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L’unico posto in cui “successo” viene prima di “sudore” è il Vidal Sassoon dizionario

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di Ferdinando Adornato

QUOTIDIANO • GIOVEDÌ 30 SETTEMBRE 2010

DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK

Alla Camera il premier parla per 54 minuti: poi Bossi mugugna e Bersani attacca: «Smettetela di dare la colpa agli altri»

Il disco rotto di Berlusconi Ripropone lo stesso programma (inattuato) del 1994, del 2001 e del 2008 e fallisce il suo piano: solo 305 voti senza Fini. E Casini avverte: «Continuando così saremo sul baratro»

TRA SOGNI E LACUNE

di Errico Novi

Il Cavaliere non vede più il Paese reale

ROMA. Forse è un dettaglio pic-

di Savino Pezzotta eri mattina sono entrato in Parlamento molto curioso: volevo capire quello che Berlusconi ci avrebbe detto e quali fossero state le prospettive che avrebbe avanzato. Confesso che mi attendevo parole nuove: non le ho sentite. Mi è sembrato di sentire un ripasso di cose già dette - qualcuna anche dimenticata nel 1994, quasi letteralmente, e nel 2006. Mi sarei atteso, come tanti italiani, parole chiare su ciò che ha tormentato la nostra estate. Non è vero che non è successo niente. Sono circolati dossier, insinuazioni, maldicenze che riguardano Berlusconi e il governo: su questo il premier non ha chiarito nulla. Indendiamoci, non voglio accusare nessuno.

I

Viespoli lascia il governo: guiderà il Gruppo al Senato

Ha vinto la «terza gamba» e ora diventa partito Riunione nel pomeriggio con il Presidente della Camera per dare il via libera alla nuova formazione. E il Pdl ormai è costretto a riconoscerla

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colo piccolo a misurare, un paio d’ore dopo il suo intervento, la pesante débacle politica di Berlusconi. È la leader dei liberaldemocratici Daniela Melchiorre ad annunciare che «non abbiamo sentito le parole che avremmo voluto su crescita e competitività, dunque diremo no». La portavoce degli ex diniani si chiama fuori dal conto, non darà il suo contributo per raggiungere l’asticella dei 316 voti “depurati”da finiani e Mpa. Obiettivo infatti fallito: alla fine i sì sono 342, con Fli e lombardiani decisivi, visto che senza di loro la maggioranza è ferma a 305. Non che Berlusconi ci sperasse più. Ma con il suo annuncio la giovane parlamentare ricorda all’aula di Montecitorio come tutto sia cambiato. E come una seduta concepita a fine luglio per emarginare Fini e certificarne l’irrilevanza si sia ribaltata nell’esito opposto. Berlusconi nel suo discorso tocca il tasto del «reciproco riconoscimento tra le due parti», cioè tra Fli e il resto della maggioranza.

Riccardo Paradisi • pagina 4

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A Varsavia il Cda del Gruppo

Unicredit sceglie il suo futuro: dal Triveneto alla Baviera

Il «dopo-Profumo» è sempre più caratterizzato dalla sfida tra la politica italiana e i manager tedeschi di Carlo Lottieri

Per la prima volta dopo otto anni, i lavoratori di ogni settore incrociano le braccia: Paese bloccato

Bruxelles un corteo di centomila persone, con le bandiere dei sindacati di tutti i 27 Paesi della Ue. Manifestazioni anche in molte altre capitali della Ue: a Roma il segretario della Cgil, Guglielmo Epifani, ha reclamato misure che ripartiscano in modo più equo gli effetti della crisi parlando in piazza Farnese. Ma è in Spagna che l’action day europeo ha assunto la forma e il significato politico più clamorosi: è il primo sciopero generale contro Zapatero.

ROMA. José Barroso è convinto che «un debito pubblico enorme è antisociale, perché non permette di fare spesa dove c’è bisogno». Concezione che non gli ha impedito di spuntare il rigore tedesco per venire incontro a Francia e Italia: «Rigore morbido per chi non abbassa il debito»: questa la linea al vaglio dell’Ecofin.

er dirla in termini molto semplici, quella che sembra profilarsi in merito alla vicenda Unicredit è una sorta di “secessione bancaria”, destinata a spostare verso la Germania meridionale l’asse decisionale di un gruppo bancario che, a tutt’oggi, continua ad essere il più importante del Bel Paese. L’uscita di scena di Alessandro Profumo, accusato di non aver informato il cda dell’ingresso dei nuovi soci libici (proprio mentre diventavano azionisti di maggioranza relativa), è frutto di molte spinte di carattere diverso. E probabilmente è in larga misura la conseguenza del dato più evidente: il crollo conosciuto dal titolo durante l’ultimo biennio e, più in generale, la cattiva salute dell’azienda.

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Tutta la Spagna in piazza. Zapatero traballa P Sciopero generale contro il governo: scontri, arresti e feriti a Madrid di Enrico Singer

La Commissione chiede «rigore morbido»

Sul debito, l’Europa frena la Merkel

A

EURO 1,00 (10,00

di Francesco Pacifico

CON I QUADERNI)

• ANNO XV •

NUMERO

190 •

WWW.LIBERAL.IT

• CHIUSO

IN REDAZIONE ALLE ORE

19.30


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prima pagina

il fatto

Berlusconi parla per 54 minuti e lancia i soliti slogan. Poi nella replica attacca: «Non c’è stata alcuna compravendita di voti»

La sconfitta dei trecentocinque Il premier voleva 316 voti, ma senza i finiani e l’Mpa non ha più la maggioranza. Prima, in Aula, aveva solo riproposto le promesse non mantenute da sedici anni di Errico Novi segue dalla prima

l’irritazione del Carroccio. Ai leghisti non piacciono i troppi rifeSi produce in un intervento di rimenti al Sud, alle infrastruttuun’ora pieno di appelli al «bene re da realizzarvi, al federalismo comune» e all’«interesse nazio- da intendersi come un beneficio nale». Chiede di fatto la fiducia per il Meridione. Al Senatùr e ai anche ai finiani, e con umiltà e suoi non piace né lo sforzo di toni apprezzabili se non fossero riacciuffare i voti dell’Mpa, di tardivi, si rivolge alla maggio- raggranellare quelli di altri cespugli meridionali e soprattutto il rePIER FERDINANDO pentino cambio di CASINI: atteggiamento «Berlusconi verso Futuro e lisi prepara a tirare bertà, a cui a quea campare ma sto punto passa la se questo paese golden share della non cambierà maggioranza. A strada finiremo metà pomeriggio nel baratro. si viene a sapere Cambiamo strada, che i lumbàrd si facciamolo sono riuniti con il assieme, loro capo per e facciamolo esprimere il disapsubito» punto, reso già evidente d’altronranza che lo aveva incoronato de dal fatto che durante il dibatpremier due anni fa per «andare tito intervengono solo leghisti di avanti». Ma fa i conti con la sod- secondo piano: Caprini, Zaffini, disfazione del rivale Fini, che Bragantini. È Bruno Tabacci, duparla ai suoi di «una nostra vit- rante le dichiarazioni di voto, a toria». E forse ancora di più con infierire facendo notare che a

questo punto «la maggioranza ce l’ha eccome una terza gamba, anzi forse ne ha quattro», con riferimento alla pattuglia sudista.

Dall’appello alla fiducia Non c’è la conta a lungo cercata: alla fine la fiducia arriva, seppure con qualche sorpresa come il voto contrario di Fabio Granata, in ogni caso non c’è la sostanziale espulsione dalla maggioranza di Futuro e libertà. Ci sarebbe però un presidente del Consiglio carico di buone intenzioni. Se non fossero appunto le stesse presentate già 16 anni fa. Berlusconi interviene in due tempi, con le sue «comunicazioni all’aula» delle 11 di mattina – a cui fa seguito la prima parte del dibattito – e con la replica delle 16 e 30, che lascia poi il campo alle dichiarazioni di voto e, dopo le 18, alla chiamata nominale dei deputati. Nel suo primo discorso il premier fa di tutto per mantenersi su un registro di solennità. Apre con un riferimento non dichiarato a Sturzo, quando dice che «non c’è democra-

zia se il Parlamento non è libero e forte», quindi a Calamandrei, per interposto Veltroni: quest’ultimo, nel primo dibattito alla Camera dopo le elezioni del 2008, aveva ricordato le parole del padre costituente secondo cui «il regime parlamentare non è quello in cui la maggioranza ha sempre ragione, ma quello dove sempre hanno diritto di essere discusse le ragioni della minoranza». Quindi l’appello pacificatorio: «Abbiamo il dovere di continuare a governare nell’interesse del Paese, perché ce lo chiedono agli italiani. Ora non conviene rischiare un periodo di instabilità».

I cinque punti Il presidente del Consiglio passa dunque all’enunciazione dei cinque punti. Comincia col fede-

ralismo, «occasione innanzitutto per la parte più svantaggiata del Paese». È il Sud a guadagnarci, dunque, e in ogni caso la riforma «sarà la cerniera unificante» tra Nord e Meridione. «Ci sarà una nuova Italia grazie PIERLUIGI BERSANI: «Lei arrivò con un sogno; il sogno è diventato favola e la favola si è dispersa in mille bolle di sapone. I suoi tg dicono che è l’uomo del fare e non del teatrino politica, ma lei è l’impresario di questo teatrino!» a un nuovo patto nazionale». Quindi la riforma del fisco: «L’obiettivo del governo è ridurre la pressione delle tasse senza creare deficit». Ed è qui che interviene un riferimento al «quoziente familiare, già sperimentato in alcune città, tra cui la Ca-


prima pagina è l’impietoso suggerimento di Adornato, «lei propone da sedici anni lo stesso programma e non riesce mai a realizzarlo». La ragione evidentemente «è nel suo insuccesso come grande riformatore ma anche come federatore: ha rotto con Casini, ha annesso Fini, ora non si fida di Bossi e di Tremonti, secondo me giustamente». E dunque Adornato ricorda che «lei ha corteggiato noi dell’Udc, ma quando abbiamo consigliato di aprire crisi non ci ha dato retta. Lei che odia i ribaltoni ha fatto il ribaltino togliendoci dei deputati, con l’atteggiamento di chi non riuscendo ad avere per sé una bella donna si accontenta di tagliarle un dito». Non risparmia nulla Rosy Bindi, che al termine di una pesante requisitoria chiede al premier di dimettersi e «lasciare il campo a un governo che faccia la legge elettorale ci porti al voto in primavera». Non basta l’esposizione generosa di Giuliano Cazzola sugli indicato-

FABRIZIO CICCHITTO: «Ha parlato al Paese e al Parlamento nel suo complesso, illustrando la piattaforma del centrodestra e il programma per il futuro, e ponendo tutti davanti alle proprie responsabilità»

pitale». Dove per inciso, l’introduzione del meccanismo favorevole alle famiglie con figli, disabili e anziani a carico nasce da una proposta dell’Udc. Più intenso è il passaggio sulla giustizia: Berlusconi fa intravedere doppio Csm, una modifica sulla «azione disciplinare per i magistrati» e la «separazione delle carriere». È qui che arrivano gli applausi più energici dai banchi del Pdl. Da dove peraltro si inscena una sorta di claque, con il ministro Frattini che la guida battendo ritmicamente i pugni sul tavolo. Che non è nulla però rispetto allo spettacolo offerto, in diretta televisiva, da Di Pietro nella sua pomeridiana dichiarazione di voto: che è una specie di turpiloquio ininterrotto. Nel passaggio sulla sicurezza si elogia quella «squadra che si chiama finalmente Stato», protagonista nella lotta al crimine. Quindi arriva il capitolo numero cinque, quello sui 21 miliardi da destinare al Sud, sulla Salerno-Reggio Calabria e sul Ponte di Messina (due promesse che scatenano fragorose risate nell’opposizione). La chiusura è dedicata ai rapporti interni alla maggioranza: «Il dibattito può essere necessario e legittimo, ma negli ultimi tempi», ammette, «la dialettica ha superato i suoi limiti». Comunque «da entrambi gli schieramenti», Fli e resto della maggioranza, «non devono venire cartelli ma alleanze». Il Cavaliere dichiara la sua amarezza per critiche come quelle di Fini «anche perché immaginavo il Pdl come il partito di tutti i moderati» e ancora spera di costruire la loro unità «nel segno del Ppe».

Il contraccolpo Sull’aula di Montecitorio non si stende però alcun incantesimo. La risposta delle opposizioni è spietata. Il dipietrista Massimo Donadi parla di «barzellette». E Ferdinando Adornato esordisce a sua volta con il più amaro sarcasmo: «Nel sentirla mi è sembrato di sognare: finalmente uno che ha le idee chiare, mi son detto. Se non fosse che a parlare era lei, e che quello da lei illustrato sembra il programma del ’94. Dovrebbe chiedersi perché»,

sponsabilità trasfigura in sua sostanziale sconfitta politica.

Il Cavaliere ecumenico

Lo stesso presidente del Consiglio si sforza di respingere quest’ombra nella sua replica, che arriva alle quattro e mezza. Si aggancia alle parole di Lupi su ideologia e pregiudizio ma poi si sforza di nuovo di assumere un tono ecumenico: «Un grande partito di centro come l’Udc e un grande partito di sinistra democratica come il Pd hanno il dovere di dare un segno di responsabilità. Quindi ringrazia «quei parlamentari moderati che hanno voluto sostenerci», smentendo di aver aperto una compravendita. Alla fine pone lui la questione di fiducia sulla base non solo delle identiche risoluzioni del Pdl, della Lega e del gruppetto di Noi Sud, ma citando esplicitamente (con il numero di sequenza) anche quella congiunta di Fli e Mpa, che porta la firma, udite, del “deferito” Italo Bocchino, oltre che del lombardiano Carmelo Lo Monte. Cominciano le dichiarazioni di voto e arrivano subito il sì stiracchiato dell’Mpa, il netto no di Tabacci, quindi quello di Di Pietro che si muove tra battute del tipo «lei è uno spregiudicato illusionista, anzi un pregiudicato illusionista» e evocazioni dei «barbari padani». GIORGIO LA MALFA: Fino al «ricatto con azioni di «Oggi Berlusconi dossieraggio» con cui il preè costretto a promettere strade mier «compra non solo gli alleati ma anche gli avverprovinciali per sari», cioè Fini. E fino all’eaccontentare quel piteto finale: «Lei è uno stuparlamentare o pratore della democrazia». quell’altro... perciò io non mi L’armonia di Bocchino sento di dare Tocca a Bocchino, subito la fiducia a questo dopo. «Esprimiamo appreztipo di politica. zamento al presidente del Voterò no a un sogno che è svanito» Consiglio per il passaggio parlamentare che ha voluto fare. C’era un problema di ri positivi e sugli «strumenti rapporti nella maggioranza, e adoperati per garantire la coe- lei oggi ha parlato di riconoscisione sociale, a cominciare dal mento delle molteplici forze porifinanziamento degli ammor- litiche». Rimarca il riconoscitizzatori». Anche perché si ag- mento appena compiuto da Bergiungono altri interventi critici, lusconi dei «tre diversi docucome quelli di Linda Lanzillotta menti», compreso quello di Fli, e di Savino Pezzotta, che rompe sulla base dei quali viene chieil velo del silenzio sulla questio- sta la fiducia. Ma l’espressione ne che fa da sfondo all’intera chiave è «armonia assennata». giornata, ossia la guerra dei dos- È quella che il casier scatenata contro Fini: su pogruppo finiano questo, obietta il dirigente del- chiede al premier l’Unione di centro, «lei presiden- di garantire, al di te non ha detto una parola: so- là di quella «inclispetti, maldicenze, senza che lei nazione alla ricerci abbia chiarito nulla». E il giro ca di soluzioni» di reazioni molto negative è da quest’ultimo ricompletato da Castagnetti, che vendicata e che, scorge i segni di un montante di- ammette Bocchispotismo. È così forte il contrac- no «ci ha fatto colpo tra le buone intenzioni in- sorridere». Il fedetonate dal premier e la gelida ac- ralismo fiscale? coglienza delle opposizioni che «Anche quella è Maurizio Lupi interviene un po’ un’occasione da a sorpresa per prendersela, ci- cogliere», ma la tando Nietsche, con il «pregiudi- cosa più imporzio che è l’inizio dell’ideologia». tante è «non toIn realtà il vicepresidente della gliere al Sud quello che ha, a coCamera dimostra, a sua volta, minciare dai fondi Fas», rivendiche la giornata in cui Berlusconi cando così appieno il ruolo di avrebbe voluto riconsacrarsi contrappunto meridionalista alleader della concordia e della re- la Lega per la neonata terza

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gamba, insieme con l’Mpa. Fino al passaggio su giustizia: «Per noi fa coppia con legalità. Siamo favorevoli alla legge per le alte cariche dello Stato perché i processi si sospendano e si tengano dopo il mandato», come afferma di essere d’accordo «con una grande riforma dell’ordinamento giudiziario che però non sia punitiva per i magistrati».

Casini: italiani disgustati «Basta con quello a cui abbiamo assistito quest’estate, con avversari colpiti negli affetti più intimi», è l’esordio di Casini. «Noi voteremo provvedimenti sulla famiglia o sulla difesa della vita e le diciamo: li faccia. Ma lei non può dare sempre la colpa agli altri, per gli obiettivi non realizzati. Continueremo con la nostra opposizione repubblicana, dicendo intanto no alla fiducia». E poi ricorda: «Oggi in commissione i suoi hanno votato contro i fondi per la Salerno-Reggio, che lei invece ha promesso: la prendono in giro, o è lei che prende in giro noi?». Contesta l’idea proposta di riforma della giustizia, compresa la legge fantasma sul processo breve. «Non siamo pentiti di aver favorito leggi sulle alte cariche, ma diciamo: se la Camera diventa una corporazione di casta che si autoassolve sempre e comunque ripetiamo negli stessi errori della Prima Repubblica». Perciò «attenti, se non cambiamo strada cadiamo nel baratro: facciamolo assieme e subito».

Avvertimento leghista Reguzzoni, capogruppo lumbàrd, si esercita a nascondere il disappunto montante tra i suoi: «Apprezziamo molto il suo discorso, ringraziamo Bossi per la scelta politica di concretezza e lealtà». Poi il tono orgoglioso: «È un onore essere alla guida di questo gruppo, noi ci siamo stati sempre, in aula». Sottinteso: a differenza del Pdl, spesso sfilacITALO BOCCHINO: «Noi Siamo disponibili su tutto ciò che è scritto nel programma e sul resto siamo disponibili a discutere con la maggioranza, senza diktat ma senza preclusioni preconcette»

ciato. E ce n’è anche per le pretese meridionaliste di Mpa e NoiSud: «Cento anni di politiche sbagliate gravano sulle nostre famiglie, pensiamo a con-

trastare la mafia come ha fatto Maroni». Bella premessa. La parola del Pd è affidata al segretario Pier Luigi Bersani. Che ricorda i dati negativi sulla crescita e «il distacco maturato per la prima volta dai grandi Paesi europei». Il discorso del premier? «Debole, pieno di promesse risapute che non si realizzano mai». Ironia su SalernoReggio, tasse e banca del Sud. «Qualche minaccia alla magistratura non manca mai. Ma il punto di fondo è che nelle sue parole non c’è comprensione per l’Italia vera». Bersani è spietato: «Quanti anni volete governare per chi sia colpa vostra? Ottant’anni?». E giù applausi. Altro colpo: «Non cita ANTONIO DI PIETRO: «Berlusconi è uno stupratore della democrazia, ha prodotto con il suo governo soltanto leggi ad personam in difesa dei suoi interessi e per sfuggire alla giustizia, assieme alla sua cricca» più Napoli e L’Aquila. Io domani ci vado, vuole venire con me a vedere dov’è il suo miracolo?». Sul teatrino della politica: «Lei fa dire ai suoi telegiornali di esserne estraneo, di rappresentare la politica del fare. Ma lei è l’impresario di questo teatrino. E la pagina nuova l’apriamo noi».

Cicchitto ricuce Ingrato a questo punto il compito di Cicchetto. Il capogruppo del Pdl si applica innanzitutto a rovesciare le critiche di Bersani. Poi la parte più delicata: «Va fatto ogni sforzo per superare le divergenze nella maggioranza. Ho ascoltato Moffa e Bocchino, spero che preludano davvero a un impegno riformatore per i prossimi tre anni». Anche lui riconosce di fatto la costituzione dei finiani come terza gamba della coalizione. A Casini dice: «Oggi non è in crisi il bipolarismo, ma la sua interpretazione selvaggia con la demolizione dell’avversario». Suona quasi come un’autocritica. A margine del dibattito in aula va in scena un fiorilegio di interpretazioni, a volte di forzature. Intanto c’è la soddisfazione del presidente della Camera che parla di «fiducia inevitabile» ma invita i suoi (in una riunione di cui diamo conto in un altro servizio, ndr) a «vigilare sulla giustizia». Il cielo per l’ex leader di An è comunque abbastanza propizio da spingerlo a fissare nel giorno di martedì l’avvio della costituzione del «nuovo soggetto politico» di Futuro e libertà. Lorenzo Cesa è lapidario: «Berlusconi ha certificato il fallimento di sedici anni di promesse mai realizzate». Appunto.


