarebbe bene domandarsi se non ci sia un difetto sistemico da correggere, cioè in altre parole se non sia il bipolarismo ad essere sbagliato. C’è però chi è intenzionato a perseverare ad ogni costo nell’errore: se la realtà non si adatta

di Rocco Buttiglione al suo schema concettuale tanto peggio per la realtà. E se le coalizioni non reggono alla prova del governo e si disfano regolarmente a metà legislatura andiamo subito ad elezioni anticipate, con il rischio grave che alla fine i cittadini si convincano che è la democrazia a non funzionare e diano tutto il potere nelle mani di chi promette di rimettere ordine alla fine. Questo è il risultato dei nuovi scienziati della politica che hanno inventato la“religione del bipolarismo”. Le forze politiche nuove che si apprestano a guidare la fase della politica che adesso si apre devono avere anche una diversa consapevolezza culturale, meno superficialmente cosmopolita e più consapevolmente nazionale. Io propongo di tornare a don Benedetto. Benedetto Croce diffidava degli scienziati della politica. Gli sembrava che i cultori di questa scienza allora nuova cercassero di costringere la multiforme plasticità del fenomeno politica all’interno di alcune categorie fisse, eternamente ricorrenti nel corso del tempo. C’è il rischio di perdere, in questo modo, la unicità concreta di ogni sistema politico che sola si comprende in relazione alla società di cui il sistema politico è parte e della

quale elabora, appunto, la politica. La politica, per Croce, va piuttosto letta a partire dalla storia perché è essa stessa storia nel suo svolgimento, storia contemporanea. Su questo aspetto del pensiero di Croce si è poi basato Augusto Del Noce per elaborare la sua originale interpretazione transpolitica della storia contemporanea.

Negli ultimi venti anni questa visione di Croce è stata assolutamente dimenticata o almeno marginalizzata nel discorso pubblico sulla politica italiana. Abbiamo vissuto la grande stagione dei“politologi”, degli scienziati della politica e dei sociologi della politica.

Luigi Sturzo riconosceva il ruolo fondamentale dei partiti

Nella grande crisi del ‘92-94 tutte le grandi tradizioni storiche che avevano innervato la democrazia italiana sono state messe da parte: sia quella socialista sia quella comunista sia quella democristiana. Si è creduto allora di poter organizzare ex novo l’intero sistema politico secondo categorie a-storiche. La democrazia è stata letta in senso meramente procedurale: democratico è un governo legittimato comunque dal voto di una maggioranza. E se il paese è troppo articolato e diviso per esprimere facilmente una maggioranza invece di comporre pazientemente queste articolazioni con gli strumenti della politica bisogna ottenere comun-

que, attraverso la legge elettorale, di far uscire una maggioranza dalle elezioni. Non esistono tradizioni politiche da articolare e ricomporre con lo strumento della coalizione di governo. Esiste un leader, un capo, un dittatore democratico da legittimare comunque con un voto plebiscitario. Si è cercato di importare in Italia sistemi elettorali che in altri contesti producono stabilità e stabilità democratica senza valutare il loro grado di compatibilità con la specifica storia italiana. La parola d’ordine “bipolarismo” ha in qualche modo sintetizzato presso la pubblica opinione questo atteggiamento spirituale. La crisi attuale è la crisi del bipolarismo.

Bisogna però intendersi bene sul significato che si dà alla parola “bipolarismo”. Se bipolarismo vuol dire che ci deve essere una maggioranza e una opposizione, e che i loro ruoli devono essere ben definiti e senza sovrapposizioni, anche noi siamo per il bipolarismo. Se si vuole dire che è desiderabile che i governi (e le coalizioni che li sostengono) durino per una intera legislatura, anche noi siamo per il bipolarismo. Se si vuol dire che è desiderabile che le coalizioni che competono per il governo siano definite prima delle elezioni in modo che gli


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«Ce lo hanno chiesto anche i vescovi quando hanno invitato la politica a creare una nuova classe dirigente

«Caro Pezzotta, hai ragione è il momento di ritrovarsi» Il teodem del Pd, Luigi Bobba, risponde all’appello lanciato dall’esponente dell’Udc sulla necessità di recuperare una convergenza tra i cattolici di Franco Insardà

ROMA. «Rispondo positivamente all’appello di Savino Pezzotta. A dire il vero ci avevo pensato anche io che è giunto il momento per i cattolici di ogni schieramento di ritrovarsi su argomenti condivisi nell’interesse generale del Paese, trovando delle forme di dialogo e di responsabilizzazione». Esordisce così il teodem Luigi Bobba alla lettera aperta che Savino Pezzotta, dalle colonne di liberal, ha indirizzato ai cattolici del Partito democratico, invitandoli a uscire dal fortino per costruire insieme una nuova area della responsabilità, per dialogare sui problemi reali dell’Italia, come la crisi economica, disoccupazione, lo sviluppo, il disagio sociale. Argomenti che toccano molto da vicino la sensibilità del mondo cattolico. Onorevole Bobba, ritiene anche lei che siamo in un momento particolare della stagione politica? Quello che è accaduto alla Camera non può essere archiviato. La crisi di un governo partito baldanzoso e oggi fragile e un po’ a brandelli è nell’evidenza delle cose, mentre i problemi del Paese incancreniscono. C’è bisogno di un sussulto di responsabilità, direi anche di un orgoglio della politica, altrimenti rischiamo di essere liquidati tutti, indistintamente dalla nostra collocazione partitica. Pezzotta non chiede scissioni o rotture, ma un confronto. Anche in questo c’è qualcosa di nuovo? Mi sembra interessante che non ci inviti ad abbandonare il Partito democratico, ma a trovare delle forme di dialogo e di collaborazione sui problemi chiave dell’Italia. La novità è proprio in questo, mentre proposte diverse sarebbero destinate ad abortire. In questo caso c’è una base di dialogo in cui ognuno, giocando la propria parte dentro la forza a cui appartiene, trova sponde e sostegni in una cultura comune. Questo è quello che oggi pensano anche i vescovi, quando chiedono una nuova classe dirigente. Gli ultimi avvenimenti hanno certificato la fine del bipolarismo? Sicuramente di un bipolarismo incentrato su una legge elettorale che consegna alle forze più estreme, come le Lega da una parte e l’Idv dall’altra, una rendita di posizione che lo rende apparentemente forte, ma in pratica molto fragile. Il che vuol dire? Se il bipolarismo significa alternanza di coalizioni mi sta bene. Se, invece, va verso il bipartitismo non lo condivido. Il Pd, che ha lavorato per affermare il bipolarismo, si trova oggi in difficoltà? Dipende dalla prospettiva che si vuo-

le perseguire. L’Italia non sarà mai un Paese bipartitico, ma oggi c’è la necessità di coalizioni che siano programmatica e non organizzate contro qualcuno. Quello che è accaduto alla Camera sulla votazione alla mozione di sfiducia al sottosegretario Caliendo è un segnale che si è ritornati a fare politica?

Ci siamo troppo concentrati sulle azioni sociali, oggi c’è bisogno di energie e talenti nella politica

Si sono messe al centro delle scelte chiare, comprensibili agli elettori che potranno così giudicare. Condivide il richiamo di Pezzotta alla cultura del cattolicesimo democratico per stimolare un confronto politico diverso? Lui parla, giustamente, di cattolicesimo democratico e popolare. Un richiamo, cioè, alla presenza delle opere, delle iniziative, delle associazioni e della realtà che è ancora molto popolare nel nostro Paese. Chi vuole garantire un futuro per la Nazione non può prescindere da questo. Pensa anche lei che la cultura e i valori dei cattolici debbano uscire allo scoperto? I cattolici negli ultimi anni si sono troppo concentrati sulle azioni sociali, caritative e associative, Oggi c’è, invece, bisogno di un nuovo reimpiego di energie e di talenti nella politica: lo dicono i vescovi, ma lo richiede soprattutto la realtà. Come vive da cattolico questo momento critico per le istituzioni scosse da frequenti episodi di corruzione e immoralità? Con grande inquietudine, perché c’è il rischio che un certo modo di percepire la politica, che travolge le regole e dall’altro lato non chiama in campo gli elettori, rischia di svuotare le istituzioni di quel capitale fondamentale che è rappresentato dalla fiducia dei cittadini. Pier Ferdinando Casini nel suo intervento in aula ha auspicato la materializzazione di un’area di responsabilità nazionale e Pezzotta vi ha invitato a farne parte: è il momento giusto? Se è un modo per evitare quella deriva delle istituzioni di cui parlavo prima la mia risposta è sicuramente sì. L’ex segretario della Cisl accusa i dirigenti del Pd, provenienti dai Popolari di “timidezza dell’analisi e del giudizio critico”. È d’accordo? La si potrebbe fare un po’ a tutte le forze politiche. Direi che non è il caso di far notare il capello storto dell’altro. È il momento di prendere l’iniziativa e di non attardarsi. Con queste prospettive si può trovare una via d’uscita da questa fase critica nella quale si trova il nostro Paese? Bisogna cercarla con determinazione. E i cattolici che ruolo avranno? Dovranno avere la forza e il coraggio di ritrovare i valori e la cultura, che non sono scomparsi, ma sono ben presenti nella realtà, e riuscire a tradurli in azione politica. Un aspetto che, forse, un po’ è mancato in questi anni.

elettori possano con il loro voto indicare una prospettiva di governo, allora di nuovo anche noi siamo per il bipolarismo. In Italia la parola bipolarismo non ha significato questo, o almeno non ha significato solo questo. In Italia bipolarismo significa che con il voto si attribuisce il potere, tutto il potere, ad una sola persona. Bipolarismo è diventata la parola d’ordine del cesarismo democratico. Bipolarismo vuol dire inoltre che il Cesare eletto non può essere rimosso per l’intera durata della legislatura. Questo non esiste in nessun sistema parlamentare. In Germania, per fare l’esempio di un paese a noi simile per molti aspetti, si cerca di salvaguardare la continuità dell’azione di governo con un apposito meccanismo (la sfiducia costruttiva) ma si lascia aperta la possibilità di cambiare il capo del governo e la coalizione di governo se ci fossero veri e seri motivi per farlo. In Italia il dogma bipolare vuole negare al sistema qualunque grado di flessibilità. Allo stesso modo è desiderabile che dalle elezioni esca una coalizione chiaramente vincitrice e si possano adottare strumenti (per esempio, una soglia di sbarramento) che favoriscano che questo accada. Ma non si può sbarrare la strada alle ipotesi di una grande coalizione, quando questo risultasse opportuno e necessario. Rendere il sistema assolutamente rigido significa alla fine consegnare tutto il potere nelle mani di un uomo solo. Ha scritto una volta Vincenzo Cuoco autore non a caso caro a don Benedetto) che non esistono costituzioni perfette, costituzioni ideali adatte a un qualunque popolo della terra. La buona costituzione (o legge elettorale) è quella fatta su misura per corrispondere alla concretezza storica della nazione cui essa deve servire. È da qui che adesso la discussione dovrebbe ripartire. Non è possibile eludere il problema della ricostruzione della continuità storica delle grandi tradizioni ideali che hanno alimentato la democrazia italiana. E non è possibile saltare il problema dei partiti. Don Luigi Sturzo, che è stato forse il massimo campione della lotta contro la partitocrazia italiana, certo non disconosceva il fondamentale ruolo di educazione alla democrazia dei partiti. Certo, per esercitare questo ruolo i partiti hanno bisogno di essere essi stessi democratici e di riscoprire un forte radicamento ideale. Voglio infine rassicurare i colleghi politologi. Il mio giudizio sulla scienza della politica, (scienza che anche io per un breve periodo ho insegnato) non è così liquidatorio come quello di Croce. Abbiamo però bisogno di una scienza della politica che non si chiuda in se stessa in una presunzione di autosufficienza ma dialoghi con le scienze storiche per cogliere di volta in volta le peculiarità irripetibili dei fenomeni politici.


diario

pagina 6 • 6 agosto 2010

Agenzia delle Entrate. Il direttore, Attilio Befera: «L’azione di contrasto sta iniziando ad aggregare il consenso sociale»

Evasione, recuperati 5 miliardi Per il secondo anno, cifre record sui risultati della lotta contro le frodi fiscali ROMA. Nuovo boom per la lotta all’evasione fiscale. Nei primi 7 mesi del 2010 lo Stato ha incassato la cifra record di 4,9 miliardi di euro, con un incremento pari al +9 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (quando i miliardi riscossi erano stati 4,5). È quanto emerge dai dati dell’Agenzia delle Entrate, presentati oggi in conferenza stampa. «I risultati raggiunti in questi primi mesi del 2010 ha spiegato il direttore dell’Agenzia, Attilio Befera - rappresentano una nuova meta sulla via del recupero dell’evasione intrapresa con vigore negli ultimi due anni». Ma l’obiettivo per tutto il 2010 è ancora più ambizioso: «Vogliamo fare almeno 8 miliardi» e «contiamo ovviamente anche di superarli». Intanto «oltre i risultati tangibili - ha aggiunto Befera è importantissimo che l’azione di controllo e contrasto sta iniziando ad aggregare il consenso sociale sulla lotta all’evasione, nella convinzione che chi evade danneggia la collettività tutta e, quindi, anche se stesso oltre ogni considerazione di convenienza». I 4,9 miliardi incassati tra gennaio e luglio 2010, ha poi chiarito il direttore centrale Accertamento, Luigi Magistro, diventano ancora «piu’significativi» se si guarda in particolare ai 2,2 miliardi di euro (+10 per cento rispetto allo stesso periodo del 2009) di versamenti effettuati direttamente dai contribuenti che hanno scelto di utilizzare gli “istituti definitori”, come l’adesione, l’acquiescenza e la

ne, da cui è emersa una maggiore imposta accertata pari a 9,8 miliardi di euro, in rialzo del 5,8 per cento rispetto allo stesso periodo del 2009 (9,3 miliardi). Gli accertamenti sono risultati in calo dell’1,4 per cento rispetto ai 153.720 eseguiti nei primi sette mesi dello scorso anno ma, ha evidenziato Magistro, «i risultati quantitativi e qualitativi dell’azione complessiva dell’accertamento sono in linea con quelli dello stesso periodo del 2009». Nel dettaglio, gli accertamenti sintetici hanno registrato un

L’incremento è stato del 9 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, quando i miliardi riscossi erano stati 4,5 conciliazione giudiziale. Più in generale, la voce complessiva “versamenti diretti” fa segnare incassi totali per 3,1 miliardi, in aumento del 15 per cento rispetto al 2009 (di cui 700 milioni da attività di liquidazione) mentre gli incassi da ruoli si fermano a quota 1,8 miliardi, stabili su base tendenziale. E ancora: nei primi 7 mesi del 2010, prosegue l’Agenzia delle Entrate, sono stati 151.543 gli accertamenti eseguiti (su imposte dirette, Iva, Irap) nell’ambito della lotta all’evasio-

rispetto allo stesso periodo del 2009) con una maggiore imposta definita pari a 47,9 milioni (+91,8 per cento rispetto ai primi sette mesi dello scorso anno). Infine un enorme «balzo in avanti» è stato conseguito dai controlli automatizzati delle dichiarazioni dei redditi e Iva, che fanno incassare all’Erario 900 milioni di euro, pari al +28 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.

di Gualtiero Lami

”forte incremento” sia del numero sia della maggiore imposta accertata: sono risultati complessivamente 12.399, in aumento del 57 per cento rispetto ai 7.899 dello stesso periodo del 2009.

La maggiore imposta accertata attraverso il sintetico è risultata pari a 183,9 milioni, in crescita del 57,5 per cento rispetto ai 116,7 milioni dei primi sette mesi del 2009. Gli accertamenti definiti con adesione o con acquiescenza sono stati 6.774 (+83,3 per cento

Era tra i 100 malavitosi ricercati più pericolosi

Preso Vittorio Pirozzi ROMA. Ennesimo duro colpo alla camorra. È stato arrestato ieri a Bruxelles dalla polizia giudiziaria Vittorio Pirozzi, 58 anni, trafficante internazionale di droga. Pirozzi, appartenente al clan Mariano fino agli inizi degli anni Novanta, attivo ai quartieri spagnoli di Napoli, era latitante dal 2003. E soprattutto, tra i cento ricercati più pericolosi. Il criminale, che fino al 2003, quando cominciò la latitanza, controllava la zona di Chiaia a Napoli per conto dei Mariano, (clan che spadroneggiava nei quartieri spagnoli già dalla metà degli anni Ottanta) è stato bloccato dagli agenti della sezione catturandi della questura di Napoli e dell’Interpol. Pirozzi, stando a quanto emerso dall’attività investigativa, comunicava con la moglie attraverso un codice alfanumerico. È così che i coniugi fissavano appuntamenti, e rendevano noti i numeri te-

lefonici che il boss cambiava in media ogni quindici giorni.

Le telefonate avvenivano quasi sempre negli stessi giorni, negli stessi orari. Un codice che, poi, la moglie annotava su un quaderno, successivamente ritrovato dalla polizia. L’ultima telefonata intercettata, lunedì scorso, tra Pirozzi e il figlio: una conversazione nel corso della quale i due avevano fissato il prossimo appuntamento telefonico al 23 agosto. Da qui e anche dall’arrivo in Belgio della moglie, il sospetto che il boss si stesse preparando a partire per le vacanze. E così è scattata la maxi operazione e il successivo arresto. Soddisfazione per l’arresto è stata espressa dal ministro dell’Interno Roberto Maroni, dal Guardasigilli Angelino ALfano e dal presidente della Camera Gianfranco Fini.

