di e h c a n cro
01006
Non vi sono figli illegittimi, ma solo genitori illegittimi Anthony Burgess
9 771827 881004
di Ferdinando Adornato
QUOTIDIANO • MERCOLEDÌ 6 OTTOBRE 2010
DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK
«Non ripeterò gli errori del passato» dice l’ex cofondatore. E il Cavaliere: «Non possiamo farci trovare impreparati al voto»
Il Pdl del Nord contro la Lega Si apre un nuovo fronte di scontro nella maggioranza. Gli eletti di Berlusconi dicono no alle elezioni per non farsi “rubare”un terzo dei seggi. Fini lancia il partito: «Pronti alle urne» UN MODELLO IN CRISI
di Riccardo Paradisi
Ma restano tutti sordi al malessere delle aziende
rima il ministro Roberto Maroni – meglio le elezioni che il logorìo – poi il governatore del Veneto Luca Zaia: meglio le elezioni anticipate che un’estenuante agonia o del ribaltone che stanno preparando quelli di Futuro e libertà; quindi il vertice di maggioranza chiesto e ottenuto per oggi da Umberto Bossi per tradurre il voto di fiducia in sostegno ai provvedimenti di governo e verificare la lealtà degli alleati. a pagina 2
P
di Carlo Lottieri ono ormai vent’anni che si parla e scrive di “questione settentrionale”, ma nonostante le molte parole sprecate, la situazione resta sostanzialmente immutata. Esattamente come quando Umberto Bossi iniziava ad affiggere i suoi manifesti tra Varese e Como, quella del Nord è un’economia dotata di un grande potenziale, ma compressa da una serie di handicap che ne impediscono lo sviluppo e ne mettono a rischio il futuro. Innanzitutto, la pressione fiscale non è affatto diminuita e anzi è andata aumentando sempre di più. Per quanto rozza potesse apparire, la propaganda leghista che esibiva la gallina del Nord che scodellava l’uovo per le regioni meridionali richiamava l’attenzione su un dato cruciale: la redistribuzione territoriale. segue a pagina 2
S
Appello al premier e al Vaticano
I figli di Sakineh all’Italia e al Papa: dateci un rifugio»
Il Cavaliere alla Festa di Milano
Parlano Ostellino e Sabbatucci
Due consigli a Fli «Un seggio solo a giovani e donne» per inventare la nuova destra Tremano i peones «Faremo un movimento agile ma sarà un Pdl in grande» ha detto il leader presentando Futuro e Libertà: «L’importante è che non rinneghi né stravolga le sue vere radici», gli rispondono i due commentatori
Uno spettro si aggira per il Parlamento, quella della mancata rielezione in caso di voto anticipato. Un incubo che è diventato realtà dopo che il premier ha lanciato «le ragazze e chi ha meno di 30 anni»
Errico Novi • pagina 4
Marco Palombi • pagina 3
Ma il ministro rassicura: «Nessuna manovra bis»
Continua la battaglia con gli Stati Uniti
L’Fmi avvisa Tremonti: «Il debito frena la ripresa»
Cina, anche la moneta è contro la libertà
di Franceasco Pacifico
di Wei Jingsheng
el giorno in cui il ministro Tremonti annuncia festante che non c’è bisogmo di alcuna manovra correttiva perché i conti italiani sono a posto, il Fondo monetario internazionale avvisa Italia e Francia: «La ripresa europea è a rischio anche a causa dell’enormità del debito pubblico dei due paesi». L’Fmi, insomma, prende le difese della Germania che ha chiesto maggior rigore sul debito Ue.
a qualche tempo, in Asia orientale l’attenzione si è spostata sulle dispute territoriali che riguardano le isole Senkaku, conosciute dai cinesi come isole Diaoyu e dagli inglesi come Pinnacle. Nello sforzo di mantenere il proprio regime dittatoriale a partito unico, il Partito comunista cinese ha svenduto alle forze internazionali cose molto più grandi, tradendo territori e interessi molto più vasti di quelle isole.
a pagina 6
a pagina 18
N
EURO 1,00 (10,00
CON I QUADERNI)
D
• ANNO XV •
NUMERO
194 •
WWW.LIBERAL.IT
• CHIUSO
«Abbiamo il timore di essere arrestati presto: siamo in pericolo. Non lasciateci soli!». I due giovani iraniani chiedono asilo politico Laura Giannone • pagina 8
La sottosegretaria Stefania Craxi
Perché Teheran dovrebbe arrestarli? di Luisa Arezzo
ROMA. Stefania Craxi, sottosegretaria agli Esteri, non ha dubbi: in queste condizioni non possiamo fare altro che assicurare aiuto a questi due ragazzi. «Ma poiché non c’è una richiesta formale di asilo politico, non possiamo dare una risposta formale». Insomma, il governo italiano si mostra disponibile al grido d’allarme che arriva dall’Iran ma per il momento non ha strumenti per trovare una soluzione.
IN REDAZIONE ALLE ORE
a pagina 9
19.30
prima pagina
pagina 2 • 6 ottobre 2010
il fatto Il Cavaliere convoca il «Team della libertà», i responsabili organizzativi: «Non possiamo farci trovare impreparati»
Questione settentrionale Anche se il premier continua a parlare di voto anticipato, mezzo Pdl teme le urne: «Perdiamo decine di deputati a favore della Lega» la polemica di Riccardo Paradisi
rima il ministro Roberto Maroni – meglio le elezioni che il logorìo – poi il governatore del Veneto Luca Zaia: meglio le elezioni anticipate che un’estenuante agonia o del ribaltone che stanno preparando quelli di Futuro e libertà; quindi il vertice di maggioranza chiesto e ottenuto per oggi da Umberto Bossi per tradurre il voto di fiducia in sostegno ai provvedimenti di governo e verificare la lealtà degli alleati.
P
La pressione della Lega sulla maggioranza per lanciare la macchina politica verso il voto si fa ogni giorno più acuta. E trova nel presidente del Consiglio un’interlocutore non solo sensibile ma ormai convinto che le elezioni anticipate siano la soluzione alla paralisi in cui Berlusconi sente d’essere costretto. Il discorso di Milano del Cavaliere alla festa del Pdl e la proposta di una commissione d’inchiesta parlamentare sulla magistratura lasciano intendere che Berlusconi ha già acceso i motori della campagna elettorale e ha fretta di portare il Paese al voto spaventato dalle prospettive di logoramento e di ribaltoni. Senonché, stavolta, sembra essere il corpo del partito a non rispondere alla volontà del leader. Soprattutto al nord, là dove Berlusconi ha il suo reale baricentro politico e dove la prospettiva del voto è vista come un rischio fatale, un’avventura da scongiurare. Motivo? Semplice: dai conti e dalle proiezioni che risultano agli esponenti settentrionali del Pdl sul risultato di eventuali elezioni la Lega dovrebbe mandare alla camera 35-40 deputati in più rispetto ai 100 eletti in questa legislatura. 40 seggi tolti soprattutto al Pdl che alla Camera ha mandato 276 deputati. Insomma un’autentica emorragia che il Pdl vorrebbe risparmiarsi o procrastinare il più tardi possibile. Un timore che, seppure ancora discretamente, sta alimentando il contingente di senatori e deputati del Popolo della libertà potenzialmente disponibili a un governo di transizione che possa far proseguire la legislatura dando così una chance di sopravvivenza politica a molti parlamentari che rischiano di non superare la metà del mandato. Ma non è solo un problema del Pdl del nord. Anche nel centro e nel sud della penisola i berlusconiani
Fra tasse e burocrazia, nelle piccole imprese cresce la disillusione
Ormai il Nord in difficoltà non si fida più di loro di Carlo Lottieri segue dalla prima Quello che vent’anni fa i leghisti dicevano è che tra Milano e Treviso si lavora per tenere in piedi uno Stato sciupone e per alimentare un assistenzialismo meridionale che non produce sviluppo per il Sud. Il fatto che lo scorso anno il sociologo Luca Ricolfi abbia potuto scrivere un bel libro intitolato Il sacco del Nord è la prova che nulla è cambiato e che, semmai, le cose sono andate di male in peggio.
Oltre al prelievo fiscale,
pesante che in passato e da un fisco sempre più esoso e occhiuto, al Nord molti stanno anche iniziano a comprendere che la situazione è divenuta tragica. Dopo il collasso della Grecia e gli scricchiolii dell’Irlanda, nel mondo delle imprese è sempre più viva la preoccupazione che l’intero Paese stia rischiando grosso. Sotto vari punti di vista, le stesse recenti esternazioni “politiche” – assai innovative nella forma come nella sostanza – di un manager fino a ieri interamente concentrato sulla propria azienda e sulle proprie grane quale è Sergio Marchionne sono parecchio indicative.
L’obiettivo della rabbia maggiore è Tremonti che ha tenuto sui conti ma ora non apre la borsa per gli investimenti
l’economia settentrionale patisce un sistema normativo a dir poco “barocco”, che anche soltanto per poter avviare un’azienda di noleggio auto con conducente obbliga a un percorso a ostacoli tra norme e autorizzazioni nazionali, regionali, comunali ecc. Le promesse semplificazioni non sono arrivate e anche la speranza che il federalismo possa aiutare sta progressivamente svanendo, dato che si è lontani dal dirigersi verso un modello “competitivo” e responsabilizzante, che dia ad ogni amministrazione locale la facoltà di determinare i propri tributi e gestire liberamente i propri bilanci. Negli scorsi anni che la Lega ha fatto molto per far comprendere a larga parte del Nord l’esigenza di avere istituzioni vicine, sottoposte a competizione, responsabilizzate. E non c’è dubbio che per un certo periodo anche Silvio Berlusconi ha avuto il merito di richiamare l’attenzione sui valori del mercato e della libera imprenditoria. In un caso come nell’altro, però, ai proclami non hanno fatto seguito quelle azioni concrete che pure sarebbero necessarie ad aiutare il reticolato produttivo del Nord, essenzialmente basato su piccole e medie aziende. Delusi da una burocrazia se possibile ancor più
In questo senso, chi ora va perdendo punti è Giulio Tremonti, che pure ha riscosso consenso grazie al fatto di avere sbarrato la strada a ogni progetto “interventista” neokeynesiano e di avere frustrato molte richieste di spesa dei propri colleghi. Il super-ministro dell’Economia è piaciuto quando ha montato una guardia piuttosto severa a difesa dei conti pubblici, ma ora non convince per nulla nel momento in cui sembra voler rinviare nel tempo ogni scelta riformatrice e ogni intervento strutturale sulla spesa pubblica. Nelle scorse settimane in Romania si è deciso un taglio del 25% dei salari dei dipendenti pubblici. Una parte cospicua degli imprenditori del Nord-Est che viaggia si trova ormai a casa propria a Timisoara e a Bucarest, così che conosce bene quella situazione. Sa che prima si interviene con coraggio in questa direzione (bloccando nuove assunzioni, bocciando le grandi opere, resistendo alle pressioni corporative) e meglio è. Al Nord è forte la consapevolezza, insomma, che il disastro è già una realtà da affrontare, e non un rischio da evitare. Purtroppo, la politica latita e si perde nel politichese. Non c’è quindi da stupirsi se lo scontento cresce ogni giorno sempre di più.
hanno motivi per temere del loro futuro politico. Infatti – come spiega a liberal un parlamentare del Pdl – «I big del partito temendo la debacle al nord a vantaggio del Carroccio si faranno candidare nei collegi nel Meridione», un’emigrazione politica che nei ranghi “sudisti”del Pdl viene avvertita come un’invasione. Che le elezioni anticipate creino seri problemi al Pdl lo ammette anche il sottosegretario Guido Corsetto, forzista piemontese della prima ora che pure difende le ragioni del ricorso alle urne. «Tutti noi sentiamo molto forte il peso della Lega e nessuno sottovaluta il rischio di aprire dei flussi di consenso verso Bossi qui al nord. Ma una forza politica deve decidere e agire, mettendo in conto di fare una campagna elettorale se del caso molto dura, spiegando che l’interruzione della legislatura non è stata una nostra scelta ma è colpa del tradimento di alcuni elementi di questa maggioranza dove ormai si nega che esista un accanimento giudiziario nei confronti di Berlusconi».
Ostenta sicurezza anche il vicesindaco di Milano Riccardo de Corato, già esponente di An e del Msi, rimasto fedele a Berlusconi: «Se la prospettiva è davvero quella di fare la fine di Prodi, che ogni volta che un provvedimento andava in aula doveva pregare che il governo tenesse, se la prospettiva è, dunque, il galleggiamento, allora ha ragione senz’altro il ministro dell’Interno Maroni nel dire che è meglio il voto. Anche subito. Qui al nord siamo pronti». E all’obiezione che i dati danno il Pdl in picchiata a vantaggio della Lega De Corato dice che «è inutile che stiamo a snocciolare i dati del 2008 e a fare statistiche o, peggio ancora, i conti della serva. Abbiamo avuto un’importante tornata elettorale un anno fa e i dati di allora ci hanno dato la misura di un Pdl molto forte rispetto alla Lega. Qui, a Milano e in Lombardia, il pericolo che viene prospettato non si pone». Ma non tutti razionalizzano la paura come fa Crosetto, o s’affidano all’ottimismo della volontà come il vicesindaco di Milano. Il senatore Pdl Piergiorgio Massidda per esempio dice apertamente, rompendo il tabù comunicativo dell’unanimismo, che la possibilità di andare al voto anticipato è un’opzione semplicemente sciagurata «E del mio stes-
il retroscena In Transatlantico molti discutono del proprio futuro messo a rischio
«Seggi solo ai giovani» E i peones tremano
Ecco come l’annuncio shock di Berlusconi può aiutare indirettamente la nascita di un governo di transizione di Marco Palombi
ROMA. Non si capisce bene quale malan-
Silvio Berlusconi per la prima volta deve affontare le divisioni interne al suo partito. A destra, Piergiorgio Massidda. Nella pagina a fianco, il superministro dell’economia Giulio Tremonti
so avviso – avverte – sono almeno altri 12 senatori», tra i quali, presumibilmente quelli che il Foglio annovera tra i potenziali transfughi pronti a sostenere un governo tecnico: Amado, Baldini, Izzo, lo stesso Massidda, Sanciu, Caselli, Giovanardi, Saro, Sarro, Lenna, Musso, Carrara, Santini, Pisanu.
«Io parlo per me, uso la mia testa – dice ancora Massidda – E posso dire he non mi sento come Ben Hur di incamminarmi verso il rogo elettorale sciogliendo inni di ringraziamento, sono impegnato, insieme ad altri 12 senatori, a tenere aperto ogni canale di dialogo con Fini e i finiani. Perché è inaccettabile che ogni qualvolta i tessitori sono a un passo dall’accordo (e penso ai senatori Ferruccio Saro e Romano Comincioli, uomini vicinissimi al premier e dunque al di sopra di ogni sospetto) qualcuno taglia la tela oppure butta il tavolo all’aria. Perché?”. Ma il j’accuse di Massidda prosegue: «le scelte compiute sul piano territoriale stanno decimando quel po’ di ceto dirigente messo in piedi in questi anni. La categoria dei servi scioc-
chi e’ la minaccia piu’ pericolosa che incombe oggi sulla testa del premier. Soltanto loro gli possono portare la minaccia piu’ insidiosa’. Per tutti questi motivi all’interno del Pdl, come dicevano sotto garanzia di anonimato alcuni senatori berlusconiani ieri davanti a palazzo Madama, in molti della maggioranza sarebbero pronti a votare la fiducia a un nuovo governo tecnico. Nella prospettiva di modificare una legge elettorale che consegna il destino di deputati e senatori nelle mani di chi ha il potere di nominarli. E dopo l’ultimo annuncio di Berlusconi, di riempire le liste di ragazzi e ragazze, non ci sarebbe più spazio per gran parte dei ranghi della vecchia guardia. E così, in quest’atmosfera sospesa da ultimi giorni di scuola, nei corridoi di Camera e Senato i parlamentari del Pdl, del nord e del sud, temono il peggio, carezzando una speranza. Che sia questa maggioranza a togliere ai ”ribaltonisti”l’argomento della legge elettorale proponendo una riforma propria. Il lodo Quagliariello insomma. Ma insomma, è un’esile speranza. Sembra tempo di svolte.
drino istinto di autodistruzione solleciti recentemente le mosse di Silvio Berlusconi, ma di certo l’uomo non è lucido. Prima la sottovalutazione del peso dei finiani, poi la “pazza estate” dell’espulsione del presidente della Camera, dei fantomatici probiviri e della corsa al voto sempre rinviata, poi la salita al Quirinale annunciata in grande stile ma mai fatta; ora un presente da statista in Parlamento e da agitprop del culto di se stesso in piazza e al telefono. Il fatto è, anche se il Cavaliere lo capisce a giorni alterni, che la sua strada è assai stretta: avendo voluto certificare – con tanto di voto di fiducia – che non ha la maggioranza alla Camera senza Fini, ora può chiudere un accordo vero con Futuro e Libertà o puntare fortissimo sul voto sperando che gli italiani gli consegnino la maggioranza anche in Senato, cosa parecchio difficile per via del sistema dei premi di maggioranza regionali. «Sempre che», dicono a palazzo Grazioli. Sempre che non si incarni il peggior incubo del premier: un governo tecnico che cambi la legge elettorale e lo metta a bollire nel ruolo dell’anziano rancoroso per sei o nove mesi. «Al Senato non esiste maggioranza diversa», spiegano i berluscones. In realtà la cosa non è tanto certa già così, ma il presidente del Consiglio continua a dire e fare ogni cosa in suo potere per peggiorare la situazione.
gno endocrinologo salernitano nato nel ’51, da tre legislature deputato di Forza Italia, ha scandito ai microfoni di Radio Radicale: «Questo Parlamento è pronto a seguire Berlusconi sulla strada delle riforme, non su quella del precipizio». Non fosse chiaro: “Io credo che un governo che nascesse per cambiare la legge elettorale possa trovare i numeri”. Secondo conti non esagerati, sommando vittime della Lega e del repulisti generazionale, a Montecitorio ballano una sessantina di voti oggi berlusconiani e oltre venti in Senato.