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l’approfondimento

Pasquale Viespoli si dimette da sottosegretario al Welfare e assume la carica di capogruppo di Fli al Senato

Il giorno della terza gamba Cronaca di 24 ore destinate a cambiare gli equilibri nella maggioranza. Dalla riunione con Fini nasce un nuovo partito «per contare di più, almeno quanto Bossi». E il balletto dei voti dimostra che hanno i numeri per farlo di Riccardo Paradisi er noi è inevitabile dare la Fiducia al governo ma già da martedì prossimo daremo avvio al processo politico che porterà alla nascita del nuovo partito». Dalla linea tracciata da Gianfranco Fini ai suoi nella sede della fondazione Farefuturo prima del discorso di Berlusconi alla Camera si intuisce facilmente quale sarà la condotta delle prossime settimane e dei prossimi mesi di Futuro e libertà. Linea di lotta e di governo.

«P

Di lotta, perché quell’aggettivo“inevitabile”dice tutto delle riserve che i finiani hanno messo nella fiducia data al premier, un’atto dovuto, tattico – a sentir loro – per allontanare da sé la responsabilità di mettere fine a una legislatura alla quale i futuristi vorrebbero dare una torsione nuova pesando di più in maggioranza. Di governo, perché malgrado questo voto di fiducia più che una stipula di rinnovata alleanza sia un gesto appunto calibrato entro una geometria di rapporti di forza è anche un mo-

do per allontanare da sè l’onere di far cadere la legislatura. È il primo gradino comunque da cui riparte la strategia guerrigliera di Futuro e libertà all’interno del centrodestra. Strategia di cui s’indovinano già i prodromi nello scalpitare di Fabio Granata, ci siamo anche senza i loro riconoscimenti ufficiali, di Carmelo Briguglio, «Ormai siamo la terza gamba», delle riottosità di Luca Barbareschi e della vecchia bandiera Mirko Tremaglia che già dolori inflisse al premier con i voti degli italiani all’estero che non giunsero. ll secondo gradino di questa strategia sarà il braccio di ferro sulla giustizia, già cominciato dopo il congelamento dei negoziati per trovare la quadra di un testo unico e condiviso tra l’avvocato di Fini Giulia Buongiorno e quello di Berlusconi Niccolò Ghedini. Gli altri nodi via via verranno poi a emersione: «Terremo incontri settimanali per esaminare i progetti che arriveranno», promettono i finiani che non prenderanno niente a scatola chiusa ma anzi pretenderanno di riempire di contenuti e di entrare nel

merito di ogni provvedimento del governo. Dietro i titoli dei cinque punti insomma, i finiani vogliono mettere le loro idee e le loro proposte, determinarne la declinazione. Insomma da domani ricomincia la giostra, il braccio di ferro interno alla maggioranza. A dare plastica compiutezza allo schema che riemerge dalla giornata di ieri è Michele Ventura, vicepresidente vicario dei deputati del PD. Al netto degli accenti polemici convenuti il suo quadro non fa una piega: «Berlusconi ha parlato del par-

Martedì si riunirà il comitato promotore del nuovo soggetto politico

tito unico dei moderati e ha ricevuto in tempo reale due risposte da Fini e a distanza di un minuto l’una dall’altra. La prima: ”fiducia inevitabile”, la seconda: ”martedi facciamo un nuovo partito e, sulla giustizia, vedremo i provvedimenti in aula”. È così chiaro che se tra qualche ora questo esecutivo avrà la fiducia, tutto tornerà esattamente come prima». Certo poi le forme della politica riescono a vellutare le resistenti e acuite spigolosità tra finiani e Berlusconi. E così come Pasquale Viespoli rassegna con fair

play le sue dimissioni da sottosegretario per il ruolo di capogruppo al Senato allo stesso modo il moderato Silvano Moffa, il primo dei finiani a prendere la parola in aula definisce quello di Berlusconi «un discorso responsabile, equilibrato che supera il clima avvelenato dei giorni scorsi». A Moffa è anche piaciuto Il richiamo a ”saggezza e realismo” di Berlusconi «nel suo discorso il presidente del Consiglio ha richiamato temi posti da Fli, e dal presidente Fini per primo, al centro del dibattito. Temi che allargano il confronto, anche all’opposizione». Insomma che si vuole di più. «Abbiamo bisogno gli uni degli altri se vogliamo che qualcosa vada a buon fine», ha concluso Moffa. Simul stabunt simul cadent? In fondo è sempre stata questa la tesi delle colombe finiane, le aquile preferisce chiamarle Mario Baldassarri, che ritengono essenziale un patto di legislatura tra Fini e Berlusconi per equlibrare le spinte nordiste della lega. Questo per quanto concerne la fiducia. E per quanto riguarda il partito?


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Berlusconi ha parlato come se non sapesse che cosa succede alla gente

Ma il premier ha dimenticato tutte le vere urgenze del Paese La crisi, la disoccupazione, le difficoltà economiche delle famiglie, la questione etica: ecco ciò che avremmo voluto sentire alla Camera di Savino Pezzotta segue dalla prima Eppure penso che un presidente del Consiglio coinvolto direttamente o indirettamente su certe questioni, ha il dovere morale di spiegare al Paese quello che sta accadendo e perché certe cose stanno succedendo. Credo che una valutazione critica dell’uso dei dossier, delle insinuazioni, dell’uso della stampa nei modi con cui è stata usata, avrebbe dovuto risuonare in Parlamento, perché anche questo è il modo di rispettarlo: usare parole chiare! Invece, niente. Eppure nel nostro Paese c’è, nel rapporto con la politica, una questione etica: è come se tutto fosse possibile pur di avere un po’ più di consenso, pur di avere un po’ più di potere.

Nel nostro Paese, tra la gente comune, c’è tormento rispetto alle situazioni che stiamo vivendo: Berlusconi ha detto che c’è una tendenza all’astensionismo, ma non si è chiesto perché la gente diffida. Quando la gente si trova dentro questo bipolarismo muscoloso, dentro lo scandalismo, dentro gli strumenti che sono stati usati questa estate, credo bene che si discosti dalla politica e dall’andare a votare. A mio avviso, una parola chiara serviva: questo lasciar correre è pericoloso, mina il rapporto tra la dimensione politica e il sentire di tante persone oneste. Ecco, credo che su questo tema occorresse avere parole nuove. Parole nuove che non sono arrivate. Mi dispiace che ciò sia avvenuto, perché alla fine si lascia intendere che si continuerà su questa strada, che non verrà fermata e che non faremo una cosa diversa. Ed è questa la mia preoccupazione: quanti dossier circoleranno domani mattina? Di questo mi preoccupo, non tan-

to per me, ma per la democrazia nel nostro Paese, per le nostre istituzioni, per il rapporto positivo che vorrei che la gente avesse nei confronti della dimensione politica e delle istituzioni repubblicane. Quando persone miti, sagge e anche prudenti, come il cardinal Bagnasco, dicono certe parole, proprio perché sono persone prudenti, miti, che hanno la tranquillità del dire, noi ci dovremmo fermare, riflettere e dare giudizi. Se non lo facciamo, siamo complici, non c’è alternativa,

È inutile continuare a promettere riforme: adesso bisogna farle. Oppure è meglio tacere e, indirettamente, pur non avendo commesso nulla, siamo complici di quello che circola e di quello che va in giro. Berlusconi ha ricevuto la fiducia, ma farà fatica a governare e farà fatica a fare le riforme, perché in Parlamento non ha chiarito nulla, e le cose ritornano, sempre. Il modello politico che il premier ha difeso è da sedici anni che ci crea problemi, che non ci lascia governare, che fa cadere i governi, che trasforma e modifica le maggioranze e le mette in turbolenza, come è avvenuto prima e come sta avvenendo ora. Bisogna cambiarlo. Uno statista vero, quando si rende conto che un modello non funziona, si fa protagonista del cambiamento, non della conservazione! Perché la

conservazione di questo modello di sistema bipolare - non del bipolarismo - sicuramente non aiuterà il Paese ad uscire dalle difficoltà.

L’ottimismo di Berlusconi non mi convince, perché ogni giorno devo

confrontarmi con una realtà diversa; è come se vivessimo in due Paesi diversi. La gente che incontro al bar, sul treno, nei miei paesi, mi dice cose diverse da quelle che mi dice lei. Chi è nella verità? La verità sta in chi soffre la condizione e la situazione, in chi ce l’ha sulla pelle, e non in noi che siamo qui e, tutto sommato, più o meno, ce la «sbarchiamo». Per questo è necessario dire la verità, per far capire che non stiamo bene ma siamo in una situazione di emergenza: abbiamo un tasso di disoccupazione all’8,8 per cento; sotto la media europea mi si dice, certo! Ma se aggiungo le ore non lavorate della cassa integrazione, l’inoccupazione, i precari e tutte le aree del non lavoro il nostro 8 per cento diventa un 12 per cento, oltre la media europea! Ci rendiamo conto di questo? Ci rendiamo conto di quanta sofferenza c’è in giro su questo terreno, di quanti padri e di quante madri mi chiedono: mio figlio, cosa farà domani? I miei sacrifici dove andranno a finire? Vogliamo rispondere a questo? O continuiamo con i dossier? Vogliamo rispondere a queste esigenze reali e concrete delle persone, alla loro sofferenza, oppure no? Migliaia di persone sono in cassa integrazione. La cassa integrazione è uno strumento che abbiamo inventato tanti anni fa, funziona, ma non è bello stare in cassa integrazione, soprattutto quando si passa dalla cassa integrazione ordinaria a quella speciale e a quella in deroga. Quanti sono i padri di famiglia, le madri e i giovani che dicono: ma rientrerò o no? Perciò mi aspettavo un discorso diverso sulla competitività, su come affrontiamo la nuova sfida della globalizzazione, ma nulla di questo ha voluto dire, il premier.

Per quanto riguarda il federalismo, poi: non siamo contro il federalismo, ma siamo per un federalismo cooperativo e solidale; il nostro modello è quello della Baviera, che è dentro un sistema federale, bello, coeso e che funziona. Le soluzioni diverse non funzionano. Anche per ciò noi non abbiamo votato la fiducia, ma siamo disponibili come sempre, per quell’opposizione responsabile che abbiamo fatto - a esaminare tutti i provvedimenti. Vorremmo che Berlusconi non ci riproponesse ancora una volta il quoziente familiare, ma lo ponesse sul tavolo, con tempi e risorse: e noi lo voteremo. Sulle questioni eticamente sensibili: Berlusconi ci dica quello che intende fare, e se le proposte saranno compatibili con le nostre, le voteremo. Tuttavia, c’è una questione che è altrettanto eticamente sensibile che riguarda la corruzione, il malaffare, P1, P2, P3: tutte queste cose sono eticamente sensibili tanto quelle che riguardano la vita.

Che creatura sta per nascere dall’arcipelago finiano fino ad oggi connotato da fondazioni, giornali, movimenti on line fondazioni e pensatoi? Ha usato il termine ”soggetto”Fini, precisano in ambienti di Fli, perché sarebbe troppo riduttivo definirlo partito, visto che l’ambizione è dar vita a una terza gamba del centrodestra. «Martedì si riunirà il comitato promotore di Futuro e Libertà –spiega il capogruppo di Fli alla Camera Italo Bocchino – è chiaro che c’è un percorso che noi vogliamo fare coordinandolo dall’alto ma facendolo nascere dal basso».

Insomma non c’è ancora nulla di definito, un progetto ancora in aria, talmente che per il corodnatore del Pdl Ignazio La Russa si tratterebbe solo di un diversivo: «Inserire l’argomento di un partito potrebbe forse apparire un modo per deviare dalla responsabilità che oggi tutti si devono assumere al momento del voto. Chi cerca questi argomenti vuole fare fumo accanto a un problema che merita la massima trasparenza». Un diversivo probabilmente ma di segno Pdl sembra essere invece la voce che s’è diffusa dopo l’annuncio della nascita del nuovo soggetto politico: se Gianfranco Fini dovesse guidare nei prossimi mesi il nuovo partito, dovrebbe lasciare la presidenza della Camera anzi starebbe proprio preparando le sue dimissioni. Ipotesi smentita dal suo portavoce, Fabrizio Alfano. Un’ipotesi dunque infondata anche se non peregrina; tanto che era stato uno dei fedelissimi finiani, il direttore scientifico della fondazione Farefuturo, a consigliare a Fini di dimettersi dalla presidenza della Camera proprio per avere le mani libere per portare avanti le battaglie politiche. Il ragionamento del resto è ampiamente condiviso da molti esponenti di Futuro e libertà soprattutto tra quelli che hanno rotto i ponti con il Pdl. «Martedì – dicono – avverrà la formazione di un comitato costituente del nuovo soggetto politico, che dovrà formarsi in un primo momento attorno agli eletti di Futuro e libertà per poi allargarsi alle forze provenienti dal territorio. Ma quando il partito dovrà confrontarsi con elezioni dovrà guidarlo a tempo pieno». Quando ciò non dovesse avvenire anche nel Pdl c’è già chi – come il ministro dell’Istruzione Gelmini – oppone delle ragioni a un doppio incarico: «Se Fini deciderà di dar vita a un nuovo partito restando alla presidenza della Camera sarà difficile rendere questa cosa compatibile con un ruolo istituzionale». E non è difficile immaginare che da qui probabilmente ripartiranno gli attacchi a Fini da parte del Pdl. Insomma il governo ha avuto la fiducia, Futuro e libertà sarà un partito ma per il resto non è cambiato niente.


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pagina 6 • 30 settembre 2010

Resa dei conti. Presentata la Decisione di finanza pubblica, che sostituisce il Dpef. Nuove incognite sul futuro del Paese

L’Italia rallenta anche nel 2011

Crescita in affanno e il debito sfonderà il tetto del 119 per cento del Pil ROMA. L’ultima coda della crisi potrebbe prolungarsi anche per tutto il 2011. Questo il timore del governo quando Giulio Tremonti ha presentato ieri in Consiglio dei ministri alla Decisione di finanza pubblica (Dfp). Nel testo che sostituisce il Dpef il Tesoro rialza le stime di crescita per il 2010, che passano da un 1 per cento a +1,2, mentre vengono ridotte le previsione per il 2011: tra un anno, infatti, il Pil crescerà dell’1,5 per cento e non del 1,3 come in precedenza ipotizzato. Nel 2012, invece, la ripresa dovrebbe essere più sostenuta (+2 per cento). Per la cronaca il Fmi ha ipotizzato per l’Italia un balzo dello 0,9 per cento nel 2010 e dell’1 nel 2011, mentre l’Ocse ha visto per l’anno in corso una risalita dell’1,1, la più bassa tra i paesi del G7. Fatto sta che a meno di improvvisi stravolgimenti, il Paese ci metterà cinque anni prima di tornare ai livelli di attività precedente alla crisi. Mentre nel 2013 la pressione fiscale, dopo il picco del 43,2 registrato nel 2009, scenderà soltanto al 42,4 per cento del Pil nel 2013. Emblematica anche la dinamica del debito, con il Paese vicino a sfondare nuovi pericolosi record. Già quest’anno Il rapporto debito/Pil si assesterà al 118,5 per cento anziché al 118,4. Ma le cose andranno peggio nel 2011: si sfonderà la soglia psicologica del 119 per cento (119,2 per la precisione), più lontano di quanto si pensi dal 118,7 stimato nei mesi precedenti.

di Francesco Pacifico

deficit/Pil per quest’anno (5 per cento) e per il 2011 (3,9). Ma al rallentamento seguiranno malumori. Ce ne si è accorti ieri quando nel corso del suo intervento alla Camera, Silvio Berlusconi, meno baldanzoso del solito, ha scandito che «la crisi economica non è completamente superata, anche se il picco è alle nostre spalle. Si va verso una crescita inferiore a quella tedesca e di altri paesi ma ciò dipende da alcuni fattori come ad esempio il fatto che in Germania non sono state bloccate per trent’anni le

Con i conti sempre più in rosso caleranno anche le risorse da investire nell’economia reale. A meno che si registri un boom nelle esportazioni Questa dinamica sarà ribaltata soltanto dal 2012, quando l’aumento della produzione, con conseguenti benefici in termini di gettito, vedrà l’indebitamento tornare al 117,5. Dal Tesoro hanno spiegato che queste performance sono dovute «alla minore crescita e all’impatto del contributo per la Grecia». E al netto delle non poche ripercussioni che ci saranno in termini di servizio al debito, non dovrebbero esserci rischi per le nostre emissioni se da via XX settembre hanno confermato le stime del

costruzioni di autostrade o di centrali nucleari come invece è accaduto da noi». Più ottimista invece Maurizio Sacconi. A domanda se in Consiglio dei ministri queste nuove stime avessero creato preoccupazione o imbarazzo, il titolare del Lavoro ha fatto spallucce e spiegato che «siamo comunque tenuti a una rigorosa disciplina di bilancio. Di conseguenza, il vincolo europeo è virtuoso, aiuta». La manovra correttiva per il prossimo biennio impone impegni per 24,9 miliardi, con ta-

Firmato accordo tra Federmeccanica e FimCisl e Uilm

Fiat, deroghe al contratto ROMA. Non ci sarà il contratto dell’auto chiesto a gran voce da Sergio Marchionne. Ma nonostante la difficoltà della trattativa ieri è stato chiuso l’accordo tra Federmeccanica, Fim Cisl e Uilm per derogare in maniera più sostanziale la piattaforma nazionale dei metalmeccanici. Atto che, va ricordato, non è stato firmato dalla Fiom Cgil e che non si è al tavolo di queste settimane. Le deroghe saranno ora rese possibili con l’inserimento dell’articolo 4 bis nella parte del contratto dei metalmeccanici che già prevedeva deroghe al contratto medesimo. Nella formulazione definitiva sarà messo nero su bianco che «l’unica materia assolutamente non derogabile rispetto al contratto collettivo nazionale di lavoro dei metalmeccanici». Di conseguenza, gli accordi «non potranno riguardare i

minimi tabellari, gli aumenti periodici di anzianità e l’elemento perequativo (quota di salario a chi non ha diritto alla contrattazione di secondo livello, ndr) oltre che i diritti individuali derivanti da norme inderogabili di legge».

Va da sé che in questa cornice verrano inseriti gli aumenti di produttività, le sanzioni e le limitazioni al diritto di sciopero ottenute da Marchionne per rilanciare lo stabilimento Fiat di Pomigliano d’Arco. Su tutte le furie Maurizio Landini. Nonostante Federmeccanica gli abbia rivolto l’invito di tornare al tavolo delle trattative, il leader della Fiom parla di «uno strappo democratico gravissimo. I firmatari non hanno alcun mandato dei lavoratori, ma si apre il percorso a chi vorrebbe cancellare il contratto nazionale nel nostro Paese, usando la crisi».

gli per lo più rivolti alle Regioni e che finiscono per colpire i trasferimenti su materie (trasporto pubblico locale, aiuti alle aziende e infrastrutture) in grado di incidere in maniera esponenziale sul ciclo. E se la crescita sarà risicata anche nel 2011, sarà difficile per Tremonti trovare quelle risorse sotto forma di investimenti o di incentivi fiscali che i settori più colpiti dalla crisi (come l’edilizia e la meccanica di precisione) chiedono per rimettersi in carreggiata. Eppoi la crescita del debito pubblico arriva quando la Ue si accinge a varare una riforma del patto di stabilità, che impone rientri più veloci e dolorosi per i Paesi con debito superiore al 60 per cento del Pil. Con il passivo al 118,7 per cento il governo di Roma rischia manovre straordinarie nel prossimo triennio pari a 40 miliardi di euro. Soprattutto potrebbe rendere vani gli sforzi dell’asse italofrancese, che ha ottenuto dalla Commissione di tenere in conto anche la stabilità del debito privato e la lentezza del ciclo, come cause sufficienti a spalmare su più annualità i piani di rientro. Il trend invece evidenziato dalla Dpf potrebbe spingere qualche nostro partner dell’Ecofin a chiedersi se siamo di fronte a una minaccia in grado di creare rischi sistemici a tutta l’area. E di fronte a quest’ipotesi Bruxelles può imporre ulteriori sanzioni oltre al congelamento di fondi strutturali e agricoli pari allo 0,2 per cento del Pil del Paese tenuto sotto controllo.

Va da sé che questi numeri potrebbero cambiare se le nostre aziende riusciranno a conquistare nuovi mercati (soprattutto asiatici dove langue la presenza italiana) e se il governo avesse il coraggio di fare un intervento sulle pensioni più strutturale di quello predisposto nelle ultime manovre. Perché alzare l’età pensionistica (e non solo legarla all’invecchiamento della popolazione) potrebbe sia liberare importanti risorse del Welfare oggi destinate al capitolo previdenziale sia permettere al Paese di emettere bond con un rating più alto sui mercati internazionali per recuperare le risorse necessarie a operazioni procicliche, come le quanto mai necessarie infrastrutture.


diario

30 settembre 2010 • pagina 7

Il presidente dell’Antitrust: «Scarsa competizione e prezzi troppo alti»

Così ieri a “Mattino 5”: «A Napoli emergenza economica e finanziaria»

Rc Auto, Catricalà contro le compagnie

Rifiuti, Bertolaso: «Provo amarezza»

ROMA. Scarsa competizione tra le compagnie assicurative e prezzi delle polizze Rc auto troppo alti. Il presidente dell’Antitrust, Antonio Catricalà, ieri ha puntato punta il dito contro le compagnie assicurative. «Nonostante l’inizio della liberalizzazione sia stato decretato, non si è attivato un efficace processo concorrenziale e conseguentemente non si è avuto un riflesso positivo sul contenimento dei prezzi».