Secondo Befera «questi positivi risultati sono il frutto di più componenti». Innanzitutto «il sempre maggiore impegno e professionalità delle nostre risorse sia nell’area controllo sia nell’area dei servizi». In secondo luogo, ha continuato il direttore delle Entrate, «la riorganizzazione dell’Agenzia, ormai pressoché conclusa, che ha migliorato l’efficienza dell’intera struttura». Parimenti importanti «i più penetranti strumenti che Governo e Parlamento ci hanno fornito. Ricordo soprattutto - ha affermato Befera - che l’ultima manovra ha tra l’altro potenziato il redditometro e l’accertamento sintetico, accelerato la riscossione, introdotto un’ulteriore stretta sulle compensazioni e, in linea con le disposizioni comunitarie, abbassato la soglia dell’antiriciclaggio» che «consente migliori mappature delle operazioni a rischio di evasione e frode fiscale». Ma un «ulteriore e decisivo elemento complementare per il raggiungimento di un livello adeguato di fedeltà fiscale - ha sottolineato Befera - è l’impegno delle Entrate nel realizzare un rapporto con i contribuenti sempre più orientato alla trasparenza e alla collaborazione». Infatti «l’obiettivo della semplificazione» è «primario» per l’Agenzia e in questo solco va inserito «il miglioramento del dialogo con il contribuente - ha concluso - grazie alle nuove versioni delle comunicazioni di più larga diffusione, scritte con un linguaggio più chiaro e semplice». L’Agenzia, ha confermato il direttore centrale Servizi ai contribuenti, Aldo Polito, sta lavorando al completo «restyling della modulistica» e ha già messo a punto le nuove versioni dei modelli più comuni, che verranno inviati ai cittadini dal prossimo anno.


diario

6 agosto 2010 • pagina 7

L’operazione condotta dai Ros di Napoli e dai carabinieri di Caserta

È successo a una giovane coppia di Livorno. Scattati i controlli

Un miliardo di beni sequestrati ai Casalesi

Lasciano il latte in frigo due giorni e diventa blu

NAPOLI. I carabinieri del repar-

LIVORNO. Hanno aperto una bottiglia di latte a lunga conservazione acquistata qualche settimana fa in un supermercato, ne hanno consumata una parte e poi hanno lasciato la bottiglia nel frigo e si sono assentati per il fine settimana. Nulla di strano, se non fosse che al loro ritorno, lunedì mattina, il latte che avevano versato in una tazza per fare colazione, era diventato blu. Anzi, ad essere precisi, il latte si era colorato di celeste. È successo a due coniugi di Piombino, in provincia di Livorno, che dopo un primo momento di panico, martedì mattina hanno deciso di portare il latte all’Ufficio igiene della Usl 6 per un controllo. Il latte in questione è di marca ita-

to anticrimine del Ros di Napoli, con la collaborazione del comando provinciale di Caserta, hanno sequestrato beni per un valore di 1 milione di euro, dopo un’ordinanza emessa dalla direzione distrettuale antimafia di Napoli nei confronti di Felice Lombardi, 62 anni gestore di una pasticceria nel centro di Casal di Principe (già sequestrata un mese fa), della moglie Rita Carlig, di 59 anni, e del figlio Carlo Lombardi di 34 anni. Tutti e tre sono indagati per il reato di intestazione fittizia di beni riconducibili al clan dei Casalesi, in particolare al gruppo di Nicola Schiavone, primogenito del boss Francesco detto “Sandokan”.

Il provvedimento ha interessato quattro fabbricati, con destinazione d’uso abitativa e commerciale, situati a Casal di Principe e Villa di Briano; quattro società con sedi a Casale, Napoli e Roma, operanti nei settori della ristorazione e bar, sale scommesse, agenzie di intermediazione creditizia e immobiliare, servizi assicurativi e broker assicurazioni; due terreni a Villa di Briano e cinque autovetture. L’attività di indagine trae origine da approfondimenti investigativi conseguente all’operazione del 12 luglio scorso condotta dai

La doppia morale dei sindacati italiani L’accoglienza per gli esuberi di Fiat, Telecom e Unicredit di Giuliano Cazzola trano Paese il nostro. La Fiat ha presentato un programma di investimenti (Fabbrica Italia) che, oltre a valorizzare lo stabilimento di Pomigliano d’Arco (nonostante le radicate criticità che lo contraddistinguono), punta ad affidare alle unità produttive italiane un ruolo strategico a livello internazionale, mettendole in sinergia virtuosa con i processi di delocalizzazione già operanti od ipotizzati ex novo. In sostanza, Sergio Marchionne non licenzia (salvo la dismissione di Termini Imerese annunciata da tempo), ma consolida i livelli d’occupazione ed apre una prospettiva importante nel contesto di un’impresa multinazionale che si misura con il mercato globale.Tutto bene, allora ? Niente affatto.

S

Sono mesi che il gruppo e il suo amministratore delegato sono sottoposti al tiro incrociato di una parte del sindacalismo nostrano al quale vengono assicurate la benevolenza e la simpatia di un “gruppo di fuoco”irriducibile (intellettuali, giuslavoristi, stampa) che accusa l’azienda delle peggiori nefandezze, arrivando persino a determinare l’imbarazzo del Pd (per il quale l’accordo di Pomigliano deve restare un’eccezione).Al contrario, l’intesa intervenuta nelle ultime ore con la Telecom (3.900 addetti in mobilità volontaria) è stata sottoscritta da tutte le organizzazioni sindacali, le quali parlano apertamente di “grande conquista”. Ovviamente, non è nostra intenzione fare della demagogia a buon mercato. Il processo di ristrutturazione della Telecom andava portato avanti ed è bene che sia avvenuto attraverso un vero e proprio negoziato e con l’intervento – grazie al Governo – del sistema degli ammortizzatori sociali che “accompagneranno”i lavoratori alla pensione. Probabilmente, la differenza sta proprio qui: assicurare lunghi periodi di sostegno al reddito coronati dall’accesso al pensionamento (come nel caso Telecom) sembra essere una soluzione più gradita di quella che (come nella vicenda Fiat) pone problemi di una maggiore produttività del lavoro e di una più completa saturazio-

ne degli impianti. Sullo scenario sindacale – da ultimo – si muove lo spettro delle pesanti ricadute sui livelli occupazionali derivanti dal riassetto di Banca Unica. Unicredit ha comunicato ai sindacati l’esigenza di tagliare, in un triennio, 4.700 posizioni lavorative allo scopo di rendere sostenibile la struttura dei costi. Il ministro Maurizio Sacconi ha tempestivamente invitato le parti a compiere un confronto approfondito e ad evitare gli atti unilaterali. I sindacati sono in allarme; ma rischiano ancora una volta di non capire la situazione e di sbagliare obiettivo. «L’effetto Marchionne-Fiat – ha dichiarato Lando Sileoni, leader dello storico sindacato autonomo Fabi – ha purtroppo contagiato, come in un effetto domino, Unicredit». Quale sarà, poi, questo “effetto domino”, visto che il gruppo automobilistico non licenzia, ma si sviluppa? È presto detto. Secondo i sindacalisti Unicredit tende a sottrarsi alla prassi della concertazione, consueta nel settore del credito (Unicredit uscirà dall’Abi?). Ma l’obiettivo vero delle organizzazioni sindacali è il solito: quello di negoziare forme e modalità di prepensionamento. Da sempre le banche istituiscono fondi, finanziati con proprie risorse, in cui inseriscono i dipendenti in esubero per il tempo necessario a consentire loro di maturare i requisiti per il pensionamento obbligatorio (e di passare, quindi, a carico dell’Inps). La manovra, recentemente approvata in via definitiva, ha inserito tali fondi nelle deroghe previste per il mantenimento dei previgenti requisiti per l’accesso alla pensione (le cosiddette finestre). Ma c’è un problema: quello del tetto di 100mila utenti della deroga, nel caso di lavoratori in mobilità. Ne consegue che – ove non potessero far rientrare i loro «esuberi» tra i derogati – le banche dovrebbero tenerli a loro carico nei fondi per un periodo più lungo (visto che la finestra si apre solo dopo un anno dalla maturazione dei requisiti), con l’esborso di maggiori oneri. Può essere, allora, che la mossa traumatica, anticipata da Unicredit, serva anche a chiarire questi aspetti.

Chi pone un problema di produttività viene attaccato. Ormai si cerca solo di negoziare i prepensionamenti

Ros durante la quale vennero arrestate 14 persone - affiliate alla fazione Schiavone e Iovine e sequestrati beni per un valore complessivo di un miliardo di euro. Intanto, su richiesta del sostituto procuratore Stefano Musolino, il gip di Palmi, Daniela Tortorella, ha disposto la misura cautelare agli arresti domiciliari per cinque imprenditori - dei veri e propri ”signori della truffa” . Gli imprenditori sono accusati, a vario titolo, di associazione a delinquere finalizzata alla truffa nei confronti dello Stato e dell’Unione europea. Ingente la stima dei beni sequestrati: 700 milioni di euro tra opifici industriali, strutture alberghiere, immobili e quote societarie

liana e la scadenza fa riferimento alla fine del 2010. L’insolita colorazione è stato l’unico segnale di stranezza: a quanto pare il latte, quando è stato tirato fuori dal frigorifero non aveva neanche un cattivo odore. La vicenda è stata anticipata dal quotidiano Il Tirreno e lancia un nuovo allarme dopo il caso della mozzarella blu e della ricotta rossa.

La coppia si è rivolta all’ufficio igiene della Asl che ha prelevato subito un campione dalla bottiglia il cui latte era diventato blu e un altro campione da una seconda bottiglia di latte acquistato nello stesso supermercato. Le analisi verranno eseguite all’istituto zooprofilattico di Pisa e i risultati dovrebbero essere disponibili la prossima settimana. Ad ogni modo i coniugi, che hanno bevuto il latte prima che diventasse blu, non hanno riportato malesseri o sintomi particolari. Questa vicenda richiama alla mente i numerosi recenti episodi di ”mozzarella blu”. In quei casi è stato detto che a colorare il formaggio era un batterio, il pseudomonas, che prolifera in situazioni di scarsità di igiene nel processo di lavorazione. E che non risulterebbe pericoloso per l’uomo.


giustizia

pagina 8 • 6 agosto 2010

Il caso. Il presidente della Camera: «Ben vengano le indagini sul patrimonio di An, anche se la denuncia arriva da avversari politici»

Casini: «Squadrismo su Fini»

La procura apre un fascicolo sulla casa a Montecarlo: «Un atto dovuto» di Francesco Ingravallo

ROMA. «Non mi piace lo squadrismo intimidatorio che sta emergendo attorno al presidente della Camera». Pier Ferdinando Casini si riferisce così alla vicenda dell’appartamento di Montecarlo ereditato da An e attualmente utilizzato da Giancarlo Tulliani, fratello di Elisabetta, cioè l’attuale compagna di Gianfranco Fini: «Un conto è la questione morale e la necessità di approfondire - ha spiegato il leader dell’Udc - ma che tutto questo venga agitato come parte della contesa politica tra Berlusconi e Fini è una cosa degradante». Per dirla in modo chiaro, «se io sono un bandito lo sono che mi allei con Berlusconi, con Fini o con Vendola. Se invece divento un delinquente perché faccio una scelta, e un santo se ne faccio un’altra, allora questo è “doppiopesismo” e non fa onore a chi lo alimenta».

Stessa posizione l’ha espressa in una nota la componente liberal del Pd: «Non sfugge a nessuno la singolare coincidenza fra il manifestarsi di una posizione politica dirompente, ma che è una posizione politica, e gli attacchi personali, frutto di ricerche accurate, che si sono tradotti in vere e proprie intimidazioni e nel fuoco di sbarramento di “giornali amici”del governo». Effettivamente - e al di là dei fatti su cui torneremo più

avanti - accadono cose bizzarre attorno alla denuncia fatta da Il Giornale di Vittorio Feltri (proprietario, non casualmente, Paolo Berlusconi). I politici, per dire, cominciano a sragionare. Prendiamo la frase seguente: «C’è qualcuno che nutre speranze verso un leader che è al centro di notizie poco chiare e che dovrebbe spiegare». Non è stata pronunciata, come potrebbe sembrare, da Antonio Di Pietro, né da un altro di quelli che la pubblicistica per così dire garantista chiama senz’altro

pante. «Siamo uomini politici, tutti dobbiamo dare spiegazioni», ha sentenziato Maurizio Gasparri. «Spero che Fini possa chiarire. Ha l’obbligo di chiarire, ma stento a credere a quello che ho letto», ha detto invece il ministro Altero Matteoli, di cui non si ricordano parole così nette in merito agli appalti che alcuni amici del triumviro Denis Verdini andavano a contrattare proprio al suo ministero. O si legga la pittoresca nota stampa che ieri Giancarlo Lehner, deputato Pdl e giornalista in

Uno dei primi passaggi degli investigatori sarà quello di acquisire i documenti rispetto al passaggio di proprietà dell’immobile e rispetto anche alle persone fisiche e giuridiche coinvolte “mozzorecchi”. L’ha invece scandita, cenando coi suoi deputati mercoledì sera, nientemeno che il Cavalier Berlusconi Silvio, che pure tra notizie poco chiare, cose che non tornano e altre, purtroppo, accertate da sentenze della magistratura, per “spiegare” potrebbe tranquillamente scrivere un libro anche risparmiando sulle parole.Tant’è, in questo Paese il garantismo va e viene come le onde sulla battigia. La Lega degli sventolatori del cappio, d’altronde, ne è un esempio lam-

servizio garantista permanente effettivo, ha inviato alle agenzie: «La Procura di Roma avvia un’indagine al peperoncino, che cozza contro ignoti per il nauseante sauté dell’appartamento di Montecarlo con contorno di paradisi fiscali. In questo caso, però, il primo ignoto, o, maramaldeggiando, il mitile ignoto ha un nome e cognome, Gianfranco Fini in Tulliani». La novità di giornata è infatti l’avvio di un’inchiesta contro ignoti sulla vicenda da parte della Procura di Roma: un «atto do-

vuto», spiegano da piazzale Clodio, seguito all’esposto-denuncia presentato da due esponenti de La Destra, il consigliere regionale Buonasorte e il consigliere comunale di Monterotondo Di Andrea. Truffa aggravata l’ipotesi di reato su cui dovrà lavorare il pm Pierfilippo Laviani, che comincerà analizzando tutte le carte sui passaggi di proprietà dell’immobile. Questa la storia emersa finora: l’appartamento di Montecarlo fu lasciato in eredità, col resto delle sue proprietà, ad Alleanza nazionale dalla contessa Anna Maria Colleoni, figlia del gerarca fascista Guardino (morta nel 1999), per continuare «la buona battaglia» politica della destra italiana. La casa - per Il Giornale 70 metri quadri e una valutazione di mercato di oltre un milione, per Giancarlo Tulliani un loculo di 45 metri circa - è stata poi venduta, nel 2008, per trecentomila dollari alla società offshore “Primtemps Ltd”, costituita solo qualche settimana prima nel paradiso fiscale di Saint Lucia, nei Caraibi, con un capitale sociale di mille dollari. Per An sarebbe stato presente al rogito Francesco Pontone, tesoriere di An e oggi senatore finiano. Nell’affare ha un ruolo ha scritto invece Il Fatto - anche tale James Walfenzao, professionista caraibico specializ-

zato in creazione di trust, fiduciarie e altre scatole cinesi, nonché consulente, amministratore e prestanome di Francesco Corallo, imprenditore catanese classe 1960 (il cui padre fu condannato per mafia) e titolare della multinazionale del gioco Atlantis World, basata alle Antille.

E chi è stato il procuratore della società in Italia per qualche anno? Amedeo Laboccetta, deputato Pdl e fino a poche settimane fa uno dei migliori amici di Gianfranco Fini, oggi - eufemizzando - più legato al presidente del Consiglio. Fin qui la storia di cui si occuperà la Procura. «Ben vengano le indagini su tutto ciò che concerne il patrimonio di An - ha dichiarato ieri Fini in una nota - Anche se la denunzia proviene da avversari politici». Quanto a Il Giornale, l’ex leader di An non ha risposto nel merito alle contestazioni, s’è limitato a presentare querela per diffamazione, penale dunque: «Il presidente Fini - si legge in un comunicato - non è titolare dell’appartamento, e non sono a lui riconducibili le società che hanno acquistato l’immobile. Del pari è falsa la notizia relativa alla cifra versata quale corrispettivo. Sarà l’autorità giudiziaria ad acclarare la totale infondatezza di quanto divulgato e ad accertare la condotta diffamatoria».


L’

otto pagine per cambiare il tempo d’agosto

i m p r e s a

6 agosto (1991)

Tim Berners-Lee mette on line il primo sito internet al Cern di Ginevra

Come cademmo tutti nella Rete di Guglielmo Malagodi

uando creammo la Rete l’ostacolo più forte non era nella tecnologia, ma nella mente dei potenziali utilizzatori. Pochissimi capivano il cambio di paradigma portato dalla gerarchia del web e dalla sua organizzazione in hyperlink. Ma il punto di svolta, l’epifania cha ci ha permesso di andare verso l’universalità della rete è stato rinunciare ad un sistema strutturato e alle sue gerarchie». Parola di Tim Berners-Lee, il ricercatore del Cern di Ginevra universalmente riconosciuto come “papà”del World Wide Web. Ufficialmente, la nascita del web risale al 6 agosto del 1991, giorno in cui Berners-Lee mette online il primo “sito”. Ma l’utilizzo della rete, per i primi mesi, resta confinato alla comunità scientifica, fino a quando (il 30 aprile 1993) il Cern decide di rendere pubblica la tecnologia alla base del Web. La decisione provoca una catena di conseguenze, per la maggior parte non-intenzionali, che continua ancora oggi e si manifesta con la crescita esponenziale ed inarrestabile del “fenomeno Internet”. Ma facciamo un passo indietro. Il Web è uno “spazio digitale” di Internet destinato alla pubblicazione di contenuti multimediali (testi, immagini, audio, video, ipertesti, ipermedia, ecc.) nonché uno strumento per implementare particolari servizi come ad esempio il download di software (programmi, dati, applicazioni, videogiochi, ecc.). Questo “spazio” e questi servizi sono resi disponibili attraverso particolari computer connessi a Internet chiamati server web. Chiunque disponga di un computer, di un accesso ad Internet, degli opportuni programmi e del cosiddetto spazio web (la porzione di memoria di un server web destinata alla memorizzazione di contenuti web e all’implementazione di servizi web), può, nel rispetto delle leggi vigenti nel Paese in cui risiede il server web, pubblicare contenuti multimediali sul Web e fornire particolari servizi attraverso il Web.