Anche nel ridotto alpino repubblicano di palazzo Madama, infatti, la situazione è più fluida di quanto amino pensare i seguaci del premier. Che la fiducia non sia altissima lo possono testimoniare altrettanto bene il trattamento riservato a Beppe Pisanu e le parole affidate ieri all’Ansa da Piergiorgio nientemeno Massidda, che uno dei fondatori di Forza Italia. Il presidente dell’Antimafia è soggetto da qualche tempo ad attacchi di ogni genere – da ultimo sulla sua relazione sulle stragi del 1992-93 – avendo già chiarito al premier che lui e i suoi si batteranno per il prosieguo della legislatura. Di più: il nome di Pisanu è uno dei più ricorrenti (e sensati) tra quelli avanzati per la guida di un eventuale governo d i scopo. L’ex ministro dell’Interno, insomma, è in odore di tradimento della patria di Arcore. Massidda, invece, ex Pri, eletto alle Camere nella circoscrizione Sardegna fin dal 1994, ieri ha messo a verbale il suo sostegno ad un eventuale governo di transizione: «Io parlo per me, uso la mia testa. E posso dire che non mi sento come Ben Hur di incamminarmi verso il rogo elettorale sciogliendo inni di ringraziamento». E con lui, sostiene il nostro, ci sono «almeno altri 12 senatori». E il Cavaliere che fa? «Colleziono una storiella e una donna al giorno», ha chiarito il giorno del suo compleanno.
Piergiorgio Massidda, ex Pri, ha già annunciato la sua intenzione di sostenere un eventuale «esecutivo di scopo» in caso di crisi
Da ultimo è arrivato l’annuncio, domenica alla festa milanese del Pdl, che alle prossime politiche il Popolo delle Libertà attuerà «il più grande ricambio generazionale della storia». Parlando con alcuni giovani davanti a casa sua – e ad una telecamera – qualche giorno fa la metteva giù ancor più dura: «Alle prossime elezioni candidiamo metà donne e metà giovani, di vecchio in questo partito basto io». La cosa ha fatto preoccupare un bel po’ di maturi parlamentari del predellino: ma come? E il nostro carico d’esperienza? Si son chiesti i malcapitati: non bastavano le decine di poltrone da cedere alla Lega (ve ne parliamo qui accanto), adesso ci si mette pure il limite d’età. Roba da ridere, eppure la lista di chi voterebbe un governo tecnico “non con una ma con due mani” (come ama ripetere un deputato attualmente nel Pdl) va allungandosi sempre di più, anche grazie agli astratti furori anagrafici del Capo. Ieri il salernitano Mario Pepe, sangui-
l’approfondimento
pagina 4 • 6 ottobre 2010
«Niente colonnelli. Passo il guado e non ripeterò gli errori del passato» ha detto il leader presentando Futuro e Libertà
Consigli al fondatore
Fini ha lanciato il suo partito: «Sarà un movimento, un Pdl in grande». E ha invitato i suoi a tenersi pronti al voto. Ma quale strada dovrà seguire da qui alla nascita di una nuova destra? Rispondono Ostellino e Sabbatucci di Errico Novi
ROMA. Fa bene Fini a ripartire da una parola impegnativa come «futuro». Dentro c’è tutto, c’è la sfida complicata che lo attende e che il presidente della Camera non esita a dichiarare nella riunione fondativa del nuovo partito: «Non rifare una piccola An ma un grande Pdl». Cioè non ripetere né gli errori del verticismo rigido di Via della Scrofa né quelli ormai storicamente imputati a Berlusconi, incapace di dar vita a un centrodestra moderno. Non è l’unico appello che la Terza carica dello Stato rivolge in un giorno senza dubbio importante per la sua storia di leader. A Palazzo Serlupi Crescenzi, sede di Farefuturo, ci sono le delegazioni di deputati e senatori iscritti a Futuro e libertà. Non c’è Franco Pontone, che però tiene a far spere che lui «non lascerà il gruppo del Senato». Un galantuomo d’altri tempi, un po’ sacrificato nella tempesta mediatica di Montecarlo, al quale il capodelegazione finiano a Palazzo Madama Pasquale Viespoli in-
via un saluto ossequioso: «Qualsiasi cosa decida di fare resterà immutata la stima che ho per lui». Ci sono invece i falchi e le colombe, che Fini in un primo momento avrebbe voluto catechizzare con un incontro preventivo e separato. Ci ripensa poche ore prima del d-day, e poi alla riunione che inizia poco dopo le 14 spiega a tutti il perché: «Non voglio falchi e colombe, dovete essere uniti e mettere da parte le gelosie e i personalismi, la barca è di tutti e dobbiamo remare nella stessa direzione. Non voglio più commettere gli errori che ho fatto con Alleanza nazionale, se partiamo con la logica dei colonnelli e dei soldati rischiamo di ripetere quegli errori».
Premessa chiara, al pari appunto di quell’altra, decisiva, con cui l’ex numero uno di An sintentizza la mission del suo nascente partito: «Ci accingiamo non a fare An in piccolo ma un Pdl in grande», cioè osare dove il Cavaliere ha fal-
lito. Possibile? Interpellati da liberal, due intellettuali di estrazione diversa come l’ultraliberale editorialista (ed ex direttore) del Corriere della Sera Piero Ostellino e lo storico della Sapienza (e commentatore del Messaggero) Giovanni Sabbatucci, non nascondono le proprie perplessità. Il primo perché scettico sulla capacità, per un «nuovo Pdl», di riuscire dove ha fallito il primo («se è venuto male l’originale, uno più piccolo o anche più grande può solo venire
«Nemmeno lui è un liberale, e non può fare finta che Silvio non esista»
peggio, nel senso che se il partito di Berlusconi non ha saputo essere quella grande forza liberale di massa annunciata agli inizi, questa versione di Fini sarà anch’essa poco liberale»). Il secondo, Sabbatucci, è poco persuaso dall’idea che «si possa così facilmente rifare il centrodestra come se Berlusconi non ci fosse, come se si potesse sovrapporre la propria immagine al Pdl oscurandola del tutto».
Se non altro, Gianfranco Fini ha davanti a sé un enorme lavoro politico da compiere, per dimostrare che in Italia è possibile garantire cittadinanza alla destra, ai moderati, senza inciampare nel passato. «Ma non si capisce come possano essere Berlusconi e Fini i promotori di un rinnovamento del Paese in senso liberale», insiste Ostellino, «e d’altronde non c’è da stupirsi, perché i moderati in Italia, e mi riferisco agli elettori, sono corporativi, non liberali. È la storia el nostro Paese: lo sforzo di co-
struire un partito liberale di massa è sempre fallito. Chiunque ci provi, anche in un campo diverso come sembrava voler fare il Pd, può al massimo riuscire a mediare tra diverse corporazioni». Consigli a Fini? Nessuno in particolare, si schernisce Ostellino: «Non mi sento di darne. Né vale la pena applicarsi a ragionare sui sondaggi, che sono una cosa aleatoria.Vedremo cosa diranno le elezioni. Di spazio per un partito corporativo ce ne può anche essere. Altro non vedo: ci provino, Berlusconi o Fini, a proporre l’abolizione del valore legale della laurea oppure quella degli ordini professionali».
Eccessiva severità? Non è detto, a sentire Sabbatucci: «Se dovessi indicare due o tre cose da fare, per riempire i vuoti lasciati in questi anni da Berlusconi, potrei dare risposte scontate: ad esempio, le liberalizzazioni. Ma davvero la tradizione politica di An è la più indicata ad assolvere un
6 ottobre 2010 • pagina 5
Il primo appuntamento organizzativo è una convention a Perugia, il 6 e il 7 novembre
Ecco tutte le prossime stelle della «galassia futurista»
Il leader ha affidato a un gruppo di intellettuali il compito di elaborare temi e parole chiave del nuovo movimento: vediamo chi sono di Franco Insardà
ROMA. Gianfranco Fini nella riunione di ieri del comitato promotore del nuovo soggetto politico di Futuro e Libertà, è stato molto chiaro anche sugli aspetti organizzativi indicando la road map del movimento. Parlando della convention fissata per il 6 e 7 novembre a Perugia, ha spiegato: «Non può essere solo un appuntamento di Generazione Italia, ma da oggi si dovrà parlare solo di Futuro e Libertà e raccordare i diversi soggetti che compongono l’arcipelago che ruota intorno a Fli. A Perugia ci sarà il primo incontro di tutti i soggetti della galassia futurista». Fini ha spiegato che «bisogna studiare bene il messaggio e l’identità di Futuro e Libertà e quindi bisogna individuare un manifesto valoriale, i punti programmatici di un ideale manifesto che poi sarà discusso dall’assemblea di Perugia. Una volta approvato il manifesto partirà dal territorio una campagna di adesione».
Si è trattato di una sorta di chiamata alle armi per un gruppo di intellettuali che da tempo segue il presidente della Camera. I nomi sono più o meno o noti e possono considerarsi una sorta di seconda generazione della “Nuova destra” cresciuta sotto la guida di Marco Tarchi, ma dai quali il politologo fiorentino, ha preso le distanze. Oggi attorno a Gianfranco Fini hanno ritrovato un modo per rilanciare una cultura politica che va oltre la destra e la sinistra, alla ricerca di cortocircuiti ideologici e culturali, nel tentativo di voltare pagina per costruire una “destra laica ed europea” in grado di fuo-
riuscire dal populismo berlusconiano. In questo filone si inserisce anche il seminario di studi organizzato per oggi sul tema “intellettuali e politica”, aperto al contributo di studiosi di varia estrazione, ma che, come chiariscono alla Fondazione Farefuturo, non “ha nulla a che vedere con il manifesto valoriale di Futuro e Libertà. Si è trattato di una pura coincidenza temporale tra la riunione del comitato promotore e il seminario. Coincidenza sulla quale qualcuno ha costruito l’ipotesi di un comitato di saggi».
Dall’alto: Alessandro Campi, Sofia Ventura, Giuliano Compagno e Monica Centanni: alcuni fra gli intellettuali che scriveranno il programma di Futuro e Libertà. Accanto, Flavia Perina, direttore del “Secolo” e da sempre vicina a Gianfranco Fini
varia estrazione per la costruzione di un percorso ideale». Per il momento in Futuro e Libertà non si prevedono incarichi nel Comitato promotore, ma solo tre i gruppi di lavoro: uno che si occupi delle risorse, uno che si occupi del manifesto e uno dei grandi eventi (Perugia 6-7 novembre e Milano metà gennaio). Benedetto Della Vedova, vice capogruppo di Fli alla Camera, entrando nella riunione a porte chiuse ha spiegato che «inizia un percorso, non nasce un nuovo partito». Della Vedova ha confermato anche che Futuro e Libertà è disposto ad ampie alleanze per una riforma della legge elettorale. Di «avvio di un percorso» ha parlato il presidente dei senatori di Futuro e libertà per l’Italia, Pasquale Viespoli, che spiega: «In questa fase abbiamo bisogno più di opinione che di organizzazione. Poi si tratterà di organizzarsi con un modello “a rete” aperto a soggetti diversi e ad un arcipelago di associazioni. Per fare un partito - dice - ci vuole ben altro che un comitato di coordinamento».
Per il momento non si prevedono incarichi nel Comitato promotore, ma tre gruppi di lavoro Ma, equivoco a parte, un gruppo di intellettuali di area è chiamato a lavorare all’elaborazione del manifesto dei valori del movimento finiano. Tra questi ci sono sicuramente il politologo Alessandro Campi, direttore scientifico della Fondazione Farefuturo, la parlamentare Flavia Perina, direttore del Secolo d’Italia, il saggista Giuliano Compagno, curatore del volume In alto a destra. Attorno a Fini: tre anni di idee che sconvolgono la politica, la politologa Sofia Ventura,il professor Augusto Carrino, l’archeologa Monica Centanni, l’avvocato Peppe Nanni. Ma proprio quest’ultimo chiarisce che quello di oggi sarà «un appello agli intellettuali per impegnarsi in politica e che il seminario è una sessione di lavoro per cercare un dialogo e il contributo di personalità di
Sull’idea di quello che sarà Futuro e Libertà Giorgio Conte, vicecapogruppo alla Camera ha chiarito: «Chi pensa che la nascita di un nuovo partito rappresenti la riproposizione di una nuova An o di un ritorno al passato, non ha capito niente. È esattamente l’opposto. Si tratta di un centrodestra moderno, innovatore ed europeo, quello che altri non hanno saputo interpretare. In altre parole, un movimento di opinione plurale, aperto a sensibilità politiche e culturali diverse, ma con una precisa identità. Il manifesto è quello di Mirabello».
simile compito? O non si tratta forse di un’espressione ancora più nettamente ancorata allo statalismo?». Ma non è neppure questa la maggiore perplessità del professore di Storia contemporanea: «Tutto quello che Fini potrebbe fare rischia di definirsi per contrasto con Berlusconi: potrebbe rilanciare la vocazione nazionale già appartenuta ad An, puntare sul tema dell’unità, ma come si vede anche qui sarebbe un autodefinirsi per negazione dell’altro. Vale la stessa cosa per la giustizia: sarebbe proprio di una destra moderna proporre una riforma che non penalizzi i magistrati e che nello stesso tempo ne argini lo strapotere. Ma incombe sempre il rischio di apparire come il bastian contrario». Cosicché l’ambizione di «collocarsi a destra», dice l’editorialista del Messaggero, «da una parte è coerente con quello che Fini ha sempre dichiarato. Nello stesso tempo però è un’idea che dovrà fare i conti con gli obblighi derivanti dai meccanismi delle scissioni politiche, dalle urgenze della campagna elettorale: e per questo Fini si collocherà più probabilmente al centro, sarà una componente di questo nuovo polo che si va formando».
Eppure, potrebbe rispondere il presidente della Camera o uno qualsiasi dei suoi adepti, interpretare il centrodestra in chiave alternativa a Berlusconi è esattamente quello che vogliamo fare: «C’è un precedente illustre, quello di Saragat, che presenta il Psdi come il vero interprete del socialismo democratico e poi si ritrova, per forza di cose, alleato con la Dc», chiosa Sabbatucci. Certo è che Fini non si nasconde davanti all’ipotesi del voto anticipato: nella cerimonia battesimale di Palazzo Serlupi Crescenzi dice di sperare «nella prosecuzione della legislatura fino alla scadenza naturale» ben sapendo però «che bisogna tenersi pronti per le elezioni». D’altronde «far nascere un nuovo soggetto politico è ineludibile, non si può restare in mezzo al guado, non avviare il percorso che porterà al partito sarebbe un errore». Fa appello all’ottimismo, l’ex leader di An: all’effervescenza sul territorio, innanzitutto, anche se «più che un partito il nostro dovrà essere un movimento politico d’opinione, senza il radicamento classico né una gerarchia piramidale». Si andrà avanti con l’appuntamento di Perugia del 6 e 7 novembre «dove non si parlerà di Generazione Italia ma di Futuro e libertà». E poi con la sfida a Milano di gennaio: «Mi piace giocare in trasferta». Appunto: Fini va a sfidare il Cavaliere sul suo campo. La cornice è chiara, bisogna capire se avrà anche argomenti migliori.
pagina 6 • 6 ottobre 2010
diario
Conti. Nel giorno in cui il governo discute la politica economica, arriva il monito del Fondo monetario sui bilanci
L’Fmi “avvisa” Tremonti
Il ministro: «Nessuna manovra bis». «Ma attenti al debito» gli rispondono ROMA. Il Fondo monetario
di Francesco Pacifico
rivolge a Giulio Tremonti l’ennesimo allarme sullo stock di debito pubblico. Che con uno choc alla crescita del 1 per cento potrebbe tramutarsi in un attimo dal già preoccupante 118,4 per cento all’insostenibile 136 per cento. Ma se queste sono ipotesi, ieri pomeriggio il ministro dell’Economia ha portato a casa qualche certezza in più sull’approvazione del federalismo fiscale. Dopo un vertice in via XX settembre con una delegazioni delle Regioni, il governo ha ottenuto il via libera a portare il decreto sull’autonomia fiscale delle Regioni già al Consiglio dei ministri di venerdì. Ma in cambio Tremonti ha dovuto accettare non poche modifiche.