NAPOLI. «A Napoli siamo di

«La scarsa vivacità della competizione che si riscontra in questo settore - ha aggiunto è conseguenza della tenuità della concorrenza che si registra in genere nei mercati assicurativi e finanziari. Le ragioni di questo stato di cose sono da ricondurre al tipo di servizi in questione che, data la loro particolare complessità, si prestano a essere valutati dal consumatore non direttamente, ma attingendo ai suggerimenti di determinati intermediari cui si riconosce una particolare fiducia». «Questa asimmetria informativa a svantaggio dei consumatori - ha sottolineato - riduce di molto le possibilità di controllo critico sulle scelte di consumo e per conseguenza indebolisce il confronto concorrenziale tra le stesse imprese che offrono i servizi». Inoltre, ha

Melfi, respinto il ricorso della Fiom «Inammissibile» la richiesta di reintegro dei tre operai di Francesco Lo Dico

MELFI. «Ricorso inammissibile». Il giudice del lavoro di Melfi, Emilio Minio, boccia l’istanza presentata dalla Fiom in merito alla sentenza di reintegro dei tre operai dello stabilimento lucano della Fiat. Sospesi l’8 luglio, licenziati il 13 e il 14 dello stesso mese, reintegrati poco dopo con una sentenza, riaccolti ma messi ai margini dall’azienda torinese, Antonio Lamorte, Giovanni Barozzino e Marco Pignatellio, resteranno dunque a libro paga, senza poter prestare la propria opera alla catena di montaggio.

Il ricorso della Fiom era arrivato infatti dopo che il Lingotto aveva attribuito al decreto di reintegro del giudice del lavoro una valenza curiosa, ma a detta dei vertici dell’azienda, non inconsueti. In un primo tempo, lo stesso Minio aveva emesso il provvedimento di annullamento dei licenziamenti dei tre operai Fiat, defenestrati a metà luglio per aver bloccato un carrello robotizzato nel corso di uno sciopero interno. Ma il successivo reintegro, reso puramente formale dalla Fiat che ha rinunciato alle prestazioni dei tre dipendenti pur continuando a remunerarli regolarmente, aveva provocato la contromossa della Fiom. Il sindacato aveva infatti richiesto al giudice Minio maggiori chiarimenti sul concetto di “reintegro”. Una vicenda sulla quale Minio si è dichiarato ieri incompetente, dando vita a opposte reazioni sui due fronti della vertenza. I legali della Fiat evidenziano che «nel dichiarare inammissibile l’istanza della Fiom, il Tribunale di Melfi ha confermato trattarsi di richiesta estranea al nostro ordinamento processuale», sottolineando che la stessa costituisce «tentativo, che oltrepassando i limiti dell’analogia, si caratterizza per essere un’iniziativa creativa e di politica legislativa, inibita all’ordine giudiziario». La Fiom annuncia invece dal canto suo che oggi presenterà un’altra istanza al giudice dell’esecuzio-

ne del Tribunale di Melfi «per la definizione delle modalità di attuazione» del decreto di reintegro. «Il giudice del lavoro – chiarisce l’avvocato Lina Grosso – ha dichiarato inammissibile la nostra istanza, dichiarandosi incompetente, perché non in presenza di un provvedimento di natura cautelare». E garantisce che è già in preparazione l’atto di precetto da presentare stamane al giudice dell’esecuzione del Tribunale di Melfi, «per ottenere i necessari chiarimenti sulle modalità del reintegro dei tre lavoratori». Ma al di là delle prossime mosse, sarà il dibattimento al via il 6 ottobre a dirimere in aula, con un giudizio di merito vero e proprio, la questione Melfi. Una vicenda solo apparentemente formale, che mette sul tappeto il diritto di sciopero sancito dall’articolo 40 della Costituzione, che l’azienda ha reputato invece come «un volontario e prolungato illegittimo blocco della produzione». Il confino di Lamorte, Barozzino e Pignatellio in una saletta predisposta all’attività sindacale è considerata dal Lingotto una «prassi consolidata nelle cause di lavoro che ha l’obiettivo di evitare ulteriori occasioni di lite tra le parti in causa.

Lamorte, Barozzino e Pignatellio restano a libro paga, ma la catena di montaggio è ancora “off limits”

continuato Catricalà, c’è un’ulteriore criticità dei mercati italiani dal lato dell’offerta. Catricalà, quindi, ha citato un dato: «Il 71 per cento delle compagnie assicurative, considerate nell’Indagine svolta dall’Autorità sul tema della corporate governance di banche e assicurazioni, presentava legami costituiti da amministratori comuni con i propri concorrenti; tali imprese rappresentavano l’87 per cento dell’attivo totale del settore. Il complesso di questi fattori, caratteristici dei mercati assicurativi in genere, condiziona necessariamente lo sviluppo di un’efficace competizione anche nel settore della responsabilità civile auto».

fronte a un’emergenza economica e finanziaria dovuta al mancato pagamento degli stipendi ai netturbini». Lo ha affermato ieri Guido Bertolaso, capo del Dipartimento della Protezione Civile, alla trasmissione televisiva Mattino 5 in merito all’emergenza rifiuti a Napoli. «Dire quindi - ha sottolineato - che c’è smarrimento di quella che è stata la mia gestione per risolvere il problema dell’emergenza dei rifiuti mi pare che sia abbastanza strumentale e sicuramente non corrispondente al vero. Il resto è solo una sensazione di grande amarezza e delusione perché abbiamo lavorato giorno e notte per risolvere dei problemi. La gente ovviamente - ha ag-

Una prassi che non ha riscosso però il plauso del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano – che pur invitando i tre operai a rimettersi all’autorità giudiziaria – si è detto «molto rammaricato per il grave episodio», nè quello del presidente della Cei, Angelo Bagnasco, che sulla scia dell’intervento del capo dello Stato ha auspicato «una soluzione definitiva ed equa per tutti». Intanto a Melfi, Lamorte, Barozzino e Pignatellio restano in attesa nel chiuso del loro gabbiotto da sindacalisti. «Aspettiamo di rientrare al lavoro – fanno sapere – e speriamo che, alla fine, la Fiat accetti la decisione del giudice. Noi vogliamo solo tornare al lavoro e meritarci lo stipendio».

giunto il capo della Protezione civile - si avvilisce e diciamo anche che a livello internazionale facciamo una pessima figura. Bastava poco per trovare il sistema di pagare gli stipendi a questi lavoratori, e il problema non ci sarebbe stato. Strano che avvenga in un periodo particolarmente critico da un punto di vista politico. Non voglio fare supposizioni, registro solo che il problema del pagamento dei netturbini di Napoli è un problema che si ripete in modo ciclico, noi abbiamo sempre segnalato questa situazione drammatica. Asia, che poi appalta la raccolta della spazzatura vanta mi pare un credito di 150 milioni di euro dal Comune di Napoli. Sono cose risapute ma non risolte».

«Stiamo lavorando - ha concluso il capo della Protezione civile - sulla proposta di aprire un tavolo tecnico insieme con i comuni interessati dell’area di Terzigno, Boscotrecase, Boscoreale. Purtroppo non è semplice risolvere questo problema ma credo che da parte mia e da parte dei sindaci c’è la volontà di lavorare su una proposta alternativa se possibile ad una nuova discarica. Non vogliamo andare contro la legge”.


economia

pagina 8 • 30 settembre 2010

Turnover. Oltre alla nomina dell’amministratore delegato, ci sono da indicare anche due direttori generali. Gli attuali ceo rimarranno in carica fino a novembre

Ultimo cambio a Varsavia Oggi in Polonia il cda di Unicredit deciderà il successore di Profumo. Tanti i candidati, ma si scommette su Nicastro di Alessandro D’Amato

ROMA. Il presidente di Unicredit Dieter Rampl è partito ieri in tarda mattinata dalla sede di Milano alla volta di Varsavia, dove oggi si riunirà il Cda che dovrebbe nominare il nuovo amministratore delegato. Il comitato Governance, Risorse Umane e Nomine, dal quale deve passare la nomina del nuovo ad, allo stato non risulta ancora convocato. È quindi probabile che si riunisca a Varsavia prima del consiglio di amministrazione, che dovrebbe tenersi in una sede della Bank Pekao nei pressi dell’aeroporto. Secondo tutti i pronostici, alla fine la scelta sul nuovo ad sarà una soluzione interna, con Federico Ghizzoni e Roberto Nicastro ancora a contendersi le cariche di ad e dg, e un ruolo di rilievo anche per Paolo Fiorentino. Ma la candidatura di Enrico Tommaso Cucchiani, che ieri sera si è personalmente tirato fuori dichiarandosi «assolutamente indisponibile» a sedere sulla poltrona lasciata vacante da Profumo, ha trovato consenso e grande attenzione fra i soci di Unicredit.

Considerato in ambienti istituzionali «una risorsa per il Paese», Cucchiani ha un profilo super partes, con competenze riconosciute a livello nazionale e internazionale, e secondo diversi soci sarebbe stato adatto per le esigenze di una banca “paneuropea” come quella di Piazza Cordusio. Con il ticket Ghizzoni-Nicastro alla guida di Unicredit, uno ad e l’altro direttore generale, si profila un ruolo di peso anche per Paolo Fiorentino. Sarebbe invece in uscita dal gruppo il quarto degli attuali deputy ceo, Sergio Ermotti. In vista del cda di oggi a Varsavia, si sta mettendo a punto l’intera squadra del top management di Unicredit. Fiorentino è attualmente deputy ceo e responsabile della Strategic Business Area Global Banking Services e le sue competenze, anche nella gestione di dossier delicati, è riconosciuta all’interno e all’esterno della banca. Nella nuova struttura potrebbe anche assumere una seconda direzione generale e, in ogni caso, sarebbe inquadrato come una figura chiave, di raccordo, all’interno del top management. Per

Gli azionisti tedeschi stanno usando al meglio le «pretese» dei leghisti

Dal Triveneto alla Baviera (tra gli applausi del Carroccio) di Carlo Lottieri er dirla in termini molto semplici, quella che sembra profilarsi in merito alla vicenda Unicredit è una sorta di “secessione bancaria”, destinata a spostare verso la Germania meridionale l’asse decisionale di un gruppo bancario che, a tutt’oggi, continua ad essere il più importante del Bel Paese.

P

L’uscita di scena di Alessandro Profumo, accusato di non aver informato il consiglio di amministrazione dell’ingresso dei nuovi soci libici (proprio mentre diventavano azionisti di maggioranza relativa), è frutto di molte spinte di carattere diverso. E probabilmente è in larga misura la conseguenza del dato più evidente: il crollo conosciuto dal titolo durante l’ultimo biennio e, più in generale, la cattiva salute dell’azienda. È normale che gli azionisti si faccia-

fatti, ha annunciato al mondo la giubilazione di Profumo. Ora il suo ruolo è destinato a rafforzarsi grazie alla decisione di creare una gestione duale, basata su amministratore delegato e direttore generale. Per giunta da più parti si sente dire che da parte tedesca si punta a spostare a Monaco di Baviera il settore di investment banking, lasciando sotto il controllo italiano l’insieme del retail. Se così fosse, è chiaro che la nuova Unicredit potrebbe essere piuttosto diversa da quella che abbiamo conosciuto nei suoi primi dodici anni di vita. Mentre in Italia e soprattutto in Veneto si va giocando una partita politico-economica assai dura (in larga misura connessa allo scontro tra Lega e Pdl e all’ambizione di entrambi i partiti di egemonizzare politica ed economia), fuori dal nostro piccolo cortiletto pare insomma che qualcuno vada predisponendo un piano ben strutturato. Non c’è dubbio che troppe cose debbano ancora essere decise e che la situazione appaia in grande evoluzione: tanto che è difficile fare previsioni. Certo è che l’allontanamento di Profumo e la crisi di Unicredit hanno già rafforzato la componente tedesca, che può pure disporre dei capitali necessari per consolidarsi in una banca internazionale presente in più di venti Paesi, tutti concentrati tra l’ex impero austro-ungarico e la Russia. Di per sé non vi sarebbe niente di male. In economia, il nazionalismo protettivo e la chiusura su di sé producono principalmente danni, e spesso molto gravi.

Mentre in Italia si gioca una partita assai dura tra Lega e Pdl, fuori dal nostro cortiletto qualcuno ha predisposto un piano ben strutturato no sentire ed è giusto che a pagare sia chi, come l’ex amministratore delegato, nel gruppo ha esercitato per anni un potere quasi assoluto. Delle implicazioni politiche della cosa si è molto parlato, soprattutto in riferimento alla Lega. E non c’è il minimo dubbio che il partito di Bossi stia utilizzando la sua quota di nomine nelle fondazioni del Nord-Est al fine di rafforzare la propria influenza sul sistema creditizio. È però difficile ritenere che, nella situazione attuale, vi siano attori che – per forza economica e prestigio – possano contenere la naturale crescita del peso dei banchieri bavaresi. Già ora il presidente Dieter Rampl, in Unicredit da quando il gruppo italiano si è fuso con la Bayerische Hypo-und Vereinsbank Aktiengesellschaf, svolge un ruolo cruciale. A seguito dell’affaire libico è riuscito a ottenere dal comitato governance di Unicredit una funzione investigativa che, nei

Purtroppo va però aggiunto che gli attori in gioco, tanto a Nord come a Sud delle Alpi, sono davvero sui generis. In Italia abbiamo quel mostro che sono le fondazioni bancarie, in cui i partiti mettono i loro protetti, ma non è che le cose in Germania siano del tutto diverse, se si considera l’intreccio tra imprese e Laender, tra economia e politica locale. Per questo motivo, investimenti e strategie possono essere condizionati da fattori del tutto extra-finanziari, che poco hanno a che fare con considerazioni di efficienza e redditività. In Baviera, però, sembra esserci qualche stratega con la vista lunga, mentre da noi si gioca ai “polli di Renzo”. Le ricadute di tutto questo sull’economia italiana potrebbero non essere delle migliori.

Fiorentino questo costituirebbe il coronamento di una carriera interamente costruita in Unicredit. Con responsabilità crescenti e una ascesa costante alle spalle di Profumo, che lo ha portato a gestire per la banca dossier importanti.

È nato a Napoli il 23 gennaio 1956. Nel 1981 ha iniziato la carriera al Credito Italiano (oggi Unicredit), ove ha maturato una significativa esperienza in rete seguendo sia la clientela retail sia la clientela corporate. Nel ’99 è nominato responsabile del processo di integrazione UniCredito, con il compito di coordinare il trasferimento del know-how e delle best practice tra le diverse banche commerciali del Gruppo e la creazione di numerose società di servizi. Nell’ottobre del ’99 è nominato Condirettore Centrale del Gruppo e, nel novembre dello stesso anno, Chief Operating Officer di Bank Pekao S.A. Nel 2002 è nominato Direttore Centrale. Nell’agosto del 2003 è nominato Vice Direttore Generale di UniCredito Italiano e responsabile della Divisione New Europe; un anno più tardi ha assunto la carica di responsabile della Divisione Global Banking Services. Nel luglio 2007 è nominato Deputy Chief Executive Officer del Gruppo. Dal 3 agosto al 30 settembre 2007 è stato anche amministratore delegato di Capitalia, mentre dal 26 settembre 2007 al 6 maggio 2009 ha ricoperto la carica di ad di UniCredit Banca di Roma.Tra i dossier più scottanti da lui trattati per conto di Profumo, c’è la trattativa con Italpetroli e la famiglia Sensi per la cessione dell’A.S. Roma. Anche nella giornata di ieri, intanto, si sono registrati i commenti della politica alla vicenda. «L’Idv auspica che dalla riunione del cda sia tracciato un


economia

30 settembre 2010 • pagina 9

La contraddizione non risolta tra autonomia e “personalismi”

Il vero nodo resta quello tra economia e politica Le dimissioni di Profumo ripropongono una vecchia domanda: chi deve porre vincoli al mercato? di Flavio Felice e dimissioni al buio di Alessandro Profumo da ad di Unicredit sono oggetto di analisi da parte di economisti e di opinionisti di tutto il mondo. Il casus belli – quanto meno quello esplicito – è noto a tutti: il disaccordo sulla presenza dei libici nel comparto azionario del colosso bancario di Piazza Cordusio. A questo punto, coloro che hanno tentato di ricostruire la vicenda nei minimi particolari avanzano sospetti, individuano collegamenti politico-affaristi, disegnano scenari fantapolitici, fantafinanziari e comunque si adoperano nell’antica arte retroscenista, condita della migliore salsa al sapor di complotto.

L

Qui accanto, Roberto Nicastro, il più accreditato fra i possibili successori di Alessandro Profumo (qui a destra). In alto, Dieter Rampl, il sempre più potente presidente del gruppo Unicredit netto cambio di rotta rispetto alla passata gestione, escludendo dalla rosa dei candidati al ruolo di ad i sodali di Profumo che ancora siedono ai vertici di Unicredit», ha detto Elio Lannutti, capogruppo Idv in commissione Finanze al Senato. «L’amministrazione di Profumo ha affossato il titolo Unicredit da 8 a 1,87 e la capitalizzazione da 100 a 35 mld di euro, comportando non solo perdite economiche per la banca e i suoi azionisti ha aggiunto - ma anche l’esubero di 4.700 dipendenti e gravissime vessazioni per i correntisti». Diversa, invece, la posizione della Lega dopo le polemiche dei giorni scorsi: «Le decisioni sulla governance spettano solo ai soci», ha detto il presidente della regione Veneto, Luca Zaia, a chi gli chiedeva un parere sulle nomine di vertice in Unicredit. Parlando a margine dell’assemblea dell’Unione industriale di Verona, sempre riferendosi a Unicredit, Zaia ha aggiunto di sperare che «Verona possa consolidare il rapporto importante della sua Fondazione e possa garantire un grande risultato per i nostri territori». Ancora più basso il profilo di Flavio Tosi, sindaco di Verona: «È una cosa che sinceramente non mi riguarda. Credo che siano stati at-

tribuiti al sindaco, o per comodo o per disinformazione, dei poteri che non ha. Come sindaco mi sono occupato esclusivamente di questioni di carattere generale. Poi chi viene scelto come ad o dg. Non ci compete e neanche ci interessa», ha detto risponendo ai giornalisti che gli chiedevano se lo soddisfaceva una soluzione interna per la sostituzione di Alessandro Profumo in Unicredit.

«Abbiamo esercitato - ha spiegato ancora Tosi - il nostro diritto-dovere di esprimere alcuni rappresentanti all’interno della Fondazione CariVerona». In ogni caso, il piano di piazza Cordusio dovrebbe essere questo: il nuovo ad sarà nominato oggi dal cda, che si riunirà a Varsavia, il nuovo amministratore delegato di Unicredit. Solo successivamente, d’accordo con il nuovo ceo, sarà completato il top management, con la nomina di uno o due direttori generali. È lo schema che sarà sottoposto al board, secondo fonti vicine al presidente Dieter Rampl, che evidenziano come la nuova governance sarà completata non prima dell’inizio di novembre e che tutti gli attuali deputy ceo rimangono in carica all’interno del gruppo.

menta? Ed ancora, l’irritazione palese di alcuni ambienti politici del Nord è autenticamente giustificata sulla base del principio che le realtà locali detengono una quota naturale (stakeholder) nel novero degli interessi di un gruppo bancario come Unicredit? Ovvero si tratterebbe di un’indebita ingerenza della politica? In breve, tali domande evidenziano due ordini di problemi. In primo luogo, può il mercato sopravvivere in qualsiasi contesto etico, politico e culturale ovvero è funzione di determinate istituzioni che lo presuppongono e lo pongono in essere? E in secondo luogo, è cor-

Non che le ricostruzioni non ci interessino e che non presentino forti elementi di plausibilità, ma crediamo che si possa cogliere questa occasione per tentare una riflessione sui limiti e sui presupposti del mercato. In fondo, coloro che difendono la strategia di Profumo argomentano le loro ragioni sostenendo la superiorità del mercato rispetto agli interessi della politica; e, a maggior ragione, degli interessi di alcune roccaforti partitiche locali (vedi Francesco Giavazzi). D’altra parte, coloro che hanno denunciato i pericoli derivanti dalla strategia accentratrice perseguita da Profumo e dalla crescente presenza di fondi libici, non possono neppure essere liquidati sic et simpliciter come miopi profittatori di clientele locali; a conti fatti, il mercato è un intreccio di istituzioni che nascono dal basso, esso mal tollera soluzioni centralistiche, nonché l’inserimento di elementi che per ragioni di ordine politico e culturale si mostrano inesorabilmente ostili alla libertà e non conformi alla stessa struttura del mercato. In definitiva, riteniamo che il mercato affinché possa svolgere la sua funzione di sistema ottimale delle risorse è necessario che riconosca alcuni limiti e presupposti. In questo caso, a partire dalla prospettiva dell’economia sociale di mercato che incontra la Dottrina sociale della Chiesa, la domanda che ci poniamo non è tanto se debba essere il mercato ovvero la politica a orientare le scelte nel campo finanziario, invero – come ci ha ricordato Benedetto XVI – non spetterebbe né all’una né all’altra, in quanto tale compito spetterebbe all’etica. La domanda che ci poniamo è la seguente: quali istituzioni appaiono necessarie affinché il mercato possa continuare a svolgere il suo ruolo? In definitiva, la presenza di un fondo sovrano (fuori dalla logica del mercato) libico (fuori dalla logica democratica e liberale) è conforme ai principi che stanno alla base del libero mercato ovvero lo minano alle fonda-

Il mercato è un intreccio di istituzioni che nascono dal basso e perciò non s’accorda né con il «centralismo» né con eccessive intromissioni retto identificare il sistema partitico con la società civile ovvero si tratta di un processo attraverso il quale il centralismo del primo intende fagocitare il pluralismo della seconda? È nostra sommessa opinione che il mercato necessiti di istituzioni economiche, politiche e culturali che lo presuppongano e che la presenza di un fondo sovrano che non risponda alle logiche del mercato, per di più riferibile ad un’autorità politica dispotica come quella libica, rappresenti una grave minaccia al buon funzionamento del mercato. Così come la pretesa di rappresentare gli interessi locali non può essere appaltata in modo esclusivo ad alcun partito politico.