«Q

continua a pagina 10

LA PERDUTA GENTE - CAPITOLO 4

DIAMO I NUMERI

CINEMA CALDO - BREVI AMORI A PALMA DI MAIORCA

Le amare fantasie di un cronista

Il falso mito dell’Anno Zero

Quando Alberto è in vacanza

di Carlo Chinawsky

di Alessandro Boschi

di Osvaldo Baldacci

pagine 12-13

pagina 14

pagina 16 pagina 9 - liberal estate - 6 agosto 2010


Tim Berners-Lee, ricercatore del Cern di Ginevra e padre del World Wide Web

I contenuti del Web sono infatti costantemente on line quindi costantemente fruibili da chiunque disponga di un computer, di un accesso a internet, e degli opportuni programmi (in particolare del cosiddetto browser web, il programma che permette, come si dice in gergo, di “navigare” nel web, cioè di fruire dei contenuti e dei servizi del web.)

Non tutti i contenuti e i servizi del Web sono però disponibili a chiunque in quanto il proprietario dello spazio web, o chi ne ha delega di utilizzo, può renderli disponibili solo a determinati utenti, gratuitamente o a pagamento, utilizzando il sistema degli account. I contenuti principali del Web sono costituiti da testo e grafica rappresentati in un insieme ristretto di standard definito dal W3C. Questi contenuti sono quelli che tutti i browser web devono essere in grado di visualizzare autonomamente, cioè senza software aggiuntivo. I contenuti pubblicati sul web possono essere però di qualunque tipo e in qualunque standard. Alcuni di questi contenuti sono pubblicati per essere fruiti attraverso il browser web e, non essendo in uno degli standard appartenenti all’insieme definito dal W3C, per poterli fruire attraverso il

browser web questo deve essere integrato con i cosiddetti “plugin”, pezzi di software che integrano le funzionalità di un programma che normalmente sono scaricabili dal web. Il resto dei contenuti del web è utilizzabile con programmi autonomi. Ad esempio si può trattare di un file eseguibile sul sistema operativo che si sta utilizzando o di un documento di testo in formato Microsoft Word. I contenuti del web sono organizzati nei cosiddetti siti web a loro volta struttu-

che chiamati collegamenti), parti di testo e/o grafica di una pagina web che permettono di accedere ad un’altra pagina web, di scaricare particolari contenuti, o di accedere a particolari funzionalità, cliccandoci sopra con il mouse, creando così un ipertesto. Tutti i siti web, sono identificati dal cosiddetto indirizzo web, una sequenza di caratteri univoca chiamata in termini tecnici Url che ne permette la rintracciabilità nel Web. Non è previsto un indice aggiornato in tempo reale dei contenuti del web, quindi nel corso degli anni sono nati e hanno riscosso notevole successo i cosiddetti motori di ricerca, siti web da cui è possibile ricercare contenuti nel web in modo automatico sulla base di parole chiave inserite dall’utente, e i cosiddetti portali web, siti web da cui è possibile accedere ad ampie quantità di contenuti del web selezionati dai redattori del portale web attraverso l’utilizzo di motori di ricerca o su segnalazione dei redattori dei siti web.

Al momento dell’idea, Internet è già una realtà, creata negli Usa nel 1969, ma ha un aspetto diverso da quello attuale: niente immagini, niente link, niente mouse

rati nelle cosiddette pagine web le quali si presentano come composizioni di testo e/o grafica visualizzate sullo schermo del computer dal browser web. Le pagine web, anche appartenenti a siti diversi, sono collegate fra loro in modo non sequenziale attraverso i cosiddetti link (an-

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Tutto questo, che oggi ci sembra parte integrante e insostituibile della nostra vita, non sarebbe esistito senza Tim Berners-Lee. Nato a Londra l’8 giugno 1955, nel 1976 Tim Berners-Lee si laurea al Queen’s College dell’università di Oxford dove costruisce il suo primo computer. Nel 1980 passa sei mesi al Cern come consulente nel campo dell’ingegneria del software. Dal 1981 al 1984 lavora al John Poole’s Image Computer Sistems Ltd, per poi tornare al Cern nel 1984 con una borsa di studio per lavorare sui sistemi distribuiti real-time per l’acquisizione di dati scientifici e sistemi di controllo. È datato 1989 il suo primo “progetto globale sull’ipertesto”, che prende proprio il nome di World Wide Web. Nel 1990 Berners-Lee programma il codice per il primo server del web e il primo programma client, inoltre scrive la prima versione del linguaggio di formattazione di documenti con capacità di collegamenti ipertestuali, ormai conosciuto come “Html”. Nel 1994 fonda il World Wide Web Consortium (W3C) presso il Laboratory for Computer Science (LCS) del prestigioso Massachusetts Istitute of Technology di Boston, del quale è tutt’ora presidente.

L’ idea “base” di BernersLee, nata dall’esigenza di limitare le perdite di informazioni all’interno di grandi organizzazioni di ricerca come il Cern, è quella di creare un ambiente di comunicazione universale, decentralizzato, basato sull’ipertesto: il sistema di scrittura che consente di collegare tra loro diversi documenti come si trattasse di una tela. Al momento dell’idea internet è già una realtà, creata negli Stati Uniti nel 1969, ma ha un aspetto molto diverso da quello attuale: niente immagini, niente navigazione ipertestuale, niente mouse. Il web fa passare internet da strumento riservato agli scienziati a mass media planetario. Prima dello sviluppo del web i file elettronici conservati su internet erano difficili da ricercare e le pagine potevano essere consultate soltanto grazie a un indirizzo unico, generalmente rappresentato da una lunga sequenza di cifre. Internet era una rete “esoterica”, riservata a ricercatori e informatici e serviva esclusivamente a inviare e ricevere posta elettronica e a recuperare file su computer remoti. Nel marzo del 1991, tramite un software scritto da Berners-Lee, i ricercatori del Cern possono accedere alla prima pagina web della storia: l’elenco telefonico del centro di


ricerca. Nel mese di agosto il progetto World Wide Web diventa pubblico e viene messo a disposizione tramite alcuni gruppi di discussione su internet senza richiedere nessun brevetto.

Piuttosto che mettere in commercio la sua invenzione, Berners-Lee opta per l’attività accademica negli Stati Uniti e sceglie di dirigere una struttura senza scopo di lucro come il W3C. Nonostante le difficoltà iniziali a far ospitare dal Cern la sua invenzione e le offerte economiche ricevute, Tim difende la scelta di non aver brevettato la tecnologia del web: «Se avessi brevettato la tecnologia del web avrei creato la Web Inc, e la diffusione universale del www non si sarebbe mai verificata. Perché esista qualcosa come il web è necessario che tutto il sistema si basi su standard aperti e pubblici». Ispirandosi a questa filosofia, il consorzio W3C ha cercato fin dall’inizio della sua attività di collocarsi in una posizione istituzionale non semplice da definire: questo per cercare di mantenere allo stesso tempo l’apertura, la reticolarità che caratterizzava la natura stessa della Rete ma anche un’autorità “politica”in grado di dare un valido supporto ai tentativi di rendere la tecnologia web sempre più efficiente. Per questo motivo fu scelta la via della raccomandazione formale: le specifiche sui linguaggi di programmazione come Html, Css, Xml, sono proposte infatti non sotto forma di standard impositivi, quanto piuttosto come standard d’uso. Il consorzio mira a fare proposte per lo sviluppo della Rete nel suo complesso e su di una prospettiva a lungo termine, non a promuovere soluzioni elaborate dai propri membri fondatori basandosi su apriorismi di sorta. L’usabilità delle pagine, il rispetto delle minoranze tecnologiche (anche e soprattutto in chiave politicoeconomica) in vista di una prossima e auspicabile espansione del web anche in Paesi al momento estranei alla rete ma per i quali la rete rappresenta sin d’ora una grande opportunità, sono problemi molto sentiti, oggi, all’interno del Consorzio. Così come uno dei primi problemi che esso si trovò ad affrontare fu la ricerca di algoritmi di codifica delle informazioni sensibili che permettessero un uso sicuro della rete anche in ambito commerciale. Il problema principale di questi ultimi anni, infatti, sembra essere proprio l’usabilità, l’accesso ai dati e alle loro rappresentazioni. Nel suo libro L’Architettura nei Nuovi Media, Tim BernersLee ripercorre le tappe che l’hanno portato all’invenzione

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o stesso giorno...

A Monfalcone muore Enrico Toti, una gamba e tanto onore di Francesco Lo Dico nrico Toti, da Roma, volontario Bersaglieri ciclisti. Volontario, quantunque privo della gamba sinistra, dopo aver reso importanti servizi nei fatti d’arme dell’aprile a quota 70 (est di Selz), il 6 agosto nel combattimento che condusse all’occupazione di quota 85 (est di Monfalcone), lanciavasi arditamente sulla trincea nemica continuando a combattere con ardore, quantunque già due volte ferito. Colpito a morte da un terzo proiettile, con esaltazione eroica, lanciava al nemico la gruccia e spirava baciando il piumetto, con stoicismo degno di quell’anima altamente italiana. Monfalcone, 6 agosto1916». Recita così la motivazione che assegnò a Enrico Toti la medaglia d’oro, per volontà di Emanuele Filiberto di Savoia. Mozzo sulla nave scuola Ettore Fieramosca all’età di 15 anni, a ventisei ebbe un terribile inci-

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del Web: l’esperienza antiburocratica al Cern di Ginevra, i primi tentativi sfortunati di far

comprendere ai ricercatori le modalità ipertestuali di comunicazione, l’invenzione del concetto rivoluzionario di link e, infine, l’affermazione planetaria del suo progetto e la fondazione del World Wide Web Consortium, l’organismo che raggruppa imprese private ed enti governativi per diffondere proposte, specifiche, standard, sigilli di garanzia, oltre che favorire lo sviluppo e la revisione del software per il web. Dopo aver descritto questa grande avventura, l’autore getta lo sguardo sul futuro del web e, soprattutto, cerca di descrivere il sogno di una rete sempre più intuitiva e interattiva che non sia solo da sfogliare e navigare passivamente. È l’idea di uno spazio per “l’intercreatività” in cui le macchine saranno capaci di creare connessioni e deduzioni, prendere decisioni e trattare i dati secondo il loro significato. Sarà questa, secondo il papà del

Allo scoppio della prima guerra mondiale, l’eroe inforca la sua bicicletta, pedala su una gamba e si aggrega all’esercito presso Cervignano del Friuli. In seguito la sua salma sarà trasportata a Roma

dente che gli costò l’amputazione della gamba sinistra. Allo scoppio della prima guerra mondiale, tenta di arruolarsi tre volte, e tre volte viene rifiutato. Per nulla scoraggiato, inforca la sua bicicletta, pedala su una gamba e si aggrega all’esercito di stanza presso Cervignano del Friuli. Una pattuglia di carabinieri lo intercetta e lo obbliga a tornare alla vita civile. Non demorde neppure stavolta, e nel gennaio del 1916 è di nuovo sul fronte come volontario tra i bersaglieri ciclisti. Si guadagna le stellette, si batte nella presa di Gorizia, durante la sesta battaglia dell’Isonzo. A quota 85 metri, a est di Monfalcone, viene ferito più volte. Barcolla, resta in piedi, e scaglia la gruccia contro il nemico gridando «Non muoio!». Prima di cadere bacia il piumetto dell’elmetto. La salma fu trasportata a Monfalcone ma il 24 maggio 1922

web, l’architettura di base del nuovo web. Il web 2.0 è un termine utilizzato per indicare ge-

uno spiccato livello di interazione sito-utente (blog, forum, chat, sistemi quali Wikipedia,

Perché esista il web è necessario che tutto il sistema si basi su standard aperti e pubblici. Ispirandosi a questa filosofia, il consorzio W3C ha cercato fin dall’inizio della sua attività di collocarsi in una posizione istituzionale non semplice da definire, per mantenere l’apertura e la sua originaria reticolarità

nericamente uno stato di evoluzione di internet (e in particolare del World Wide Web), rispetto alla condizione precedente. Si tende ad indicare come web 2.0 l’insieme di tutte quelle applicazioni on line che permettono

venne trasportata a Roma dove ricevette solenni funerali. In sua memoria fu eretto un monumento in bronzo nei giardini del Pincio. A lui furono intitolati il sommergibile italiano Enrico Toti ed il successivo sottomarino Enrico Toti, varato nel 1968. Nel giugno 1923, gli fu intitolata la XI - Legione Ferroviaria Enrico Toti di Bari della Milizia ferroviaria. Vero eroe antitaliano: falso invalido per troppo onore.

Youtube, Facebook, Myspace, Twitter, Gmail, Wordpress, Tripadvisor ecc.). Il termine mette l’accento sulle differenze rispetto al cosiddetto Web 1.0, diffuso fino agli anni Novanta, e composto prevalentemente da siti web statici, senza alcuna possibilità di interazione con l’utente eccetto la normale navigazione tra le pagine, l’uso delle email e l’uso dei motori di ricerca. Per le applicazioni Web 2.0, spesso vengono usate tecnologie di programmazione particolari, come Ajax (Gmail usa largamente questa tecnica) o Adobe Flex.

Un esempio potrebbe essere il social commerce, l’evoluzione dell’E-Commerce in senso interattivo, che consente una maggiore partecipazione dei clienti, attraverso blog, forum, sistemi di feedback ecc. Gli scettici replicano che il termine web 2.0 non ha un vero e proprio significato, in quanto questo dipende esclusivamente da ciò che i propositori decidono che debba significare per cercare di convincere i media e gli investitori che stanno creando qualcosa di nuovo e migliore, invece di continuare a sviluppare le tecnologie esistenti. Alcuni hanno iniziato, come Seth Godin, ad utilizzare il termine “New Web”(Nuovo Web) in quanto si rimane molto scettici sull’utilizzo dell’etichetta ”web 2.0”(o anche 3.0 e successive) quando utilizzata al fine di definire univocamente e generalmente una complessa e continua innovazione dei paradigmi di comunicazione digitale sul web. Se pure il termine “Nuovo Web” non diventasse velocemente di uso comune anche tra i Netizen, questo probabilmente non diverrebbe obsoleto come sta accadendo per l’etichetta “Web 2.0” a favore ad esempio di “3.0”, “3.5”, “4.0” e così via. Questo tipo di etichette hanno la funzione di “fotografare”in maniera non univoca un certo momento.

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IL GIALLO

CAPITOLO 4 Le amare fantasie di un cronista Colleghi squallidi e sordidi intrecci con la politica: nel diario di quell’uomo forse si nasconde il destino di Carlo Chinawsky via Palermo ci andai col taxi. Mi è sempre piaciuta quella strada, un po’ defilata da zona Brera. Conserva ancora rettangoli di muri e odori popolari. I mobili del bilocale erano dei primi del Novecento. Rassicuranti. Mi sdraiai sul letto, avvertivo qualche dolore alla schiena. Cominciai a sfogliare i quaderni di Jorio. Il giornalista- mescolava disprezzo e ironia. Un burlesco elenco di caratteri in attesa d’una trama. I personaggi appartenevano tutti alla vita in un quotidiano. Dieci pagine, fitte. Scrittura minuta e chiara. Come se l’avesse dovuta consegnare al proto, ai vecchi tempi dei caratteri in piombo. Il titolo era Un giornale di successo: scialbo. Il trapezista - Diventato direttore dopo un’accanita militanza in un gruppo extraparlamentare di sinistra. Pur cambiando obiettivi, usa sempre il metodo delle sprangate, senza rinunciare al passo felpato su moquette aziendali.Ai suoi vice confida che la truppa redazionale è solo merda. Frequenta ogni week end o quasi la villa dell’azionista di maggioranza del gruppo editoriale, un finanziere del quale ha scelto d’essere cane da guardia. Fa incontri trasversali, anche se deve concedere qualcosetta ogni volta. Ma lo accetta, perfino lo invoca. È convinto che la transazione sia la forma più alta dell’intelligenza. Si riferisce che abbia detto una volta: «La democrazia è un rosario di sussurri sporchi».La provinciale Si veste da cane anche se si picca

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di conoscere la moda. Le feste degli stilisti sono la sua missa solemnis. Le opinioni le esprime in un tono apodittico, ha ben chiaro che si deve sempre mostrare sicurezza. Dagli altri esige solo consensi. Frequenti gli inciampi linguistici. Non c’è intellettuale che non dica di non conoscere e frequentare. Li chiama per nome di battesimo. Nubile. Sgraziata nel fisico, usa spesso parole come“figa”o“strafiga”. Un pettegolo giura di averla vista al Testaccio, a Roma, alle tre di notte: a rimorchiare coatti urbani e nordafricani atletici. L’enfatica - Inviato “di punta”, se non va all’estero fa scenate. Bellona da giovane, si considera ancora tale. È stata l’amante di un premier quindi ha fatto carriera, qui e là. La sua prosa è tutta ad alta voce, conati para-letterari. Invece di scrivere “donna nera” preferisce “donna con la pelle buia”. Se una sua amica va in vacanza in Anatolia propone un’inchiesta perché la tendenza “sta dilagando”. Le sorridono, poi le credono. Il maggiordomo - Arrivato alla carica di vice-direttore, sa che non può più salire. Il suo senso del limite è rabbia contenuta. Di tanto in tanto s’innamora di un paese come l’Inghilterra o la Germania. Alle riunioni fa partire i suoi interventi dalle sue cotte nazional-geografiche. I suoi pensieri sono presi in prestito. Alza la voce coi subalterni, specie quando il “trapezista” è fuori sede. L’apprendista - Figlio di un boiardo di Stato. Destinato a rapida carriera, presenzialista,

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appena può è a tavola con chi conta. Insinua delazioni, tra una portata e l’altra. Non manifesta alcuna simpatia politica. È abile a dar ragione a chi gli sta di fronte, evita entusiasmi. Legge solo giornali e riviste. La cultura di base è pateticamente lacunosa. Squallore: ecco quel che avvertiva Jorio attorno a sé. Certamente rimpiangeva tempi più severi. Che c’erano stati. Aveva delineato altri profili, con inchiostro al curaro. Il branda (capo-redattore che mai si stacca dal computer, la sua vita privata è relegata a telefonate onanistiche); Il grande inviato (dice sempre di sapere quel che ci sta dietro: più che ragionare, prevede); Il siciliano (messo lì da un corruttore potente, inzuppa i suoi articoli nelle insinuazioni. C’è chi mormora che scriva “sotto dettatura”. È sicuro di ottenere promozioni); Il professore- (Una volta insegnava, possiede cultura profonda ma non la sfoggia. Sostanzialmente emarginato, anche se lodato in pubblico; non rari i sorrisi di mezzo compatimento). Mi chiesi, ovviamente: era lui, Jorio, il professore? Peccato che non avesse scritto la sua commedia sul girone comico-infernale del giornalismo. Sfogliai altre pagine. C’era una frase in stampatello: «Si perde una figlia, poi si muore per ritrovarla».