Cinque i punti sui quali gli enti chiedono correzioni: rispetto della delega; definizione dei servizi da garantire ai cittadini; verifica della manovra; rapporto con il federalismo municipale e garanzie sull’autonomia statutaria. Nel pacchetto anche l’istituzione di due tavoli tecnici sull’ultima finanziaria e sul trasporto pubblico. Segnali distensivi alle autonomie locali il ministro dell’Economia li aveva già inviati in mattinata, presentando il Documento di finanza pubblica alle commissioni Bilancio di Camera e Senato riunite in seduta comune. Tremonti infatti ha dato il via libera a «una modifica del patto di stabilità», ma tenendo «fermi i saldi di bilancio». Ha auspicato che nella lotta all’evasione – «i cui risultati sono crescenti» – i sindaci «daranno un grande contributo». Infine ha aperto alla proposta dell’Anci di costituire «fondi a ombrello per i Comuni», cioè veicoli divisi in compartimenti stagni per salvaguardare l’autonomia gestionale. Più in generale, e parlando dello stato dell’economia italiana,Tremonti si è detto certo che «gli obiettivi 2010 sui conti pubblici saranno assolutamente centrati». Che non ci sarà bisogno di una
L’azienda: Fabbrica Italia subordinata alla pax sociale. Landini: inaccettabile
Fiat vs Fiom, riparte lo scontro ROMA. L’apertura di una settimana fa alla Cgil è già un ricordo. Ieri, a «il dialogo costruttivo può dare soluzione» pronunciato a Genova da Sergio Marchionne, non è seguita da parte della Fiom una dichiarazione di pace. Così, alla fine dell’incontro con i sindacati tenutosi in Confindustria, il Lingotto ha diramato un comunicato inequivocabile: il progetto Fabbrica Italia, con i suoi 20 miliardi d’investimento e gli 1,2 milioni di auto da costruire da noi, «è subordinato all’esistenza di condizioni preliminari che assicurino il quadro di certezze necessario per la sua realizzazione». Che a oggi, con la Fiom di traverso, non ci sarebbero. Ieri in viale dell’Astronomia si sono ritrovati allo stesso tavolo due realtà che ormai parlano un linguaggio diverso. Da un lato, un’azienda – la Fiat – spinta dalla Marcegaglia a riaprire il dialogo con Cgil e a non rompere sul contratto nazionale dei metalmeccanici. Dall’altro la più importante sigla metalmeccanica – la Fiom – al centro di pressioni trasversali, affinché si mostri più collaborativa. «E che seppure volesse aprire», notano dalla Uilm, «forse non saprebbe da dove incominciare». Per rompere il ghiaccio Giorgio Rebaudengo, direttore delle relazioni industriali del Lingotto, ha anche chiesto alla Fiom-Cgil «se volesse firmare l’accordo su Pomigliano d’Arco». Per tutta risposta il suo leader, Maurizio Landini, avrebbe replicato che quell’intesa è e resta anticostituzionale.
Il successore di Gianni Rinaldini avrebbe dato una generica disponibilità a trattare sul futuro di Fiat. Ma avrebbe contestato l’impianto con il quale l’azienda vuole muoversi: cioè con accordi separati per ogni stabilimento, come si è fatto per Pomigliano d’Arco, nei quali individuare turni e obiettivi di produttività. Quindi avrebbe chiesto al Lingotto di ridiscutere su tutto quanto è stato fatto in questi mesi: l’accordo di Pomigliano, la chiusura di Termini, il licenziamento dei tre operai a Melfi. Temi che per Cisl e Uil sono capitoli chiusi. «La Fiat», ha denunciato Landini, «non esclude soluzioni che potrebbero andare oltre Pomigliano e dice che la derogabilità del contratto nazionale non è sufficiente a rispondere alle sue esigenze. Ma l’accordo mette in discussione diritti e libertà delle persone».
Se tutta la vicenda fosse gestita da Fiat e Fiom, saremmo nell’impasse più totale. Ma FimCisl e Uilm non vogliono fare passi indietro. «Né aspettare 4 mesi per firmare come abbiamo fatto per Pomigliano», sottolinea da via Lucullo, Eros Panicali. Ieri le due federazioni avrebbero preferito discutere del futuro di Mirafiori e di Cassino. Con lo stabilimento torinese che si ritrova con un solo modello (per quanto di nicchia come la Mito) ancora in produzione nel 2011 e che deve fare i conti con un livello di conflittualità più alto di altri siti e con lavoratori più anziani della media. «Non siamo soddisfatti. La Fiat non ha presentato il programma di investimenti e di produzione stabilimento per stabilimento», si è lamentato il segretario generale della Uilm, Rocco Palombella. Ora si attende la convocazione di un nuovo incontro, al quale non è det(fra.pac.) to che partecipi la Fiom.
nuova manovra. E non lo preoccupa neppure il pacchetto di sanzioni che l’Europa si accinge ad approvare per i Paesi con debito superiore al 60 per cento del Pil. «Se mai ci fosse un cambiamento della regola europea sul patto di stabilità», ha aggiunto il titolare di via XX settembre, «sarebbe dal 2016». Di conseguenza nel nuove regola «saranno straordinariamente confortevoli per l’Italia. E lo dico perché la nostra posizione non è di difesa, visto che se vuoi valutare la sostenibilità di un sistema devi guardare tutto e non solo una parte, quella delle finanze pubbliche». Sostenibile anche la spesa pensionistica. «Le proiezioni sull’Italia», ha fatto notare, «sono assolutamente confortevoli, migliori di molti altri Paesi europei». Anche perché Giulio Tremonti ha ricordato che la crisi più grande dell’era contemporanea «non è stata originata dal debito pubblico ma dalla finanza privata. Anche se esistono «problemi di debito pubblico e di politiche dei governi, ma non deve essere questa ossessione del debito pubblico una ragione di assoluzione dalle cause delle crisi che sono radicata nella finanza privata».
Guardando alla sua agenda, Tremonti ha fatto sapere che si deve «cominciare a riprendere il discorso della riforma fiscale. Anzi, la prima cosa che dobbiamo fare è capire come funziona il fisco e come funziona l’Inps». Quindi dopo aver promesso risorse per la scuola, ha chiuso le trattative con San Marino sulla tracciabilità fiscale. «Nessun Paese serio», ha detto, «faccia trattati con i paradisi fiscali». Ma a breve sarà anche presentato un nuovo intervento sui conti, che non si chiamerà più Finanziara ma “legge di stabilita”. Tremonti ha promesso che «sarà esclusivamente tabellare. Recepirà i numeri del decreto di luglio e i dati fondamentali del bilancio in essere». E se ci sarà una sorpresa, sarà soltanto legata all’annuncio «di deroghe dalla Ue per zone franche, per aree a bassa fiscalità, a bassa regolamentazione, tutte eccezioni a regole europee pervasive».
diario
6 ottobre 2010 • pagina 7
In arrivo una riduzione delle commissioni anche sui Rid
Una telefonata di minacce al procuratore Pignatone
Antitrust e Abi abbassano i costi del bancomat
Trovato un bazooka al tribunale di Reggio
ROMA. Riduzioni in arrivo per le commissioni interbancarie sul Pagobancomat, Bancomat, Rid (ad esempio la domiciliazione delle bollette) e RiBa (pagamenti con ricevuta elettronica). È l’effetto dei due provvedimenti adottati dall’Antitrust che ha accettato, rendendoli vincolanti, gli impegni presentati da Abi e Consorzio Bancomat al termine di due distinte istruttorie, avviate per verificare l’esistenza di intese restrittive della concorrenza. Tutte le nuove commissioni sono state determinate applicando il principio di efficienza economica e rappresentano livelli che non potranno essere modificati in aumento. L’Antitrust, sottolinea una nota, effettuerà un costante monitoraggio alla luce delle evoluzioni concorrenziali e normative anche europee. In particolare, la commissione interbancaria PagoBancomat scende di oltre il 4% sul valore della transazione media, per effetto degli impegni presentati dal Consorzio Bancomat (la componente fissa della commissione interbancaria si riduce da 0,13 a 0,12 euro per ogni operazione).
REGGIO CALABRIA. «Andate a vedere davanti alla Procura. C’è una sorpresa per il procuratore Pignatone». È stata una telefonata anonima di minacce nei confronti del procuratore capo di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone, a far scattare l’allarme ieri mattina. Una chiamata che ha fatto scoprire alcune armi, fra cui un bazooka che, anche se scarico, è considerato dagli inquirenti un «gravissimo atto intimidatorio». «Possiamo colpire quando vogliamo» era il messaggio mafioso che una voce maschile ha lasciato nella telefonata effettuata da una cabina telefonica nei pressi del Consiglio regionale, nella zona Nord della città, attualmentre transennata. Le armi sono state
Il Consorzio si è impegnato a rivedere la commissione alla luce dei principi che emergeranno dagli studi in corso di svolgi-
Il maltempo uccide: tre morti a Prato Le vittime in un’auto finita in un tunnel allagato di Gualtiero Lami
PRATO. Ha avuto conseguenze tragiche il maltempo che sta flagellando l’Italia in queste ultime 24 ore: tre persone di nazionalità cinese sono morte a Prato. I loro corpi sono stati recuperati dai vigili del fuoco in via Ciulli imprigionate in un sottopasso che era stato invaso dall’acqua. Un’altra auto è stata successivamente trovata dai vigili del fuoco nel sottopasso ma è risultata vuota perché il conducente è riuscito ad abbandonarla in tempo. Le tre vittime erano in auto per andare a lavoro: hanno imboccato il sottopassaggio forse convinte che l’acqua fosse alta pochi centimetri. Invece in quel punto la strada scende di circa 5 metri sotto il livello, e ieri notte questo spazio era occupato per almeno tre quarti dall’acqua, scesa abbondante con le piogge e i temporali che hanno colpito la città. L’auto è rimasta intrappolata e per le tre vittime non c’è stato scampo, anche se una di loro ha tentato di fuggire: il suo cadavere è stato trovato fuori dall’abitacolo, nell’acqua mista a fango. È scampato alla morte quasi per miracolo, invece,un altro cittadino cinese proprietario dell’altra auto trovata nel sottopasso di via Ciulli, che collega Galciana a Viaccia e Narnali, a Prato. L’uomo ha raccontato ai soccorritori di essere riuscito a uscire in tempo dall’auto prima che la vettura si inabissasse, e che con lui non c’erano altre persone. I sommozzatori dei vigili del fuoco hanno poi continuato a scandagliare le acque e hanno iniziato a svuotare il tunnel con le pompe idrovore. L’acqua ha coperto un tratto di circa 100 metri, arrivando nel punto più profondo a toccare i 4 metri.
rito i vigili del fuoco, era quasi completamente invaso dall’acqua. All’interno del sottopasso si trovano alcune pompe che dovrebbero servire proprio ad evitare allagamenti: l’ipotesi è quindi che durante le forti piogge di questa notte le pompe non abbiano funzionato correttamente.
Altri problemi il maltempo li ha causati anche nel resto della Toscana e in Liguria: squadre dei vigili del fuoco, della provincia di Firenze e del volontariato di protezione civile sono intervenute nella notte nella piana fiorentina, nel Mugello e nell’empolese in seguito ad allagamenti. In Liguria, invece, l’allerta 2 diramato dalla Protezione civile è rimasto in vigore per tutta la giornata di ieri. Lo stato di «allerta 2 viene» dato quando l’innalzamento dei livelli negli alvei dei torrenti è in grado di provocare la fuoriuscita delle acque, la rottura degli argini, il superamento di ponti e passerelle e l’inondazione di aree circostanti e centri abitati. In questo caso il sindaco, oltre a rispettare le procedure già disposte durante lo stato di «allerta 1», deve predisporre le azioni di Protezione Civile secondo le disposizioni di legge, fornire urgentemente adeguata informazione alla cittadinanza, attivare le procedure del piano comunale di emergenza e gli opportuni sistemi di monitoraggio,provvedere alla vigilanza sull’insorgere di situazioni di rischio idrologico adottando le necessario azioni di tutela e salvaguardia dell’incolumità. Deve infine attivare le squadre comunali ed intercomunali di Protezione Civile e le organizzazioni di volontariato. Ieri, comunque, Genova si è svegliata sotto una spessa coltre di nuvole basse sui rilievi alle spalle della città. Contingenti di pompieri si sono aggregati ai colleghi genovesi da Torino, Massa e Imperia. Nel capoluogo tre scuole oggi resteranno chiuse. Mentre, a causa di danni al centro cottura, non saranno serviti pasti nelle mense scolastiche dei municipi di Valpolcevera, Centro Ovest, Medio Ponente.
Stato di allerta anche in Liguria dove ha continuato a piovere, dopo gli allagamenti e il vento forte di lunedì
mento da parte della Commissione Europea e dell’Eurosistema; la commissione per i prelievi presso gli sportelli Bancomat si riduce del 3,4% (dal 0,58 a 0,56 euro); la commissione interbancaria Rid viene tagliata del 36%, scendendo a 0,16 euro. A partire dal primo novembre 2012, la commissione interbancaria sul Rid sarà azzerata, in linea con l’evoluzione europea, salvo per la parte relativa al servizio di allineamento elettronico archivi (pari a 0,071 euro). La commissione per il Rid veloce scende da 0,35 a 0,26 euro a operazione; la commissione RiBa per disposizione di incasso viene ridotta di quasi il 20%, da 0,57 a 0,46 euro.
La Procura ha avviato indagini per verificare il corretto funzionamento delle pompe idrauliche, che avrebbero dovuto liberare il sottopasso in caso di pioggia. Nella notte di ieri su Prato si è abbattuta una quantità d’acqua straordinaria, con un centinaio di allagamenti. Si calcola che in meno di mezz’ora siano caduti 15 centimetri di acqua. Il sottopasso è alto circa 5 metri e, secondo quanto hanno rife-
poi ritrovate nei pressi del tribunale, che si trova al Cedir: ma dall’altra parte del torrente Calopinace, nel quartiere San Giorgio Extra. Il bazooka era nascosto sotto un vecchio materasso lasciato lungo la strada, davanti all’ufficio della Dda. L’arma, che è del tipo monouso ed era già stata utilizzata, è di fabbricazione slava: avendo una gittata lunga, è utile per compiere attentati. Gli investigatori parlano del ritrovamento del bazooka come di un gesto «grave e altamente significativo sul piano criminale» perché manda un messaggio chiaro: possiamo colpire il procuratore Pignatone quando e dove vogliamo.
Il clima in città è molto pesante, dopo le ripetute minacce ai giudici. Il 25 settembre c’è stata una imponente manifestazione contro la ’ndrangheta e in solidarietà con i giudici. E sono centinaia gli attestati di solidarietà giunti al procuratore capo di Reggio Calabria. Parlamentari, dirigenti di partito, amministratori regionali e locali, sindaci, chiedono all’unanimità che il procuratore Pignatone non sia lasciato solo, mentre si stringono attorno a lui invitandolo a proseguire, decisamente, nella sua attività.
mondo
pagina 8 • 6 ottobre 2010
Iran. I due ragazzi (18 e 22 anni) chiedono a Berlusconi lo status di rifugiato e scrivono anche al Papa: «Ci aiuti»
Il grido dei figli di Sakineh Sajjad e Sahideh: «Qui ci vogliono arrestare. L’Italia ci dia asilo politico» di Laura Giannone figli di Sakineh, Sajjad e Sahideh, hanno paura e chiedono aiuto all’Italia. Dopo la mobilitazione internazionale per salvare la madre dalla lapidazione, che ha visto soprattutto il figlio in prima linea a chiedere il sostegno alla comunità internazionale, i due ragazzi iraniani di 22 e 18 anni si sentono sempre più in pericolo. E nel caso la situazione per la loro incolumità dovesse peggiorare, mettono le mani avanti e chiedono asilo politico all’Italia. «La nostra condizione continua a diventare sempre più difficile e sentiamo il pericolo di essere arrestati. Pertanto, considerata anche la grande attenzione del
I
governo e del popolo italiano nei confronti della nostra causa, chiediamo al premier Silvio Berlusconi asilo politico. Così, in caso dovessimo intuire di essere inseguiti dal governo, avremmo un posto nel mondo dove rifugiarci». La loro, in realtà, è una mossa “a tenaglia”, visto che contemporaneamente hanno lanciato un appello anche al Papa affinché continui a «fare pressione sulla repubblica islamica» per salvare la madre: «Siamo troppo soli e abbandonati», hanno scritto i due ragazzi nell’appello lanciato tramite Aki-Adnkronos international - al Vaticano «ma siamo disperati e, per questo motivo, chiediamo di fare il possibile. Non lasciateci soli».