Le dimissioni di Profumo sono la dimostrazione di quanto gli operatori del sistema finanziario e del sistema politico nel nostro Paese siano preda di una pericolosa schizofrenia in forza della quale libertà, democrazia e partecipazione sono rivendicate in nome di un particolarismo settario e clientelare e, nel contempo, da altri, le ragioni del mercato vengono difese come elementi metafisici che si danno da sé e non come il prodotto di una complessa rete istituzionale i cui presupposti sono di ordine etico e cultuale.


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panorama

ragioni&torti di Giancristiano Desiderio

Il romanzo della vita degli altri ia concessa una sosta letteraria. La lettura del romanzo di Riccardo Ferrazzi fa al nostro caso. Un buon libro che muove da una alta idea di letteratura: Gli occhi di Caino edito da Eumeswill. Una storia avvincente che è presentata come un noir ma non è semplicemente un giallo perché è un romanzo che al suo centro ha la Spagna e la condizione umana. Il protagonista della storia è Vittorio Fabbri che ritorna dopo venti anni a Salamanca, lì nella città degli studi umanistici dove fu compiuto un omicidio. Intorno all’assassinio ruota la storia. Tutto ciò che sembrava chiaro e distinto, convincente ed evidente, incrollabile ed ufficiale diventa incerto fino a capovolgere l’evidenza. Le cose non sempre sono come appaiono.

S

Lo scrittore Raul Montanari definisce nella sua nota iniziale il libro di Riccardo Ferrazzi un «sorprendente romanzo di iniziazione» e rintraccia la musa che ne ispira la scrittura “l’altrove”. Cosa significa? Lo diciamo con un esempio. Chi sta dentro la propria vita, forse, ci capisce poco: è portato a ripetere gli stessi errori. Quando la vita è la nostra lo specchio si mostra opaco o comunque meno chiaro. La vita degli altri, invece, ci sembra così trasparente: qui tutto sembra chiaro e comprensibile, sia le cose giuste sia le cose sbagliate, soprattutto queste ultime. Siamo in grado di vedere la nostra vita personale come se fosse un’altra vita? Vittorio Fabbri, il protagonista del romanzo, ci prova. Parte o, meglio, riparte da Milano per andare a Madrid quindi a Salamanca per ritrovare ciò che è diventato. Il noir di Ferrazzi il finto noir che è invece un romanzo esistenziale, se è concessa questa definizione - ricostruisce una storia per rintracciare un senso della vita. Il lettore, che giungerà passione al doppio colpo di scena, si sentirà coinvolto in una vicenda esistenziale che lo interpella e lo chiama. Al lettore il gusto della lettura e della scoperta. Qui, invece, un’ultima nota sul testo e sull’autore. Riccardo Ferrazzi, classe 1947, è laureato in Economia e commercio, ma da tempo ha lasciato gli affari per la letteratura e la poesia. La sua capacità di scrittura è viva come vivo è il senso delle immagini: «Il matador si chiamava Andrèas Vàzquez. Dall’alto della gradinata lo vedevo piccolo come una farfalla che sventolava le ali sul muso del demonio. Gli comparve in mano una striscia luccicante, assurdamente esile. Per un attimo interminabile rimase fermo nella sua verticalità, poi si gettò sulle corna che il toro gli puntava addosso. La stoccata andò a segno, la spada affondò. In quel momento il toro alzò la testa». Gli occhi di Caino è un “libro artigianale” che desidera evitare la “mercificazione del libro”. L’autore e l’editore non credono nella pubblicazione a tutti i costi, bensì nell’editoria di qualità che pubblica cercando di coniugare significato, creatività e anche design o gusto tipografico che del “prodotto libro”non è per nulla un elemento esteriore.

Napolitano-Adro, spunta il giallo della lettera Il Quirinale smentisce di aver scritto al sindaco del Carroccio di Francesco Capozza

ROMA. Giorgio Napolitano sulla vicenda di Andro vuole mantenere le distanze e non ha gradito il modo con cui i giornali hanno parlato della lettera del Quirinale sui simboli leghisti della scuola. In visita a Parigi, il presidente della Repubblica ha tenuto a precisare di non aver fatto «nessun intervento» sui simboli leghisti apparsi da qualche tempo nelle scuole del comune di Adro ma di aver semplicemente «preso atto» che il ministro dell’Istruzione Maria Stella Gelmini aveva sollecitato la rimozione di quei simboli, come da più parti richiesto. «Su Adro io non ho fatto nessun intervento, sarebbe stato tardivo ieri o l’altro ieri. Io - ha puntualizzato Napolitano dalla Francia - ho preso atto che c’erano state forti sollecitazioni che venivano dall’opposizione, dalla stampa, dall’opinione pubblica. Ho avuto fiducia che intervenisse, come doveva, il ministro e ho preso atto che c’è stato un intervento con cui è stata sollecitata la rimozione di quei simboli».

scorso, il ministro dell’Istruzione Maria Stella Gelmini, con una lettera fatta inviare dal direttore dell’ufficio scolastico della Lombardia, ha chiesto al sindaco di Adro (Brescia) di «adoperarsi per la rimozione dal polo scolastico del simbolo» noto come il «sole delle Alpi». Nella lettera, firmata dal direttore Giuseppe Colosio, vieniva dato atto al sindaco di Adro di aver realizzato «attrezzature didattiche all’avanguardia», ma era anche spiegato che non può essere nascosto il fatto che «il sole delle Alpi» è uno dei simboli utilizzati dalla Lega, il movimento politico al quale appartiene la maggioranza dell’amministrazione comunale di Adro. Nella lettera si ricordava l’attenzione mediatica di quei giorni (e di questi) e si sottolineava che è dovere dell’amministrazione evitare che la politica di parte entri nella scuola: la delicatezza della funzione - si leggeva nel testo - impone di intervenire anche in caso di solo sospetto, per evitare ogni possibile strumentalizzazione.

Tutto era nato da una lettera inviata martedì dal segretario generale della Presidenza della Repubblica ai genitori di Adro: «Il capo dello Stato ha apprezzato il passo compiuto dal ministro dell’Istruzione Maria Stella Gelmini, invitando il sindaco di Adro a rimuovere quelle esibizioni». Napolitano - si leggeva ancora nella missiva - «ha ribadito la sua convinzione che nessun simbolo identificabile con una parte politica possa sostituire in sede pubblica, quelli della nazione e dello Stato, né questi possono essere oggetto di provocazione e sfide». Per rassicurare i genitori firmatari dell’appello, il segretario generale della presidenza della Repubblica aveva sottolineato anche che «il presidente della Repubblica ha seguito - assumendo i necessari elementi di informazione - e segue con attenzione la vicenda della clamorosa esibizione del simbolo del “Sole delle alpi”nel nuovo polo scolastico di Adro». Ma ripercorriamo le tappe di questa faccenda che ha creato, prima ancora che il fastidio del capo dello Stato per le dichiarazioni attribuitegli, l’intervento del ministro dell’Istruzione e, prima ancora, molte dichiarazioni di sdegno sia dall’opposizione che da alcune frange della maggioranza. Il 18 settembre

A stretto giro arrivava la replica del sindaco di Adro, Danilo Oscar Lancini, che si diceva «stupito» per la lettera giuntagli dal direttore dell’Ufficio scolastico della Lombardia, ma ”suggerita” dal ministro dell’Istruzione, Maria Stella Gelmini, perchè si adoperasse «per la rimozione dal polo scolastico del simbolo» della Lega. «Mi sembrava che il ministro avesse capito - aggiungeva Lancini - che il Sole delle Alpi è un simbolo del territorio e non di un partito». E aveva aggiunto, caustico: «se me lo chiede Bossi, rimuovo i simboli non domani, ma ieri». Lancini aveva altresì aggiunto: «Se lo tolgo dalla scuola, allora faccio lo stesso con gli edifici pubblici su cui è presente da secoli. Altrimenti niente». E sabato scorso, alla festa della Lega Nord Romagna, a Forlì, Bossi stesso aveva risposto a una domanda sulla scuola di Adro e sui simboli disseminati ovunque: «Il sindaco forse ne ha messi troppi. Avrebbe potuto farne uno bello, che bastava. Questi simboli la Lega li ha fatti diventare politici, ma sono graffiti delle Alpi. E a Brescia ce ne sono tantissimi». Il sindaco, comunque, c’era rimasto male: «Sono sorpreso di quello che ho letto sui giornali. Io comunque ho ricevuto i complimenti dei vertici leghisti».

Dal Colle nessuna pressione sulla scuola leghista, solo «la presa d’atto delle sollecitazioni» della Gelmini


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30 settembre 2010 • pagina 11

I governatori di Abruzzo, Molise, Lazio, Campania e Calabria presenteranno oggi i piani di riordino della rete ospedaliara

Test sanità per le Regioni del Sud Convocato per il 13 ottobre il tavolo tecnico di verifica al ministero dell’Economia di Franco Insardà

ROMA. Ostentano sicurezza, ma con il passare delle ore aumenta la preoccupazione e il nervosismo dei governatoricommissari per la Sanità di Lazio, Campania, Calabria, Molise e Abruzzo, che presenteranno oggi i piani di riordino della rete ospedaliera ai ministeri dell’Economia e della Salute. Fino al 13 ottobre, quando al ministero dell’Economia si riunirà il tavolo di verifica dei piani, staranno con il fiato sospeso. Consapevoli del fatto che una eventuale bocciatura avrebbe effetti devastanti per le loro Regioni. Su tutto il congelamento dei Fas, la impossibilità di utilizzare parte dei fondi già accantonati in bilancio per rimettere in sesto i conti della sanità e scongiurare un nuovo aumento delle addizionali Irap e Irpef. Inoltre c’è un emendamento al decreto mobilità che, in caso di apprezzamento del piano di rientro sanitario, pone le basi per evitare l’aumento delle tasse e il blocco del turn over in sanità. Lazio, Campania e Calabria avrebbero buone possibilità per ottenere l’ok, mentre per il Molise ci sarebbe qualche difficoltà in più. Discorso a parte va fatto per l’Abruzzo dove la confusione è massima, viste le vicende giudiziarie che hanno interessato Lanfranco Venturoni, arrestato per l’inchiesta sui rifiuti e sospeso dalle funzioni di consigliere regionale e assessore alla Sanità.

regione e, soprattutto, ai suoi abitanti». Intanto in Campania è stato ufficializzato il piano ospedaliero ed è stato pubblicato sul bollettino regionale il decreto di riordino delle degenze. La ufficializzazione del piano e la notifica, ai soggetti interessati (aziende ospedaliere, Asl e associazioni di categoria) dei tre Qui accanto, decreti firmati martedì dalla il governatore struttura commissariale relativi abruzzese ai ticket dovrebbero consentire al Gianni Chiodi presidente della Regione Stefano insieme Caldoro di presentarsi a Roma, al con il sindaco tavolo interministeriale di verifidell’Aquila, ca del piano di rientro dal deficit, Massimo con le carte in regole per battere Cialente. cassa rispetto ai 500 milioni del Sotto, Fas (Fondo aree sottoutilizzate) e Renata dei 2,5 mld del Patto per la salute Polverini: attesi all’incasso da almeno due anche il Lazio anni. Nell’ultima verifica trimeè in difficoltà strale il ministro Tremonti aveva per il deficit chiesto atti concreti nell’attuazioaccumulato ne del piano ma soprattutto una nella gesione stretta su personale e spesa fardella sanità maceutica.E proprio su quest’ultima voce Caldoro ha operato un grosso intervento.

bito sanitario. Da un lato c’è chi continua ad agitare le acque, dall’altro chi lavora con senso di responsabilità. Da un lato c’è chi, con trovate demagogiche, deforma la realtà agli occhi dei cittadini nel tentativo di coprire le proprie responsabilità passate sulla drammatica

L’arresto dell’assessore alla Sanità abruzzese, Lanfranco Venturoni, e la sua sospensione dalle cariche mette in grosse difficoltà la giunta guidata da Gianni Chiodi

Il ministro Ferruccio Fazio martedì, nel corso alla conferenza interregionale sulla sanità “Europa e Salute: un nuovo modello di sanità accanto al cittadino” che si è svolta presso la sede della Giunta regionale del Lazio, si è confrontato con i rappresentanti delle Regioni, enti nazionali e territoriali, associazioni di settore europei in vista di importanti appuntamenti come i prossimi passaggi sul federalismo fiscale e sulla sanità. Il governatore del Lazio, Renata Polverini, ha assicurato che la sua Regione si presenterà con le carte in regola al tavolo ministeriale di verifica del Piano di rientro, affermando che «da quella data ci sarà un piano di riordino della rete ospedaliera che ridisegnerà il servizio sanitario». Ma proprio su questo si è scatenata una vera e propria bagarre con l’opposizione che ha accusato la Polverini di aver previsto la chiusura di diciassette centri ospedalieri. L’assessore regionale alle Politiche sociali, Aldo Forte, ha voluto sottolineare come «l’annuncio della presidente Polverini sulla conferma del rating certificato dall’agenzia Standard & Poor’s (”BBB+” ndr.) è la migliore risposta alle critiche di questi giorni sul lavoro che stiamo portando avanti in am-

situazione in cui abbiamo trovato la sanità laziale. Dall’altro chi invece, con senso di responsabilità, si è caricato sulle proprie spalle fardelli altrui e sta lavorando per dare un futuro a questa

E il Veneto “scopre” un buco da 500 milioni ROMA. La sanità veneta avrebbe un buco di 500 milioni di euro e lo spettro del commissariamento aleggia su Palazzo Barbi. «I conti li metteremo a posto» ha subito chiarito il governatore Luca Zaia. «Affronteremo la situazione con piglio imprenditoriale una volta elaborato il libro bianco ci sarà una sorta di exit strategy per indicare le linee guida per i piani di rientro». E in perfetto stile Carroccio aggiunge: «Non siamo la Calabria del Nord, primo perchè i malati li curiamo, mentre la Calabria li esporta». Ma il suo predecessore, Giancarlo Galan, ribatte: «Quando c’ero io, la sanità era la punta di diamante della Regione, adesso pare che tutto crolli. O Zaia ha il coraggio di prendersi in prima persona gli oneri, o sarà destinato a subire l’onta del commissariamento». La lotta Galan-Zaia continua e sembra serva a poco l’intervento del ministro della Salute, Ferruccio Fazio: «Nessun commissariamento in vista per il Veneto».

Anche per Giuseppe Scopelliti

non sono momenti facili. Ieri il governatore calabrese ha presentato il suo piano per la riorganizzazione del servizio sanitario regionale, ma ha dovuto incassare la protesta di alcuni sindaci. Uno di loro, il sindaco di Cariati, Filippo Sero, si è anche imbavagliato per la prevista chiusura dell’ospedale del suo territorio. Ma Scopelliti ha rilanciato chiarendo che «il mancato conseguimento degli obiettivi di piano ha impedito finora l’erogazione di finanziamenti che vengono definiti di premialità per circa 800 milioni di euro. Se la Regione - ha aggiunto - avesse rispettato gli impegni sul piano entro la fine di giugno, ci saremmo trovati nella condizione di avere circa il 40 per cento, intorno a 300 milioni di euro, erogati da parte del governo, mentre i restanti 480 milioni li avremmo potuti incassare dal 15 luglio in poi. A queste risorse si aggiungono altre che sono bloccate e sono relative agli anni 2008 e 2009».

Collegata alla partita sanità c’è quella relativa ai decreti sul federalismo fiscale ai costi standard e l’autonomia finanziaria delle Regioni, argomenti che saranno discussi nella Conferenza Stato-Regioni il prossimo 4 ottobre. Sui costi standard il ministro Fazio, dopo aver lodato gli sforzi che alcune Regioni stanno compiendo per rientrare dai loro deficit ha, però, aggiunto: «Gli enti che a livello sanitario hanno una situazione gestionale non perfor-

mante, come quelle del Sud che sono sottoposte ai piani di rientro, non potranno entrare a far parte del ristretto gruppo delle tre regioni modello per il calcolo dei costi standard che saranno applicati dal 2013 in poi». Ma la Polverini ha proposto, invece, che una Regione del Sud sottoposta al piano di rientro faccia parte del benchmark per i costi standard della Sanità, «altrimenti abbiamo deciso di buttare a mare una grande parte del Paese. I costi standard cambieranno la vita delle persone ed è per questo che chiediamo un ragionamento complesso. Non vogliamo costi standard diversificati ma la discussione va adeguatamente accompagnata perché si rischia che parti del Paese non abbiano la garanzia di una adeguata assistenza. Noi abbiamo chiesto un approfondimento sui costi standard, ma anche di attivare delle simulazioni perché non si possono fissare delle cifre a prescindere, ma devono andare nella direzione di salvaguardare il diritto all’assistenza. Quando leggo sui giornali di quali Regioni-campione si parla io mi sento preoccupata, perché se guardiamo all’Emilia o alla Lombardia anche Piemonte e Veneto si trovano in difficoltà. Quando poi scopro che la Regione del Sud che dovrebbe entrare nel benchmark è una piccola e ben amministrata, allora devo farmi delle domande».


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n requisito indispensabile per capire il valore di certi anniversari è l’età. Soltanto chi ha raggiunto (o superato) i limiti della pensione, chi ha i capelli (scarsi) brizzolati, chi si è abituato a convivere con gli acciacchi e le rughe, ha piena coscienza del senso delle cose che vengono ricordate. È successo – esattamente un mese fa – quando meritava di essere celebrato con maggiore spazio (a cinquant’anni dalla morte) Mario Riva, l’uomo del Musichiere, uno dei personaggi che hanno scritto la storia dell’infanzia della televisione italiana, quella in bianco e nero, con le immagini sgranate dall’effetto neve, con le serate trascorse ammucchiati nel salotto del cavalier Rossi, al secondo piano, l’unico possessore nel condominio di un apparecchio televisivo. Gli ospiti si portavano da casa le sedie, qualcuno (a turno) si presentava con il vassoio delle paste, qualcun altro con una bottiglia di vino. Succedeva per Mario Riva, succedeva con Mike Bongiorno, che ha avuto la fortuna di sopravvivere per 49 anni al suo concorrente della preistoria catodica.

U

Succede di nuovo domani, primo giorno d ottobre, sessantesimo anniversario della nascita del terzo canale radiofonico della radio, la mitica Radio 3. I ragazzi non possono capire. Quando sono nati loro, sull’autoradio era già possibile scegliere fra un numero incalcolabile di emittenti private. Musica per tutti i gusti, le notizie della porta accanto in presa diretta, i canali dedicati interamente ai tifosi della squadra del cuore, con le polemiche, le risse verbali le discussioni infinite sulla moviola (che alla radio neppure si vede), i furti arbitrali, i dibattiti sulla formazione e sullo schema da adottare in campo: 4-3-3 o 44-1 o 3-2-4-1. Nel 1950 si celebrava l’Anno Santo che mise ufficialmente fine al dopoguerra, grazie anche ai lavori di ricostruzione che a Roma consentirono di offrire un’ospitalità decorosa ai pellegrini. Ma i benefici si estesero all’Italia intera. Un terzo canale radiofonico era un evento di portata straordinaria. La televisione non c’era ancora, e la radio era l’unica compagnia serale per gli italiani. Il cinema sotto casa (quando esistevano ancora le terze visioni, scomparse magicamente nei palinsesti del benessere), o la radio. Tertium non datur, dicevano quelli che avevano studiato. La terza rete radiofonica (il Terzo Programma, come si chiamava allora) nacque con una precisa missione culturale. Non un canale generalista, come erano i due predecessori, ma una vocazione ben definita in favore della diffusione dei temi “alti”: la musica sinfonica, da camera e operistica, la letteratura, la scienza. I non più giovani dei quali accennavo all’inizio (con l’orgoglio di far parte della categoria: l’unica alternativa alla vecchiaia – ha detto qualcuno – è la morte, e potendo scegliere...) tornano utili in quanto testimoni dell’epoca. I settantenni (o giù di lì) ricordano benissimo come il Terzo Programma fu, per molti di loro, uno dei primi approcci alla cultura. Alla musica, in primo luogo. Persino i grammofoni, sessant’anni fa, non erano presenti in tutte le case. La scoperta di Beethoven, Mozart, Bach, Verdi, Rossini, Vivaldi, avvenne attraverso i concerti del Terzo Programma, con le esecuzioni dell’orchestra sinfonica della Rai, o con la messa

il paginone Musica, letteratura, dibattiti, ma soprattutto approfondimento e intrattenimento: sono questi gli ingredienti di un contenitore che ormai è diventato un marchio di fabbrica

Radio 3, e la cultur

di Massim in onda delle migliori esecuzioni già incise nei 33 giri inavvicinabili per chi non disponeva di un reddito sufficientemente alto. Sarebbero passati ancora quattordici anni prima che gli LP (in plastica, non in vinile) delle collane della «Storia della musica» e dei “grandi musicisti”facessero irruzione nelle abitazioni grazie all’iniziativa dei Fratelli Fabbri, i primi a curare le collane in edicola, acquisendo una indiscutibile benemerenza per la crescita culturale nazionale. Senza il Terzo Programma – che aveva insegnato a conoscere la musica – quelle collane, probabilmente, non avrebbero avuto il successo che ebbero.