In quell’acquario di mediocrità e meschinità che era il giornale per il quale aveva sputato l’anima,

In quell’acquario di mediocrità e meschinità che era il giornale per il quale aveva sputato l’anima, doveva consolarsi pensando a sua figlia. La frase “si muore” poteva indicare due cose. La prima: consunzione per rimorso. Seconda ipotesi: morte autentica Jorio doveva consolarsi pensando a sua figlia. La frase“si muore”poteva indicare due cose. La prima: consunzione per rimorso, o malinconia. I doveri di padre talvolta si sbriciolano. Rimangono in mente le piccole mani dei figli, tracce di Dio. Seconda ipotesi: morte autentica, lontana dalle metafore, rischio corso in favore della figlia. Alcide Jorio aveva venduto tutti i suoi mobili, quelli di famiglia, per ricavare soldi. Per lei? Ma quando e come la vedeva? Jole Santilli, ora vedova Jorio, dava l’impressione di voler convincere se stessa, prima ancora che gli altri, di essere l’unico genitore. Andai in bagno e mi preparai per la notte. Al contatto col lenzuolo mi venne in mente Marina. L’indomani avrei aperto la porta del suo appartamento. Avevo le chiavi. Aveva così tanto insistito che fossi io a possederle. Voleva l’accoglienza, quel barlume di routine coniugale che il lavoro le negava, mentre gli anni andavano avanti. Sfioriva? Sì, ma con dignitosa sensualità. Però sulle stagioni era pensierosa, o incattivita per quel continuo tener lontano la

zampa viscida del tempo. Qualche capello bianco? E allora rossi se li tingeva, il colore dello schiaffo. Poi tornava bruna, meno male. Scorsi alcuni ritagli di giornale. La famosa“inchiesta Scorrano”. Dal nome di Augusto Scorrano, politico corrotto e, a quanto si diceva, colluso con la malavita. Abruzzese, generoso portatore di voti a una corrente di partito, ex sottosegretario all’Industria.

Anziano, ma soprattutto sfiancato dal passaggio tra prima, seconda e terza repubblica, ammesso che fossero scelte e non solo capriole sulla stessa erba fracica, sfiorato appena da Tangentopoli ma qualche sputo sulla giacca gli era rimasto, schizzi di fango dicevano i sodali in quel vittimismo corporativo che doveva ridiventare bandiera, sospetti indecenti replicavano altri, così miopi però da non vedere che quella melma s’era mischiata al sangue delle vene, quindi immortale e resistente a qualsiasi trasfusione, a meno di concepire progetti idioti in qualche valle del Nord, dove la storia non la si leg-


LA PERDUTA GENTE Non si faceva mancare nulla, nemmeno il cattivo gusto di certa mobilia. Dalla diga alla fine uscì un rivoletto d’acqua. Aveva puntato tutto sul dolore per un fratello schiacciato come un topo tra i vicoli: forse desiderava riabilitarlo

Illustrazione di Michelangelo Pace

Nelle puntate precedenti Stauder esamina attentamente gli appunti del cronista Jorio. Riflette anche su una incongruenza: Jorio è morto con la testa nel forno, però nei suoi polmoni non ci sono tracce di gas. Altra curiosità: l’uomo, che era solito passare delle ore alla finestra, poco tempo prima si era disfatto di tutti i suoi vecchi mobili. Stauder intanto sente la sua amica Marina, con la quale da tempo ha un rapporto amoroso, a fasi alterne.

ge, la si inventa. La salvezza o la resurrezione possono scegliere scorciatoie. E così fece l’onorevole Scorrano: non per il partito, non per la corrente. Solo per sé: se si doveva essere naufraghi, meglio cercare un tronco del tutto personale. Jorio s’era infilato obliquamente in questa vicenda. Poteva darsi che questo fosse il suo modo di procedere, pure nella vita privata. Un’estate di anni fa era scoppiato

lo scandalo Torchini: finanziere pugliese, con qualche reato sulle spalle, che voleva scalare società, allargare l’accampamento, ma per far questo si doveva districare nel bosco umidiccio dei benemeriti in doppio petto. Tuttavia quei vestiti gessati, annusando odore di stalla e sudore predatorio, crearono una falange macedone. Astuzie bizantine sia negli avamposti che nelle retrovie. Ed ecco il crack di Torchini, che aveva prima illuso e poi sposato una starlet della tivù. Errore grave. Quale parete societaria intendeva scalare il finanziere di Puglia? Lo faceva da solo, per conto di qualcuno o assieme a qualcuno? In quei mesi di caldo africano Jorio, chissà per quale impennata, usò il mezzo più semplice: l’avanzare diagonalmente, appunto. Come cronista senza mostrine. Del resto non era in grado di fare lo slalom tra gli incestuosi ninnoli della grande finanza. A lui interessavano le persone e quel che nascondevano. Era abile a trovare il punto debole di tutti. Nessuno ci aveva pensato prima. Partì per Parigi. La storia dello scandalo, a parte le complicazioni economiche, era semplice. Nel momento che precedette l’affogamento, il finanziere Torchini s’era deciso a chiedere un aiuto sbrigativamente criminale al cognato Aldo Ialuna, fratello di Luisa, sua prima moglie, la donna che venne poi brutalmente scalzata dalla starlet, più giovane e con una scollatura che finiva sovente su

carta patinata. Aldo Taluna, nativo di Cropani, di cosca calabrese, ricordò l’azzurro sfacciato della sua costa prima di cadere sotto i colpi di pistola al confine italofrancese, là dove Ventimiglia diventa kasba, labirinto adatto a ingoiare sangue e cadaveri. Luisa, trasferitasi a Parigi, nutriva un doppio rancore. Questo il grimaldello nella tasca del cronista. Ma come fece a scovarla? «Io son sempre rimasta fuori da tutto», questa la frase d’esordio di Luisa, donna il cui fulgore mediterraneo era come un fico rimasto troppo al sole. Il cronista: «Lei fu abbandonata da suo marito, Alessio Torchini, o fu lei a lasciare il fetore che si spandeva attorno?». Risposta prevedibile: «Del fetore, come lo chiama lei, mi accorsi in tempo». Una gran balla, doveva aver pensato Jorio, che però stava conducendo la donna a bagnare nell’orgoglio la lama della vendetta. Fratello ammazzato, marito a braccetto con diva da rotocalco: era questo il prezzo da pagare al Torchini in cambio della doppia firma su conti bancari di Lugano e delle Caiman? Altre parole: «Mio fratello Aldo era stato prosciolto… la giustizia prende di quelle cantonate… Ma poi diventò, per l’aiuto che dette al mio ex marito, un’ombra, una macchia nera… faccia lei due più due… ». Domanda: «Lei, signora, è mai andata a trovare suo marito in carcere?». «E me lo chiede?». «Forse avete ancora cose da dirvi… ». Jorio si faceva scivolo-

so, ma voleva pattinare con lei al braccio sullo stesso pavimento. «Mi sa che non abbiamo più nulla da dirci». «Ma lei di cose ne sa… io credo tante… ». «Non sono scema, questo è certo. Io non l’ho mai pugnalato alle spalle… ». «Ma lui sì». Jorio aspettava che si aprisse una falla nella diga. Le crepe c’erano. Dopo un valzer di domande e risposte sul terreno della dignità offesa, Jorio stava ottenendo la cosa o la mezza cosa per la quale s’era imbarcato sull’aereo, destinazione Rue Parnelle, vicino al Beaubourg. Stradina centrale ma silenziosa. Abitazione di Luisa. Non si faceva mancare nulla, nemmeno il cattivo gusto di certa mobilia. Dalla diga alla fine uscì un rivoletto d’acqua. Jorio aveva puntato tutto sul dolore per un fratello schiacciato come un topo tra i vicoli di Ventimiglia. Scommesse anche sul suo desiderio di riabilitarlo nella memoria: propria (vabbè, era dovere calabrese) e collettiva (illusione di tutti). «Signora, se lei dice, e io le credo, che Aldo Jaluna, suo fratello, non aveva alcun rapporto con i malavitosi… se lei, mi sembra di capire, esclude che la sua morte sia stata un incidente, una coincidenza fortuita… un caso disgraziatissimo, insomma… ». «Stia attento: ho capito!». «Signora, anche un idiota arriva a collegare la morte di suo fratello con l’aiuto che questi dette a suo marito».

Replica fulminea: «Ma non credo che il mio ex marito sia un killer… lui s’è trovato immischiato in cose più grandi di lui… ». Consueta retorica familiare in tempi di corruzione fetosa. «Più grandi in che senso? Non mi dica che Alessio Torchini non era in grado di dominare la situazione… al punto in cui era arrivato… un intermediario ad alto livello, anche all’estero… ». «Esistono situazioni laterali». «Le credo, ma non riesco a immaginarle… ». «Ci sono, ci sono». «Quindi malavita contro malavita… eppure la scomparsa di Aldo doveva servire a qualcuno in un certo preciso momento… ». «La malavita non è un film western». «Arma impugnata da qualcuno che sta fuori o a margine… o in alto… ». «C’è sempre qualcuno che ci sta accanto, sopra, dietro. Nessuno è mai solo». «Siccome suo fratello è stato ucciso alla vigilia del processo che si è concluso con la condanna di suo marito… siccome durante il processo sono venute fuori delle cose… non si ricorda quel che scrissero i giorna-

li?». «Non li leggo». «Glielo ricordo io. Parlarono di “viperine connivenze”… ». «Per me è arabo». «Un’espressione un po’colorita… usata dall’accusatore in toga. Alludeva alla politica?». «Ah, quella!». Ora Jorio doveva assestare due o tre colpi giusti, altrimenti era meglio uscire dal ring. Puntò tutto sul legame tra fratello e sorella, patto di sangue. «Venne tirato in ballo l’onorevole Scorrano. Lei lo conosce, vero?». «Certo». «Doveva salvarsi a tutti i costi. Non agiva solo per conto proprio… c’era un gruppo, dietro… ». «Di politica capisco poco». Jorio le ricordò la nuda cronaca. Aldo Jaluna un giorno si salvò per miracolo da una morte che doveva essere certa. Gli manomisero la macchina, ma lui fu svelto e fortunato. Alcuni testimoni dell’incidente, dal quale uscì illeso, riferirono che attorno all’auto si radunarono alcuni individui “disutibili”. Lui scappò. Altro subodorava. Quelli frugarono dentro l’auto. Cercavano documenti che Jaluna si era portati dietro. Lui scomparve. Evidentemente voleva raggiungere la Francia e da lì scatenare l’inferno contro il cognato che l’aveva usato salvo poi volerlo scaricare. «Bastardi», ecco il commento della donna. «Chi, signora? Certi politici?». «O uno solo». «L’onorevole Scorrano?». «Io ero già a Parigi, non sapevo dell’attentato a mio fratello… l’hanno ammazzato due volte… ». «Voleva portare il dossier qui da lei». «Io non ho nulla». «Forse gliel’hanno rubato a Ventimiglia. L’hanno scovato, seguito, braccato. Come nei film che si girano a Marsiglia. Ce l’hanno fatta. L’onorevole Scorrano non è stato inquisito. Suo marito sì. Diciamo che ha pagato solo lui». Certo che Jorio, accennando a Scorrano, azzardò moltissimo. Il codice penale stava per diventare uno stiletto in pancia. È probabile, pensai, che a quel punto Luisa Torchini avesse esclamato, dalla sua poltroncina con braccioli dorati: «Ben gli sta a quel fottutissimo e alla sua troia bionda!». Frase che non era nell’articolo, ovviamente. Mi venne un altro immaginare: che Jorio avesse continuato a conversare con l’ex avvenente signora. A microfoni spenti, per così dire. E se fosse riuscito a capire che Luisa custodiva a Parigi qualcosa di compromettente? E se, e se… L’ipotesi che il cronista avesse portato in Italia una carta segreta poteva condurmi in mare aperto. Spensi la luce, erano quasi le tre.

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DIAMO I NUMERI Quando nel 525 Dionigi il Piccolo fissò il calendario calcolato sull’era cristiana, non tenne conto dello zero perché il numero entrò nella cultura europea tra il mille e il 1200. Perciò si passò direttamente dall’1 avanti Cristo all’1 dopo Cristo esù Cristo è nato prima di Cristo. Eh sì, Michele Santoro si deve rassegnare, ma l’Anno Zero non esiste. Ebbene sì, una locuzione diventata così di moda, così diffusa, che entra in gioco ogni volta si parli di un punto di partenza, di un inizio, o anche di un nuovo inizio, è totalmente infondata. Totalmente. Perché quando venne fissato il calendario calcolato sull’era cristiana (e in un altro articolo vedremo che comunque i calcoli erano sbagliati), non si tenne conto dello zero, anche perché lo zero entrò nella cultura europea tra il mille e il 1200. Si passò direttamente dall’1 avanti Cristo all’1 dopo Cristo. E quindi Gesù sarebbe nato il 25 dicembre dell’anno 1 avanti Cristo. Con alcune conseguenze anche sui calcoli che facciamo oggi, per esempio per il passaggio di secolo e di millennio, oppure per calcolare quanti anni sono passati da un evento avvenuto prima dell’era cristiana.

G

Fu il monaco originario della Scizia Dionigi il Piccolo, verso l’anno che grazie a lui sarebbe diventato il 525 dopo Cristo, a fissare l’anno di inizio dell’era cristiana. Dionysium Exiguum, sulla base delle decisioni prese al Concilio di Nicea venne incaricato di formulare i calcoli per fissare ed armonizzare la data della celebrazione della Pasqua. Ebbe così l’idea di fare un lavoro ancor più completo stabilendo l’anno della nascita di Cristo per poterlo utilizzare come base di partenza del conteggio degli anni, al posto del sistema pagano allora ancora in uso che prendeva come punto di partenza l’incoronazione

Un anno in meno Non ci fu nessuno zero a. C. Ecco le radici di un falso mito di Osvaldo Baldacci

di Diocleziano nel 284 d.C. Introdusse quindi l’usanza di contare gli anni ab incarnatione Domini nostri Jesu Christi (“dall’incarnazione di nostro Signore Gesù Cristo”). Facendosi i suoi calcoli che non sono stati del tutto chiariti (ma che sembrano corrispondere all’incirca a una datazione fornita dai Padri della Chiesa sin dal II-III secolo), stabilì che Gesù era nato il 25 dicembre dell’an-

Nel Settecento Jacques Cassini propose una cronologia detta “degli astronomi”, che a differenza di quella degli storici prevedeva anche un “anno vuoto” per la Natività no 753 dalla fondazione di Roma (ab urbe condita), e così il successivo 754 dalla nascita della città diventava il primo dalla nascita di Gesù, e quindi il primo dell’era cristiana, cioè l’1 d.C. Questo calcolo fu ap-

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provato da Papa Giovanni II e, a partire dall’VIII secolo, adottato in tutto il mondo cristiano su impulso di studiosi come Beda il Venerabile. Secondo molti storici Dionigi in realtà si sbagliò di diversi anni, mentre uno studio del 2000 di Giorgio Fedalto rivaluta la possibilità che la data sia corretta. Ma comunque non di anno 0 si parla, perché appunto, Dionigi, lo zero non lo aveva proprio nel suo orizzonte culturale. E ancora oggi l’anno zero del nostro calendario non c’è, e anche l’entrata in vigore dell’attuale calendario gregoriano non ha cambiato questo stato delle cose subentrando al calendario giuliano. Il problema poi si intreccia con quello della scelta del giorno in cui inizia l’anno, perché solo con la riforma gregoriana si è gradualmente affermata la scelta del primo gennaio come capodanno.