L’appello è per la verità alquanto anomalo: normalmente una richiesta di asilo viene attuata per vie diplomatiche e sotterranee, oppure dopo una fuga e alle soglie del Paese a cui si intende inoltrare la richiesta. Certamente non è mai avvenuto per vie mediatiche. Ma la questione Sakineh ha mobilitato l’attenzione internazionale e quella italiana in particolare. Il volto della donna, condannata alla lapidazione per adulterio con sentenza poi sospesa grazie alle pres-
sioni occidentali (e adesso in attesa di verdetto per un nuovo capo di accusa - l’omicidio del marito - che non dovrebbe sottrarla alla pena capitale, questa volta per impiccagione), campeggia nelle gigantografie di molte città italiane. E non è certo questo il momento di mettersi a fare le pulci e denunciare come le pressioni per la vita di Sakineh stiano mettendo in ombra le decine di lapidazioni di altre donne condannate dal regime sempre per vie sommarie. Ma con la richiesta d’asilo la vicenda si arricchisce di contorni (e risposte possibili) imprevisti. E mentre Palazzo Chigi al momento sembra tacere, Roberto Maroni, ministro degli
Secondo Hutan Kian, legale della famiglia, la procura di Tabriz starebbe escogitando un tranello per procedere all’arresto. E due prigionieri politici sarebbero pronti a confessare il falso e accusarli Interni, dice di non avere «niente da commentare», mentre la Farnesina fa sapere di «seguire con grande attenzione il caso e la situazione dei diritti umani in Iran e altrove» ma propone di discutere la richiesta in ambito europeo. «Visti l’interesse e la partecipazione provocata dalla vicenda in tutta Europa dice il portavoce del ministero degli Esteri Maurizio Massari riteniamo che una tale richiesta debba essere esaminata con al-
tri partner europei nell’ambito dei rapporti complessivi UeIran». Una proposta subito accolta da Lady Ashton, rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza comune. «La questione dei diritti umani in Iran sarà messa domani (oggi, ndr.) sul tavolo del Consiglio degli affari esteri dell’Ue in quanto ci sono diversi casi di violazioni, oltre a quello di Sakineh e dei suoi figli che hanno chiesto oggi asilo politi-
co all’Italia», parola della portavoce dell’Alto rappresentante. Meno diplomatica e completamente lanciata nella direzione di un accoglimento della richiesta (che comunque, e non è una nota da poco - non è stata formalizzata, ma solo “lanciata” dalla stampa) dei due figli di Sakineh, è invece la governatrice del Lazio, Renata Polverini, che chiede al governo di accogliere l’appello dei due ragazzi iraniani.
A mettere in allerta i due giovani su un possibile arresto sarebbero state delle telefonate: «Abbiamo ricevuto delle chiamate - ha detto Sajjad - da persone che si presentavano
A lato: il figlio di Sakineh, Sajjad (con gli occhiali) e l’avvocato della sua famiglia Javid Hutan Kian. A destra, il presidente iraniano Ahmadinejad. In apertura, uno striscione pro Sakineh durante una delle tante manifestazioni tenutesi nel nostro Paese. A destra, Stefania Craxi
mondo
6 ottobre 2010 • pagina 9
Il parere di Stefania Craxi, sottosegretario agli Esteri
Come attivarsi ora? Teheran non li ha incarcerati «Forse è un’operazione volta a tenere alta l’attenzione. Non ci sono prove ufficiali che siano in pericolo» di Luisa Arezzo l governo italiano ha fatto della battaglia contro la pena di morte e in difesa dei diritti umani - in qualsiasi paese essi siano violati - un pilastro della sua politica». Parole chiare e precise, come a dire: nessuno qui ha intenzione di lasciare solo chicchessia. A parlare è Stefania Craxi, sottosegretario agli Esteri e da sempre impegnata sul versante della giustizia umanitaria. Che però qualche perplessità, sul metodo in cui l’appello (e la richiesta) dei figli di Sakineh è stato lanciato ce l’ha. Eccome. Onorevole Craxi, come legge lei la domanda di diritto d’asilo inoltrata ieri dai figli di Sakineh al presidente Berlusconi? Certamente è stata fatta in modo atipico, a mezzo stampa. In questi casi, normalmente, la via che si segue è sotterranea e silenziosa. Qui è stato scelto il percorso opposto. Ma il governo che intenzioni ha? Accoglierà la richiesta? Si attiverà in tempi brevi? Credo che se la richiesta fosse stata inoltrata in modo formale ed ufficiale il governo si sarebbe già attivato. E invece così non si attiverà? Diciamo subito una cosa: il governo italiano ha fatto della battaglia contro la pena di morte e in difesa dei diritti umani - in qualsiasi paese essi siano violati - un pilastro della sua politica. Questo è sotto gli occhi di tutti. Certamente si attiverà anche questa volta, però... Però cosa? Non vedo per quale motivo il governo di Teheran dovrebbe arrestare i due giovani. In effetti i due figli di Sakineh hanno detto di aver paura di essere arrestati, non che lo siano stati. Esattamente le stesse paure espresse dal loro avvocato. Appunto. È veramente una situazione atipica. Certo, se dovessero essere messi in prigione le cose sarebbero diverse. Ci attiveremmo subito. Ma se fossero arrestati non potrebbero più venire in Italia...
«I
come agenti dell’Intelligence ma che in realtà ci hanno minacciato. Una volta mi hanno anche convocato nei loro uffici, ma non ci sono andato. Ma c’è la possibilità che ci arrestino in ogni momento». Lo stesso rischio che, secondo il figlio di Sakineh, corre il suo avvocato, Javid Hutan Kian. «È stato convocato dalla magistratura per sabato, e lì potrebbero arrestarlo», ha affermato Sajjad. A dirla tutta, una decina di giorni fa
di Sakineh - ha detto l’avvocato - perché, secondo la mia esperienza, prevedo che possano essere arrestati, con la falsa accusa di aver svolto attività politica antigovernativa.
Ecco perché la comunità internazionale dovrebbe continuare a tenere alta l’attenzione sul caso Sakineh, affinché l’autorità giudiziaria non commetta atti ingiusti nei confronti della donna e dei suoi figli». Figli
La questione dei diritti umani in Iran arriverà oggi sul tavolo del Consiglio degli affari esteri dell’Ue per volere dell’Alto rappresentante Lady Ashton. La Farnesina è d’accordo alcuni uomini hanno perquisito la casa del legale portando via del materiale, come avevano già fatto un mese fa, e da quattro o cinque giorni hanno installato telecamere a circuito chiuso fuori del suo ufficio». L’avvocato, peraltro, ha appena denunciato che la procura di Tabriz starebbe escogitando un tranello per arrestare i figli di Sakineh: «Secondo le mie fonti - ha detto ieri - gli agenti dell’intelligence avrebbero messo sotto pressione due prigionieri politici a Tabriz affinché questi confessino il falso, accusando i figli di Sakineh di essere loro complici, avendo distribuito, su loro ordine, manifesti politici antigovernativi». Insomma, un complotto vero e proprio. «Sono molto preoccupato per i figli
che, lo ricordiamo,hanno risposto all’accusa di omicidio di Sakineh fatta dal tribunale di Tabriz, facendo il nome del presunto omicida del padre e ricostruendo parte di una vicenda che tra annunci e smentite - anche da parte delle stesse autorità iraniane - resta confusa. «L’assassino è un’altra persona che si chiama Issa Tahari - ha detto Sajad -. È lui che ha compiuto l’omicidio. Lui è stato scarcerato grazie al nostro perdono e noi gli abbiamo concesso la clemenza». Una versione sempre ricusata dalle autorità iraniane, che però adesso non sembrano più sopportare l’attivismo dei due figli di Sakineh. Che stanno tenendo i riflettori puntati sull’Iran più del dovuto.
“
È vero. La questione è complicata. Ma ripeto, al momento non ci sono segnali che il governo di Teheran li stia per arrestare. Un interrogativo forte, effettivamente, questa richiesta di diritto d’asilo lo pone. Di solito lo status di rifugiato si richiede quando si è già scappati dal proprio Paese, oppure lo si concorda prima per vie diplomatiche. Non si è mai vista una richiesta - di fatto non ufficiale preventiva. Come dire, cautelativa... Esattamente. Al momento stiamo parlando di una semplice un’eventualità. A Roma si dice: «Se mio nonno avesse le ruote, sarebbe una carrozzella». E, aspetto fondamentale, non è stata inoltrata nessuna richiesta ufficiale. E dunque lei come legge questa mossa? È un atto prettamente mediatico. Restituisce l’idea che si tratti di una questione puramente giornalistica, immaginata per tenere alta l’attenzione del mondo, in questo caso dell’Italia, sull’intera vicenda. Ma se i due ragazzi dovessero essere arrestati il governo italiano come risponderebbe a Teheran? È una questione spinosa. Ammesso e non concesso, ripeto, che ciò accada, bisognerebbe comunque capire di cosa li accuserebbero. E poi verificare l’eventuale reato. In altre parole, bisognerebbe capire se il crimine di cui potrebbero accusarli sussiterebbe per davvero oppure no. Una missione quasi impossibile, trattandosi di uno Stato sovrano. Non credo che il governo italiano potrebbe contraddire una sentenza emessa da un tribunale iraniano. Più di così non posso dire, davvero. Comunque le ripeto. A me sembra più che altro una manovra mediatica per non far abbassare la guardia sul caso Sakineh. Guardia che il nostro governo non ha mai cessato di tenere alta, perché, lo ripeto, il nostro governo si è sempre fortemente impegnato al riguardo. E continuerà certamente a farlo.
La loro richiesta è atipica e dunque ragioniamo in termini di eventualità. Non c’è nessun atto formale e questo fa un’enorme differenza
”
panorama
pagina 10 • 6 ottobre 2010
ragioni&torti di Giancristiano Desiderio
E ora Napoli si dà all’ippica (in divisa) l consiglio comunale di Napoli ha deliberato l’istituzione di un nucleo di vigili urbani ippomontati, praticamente a cavallo. Così Napoli non ha la raccolta differenziata, ma avrà i vigili urbani che andranno a spasso a cavallo. E i cavalli per adeguarsi all’andazzo generale della città potranno contribuire a farla un po’ di qua e un po’ di là, un po’ a Piazza Plebisicito e un po’ a Piazza Vittoria, un po’ alla spalle di Garibaldi e un po’ in via Luca Giordano. Un po’ di cacca di cavallo non si nega a nessuno. Perché, oltre alla cacca, che cosa potranno fare i cavalli con sulla groppa i vigili urbani? Lo dovrebbe spiegare la sindaca Rosa Russo Iervolino che passerà alla storia del “regno di Napoli” per la celebre frase in piena emergenza rifiuti: «Quante storie per un po’ di monnezza».
I
Una volta Domenico Rea raccontò qualcosa che aveva già a che fare con l’annoso problema dei rifiuti (annoso sì, ma non c’è dubbio che è solo in questi anni i rifiuti hanno ricoperto Napoli e il Vesuvio). L’autore di Spaccanapoli ricordò un’altra frase celebre: «Il gallo sopra la monnezza». Si dice di quel tale che fa il gran signore ma, appunto, si trova sulla spazzatura. I vigili ippomontati saranno senz’altro belli a vedersi. Daranno lustro e lusso alle cerimonie. Faranno la loro bellissima figura. Saranno il vanto del consiglio comunale di Napoli e del suo sindaco. Saranno proprio ciò che diceva Rea: «Il gallo sopra la monnezza». Ma, forse, siamo ingiusti. Forse, non riusciamo a vedere la funzionalità dei vigili a cavallo. Forse non consideriamo che per vedere i vigili urbani in strada a lavorare l’uscita a cavallo era proprio quello che ci voleva per toglierli dalle scrivanie dagli uffici. Il cavallo, dopo tutto, può essere una risorsa di mobilità. Magari, ben cavalcato, può arrivare lì dove si fermano le automobili, le motociclette e gli scooter. Ma i vigili saranno in grado di montarli? Anche questo potrebbe essere un problema. Perché se una moto è senza miscela, resterà in deposito, ma i cavalli senza cavaliere in quale scuderia resteranno? In fondo, è più semplice la manutenzione delle moto e delle auto che la cura dei cavalli che sono animali che hanno bisogno di particolari attenzioni. Napoli riserva sempre delle sorprese. Ora, questa storia dei vigili urbani a cavallo, sembra venire direttamente da un altro mondo. Come se giunti a Napoli si entrasse in un’altra epoca, con le carrozze, i cavalli, i signori con cappello e “ossequi alla signora”. Un mondo scomparso che non esiste neanche a Napoli. Solo che questa città, definita da Marco De Marco “città immobile”, crede ancora di essere una gran città, quasi una capitale, come fosse una gran dama decaduta che vive del bel tempo andato e non si avvede che è diventata solo un agglomerato di palazzoni e paesoni del tutto priva di uno straccio di ceto dirigente capace di darle un minimo di funzione. Così l’unica cosa che resta è darsi all’ippica.
Fondi all’editoria, è allarme rosso Contributi in alto mare, 90 testate rischiano la chiusura di Angela Rossi allarme rosso, anzi “rossissimo”come lo ha definito il senatore del Pd, Vincenzo Vita, nella conferenza stampa di ieri mattina a Palazzo Madama. I contributi per l’editoria sono in alto mare, novanta testate rischiano la chiusura e quasi quattromila giornalisti vedono avvicinarsi lo spettro della disoccupazione. Tra i parlamentari che hanno partecipato all’incontro, rappresentanti dei diversi schieramenti a sottolineare che il problema è bipartisan. Erano infatti presenti Lelio Grassucci in rappresentanza di Mediacoop, l’associazione che raggruppa le cooperative editoriali; Luigi Lusi del Pd, Roberto Mura della Lega, Renzo Lusetti dell’Udc, il segretario nazionale della Fnsi, Franco Siddi. Allo stato attuale mancano 120 milioni di euro per raggiungere i trecento necessari a garantire la possibilità a decine di testate giornalistiche di sopravvivere, comprese quelle delle comunità italiane all’estero, a volte unico legame tra emigrati e Patria. Altra nota dolente sono stati i tagli alle tariffe postali agevolate colpite in maniera durissima. Attualmente l’impegno dei parlamentari è quello di riferire nelle commissioni competenti per cercare di trovare una via d’uscita.
È
92 testate, anche storiche, con la possibile perdita di oltre 4mila posti di lavoro tra giornalisti e poligrafici». Lusetti dell’Udc si augura che «una mozione parlamentare sull’editoria vincoli il Governo. I fondi potrebbero essere trovati abolendo le Province». Ancora Vita ha sostenuto che i fondi potrebbero essere reperiti con un’asta competitiva per l’ assegnazione delle frequenze digitali.
«Bonaiuti non sia Don Abbondio e ci ascolti», ha affermato. Il segretario della Cgil, Fulvio Fammoni ha dichiarato che si rende necessario «convocare al più presto gli stati generali dell’editoria, farlo prima che sia troppo tardi e in modo che tutti possano assumersi chiare responsabilità. Si vive una situazione drammatica che porta alla chiusura di testate e alla conseguente perdita di lavoro». Una crisi che appare decisamente più grave rispetto allo scorso anno. Perché? «Intanto perché - ha spiegato il senatore Luigi Lusi del Pd - il consuntivo appena approvato e relativo al 2008 calcola in 414 i milioni necessari mentre il preventivo per il 2011 ne prevede 195 con un abbattimento spaventoso. Il regolamento sull’ editoria è fermo nelle commissioni e così non si risponde alla domanda sui fondi che lo Stato destina a questo comparto. Attualmente non c’è nulla di deciso. Se si arriverà a fine anno con un nulla di fatto ci sarà un ulteriore abbattimento del 60 per cento il che vorrà dire tagli, riduzioni e licenziamenti». «La riforma dell’editoria è un’inderogabile urgenza», ha quindi sottolineato in una nota Enzo Ghionni, presidente della Federazione italiana liberi editori. «Il governo si è più volte impegnato - ha affermato Ghionni - ad aprire un dibattito che portasse in breve tempo ad un ddl di riordino organico dell’intera disciplina che risale ad oltre trent’anni fa. Impegno totalmente disatteso. Il regolamento di semplificazione e delegificazione doveva essere approvato entro 60 giorni dall’entrata in vigore del d.l. n.112 del 25 giugno 2008. Di giorni ne sono passati 827 e quel regolamento, ancora non approvato, non ha più alcun senso. Un’informazione libera - ha concluso - richiede certezze e non può essere condizionata dagli umori del governo e del ministro dell’Economia. Devono essere immediatamente ripristinate le condizioni di certezza per l’esercizio dell’attività editoriale, attraverso la garanzia del diritto soggettivo e lo stanziamento dei necessari fondi».