Il primo vagito della cultura diffusa via etere risale alle ore 21 di domenica 1° ottobre 1950, quando il direttore generale della Rai, Salvino Sernesi, dette personalmente l’annuncio, con queste parole: «Tra qualche minuto il Terzo Programma della Radio Italiana comincerà ad esistere, non sembri strano od esagerato che dica che questo evento suscita una certa emozione in me ed in tutti coloro che, come me, danno la loro opera per la radiofonia italiana». Sernesi parlava dai microfoni del Centro di Produzione di via Asiago, che è ancora oggi la centrale operativa della radiofonia. La programmazione della prima giornata fu di profilo altissimo, con un tocco di raffinatezza in più: lo sviluppo di un tema unico: il

Le trasmissioni iniziarono il 1° ottobre del 1950, in occasione dell’Anno Santo, con una conversazione con il grande critico Emilio Cecchi dedicata al mito di Orfeo. E in margine furono trasmesse le musiche di Claudio Monteverdi, Jacques Offenbach e Igor Stravinskij mito di Orfeo. Il palinsesto si apriva con una conversazione di Emilio Cecchi sulla natura del mito, poi tre ascolti di grande valore storico e musicale: L’Orfeo di Claudio Monteverdi, Orfeo all’Inferno di Jacques Offenbach e Orfeo di Igor Stravinskij. Il giorno successivo tutta la programmazione fu centrata sulla contemporaneità; il martedì su Pirandello; il mercoledì sul mito di Orlando; giovedì e venerdì l’attenzione fu catalizzata su musica e let-

teratura; il sabato fu interamente dedicato alla Francia di Jean Cocteau, Victor Hugo e Hector Berlioz.

La radio – invenzione italiana di Guglielmo Marconi (che aveva appena ventuno anni nel 1895 quando effettuò il primo esperimento che gli valse più tardi, nel 1909, il Nobel per la Fisica – aveva mosso i primi passi ufficiali nel nostro Paese nel 1924, esattamente il 6 ottobre. Il primo annuncio, letto dalla signora Maria Luisa Boncompagni, che per molti anni sarebbe stata la “voce” più nota nelle case degli italiani, fu questo: «Unione radiofonica italiana, stazione in onde medie di Roma, trasmissione del concerto inaugurale». Per la cronaca si trattava del quartetto d’opera n. 7 di Franz Joseph Haydn. Pochi anni dopo, l’Uri si sarebbe trasformata in Eiar, per assumere nel 1944 il nome definitivo di Rai. Un passo alla volta la radio divenne un’abitudine per molti italiani, che incollavano l’orecchio a quei primi apparecchi a galena, per ascoltare musica, qualche scarno notiziario o i discorsi in diretta dal balcone di piazza Venezia. Il boom si registrò nel 1934 con la trasmissione


il paginone Il «Terzo programma» radiofonico della Rai, quello “alto e impegnato”, compie sessant’anni: nella sua storia c’è anche l’evoluzione del costume e del sapere degli italiani

ra fece spettacolo

mo Tosti a puntate dei Quattro moschettieri di Nizza e Morbelli, che furono per la radio quel che sarebbe stato vent’anni più tardi Lascia o raddoppia per lo sviluppo della televisione. Nel ruolo di Aramis recitava Nunzio Filogamo che, nel dopoguerra, sarebbe stato il primo presentatore del Festival di Sanremo. L’8 settembre 1943 fu la voce del maresciallo Pietro Badoglio a comunicare dai microfoni della radio la firma dell’armistizio con gli anglo-americani. Il 25 aprile 1945 fu invece un giovane speaker del giornale radio a dare l’annuncio della Liberazione. Si chiamava Corrado Mantoni, e ne avrebbe fatta di strada, fino a diventare con la Corrida uno dei più amati personaggi della radio e della televisione.

Il primo direttore del Terzo Programma fu Alberto Mantelli, noto musicologo e apprezzato intellettuale. L’anno successivo gli subentrò un dirigente di grande esperienza, Cesare Lupo, che conservò l’incarico per dodici anni, fino al 1962 quando furono soppresse le direzioni autonome dei tre canali, e furono create nuove strutture comuni a ciascuna delle quali era affidato uno specifico genere di trasmissioni. La responsabilità dei programmi culturali fu attribuita prima a Leone Piccioni e poi a Giuseppe Antonelli che contribuirono alla crescita ulteriore del livello culturale del Terzo Programma. Tra la fine degli anni Ses-

santa e il primo scorcio degli anni Settanta il Terzo Programma, pur restando ancorato alla sua vocazione basata sui tradizionali filoni: musicale e drammatico, si aprì anche al dibattito sui temi di attualità, con un taglio giornalistico che era stato fino ad allora assente. Fu anticipata in tal modo la svolta che si verificò dopo la riforma generale della Rai del 1975 che portò – fra l’altro – alla nascita del terzo canale televisivo.

Oggi, dice il direttore Marino Sinibaldi, «abbiamo il problema di capire come le tecnologie digitali cambieranno la produzione e la circolazione dei programmi radiofonici. E ancora più urgentemente viviamo la necessità di ridefinire il loro pubblico, in un’epoca di già esasperata e crescente multimedialità»

Il primo direttore di Radio 3 fu un giornalista di indiscutibile talento – Enzo Forcella – che lasciò un’impronta decisiva alla fisionomia dell’emittente, dando vita a un gruppo di lavoro di collaboratori interni ed esterni che accettò la sfida imposta dalle radio private che si moltiplicavano allora in tutta la Penisola. Rimase immutata la fisionomia culturale, ma con un’apertura a tutti i temi dell’attualità politica, sociale ed economica. L’eredità di Enzo Forcella fu raccolta da Fabio Borrelli, al quale successe Paolo Gonnelli. Nel 1994 il modello organizzativo di Radio Rai fu nuovamente modificato. Fu mantenuto il carattere distintivo delle tre reti (informativa la prima, di intrattenimento la seconda e culturale la terza), ma fu ripristinata la Direzione unitaria alla quale si avvicendarono Aldo Grasso, Paolo Francia, Stefano Gigotti e Giancarlo Santalmassi. I più recenti responsabili

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Sotto, un ritratto dell’attuale direttore di Radio3, Marino Sinibaldi. Nella pagina a fianco, l’Orchestra sinfonica della Rai nell’Auditorium del Foro Italico, a Roma di Radio 3 sono stati Roberta Carlotto e Sergio Valzania (che dirigeva anche Radio2). Da poco più di un anno alla guida di Radio3 si è insediato Marino Sinibaldi, già vice direttore e conduttore di Fahrenheit, uno dei programmi cult dell’emittente.

Sinibaldi è uomo di radio, e si rende conto che i tempi presenti propongono nuove sfide e un nuovo coraggio «Con Il Terzo Programma - ricorda Sinibaldi ebbe inizio l’epoca della differenziazione dei programmi, non più tutti uguali per tutti; e questo esperimento non avrebbe lasciato immutato il panorama generale della comunicazione radiofonica italiana» ripartendo fra i tre programmi (il primo e il secondo si chiamavano allora – per chi ha memoria – Rete Rossa e Rete Azzurra, un po’ come le circolari, le linee tranviarie che abbracciavano gran parte della rete viaria romana) le funzioni di informare, intrattenere ed educare. «Questa doppia funzione pionieristica – tecnica ed editoriale – affidata alla nascita del Terzo Programma sottolinea Sinibaldi - assume vista da oggi un peso straordinario: a sessanta anni di distanza abbiamo il problema di capire come le tecnologie digitali cambieranno la produzione e la circolazione dei programmi radiofonici. E ancora più urgentemente viviamo la necessità di ridefinire il loro pubblico, in un’epoca di già esasperata e crescente multimedialità e dunque di convergenza e competizione accanita». Apprestandosi a spegnere le sessanta candeline, Radio 3 si vanta di essere stata la prima emittente culturale, la prima a trasmettere in modulazione di frequenza, la prima a proporre programmi differenti. «Da allora ricorda ancora Sinibaldi - molte cose sono cambiate. Ma quella vocazione resta intatta. Radio3 deve trasmettere la bellezza del mondo (la musica, l’arte, il teatro, i libri, la poesia, la letteratura, la scienza...) senza considerarla evasiva o decorativa. E senza ignorare la complessità, le contraddizioni, i conflitti del proprio tempo». La sfida dei tempi nuovi. Ma è proprio quando si tratta di accettare le sfide che Mamma Rai (spesso dilaniata dalle polemiche, interne ed esterne, dalla lottizzazione, un male endemico che si trascina appresso da quasi mezzo secolo) offre il suo volto migliore, rispolverando il vecchio spirito aziendalista. A prova di crisi, e a prova di concorrenza. Persino di internet, degli I-pad e I-phon, dei tablet e dei social network, e di tutte le diavolerie presenti e future. Perché il web sta diventando sinonimo di solitudine, mentre la radio è sempre stato uno strumento di compagnia. Come diceva, maliziosa, Marilyn Monroe: «It’s true that I have nothing on. I had the radio on». Che tradotto liberamente vuol dire: «Non è vero che non avevo niente addosso. Avevo la radio». Doppi sensi a parte, una battuta che poteva essere pronunciata da molti ascoltatori, in quegli anni remoti.


mondo

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Strappo. Comisiones Obreras e Ugt mettono il loro sigillo alla rottura con il governo socialista che sposa l’austerità

La piazza contro Zapatero Nel giorno dello sciopero pan-europeo, la protesta popolare paralizza la Spagna di Enrico Singer Bruxelles un corteo di centomila persone, con le bandiere dei sindacati di tutti i 27 Paesi della Ue. Manifestazioni anche in molte altre capitali della Ue: a Roma il segretario della Cgil, Guglielmo Epifani, ha reclamato misure che ripartiscano in modo più

A

equo gli effetti della crisi parlando in piazza Farnese. Ma è in Spagna che l’action day europeo, indetto per protestare contro i tagli decisi per risanare i conti pubblici, ha assunto la forma e il significato politico più clamorosi. Uno sciopero generale, il primo dal 2002. Soprattutto, il primo contro il governo del socialista José Luis Zapatero.

È il sigillo della rottura tra le due grandi organizzazioni sindacali della sinistra spagnola le Comisiones Obreras e la Ugt e la sinistra che è al potere del 2004. Otto anni fa, quando lo sciopero generale colpì il governo di Aznar - accusato allora di voler introdurre troppa flessibilità nel mercato del lavoro - fu proprio Zapatero a rimproverare all’esecutivo di

«io vado a lavorare» ai giornalisti che gli chiedevano un commento allo sciopero. E per oggi è attesa comunque la presentazione della nuova legge finanziaria che prevede il congelamento delle pensioni, l’innalzamento dell’età pensionabile dai 65 ai 67 anni, il taglio del 5 per cento medio degli stipendi del settore pubblico, la riduzione delle spese per il welfare e la riduzione delle indennità di licenziamento. Con un tasso di disoccupazione al 20 per cento il record negativo in Europa - e una crescita bloccata allo 0,2 per cento, il governo Zapatero spiega di non avere alternative e non è disposto a fare concessioni. Anche perché le misure di austerità sono state concordate con l’Unione europea: non si può dimenticare che, nei giorni roventi della crisi, quando fu deciso il salvataggio della Grecia con il maxi-prestito di 110 miliardi, il secondo Paese più a rischio fallimento era proprio la Spagna. E la situazione non è

La disoccupazione record (è a quota 20 per cento) moltiplica gli effetti della crisi economica e fa esplodere il problema dell’immigrazione tentare di minimizzare l’iniziativa sindacale. Ieri è toccato al premier socialista rispondere, arrivando in Parlamento, con un imbarazzato

molto cambiata. Anzi, il peso della disoccupazione sta mettendo a dura prova un sistema di welfare già squilibrato.

Il sindacato contesta in particolare la riduzione degli ammortizzatori sociali che, tra l’altro, rischia di rendere esplosivo un aspetto specifico della crisi economica del Paese. Il primo e più allarmante segnale della fine del boom spagnolo è stata l’esplosione della bolla edilizia che ha fatto preciptare il mercato con migliaia di case nuove che non si vendono e con un esercito di lavoratori edili - quasi tutti immigrati nordafricani che si è ritrovato senza lavoro. Nei confronti degli immigrati il governo Zapatero aveva adottato una politica di regolarizzazioni molto facilitata, favorendo anche i ricongiungimenti familiari e, adesso, si ritrova a fare i conti con quasi un milione di persone che pesano sui conti dell’assistenza pubblica. Il settore edile è quello che, secondo

l’Istituto nazionale spagnolo del lavoro (Inem), è colpito da oltre il 50 per cento della disoccupazione generata dal maggio del 2007 che, in Spagna, segna la data d’avvio delle difficoltà economiche che sono state moltiplicate, poi, dai contraccolpi della crisi dei mutui subprime sbarcata in Europa dagli Usa. Secondo l’Unión General de Trabajadores (Ugt) e le Comisiones Obreras (Ccoo), gli operai extracomunitari sono molto più vulnerabile al momento di essere licenziati e lo diventeranno ancora di più se passerà la riforma voluta dal goiverno Zapatero. Il tasso di disoccupazione è già a un livello doppio della media europea e la concentrazione di manodopera immigrata in questo serbatoio di disagio potrebbe provocate tensioni che la Spagna, finora, non ha vissuto. La disoccupazione è una vera bomba innescata: il record raggiunto del 20,5 per cento significa che nel Paese ci sono 4.612.700 persone senza lavoro (con un incremento di 286.200 persone in sei mesi) e per i giovani al di sotto dei 25 anni il dato è ancora più drammatico: il tasso di disoccupazione è al 40,93 per cento.

Lo sciopero di ieri ha paralizzato il Paese e, per quanto riguarda i collegamenti aerei, ha avuto ripercussioni anche in tutti gli aeroporti degli altri Paesi europei, Roma e Milano compresi. Ci sono stati anche alcuni incidenti fra scioperanti e polizia, in particolare a Madrid dove si è svolta la manifestazione

più imponente. Davanti all’impresa aeronautica Eads-Casa, a Getafe, alla periferia della capitale, la polizia ha sparato alcuni colpi in aria per disperdere un picchetto di sciopero. Il comando della polizia di Madrid ha confermato gli spari, ma ha parlato di «un incidente isolato». In serata, quando lo sciopero non si era ancora concluso l’agitazione era indetta fino alla mezzanotte - in scontri con le forze dell’ordine in tutto il Paese, secondo i sindacati, 12 persone sono rimaste contuse e 30 sono state fermate. Il portavoce della Ugt, José Ricardo Martinez, ha detto che lo sciopero è stato un grande successo.

Anche l’informazione è stata bloccata. Al 61 per cento nel settore della stampa e al 70 per cento in tv e radio. Tv3, Telemadrid e CanalSur hanno sospeso le trasmissioni. Sul canale Telemadrid, i cui dipendenti non hanno raggiunto un accordo per una inoformazione minima con i vertici dell’azienda, è apparsa la scritta: «Lo sciopero generale, convocato dai sindacati contro la riforma sul lavoro del governo nazionale, impedisce le trasmissioni». Sempre nella capitale i giornali di ieri non sono arrivati nelle edicole per lo sciopero della distribuzione. Il livello di adesione è stato forte anche in settori tradizionalmente meno sindacalizzati: il 30 per cento nei grandi centri commerciali, il 45 per cento nel piccolo commercio,il 40 per cento tra i dipendenti degli alberghi. A Madrid ha


mondo

30 settembre 2010 • pagina 15

Fondi congelati per chi non ha i conti in regola

Patto di stabilità, la Commissione apre a Italia e Francia (e frena la Merkel) di Francesco Pacifico

ROMA. José Barroso ha provato a spuntare il rigore tedesco per venire incontro a Francia e Italia. Ma per l’Ecofin straordinario in programma nel weekend si profila uno scontro duro tra i fondatori della Ue sulla riforma del patto di stabilità. E il clima potrebbe essere ancora più rovente viste le continue proteste dei lavoratori più colpiti dai piani antideficit (come quelle di ieri a Bruxelles) e i timori dei mercati, convinti di un prossimo default di Irlanda e Portogallo. Nella proposta della Commissione, e rispetto alla stretta chiesta dalla Germania, sono saltati sia l’apertura automatica delle procedure d’infrazione per chi sfora il 3 per cento sia il blocco ai diritti di voto in seno al Consiglio europeo per i Paesi con indebitamento oltre il 60 per cento del Pil.Confermato il congelamento dei fondi strutturali e quelli per l’agricoltura – in una misura pari allo 0,20 per cento annuo del Pil – da trasferire in un apposito conto di deposito fruttifero. Cambiano – e su questo ci si scontrerà – i tempi per l’attuazione dei piani di rientro. Juan Carlos non La manifestazione degli scioperanti aveva preso alcun a Barcellona. In basso, il leader della Ugt appuntamento uffiCándido Méndez (a sinsitra) ciale per la matticon il segretario delle Comisiones Obreras, nata di ieri aveva Fernadez Toxo. A destra, Angela Merkel. fatto ipotizzare una Nella pagina a fianco, José Luis Zapatero qualche forma di sostegno del sovrascioperato anche la nettezza ur- no alla protesta contro il goverbana e i bidoni di immondizia no di Zapatero. Ma questa illasono rimasti nelle strade. Il con- zione - ripresa da molti siti on lisumo elettrico industriale ha re- ne spagnoli ha subito provocato gistrato un calo del 21 per cen- una reazione ufficiale della cato, scendendo ai livelli di un sa reale che he precisato che per il sovrano «è stata una norgiorno festivo. male giornata di lavoro» e se La casa reale non è sfuggita non ci sono state attività ufficiali alle polemiche che si sono in- «è soltanto perché nessuna istinescate su questa giornata di tuzione, organismo o impresa ha sciopero. L’annuncio che re richiesto preventivamente la

La casa reale costretta a precisare che il re ha lavorato come sempre. La mancanza d’impegni ufficiali interpretata come un sostegno alla protesta

presenza del re». Fonti della casa reale hanno precisato che Juan Carlos «non ha preso posizione» di fronte allo sciopero generale proprio come avvenne nel 2002: anche allora il sovrano non svolse «alcuna attività esterna perché non fu richiesta».

Reali precisazioni a parte, lo sciopero generale di ieri in Spagna e le proteste di Bruxelles, come quelle nelle altre capitali, rilanciano l’immagine di un’Europa in grave difficoltà. E soltanto in apparenza unita in nome delle proteste sindacali contro le politiche di austerità. In realtà, l’unico comune denominatore è la crisi, ma il diverso grado di reazione da Madrid a Parigi, da Atene a Roma, conferma che in ogni Paese ci sono situazioni economiche e sociali diverse. E se questo può essere considerato un bene da chi si sente più forte e più protetto di altri, è indubbiamente anche un elemento che deve far riflettere sui risultati di anni - e di centinaia di miliardi - spesi per costruire il tanto celebrato mercato unico europeo che, alla prova dei fatti, ha rivelato i suoi limiti. Proprio nel giorno in cui la Commissione ha presentato il suo progetto per ilºº nuovo Patto di stabilità.

Il pacchetto di Bruxelles si basa su tre pilastri per rafforzare la governance economica dell’Unione europea e dell’eurozona: maggiori coordinamento fiscale e attenzione al debito eccessivo, prevenzione e correzione degli squilibri, introduzione di un nuovo e più ferreo meccanismo di sanzioni. Obiettivi che si traducono in cinque regolamenti e una direttiva che si spera vengano approvati dall’Europarlamento entro l’estate del 2011. In primo luogo s’impone ai Paesi membri di attuare politiche prudenti per accantonare riserve per i periodi di difficoltà attraverso l’impegno a legare l’aumento della spesa pubblica alla crescita. In caso contrario, verrà trasferita su un deposito fruttifero una cifra pari allo 0,2 per cento del Pil. Quindi gli strumenti e i tempi per ridurre l’indebitamento. Accanto ai nuovi poteri per Eurostat ecco la previsione di tagliarlo nel triennio«di un ventesimo all’anno». Su pressione di Francia e Italia, la Ue ha concesso che in caso di sforamento non saranno aperte automaticamente procedure d’infrazione, che terrà conto di una serie di fattori rilevanti, come la congiuntura negativa che rallenta le politiche di rientro, la qualità del debito, l’esposizione del settore privato (principio che aiuta non poco il governo di Roma) e le riforme sulla spesa come quella delle pensioni. I Paesi sotto procedura di infrazione dovranno versare lo 0,2 del Pil su un conto di deposito, che che si trasformerà in multa in caso di mancata correzione della passività. Per evitare casi come questi verranno calendarizzati momenti di confronto tra i vari Paesi per valutare i rischi sistemici, in presenza dei quali il Consiglio «può adottare raccomandazioni e avviare una procedura per gli squilibri eccessivi». Qualora non vengono corretti, ecco sanzioni ad hoc pari allo 0,1 per cento del Pil. In ultimo Bruxelles propone che i quadri di bilancio (norme di bilancio, sistema contabile, statistiche e organi di controllo) riflettano il patto di stabilità. Patto di stabilità che così com’è non basta a frenare le pressioni del mercato: ieri i titoli di Stato irlandesi e quelli portoghesi hanno visto i loro spread schizzare a 448 e 431 punti sul bund dopo le indiscrezioni di un ampliamento del piano di salvataggio di Anglo Irish. In questo clima anche l’Italia “paga”un altissimo differenziale, pari a 172 punti.