La mancanza dell’anno 0 falsa alcuni calcoli cui siamo abituati. Ad esempio quando viene festeggiato il Natale di Roma si prende come punto di partenza la data tradizionale del 753 a.C. che sommato all’anno in corso dà come risultato che nel 2010 si è festeggiato il 2763° anniversario dalla fondazione di Ro-

ma. Sbagliato. In realtà Roma è nata 2762 anni fa, appunto perché manca l’anno 0. E questo per ogni ricorrenza o comunque calcolo relativo a quanti anni sono trascorsi da una data precedente la nascita di Cristo. Un esempio classico, che magari non appassionerà, è la durata del regno del primo imperatore romano Augusto, proprio a cavallo del passaggio di era, che non è di 41 anni e 7 mesi ma “solo” di 40 anni e 7 mesi. Ma veniamo ad un’altra oziosa e molto dibattuta questione. Tecnicamente, spiace rivelarlo, nel 2000 abbiamo festeggiato invano il cambio del millennio. Se infatti un millennio dura mille anni, e se l’anno 0 non esiste, allora il primo millennio è cominciato il primo gennaio dell’anno 1, e di conseguenza si è concluso il 31 dicembre dell’anno 1000. E così per il millennio successivo, e quindi il ventunesimo secolo e il terzo millennio hanno in realtà visto la luce solo il 1° gennaio 2001. E lo stesso vale per ogni secolo, che non comincia al cambiare delle centinaia, ma all’anno 1 di ogni secolo. Se questa pignoleria vi sembra eccessiva, beh in questo una soluzione c’è. Anzi, persino più di una. Quella vera è che trattandosi comunque di

cronologie convenzionali usate soprattutto dagli storici da un lato e dalla gente comune dall’altra, non c’è problema a utilizzare convenzionalmente gli inizi e le fini dei secoli e dei millenni secondo l’uso comune.

Voglio dire che è senz’altro più facile accettare che il primo secolo è durato in realtà 99 anni, andando contro le convenzioni matematiche che assegnano 100 anni a ogni secolo, piuttosto che modificare il concetto che il secolo non comincia con la cifra tonda del doppio zero e il corrispettivo cambiamento della cifra che indica le centinaia. D’altro canto ormai il concetto di zero non solo è entrato nella nostra cultura, ma vi è penetrato così a fondo da averci fatto dimenticare che un tempo non c’era. Esiste poi un’altra alternativa, poco in voga per i motivi appena illustrati. Nel Settecento Jacques Cassini propose una cronologia detta degli astronomi, che a differenza di quella degli storici prevede anche un anno zero in corrispondenza della presunta nascita di Cristo. Questa notazione è stata recentemente adottata dalla norma Iso 8601. Con questa i secoli e i millenni finiscono con gli anni 99, ma è un ben piccolo vantaggio rispetto a tutti gli altri cambiamenti, che peraltro per coerenza dovrebbero investire anche altre situazioni che non cominciano da zero, come ad esempio i mesi e i giorni del mese, ma che non ha senso far cominciare dallo zero. Teniamoci quindi il calendario così come è, e tanti saluti all’anno zero.


I TESORI DELLE GRANDI CIVILTÀ stato uno dei più grandi archeologi e orientalisti italiani. Ugo Monneret de Villard, docente di storia dell’architettura al Politecnico di Milano dal 1913 al 1924, viaggiò lungamente in Africa e Asia per conto del ministero degli Esteri, dall’Egitto all’India, all’Asia centrale. Il materiale raccolto in questi viaggi trovò esito, in parte, in pubblicazioni sulla storia della Nubia romana e cristiana e sull’arte e architettura copta e musulmana. Il suo archivio fu donato dalla famiglia alla biblioteca di Archeologia e Storia dell’Arte di Palazzo Venezia a Roma. Tra i tanti contributi scientifici, oltre agli studi dedicati alla Nubia in generale e al monastero di San Simeone ad Assuan, vale ricordare lo studio che il Monneret ha dedicato alle chiese della Mesopotamia.

È

VICINO ORIENTE Alla scoperta dell’architettura religiosa che arricchì di influssi ellenistici la terra dei due fiumi

Le chiese cristiane della Mesopotamia di Rossella Fabiani

Quello che appare evidente dalle ricerche condotte dal Monneret è che nel suo assieme l’architettura cristiana della Mesopotamia ha delle caratteristiche peculiari che la distinguono da quella delle regioni vicine e anche dalle altre scuole architettoniche dell’orbe cristiano. Questa architettura si stende su un’area abbastanza limitata, area le cui frontiere si devono cercare più nella storia che non nella geografia, in quanto sembra non comprendere se non quella parte della Mesopotamia che è stata più o meno continuamente sotto la dominazione dei Sasanidi. Il rimanente del territorio, che è ancora geograficamente Mesopotamia, ma che i sasanidi non hanno dominato se non saltuariamente e che è stato per secoli bizantino, appartiene alla scuola della Siria settentrionale pur con delle caratteristiche peculiari. Come in tutte le regioni di frontiera gli scambi e gli influssi sono frequenti: ma nel nostro caso di una ben diversa intensità. Qualche rara forma mesopotamica emigra verso occidente: una struttura caratteristicamente sasanide si ritrova a Diyarbekr ed è arrivata, per tramite e vie ipotetiche, sino in Dalmazia; una planimetria di chiesa monastica del Tur ‘Abdin è passata in Cappadocia e fu trasportata in Egitto da una colonia cristiana di Takrit; e infine un tipo di navata con le pareti rivestite internamente da arcate, caratteristica anche questa del Tur ‘Abdin, si è diffusa in tutto l’Oriente e da qui in Dalmazia e nell’Italia meridionale. Per contro gli influssi siriani sono profondamente penetrati in Mesopotamia: in questo senso l’opera dei monofisiti deve avere avuto un grande peso. A essa probabilmente si devono i colonnati e il coro nel centro della navata che ritroviamo ad al-Hirah, l’abside semicircolare nelle chiese del Tur

di e i Parti. E questa è la caratteristica fondamentale dell’architettura cristiana nella regione dei due fiumi. Quando l’architettura cristiana è nata, tutto il resto del mondo dove la nuova religione era penetrata si trovava sotto il dominio romano e in un ambiente artistico relativamente uniforme. Al principio del IV secolo, per la chiesa, fu adottato in tutto l’impero romano un tipo unico, strettamente collegato con la basilica ellenistica, trasformato solo per necessità e tendenze locali. Anche la cosiddetta basilica orientale dell’Anatolia, se pur pensata come costruzione a volte e non con soffittature e tetti in legno, pur con la facciata a due torri, rimane nella struttura generale una basilica. Comunque la Mesopotamia ignora, in massima parte, la basilica: dove questa appare è per influssi stranieri. E questo è naturale visto che la chiesa mesopotamica si forma già nel III secolo in un territorio che è al di fuori del mondo romano e che non è mai stato profondamente

Al principio del IV secolo, fu adottato in tutto l’impero romano un tipo unico, strettamente collegato al modello della basilica penetrato dall’ellenismo, un mondo che aveva delle sue proprie tradizioni millenarie che poi si sono mantenute anche con la nuova religione. È, in un certo senso, il concetto antichissimo del tempio babilonese e assiro che persevera nella chiesa mesopotamica.

‘Abdin, la basilica di Gebel Singar; e tutta la decorazione scolpita delle chiese del Tur ‘Abdin, precedente al X secolo, deriva da quella dei monumenti della Mesopotamia bizantina e della Siria settentrionale, da Rusafah a Nasibin dove si direbbe che ha raggiunto il massimo del livello artistico. Un monumento come la chiesa di al-Adra a Hah non ha di mesopotamico se non la planimetria che continua un tipo indigeno: ma la realizzazione artistica, le volte, la scultura, è tutto di stampo siriaco. Anche le volte a mattoni delle

Legati alle più antiche tradizioni locali, gli edifici sacri sono ispirati al vecchio concetto del tempio babilonese e assiro chiese del Tur ‘Abdin sono realizzate secondo un procedimento costruttivo bizantino. Queste influenze non tolgono, però, all’architettura cristiana della Mesopotamia il suo carattere fondamentale di essere profondamente legata alle più antiche

tradizioni locali, al più profondo carattere indigeno. Le chiese di Ktesiphon riproducono delle sale di palazzi sasanidi, le chiese del Tur ‘Abdin riprendono le più antiche strutture dei templi assiri e babilonesi che erano state mantenute sotto i seleuci-

E questo perché l’ellenismo importato trionfalmente con la conquista di Alessandro, se pur oltre l’Eufrate si è propagato fino al cuore dell’Asia e sembra per secoli vivificarne lo spirito, se pur dà luogo al miracolo bactriano e alla scultura grecoindiana, se pur dona all’India l’immagine del Buddha, se spinge le sue propaggini sino alla frontiera della Cina, se dà la materia sulla quale vive in gran parte l’arte dei Parti, non pertanto l’ellenismo asiatico è rimasto un fenomeno da superficie: l’Asia non ne ha mai compreso, né assimilato lo spirito. Non comprende, né assimila, allo stesso modo, le sue ultime espressioni, e l’architettura ellenistica al di là dell’Eufrate non può essere vitale e non vive. È l’antichissimo fondo indigeno che risorge sempre e attraversa questa effimera corteccia, e riprende il suo pieno dominio dopo i periodi di crisi e di eclisse.

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BREVI AMORI A PALMA DI MAIORCA DDII GIORGIO BIANCHI

CINEMA CALDO

Quando Albertone è in vacanza di Alessandro Boschi

a fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta sono stati caratterizzati da una infinità di pellicole balneari, una delle più divertenti è Brevi amori a Palma di Majorca (da ora in poi Bapm) di Giorgio Bianchi, che rappresenta il classico esempio di film non solo balneare ma anche corale. Oddio, forse sarebbe più giusto dire balneare che tenta di essere corale, perché questo film, come si dice nel gergo, se lo “mangia” tutto il protagonista Alberto Sordi che, come gli capitava spesso nelle pellicole di modesta sceneggiatura, sovrasta tutto e tutti. D’altra parte in quell’anno, il 1959, Alberto Sordi aveva interpretato molti altri film ed era evidente che non tutti potessero essere dei capolavori come La grande guerra che si aggiudicò il Leone d’oro alla mostra di Venezia a pari merito con Il Generale Della Rovere di Roberto Rossellini.

L

Vedendo Bapm viene da chiedersi: ma era proprio necessario andare a girare lì? Che so, Ischia, Capri, Posillipo, non andavano bene? In realtà pare che il film si dovesse girare proprio a Ischia, ma a un potente produttore dell’epoca non andava giù che per la “sua” isola dalle magiche virtù termali (Ischia, appunto) si aggirasse uno zoppetto ancorché simpatico come Anselmo Pandolfini. Il potente produttore si chiamava Angelo Rizzoli, meglio conosciuto come il cummenda. Rizzoli, milanesissimo, detestava Sordi e tutto quello che il romanissimo attore incarnava. Quindi, se da una parte la zoppia di Anselmo Pandolfini poteva essere una trovata di Alberto Sordi che amava caratterizzare l’aspetto del proprio personaggio con delle trovate a volte anche bizzarre, è anche vero che un personaggio potente come il produttore milanese poteva anche togliersi lo sfizio di “consigliare”un cambio di location. Ed è qui che entra in scena, fuori di metafora, il secondo film del giorno. Esattamente due anni prima di Bapm, Mario Camerini aveva diretto Vacanze a Ischia. Che proprio Angelo Rizzoli aveva fortemente voluto per il lancio turistico di quella che considerava la propria isola. Capite bene che quello zoppetto come testimonial non andava proprio bene! A nostro avviso invece Anselmo Pandolfini è il prototipo dell’ottimismo, della gioia di vivere, la sua gambetta strabica non gli impedisce di vivere con una sfrontatezza tale che tutto gli sembra possibile, anche ottenere i favori di bellissimi esemplari femminili. Il suo motto è: «Non esistono donne impossibili, prima o poi tutte hanno un momento di cedimento, e allora zac!, devi essere nei paraggi per approfittarne!». Per Anselmo Pandolfini i rifiuti e le porte in faccia non sono umiliazioni, egli non ha né orgoglio né falso amor proprio, è pienamente consapevole del suo essere asfissiante, ma lo considera l’unico modo per ottenere quello che vuole. Il suo handicap non lo frena, anzi, sembra che nemmeno lo calcoli, un po’ come un altro personaggio che interpreterà

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qualche anno dopo ne I complessi, quel Guglielmo il Dentone che a dispetto di una dentatura da coccodrillo sbaraglierà la concorrenza e vincerà il concorso per annunciatore della Rai. Così come il prode Anselmo sbaraglierà la concorrenza di un americano molto incline all’alcol e dallo stesso inclinabile. La preda ambita da Anselmo è la bella diva americana Mary Moore, interpretata da Belinda Lee. Che però americana non era bensì inglese. Non solo, ma contrariamente a quanto si può pensare vedendola in Brevi amori a Palma di Majorca, era un’attrice di rango e aveva studiato recitazione al Rada, la molto selettiva Royal Academy of Dramatic Art di Londra. Belinda era fidanzata con un regista italiano di mondo movie, sì, i mondo movie, quei film squallidi tipo Mondo cane, Africa addio e Ultime grida dalla savana, per intenderci: ciarpame travestito da indagine giornalistica. Insomma, si fidanza con Gualtiero Jacopetti. Purtroppo, durante una vacanza in California, la coppia rimane coinvolta in un inci-

prochiamerebbe duct placement, all’epoca si faceva e basta. Anche questo contribuisce a farci preferire Bapm. Un po’perché i veti vagamente razzisti (al di là di storie e leggende) proprio non ci piacciono. Un po’perché Bapm ha un posto importante nella nostra cinematografia essendo uno dei primi film in cui un attore tenta con successo di prevaricare il regista, e in questo caso non un regista qualsiasi. Giorgio Bianchi infatti era un professionista di grande esperienza e personalità. Nel 1959, anno di Bapm, aveva già diretto una quarantina di film e di certo sapeva come tenere a bada un attore esuberante… ma evidentemente non gli era capitato mai un Alberto Sordi! Che poi è il terzo fondamentale motivo che ci fa preferire questo film a Vacanze a Ischia. Il 1959 rappresenta per Sordi l’anno della consacrazione. Pensate che per lanciare un film nel quale aveva appena una decina di pose, Il giovane leone di John Berry, si tentò di farlo passare come protagonista assoluto. La pubblicità recitava: «Mi si crede un Casanova/ che trionfa in ogni alcova…/mentre invece, e qui mi fermo/ mi vedrete sullo schermo/». Sordi denunciò pubblicamente la truffa con una lettera spedita al critico cinematografico del quotidiano di sinistra Paese sera.

Pandolfini è il prototipo dell’ottimismo, la sua gambetta strabica non gli impedisce di ottenere i favori di belle creature. Il suo motto è: «Non esistono donne impossibili, prima o poi hanno tutte un cedimento» dente stradale che costa la vita all’attrice. Era il 12 marzo 1961, Belinda Lee non aveva ancora compiuto 26 anni. Vacanze a Ischia, oltre a essere diretto davvero da un regista grandissimo come Mario Camerini, può vantare un cast davvero stellare, con Vittorio De Sica, Marisa Merlini, Maurizio Arena e il gigantesco Paolo Stoppa. Conta inoltre su una sceneggiatura a quattro mani realizzata da due coppie giovani e rampanti: Benvenuti-De Bernardi e Festa Campanile-Franciosa. La trama è però sfacciatamente sebbene legittimamente funzionale a trasformare le storielle di personaggi giovani e meno giovani in un gigantesco spot promozionale dell’isola. Oggi si

La fortuna di Alberto Sordi è dovuta a un grande talento, a una grande preparazione e a una feroce applicazione. Ma è anche dovuta al suo sapersi porre in una maniera tale da farsi apprezzare da chiunque. Quando due anni dopo Bapm, nel 1961, ci fu la prima di Una vita difficile di Dino Risi, Sordi venne abbracciato alla fine della proiezione da un commosso Palmiro Togliatti. Sordi un po’ stupito contraccambiò l’abbraccio sussurrando al segretario del Pci: «Onorevole, lei sa vero che io non milito nel suo partito, sono lontano dalle sue idee». E Togliatti: «Certo che lo so, ma oggi tutti noi abbiamo apprezzato e amato l’artista Alberto Sordi, e non ha importanza se il cittadino Sordi la pensa in maniera diversa!». Altri tempi, altri amori, seppure brevi.


o p i n i o n ic o m m e n t il e t t e r ep r o t e s t eg i u d i z ip r o p o s t es u g g e r i m e n t ib l o g e di cronach di Ferdinando Adornato

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Manovra economica: più chiarezza e meno diversivi Il ministro dell’Economia si è finalmente ricordato anche della sanità affermando che «Non c’è nessun blocco del turn-over nella sanità». Ma vista la confusione sul tema, per scrivere la parola fine alla vicenda, aspettiamo che sia messa nero su bianco l’esclusione della sanità dal blocco del turn over. Un aspetto così importante come quello della garanzia di turnover dei medici e dirigenti sanitari, veterinari e amministrativi del Ssn, indotti alla fuga di massa cui assisteremo nei prossimi anni, merita certezze e chiarezza al fine di non generare discriminazioni tra una regione e l’altra e tra un’azienda e l’altra. Invitiamo anche i ministri Tremonti e Fazio per sollecitarli a rispondere anche in merito ad altre questioni: quali saranno le conseguenze del licenziamento della metà dei giovani precari impegnati nel pronto soccorso sui tempi di attesa dei cittadini, sulla sicurezza delle cure e anche sui certificati di malattia da inviare per via telematica? Quali sono le motivazioni di ordine economico alla base di una decretazione di urgenza che precarizza tutti gli incarichi professionali lasciati alla discrezionalità dei direttori generali e alla invadenza dei partiti in sanità?