Ghionni (File): «Devono essere immediatamente ripristinate le condizioni di certezza per l’esercizio dell’attività»
Secondo Siddi, «tutti gli impegni assunti dal governo sono stati disattesi, a partire da quello relativo al varo di un decreto che recepisca l’accordo sulle tariffe postali per l’editoria. Nella logica dei contributi all’editoria ci sono zone d’ombra ma se si vuole si può fare pulizia e redistribuire equamente le risorse che è giusto mantenere visto che l’informazione riveste un interesse pubblico». Secondo il senatore della Lega Roberto Mura, ex amministratore delegato della Padania, «le problematiche dell’editoria si sono incancrenite e siamo ora ad un livello difficilmente sopportabile. Ha ragione Siddi: il pluralismo non è un interesse di parte, ma un interesse pubblico. Io non parlo a nome del Governo, ma la Lega porta avanti queste istanze con convinzione». Giuseppe Giulietti di Articolo 21 ha chiesto al ministro dell’Economia Giulio Tremonti di firmare subito il decreto ministeriale per l’applicazione delle tariffe postali agevolate. Per Lelio Grassucci, presidente onorario di Mediacoop, «il Governo ha ridotto drasticamente le risorse ed ha soppresso, a partire dal 2010, il carattere di diritto soggettivo dei contributi all’editoria. Sono a rischio chiusura
panorama
6 ottobre 2010 • pagina 11
L’impegno dell’assessore regionale dell’Udc Stillitani per ridurre i numeri drammatici della disoccupazione
Lavoro, missione possibile in Calabria «Abbiamo approvato un investimento di 150 milioni di euro per creare 7000 posti» di Francesco De Felice
ROMA. La disoccupazione giovanile in Calabria raggiunge la punta del 11,6 per cento, rispetto alla media nazionale del 7,6 per cento. Più che nel resto d’Italia, già maglia nera in Europa. Per non parlare delle donne che sempre in Calabria vedono salire il tasso di disoccupazione al 13,2 per cento. Nella giunta Scopelliti l’assessore regionale al Lavoro, Francescantonio Stillitani (Udc), ha un compito improbo: ribaltare questi numeri: «Favorire l’occupazione», dice a liberal, «è uno dei punti programmatici sui quali puntiamo non solo per sostenere la cassa integrazione e mobilità in deroga, ma anche per favorire l’occupazione e in questa direzione va il piano stralcio che abbiamo approvato e che prevede un investimento di circa 150 milioni di euro per la creazione di 7000 nuovi posti di lavoro. Questi fondi avranno diverse linee di intervento: dalla trasformazione del lavoro da determinato a indeterminato, la stabilizzazione degli artigiani (con il progetto Arco), il microcredito, inteso come garanzia che la Regione dà alle banche per finanziare soggetti “non bancabili”. Le somme più consistenti, 105 milioni di euro, sono destinate alle borse lavoro per nove mesi, contributi sul costo del lavoro, mediamente per due anni, e formazione continua per altri due anni. In pratica si considera una media di quat-
tro anni di accompagnamento». L’approvazione del piano stralcio anticipa il Piano regionale per il lavoro che «prevederà un’altra serie di incentivi - aggiunge Stillitani - e di politiche per la creazione di nuovi posti di lavoro».
laborazione con Pasquale Melissari che ne è il commissario, considerato dall’assessore Stillitani «un esperto della materia del lavoro, che ha già collaborato con il presidente Scopelliti sia in Regione che al comune di Reggio Calabria».
L’attuale governatore Giuseppe Scopelliti è stato in passato assessore regionale al Lavoro. E in questa veste istituì Azienda Calabria Lavoro, in col-
La mission dell’Azienda Calabria Lavoro, in collaborazione con l’assessorato, è quella di occuparsi di politiche attive del lavoro, di tirocini formativi dell’osservatorio del mercato del lavoro. «Ma oggi - come spiega Melissari - si vuole fare un passo avanti: costruire un modello di lavoro e di tutele più aderenti all’area. L’origine della struttura fa riferimento alla legge regionale che raccordava il sistema dei servizi per l’impiego al mercato del lavoro nazionale. Azienda Calabria Lavoro dovrebbe predisporre il Piano regionale del lavoro, occuparsi dell’osservatorio del mercato del lavoro e fare assistenza tecnica sui Por. Abbiamo collaborato con l’assessore Stillitani per predisporre il piano di stralcio per la creazione di 7000 posti di lavoro. Il nostro è un ruolo di mediazione ad alto livello tra gli agenti del mercato.Tra l’altro monitoriamo quotidianamente, attraverso una banca dati, le assunzioni e riusciamo così a intervenire nella programmazione. Abbiamo riorganizza-
Pasquale Melissari di Azienda Calabria Lavoro: «La nostra struttura fornisce un supporto all’orientamento»
to il sito dell’Azienda che per tutti i settori analizza e pubblica dati».
Azienda Calabria Lavoro nel prossimo futuro si pone l’obiettivo di supportare non solo sul piano tecnico ma anche esecutivo e di gestione dei finanziamenti del Por, proponendo nuovi progetti, nuove idee che provengono dal territorio e dal capitale umano che lavora in questa azienda. «Cerchiamo - spiega ancora Melissari - di orientare le politiche del lavoro giovanile, fornendo dei supporti sia formazione di base e che avvio al mercato del lavoro. L’azione è concertata anche garantendo alle famiglie una serie di opportunità, attraverso dei voucher». Sul sostegno alle famiglie c’è l’impegno dell’Udc e dell’assessore Stillitani che, a proposito, dice: «Abbiamo approvato in giunta una legge, che ha superato anche il vaglio della commissione e che sarà votata al prossimo consiglio regionale, per utilizzare al meglio e in modo organico le risorse in aiuto dellle persone non autosufficienti e delle loro famiglie». L’Udc ha in cantiere anche una legge sull’infanzia che «punta - aggiunge l’assessore Stillitani - alla riorganizzazione degli asili, cercando la possibilità di finanziare anche delle case-asilo in quei comuni piccoli che non avrebbero la possibilità di avere una struttura tradizionale».
La polemica. Il leader piemontese sempre più ai margini dello scontro fra i democratici
Se il Pd dimentica Chiamparino di Antonio Funiciello ietato parlarne. Al Nazareno si parla di tutto e di tutti, fuorché di Sergio Chiamparino. Dalemiani e bersaniani hanno ripreso dall’estate a sognarsi Veltroni, lettiani e bindiani soffrono della stessa insonnia, mentre i popolari litigano tra di loro e i veltroniani non perdono un giorno per togliersi i macigni collezionati nelle scarpe e lasciarli rotolare sul pendio della caduta di consensi del partito. Ma guai a parlare di Chiamparino. Il canovaccio del Pd è scritto: il partito appenninico, che al Sud gioca al piccolo chimico in Sicilia, deve ristabilire un contatto col Nord e, quindi, tiene nel week end a Busto Arsizio la sua assemblea nazionale. Che poi al Nord ci sia il Chiampa, uno che riesce nel miracolo di piacere insieme ai militanti dello zoccolo duro, agli elettori delle primarie e a quelli che votano dall’altra parte, è un segreto da tenere protetto. Meglio: protettissimo. Se incalzati, Bersani e i maggiorenti che lo sostengono dipingono il sindaco di Torino come un bravo amministratore locale, figlio della vecchia scuola comunista perfettamente rappresentata
V
dall’attuale segretario. Aggiungendo che, come tutti i migliori uomini del territorio, il Chiampa di politica nazionale capisce poco. Considerazione rischiosa, visto il curriculum dell’emiliano Bersani. Come che sia, il nome di Chiamparino non rientra tra quelli in lizza per il posto di nuovo Prodi.
Quando, invece, non c’è uomo su piazza più simile al professore bolognese. Non già per
Sul profilo del governatore sempre più isolato pesa l’immagine di «nuovo Prodi», di possibile federatore delle molte anime della sinistra storia personale, ma di certo per la pacatezza e la puntualità retorica, l’approccio pragmatico e anti-ideologico ai problemi di governo, l’indisponibilità a prendere parte alle divisioni interne alla sinistra. In più è un vero uomo del Nord. Chiamparino somiglia al Prodi del primo Ulivo come nessun altro. Al Nazareno
ne sono consapevoli, quindi, va bandito anche dalle chiacchierate al bar. Il limite della leadership di Chiamparino è il contesto in cui oggi si trova a muoversi. Nel suo bel libro La sfida (edito da Einaudi), il sindaco scrive a chiare lettere che per cambiare l’Italia è necessario cambiare il Pd: da partito conservatore, quale oggi è, a partito motore del cambiamento. Ma il Pd non ha in programma un congresso a breve. Quindi, se gli va bene, Chiamparino può al massimo provare a fare il candidato premier, esattamente come Prodi. Che, difatti, fu logorato da quei partiti che tra il ’96 e il ’98 resistevano al progetto riformista dell’Ulivo e finirono per creare le condizioni della sua caduta, per mano di Vendola e Bertinotti. Un ragionamento semplice che suggerisce al sindaco di Torino la cautela con cui in questi giorni di incertezza va muovendosi.
pagina 12 • 6 ottobre 2010
erca il colore puro, l’inquieto Vincent, quello dei frutteti e dei campi di grano, dei cieli e delle marine, va a caccia dei rossi, dei gialli, dei verdi lottando contro il mistral, il vento fastidioso che soffia in Provenza ed «impedisce di essere padroni della pennellata» e, scrive al fratello Theo, aspetta impaziente l’autunno, artefice di intensi cromatismi. Quando il pittore olandese abbandona Parigi e si trasferisce nel 1888 ad Arles nel sud della Francia, si sta avvicinando ad una meta che più che geografica è interiore, è sulla soglia dell’ultima fase della sua vita e della sua straordinaria pittura. È come se l’immersione in un mondo nuovo, in un paesaggio che lo incanta con la sua vivida immagine e le forme cristalline libere dalla bruma del nord, avesse finalmente lacerato il velo, superato una distanza, aperto un varco verso una zona prima impraticabile ed ora finalmente accessibile. La sua attività conosce un’accelerazione improvvisa, una continua febbre di lavoro lo assale e lo costringe a dipingere “senza fiato”. È il momento dei capolavori più noti, tra i quali quei girasoli dalla luminosità sofferta che replica in dodici tele destinate a decorare lo studio delle sua casa “gialla”, dove trionfa il colore che più riassume il senso di una ricerca e di una vita che si consuma, brucia nella creazione artistica. Questa tensione verso la natura, il centro vivo della sua intera produzione, è il tema affascinante della mostra “Vincent Van Gogh, campagna immutabile e città moderna”, proposta a Roma al Complesso del Vittoriano. Oltre settanta opere dell’artista, tra oli, acquerelli, disegni, provenienti dai grandi musei del mondo e da importantissime collezioni private, affiancate da una ampia selezione di dipinti dei compagni di strada e dei modelli a cui Van Gogh guardò come Millet, Pissarro, Cezanne e naturalmente Gauguin, con il quale ebbe una tormentata amicizia.
C
La polarità città-campagna può certo descrivere intanto la vita stessa di Van Gogh, personalità complessa, difficile da esaurire, che non fu mai un naif, cantore nostalgico di un eden perduto ma che neppure riuscì mai ad integrarsi nella società civile ed oscillò da un luogo all’altro, dall’Aja al paesaggio incorrotto della Drente, dalle miniere del Borinage dove svolge attività di predicatore alle metropoli moderne, desiderando e soffrendo la solitudine, sempre cercando di placare quel malessere che lo assaliva e lo scuoteva, e a cui rispondeva con uno slancio assoluto verso l’arte, trovata, come dirà «quando non aveva più denti né fiato» come unica risorsa, unico scampo. Le radici in un piccolo villaggio nel Brabante olandese, dove nasce nel 1853, costituirono certo una memoria dal fascino indimenticabile, una dimensione atemporale che sempre lo consolerà e da cui attinge quell’ alfabeto, quel linguaggio pittorico condensato nelle figure dei casolari e dei seminatori, dei contadini e dei tanti ambienti e oggetti del mondo rurale che cominciò a tratteggiare in schizzi e disegni quando ancora la sua vocazione era incerta e che mai più abbandonò. Un’umanità umile e senza storia, come si ritrova nel capolavoro del genere I Mangiatori di patate o nei numerosi soggetti di uomini e donne al
il paginone
Oli, acquerelli e disegni, provenienti dai più grandi musei del mondo, affiancati d
Van Gogh, tra cam
Dopo quella dedicata al Caravaggio, al Vittoriano va in scena una grande mostra dedicata al tormentato genio del colore di Rita Pacifici lavoro di cui la mostra dà un consistente spaccato, che ritrae con ossessione e partecipazione ma senza alcun pietismo. Niente è più lontano dalla “visione dolciastra” , dall’idillio, di quest’epica dal segno forte e deciso e dalla tavolozza cupa che sembra trasferire sulla tela l’essenza stessa di figure ancorate ad una materia povera, pesante.
Temi sociali che si andranno comunque via via diversificando quando Vincent deciderà di abbandonare i paesaggi dell’infanzia per i luoghi che possono soddisfare il crescente bisogno di formazione. Tuttavia se in coincidenza dei suoi spostamenti l’iconografia si arricchisce di profili urbani, di fabbriche e stazioni,Van Gogh non subirà mai il fascino della musa che rapisce tanti intellettuali del tempo, attratti dalla luce e dalla velocità, dall’assenzio e dalle avventure. A Vincent la città come luogo delle trasformazioni e del progresso, rimarrà sempre estranea, ostile. Un elemento circoscritto che rimane sullo sfondo delle sue campagne e ne minaccia l’ordine eterno. Per il giovane artista, schivo ma colto, in sostanza, la città è sinonimo non tanto di modernità quanto di memoria.
All’Aja e a Bruxelles, dove lavora nella casa d’arte Goupil, a Londra dove insegna francese e poi a Parigi, il giovane Vincent non fa che frequentare quell’immenso deposito di insegnamenti estetici che sono i musei, non fa che osservare e disegnare, dando origine ad un corpus vastissimo di studi. Innanzitutto le vedute olandesi del seicento e Millet, Corot Delacroix «intorno ai quali i pittori di contadini e di paesaggi devono girare come intorno a un asse», poi la brillantezza di Rubens. Nel secondo soggiorno parigino del febbraio dell’86, quando ospite di Theo apprenderà la rivoluzionaria tecnica dell’impressionismo fino ad allora ignorato, la città gli si offre finalmente anche come rete di relazioni e Van Gogh per la prima volta viene accolto in un cenacolo, in una comunità legata dai valore supremo dell’arte. Ma nella breve vita di Vincent quest’esperienza, che pure ci regala quadri meravigliosi di uno stile schiarito dal tocco disteso e lucente, è un’istante che passa, che si spenge sopraffatto dal tormento antico della diversità. L’olandese schivo e bizzarro conosce Claude Monet, Camille Pissarro, diventa amico di Emile Bernard e di Henri de Toulouse Lautrec, dipinge felicissime vedute di Parigi, dei suoi ponti e
degli orti di Montmartre, lavora sulla Senna e nei santuari dell’impressionismo, sperimenta persino la tecnica puntinista ma c’è una divergenza di fondo, un equivoco che mantiene Van Gogh irriducibilmente altrove e distante da questa corrente artistica, per capacità di visione e qualità di esecuzione. Perché lui non possiede quell’aristocratica superiorità dell’occhio che annulla le cose nell’atmosfera di cui è maestro Monet, né la leggerezza, l’ironia di un Toulouse Lautrec. E c’è in Vincent un totale disinteresse per i soggetti convenzionali allora in voga a Parigi, la città con i suoi riti sociali, come le “dejeuners sur l’herbe” che si moltiplicavano in versioni sfavillanti, l’ambiente naturale sempre risolto in un’oasi felice.
Il destino di quest’arte singolare è all’opposto in uno sguardo accanito, che non dissolve, non elude la realtà. In colori che “ardono” e che non trapassano mai l’uno nell’altro in armonie riposanti. In un sentimento della natura percepita come né accogliente nè conciliante ma indefinibile, altro da sé. Non è certo la sola voce fuori dal coro né l’unico a deviare dagli amici incantati dal paesaggio francese. Simile per certe ossessioni, c’è anche Paul Cezanne, con la sua ricerca sulla struttura geometrica del visibile e lo stesso Guaguin, il più esotico e sognante, ben rappresentato in mostra con otto oli. Ma solo in Van Gogh quest’ansia di infinito, questa doppia indole di “monaco e pittore” che lui stesso si riconosce , conduce la sua pittura ad un’esperienza quasi mistica. «In fondo Van Gogh voleva dipingere Cristo e i santi e gli angeli», dirà Karl Jaspers, «ma vi rinunciava perché ciò lo turbava e sceglieva con modestia gli oggetti più umili». Quando si lascia Parigi alle
il paginone
da una ampia selezione di dipinti dei “compagni di strada”
mpagna e città finità di rami neri». Una pittura dove l’artista «raddoppia tutti i toni per ottenere di nuovo la serenità e l’armonia». Il pensiero stesso di Vincent ora sembra diventare colore. Ci riferisce di «stelle che scintillano verdi gialle bianche rosa chiare più luminose delle pietre preziose». È il momento in cui il suo sogno di fondare una comunità di artisti sta per avverarsi con l’arrivo di Gaugin in Provenza, ma sono anche tempi di un lavoro logorante . Dopo «le
Oltre 110 opere illustrano l’intera straordinaria carriera del maestro olandese seguendo un percorso che analizza due inclinazioni contraddittorie del pittore: il suo amore per i paesaggi, ambienti fissi e immutabili, e il suo legame con la metropoli, centro della vita moderna e del suo movimento spalle e sceglie ancora una volta la campagna, il meridione dal cielo azzurro che lo incanta e percorre a lungo a piedi, c’è in fondo la stessa furia del predicatore, la medesima,logorante, lotta corpo a corpo per portare la ricerca sempre più in là.