Il monito di José Barroso: «Un debito pubblico enorme è antisociale, impedisce di fare spesa dove serve»


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pagina 16 • 30 settembre 2010

Terrorismo. Il dubbio è sull’operatività delle cellule estremiste in Occidente voler seguire la strategia militare più classica, l’idea non è delle migliori. Proprio mentre la coalizione occidentale in Iraq e Afghanistan inizia a mettere sul tavolo i piani del ritiro dai teatri di guerra, arriva infatti la notizia che al Qaeda avrebbe messo in piedi un piano per una serie di attentati in “stile Mumbai” fra Francia, Germania e Gran Bretagna. L’idea era quella di attivare diverse squadre di terroristi, sparse per i vari Paese, con il compito di attaccare più obiettivi nello stesso momento. Il fine era quello di sequestrare e uccidere quanti più ostaggi possibile, come avvenne nell’assalto a due grandi alberghi e a un centro ebraico di Mumbai nel 2008 che causò 166 morti. Gli ideatori del piano sarebbero componenti di un gruppo di militanti islamici, che ha base in Pakistan, che aveva allo studio attacchi a Londra e nelle principali città francesi e tedesche. Lo hanno rivelato ieri fonti dei servizi segreti a Bbc e Sky News.

A

Tra i possibili obiettivi di quello che le fonti definiscono «uno dei più seri piani di attacco di al Qaeda negli ultimi anni» c’erano anche gli Stati Uniti; il presidente Barack Obama ne era stato informato. Secondo l’intelligence la pianificazione era in stato avanzato ma gli attentati non erano imminenti, mentre si ignora se gli esecutori siano già giunti in Europa. Sicuramente i capi militari e religiosi di queste cellule sono stati tenuti sotto sorveglianza e in gran parte eliminati negli attacchi dei droni Usa nella regione pakistana del Waziristan, che si sono intensificati arrivando a venti solo nell’ultimo mese. I piani, comunque, sono stati sventati grazie a

Se al Qaeda torna a puntare l’Europa Sventato dall’intelligence un piano contro le capitali del Vecchio Continente di Vincenzo Faccioli Pintozzi

contro il terrorismo. In Gran Bretagna, invece, questo livello è stato portato sin da gennaio allo stadio di “grave allerta”; in codice, significa che un attentato è ritenuto “molto probabile”. Anche in Francia c’è un alto livello di vigilanza anche se una fonte dell’intelligence di Parigi ha fatto sapere che non è collegato direttamente ai piani di

Nel mirino Francia, Germania e Gran Bretagna. Le cellule sarebbero di provenienza pakistana, e non si sa se siano state tutte individuate uno scambio di informazioni tra i servizi di Francia, Germania, Gran Bretagna e Stati Uniti. Le prime informazioni erano arrivate da un terrorista con passaporto tedesco arrestato e detenuto in Afghanistan mentre era in viaggio verso l’Europa. Il ministero dell’Interno tedesco ha fatto sapere che la Germania è consapevole di progetti “a lungo termine” di al Qaeda per colpire obiettivi occidentali, ma non ha prove di piani “concreti” e non ha cambiato il livello di allerta

al Qaeda. Ma appena due sere fa c’era stata l’evacuazione della Tour Eiffel per un allarme bomba, poi rientrato. La notizia degli attacchi sventati ha allarmato anche l’America, e ha fatto scattare la decisione della Casa Bianca di attacchi preventivi con droni contro bersagli in Pakistan. In settembre la Cia ha lanciato 21 attacchi missilistici in Pakistan usando aerei senza pilota: è il numero più alto di attacchi nell’arco di un mese. Un funzionario dei servizi di sicurezza

Riprenderà le teorie negazioniste del governo

Iran, al via un film sull’11/9 In un certo senso, la notizia era nell’aria. D’altra parte, l’intervento all’Onu di Mahmoud Ahmadinejad e la sua ripresa delle teorie negazioniste sull’11/9 non sono una novità. Ma ora il regista iraniano Mohammad Reza Eslamlu, molto vicino agli ambienti governativi, ha ottenuto a tempi di record l’autorizzazione per girare un film intitolato “La nera scatola dell’11 settembre”. L’intenzione sembra essere quella di sostenere la teoria del complotto negli attentati di nove anni fa. Lo scrive ieri il quotidiano Teheran Times, che dedica anche un ampio ritratto al regista. La cui intenzione sembra essere quella di omaggiare il proprio presidente. Più volte, durante il discorso all’Assemblea generale dell’Onu a New York la set-

timana scorsa, e poi dopo il suo rientro in Iran, il presidente Mahmoud Ahmadinejad ha affermato che «è necessario un riesame» di quella che ha definito «la scatola nera dell’11 settembre», suggerendo che gli attentati contro le Torri Gemelle e il Pentagono siano stati organizzati dagli stessi Stati Uniti per risolvere i loro problemi economici e politici. Affermazioni che il presidente americano Barack Obama ha definito «offensive, odiose e imperdonabili». Il Teheran Times scrive che Eslamlu, 63 anni, laureato all’università del Texas, è un amico personale del vice ministro della Cultura per il cinema, Javad Shamaqdari. In passato ha girato un documentario antiisraeliano e due film sulla guerra tra Iran e Iraq.

statunitensi ha spiegato al Washington Post: «È questo il motivo per cui abbiamo intensificato gli attacchi, ad alta precisione, contro persone e località che potrebbero essere collegate alla preparazione degli attacchi in Europa». «Sappiamo che al Qaida desidera attaccare gli Stati Uniti e l’Europa - ha detto il Direttore dell’Intelligence Nazionale James Clapper -. Stiamo continuando a lavorare in stretto contatto con i nostri alleati europei sulla minaccia rappresentata dal terrorismo internazionale». Gli Stati Uniti hanno condiviso informazioni di intelligence negli ultimi giorni con gli alleati europei, ha confermato Clapper, «per sventare complotto terroristici, identificare ed agire contro i sospetti terroristi e rafforzare le nostre difese contro potenziali minacce». Ma questa strategia, dicevamo, non sembra molto intelligente: riportare il terrore sul Vecchio Continente, infatti, provocherebbe semplicemente una ripresa dell’impegno militare nei Paesi dell’Asia meridionale dove già la coalizione internazionale è presente. Va poi registrato che, come sostengono alcune fonti europee, siamo davanti con ogni probabilità a cellule non del tutto operative. Nel senso che si tratterebbe di militanti addestrati ma non armati, che fanno alzare con la loro presenza e con il rilascio di informazioni mirate i livelli di allerta nei vari Paese continentali.

Senza però portare a termine missioni di tipo terroristico. Si tratterebbe di una sorta di richiamo permanente della loro presenza, ideato e propagato per non far abbassare la guardia alle forze di sicurezza interna all’Occidente senza arrivare sino al compimento delle missioni suicide. In questo modo, si propaga il marchio di al Qaeda. Che negli ultimi mesi sta perdendo parecchi colpi, e parecchi leader, per la forza con cui vengono repressi i covi sparsi per l’Asia. Soltanto due giorni fa, in Pakistan, è stata annunciata la morte del capo militare dei qaedisti nel Paese e in Afghanistan. Mentre sabato è morto, insieme a diversi suoi uomini in un bombardamento delle forze Nato nell’est dell’Afghanistan, Abdallah Umar Al Quraishi. Tra le vittime anche un esperto nella preparazione di ordigni, Abu Atta al Kuwaiti. Ai fondamentalisti rimane sempre meno leadership. E sempre meno obiettivi da colpire.


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30 settembre 2010 • pagina 17

Il Segretario generale dell’Onu contro la giunta militare

Il leader russo riapre la ferita delle isole contese, ricche di gas

Ban Ki-moon: «In Birmania elezioni-farsa senza Aung»

Medvedev sfida Tokyo: «Andrò presto nelle Curili»

NEW YORK. Le elezioni genera-

PECHINO. Sceglie la capitale del principale avversario, la Cina, per sfidare il Giappone su una ferita dura a rimarginarsi, che si trascina da 65 anni e ancora avvelena i rapporti tra due dei principali attori della politica asiatica: Russia e Giappone. Dmitri Medvedev, il presidente russo, ha annunciato ieri che «in un prossimo futuro» intende recarsi in visita nelle isole Curili, l’arcipelago conteso tra Tokyo e Mosca la cui mancata definizione della sovranità pone un ostacolo apparentemente insuperabile alla firma del trattato di pace. L’annuncio del presidente russo ha provocato un’immediata alzata di scudi nipponica. Il ministro degli Esteri Seiji Maehara ha convo-

li del prossimo 7 novembre in Myanmar non saranno “credibili” senza il rilascio dei prigionieri politici, tra cui la leader dell’opposizione Aung San Suu Kyi. È quanto afferma Ban kimoon, segretario generale Onu, al termine di un incontro tenutosi due giorni fa a New York fra i membri del cosiddetto “Gruppo di amici del Myanmar”. Egli ha aggiunto che il gruppo invoca una «maggiore presenza al voto, mediante un processo che sia partecipativo e trasparente». In Myanmar, intanto, continuano gli episodi di insubordinazione fra i soldati, che rifiutano di eseguire i compiti assegnati per protesta contro la scarsità di cibo e il mancato pagamento degli stipendi.

Rom, riparte lo scontro fra Parigi e Bruxelles La Reding annuncia la procedura di infrazione di Antonio Picasso

Il voto del sette novembre è parte del “cammino verso la democrazia”sbandierato dal regime militare birmano, nel tentativo di legittimarsi agli occhi della comunità internazionale. Oppositori interni e esperti internazionali ribattono che si tratta di elezioni “farsa”, sfruttate dalla giunta per mantenere il potere e annullare la minoranza che si batte per una vera democrazia. Il segretario generale Onu e i ministri dei Paesi “amici del Myanmar”– al termine di un vertice a porte chiuse –

a guerra tra Francia e Unione europea è iniziata. Ieri, dopo due mesi di polemiche, in merito alla politica di espulsione dei rom da parte della prima, la Commissaria Ue per la Giustizia, Viviane Reding, ha annunciato l’apertura di una formale procedura di infrazione nei confronti di Parigi. Al governo francese è stato chiesto di fornire le necessarie spiegazioni sulla conformità con le norme europee della sua disciplina giuridica in materia di immigrazione e, in particolare, di espulsione dei rom. Secondo Bruxelles le recenti direttive francesi, volute espressamente dall’Eliseo, implicherebbero una discriminazione della direttiva Ue sulla libera circolazione dei cittadini in territorio comunitario, oltre che la mancata trasposizione delle direttive Ue nella legislazione francese. Alla luce di come è stata avviata la procedura da parte di Bruxelles, si può dire che il contenzioso non si limiti alla questione delle politiche di immigrazione adottate in Francia. Bensì includa l’eventualità che quest’ultima abbia trasgredito alle direttive comunitarie, andando contro alla consuetudine propria di tutti gli Stati membri dell’Unione di assoggettare il diritto nazionale a quello Ue, rinunciando a una significativa proporzione di sovranità nazionale. La vicenda ha riempito le pagine dei giornali di tutta Europa, nel corso dell’intera estate. Le colonne degli editoriali si sono trasformate nella cassa di risonanza di un punto dolente dell’Ue. La libera circolazione di uomini e merci – stabilita dal Trattato di Schengen – rappresenta un risultato senza precedenti nella storia del Vecchio continente. Tuttavia, secondo l’opinione pubblica, gli svantaggi di questa conquista appaiono maggiori di qualsiasi beneficio. Svantaggi in termini di sicurezza e di immigrazione da aree più arretrate dell’Unione – si veda l’Europa dell’Est – a quelle di maggior benessere: Germania, Italia e appunto Francia. La scelta di Sarkozy, a luglio, era stata dettata dalla necessità tattica di rispondere alle preoccupazioni

L

espresse dall’opinione pubblica nazionale e generate dalla crescente presenza di rom in territorio transalpino, provenienti da Romania e Bulgaria. Il leader dell’Eliseo aveva approfittato di alcuni casi di violenza fra giovani immigrati e Gendarmerie scoppiati nella campagna francese e si era mosso per decretare un’espulsione di massa dei “gitanes”.

La mossa, tuttavia, non era passata inosservata agli occhi delle istituzioni comunitarie, le quali avevano criticato immediatamente la Francia per una politica che appariva discriminatoria. In questi due mesi, il presidente Sarkozy e la commissaria Reding non si sono risparmiati colpi bassi. Ieri, a margine della comunicazione della procedura adottata da Bruxelles, la responsabile giustizia dell’Ue ha sottolineato di «essere in politica da troppo tempo per sentirsi ferita dal comportamento di Parigi». Un modo sbrigativo, il suo, per evitare che le polemiche degenerassero in uno scontro personale con il Capo dello Stato francese. È anche vero, però, che l’iniziativa della commissione appare tardiva e forse troppo leggera. L’Ue è orientata ad ammonire la Francia “con un pesante cartellino giallo, ma non rosso”. Del resto si sa: Bruxelles non è celebre per il suo decisionismo. È vero che tutti gli Stati membri hanno formalmente un peso uguale fra loro all’interno dell’emiciclo comunitario. D’altro canto è innegabile che la Francia abbia un peso specifico politicamente superiore rispetto alle new entry dell’Unione. A fine ottobre si saprà con quale pena verrà punita Parigi. Per ora la tenzone sta assumendo le tinte di un conflitto istituzionale e sembra allontanarsi dal “nodo rom”. Il Presidente della Commissione Barroso ha voluto precisare che l’iniziativa di Bruxelles è stata adottata in autonomia e «senza alcuna pressione da altri Stati». Parole, queste, che mettono in luce quanto il problema reale sia di natura politico-istituzionale e non relativo alla gestione dell’immigrazione interna all’Ue.

La Francia dovrà spiegare la conformità con le norme europee della sua disciplina giuridica in materia di immigrazione

hanno ribadito la necessità di un cammino elettorale contraddistinto da “maggiore partecipazione, trasparenza e rappresentanza”. «Questo è essenziale – ha aggiunto Ban Ki-moon – perché le elezioni siano credibili e diventino un contributo per la stabilità e lo sviluppo del Myanmar». Il “Gruppo amici del Myanmar”è formato da Australia, Regno Unito, Cina, Francia, India, Indonesia, Giappone, Norvegia, Singapore, Corea del Sud, Thailandia, Stati Uniti, Vietnam e Unione Europea. Alla riunione – tenuta a margine dell’Assemblea generale Onu – non hanno partecipato gli esponenti della delegazione del Myanmar.

cato l’ambasciatore russo Mikhail Bely per rappresentargli la preoccupazione giapponese. Inoltre, il portavoce del governo giapponese Yoshito Sengoku ha spiegato che dal governo di Tokyo è partito un appello a Medvedev affinché rinunci al suo proposito.

«Lo farò, ci andrò assolutamente in un prossimo futuro», ha dichiarato il presidente, rispondendo ai giornalisti durante una visita nell’Estremo oriente russo. «Purtroppo le condizioni meteorologiche impediscono attualmente di prendere l’aereo», ha continuato il presidente, lasciando intendere che in caso contrario sarebbe andato subito. La vicenda dei Territori settentrionali - come le Curili del sud sono chiamate dai giapponesi - sono un tema centrale nel complesso delle relazioni russo-nipponiche. Le Curili in tutto sono 56 isole, tra grandi e piccole e sono diventate “politicamente” parte del Giappone, poste sotto il controllo del clan feudale dei Matsumae. In realtà erano sostanzialmente abitate dalla popolazione indigena Ainu. Proprio in quelle isole sono avvenuti i primi contatti tra giapponesi e russi. Che ora le rivogliono per il gas che vi si trova.


cultura

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Rassegne. La direzione degli itinerari narrativi è “il Levante”: il Mediterraneo orientale e le terre attorno, a partire dall’Italia fino al Vicino e Medio Oriente

Sfogliando il mondo Da oggi a Roma, fino al 3 ottobre, la terza edizione del “Festival della Letteratura di Viaggio” di Maurizio Ciampa on altro male è maggiore ai mortali che l’andare vagabondo». È amara, quasi dolente, l’espressione di Ulisse nel canto XV de L’Odissea. Nella cultura greca , e in molte culture antiche, il viaggio non è soltanto esplorazione conoscitiva, comporta anche sofferenza, travaglio, è prova fisica e morale, uno dei teatri in cui si manifesta il destino dell’uomo, è esperienza di trasformazione, è serrato confronto con la potente affermazione del divino. E dunque può arrivare a scomporre, mutando o addirittura distorcendo il disegno stesso dell’esistenza individuale, il suo percorso e il suo significato.

«N

«Per gli antichi - scrive Eric J.Leed ne La mente del viaggiatore. Dall’Odissea al turismo globale - il viaggio aveva valore soprattutto per spiegare il fato, o la necessità, e come rivelazione di quelle forze che sostenevano o plasmavano, alteravano e governavano la sorte degli uomini... mentre i moderni lo esaltavano come manifestazione di libertà e come fuga dalla necessità e dallo scopo».La linea di demarcazione che divide, o semplicemente distingue, il viaggio degli antichi da quello moderno passa tra la necessità e la libertà. Il territorio del viaggio resta comunque assai frastagliato, e davvero ampia, quasi smarrente, la gamma delle sue forme. Potremmo leggere la stessa storia della cultura occidentale come un viaggio. E potremmo anche concludere che, oggi, è sicuramente diventato più difficile individuare la sua meta e il suo scopo. Il grande antropologo Claude Lévi-Strauss osservava che siamo ormai giunti alla fine dell’esperienza del viaggio. Se

è così, il nostro viaggio parebbe corrispondere all’«andare vagabondo» lamentato da Ulisse nel canto XV dell’Odissea.

«Che cosa possiamo farci? Abbiamo la Grande Irrequietezza

Si visiteranno, attraverso immagini e parole, emblematiche città: da Venezia ad Alessandria, da Istanbul a Salonicco

nel sangue», sembra rispondere Bruce Chatwin ne Le vie dei canti. Già «che cosa possiamo farci?»: forse cominciare a mettere un po’ d’ordine in questa “Grande Irrequietezza” che, nel tempo, ha dato vita a una molteplicità di espressioni e di narrazioni fitta come un’impenetrabile foresta tropicale, sempre più estesa e comunque difficile da attraversare. Sì, mettere ordine, come spesso si fa prima di partire, fra guide, libri, strumenti necessari al viaggio, itinerari consigliati, carte.

Credo possa servire anche a questo il ricchissimo (non pote-

va essere diversamente visto il tema) Festival della Letteratura di Viaggio, nato tre anni fa per iniziativa della Società Geografica Italiana e di Federculture. Si apre a Roma oggi, e si chiuderà il 3 ottobre, dopo aver compiuto un viaggio nel viaggio. Ma con una direzione, una classica meta, che è “il Levante”, e cioè il “Mediterraneo orientale e le terre attorno, a partire dall’Italia fino al Vicino e Medio Oriente”. Vale a dire il perimetro, aperto e al tempo stesso chiuso, la geografia satura di storia dai rovesci spesso drammatici, del “Mare Nostrum”. Si visiteranno, in immagini e parole, molte delle sue emblematiche città: Venezia (cui è dedicata una mostra che si terrà al Palazzo delle Esposizioni, e costituirà l’apertura del Festival), Alessandria, Istanbul, Salonicco. Non solo mare e città, coste e isole, ma racconti, immagini, che indurranno il frequentatore del Festival a peregrinare attraverso la letteratura o le letterature di viaggio (faranno da battistrada il nostro Claudio Magris e l’israeliano Amos Oz), muovendosi anche attraverso la geografia (Tullio D’Aponte), la geopolitica (Lucio Caracciolo, direttore di Limes, uno strumento oggi quasi indispensabile per capire il mondo e i suoi conflitti, parlerà del “nuovo Levante”), attraverso la filosofia con Umberto Galimberti e Gianni Vattimo che rifletteranno sui “sensi dell’andare”, poi l’archeologia con Paolo Matthiae, lo scopritore di Ebla, il giornalismo d’autore (Bernardo Valli, Stefano Malatesta, Lorenzo Cremonini, cronista di molte guerre nell’area assai problematica del “Vicino Oriente”), ma ci saranno anche resoconti curiosi e forse strabilianti,“giri favolosi”come quello in tandem da Lugano a

A destra, un’immagine di Venezia. Sotto, la Biblioteca di Alessandria. In basso, uno scatto di Istanbul. A sinistra, la locandina della terza edizione del “Festival della Letteratura di Viaggio”. Nella pagina a fianco, Salonicco e, dall’alto, Claudio Magris, Amos Oz e Gianni Vattimo Bangkok di Romina Maffeis e Francesco Riva.