Lettera firmata

CALDO E STRESS, L’INFLUENZA COLPISCE ANCHE D’ESTATE Debolezza, raffreddore, naso chiuso e febbre, anche a 39°. Sono i sintomi tipici della sindrome influenzale che compare d’inverno, ma migliaia di italiani ne sono colpiti anche nei mesi estivi. Ma si tratta di una vera influenza? La chiave per guarire è guardare alla patologia partendo dalla fisiologia del nostro corpo. Non bisogna pensare sempre ai virus come causa scatenante. Nel periodo estivo due fattori, uno ambientale e uno psicoemotivo, si legano scatenando reazioni anomale nel sistema immunitario: le alte temperature e un’alterazione dei livelli di stress. L’idea che l’estate sia un periodo di pace e di relax, infatti, non è sempre vera. La stanchezza si accumula dopo mesi di lavoro, causando un aumento dello stress, e i problemi organizzativi per le vacanze possono essere fonte d’ansia. Per i bambini la fine della scuola coincide con un brusco cambio di abitudini, mentre gli studenti universitari sono impegnati negli ultimi sforzi per le sessioni d’esame estive. L’ambiente esterno, poi, mette a dura prova i sistemi di autoregolazione dell’organismo: a mandare in tilt il nostro corpo non è solo il caldo, ma soprattutto gli sbalzi di temperatura, dovuti a variazioni climatiche o a cause indotte dall’uomo. A fronte di questi fatto-

ri, il sistema immunitario si trova a dover cambiare improvvisamente il modello di difesa che ha mantenuto durante l’anno: quello che si può fare è aiutarlo a “rimettersi in sesto”più velocemente. In che modo? Prima di tutto riparandoci dal calore e dal freddo eccessivi. Poi, seguendo un’alimentazione equilibrata, fresca e nutrizionalmente valida, a base di frutta e verdura. Bere molta acqua è estremamente importante per mantenere idratazione ed equilibrio idrosalino. Fondamentale, infine, è riposarsi, assecondando i tempi e le reazioni del nostro corpo.

Samorindo Peci

AGLI AVVOCATI NON È PERMESSO PROMUOVERE PREZZI CHIARI E MODICI «Un’impropria attività di captazione della clientela, operata con metodi illeciti, in ragione della suggestione, equivocità ed eccesso». È uno dei passaggi della motivazione della decisione dell’ordine forense di Monza di sospendere per due mesi in primo grado cinque avvocati. L’accusa: aver leso dignità e decoro della categoria per aver proposto e pubblicizzato su un quotidiano locale una tariffa vantaggiosa, 612 euro (Iva inclusa) per assistenza in cause di separazione consensuale e divorzio. La decisione dell’ordine di Monza impedisce di fatto che il professionista si avvalga di

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CLEVELAND. Mia Landingham è stata condannata per l’omicidio del convivente, Mikal Middleton-Bey. Sono drammi che accadono di frequente, ma in questo caso il fatto è decisamente insolito. Infatti la donna ha ucciso il fidanzato sedendosi sopra di lui, durante l’ultimo dei frequenti litigi: la Landingham, che pesa quasi 140 chili, ha letteralmente sbriciolato il fidanzato, che invece pesava poco meno di 55 chili. Il giudice ha riconosciuto l’involontarietà dell’omicidio è ha condannato la donna solamente a tre anni con la condizionale e a 100 ore di servizi sociali, e quindi non sconterà nessun giorno di prigione. BRIGHTON. La 29enne inglese Sandie Craddock, invece, «a causa dello squilibrio ormonale legato alla sindrome pre-mestruale» ha ucciso a coltellate un suo collega di lavoro nel bar dove lavoravano. Non è noto cosa abbia fatto scattare la molla dell’aggressione. Quello che è noto però che che il giudice ha identificato a motivazione dell’aggressione, come detto, alla sindrome premestrurale e pertanto ha deciso di derubricare l’accusa da omicidio volontario a omicidio colposo. La Craddock pertanto non ha avuto una condanna detentiva, e le è stato imposto una cura di progeterone.

una delle leve concorrenziali più efficaci nell’erogazione dei servizi professionali: la promozione dell’attività e la pubblicizzazione di tariffe chiare e convenienti.

Sabrina Cercola

LE TV LOCALI SONO ANTENNE DI DEMOCRAIZA REALE La difesa delle emittenti televisive locali è questione politica e istituzionale. Bisogna difendere le tv locali, che con il passaggio al sistema digitale terrestre rischiano di scomparire. Le recenti indicazioni dell’autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, riguardanti le frequenze rappresentano una ferita aperta nel sistema democratico di molti territori. Bisogna difendere le antenne di una democrazia reale e territoriale. Sono certo che in molti parteciperanno a questa battaglia che è trasversale, civile e culturale.

L’ALTO VALORE SOCIALE ED EDUCATIVO DELLE SCUOLE PRIVATE

Diffusione Ufficio centrale: Luigi D’Ulizia 06.69920542 • fax 06.69922118

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Assassine... ma niente prigione

Ellezeta

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e di cronach

LE VERITÀ NASCOSTE

Ma che caldo fa... Un conducente di autobus a Pechino ha dovuto fare i conti con uno strato di asfalto incollatosi come una gomma da masticare alle ruote del mezzo. Responsabile del disastro, l’ondata di caldo che ha investito la capitale cinese portando a un passo dal collasso la rete idrica, costretta a far fronte alla più alta domanda degli ultimi 100 anni

Occorre riconoscere l’alto valore sociale ed educativo delle scuole private che in diversi centri del Salento e della Puglia in generale hanno sopperito, con la loro presenza, alle gravi carenze e assenze degli enti pubblici, assicurando una formazione di alto valore ai bambini e ragazzi che li hanno frequentati. Sono stati stanziati 6 milioni di euro per programmare interventi regionali straordinari in materia di edilizia scolastica, finalizzati a fronteggiare situazioni gravi ed urgenti di messa in sicurezza e adeguamento a norma degli edifici scolastici pugliesi pubblici. Bisogna inserire anche le scuole private e gli asili e le scuole materne che sono di proprietà di enti religiosi e sono gestiti con grande professionalità e attenzione per l’educazione di molti ragazzi.

Donato Guarienti


mondo

pagina 18 • 6 agosto 2010

Diritti umani. La testimonianza della Venere nera fa riaccendere i riflettori sul commercio delle gemme e sulle guerre che si combattono in loro nome

Diamanti rosso sangue Da Charles Taylor a Robert Mugabe: ecco i tiranni che vivono sui “blood diamonds”. Senza dimenticare Dos Santos di Luisa Arezzo harles Taylor, fino al 2006, era il più famoso e famigerato leader africano a sfruttare i diamanti per mantenere il potere e alimentare un sistema di violenze, abusi e attività illecite di cui a pagare le conseguenze è sempre stata la popolazione civile. Oggi quel testimone è passato nelle mani del presidente dello Zimbabwe, Robert Mugabe. Ma solo perché, fra tutti i dittatori africani, è quello di cui le cronache - complice anche un famoso film con Sean Penn e Nicole Kidman - The interpreter - più si occupano. A detenere lo scettro di questa sanguinosa classifica, in effetti, soprattutto per lo straordinario giro d’affari, è il presidente angolano José Eduardo dos Santos, al potere da trent’anni (vi resterà ancora parecchio, visto che ha modificato la Costituzione di recente ed eliminato l’elezione democratica della figura presidenziale). Ma procediamo un passo alla volta. Sulla carta, l’Angola è in prima linea nella difesa globale delle esportazioni diamantifere “pulite”. Che non significa evitare lo sfruttamento minorile (financo la schiavitù) di adulti e bambini nelle miniere, ma solo che i profitti dei “brillocchi” non servano a finanziare guerre civili. Il governo di Luanda - la capitale angolana - ha infatti aderito al cosiddetto Kimberley Process, uno schema di certificazione volto a scongiurare che ribelli e forze di governo barattino i diamanti con casse di armi.

C

Si tratta di un sistema internazionale nato dallo sforzo congiunto di governi nazionali, multinazionali produttrici di gioielli e società civile. L’accordo che porta alla nascita dello schema di certificazione Kpcs ha origine nel maggio del 2000, con una conferenza a Kimberley, in Sudafrica, per discutere il legame problematico tra produzione di diamanti e conflitti nei paesi d’origine. A luglio dello stesso anno, viene istituito ad Anversa il World Diamond Council per iniziativa della World Federation of Diamond Bourses e dell’International Diamond Manufacturers Association: in sintonia con i

«Le ridicole dichiarazioni della modella all’Aja non le avrebbero immaginate nemmeno i Vanzina»

Naomi, la top che imita Marilyn ma ricorda Al Capone di Roselina Salemi l copione, in teoria, non è male. C’è un dittatore cattivo che paga in diamanti, c’è una top model, una festa a Città del Capo, scenario esotico quanto basta, e sullo sfondo una guerra, una delle solite (questa è la parte più noiosa). Resta da decidere se la protagonista femminile, Naomi Campbell, è molto furba o molto ingenua nel seguire il principio di Marylin: i diamanti sono i migliori amici di una ragazza. In questo caso avremmo l’eccezione alla regola: i diamanti possono anche mettere nei guai una ragazza, e guai seri. A Naomi hanno già rovinato la festa dei quarant’anni, dove il fidanzato Vlad Doronin, finanziariamente superdotato, avrebbe dovuto chiederle di sposarla e non l’ha fatto. È successo invece che il Tribunale dell’Aja le ha chiesto di testimoniare sui blood diamond ricevuti in regalo nel ‘97, dopo una cena organizzata da Nelson Mandela. L’incauto donatore è, con ogni probabilità, l’ex presidente liberiano Charles Taylor, sotto processo dal 2008 per aver finanziato, proprio con i diamanti insanguinati, la guerriglia in Sierra Leone: 12mila morti, stupri, torture, tutte cose che anche i meno attenti hanno scoperto nel famoso film con Leonardo DiCaprio, Blood Diamonds, appunto. Ora, la storia dei diamanti a Naomi è un po’ come l’accusa di evasione fiscale per Al Capone, irrilevante rispetto agli undici capi di imputazione, ma potenzialmente pericolosa per Taylor che ha sempre negato di aver posseduto diamanti sporchi e di averli portati in Sudafrica per comprare armi. I suoi avvocati protestano: «Che rapporto ci sarebbe tra una guerra civile e l’omaggio a una bella donna?».

I

sponibili in aula e i 36 nella sala stampa sono andati esauriti, e nessuno ha potuto filmarla e fotografarla (era parte dell’accordo). Ma a questo punto il copione diventa improbabile. La tragedia assume il tono del vaudeville. La top, che è salita e scesa dalle passerelle, da lussuose barche (vedi Briatore), favolose auto (Matteo Marzotto), suite presidenziali (Hugo Chavez), persino ring (Mike Tyson), abituata a ricevere doni da chiunque e dovunque, ieri mattina, sobriamente abbigliata e pettinata ha reso, davanti a Brenda Hollis, della Corte Speciale per la Sierra Leone, una buffa testimonianza che suona più o meno così. «Mah, una sera, sono nella mia camera e bussano alla porta. Due uomini, neri, mi consegnano una piccola borsa: c’è un regalo per me, non dicono da chi e io non glielo chiedo. Il giorno dopo la apro e toh, che cosa ci trovo? Delle pietruzze grezze, sporche e neanche un biglietto, mamma mia! Non ho neanche pensato che fossero diamanti, i diamanti brillano, no?». Questa scena non l’avrebbero accettata neanche i Vanzina. Questa battuta è più da Marylin che da Naomi e consentita solo alle bionde svampite, ma andiamo avanti. Naomi ne parla con Mia Farrow (che era alla cena, non ha ricevuto regali e ha spifferato tutto al tribunale dell’Aja) e con la sua ex agente Carol White, che essendo ex non ha più ragione di evitarle un fastidio, perciò testimonierà. Alla fine decide per la soluzione benefica. Consegna le pietre, sostiene, a Jeremy Ractliffe, che nel ‘97 era responsabile della fondazione Children Fund. Immediata la smentita, laconica, timbrata e firmata: «mai arrivato niente a Children Fund». E allora? Naomi lo sapeva, infatti aveva già telefonato a Ractliffe per avere notizie e ha dichiarato che le pietre sono ancora nelle sue mani: forse non ha avuto il tempo di consegnarle. Magari, dalle sue parti, è normale avere un etto di diamanti da qualche parte e dimenticarselo. Qui Marylin vira verso Jessica Rabbit che sbatte le lunghe ciglia e sospira: «Che volete, mi disegnano così…».

La star delle passerelle non si sarebbe accorta di aver ricevuto un bene prezioso: «Erano solo sporche pietruzze»

Anche la bella donna in questione ha sempre negato, dice ora, per paura, perché Taylor, l’ha scoperto su internet, poverina, era un cattivo soggetto: temeva per la sua famiglia. Ha pianto tanto, lacrime vere, nel salotto di Oprah Winfrey, sperando di evitare il processo, ma di fronte un’accusa di oltraggio alla corte ha ceduto, ottenendo 200 richieste di accredito da parte dei giornalisti: i 40 posti di-

risultati emersi dalla Conferenza di Kimberley, il Wdc si propone di sviluppare un sistema di controlli sulla la trasparenza del mercato internazionale dei diamanti grezzi. Nel dicembre del 2000 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite sollecita la creazione di uno schema che consenta di certificare la provenienza dei diamanti da esportatori che non finanzino guerre civili.

Tra il 4 e il 5 novembre del 2002, dopo numerosi incontri volti a definire i criteri generali e i requisiti minimi del processo, 37 stati firmano un accordo per l’attivazione di un sistema di certificazione nella circolazione dei diamanti grezzi; partecipano all’accordo anche il Wdc e le multinazionali coinvolte nelle attività di estrazione, commercio e vendita, come la De Beers. I requisiti che uno stato deve soddisfare per poter partecipare allo schema di certificazione sono: a) che i diamanti provenienti dal paese non siano destinati a finanziare gruppi di ribelli o altre organizzazioni che mirano a rovesciare il governo riconosciuto dall’Organizzazione delle Nazioni Unite; b) che ogni diamante esportato sia accompagnato da un certificato che provi il rispetto dello schema del Kimberley Process; c) che nessun diamante sia importato da, o esportato verso, un paese non membro del Kimberley Process. La Liberia di Charles Taylor, tanto per capirci, non è fra questi. Così come non lo sono la Repubblica del Congo


mondo

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Charles Taylor è avvenuto non grazie al KP, ma grazie all’Onu e alla Corte internazionale dell’Aja. Ora la testimonianza della top model Naomi Campbell al processo dell’Aja contro l’ex signore della guerre ed ex presidente della Liberia, Charles Taylor, ha riacceso i riflettori sul ruolo delle risorse naturali nei conflitti. Taylor è accusato di aver usato i fondi ottenuti dalla vendita illegale di diamanti per finanziare i conflitti in Sierra Leone e Liberia, in cui morirono circa mezzo milione di persone, ma molte di più furono stuprate, torturate, aggredite e costrette a fuggire.

Nel 2000 erano stati gli investigatori dell’Onu a scoprire che i diamanti estratti nelle zone controllate dal Ruf venivano contrabbandati in Liberia, da dove poi raggiungevano i mercati internazionali, dove venivano venduti come pietre della Liberia. Fu così che si arrivò alle sanzioni del 2001 sul commercio dei diamanti e Taylor fu costretto a dedicarsi al traffico di legname per finanziare la guerra e rimanere al potere. Fino al 2006, anno del suo arresto.

In alto, un bambino impegnato a “dragare” un fiume per cercare diamanti; a destra: il dittatore dello Zimbabwe, Robert Mugabe; a sinistra, l’ex presidente liberiano Charles Taylor e Naomi Campbell, chiamata ieri a testimoniare all’Aja

La top ten dei Peasi produttori vede al primo posto il Botswana. Seguono: Russia, Canada, Sudafrica, Angola, Namibia, Congo, Australia, Lesotho e Sierra Leone

a colpi di machete dei suoi due figli da parte dei soldati perché non lavoravano 18 ore al giorno e di cui, recentemente, si è persa ogni traccia. La presidenza del Kimberley Process si è difesa rispondendo che la sua non è un’agenzia per la salvaguardia dei diritti umani, e che dunque non è tenuta a verificare né le conidzioni di vita dei minatori, né la presenza di qualsivoglia esercito a guardia delle miniere. Cecilia Gardner, già procuratore federale al World Diamond Council ha affermato che il Kimberley Process è di fatto un’organizzazione sorta su base volontaria che non è tenuta a verificare alcunché. Tant’è che molti giganti della gioielleria mondiale, da Tiffany & Co. a Zale Corp. hanno dovu-

La cruda verità è che, ancora oggi, i diamanti alimentano violazioni dei diritti umani e conflitti. Solo quattro anni fa in Zimbabwe è stato scoperto uno dei più grandi giacimenti di pietre preziose al mondo (l’annuncio è di pochi mesi fa). Nel 2008, i 60.000 ettari di campi diamantiferi di Marange, nell’est del Paese, sono stati posti sotto il controllo dall’esercito, subentrato alle forze di polizia. Human Rights Watch (Hrw) ha denunciato più di 200 morti solo nel 2008. Oggi, l’organizzazione Global Witness denuncia come «i civili siano costretti a lavorare in condizioni spaventose e siano vittime di abusi, tra cui stupri e torture». «I diamanti angolani e dello Zimbabwe vengono sistematicamente contrabbandati in Mozambico e Sudafrica, da dove raggiungono i mercati internazionali, per poi finire nei negozi delle principali città di Londra, Parigi e New York».

il Kimberley Process è un sistema di certificazione volto a scongiurare che ribelli e forze di governo barattino i diamanti con armi. Di fatto, non ha poteri e sembra essere un’istituzione fantoccio (espulsa) e la Costa d’Avorio. L’Angola invece - quinto produttore mondiale di diamanti, un giro di affari che supera abbondantemente il miliardo di dollari (i primi quattro pruddtori sono: Botswana, Russia, Canada e Suafrica) ne fa parte. Peccato che siano decine le testimonianze di attivisti di diritti umani e dell’Onu a denunciare non solo la scarsa

tracciabilità del commercio di diamanti, ma le infime condizioni di vita dei cercatori della preziosa pietra: controllati a vista da bande di militari senza scrupoli e pronti a ucciderli se tornano a casa con un magro o nullo bottino. Tristemente noto il caso di Linda Moisés da Rosa, una madre 55enne che pochi mesi fa ha deciso di denunciare l’omicidio

to denuciare il fatto di essere impossibilitati a verificare la tracciabilità della gemma, visto che la pietra, una volta tagliata e pulitia, non permette in alcun modo di stabilire la sua provenienza. Ricapitolando: il Kimberley Process sembra essere una associazione internazionale volta a far dire che esiste un’associazione internazionale impegnata su questo fronte, ma incapace di verificare o agire su nessun paese. Angola compresa. Tant’è che l’arresto di

La prima denuncia del flagello dei diamanti insanguinati risale a dodici anni fa, «ma ancora oggi il commercio delle pietre preziose alimenta violenze e abusi - conclude il portavoce Oliver dell’organizzazione, Courtney, in una nota - si tratta di una prova inconfutabile delle promesse mancate dei membri governativi del Kimberley Process e dell’industria dei diamanti di debellare una volta per tutte questo tipo di traffico e commercio».