Qui ad Arles trascinato da una eccezionale «potenza coloristica», quasi la tela non riuscisse più a contenere questa rinnovata energia,Van Gogh dipinge quadri sempre più grandi. C’è un tono diverso, chiaro ma stridente, un deciso rifiuto dello stile impressionista vissuto come una parentesi ingannevole ma ormai sedimentato insieme ad altre suggestioni come l’estetica giapponese, depositaria di una strana alchimia tra i pittori e il proprio paesaggio. Il risultato è una stagione di autentica bellezza che si ritrova ne “Il ponte di Langlois” e nella numerosa serie degli alberi in fiore, peri, albicocchi «belli come un pescheto rosa», prugne «di un bianco giallo con un’in-
alte note gialle» dei girasoli, quella «notte stellata» in cui vorticano mille soli, sembra impossibile andare oltre.
Questa vicinanza alla sorgente di luce che ha trovato nel paesaggio del sud, questa prossimità ad una verità
6 ottobre 2010 • pagina 13
solo immanente che risiede nelle forme della natura, questo sforzo spaventoso a cui si sottopone non per imitarla ma per eguagliarla in una creazione parallela, sembra rivelarsi fatale. La malattia avanza, l’equilibrio si incrina, Vincent è destabilizzato anche per la rottura del sodalizio con Gaugin, il quale è andato via scatenando un grave episodio di autolesionismo. Nel maggio del 1890 si ritira ad Auvers sur Oise, a nord di Parigi «convinto di aver contratto una malattia tipica del sud» che passerà andando via. Ma è un punto di non ritorno. Si alternano stati di allucinazione e di volontaria reclusione ad altri di apparente normalità. Nello stesso anno, mentre le sue tele vengono esposte al Salon des Artistes e giudicate da Monet il miglior contributo alla mostra, Vincent entra nell’ospedale di Saint Paul de Mausole vicino San Remy dove ha a diposizione due stanze e continuerà a lavorare con il materiale spedito dal fratello Theo. Colori che ingoierà tentando ancora di uccidersi e attraverso i quali ci consegna opere senza più un centro saldo, affidate ad una prospettiva deforme. Piante di iris, ulivi, cipressi così contorti che sembrano avvitarsi su stessi, scorci e frammenti del paesaggio che può osservare dalla finestra della clinica, luci improvvise che germogliano dalla sua mente e che sulla tela assumono un tratto vorticoso che sprigiona energia pura, un tratto che ha reso Van Gogh tra i pittori più conosciuti ed amati ma che somiglia ad una specie di grido disperato.
In due mesi, “guarito” e di nuovo fuori ad Auvers, dipinge forse settanta quadri, certamente uno al giorno, tra questi l’incantevole poesia del “Giardino di Daubigny”. Poco prima di suicidarsi con un colpo di pistola, morirà il 29 luglio dopo due giorni di agonia, lascia il suo testamento spirituale, “Il campo di grano con corvi”, un sentire ed un vedere turbato da un presagio, un esplosione di giallo sotto un massa nera che conserva della vita tutta la sua drammatica ambivalenza. Questa pittura nuova, eccessiva, che non si confonde con altre e non si dimentica perché indissolubile dalla storia del suo autore, alimenterà l’espressionismo per poi dilagare come un fiume in piena nel secolo successivo. Il cinema si impossessa della sua tormentata biografia: trenta i film tra i quali quelli di Vincente Minnelli, Robert Altman, Akira Kurosawa, sterminati poi gli studi ed i documentari. Francis Bacon, icona della pittura contemporanea, lo dichiara il suo eroe e lo celebra con ben otto versioni di un autoritratto perduto. L’intero novecento è stato colpito, sedotto dalla vicenda del “rivoluzionario indiavolato”che la biografia ufficiale volle folle, che alcuni, come Antonin Artaud , riscattarono come esempio di una genialità alienata e che per tutti in fondo rappresenta soprattutto il paradigma del desiderio assoluto di fare arte. È sufficiente osservare i tre autoritratti che la mostra ci propone, questi sguardi che «trattengono il pensiero, l’anima del modello», per comprendere quanto fosse forte in lui la volontà di liberarsi della cecità che offusca, nasconde il mondo reale, in cui non riusciva a percepire sinfonie ma che, come nessuno altro prima, seppe ricreare nella sua brutalità e nel suo splendore.
mondo
pagina 14 • 6 ottobre 2010
Negoziati. Il presidente Usa conta di ricondurre al tavolo Abbas e Netanyahu, ma lo scoglio non sono le ruspe nel West Bank
In un anno, niente pace Se al centro dei colloqui non si mettono anche Turchia, Siria e Hamas, non c’è speranza di Mario Arpino n mese dopo l’inizio, a Washington, dei negoziati diretti tra i Palestinesi e Israele, sabato scorso il portavoce del comitato esecutivo dell’Olp e del direttivo di al-Fatah, Yasser Abed Rabbo, ha annunciato che i colloqui non potranno riprendere fino a quando continueranno gli insediamenti ebraici nei territori occupati. Secondo il comunicato, una richiesta in tal senso è stata formulata a Mahmoud Abbas, alias Abu Mazen, mentre ogni responsabilità della sospensione dei colloqui va addebitata a Israele. Nell’annuncio, tuttavia, non c’è traccia di un intendimento palestinese di abbandonare il negoziato, mentre indiscrezioni provenienti dalla stessa fonte ricordano che l’Autorità palestinese rimane disponibile ad approfondire ulteriori soluzioni, qualora il mediatore statunitense sia in grado di offrirle. In ogni caso, altre proposte potranno essere esaminate congiuntamente al tavolo solo dopo la valutazione di merito della riunione dei ministri degli esteri della Lega Araba, che nel frattempo è stata spostata dal 4 al 6 ottobre. In alternativa, i colloqui potranno continuare, ma solo in modalità indiretta.
U
Anche se nella regione sono in corso le missioni dell’emissario della Casa Bianca, George Mitchell, e della rappresentante per la politica estera dell’Unione, Lady Ashton, la questione dei nuovi insediamenti rischia così di portare a prematura conclusione il volonteroso sforzo di Obama per ricondurre al tavolo delle trattative i due contendenti. Eppure, un epilogo positivo sarebbe importante per tutti. Per il presidente americano perché un successo anche parziale, laddove tutti i suoi predecessori avevano fallito, sarebbe un buon viatico per il secondo mandato, cui non può certo presentarsi a mani vuote. Per Abu Mazen perché vedrebbe in un certo modo rafforzata, con qualche punto di vantaggio su Hamas, una posizione invero assai debole. Per Netanyahu, perché così acquisirebbe consenso e forniture dagli Stati Uniti, migliorando la propria
posizione a dispetto degli estremisti della destra religiosa e radicale. Proprio per questo, mentre la Ashton, come usuale, si è astenuta da ogni commento, Mitchell rimane fiducioso, convinto che ci siano ancora da giocare alcune carte di riserva. Sull’operato dei tre leader, il patron americano dell’iniziati-
presidente americano abbia scelto ancora una volta, come già in Afghanistan, la via più improbabile e più difficile da percorrere nei tempi che si è imposto per entrambe, ovvero solo un anno. In primo luogo perché non è affatto certo che le due parti vogliano davvero una soluzione. Sembrerebbe
cesso, o comunque ritardarlo ben oltre i limiti posti da Obama. Infatti, mentre Abu Mazen nicchia e Hamas contesta, l’aver posto come unico caposaldo lo stop delle costruzioni è fortemente criticato dal mondo più vicino ai palestinesi.
L’America di Obama e la Ue continuano a considerare l’area come ai tempi di Bush, suddividendola tra “moderati” ed “estremisti”
va di pace e i due avversari, non mancano le critiche. Per quanto riguarda Obama, si dice che se davvero aveva puntato tutto su questa iniziativa, allora c’è proprio da pensare che il
quasi, per come vanno le cose, che il problema non risolvibile del fermo degli insediamenti sia un pretesto segretamente auspicato e benvenuto dai due contendenti per bloccare il pro-
Rahman al-Rashid, direttore da Dubai della televisione alArabia e di vari quotidiani, assegna per questo ad Abu Mazen la palma di “peggior negoziatore del mondo”. Se si vuol trattare, dice, non si devono sostener solo cose del tutto improbabili nel tempo, come il fermo delle costruzioni a Gerusalemme e nel West Bank, dimenticando che il pacchetto di interessi palestinesi è molto più ampio, e spazia dalla costituzione dello Stato ai diritti dei rifugiati, dalla restituzione delle terre occupate alla definizione di Gerusalemme capitale. “Impuntandosi” solo sugli insediamenti – dice al-Rashid - Abu Mazen rischia di sprecare consapevolmente il limitato tempo ancora disponibile per Barack Obama, tempo in cui i negoziati devono necessariamente essere seri ed efficaci. In casa israeliana, mentre il Primo ministro sembra ammorbidirsi, il ministro degli Esteri, il radicale Lieberman, pronuncia all’Onu un discorso il cui tenore rende non credibile, di fronte al mondo, il cauto possibilismo del suo primo ministro. Netanyahu cerca di parare il colpo, dicendo che si è trattato di mera man-
canza di coordinamento interno, e afferma di aver ottemperato a tutti i suoi impegni nei confronti dei palestinesi, degli americani e della comunità internazionale. Di prorogare la moratoria scaduta, come chiederebbe Obama, non ne vuol sentir parlare. «Tutti sanno - afferma - che una moderata ripresa delle costruzioni in Giudea e Samaria non pregiudicherebbe in alcun modo il percorso di pace. Perciò la comunità internazionale faccia pressioni sui Palestinesi perché non si ritirino dai colloqui. È interesse sia nostro che loro». Lo stop delle costruzioni, quindi, sarebbe solo un pretesto. La realtà è che Abu Mazen è consapevole che Hamas sarebbe in grado di sabotare in ogni momento qualsiasi accordo di pace, e che questo significherebbe la sua fine. Perciò prende tempo. Sperando che qualcuno lo aiuti a togliere le castagne dal fuoco. In effetti, l’America di Obama e la Ue, continuano a considerare l’area come ai tempi di Bush, suddividendola tra “moderati” ed “estremisti”. Se Hamas, dicono i critici, non può essere sradicata (in effetti, i bombardamenti ed il tentativo di isolamento la ha resa politicamente più forte), prima di ricercare impossibili trattative di pace varrebbe la pena prendere tempo - molto più di un anno - e cercare di “modificarla”dall’interno. Qualche segnale - affermano - c’è, ma non è stato né recepito, né preso in considera-
mondo
6 ottobre 2010 • pagina 15
Al via il vertice dei Paesi arabi incentrato sulla questione mediorientale
Occhi puntati sulla Lega Araba Intanto il leader palestinese va in Egitto a discutere con il presidente. E trova anche Bill Clinton di Osvaldo Baldacci gni istante è prezioso in Medioriente. Ogni momento è una tessera unica che può comporre un mosaico di pace oppure uno di violenza. Così anche ieri è stata una giornata ricca di spunti importanti. Con la riunione della Lega Araba di venerdì si dirà una parola significativa sulla continuazione o meno del processo di pace tra israeliani e palestinesi. E per questo ogni atto da qui ad allora fa parte di un domino decisivo. L’interruttore principale è in questo momento nelle mani del governo israeliano: tutto ruota intorno alle nuove costruzioni nelle colonie all’interno delle aree palestinesi. Ieri il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu riunirà ha riunito i sette principali ministri del suo governo per discutere del prolungamento di 60 giorni della moratoria di dieci mesi sulle costruzioni negli insediamenti in Cisgiordania, scaduta il 26 settembre. Gli Stati Uniti premono per questa proroga per agevolare il processo di pace e sono pronti a farsi garanti. Netanyahu può contare sull’appoggio del ministro della Difesa Ehud Barak (laburista) e su quello del ministro per l’Intelligence e l’Energia Atomica Dan Meridor (Likud), mentre il principale oppositore alla proroga del congelamento è il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman (del partito di destra populista e legata agli immigrati Yisrael Beiteinu), peraltro
O
Lo stop alle costruzioni è solo un pretesto. In realtà Abu Mazen sa che Hamas può sabotare qualsiasi accordo e determinare così la sua fine zione. Senza almeno una parvenza di solidarietà interna ai palestinesi, qualsiasi tentativo di colloquio di pace è destinato a fallire. Il professor Daniel Byman, che conduce alla Georgetown University un programma sulla Sicurezza in Medioriente, si dice convinto che il rifiuto di interloquire anche con Hamas porti a un peggioramento della situazione, in quanto i palestinesi moderati diverranno più deboli e gli estremisti più forti. Perciò, «…se l’amministrazione Obama è davvero decisa a muovere qualche passo in avanti, allora come prima mossa deve raccogliere la sfida di Hamas. Il rischio non è solo che il processo fallisca, ma che Israele lanci un nuovo attacco».
La chiave di volta è cominciare a considerare il Medio Oriente non più come un problema statico, immutabile, suddiviso nelle classiche categorie del “con me o contro di me”, perché, se ciò poteva valere ai tempi di Bush, ora non è più coA destra, Hosni Mubarak, presidente egiziano; in apertura, un cartello di lavori in corso nel West Bank; a sinistra, dall’alto: Abu Mazen e Netanyahu
sì. Non basta ormai valutare “moderati” Arabia Saudita, Iraq, Giordania, Libano, Autorità palestinese, Israele e, dall’altra parte, “estremisti” Iran, Siria, Hitzbollah e Hamas. Per ritornare con i piedi per terra, è necessario considerare che al centro di tutte le analisi ci devono essere - oltre ai passi stentati dei colloqui tra Israele e Palestinesi - anche realtà come il nuovo protagonismo della Turchia, la deriva irachena e, ultima novità, il timido tentativo di riposizionamento strategico della Siria.
Pretendere di risolvere tutto in un anno appare così illusorio da non sembrare neppure in buona fede. Parafrasando il presidente Andreotti, nella recente conferenza degli ambasciatori alla Farnesina qualcuno ha detto che «…nel mondo esistono due tipi di folli. Quelli che si credono Napoleone e quelli che vogliono disegnare un assetto stabile per il Medio Oriente». È difficile dargli torto.
tutt’altro che convinto dell’intero processo di pace. I ministri incerti sono Benny Begin (Likud), Moshe Yaalon (Likud) e Eli Yishai (il partito ultraortodosso Shas). Washington ha attivato una fitta rete diplomatica di intensi negoziati sommersi con israeliani e palestinesi per trovare una soluzione al problema prima della riunione della Lega Araba di venerdì a Sirte. Forse è un caso, ma proprio ieri l’ex presidente e marito della segretario di Stato Bill Clinton era al Cairo per un discorso alla Camera di Commercio Americana, in contemporanea alla visita di Abu Mazen a Mubarak.
Certo non giova al clima l’ennesimo scandalo che ieri ha colpito i rapporti bilaterali: la rete televisiva privata israeliana Canale 10 ha trasmesso
Secondo Hosni Mubarak se i negoziati dovessero fallire si scatenerebbe un’ondata di violenze e terrorismo in tutto il mondo. Attentati difficili da arginare un video nel quale un militare israeliano balla attorno ad una prigioniera palestinese immobilizzata. La donna, ammanettata e con gli occhi bendati, è appoggiata contro un muro mentre il soldato balla una parodia di danza orientale con un approsotpriato tofondo musicale, apparentemente per divertire i commilitoni, fuori campo. Già due mesi fa era scoppiato lo scandalo relativo alle foto pubblicate su Facebook da una soldatessa israeliana nelle quali posava con dei prigionieri palestinesi legati e bendati. «Si tratta di un esempio ripugnante della menta-
lità malata dell’occupante, non si tratta di un incidente isolato», si legge in un comunicato dell’Anp, ma anche l’esercito israeliano ha condannato gli episodi. Ieri intanto il presidente palestinese Mahmud Abbas è stato in visita in Egitto e con Mubarak ha certamente affrontato gli sviluppi del processo di pace. Chiara e forte la posizione del presidente egiziano: se falliranno i negoziati diretti si potrebbe assistere a un’ondata di “violenze e terrorismo” nel mondo, ha avvertito il presidente egiziano. In un’intervista Mubarak ha rivelato di aver detto a diversi leader coinvolti nel negoziati, compreso il premier israeliano Benjamin Netanyahu, che «se non si arriverà alla pace, violenza e terrorismo scoppieranno in Medioriente e nel mondo». Diversi gruppi oltranzisti palestinesi hanno già detto di essere contrari a ogni negoziato e di aver formato un fronte per opporsi con ogni mezzo, violenza compresa.