Infine, se il visitatore non ne risulterà esausto, gli “itinerari d’autore” illustrati da Maureen e Tony Wheeler, i due mitici fondatori di Lonely Planet, una serie di guide che costituiscono, per molti viaggiatori di tutto il mondo, un rito d’obbligo prima e durante il viaggio. Si vedrà molto al Festival della Letteratura di Viaggio (mostre di carte e di fotografie, una rassegna di film del viaggiatore Gabriele Salvatores), e si ascolterà molto (lezioni, incontri musicali e letterari), come accade, o può accadere in un viaggio capace di mettere alla prova e mobilitare tutti i nostri sensi, dalla vista all’udito. Diceva Italo Calvino, grande viaggiatore della mente: «Viaggiare non serve molto a capire... ma serve a riattivare per un momento l’uso degli occhi, la lettura visiva del mondo». Ma, arrivati a questo punto, è quasi inevitabile chiedersi se c’è oggi una progettualità letteraria che sappia accogliere i segni del mondo, facendo viaggiare il suo ipotetico lettore attraverso forme inusitate, pae-

saggi ed esperienze che muovano allo stupore (siamo ancora capaci di stupirci?), come, in passato, hanno fatto Conrad, London, Stevenson, Segalen o Verne, o, più recentemente, ma pur sempre qualche decennio fa, Ella Maillart, Anne-Marie Schwarzenbach o Nicolas Bouvier. Credo che questa progettualità ci sia e il Festival della letteratura di viaggio di Roma, nei prossimi giorni, ne sarà la verifica. Basti guardare ai numerosi scrittori presenti nei suoi appuntamenti, da Pedrag Matvejevic, autore di Breviario Mediterraneo, a Gianrico Carofiglio e Nicola Lagioia che metteranno a tema la “regione più a Levante d’Italia, la Puglia”, e Giuseppe Cederna, indimenticabile interprete di Mediterraneo e autore di un libro che ha fatto molta strada, Il Grande Viaggio, non solo uno spostamento nel tempo e nello spazio, attraverso il continente indiano, fino alle sorgenti del Gange, ma ricerca ed esercizio dello Spirito.

Ma gettiamo uno sguardo anche alle più recenti uscite editoriali. Mi pare che un libro come La bellezza del mondo di Michel Le Bris (pubblicato dall’e-


cultura

ditore Fazi da poche settimane) sia perfettamente in grado di «riattivare per un momento l’uso degli occhi, la lettura visiva del mondo», come chiedeva di fare Italo Calvino. È la storia, meravigliosamente narrata, di un’eccentrica coppia di viaggiatori e documentaristi americani, Martin e Osa Johnson, che visitano l’Africa nel corso degli anni Venti del Novecento. Le immagini che i Johnson raccoglieranno alimenterà il mito dell’Africa, ma liberandolo dalle inerzie dello stereotipo.

L’Africa vista con gli occhi dei coniugi Johnson penetrerà nella società colta di NewYork e degli

Stati Uniti, ispirerà film come King Kong e fumetti come Jungle Jim. Diciamo ancora qualcosa su Michel Le Bris, perché è una figura di assoluto rilievo nella letteratura di viaggio o semplicemente nella ricerca letteraria di questi anni. Biografo di Robert Louis Stevenson, organizzatore di un altro festival (in primavera a Saint-Malò) che manifesta fin dal titolo la sua apertura. Lo tradurrei così: «Festival dei viaggiatori che si meravigliano».

È un incredibile ricercatore e custode di stupori, Michel Le Bris. Questa forza lo spinge verso lo spazio del viaggio e

verso il suo racconto. In una recente intervista ha detto: «Noi siamo tutti esiliati da un altro mondo! Altrimenti perché mai partiremmo? Siamo creature fatte di desideri, di mancanze. Non abbiamo mai smesso di cercare al di là dell’orizzonte. Di qui quei momenti di straordinaria intensità, quando ci sembra di essere tutt’uno con il mondo. Non a caso un mio libro s’intitola Noi non siamo di qui: viaggiamo perché siamo stranieri al mondo. Scriviamo perché ci sentiamo stranieri alla nostra stessa lingua». Ecco il centro pulsante del viaggio. Le parole di Michel Le Bris svelano il profilo di un’umanità che, mancando a se stessa, desidera, cerca perché non possiede, se non del tutto provvisoriamente. Per questo si mette in cammino, lascia il suolo che gli è più familiare, e stacca i suoi passi per inseguire un orizzonte in movimento, inafferrabile, irraggiungibile. Torna alla mente la vita bruciante di Annemarie Schwarzenbach (molti dei suoi libri sono disponibili in italiano), la “Grande Irrequietezza” che arriverà a consumarla. Annemarie Schwarzenbach e Ella Maillart, due giovani donne, da sole, si muoveranno, in macchina una Ford -, dalla Svizzera all’Afghanistan aprendo una strada a Nord che nessuno aveva mai percorso. Partono da Ginevra il 6 giugno del 1939, arriveranno a Kabul ai primi di settembre, quando la guerra è ormai scoppiata. Le due donne cercano nel loro viaggio una via di fuga. Sentono che il futuro, in Europa, si sta esaurendo, sentono l’imminente collasso dei destini umani. Il deserto del Turkestan, il suo vuoto, consentirà ad Annemarie di vedere il suo stesso vuoto. Mille volte Annemarie Schwar-

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zenbach è partita, mille volte si è messa sulla strada alla ricerca di nuove terre, spezzando il cerchio angusto dell’Europa che esplora nei primi a nni trenta: oltre, il Medio Oriente, la Turchia, la Persia, gli Stati Uniti, il Congo. Tutto in sei, sette anni. Non di più. Anni di vita bruciante, un vortice d’irrequietezza, fino all’autunno del 1942, l’anno in cui muore, a 34 anni. E muore cadendo da una bicicletta, lei che aveva messo a repentaglio la propria vita nei suoi viaggi attraverso il mondo. Annemarie Schwarzenbach ha violato l’orizzonte delle sue montagne - le Alpi svizzere - per raccontare il mondo in centinaia di scatti fotografici, decine di resoconti, articoli, corrispondenze, lettere, poesie, romanzi, ondate di parole e sguardi lanciati fugacemente nelle piaghe del mondo per raccogliere il respiro strozzato della sua fatica, del suo dolore. Anche per questo si viaggia: per raccontare, per dire il mondo, o per fermarne la corsa nel cristallo di una sua immagine furtiva. Si viaggia per arrestare il tempo, per sospenderne la parabola distruttiva.

È un’illusione umana spezzare la catena che ci lega al tempo, mettersi fuori dalla sua misura o dal suo dominio. È una lotta con la morte, come ogni gesto di vita. A questo punto, forse è più semplice dire che non si sa bene perché l’uomo

viaggia, o perlomeno non lo si sa con esattezza. Il senso sfugge, o, se si vuole, sovrabbonda: difficile arrivare a contenere la quantità di ragioni per cui si parte e si cercano nuovi orizzonti. Qui ci aiuta una straordinaria pagina di Annemarie Schwarzenbach stesa dopo aver attraversato la pianura infuocata del Turkestan verso le azzurre vette dell’Hindu Kush, dove le stelle sono così ferme da sembrare congelate. «Nello splendido e mutevole quadro dell’Hindu Kush mi manca il verde tenero, il vento delicato, il canto commovente della primavera. Ma non siamo noi a dover decidere dei nostri sogni e io non osavo guardare indietro, verso le cime innevate che stavano scomparendo mentre avanzavo nella pianura: non sta a me decidere di incontri e separazioni e tracciare il confine tra realtà e visione. A me rimane il cuore meravigliosamente toccato».

Che sia questo il viaggio? Non la strada, il percorso, l’itinerario, ma un solo breve punto d’intensità («il cuore meravigliosamente toccato»), lo spazio del tutto circoscritto di un’emozione, il suo picco, che, in un solo attimo, può rimescolare le carte della vita. Quando si parte ci si mette alla ricerca di questa vibrazione essenziale, che Annemarie Schwarzenbach ha conosciuto sull’Hindu Kush, mentre per Michel Le Bris sono «i momenti di straordinaria intensità quando ci sembra di essere tutt’uno con il mondo». Ognuno di noi, in un passaggio della propria vita, o lungo una curva della propria strada, andando incontro a un paesaggio o nelle pieghe di uno squarcio di luce, hanno conosciuto questi momenti di stupito stordimento. Essi accadono, e ci sorprendono, quando il mondo ci costringe ad aprire gli occhi squarciando il velo della nostra distrazione. Potrebbe essere questo il senso del viaggio?


cultura

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L’analisi. Ecco perché tutta l’opera di Moravia può essere letta come una specie di abbecedario dei lemmi cruciali del Secolo breve

L’uomo che “iniziò” il Novecento di Massimo Onofri

uno degli incipit più perentori e suggestivi di sempre, quello del romanzo d’esordio d’un Moravia poco più che ventenne, Gli indifferenti (1929): «Entrò Carla». E con Carla entrava definitivamente, nella letteratura italiana contemporanea, anche il Novecento: il secolo della resa esistenziale e della morte di Dio, del «ciò che non siamo» e del «ciò che non vogliamo», che già Montale aveva proclamato nei suoi Ossi di seppia (1925). Insomma: uomini e donne ridotti a disarticolati manichini; interni soffocanti; luce guasta e fosforescente; ottusa e invasiva solidità degli oggetti; l’incombente e oppressiva presenza del regime, senza che mai la parola fascismo abbia bisogno di essere pronunciata; e poi un’aria così stagnante da indurre il tempestivo recensore Pietro Pancrazi a implorare due chiacchiere con la cameriera di casa e una finestra aperta per una boccata di aria fresca.

È

A sinistra e in basso, due immagini di Alberto Moravia. Qui sotto, tre diverse edizioni di uno dei suoi libri-simbolo: “Gli indifferenti”

Epperò: basta un capolavoro come Gli indifferenti, su cui tutti - anche i suoi detrattori concordano, a fare di Moravia, nel ventennale della morte, uno scrittore ancora imprescindibile? Di fronte a un’opera così vasta e frondosa, cui Bompiani riserva ancora amorevole e rigorosa cura, un’opera diciamo pure imponente, si dovranno almeno riconoscere al narratore e al saggista, qualità di fiato che pochissimi, se non nessuno, ebbe come lui. Ma si tratta solo di quantità e di fiato? Si tratta solo di resistenza per saturazione di presenza dello scrittore sul mercato e nei bilanci critici? Credo che, impostato così, il giudizio sarebbe, non dico ingeneroso, ma storiograficamente illegittimo. Dicevo della forza inaugurale, quanto alle mitologie novecentesche, degli Indifferenti. Se vogliamo restare al suo impatto testimoniale, la verità è questa: tutta l’opera di Moravia può essere letta come una specie di abbecedario dei lemmi cruciali del secolo appena trascorso. Lemmi che, nei molti interventi e nelle tantissime interviste, sapeva declinare con ruvida e efficacissima semplicità, arrivando sempre alla sostanza delle questioni. Voglio dire: c’è stato uno scrittore italiano che, più di Moravia, abbia agito sotto la spinta

propulsiva e congiunta di Marx e Freud?

Cito a caso tra i suoi libri di narrativa: Agostino (1944), La

ossia Cristianesimo e Comunismo (1944), Un mese in URSS (1958), L’uomo come fine e altri saggi (1964), La rivoluzione culturale in Cina (1967). E si po-

C’è un narratore italiano che, meglio di lui, abbia saputo rappresentare riti e miti, verità e menzogne, d’una borghesia come zona grigia su cui è prosperato l’eterno fascismo italiano? disubbidienza (1948), L’amore coniugale (1949), Il conformista (1951), Il disprezzo (1954), La vita interiore (1978). Per non dire dei suoi saggi: La speranza

trebbe continuare. Certo, qualcuno potrebbe obiettare che fu sin troppo disponibile ad aggiornarsi, a vivere ogni nuova avventura culturale, per rimanere, sempre e comunque, all’altezza degli imperativi del giorno. Il Neorealismo? Ecco, allora, La romana (1947), Racconti romani (1954) e La ciociara (1957). La Neoavanguardia? Arriva subito, perché no?, L’attenzione (1967) col suo evidente sperimentalismo. L’alienazione e la reificazione neocapitalista? La noia (1960) ne è certamente una tempestiva risposta.

Tutto vero. Bisognerà però aggiungere che il contributo da lui dato alla discussione di

quei temi di permanente attualità non fu mai né banale, né corrivo. Prendete, a titolo d’esempio, Freud: la sua fu, infatti, una vera e propria contro-psicanalisi. Mi spiego meglio: se uno psicanalista lavora sui sintomi per arrivare a una diagnosi che razionalizzi l’irrazionale e dissolva così il mistero, il Moravia narratore si serve della stessa sintomatologia per approdare a un risultato esattamente opposto, per accrescerlo quel mistero, complicando le verità profonde della vita. Valga per tutti il finale del fin troppo freudiano Amore coniugale: laddove, però, l’amplesso ditirambico tra i due amanti, nell’enigmatica smorfia di lei, simile a quello di un’arcaica maschera, annulla ogni possibilità di razionalizzazione, mentre ci propone antichissime suggestioni antropologiche.

Non vorrei dire, poi, dello specialissimo marxismo che, in realtà, tradusse in termini ideologici il suo straordinario istinto balzacchiano di narratore sociale, d’una società che è quella del danaro e del feticismo delle merci. Un marxismo che seppe convertire anche, romanzo dopo romanzo, in una gobettiana autobiografia della nazione. C’è un narratore italiano che, meglio di Moravia, abbia saputo rappresentare riti e miti, verità e menzogne, d’una borghesia come zona grigia su cui è prosperato l’eterno fascismo italiano? C’è però un aspetto - il più trascurato dalla critica proprio perché il meno appariscente - che fa di Moravia uno scrittore davvero fondamentale. Narratore di minimi atletismi espressivi, se non nulli, Moravia è stato uno dei pochissimi prosatori italiani che non ha mai avuto un problema della lingua: che, si potrebbe dire, è nato senza questo problema. Un miracolo: se l’Italia, appunto, nel bene e nel male, resta, costitutivamente, il Paese dei Gadda e degli Arbasino. Un miracolo durato sino alla fine: per una prosa sempre all’altezza dei tempi.


spettacoli acrobazia marocchina è una tradizione unica al mondo; eppure, in Marocco, l’arte circense non esiste più. Considerati quasi alla stregua dei mendicanti, oggi, gli acrobati marocchini si esibiscono prevalentemente in strada o, nel migliore dei casi, nei villaggi turistici, proponendo e riproponendo un repertorio “d’effetto” che raramente brilla di originalità. Nonostante ciò, Il GAT, Gruppo Acrobatico di Tangeri, sette anni fa è riuscito ad emergere da questa realtà poco edificante e, dopo aver raggiunto un clamoroso successo con il loro primo spettacolo, Taoub, in tournée per sei anni consecutivi, è tornato con una nuova proposta: Chouf Ouchouf.

L’

Presentato in anteprima a Tangeri e a Rabat, lo spettacolo ha inaugurato la sua prima tournée europea con cinque date al Festival d’Avignone, i primi di luglio; dopo il prestigioso palco del Palais des Papes, quest’estate Chouf Ouchouf ha viaggiato a lungo per la Francia e la Svizzera e martedì, finalmente, è giunto anche nel nostro Paese, al Teatro Eliseo di Roma. Continuatori e innovatori di un’antichissima tradizione, il gruppo di Tangeri è composto da dieci uomini e due donne; il nucleo principale del GAT è formato da Younes Hammich, sua sorella Amal, suo fratello Mohamed e sua moglie Jamila, membri di una della più famose famiglie di artisti dell’arte circense marocchina. E se la famiglia Hammich può vantare sette generazioni di acrobati, tutti i membri del Gruppo Acrobatico di Tangeri, hanno sulle spalle una lunga storia come artisti di strada; una gavetta che gli ha lasciato quell’abilità tipica dell’animazione di sedurre e catturare immediatamente l’attenzione dello spettatore e di trattenerla dall’inizio dello spettacolo fino all’ultima scena. Con la precisa volontà di rimettere in gioco il giovane gruppo di acrobati dopo l’esaltante, ma pericoloso, successo di Taoub, Sanae El Kamouni, fondatrice e direttrice della compagnia, ha affidato la messa in scena di questa seconda produzione agli svizzeri Martin Zimmermann e Dimitri de Perrot. La ricerca del duo Zimmerman & de Perrot, ormai quasi un brand dello spettacolo dal vivo, si è concentrata da subito sulla possibilità di dare una nuova dimensione all’acrobazia tradizionale marocchina: «All’inizio, era un lavoro di guerra. Nel sud, gli acrobati erano degli rma, dei combattenti, che ave-

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In questa pagina, alcune immagini dello spettacolo “Chouf Ouchouf”, il nuovo lavoro del Gruppo Acrobatico di Tangeri portato in scena al teatro Eliseo di Roma

Teatro. A Roma, lo spettacolo del Gruppo Acrobatico di Tangeri “Chouf Ouchouf”

Quattro salti nella tradizione di Diana Del Monte vano sviluppato la tecnica della piramide umana per spiare i propri nemici. In seguito, i commercianti si affidarono alle loro abilità per cercare di avvistare, nel deserto, sia le

bati, infatti, facevano parte della confraternita Sidi Ahmed Ou Moussa (un santo della regione del Tazeroualt, ndr)». L’esperimento sembra riuscito, all’innegabile abilità

Un muro che si trasforma in un labirinto e che, improvvisamente, si apre per diventare il coloratissimo e chiassoso mercato di Tangeri sostiene il lavoro di questi dodici giovani

Durante tutta l’esibizione, i dodici atleti costruiscono abilmente una serie di piramidi umane, figura emblematica della cultura circense marocchina, dai risvolti simbolici. Un lavoro generoso e sempre animato da gioia ed energia carovane in arrivo che i possibili pericoli. Questa tradizione familiare, trasmessa da padre in figlio, assunse anche una dimensione spirituale: gli acro-

degli artisti di Tangeri, infatti, si accompagna una presa di distanza dal lavoro precedente, sancita dalla scenografia minimalista del duo svizzero.

artisti impegnati a far rivivere, sul palco, la città natale. La disciplina acrobatica, infatti, per Chouf Ouchouf è solamente un mezzo per mettere in scena

una serie di “tableaux vivants” dal sapore dolce e amaro che trascinano lo spettatore nella Tangeri contemporanea; una rappresentazione della città marocchina che non riesce e non può evitare alcuni clichés, come donne velate, ragazze urlanti, funzionari che soppesano il loro potere, ecc. Eppure, la scena non manca di un certo colore e umorismo che permette alla ricerca del simbolismo di non sfociare in una sgradevole ovvietà. Durante tutto lo spettacolo, dunque, i dodici acrobati costruiscono una serie di piramidi umane, figura emblematica della tradizione circense marocchina, dai risvolti simbolici: a volte con un esasperato sorriso di circostanza, come le figure eseguite nei Grand Hotels e nei villaggi turistici; a volte come simbolo del legame familiare che, tradizionalmente, lega i membri delle formazioni di acrobati marocchini; a volte, infine, si tratta di una piramide sostenuta solo dalle donne, per ricordare l’importanza del ruolo femminile nella storia della società marocchina. Per denunciare un’amministrazione inefficace, ma potente, infine, il gruppo di Tangeri porta sul palco l’efficace sequenza di un funzionario intento a tormentare una bottiglia di plastica, al suo fianco un acrobat si contorce sempre di più, entrando in sintonia con l’oggetto stretto nelle maglie della burocrazia marocchina.

È importante sottolineare, però, che la volontà del gruppo di andare oltre la semplice acrobazia non vuole affatto togliere allo spettacolo la leggerezza e la piacevolezza del nouveau cirque. Posto a metà strada tra la danza, il teatro, il mimo e il circo, Chouf Ouchouf, che in arabo significa “guarda e guarda ancora”, infatti, è un lavoro semplicemente generoso, animato da quella gioia profonda che sembra risiedere in ogni suo interprete. Dopo il successo del fastoso Taoub, d’Aurélien Bory, il nuovo spettacolo del Gruppo Acrobatico di Tangeri, messo in scena da Zimmermann & de Perrot, dunque, celebra l’incontro tra la tradizione acrobatica marocchina ed il teatro fisico contemporaneo. In tournée europea fino a maggio 2011, il GRA ha lasciato l’Italia per raggiungere la prossima tappa, la Svizzera.


o p i n i o n ic o m m e n t il e t t e r ep r o t e s t eg i u d i z ip r o p o s t es u g g e r i m e n t ib l o g L’IMMAGINE

La legge Levi deve proteggere la cultura e difendere i soggetti deboli La “legge Levi” attualmente in discussione al Senato, dopo una prima approvazione nel luglio scorso alla Camera, non ha a cuore né l’interesse del libro e della cultura, né quello dei librai o degli editori, ma esclusivamente quello dei grandi gruppi editoriali e di alcune catene librarie (che appartengono agli stessi gruppi), che vogliono proteggersi dalla grande distribuzione. Questa legge libera, in effetti, il prezzo del libro, svendendo il libro stesso come un prodotto d’occasione, e impedendo a editori e librai indipendenti di creare e alimentare un clima di cultura e bibliodiversità. Chiediamo che la legge sul prezzo guardi alle leggi europee e, come dovrebbe fare ogni legge, protegga la cultura e difenda i soggetti più deboli. Da numerosi dibattiti e convegni fra editori e librai indipendenti, siamo arrivati per parte nostra a una linea di compromesso: possiamo accettare uno sconto che vada dal preferibile 5 per cento all’appena accettabile 15 per cento, purché le promozioni siano limitate come per ogni altro prodotto a due mesi l’anno. Questa è la condizione perché il libro resti al centro della nostra cultura.

I mulini a vento

LA MOSCA NEL PIATTO Lo scontro tra Futuro e Libertà e il governo non credo faccia bene al Paese, perché sono entrambi figli di una stessa lupa, che nel solco della costruzione di una politica nuova e moderna per il Paese, si sono azzannati. Senza distinguere su chi sia Romolo e chi Remo, resta il fatto che non credo che la Lega sia la causa di ciò, e resto sconcertato: mi sembra come se un cuoco avesse preparato una succulenta pietanza e, al momento di assaggiarla e proporla, ci ha trovato una mosca nel piatto.