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Disastri. Almeno 1.500 le vittime accertate, incalcolabili gli sfollati a sua forza era inattesa, per questo non state adottate le debite precauzioni. Il Pakistan non è nuovo ai monsoni, tuttavia la violenza con cui quest’anno le piogge si sono abbattute sul Paese hanno provocato danni di gran lunga superiori alla media. I disastri di questo genere di solito si registrano in India, oppure in Cina. Le inondazioni del fiume Indo hanno causato, al momento, 1.500 morti e 3,5 milioni di sfollati. L’ufficio di coordinamento degli aiuti umanitari delle Nazioni Unite (Ocha) si è sbilanciato parlando addirittura di 4 milioni di senzatetto. Gli osservatori dell’Onu e del governo di Islamabad, però, concordano nel sostenere che il livello di piena del fiume potrebbe aumentare ancora. È necessario prepararsi quindi a un peggioramento della situazione. La calamità naturale si aggiunge improvvisamente alle emergenze che già gravano sul Pakistan. La guerra nel vicino Afghanistan, il livello di allerta per le azioni terroristiche condotte sul proprio nazionale e l’instabilità politica costituiscono le piaghe sedimentate nella “Terra dei puri”. La natura, a questo punto, sembra dimostrarsi incurante delle ferite di carattere umano e ha deciso di scatenare la sua forza contro una popolazione già in ginocchio. Finora le istituzioni non hanno effettuato una stima dei danni. Per questo da fonti locali giungono pesanti critiche nei confronti del governo. Questo avrebbe dovuto prevedere lo straripamento dell’Indo e soprattutto entrare tempestivamente in soccorso alle popolazioni colpite. Il fiume nasce in Cina, precisamente in Tibet, e dopo aver attraversato il Kashmir sotto giurisdizione in-

L

Le alluvioni piegano il Pakistan del nord L’inattesa violenza delle piogge stagionali coglie di sorpresa autorità e popolazione di Antonio Picasso

perati, mentre le acque del fiume – risorsa inestimabile per l’agricoltura pakistana – possono fare scempio delle campagne circostanti. Evidentemente il piano di pronto intervento per queste eventualità non è stato reso operativo. Si può anche dubitare del fatto che a Islamabad ne esista uno. Di conseguenza, dalla polemica di

Ora il pericolo è nelle esondazioni dei fiumi, che ancora non hanno raggiunto il massimo livello di piena. Ma Islamabad non reagisce diana, si prolunga per oltre 2mila chilometri sul territorio pakistano. Il suo bacino idrografico, che comprende 12 affluenti, interessa un’area di circa 2 milioni di chilometri quadrati. Si tratta della risorsa d’acqua più importante dell’Asia centrale. L’assenza di partnership nella gestione però – fra Cina, India e Pakistan – lascia che il corso d’acqua scorra liberamente. Nel sopraggiungere delle stagioni monsoniche quindi i suoi deboli argini rischiano sempre di essere su-

piazza si è passati alla rabbia collettiva. Gli scontri che hanno caratterizzato le manifestazioni anti-governative hanno lasciato sul terreno 47 morti. Come se non bastassero quelli provocati dalle inondazioni e gli altri durante i cortei a Karachi, anch’essi di opposizione a una classe dirigente nazionale che ha sempre meno il controllo del Paese. “La popolazione deve cooperare con le autorità e abbandonare le aree alluvionate”, ha detto un portavoce dello Stato mag-

L’Onu lancia l’allarme: poco cibo disponibile

4 milioni di sfollati Finora i soccorsi in favore dei quasi 4 milioni di sfollati in Pakistan hanno raggiunto solo 250 mila persone. L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhrc) ha stanziato materiale di primo soccorso: tende da campo, dettate alimentari e strutture di emergenza, da inviare immediatamente. L’agenzia Onu è sostenuta dal Wfp e da alcune Ngo locali, le quali stanno intervenendo con un programma specifico rivolto ai bambini e alle persone più deboli. La maggior parte degli sfollati colpiti dalle alluvioni è temporaneamente ospitata in edifici pubblici: scuole e università. Sono migliaia inoltre i rifugiati afghani che sfollati in Pakistan hanno improvvisamente perso le loro case, per la seconda volta. “Il popolo

pakistano ha generosamente ospitato oltre un milione di rifugiati afghani. Ora è il momento per la comunità internazionale di dimostrare la stessa solidarietà nei confronti di Islamabad”, ha dichiarato il responsabile dell’Unhrc, Antonio Guterres. L’Unione europea è stata la prima a rispondere all’appello e ha stanziato 30 milioni euro per aiutare Islamabad. Gli Usa invece hanno mobilitato uno stormo di elicotteri, utile per il recupero della popolazione nelle zone più isolate. Il ciclone monsonico che si è abbattuto su Baluchistan, Kiber e Punjab è il più violento registrato negli ultimi 80 anni. I soccorritori ora temono che il tempo torni a peggiorare e che, di conseguenza, vengano rallentate le attività di recupero.

giore dell’esercito. La richiesta però ha sapore di un ordine troppo perentorio che può provocare reazioni contrarie a quelle desiderate. Il Punjab – l’area più colpita dalle inondazioni – è il cuore pulsante del Pakistan. Con i suoi 73 milioni di abitanti, è la provincia più popolosa del Paese. Lahore, la capitale, detiene la palma di centro culturale, multi-etnico e multi-religioso di tutta la macroarea. È in queste città che si intrecciano, seppure con tutte le difficoltà che sappiamo, la fede islamica e la filosofia indù, prevalentemente di corrente sikh. Qui è nato anche il buddhismo ed è altrettanto forte la presenza cristiana. È a Lahore che ha preso vita l’urdu, idioma ufficiale del Pakistan insieme all’inglese.

Le alluvioni hanno colpito anche la Valle di Swat, che, fino a una settimana fa, era uno dei quartier generali dei talebani attivi nel Paese. La sua posizione è strategica – sia per la Nato sia per il nemico – perché è al confine con l’Afghanistan. Adesso bisogna chiedersi cosa succederà in questa zona. Le tribù locali hanno già dimostrato l’intolleranza verso le truppe occidentali che sono costrette a passare dal vicino Kiber pass, soprattutto con i loro rifornimenti, per andare a combattere contro i talebani oltrefrontiera. Le stesse forze di sicurezza di Islamabad non sono ben viste nelle strade di queste montagne. È logico pensare che il risentimento presso la popolazione possa aumentare dopo il disastro. L’onda lunga delle alluvioni ha coinvolto anche il Baluchistan. Insomma, il Pakistan è stato colpito al cuore. La catastrofe si sta manifestando in tutte le sue tragiche dimensioni. Villaggi cancellati, strade interrotte e l’impennarsi della tensione. In molte zone le vittime lamentano l’assoluta mancanza di soccorsi, la difficoltà a reperire risorse alimentari e di acqua potabile. I soccorritori temono la diffusione di epidemie. L’esasperazione affiorata da questo stato di cose dovrebbe convincere Islamabad a cambiare immediatamente rotta. Il pericolo è che l’accumulo di tensioni – politiche, sociali e ora legate anche alla mala gestione di una calamità naturale – sfocino in un sollevamento collettivo che nessuno sarebbe in grado di controllare. Islamabad chiede l’aiuto della popolazione. Non si rende conto però che è quest’ultima a dover essere soccorsa.


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Il presidente iraniano smentisce quanto avvenuto a Hamadan

Iniziate ieri le maggiori esercitazioni navali della Corea

Ahmadinejad: «L’attentato? Solo bugie dei nemici»

Seoul schiera le sue navi e sfida Pyongyang

TEHERAN. Il presidente irania-

SEOUL. La Corea del Sud ha

no Mahmud Ahmadinejad ha definito ieri un “complotto dei nemici” la notizia di un presunto attentato contro di lui durante una visita nella città di Hamedan, aggiungendo che lo scopo di tali macchinazioni «è impedire che le sue parole raggiungano i popoli del mondo». Intanto il ministro dell’Intelligence, Heydar Moslehi, ha affermato che un “complotto” a sostegno del regime sionista, cioe’ di Israele, «è stato sventato nelle regioni occidentali dell’Iran, compresa la città di Hamedan, ma non ha fatto alcun riferimento all’episodio di ieri».

lanciato nella giornata di ieri le più imponenti manovre di difesa anti-sottomarino della sua storia nei pressi della frontiera marittima con la Corea del Nord, nonostante le minacce di rappresaglie da parte di Pyongyang. Lo ha reso noto il ministero della Difesa di Seoul. Nella zona in cui incroceranno le navi del Sud, lo scorso marzo, è affondata una nave da guerra sudcoreana, la Cheonan, con la conseguente morte dei 46 marinai a bordo. Seoul ha accusato Pyongyang di aver affondato la nave con un siluro. Nonostante un’inchiesta internazionale abbia provato il coinvolgimento del Nord nell’affondamento della corvetta Cheonan, il Consi-

I media ufficiali iraniani hanno affermato che la notizia di un fallito attentato alla vita del presidente è nata dal fatto che «un ragazzo ha lanciato un petardo al passaggio del corteo presidenziale in segno di giubilo». Il sito conservatore Khabar aveva scritto invece che «una granata artigianale era stata lanciata ad un centinaio di metri dall’auto su cui si trovava Ahmadinejad». L’agenzia filogovernativa Fars ha scritto che «una persona è stata arrestata». Poco dopo l’episodio, comunque, Ahmadinejad ha tenuto come previsto un discorso nello stadio “Qods” di Hamedan, senza fare alcun accenno

Politica estera, nessuno ne parla più I media fanno cronaca e non seguono la Farnesina di Mario Arpino ino a un certo punto si può anche comprendere come, nel paese dei campanili, di Bartali e Coppi, di nord e sud e di laziali e romanisti la cronaca incontri molto favore da parte del pubblico.Si comprende di meno come, al contrario, la politica estera non lo incontri affatto. Eppure, quella condotta dalla Farnesina sembra oggi assai attiva, incisiva e apportatrice di idee e iniziative in ambito internazionale. Meriterebbe assai più attenzione - da parte del pubblico - di una politica interna che non si può nemmeno considerare più tale, ma solo la cronaca quotidiana di un estenuante litigio. E invece non interessa. Come non interessano le relazioni internazionali, le questioni europee, la politica di sicurezza e difesa nostra, delle grandi potenze attuali e di quelle emergenti. Fuor di dubbio si tratta di attività destinate ad incidere molto di più sul nostro futuro di ciò che dicono Calderoli, Bersani, Fini o Rosy Bindi. Forse liberal è in qualche modo l’eccezione che conferma la regola, ma, in genere, il numero di pagine che i nostri quotidiani dedicano alle diatribe interne e alla cronachetta, qualora confrontato con quelle dedicate alla politica estera, è emblematico di un provincialismo montante, che travalica la passione del nostro pubblico per i fatti altrui. Specie quando tinti di giallo o di rosa. Eppure, al giorno d’oggi c’è più gente che si laurea, che mastica almeno un po’una lingua straniera, che va all’estero e che, quindi, si immagina debba necessariamente avere un orizzonte più aperto di un tempo. Un campanello d’allarme per questo calo di attenzione - che indica anche una sorta di appiattimento sull’effimero - è suonato alla fine del mese scorso nell’ambito di due iniziative davvero lodevoli del nostro ministero degli Esteri: la conferenza degli Ambasciatori e il Farnesina Foreign Policy Forum del 27 e 28 luglio. Uno degli argomenti chiave di quest’ultimo evento - oltre quelli usuali relativi alla crisi economico-finanziaria, al rapporto transatlantico in epoca Obama, all’Afghanistan e l’afghanizzazione, la deriva turca e l’evoluzione del mondo latino-americano - è stato infatti proprio quello relativo alla misura di interesse degli italiani nella politica

F

estera. Sconsolata, ma anche di sprone, la risposta del ministro plenipotenziario Maurizio Massari, capo ufficio stampa e portavoce della Farnesina. Basta aprire le pagine dei nostri giornali - dice Massari - o guardare un telegiornale o un talk-show per capire che stiamo passando dalla “politica”estera alla “cronaca”estera. È vero: l’estero fa notizia solo per tzunami, incendi, terremoti, grandi attentati terroristici, rapimenti o eventi che riguardino le missioni internazionali, ma solo quando - purtroppo accade - i nostri soldati rimangono coinvolti in tragici eventi. Ma questa è cronaca, non politica.

Sarebbe interessante analizzare e capire perché apatia e indifferenza stiano conquistandosi spazi sempre maggiori, come pure sarebbe bello sapere se questo sia un fenomeno esclusivamente italiano o trovi riscontro in altri paesi. Se dovessimo giudicare, ad esempio, dal flop delle elezioni europee, dovremmo dedurre che siamo in buona e numerosa compagnia. Ma, in questo caso, il fenomeno è anche agevolmente spiegabile con la scarsa simpatia che il pubblico europeo, e ancora di più il nostro, ha per le istituzioni comunitarie. Le vede come una fastidiosa ingerenza nella propria vita quotidiana, mentre ne percepisce la scarsa rilevanza e la lentezza nei grandi processi decisionali globali. L’appannata presenza-assenza sulla scena della gentile quanto impacciata Lady Ashton non serve certo ad attirare l’interesse del pubblico. Anche l’imperativo del “politicamente corretto”, che anestetizza ormai ogni spunto di vivacità nelle relazioni internazionali, contribuisce ad attenuarne l’interesse. Vi è poi una questione prettamente commerciale. I media ormai ci propinano con dovizia solo ciò che fa audience o aumenta la tiratura, contribuendo così al nostro quotidiano impoverimento. E questo, alla fine, si risolve in un circolo vizioso inclinato verso il basso. C’è oggi il rischio che, sparite quelle che il ministro Massari indica come“grandi contrapposizioni ideologiche”, subentrino apatia e indifferenza per cose di cui al nostro pubblico viene data solo apodittica informazione, senza alcuna spiegazione di contesto.

La “regola” del politicamente corretto anestetizza ormai ogni spunto di vivacità nelle relazioni internazionali

a quanto accaduto e senza mostrare particolari segni di nervosismo. Oggi, come da programma, il presidente ha proseguito la sua visita nella città, 350 chilometri a ovest di Teheran, e nel pomeriggio ha fatto ritorno nella capitale. «Non si è trattato di un incidente degno di nota, ma i nemici hanno diffuso la notizia che Ahmadinejad era stato trasferito in un luogo segreto dopo essere sopravvissuto ad un tentativo di assassinio», ha detto lo stesso presidente, citato da PressTv. I quotidiani iraniani si sono limitati a riportare la notizia in trafiletti nelle pagine interne, riferendo appunto dello scoppio di un petardo.

glio di Sicurezza delle Nazioni Unite non ha accusato direttamente Pyongyang. Si è limitato, su pressione cinese, a “biasimare” la perdita di vite umane. In risposta, Seoul ha compiuto la settimana scorsa alcune esercitazioni militari congiunte con gli Stati Uniti.

Il governo della Corea del Sud ha avvertito che “non tollererà alcuna provocazione” durante i cinque giorni di manovre navali nel Mar Giallo. La Corea del Nord ha paragonato queste manovre a una “invasione diretta” e ha agitato la minaccia di una “risposta fisica vigorosa”. L’esercitazione è infatti concepita come un avvertidi mento nei confronti Pyongyang. Le esercitazioni iniziate ieri coinvolgeranno 4500 militari di tutti i corpi delle forze armate sudcoreane, un mezzo anfibio, un sottomarino, un incrociatore e circa 50 caccia. Le esercitazioni di tiro con il sottomarino verranno fatte nei pressi dell’isola di Baengnyeong, nei pressi della Northern Limit Line, ovvero la parte marittima del confine con il Nord. In ogni caso, è difficile che il braccio di ferro sul 53esimo Parallelo porti veramente a un conflitto militare. Gli Usa, infatti, sono decisi a impedirlo.


spettacoli

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Il personaggio. Ecco chi è (e cosa fa) l’uomo che è riuscito ad avvicinare i giovani a un genere d’élite. A dispetto degli snob...

Allevi mani di forbice Viaggio nella poesia del compositore marchigiano che modella la musica come un’opera d’arte di Matteo Poddi escrivere un concerto di Giovanni Allevi è come descrivere un sogno. Un sogno a occhi aperti dal quale ci si sveglia malvolentieri e con la netta sensazione che sia durato troppo poco. Un sogno pieno di positività, voglia di vivere e fantasia che il compositore originario di Ascoli Piceno regala, ogni volta, al suo pubblico che diventa, di anno in anno, sempre più numeroso. Un pubblico eterogeneo fatto di persone che si avvicinano al musicista nei modi più disparati. C’è chi lo vede in tv e rimane colpito dalla sua capigliatura ribelle e stravagante, c’è chi impara a conoscerlo da uno spot televisivo che ha scelto un suo brano come colonna sonora e c’è chi, avvezzo alla musica classica, avverte in lui la forza di un vero e proprio terremoto nell’ambiente fin troppo stagnante della musica italiana.