Anche per le pressioni delle ali più estreme, l’Autorità Palestinese ha minacciato di uscire dai colloqui diretti, ripresi lo scorso 2 settembre dopo un serrato lavoro diplomatico da parte dell’amministrazione Obama, se Israele non accetterà di fermare nuovamente le costruzioni nelle colonie. I Paesi arabi si riuniranno per fare il punto della situazione con i palestinesi, ed annunciare eventualmente lo stop dei colloqui diretti nel caso in cui gli israeliani non dovessero fermare le nuove case. Ma Netanyhau a sua volta è pressato dalla potente lobby dei coloni, cui la sua coalizione è molto legata. Ieri Israele ha espulso il premio nobel per la pace irlandese Mairead Corrigan Maguire, nota attivista in favore di Gaza che già era stata presente su flottiglie destinate alla Striscia. Intanto domenica si aprirà a Roma l’Assemblea speciale per il Medioriente del Sinodo dei vescovi sul tema “La Chiesa Cattolica nel Medioriente”. Sarà Papa Benedetto a presiedere nella Basilica vaticana la concelebrazione dell’Eucaristia con i padri sinodali.
quadrante
pagina 16 • 6 ottobre 2010
Anniversari. Il Pil dei dieci Paesi della zona inizia a galoppare l 6 ottobre 2000, Belgrado viveva la sua rivoluzione di velluto. Dopo un’elezione falsata, Slobodan Milosevic, confermato alla presidenza della repubblica federale di Jugoslavia, cadeva per mano di una manifestazione pacifica. Le guerre che avevano massacrato i Balcani negli anni Novanta terminarono senza a sola goccia di sangue. Cinque mesi dopo la detronizzazione, Milosevic venne arrestato e poi comparve di fronte al Tribunale dell’Aja. La lista di accuse che pendevano sul suo capo era interminabile: come altri protagonisti sanguinari dei conflitti in Jugoslavia, l’ex leader serbo si era compromesso con le pulizie etniche perpetrate in quegli anni. Tuttavia, prima ancora che il processo potesse entrare nella fase calda, Milosevic morì in carcere. Era l’11 marzo 2006. L’ex presidente aveva 64 anni. Da allora la Serbia ha fatto passi da gigante, in termini di sviluppo economico e normalizzazione politica. Tutta l’area balcanica è entrata in una fase virtuosa, forse mai così positiva della sua storia. Da polveriera d’Europa, qual’era all’inizio del XX secolo, la penisola si è trasformata in un vicino Eldorado per le imprese di Austria, Francia, Germania e anche Italia. Il Fondo monetario internazionale ha osservato che nessuno dei 10 Paesi dell’area – Albania, Bosnia Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Kosovo, Macedonia, Romania, Serbia e Slovenia – presenta un Pil inferiore al 2% circa. Una media in cui spiccano soggetti economici sensibilmente dinamici. È il caso del Kosovo, che ha
I
Dieci anni dopo, i Balcani rinascono La cacciata di Milosevic chiuse le stragi in una delle aree più frastagliate al mondo di Antonio Picasso
+4,3%.Tuttavia, mentre quella di Pristina può apparire come una new entry nel panorama delle ricche terre dove investire per i capitali dell’Europa occidentale, Croazia, Serbia e Slovenia
Il successo è in buona parte merito della Nato, che ha pacificato senza troppi traumi i vari popoli, e dell’Ue che gli ha dato benessere chiuso lo scorso anno con una crescita produttiva del 3,8%. Gli osservatori a Washington prevedono che il 2010 sia anche migliore e che il Pil del piccolo e neonato Paese balcanico arrivi al
sono ormai aree più che stabili, la cui solidità economica è un biglietto di garanzia per qualsiasi impresa. Va detto però che l’intera penisola ha subito gli effetti negativi della crisi finanziaria
Alle presidenziali vince Bakir Izetbegovic
L’islam moderato di Bosnia Bakir Izetbegovic è il solo erede di uno dei protagonisti delle guerre in Jugoslavia che ha saputo raccogliere il messaggio politico paterno e proiettarlo nel futuro. Alija era stato insieme a Tudjman e Milosevic uno dei volti più conosciuti durante i conflitti degli anni Novanta in Jugoslavia. Era rimasto alla guida di una Sarajevo accerchiata e sotto assedio. Aveva firmato gli accordi di Dayton nel 1994 e da lì era stato proclamato primo presidente della repubblica di Bosnia Erzegovina. Alija è Izetbegovic morto nel 2003, senza che la sua immagine potesse essere compromessa dalle accuse di crimini di guerra e massacri etnici com’è stato invece per i leader croato e serbo, scomparsi rispettivamente nel 1999 e nel 2006. Proprio sulla base
del ricordo in un certo senso immacolato, il figlio Bakir oggi è sulla strada per diventare Capo dello Stato. Il segretario del Partito di azione democratica – espressione di un mondo musulmano moderato e sostanzialmente laico – entrerà in possesso del suo mandato esattamente fra un mese, andando a sostituire Haris Silajdzic. Tuttavia la sua vittoria merita di essere sottolineata in questi giorni. A dieci anni dalla fine del regime di Milosevic, acerrimo nemico del clan Izetbegovic, la Bosnia Erzegovina ha avuto il coraggio di nominare il suo leader senza il timore di rappresaglie da parte dei governi vicini e allontanando i timori che al vertice del Paese si insediasse un esponente dell’Islam radicale. (a.p.)
globale. Belgrado e Zagabria hanno vissuto un crollo produttivo medio superiore al 3%. Questo comunque non solleva le nuove frontiere balcaniche dalla loro posizione del tutto nuova nello scacchiere europeo in qualità di Paesi in avanzato stato di sviluppo. A tale proposito meritano di essere segnalati due casi per i quali il contributo della Nato e dell’Ue vanno considerati come un evidente successo. Uno è il Kosovo. L’altro è la Bosnia Erzegovina, la quale proprio in questi giorni è stata chiamata alle urne per rinnovare il suo Parlamento.
Quanto è successo a Pristina, a neanche tre anni dalla dichiarazione dell’indipendenza dal governo di Belgrado, va contro tutte le prospettive disfattiste che gli osservatori occidentali si erano fatti. All’inizio del 2008 l’emancipazione kosovara, appoggiata da molti Paesi europei e dagli Usa, fu vista come un gesto sconsiderato. Il rischio era che l’episodio creasse un precedente giuridico e geopolitico vincolante e pericoloso. Finora, al contrario, questi allarmismi non hanno avuto soddisfazione. La Serbia è stata convinta con un esplicito processo di acquisizione. In cambio del riconoscimento del Kosovo indipendente, le è stato promesso un canale preferenziale da percorrere per essere integrata a pieno titolo nell’Unione europea. Il 30 novembre 2009 l’Ue ha sbloccato l’Accordo di associazione e stabilizzazione facendo entrare il governo di Belgrado nella lista bianca Schengen. La Bosnia Erzegovina, a sua volta, ha saputo edificare un sistema economico indipendente. Ha sfruttato la sua posizione geografica nettamente favorevole a seguito delle sue coste. Si è messa alla leadership del commercio via mare e via terra praticamente di tutta la penisola. Ma è soprattutto nell’ambito politico che il cuore dell’Islam balcanico ha dimostrato una vitalità inattesa. Il voto celebrato domenica scorsa ha visto in vantaggio Bakir Izetbegovic, figlio del più noto Alija, il leader che condusse Sarajevo all’indipendenza nel 1994. Entrambi gli esempi rappresentano un punto d’onore per l’Occidente. La Nato è riuscita a portare a termine il progetto di ricostruzione pacifica delle due regioni. L’Ue ha infuso la vitalità economica necessaria affinché le popolazioni locali raggiungessero il necessario benessere e abbandonassero i livori ancestrali.
quadrante
6 ottobre 2010 • pagina 17
L’uomo si era dichiarato «colpevole e talebano»
Unanime la condanna del gesto Per la polizia è un’intimidazione
Ergastolo per Shahzad, attentatore di Times Square
Derry, bomba distrugge un centro commerciale
NEW YORK. Faisal Shahzad, 31
BELFAST. Torna la tensione in
anni, pachistano, è stato condannato ieri all’ergastolo per aver cercato di far esplodere un’autobomba a New York , in Times Square, l’1 maggio di quest’anno. L’uomo ha detto di far parte di un gruppo che fa capo ai taliban, in Pakistan, e si è dichiarato colpevole nel corso del processo. Shahzad ha lanciato pesanti minacce prima della lettura della sentenza. «Preparatevi perché la guerra con i musulmani è appena cominciata», ha detto, rivolto al giudice. «La sconfitta degli Usa è imminente e ci sarà a breve».Figlio di notabili pachistani, Faisal Shahzad, che parla perfettamente l’inglese, ha trascorso dieci anni negli Stati Uniti: viveva nel Connecticut. Partito nel giugno 2009 per il Pakistan allo scopo di mettere a punto il suo piano terroristico, si è sposato con una cittadina americana di origine pachistana, da cui ha avuto due bambini. La sua famiglia è in Pakistan, secondo quanto dichiarato in tribunale.
Irlanda del nord: un’autobomba è esplosa davanti a un centro commerciale a Derry, causando gravi danni materiali ma nessuna vittima. La deflagrazione è avvenuta dopo la mezzanotte all’esterno di una banca, vicino all’Hotel Da Vinci. Si è trattato solo di un avvertimento, secondo gli investigatori, considerato che la polizia era stata avvertita un’ora prima e aveva provveduto a transennare la zona. La polizia aveva già lanciato un allarme per nuovi e più sofisticati attentati dei dissidenti dell’Ira, che tentano di far deragliare il processo di pace tra protestanti e cattolici avviato con gli accordi del 1998. E giovedì l’Italia di Cesa-
Nel frattempo continuano i bombardamenti nel Nord Waziristan, provincia pakistana ritenuta dagli Stati Uniti uno dei bastioni del terrorismo. Sono tre tedeschi di origine turca e due britannici legati ad al Qai-
Fanghi tossici (rossi) in Ungheria: 4 morti Le spore sommergono gli edifici di alcuni villaggi di Pierre Chiartano
BUDAPEST. È disastro ecologico in Ungheria occidentale. Una riserva di fanghi chimici, scarti di lavorazione di una fabbrica di alluminio, si sono riversati in un villaggio attraverso le acque di un fiume. Le sostanze fangose sono altamente nocive e provocherebbero usitioni per contatto. Almeno quattro residenti del centro abitato invaso dai fanghi sono morti. Di questi, due sono bambini. Lo ha riferito ieri l’agenzia di stampa ungherese Mti. Una delle vittime un uomo di 35 anni è stato investito dall’onda di fanghiglia rossa mentre era alla guida di un Suv. Una donna anziana, invece, è stata travolta dall’onda di veleni mentre si trovava nella propria abitazione.
Ma lo spettacolo più orribile i soccorritori l’hanno dovuto affrontare all’ingresso di in una casa, dove sono stati trovati, senza vita, i corpicini di due sorelline, una di tre e l’altra di un anno. Il bilancio del disastro rischia di essere comunque ancor più pesante. All’appello mancano ancora sette persone. Altre 120 sono ferite e presentano per lo più danni dovuti all’alta tossicità chimica dei materiali che si sono riversati per le strade. Le città interessate sono diverse, tra queste le principali sono Kolontal, Dev ecser e Somlovasarhely. L’incidente sembra essere stato causato dalla rottura di una chiusa che conteneva fanghi chimici di lavorazione nel villaggio di Kolontar. È stato il sindaco della cittadina, Karoly Tily, il primo a lanciare l’allarme. Tutte e quattro le vittime finora accertate erano residenti nel suo villaggio. I servizi d’emergenza stanno cercando altre quattro persone che risultano disperse. Ieri sera il tragico evento è cominciato con la fuoriuscita dei fanghi di lavorazione di un impianto d’alluminio. I fanghi rossi hanno invaso il villaggio, arrivando a contaminare 230 edifici. Circa 80-90 persone sono andate in ospedale per farsi curare ferite da prodotti chimici. Un portavoce delle autorità di protezione civile ha spiegato che i fanghi potrebbero essere arrivati al fiume Mar-
cal. Zoltan Illes, segretario di Stato per l’Ambiente, ha messo in guardia le autorità nazionali perché si potrebbe trattare di una catastrofe ambientale che potrebbe diventare di dimensioni maggiori, se la massa dei fanghi arrivasse ai fiumi Raba ed allo stesso Danubio. Gli abitanti di Devecser sono spaventati soprattutto perché il fango è composto da sostanze molto acide che provocano gravi ustioni al solo contatto con la pelle. Il governo ungherese si sta già muovendo per l’attuazione di un programma di bonifica dell’area colpita, anche se, lo hanno reso noto le autorità, tutta l’operazione di ripulitura dei terreni prenderà molto tempo. Ancora una volta l’Europa dell’est è protagonista di incidenti legati al basso livello di sicurezza di impianti legati a processi industriali non avanzati, se non datati. I valori più alti di inquinamento sono quelli fatti registrare dalle cosiddette «industrie di base»: siderurgica, chimica, petrolchimica, energetica e così via. L’alterazione dell’ambiente avviene a diversi livelli. I gas e i fumi immessi nell’atmosfera, in determinate condizioni climatiche non riescono a disperdersi nell’aria, stagnando nelle parti più basse dell’atmosfera; le sostanze tossiche possono infiltrarsi nelle falde acquifere e alterare la qualità dei terreni ad uso agricolo; gli scarichi riversati in mare, direttamente o attraverso fiumi, alterano l’ecosistema marino. Oppure come in questo caso arrivare direttamente nei centri abitati per tramite dei corsi d’acqua.
Anche due bambine tra le vittime della fanghiglia che ha contaminato oltre 230 edifici. Molti i feriti in ospedale
da i cinque europei uccisi due giorni fa da un drone dell’esercito Usa. È quanto affermano ad AsiaNews fonti militari dell’Inter Services Public Relations (Ispr) del Pakistan. Nell’attacco, avvenuto vicino alla moschea di Bilal nella città di Mir Ali, sono morti anche tre militanti pakistani, mentre due civili sono rimasti feriti. La notizia giunge a pochi giorni dall’allarme lanciato dai governi occidentali su possibili attacchi terroristici in Europa. Secondo fonti dell’esercito i cinque europei erano a Mir Ali per partecipare a un campo di addestramento organizzato dai terroristi islamici. Dormivano in casa di un leader talebano.
L’industria metallurgica, in particolare, ha bisogno di molta acqua per raffreddare gli impianti, acqua che viene reinserita nell’ambiente carica di sostanze tossiche. In certi casi si determina la produzione di «fanghi» – definiti così per la loro densità – carichi di sostanze velenose a breve o a lungo termine, di fattori cancerogeni o di agenti che provocano gravi alterazioni fisiologiche, come avvenne nel 1976 in Italia nel caso della diossina di Seveso.
re Prandelli arriva proprio in Irlanda del Nord, dove venerdì a Belfast affronterà la rappresentativa locale per la terza gara di qualificazione agli Europei del 2012. «La federazione sta acquisendo informazioni e ci farà sapere di più», ha commentato il ct. «Noi comunque siamo tranquilli, anche se ieri lo eravamo un po’ di più».