Bruno Russo

MAGGIORI AUTONOMIE FINANZIARIE ALLE REGIONI PER I TRASPORTI PUBBLICI I rappresentanti dei pendolari dei comitati regionali hanno valutato la difficile situazione che si prefigura sui trasporti pubblici di tutti i tipi (ferroviario, autobus, tranviario e metropolitana), a seguito del-

la manovra economica, che ha predisposto dei tagli considerevoli ai finanziamenti regionali, che incidono anche sul trasporto pubblico. Si è deciso di fare la stipula di un patto nazionale tra i pendolari italiani per contrastare le sgradevoli soluzioni gravanti su utenti e abbonati, alla luce delle previsioni fatte da alcune regioni che consistono in tagli fino al 30% delle corse e aumenti tariffari oltre il 50%. Abbiamo quindi deciso di proporre che: 1) venga data alle Regioni maggiore autonomia finanziaria, come ad esempio la revisione del sistema di ridistribuzione delle accise presenti sui carburanti; 2) si migliori l’efficienza delle aziende di trasporto pubblico mediante chiari principi di trasparenza, responsabilità e concorrenza; 3) si revisionino le normative che regolano il sistema del Trasporto pubblico locale, e la gestione della circolazione ferroviaria e stradale, per alleggerire i costi di gestione;

Guardiane attente La sua missione quotidiana è quella di trasferire aria pulita verso i polmoni. Ecco perché la trachea, una sorta di “tubo” semirigido, lungo circa 12 cm che dividendosi sfocia nei bronchi, è specializzata nella depurazione di ogni nostro respiro, grazie alle sue cellule epiteliali (qui al microscopio)

si disponga una corretta gestione degli investimenti secondo principi di equità e rapidità nel ritorno dei benefici.

Lettera firmata

LE INSIDIE DI INTERNET E LE ILLUSIONI DEGLI ITALIANI C’è un sito Internet che promette una laurea in cinque giorni, dietro versamento anticipato di una certa cifra, così presentandola: «Oggi puoi ottenere senza mai mettere piede in un’aula o fare corsi, ma solo in base al-

L’OCCHIO DEL MONDO - Le opinioni della stampa internazionale a cura di Pierre Chiartano erre rare? No, rarissime. Sono quelle che Pechino sta utilizzando per soffocare una parte dell’economia giapponese. Tanto per capirci, nel motore ibrido della Toyota Prius ci sono circa 16 chili di terre rare, nei motori delle turbine eoliche la quantità si moltiplica di decine di volte. Insomma, senza questi elementi –dai nomi ”alieni”come «scandio e ittrio» – che si ricava dall’estrazione di altri minerali chiamati lantanoidi, una parte consistente della green economy non potrebbe decollare. Le tensioni diplomatiche tra Cina e Giappone stanno dunque subendo un’escalation, dopo l’incidente delle isole Senkaku. Cinque isolotti e tre scogli e soprattutto le acque intorno, erano tornate agli onori della cronaca qualche settimana fa, a causa di un incidente diplomatico tra Pechino e Tokyo. Il capitano di un peschereccio cinese è stato arrestato dalle autorità giapponesi. Avrebbe opposto resistenza all’intervento di due motovedette della guardia costiera nipponica tentando anche di speronarne una. Le isole Senkaku si trovano a nord est di Taiwan e da lungo tempo sono un territorio conteso. Se ne parla in termini controversi dal 1879. Sono disabitate e dal 1972 controllate dal Giappone che le considera parte della prefettura di Okinawa. Anche Pechino avanza delle pretese su quelle isole del Mar cinese e Taipei non è da meno. Alcuni osservatori pensano che il blocco delle esportazioni del prezioso materiale sia una sorta di ritorsione per l’incidente di pesca. Ma il ministro del Commercio cinese ha negato che la vicenda sia legata al caso Senkaku, anzi ha negato che esista un problema. In verità sono anni che Pechino tende a esportare sempre meno terre rare. Cercando trasformare la produzione del 90 per cento di questo elemento utilizzato in diverse tecnologie, come cellulari e videogiochi, in uno strumento di potere economico e politico. E infatti si è scatenata la corsa allo sfruttamento di nuo-

T

Mari e terre rare, ecco lo scontro tra Cina e Giappone

la tua esperienza una laurea. Nessun bisogno di tenere esami di ammissione, nessun bisogno di studiare. Ricevi una laurea per quello che già sai! Conseguire una laurea o anche un dottorato di ricerca senza aprire un solo libro. Laurea in 5 giorni. Scopri come si può conseguire una laurea senza dover passare per un processo di ammissione, di studio e di esami! Domanda. Il problema sono queste fantasiose promesse, o l’istinto italico sempre alla ricerca di scorciatoie?

Antonia Coppola

dal ”New York Times” del 29/09/10

ve miniere in Vietnam e nelle isole Spitsbergen. Ma ci vorranno anni prima che la produzione delle nuove miniere dia risultati tangibili. E Intanto Pechino gioca le proprie carte. «Il bando all’esportazione di terre rare imposto da Pechino pone dei seri problemi per tutta l’economia giapponese» aveva dichiarato, martedì, il ministro dell’Economia, Banri Kaieda. «Abbiamo bisogno che le relazioni tra Tokyo e Pechino vengano ripristinate, il prima possibile, soprattutto quelle economiche» ha poi aggiunto il ministro. E che la Cina da qualche hanno sia diventata “aggressiva” in campo economico non è una novità e ne sa qualcosa anche il governo australiano, coinvolto in una lunga querelle sull’alluminio. Mentre negli Usa monta la protesta sindacale nel settore acciaifero. Gli steeler vorrebbero vedere Washington muoversi in seno al Wto per imporre sanzioni alla Cina che ha messo in difficoltà uno dei capisaldi dell’industria tradizionale americana. E una risposta dovrebbe arrivare dalle autorità americane entro il prossimo 24 ottobre.

Le terre rare servono anche per produrre le lampadine a fluorescenza a basso consumo energetico e per tutto ciò che riguarda la produzione di energia pulita. Sono dunque un punto chiave per la nuova economia. È un elemento fondamentale per le batterie elettriche specie quelle usate dalla Nissan per produrre auto totalmente elettriche. Anche il ministro delle Finanzee di Tokyo,Yoshihiko Noda, rispondendo alle preoccupazione che montano dal mondo degli affari si sta muovendo. Non è ancora chiaro se la decisione di interrompere l’esportazione sia su base temporanea oppure sia una scelta che possa durare nel tempo. Ma pochi giorni fa il ministro del Commercio cinese, Chen Deming, aveva risposto al Wto affermando di non aver ordinato alcun bando alle esportazioni di terre rare verso il Giappone.


opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog LE VERITÀ NASCOSTE

...E il vincitore del Guinness dei primati è... la birra! NEW CUMBERLAND. Potevate mai immaginare che esistono molti record sulla birra? Eccone alcuni. Il bevitore più veloce è un certo Steven Petrosino, che ha bevuto 1 litro di birra in 1,3 secondi. Il record rimane imbattuto da diversi anni (è del 22 giugno 1997, per la cronaca, registrato al Gingerbreadman Pub di New Cumberland, Pennsylvania). Per raggiungere il record, Petrosino ha usato dei bicchieri studiati su misura. La birra più alcolica del mondo, invece, è la “The End of History”, prodotta dalla Brewdog, che ha un tasso alcolico del 55%. La birra batte un record precedentemente detenuto da un’altra birra prodotta sempre dalla Brewdog, la “Sink the Bi-

smark”, e si è guadagnata notorietà internazionale (e polemiche) perché la birra, prodotta in serie limitata, è venduta in bottiglie inserite dentro (veri) animali impagliati. Il costo non è esattamente minimo: oltre 700 euro a bottiglia. La birra più costosa del mondo è in ogni caso una bottiglia di Lowerbrau, quotata attorno ai 16.000 dollari. La particolarità è che questa bottiglia si è salvata dal famoso incidente del dirigibile Hindenburg, avvenuto nel 1937 a New York, e recuperata da un pompiere intervenuto sul luogo dell’incidente. In ogni caso, la birra non dovrebbe essere più bevibile, rovinata dagli sbalzi termici durante l’incendio. La birra (ancora bevibile) più antica è,

ACCADDE OGGI

NASCE “FATTORE FAMIGLIA” PER RENDERE IL FISCO PIÙ GIUSTO Tutti riconoscono che l’attuale sistema fiscale è iniquo verso le famiglie con figli, che occorrono interventi di sostegno alla natalità e alla responsabilità familiare, che la famiglia è una risorsa insostituibile di coesione sociale, fiducia e sviluppo economico. Lanciamo quindi una nuova proposta di riforma del sistema fiscale, il “Fattorefamiglia”, capace di costruire un sistema finalmente equo per le famiglie con carichi familiari, e capace di valorizzare il grande dibattito sul quoziente familiare in corso, superandone i limiti. Il “Fattorefamiglia” modifica l’attuale sistema facendo sì che, a parità di reddito, una famiglia con tre figli paghi meno tasse rispetto ad una famiglia che non ha figli; esso può inoltre riconoscere altri fattori di difficoltà familiare (quale, ad esempio, presenza di disabili), sostenendo così la famiglia nei suoi compiti di cura. Il “Fattorefamiglia”: introduce una ”no tax area familiare” determinata dai costi di mantenimento e accrescimento dei singoli componenti del nucleo familiare; la No tax area si calcola moltiplicando il costo di mantenimento del dichiarante per un coefficiente (il “Fattorefamiglia”, appunto) dedotto da una scala di equivalenza definita dal numero dei componenti e dalle problematiche del nucleo; adotta il criterio della quota fissa: la quota di reddito sarà esente dalla tassazione dell’aliquota più bassa (oggi il 23%); adotta criteri oggettivi e aggiornabili anno per anno per misurare la no tax area: in particolare adotta la soglia di povertà misu-

e di cronach di Ferdinando Adornato

Direttore Editoriale Ferdinando Adornato

30 settembre 1990 Inaugurazione Salerno Irno 1991 Kin Endate, astronomo giapponese scopre l’asteroide 6020 Miyamoto 1993 Il Parlamento italiano autorizza la ratifica degli Accordi di Schenghen 1994 Omicidio di Nicholas Green 1996 Disattivato il satellite International ultraviolet explorer, lanciato il 26 gennaio 1978, dopo aver osservato 80.000 spettri nella regione ultravioletta 1998 Chiude Expo ’98, Esposizione internazionale di Lisbona aperta il 22 maggio conclusa il 30 settembre, dal tema: Oceani: un’eredità per il futuro 1999 Incidente nucleare in Giappone, nel centro di ricondizionamento dell’Uranio di Tokaimura, a nordest di Tokyo 2002 Primo trapianto di fegato in Italia su paziente di 49 anni sieropositivo 2003 Viene siglato l’accordo per l’acquisto da parte di Air France di Klm 2004 Vladimir Putin dà il via libera all’accettazione del Protocollo di Kyoto

Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Giancristiano Desiderio, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria)

infine, una serie di bottiglie recuperate da un naufragio al largo delle isole Aland, in Finlandia, che avrebbero circa 200 anni, essendo il naufragio avvenuto tra il 1800 e il 1830. Le condizioni di temperatura e protezione dalla luce del fondo del mare, a 50 metri di profondità, hanno creato un ambiente ideale per la conservazione della birra.

rata dall’Istat annualmente (circa 7.000 euro per persona sola, oggi); usa un “coefficiente familiare” progressivo rispetto al numero di figli: in altre parole il peso dei figli viene adeguatamente riconosciuto. Fissa il reddito familiare a livello nazionale, in modo universalistico, e offre al federalismo fiscale una misura della ricchezza familiare che assicura parità di trattamento a livello nazionale.

Daniele Nardi

PROFUMO PRIMO BANCHIERE A TENERE CONTO DELLE ESIGENZE DEI CITTADINI Ad Alessandro Profumo va dato atto di essere stato uno dei primi, se non il primo banchiere italiano ed europeo a tenere conto delle esigenze dei cittadini clienti, a guardare non solo dentro casa sua ma alla società nel suo complesso. Non sempre con successo, perché il sistema bancario resta ancora lontano dall’essere incentrato sui bisogni dei consumatori, ma comunque ci ha provato, attraverso scelte di mercato finalizzate a ridurre il peso dei servizi sui cittadini, mediante un dialogo con le associazioni dei consumatori e decisioni non comode come l’introduzione della conciliazione per andare incontro alle vittime di crack finanziari. Non entriamo nel merito delle considerazioni che hanno portato all’esclusione dell’amministratore delegato, ci auguriamo solo che i nuovi vertici non decidano per un cambiamento di rotta nella considerazione da riservare ai consumatori, e che la banca non si limiti a rispondere solo agli interessi degli azionisti.

Teresa Petrangolini

Anselma Dell’Olio, Alex Di Gregorio Gianfranco De Turris, Rossella Fabiani, Pier Mario Fasanotti, Marco Ferrari, Aldo Forbice, Antonio Funiciello, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Roberto Genovesi, Aldo G. Ricci, Robert Kagan, Filippo La Porta,

Direttore da Washington Michael Novak

Inserto MOBYDICK (Gloria Piccioni)

Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Andrea Margelletti, Adriano Mazzoletti, Gabriella Mecucci,

Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Francesco D’Onofrio, Gennaro Malgieri Ufficio centrale Gloria Piccioni (direttore responsabile) Nicola Fano, Andrea Mancia, Errico Novi (vicedirettori) Antonella Giuli (vicecaporedattore) Franco Insardà, Luisa Arezzo Stefano Zaccagnini (grafica)

Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Collaboratori

Ernst Nolte, Emanuele Ottolenghi,

Maria Pia Ammirati, Mario Arpino,

Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci,

Bruno Babando, Giuseppe Baiocchi,

Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi,

Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi,

Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini,

UN PATTO TRA GENERAZIONI PER UNA NUOVA ITALIA (II PARTE) «La stagione dei diritti sarà effimera se non nascerà una nuova stagione dei doveri. Questo Paese non si salverà, la stagione dei diritti e delle libertà si rivelerà effimera se in Italia non nascerà un nuovo senso del dovere» è una delle frasi celebri di Moro ricordata nell’incontro a Leuca, e anche «Non chiedetevi cosa può fare il vostro paese per voi. Chiedetevi che cosa potete fare voi per il vostro paese» del presidente Kennedy. «Non può esistere un piano di sviluppo se in partenza non c’è un’idea di progresso che porta le istituzioni e gli enti a pianificare in modo concertato il territorio e la società»: da queste parole possiamo capire quanto profondamente i giovani sentono le problematiche che attanagliano il Mezzogiorno d’Italia, che purtroppo oggi è costretto a vivere una situazione di stallo, caratterizzata dalla disoccupazione e dalla disperazione, non essendoci un piano di sviluppo economico. I latini dicevano che nella botte piccola, c’è il vino buono; sicuramente se oggi avessero conosciuto la “piccola botte” di Arcore si sarebbero ricreduti, visto che, secondo lui e la sua équipe, gli unici rimedi ai disagi che sta vivendo il nostro Paese sono quelli di coltivare le amicizie con la Libia e con la Russia e di assecondare i capricci del Senatur. Riscoprire la formazione politica per i giovani è un obiettivo, che tutti i partiti politici, degni della lettera maiuscola, dovrebbero prefissarsi, per far sì che ci sia un ricambio generazionale della classe dirigente. In altre parole, bisognerebbe conservare il passato per non pregiudicare lo sviluppo delle generazioni future. Francesco Dimaggio C I R C O L I LI B E R A L GR A V I N A I N PU G L I A ( BA )

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ULTIMAPAGINA Vite straordinarie. Vive a Kathmandu ma non ha mai scalato nulla. Chi è e cosa fa la regina delle vette

Ha 83 anni l’unico arbitro di Osvaldo Baldacci ive ad alta quota. E la sua testa è fissa sugli ottomila metri. Ma i suoi piedi no, quelli fin lassù in cima non ci sono mai arrivati. Eppure è solo lei, Elisabeth Hawley, l’unica autorità in grado di certificare la conquista delle vette più ambite. Lo sa bene la coreana Oh-Eun-Sun, che ne ha fatto le spese in prima persona. La coreana per un breve periodo è stata considerata la prima donna ad aver scalato tutte e 14 le vette mondiali che superano gli ottomila metri di altezza. La sua impresa si sarebbe compiuta il 27 aprile con la conquista del Kangchenjunga, riuscendoad anticipare di pochi giorni un’altra aspirante al titolo, la basca Edurne Pasaban, che ha completato il pacchetto a maggio. A seguito di una relazione della Federazione alpinistica coreana, avallata appunto dall’unica persona accreditata a confermare le cime in Himalaya, l’86enne Elisabeth Hawley, la scalata alla cima del Kangchenjunga non è stata riconosciuta a in base alle prove addotte. Sette alpinisti veterani coreani - di cui sei hanno scalato il Kangchenjunga - hanno esaminato le immagini di Miss Oh e hanno concluso sostenendo che la relazione sull’ascensione dell’alpinista coreana sia “poco credibile”. A quel punto Elizabeth Hawley, di fatto il giudice ultimo, ha quindi modificato il suo verdetto su quella scalata, passando da “contestata”a “non riconosciuta”. E il “titolo” è stato revocato. Ma chi è questa suprema autorità delle alte vette? Nata a Chicago nel 1923, la Hawley ha dedicato la sua intera vita all’Himalaya. Giornalista della Reuters, ha trascorso gli ultimi 50 anni a raccogliere prove e informazioni sulle ascensioni nelle montagne più alte del mondo, trasferendosi in Nepal, a Kathmandu.Vi era giunta per seguire politica e società del piccolo Nepal. Nel 1963 viene mandata a seguire la spedizione Usa sull’Everest. Fu l’incontro della sua vita: «Prima di montagna non sapevo nulla - spiega in una recente intervista - preferivo il mare e la spiaggia. Ho dovuto imparare tutto ed ho avuto un maestro d’eccezione, Jimmy Roberts, fondatore della prima agenzia di trekking in Nepal». Il paradosso è che non ha mai fatto una scalata: «Preferisco la comodità della mia poltrona e della mia scrivania, anche se le montagne sono diventate la mia vita». Ciononostante è diventata il punto di riferimento indiscusso della comunità alpinistica internazionale, che le riconosce lo status di arbitro. Da quando ha cominciato, è diven-

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dei MONTI poi alla fine non sono tutti così onesti. «Il mio lavoro aggiunge - è come quello di un detective, non credo mai a ciò che mi dicono, voglio le prove. Per esempio sul Cho Oyu ci sono tante cime, molti dicono di essere saliti su quella più alta ma non portano mai prove. Lo stesso avviene sul Broad Peak e sullo Shisha Pangma». Però anche tra gli alpinisti ha le sue preferenze, addirittura italiane. Il più grande alpinista di tutti i tempi?

Nata a Chicago nel 1923, Elizabeth Hawley ha dedicato la sua intera vita all’Himalaya. Giornalista della Reuters, ha trascorso gli ultimi 50 anni a raccogliere prove e informazioni sulle ascensioni nelle montagne più alte del mondo tata l’archivio vivente di tutto ciò che accade sopra quota 8.000 metri. È lei la prima a sapere se una spedizione ha raggiunto la cima oppure no, se c’è stato un incidente o una rinuncia, grazie alla rete di informatori di cui fanno parte alpinisti, sherpa e portatori. Alla fine è solo miss Hawley a certificare la conquista di una vetta. Un ruolo che le è stato unanimemente attribuito in modo non ufficiale dalla comunità alpinistica internazionale e che la rende uno dei personaggi più rispettati del mondo dell’alta quota: «Faccio il meglio che posso - spiega - raccogliendo il maggior numero di dati di ogni genere, dalle testimonianze alle foto. Confrontando tutto con quanto ho in archivio, riesco a capire se è stata raggiunta la cima». Il fatto è che al sua lunga esperienza in poltrona le ha anche fatto scoprire che anche gli alpinisti, pur abituati a confrontarsi con la fatica fisica, i disagi, le intemperie, l’aria rarefatta, il gelo e le rocce, in una parola la natura, In alto una foto satellitare che mostra la cantena montuosa dell’Himalaya, la più alta del mondo. A sinistra Elizabeth Hawley, 83 anni: nata a Chicago, ora vive e lavora a Kathmandu

«Reinhold Messner. Ha aperto nuove vie, non ha mai avuto fretta di scalare, si godeva l’ambiente e la gente che incontrava. Ed è stato molto fortunato». Le ha viste tutte questa signora 87enne? Non c’è più nulla da scalare, ora che è riuscita anche a certificare la prima donna che ha chiuso la collezione dei 14 ottomila? No, lei ha ancora degli obiettivi: «Senza dubbio l’impresa che resta ancora in attesa di essere compiuta è la traversata Nuptse, Lhotse, Everest. Una grande cavalcata a quote elevatissime, con grandi difficoltà tecniche e grande dispendio fisico. Questo è il futuro». E la saggezza le permette anche di regalare un bilancio sulle tragedie di montagna, che può diventare un consiglio da estendere dalle scalate estreme a quelle nostrane, e forse anche metaforicamente alle vicende della vita: «Le tragedie? Troppi alpinisti spendono tutte le energie nella salita e poi non ne hanno più per scendere: così nascono gli incidenti. Sono quasi sempre errori umani».


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