D

gero delle sue velocissime dita, diventa estremamente duttile e versatile. Basta davvero poco ad Allevi per esprimere il suo straordinario mondo interiore attraverso la musica. Un pianoforte a coda, un palcoscenico spoglio, una maglietta bianca e delle sneakers nere. Niente di più semplice. A fare da scenografia al palcoscenico della Cavea dell’Auditorium Parco della Musica di Roma solo il logo della rassegna “Luglio suona bene” che, proprio Allevi, con il suo concerto si appresta a chiudere. Un enorme occhio di bue posizionato proprio sopra un lucidissimo pianoforte a coda sancisce il confine con il

mondo esterno e ci introduce in una dimensione parallela nella quale si sente solo l’eco di ciò che siamo abituati a vivere nella nostra quotidianità.

Allevi entra correndo con le braccia aperte e una volta raggiunto il suo fido compagno di viaggio, il pianoforte, lo accarezza come se fosse un amico di vecchia data. È in questo modo che l’artista si prepara a toccare le corde più profonde dell’anima degli spettatori.Tutto ciò in onore dell’unica signora e padrona dei suoi pensieri. L’unica in grado di disporre a proprio piacimento delle sue energie

A dispetto delle perplessità degli snob, infatti, Allevi ha lo straordinario merito di essere riuscito ad avvicinare i giovani alla musica classica e al pianoforte, strumento che, sotto il tocco leg-

e del suo talento: la musica. È stato per assecondare questa “musa capricciosa”, per dirla con le sue stesse parole, che Allevi si è trasferito a Milano e si è mantenuto facendo il cameriere. È stato per rincorrerla che ha affrontato sacrifici e difficoltà esponendosi alle critiche dei critici musicali più intransigenti. Al di là delle polemiche è nel momento dell’esibizione live che l’artista, di qualsiasi genere, si valuta per quello che è. E dal vivo Allevi è assolutamente eccezionale. È allo stesso tempo completamente immerso nel suo mondo ma partecipe di ciò che gli succede at-

torno. Interagisce con il pubblico e, un secondo dopo, rivive il momento nel quale si è messo al pianoforte per scrivere quel determinato brano che si trova ad eseguire. E così sul palcoscenico va in scena la sua dolcissima poesia.

Allevi riesce a passare con disinvoltura dai grandi classici sui quali si è formato a brani tratti dagli otto album di inediti che ha composto a partire dal 1997, anno di pubblicazione di 13 dita. Si rompe il ghiaccio con la Prima movimentazione delle suites per violoncello di Bach riscritte da Allevi per Piano Solo che, non a caso, è anche il titolo del tour. Il secondo brano è invece L’idea, traccia

Pop-rock, jazz, funk e ska: da Norah Jones ai Florence and the machine, passando per Malika, i Tiromancino e Giuliano Palma

Un’estate romana a suon di concerti ROMA. Estate in città? Sì, ma che almeno sia a suon di musica. Già da alcuni anni, infatti, estate fa rima con musica live. Al di là delle tradizionali tournée estive degli artisti italiani e non, infatti, specie nelle grandi metropoli come Roma, fioccano iniziative e rassegne volte ad allietare la vita in città nonostante l’afa e il trasferimento di gran parte dei cittadini verso le tradizionali mete turistiche.

Ne è un esempio proprio “Luglio suona bene”, la kermesse estiva dell’Auditorium Parco della Musica di Roma giunta alla sua ottava edizione che quest’anno è stata aperta il 29 giugno dal concerto di Tricky e si è conclusa in bellezza e poesia con le due straordinarie date del 30 e del 31 luglio affidate a Giovanni Allevi. Autentici miti della storia musicale e le più recenti rivelazioni del-

la scena mondiale si sono alternati sul grande palco allestito nella maestosa cavea disegnata da Renzo Piano e posta proprio al centro del Parco della Musica. All’Auditorium è andata in scena, infatti, una vera e propria parata di stelle, realizzata con la consulenza di Flavio Severini, che ha visto avvicendarsi sul parco più di trenta artisti provenienti da ogni parte del mondo, degni rappresentanti di generi musicali diversi quali il pop-rock, il jazz, il funk e la world music. Davvero eterogeneo il parterre di artisti della kermesse, dai Buena Vista Social Club a Mark Knopler, da Norah Jones ai Florence and the machine. L’obiettivo degli organizzatori è stato quello di proporre una sorta di compendio delle tendenze musicali, delle sperimentazioni e delle collaborazioni dispiegate tra i musicisti di

ogni parte del mondo con un occhio di riguardo alla canzone d’autore e al recupero della centralità di strumenti quali la chitarra, esaltata dai virtuosismi di Jeff Beck, Marc Knopfler e Pat Metheny, e il pianoforte, grande protagonista delle esibizioni di Keith Jarret, Herbie Hancock, Chick Corea, Stefano Bollani, Ludovico Einaudi e, naturalmente, di Giovanni Allevi.

Ma in città c’è anche la possibilità di partecipare a rassegne molto più specifiche come, ad esempio, il “Villa Celimontana Jazz Festival” nato nel 1994 nell’omonima villa romana. Davvero suggestiva la location della manifestazione che viene organizzata proprio all’interno del parco di lecci e pini secolari che si trova sul colle Celio proprio tra le rovine del Palatino, dell’Acquedotto

di Claudio e Nerone e delle Terme di Caracalla. Villa Celimontana, infatti, è una meta culturale per stranieri e non fin dalla fine dal Seicento. Divenne un punto di riferimento per gli intellettuali di tutta l’Europa dopo che Giacomo Mattei l’acquistò e decise di trasformarla in uno splendido giardino all’italiana contornato da piante meravigliose e ornata da statue e opere di arte classica. La villa fu inclusa anche nel tradizionale “Pellegrinaggio delle Sette Chiese” che si svolge, ancora oggi, in occasione del giovedì grasso. Così i romani osservanti rinunciano ai passatempi profani tipici del carnevale per far voto di penitenza andando in processione lungo un itinerario che unisce le sette basiliche più importanti della città. Qui i pellegrini trovano, da sempre, accoglienza e ristoro. Si deve a Goethe una delle più


spettacoli portanti per comprendere il senso profondo delle sue evoluzioni armoniche. Così per introdurre Ciprea, sempre tratta da No Concept, Allevi racconta un aneddoto. Era a New York e fissando una conchiglia adagiata sulla mensola di un monolocale l’artista ha avvertito il bisogno di comporre un vero e proprio inno alla creatività che può nascere anche da un piccolo dettaglio apparentemente insignificante.

Con “Ti scrivo”, brano dedicato ad un suo amico filosofo scomparso dieci anni fa, Allevi usa la musica come un tramite per dialogare con chi non c’è più e per comunicare tutto quello che non ha fatto in tempo a dirgli a voce. L’amore per la filosofia è al centro di brani come Downtown, nato dall’osservazione dell’umanità che affolla il centro delle grandi metropoli, e L’orologio degli dei che parla del più grande mistero dell’universo: la nascita di una nuova. Il primo battito di un essere vivente, umano animale o vegetale che sia, è l’inizio di un’avventura sorprendente e preziosa che non dobd’apertura dell’album Composizioni del 2003. L’idea viene eseguita proprio come prova di un personale furto della tecnica classica volto alla composizione di un brano poliritmico.

Dal vivo, riesce a passare con disinvoltura dai grandi classici su cui si è formato a brani tratti dagli otto album di inediti che ha composto a partire dal 1997, anno di pubblicazione di “13 dita”

Uno straordinario esercizio di stile. A seguire l’esecuzione de La Morte di Isotta tratto dal Tristano e Isotta di Richard Wagner. Dall’amore fisico si passa subito a quello romantico, quasi platonico del seguente Notturno di Bach. Ogni brano viene anticipato da una brevissima spiegazione didattica di Allevi che indugia sul suo sentirsi un nano sulle spalle dei giganti, come recita il famoso aforisma di Bernardo di Chartres, in relazione ai brani con i quali ha

scelto di misurarsi nella scaletta del concerto. Ma è tempo di lasciarsi andare e di farsi trasportare dalle emozioni. È tempo, quindi, di Go with the flow, splendida perla dell’album No Concept del 2003.

Allevi continua a essere impacciato quando parla al suo pubblico ma appare assolutamente sicuro di sé appena si siede davanti al pianoforte. Le sue parole, scandite piano e dette a mezza voce, sono im-

dettagliate descrizioni degli straordinari concerti che si tenevano, già all’epoca, nei giardini della Villa. Così dal primo luglio al 4 settembre, nella suggestiva cornice della villa, sono stati programmati ben sessanta concerti facenti parte, a loro volta, di ben cinque rassegne: “Piano Players From NY”, “Tango in Villa”, “Latin Jazz”, “Django Jazz” e “Donne di Jazz” che esprime un punto femminile su questo genere.

Ma questa manifestazione non si limita solo al jazz: tra gli ospiti ci sarà anche il quartetto blues con Federico Zampaglione dei Tiromancino, e Malika Ayane, cantante italiana proveniente da Milano. L’edizione vedrà la presenza anche di alcuni artisti internazionali sempre molto attesi a Roma come Toquinho, Sarah Jane Morris e Mike

biamo mai correre il rischio di sottovalutare o dare per scontata. Monolocale 7:30 am, invece, è un concentrato di entusiasmo ed energia nato da un semplice raggio di sole rosso entrato nel monolocale di Milano nel quale Allevi viveva quando aveva 28 anni. Dall’entusiasmo si passa alla commozione con il brano Come sei veramente dedicato a chi, amando, arriva veramente a conoscere la persona che gli sta accanto. Non c’è tempo però per indulgere nel

Stern con Randy Brecker. Villa Celimontana Jazz Festival 2010 è un evento che riesce ad attraversare le tappe del jazz ed è particolarmente adatto anche a chi intende non è particolarmente appassionato a questo genere musicale per la grande quantità di influssi e di contaminazioni musicali che lo caratte-

rizzano. Una connotazione più etnica rappresenta, invece, la peculiarità di “Roma Incontra il Mondo”, il festival che viene allestito, dal 1994, attorno al laghetto di Villa Ada. Qui i migliori rappresentanti di musica folk, etno e afro si alternano con illustri rappresentanti

6 agosto 2010 • pagina 23

sentimentalismo perché arrivano, in rapida successione, Jazz matic e Japan. Dopo i saluti di rito e una piccola interruzione, il concerto si avvia alla conclusione con Piano karate, Prendimi, Aria e la straordinaria Piccola meditazione per la sola mano destra scritta per un’amica concertista che ha di recente perso, in un incidente, la mano sinistra. Un brano che conforta ma spinge anche all’azione perché, in fondo, se cose esitono belle come la musica vale la pena vivere tutto anche i propri drammi personali. In fondo la musica è proprio questo: uno straordinario palliativo. Una “seduta psicoanalitica” come dice Allevi parlando dell’effetto che gli fa esibirsi davanti a un pubblico.

Quel che è certo è che Giovanni Allevi è un genio assoluto ed è per questo che gli si perdona tutto, anche quel gusto dello scherzo e del divertissement verbale e non. Se questi sono i presupposti non ci resta che aspettare l’uscita del suo nuovo album di inediti che, probabilmente, sarà pubblicato a settembre. Per il momento possiamo concederci, però, una rigenerante tregua dalla crudeltà e dalla banalità del mondo ascoltando i suoi brani che incantano e aiutano a rimarginare le ferite dell’anima.

della musica italiana come Carmen Consoli, a cui verrà affidata la chiusura della manifestazione l’8 agosto, e incursioni nel mondo del rock.

Una menzione speciale meritano i concerti di Devendra Banhart , vero e proprio freak catapultato dagli anni Sessanta reduce dal successo ottenuto a dicembre all’Auditorium , degli Africa Unite freschi della pubblicazione del loro ultimo lavoro, di Cesaria Evoria, di Kruder e Dorfmeister, di Xavier Rudd e di Steve Hackett.Tra i “fedelissimi” del festival romano i graditi ritorni di: Giuliano Palma ed i suoi Bluebeaters, la Bandabardò, Cristina Donà, Sud Sound System e tanti altri. Musica d’estate da ascoltare senza fretta a stretto contatto con la natura e i suoi ritmi. (m.p.) Anche in città.

Sopra, in alto e nella pagina a fianco, il compositore e pianista Giovanni Allevi. A sinistra, Giuliano Palma, Malika Ayane e Federico Zampaglione dei Tiromancino


ULTIMAPAGINA California. Un giudice di San Francisco annulla il referendum che ha vietato i matrimoni omosessuali

Ai gay si addice solo la Corte di Maurizio Stefanini empre più intricata la questione del matrimonio gay in California: lo Stato in cui c’è quella San Francisco che è una specie di capitale morale e culturale del mondo omosessuale, e dove in effetti nel 2004 il sindaco aveva iniziato a rilasciare licenze matrimoniali anche a coppie dello stesso sesso. Ma un referendum del 2000, la Proposizione 22, aveva visto il 61,4% dei californiani approvare una definizione del matrimonio come «riservato a persone di sesso opposto». Proprio in base a quel voto nel 2005 il governatore Schwarzenegger pose il veto alla legge in favore del matrimonio gay approvata dal Congresso dello Stato: ma il Congresso nel 2006 approvò una nuova legge, e Schwarzenegger nel 2007 pose un nuovo veto. Nel frattempo, la questione sollevata dal sindaco di San Francisco era finita alla Corte Suprema della California, che il 15 maggio del 2008 bocciò la Proposizione 22, rendendo il matrimonio gay legalmente possibile a partire dal 16 giugno 2008.

S

Ma il 5 novembre del 2008 un nuovo referendum approvò col 52% dei voti un nuovo bando delle nozze unisex denominato Proposizione 8. Ma il 12 ottobre 2009 fu approvata una legge che riconosceva tutti i diritti dei matrimoni gay celebrati in altri Stati Usa o nella stessa California nel periodo in cui erano stati possibili, eccetto che per il termine “matrimonio”. Insomma, una specie di Dico. Sono queste le premesse della decisione con cui ora il giudice federale Vaughn R. Walker ha ritenuto il divieto del matrimonio gay «incostituzionale», in base a quel 14esimo emendamento della Costituzione che esige eguale trattamento dei cittadini di fronte alla legge. Già un nuovo referendum viene annunciato per il 2012: anche se stavolta promosso dai gruppi a favore del matrimonio gay. Ma a questo punto la portata delle decisione del giudice Walker potrebbe trascendere il mero ambito locale, per creare un precedente nazionale. Contro la sua sentenza vi sarà infatti sicuramente un ricorso presso una Corte d’Appello Federale, ed è presumibile che il tutto finirà davanti alla Corte Suprema Usa. Se questa si riconoscesse d’accordo con l’idea del giudice Walker che i divieti ai matrimoni gay violano l’eguaglianza tra i cittadini, a quel punto lo stesso matrimonio gay potrebbe diventare legale in tutto il Paese allo stesso modo in cui fu depenalizzato l’aborto e fu prima bandita e poi riammessa la pena di morte. Cioè, non per legge o emendamento costituzionale, ma per una semplice sentenza. Comprensibile dunque l’ira dei gruppi conservatori e religiosi. «È un colpo terribile, il giudice ha imposto il proprio ordine omosessuale agli elettori, i genitori e i figli della California», ha detto il presidente dell’organizzazione Save California Randy Thomasson. «Un giudice apertmente gay ha sostituito il punto di vista degli statunitensi e dei Padri Fondatori con il suo», denuncia la presidente della National Organization for Marriage Maggie Gallagher. In effetti il giudice è ideologicamente conservatore, nominato da Rea-

FEDERALE gan e confermato da Bush. Ma su questo punto particolare si è dimostrato particolarmente liberal. Comprensibile dunque anche la gioia delle organizzazioni gay e dei loro simpatizzanti, che nel popolo di Hollywood sono particolarmente numerosi. Barack Obama è a sua volta favorevole, anche perché una sentenza della Corte Suprema gli permetterebbe di mostrarsi amico dei gay senza la necessità di esporsi in prima persona sulla difficile approvazione di un emendamento costituzionale che autorizzi le nozze unisex in modo esplicito.

Il 52 per cento dei cittadini dello Stato aveva votato a favore della “Proposition 8”. La decisione accolta con favore dal governatore (repubblicano) Arnold Schwarzenegger. Pronto l’appello alla Corte Suprema

Ma anche Schwarzenegger dice che la decisione giudiziaria presuppone «la completa protezione legale e la salvaguardia che tutto il mondo merita»: il che registra un’ulteriore evoluzione, dai veti del 2005 e 2007 all’acquiscenza alla legge del 2009. «D’ora in poi sarà difficile per gli avversari delle unioni omosessuali continuare la battaglia con gli stessi argomenti. Il dibattito sul matrimonio fra gay non sarà più lo stesso», è l’opinione del San Francisco Chronicle. «Ha vinto il nostro amore», è stato lo slogan di vari centinaia di gay che si sono riuniti per festeggiare a West Hollywood Park, con bandiere arcobaleno e striscioni. Su 100.000 coppie gay della California, almeno la metà aspetterebbero di poter “regolarizzare”la propria posizione, e altre 60.000 verrebbero per sposarsi dal resto del Paese, dove al momento il matrimonio omosessuale è ammesso solo in Massachusetts, Connecticut, Vermont, New Hampshire, Iowa e Distretto di Columbia.


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