Unanime la condanna degli attentati: in un comunicato congiunto, il primo ministro dell’Ulster, l’unionista Peter Robinson, e il suo vice, il repubblicano Martin McGuinness, hanno affermato che «l’unico obiettivo dei terroristi è creare una cultura della paura». Per McGuinness si tratta dell’azione di «uomini preistorici che non riusciranno a far deragliare il processo di pace».Tuttavia, va registrato che i gruppi di lotta nati dopo il formale scioglimento dell’Irish Republican Party lamentano la sostanziale emarginazione dai processi politici e sociali della presunta nuova Irlanda. Londra e Dublino hanno concordato per Belfast una gestione semi-autonoma delle Cinque Contee, ma queste sono ancora di fatto sotto il tallone inglese per la predominanza britannica in campo commerciale ed economico.
pagina 18 • 6 ottobre 2010
grandangolo L’opinione del più grande dissidente del Dragone
Sullo yuan l’Impero (cinese) colpisce ancora
I capitalisti occidentali sono d’accordo con il regime comunista per tenere bassa la moneta orientale. In gioco ci sono gli enormi profitti e l’iper-produzione che derivano dallo sfruttamento del lavoro e dalla soppressione dei diritti umani. Ma questo modo di fare ha creato la crisi globale e rischia di far esplodere il mercato di Wei Jingsheng a qualche tempo, in Asia orientale l’attenzione si è spostata sulle dispute territoriali che riguardano le isole Senkaku, conosciute dai cinesi come isole Diaoyu e dagli inglesi come Pinnacle. A essere sinceri, queste isole non sono particolarmente significative per il destino del popolo cinese. Nello sforzo di mantenere il proprio regime dittatoriale a partito unico, il Partito comunista cinese ha svenduto alle forze internazionali cose molto più grandi, tradendo territori e interessi molto più vasti di quelle isole. Dovremmo essere ancora più preoccupati per i diritti e agli interessi dei cinesi comuni. In questo c’è il futuro della Cina. In questo ritroviamo la questione più importante e rilevante per il destino del nostro popolo. Sto parlando del dibattito sulla risoluzione che impone sanzioni commerciali discussa all’interno del Congresso americano (H.R. 2378). Anche se la bilancia commerciale fra Stati Uniti e Cina ha ingrassato un gruppo
D
di capitalisti, arricchendo in maniera indiretta un gruppo di cattivi politici americani, gli Usa rimangono una nazione democratica che cerca di mettere la propria popolazione al primo posto. Quando aumenta lo scontento popolare, sempre più politici devono mettersi al fianco dei cittadini: oppure sono costretti a lasciare il posto che occupano. Anche se la H.R. 2378 non è ancora arrivata al Senato per essere votata, la risoluzione è stata già sottoscritta da almeno la metà di tutti i rappresentanti del popolo americano. Anche se il mondo commerciale che incarna gli interessi delle grandi aziende e del Partito comunista cinese ha compiuto una fortissima operazione di lobby contro la risoluzione, per una volta ha fallito. Il motivo che spinge gli americani a bilanciare il commercio con la Cina, e eliminare il deficit commerciale, è ovvio. Si tratta di restaurare la vitalità dell’economia americana e
uscire dalla crisi economica. Molte persone sanno che la crisi economica è stata causata dall’enorme deficit commerciale con l’estero, mantenuto per un lungo periodo di tempo. La causa principale di questo deficit è ascrivibile all’irragionevole prezzo del lavoro, estrema-
me fa il governo cinese. La seconda è quella di mantenere sotto il prezzo del mercato la propria valuta, lo yuan renminbi. Se la valuta cinese è sottostimata anche il prezzo di tutte le esportazioni cinese lo è, e questo lo rende artificialmente molto competitivo. Questa è la vera ragione per cui i beni cinesi – di qualità bassa, dal marchio falso e scadenti – possono riempire i mercati occidentali. In realtà la Cina non ha molti prodotti che possano rispondere agli standard internazionali: ma esistono molti più prodotti che si affidano esclusivamente al prezzo stracciato per divenire competitivi. Questa attività ha provocato due strani fenomeni globali, nell’ultimo decennio. Il primo è che la qualità dei prodotti è andata peggiorando. Il secondo è che il benessere ha iniziato a concentrarsi di più. Da una parte le nazioni ricche diventano povere e quelle povere si arricchiscono; dall’altra i ricchi diventano
Gli americani vogliono eliminare il deficit economico con l’Asia dell’est per riequilibrare la produttività e l’occupazione mente basso, mantenuto in Cina dal regime comunista cinese. Per ottenere questo risultato ci sono due strade principali. La prima è quella di sopprimere i sindacati e i movimenti per i diritti umani, esattamente co-
sempre più ricchi mentre i poveri diventano più poveri. Il Pil cresce, ma i consumi di mercato sembrano in declino o persino stagnanti. Questa asimmetria fra produzione e consumo è la causa principale dell’intera crisi economica.
Uno strumento importante per esportare questo squilibrio commerciale al mondo intero deriva dalla partecipazione congiunta fra il mercato delle esportazioni cinese e il capitale occidentale. Un prodotto che viene dal lavoro a basso costo della Cina rimpiazza un lavoratore americano, che costerebbe come stipedio da 20 a 50 volte di più. In questo modo, anche se i prodotti sono venduti alla metà del prezzo, il profitto è cresciuto in maniera significativa, mentre il consumo condiviso diminuisce. Dove è andato il denaro? Nella rapida crescita della ricchezza di alcuni selezionati individui in giro per il mondo. Se aumentasse la ricchezza della classe media o dei poveri, il mercato dei consuma-
6 ottobre 2010 • pagina 19
Come al solito, l’Unione europea marcia in ordine sparso
Mentre l’Europa tace e applaude gli emissari di Pechino di Vincenzo Faccioli Pintozzi a considerazione, alla fine, è quasi sempre la stessa: l’Europa - intesa in senso comunitario - ha perso il treno asiatico ed è complicato pensare che possa salirvi sopra mentre questo corre veloce. Superfluo dire che corre in direzione degli Stati Uniti e, in seconda battuta, verso l’Africa. La considerazione è corroborata dai fatti: mentre Washington combatte strenuamente la propria “guerra dello yuan”, cercando di costringere Pechino a rivalutare la propria moneta per riequlibrare il disavanzo commerciale, Bruxelles osserva e a volte (ma solo a volte) si limita ad applaudire uno dei due contendenti. Più spesso i cinesi, va detto, ma con neanche troppo entusiasmo. Nei giorni scorsi, l’Europarlamento ha ospitato i leader dell’Asia orientale per una serie di confronti con la Commissione e con i membri dell’Assemblea del Vecchio Continente. Invece di spingere per creare un rapporto di forza fra le due capitali, sostanzialmente, gli europei hanno fatto da palcoscenico per la ripresa dei colloqui fra Cina e Giappone e hanno offerto la scrivania ai propri industriali, chiamati a firmare accordi commerciali. In effetti, la buona notizia che viene dal cuore dell’Europa riguarda l’estremo Oriente del mondo: Giappone e Cina hanno deciso di tornare a parlarsi direttamente. I rispettivi premier, Naoto Kan e Wen Jiabao hanno avuto un breve colloquio a Bruxelles, a margine del vertice Asia-Europa (Asem), concordando sulla «necessità di rafforzare le relazioni bilaterali». Tokyo e Pechino, ha riferito Kan poco prima del suo rientro anticipato per seguire il passaggio parlamentare delle misure a sostegno dell’economia, «riavvieranno colloqui ai livelli più alti su base regolare e convengono sull’opportunità di evitare il deteriora-
L
La sede del Congresso Usa. In basso, Wei Jingsheng. A destra Barroso e, nella pagina a fianco, Wen Jiabao prodotti di largo consumo in Occidente, mentre assicurano in Cina un impiego per i lavoratori. Quella che sembra una teoria corretta è in realtà falsa, come prova l’attuale crisi.
tori crescerebbe. Aumentare la ricchezza di chi era già ricco, invece, non ottiene questo risultato. Questi ricchi, infatti, mettono la propria ricchezza in investimenti e nel mercato finanziario. Questo falso investimento È la fonte maggiore della crisi economica: c’è un surplus di capitali e di produzione a cui la capacità di consumo del mercato globale non può rispondere. Il lavoro a basso costo, in Cina, viene mantenuto grazie ai soprusi ai danni dei lavoratori e tramite il mantenimento a bassi livelli della valuta. Tuttavia, soltanto con un alto mercato dei prezzi in Occidente si può realizzare il massimo profitto. Così, il modello cinese ha adottato il principio base del marxismo: la democrazia occidentale è una democrazia di capitalisti. Tramite la condivisione dei benefici, sono riusciti a comprarsi questi capitalisti occidentali, aiutandoli inoltre a comprare i politici occidentali e controllando così, per il Partito comunista, la politica occidentale. In questo frangente, Deng Xiaoping è più marxista di Josip Stalin o Mao Zedong. Ma Marx era più un cini-
co che uno studioso. Le sue teorie devono essere riviste per applicarle alla realtà. Quando i politici controllati in Occidente hanno le fattezze dei nazisti o del Partito comunista, possono avere loro stessi dei problemi. Né il denaro né il potere posso-
Mentre i consumatori occidentali hanno di fatto beneficiato per più di un decennio di beni di consumo a basso prezzo, è stato proprio questo irrazionale iper-consumo che li ha privati del loro lavoro. E molte persone non possono più permettersi neanche i beni a basso costo. La situazione della Cina è ancora più tragica. Secondo le stesse statistiche del governo cinese, il livello di consumo del popolo cinese non è cresciuto in accordo con la crescita della produzione. Per usare le parole gentili di un esperto accademico: la Cina è la fabbrica per il mondo intero. Il valore perduto dal mercato del consumo è divenuto la ricchezza dei capitalisti e dei dirigenti corrotti della Cina e del mondo. È per questo che molti cinesi hanno iniziato a rimpiangere l’era di Mao. Il fatto è che le idee di Mao e i suoi modi di fare sono già arrivati alla loro fine, e si sono dimostrati sbagliati molto tempo fa. E ora sono le idee e i modi di fare di Deng Xiaoping che stanno arrivando alla fine. Se si vuole che la Cina abbia un normale sviluppo, che sia sostenibile, dobbiamo lasciare che il popolo viva una vita normale che incontri la sua abilità produttiva.
Il Partito comunista sa benissimo che alzando il valore valutario la società interna si ribellerà: ecco perché non cede no chiudere la bocca della popolazione. Questa è l’importanza del diritto di parola. Questa è l’essenza della democrazia di tipo occidentale. E questo è il motivo che ha portato gli Stati Uniti ad approvare sanzioni commerciali contro la Cina. Il Partito ha sempre continuato a cercare di diffondere l’opinione secondo cui l’attuale stato dei rapporti commerciali sinoamericani mantengono bassi i
mento delle legami reciproci, migliorare i rapporti bilaterali in termini di promozione dello sviluppo in settori strategici nell’ottica di una relazione reciprocamente benefica e riprendere gli interscambi culturali e civili».
Kan, riferendo dell’incontro di 25 minuti avvenuto in un corridoio al di fuori della sede della conferenza dopo una cena di lavoro, ha spiegato di aver ribadito alla controparte cinese che le isole di Senkaku «sono parte integrante del territorio del Giappone». Parliamo di isolette minuscole, ricche di gas ma contese da ben sette nazioni, che Cina e Giappone usano come pretesto in maniera ciclica per battibeccare. Niente di niente, invece, nel campo di un rapporto diplomatico o economico più stretto fra il Vecchio continente e l’Impero di Mezzo. Certo, ovviamente arrivano le solite dichiarazioni di grande amicizia, di importanza “vitale” dei rapporti bilaterali e gli inviti a “superare i ponti”. Ma sono chiacchiere, fatte di aria e poco più. In Cina fanno la parte della tigre i tedeschi (non in quanto europei, ma proprio perché tedeschi) che non intendono mollare il loro caposaldo - Shanghai dove il lungomare principale si chiama Bund. Nome poco cinese, che ricorda il periodo delle concessioni alle potenze straniere che, in cambio, costruirono le città. In sostanza, stiamo guardando passare il treno dove a volte il passeggero è tedesco - più raramente olandese o francese - e dove la bandiera con le stelle sullo sfondo blu (stelle tra l’altro in continua evoluzione) non viene issata praticamente mai. È per questa mancanza di strategia comune, che poi è il biglietto per il treno, che l’Europa non partirà mai.
cultura
pagina 20 • 6 ottobre 2010
Reportage. Suggestioni, paradossi e contraddizioni del Paese che Borges amava definire «quella strana Europa rovesciata dall’altra parte del mondo»
L’Argentina va in Germania Viaggio letterario nella Buenos Aires contemporanea, ospite ufficiale della Fiera del libro di Francoforte di Marco Ferrari li echi delle musiche di Carlos Gardel, Francisco Canaro, Roberto Firpo e Igracio Corsini, ancora si stampano nelle volte della più grande libreria di Buenos Aires, El Ateneo, in Santa Fe, ospitata nell’ex Teatro Gran Spendid, un eclettico edificio disegnato dagli architetti Peró e Torres Armengol con gli affreschi di Nazareno Orlandi e le statue di Troiano Troiani. Nessun altro posto, se non questo, potrebbe spiegare l’intreccio tra la malinconia del tango e la fantasia della letteratura argentina con gli scaffali che invadono il palcoscenico, le gallerie e i palchi in una armonia di spazi che sembra uniformare i passi perduti della triste danza con le pagine eclettiche dei libri. Argentina, paese dei paradossi, per dirla con Maria Seoane, edito da Laterza, è ospite della Fiera di Francoforte che apre i battenti oggi, un omaggio al bicentenario dell’indipendenza del Paese dell’America Latina, «quella strana Europa rovesciata dall’altra parte del mondo», come usava dire Jorge Luis Borges.
G
Sulle sponde del Rio de la Plata il 55% degli abitanti porta cognome italiano, un milione di cittadini rivendica il passaporto tricolore, ma l’Europa resta un miraggio. L’Italia non c’è più, non ha più una presenza consistente fatta di scuole, licei, ospedali, librerie, organizzazioni operaie, associazioni, scuole di lingua. Ora c’è solo Rai International a rappresentarci. La disperata catena di disgrazie che ha caratterizzato il sogno dell’emigrazione italiana (colpi di stato, desaparecidos, dittature, crisi finanziarie, crolli bancari, corruzione) ha demolito la quinta potenza mondiale all’inizio del ventesimo secolo che, sino all’età di Arturo Frondizi da Gubbio, diventato presidente della Repubblica nel 1958, era considerato uno
dei paesi più sviluppati con una crescita del 6% l’anno, l’assorbimento di manodopera europea, il granaio del mondo. Prima della decadenza l’Università di Buenos Aires sfornava cervelli e era all’avanguardia nell’informatica e nella medicina; nascevano la Scuola d’Arte Drammatica e il Museo d’Arte Contemporanea, artisti sperimentali, realisti e surrealisti come Antonio Berni, Romulo Macciò, Ricardo Carpani, Luis Filipo Noé vincevano concorsi
Le strade, gli angoli, i giardini della città conducono ai suoi antichi caffè, alle librerie antiquarie e ai suoi colossali teatri internazionali, Borges diventava il punto di riferimento della cultura nazionale e Astor Piazzola, sangue di Trani e Lucca, donava al tango l’incanto di una musica interiore. L’Argentina rappresentava la punta della cultura ispanica, poiché a Madrid regnava l’oscura ditta-
tura franchista, e persino di quella italiana che cercava sbocchi alla sua endemica emarginazione. Poi l’Argentina gettò al vento la propria fortuna con una democrazia ostaggio dei reggimenti militari. La lunga e pesante dittatura dal 1976 all’83 ha spostato all’estero gran parte delle intelligenze della cultura porteña dopo l’assassinio di Haroldo Conti e Roberto Santoro. Così Osvaldo Soriano, Osvaldo Lamborghini, Mempo Giardinelli, Rolo Diez, Juan Gelman, Homberto Constantini e Antonio Di Benedetto hanno continuato a pubblicare le loro opere in quei paesi, segnatamente Italia, Spagna e Francia, dove aveva trovato rifugio.Tangos, l’esilio di Gardel, il film di Fernando Solanas del 1985 è forse la miglior rappresentazione di quel disagio e di quell’impotenza di fronte alle atrocità militari.
L’Argentina di oggi, sospesa tra il desiderio di appartenere al Primo Mondo e le criticità endemiche della propria cultura politica e finanziaria, prima di tutte il gigantesco debito estero, resta appunto un paradosso. E la sua letteratura che si presenta compatta a Fran-
A fianco, un’immagine di Francoforte, che da oggi ospiterà la nuova edizione della Fiera del libro. Paese ospite sarà quest’anno l’Argentina, in occasione del bicentenario dell’indipendenza. A destra, un’illustrazione del tango, tra i simoboli del Paese sudamericano. In basso, Gutenberg
coforte con 60 scrittori e oltre 300 eventi non può che testimoniare le contraddizione di una nazione divisa tra la sua collocazione geografica latina-americana e il suo cromosoma completamente europeo, prevalentemente italiano e spagnolo. Nata negli anni Ottanta dell’Ottocento, trovando in figure come Estanislao del Campo, José Hernandez e Hilario Ascasubi i primi punti di riferimento, ammantata di gauchismo, la letteratura argentina
raggiunse la propria maturità solo nel secondo dopoguerra con Borges, Arlt, Cortázar, Sabato, Ocampo e Maréchal, il cui capolavoro Adán Buenosayres è stato tradotto per la prima volta in Italia in questi giorni dalla rinata Vallecchi. Da allora la scrittura si è sostanzialmente divisa in due tendenze: la prima, guidata appunta da Borges, orientata al metafisico (Horacio Salas, Alejandra Pizarnik, Ramon Plaza), la seconda più al caos urbano (Marco
7mila case editrici, 110 Paesi partecipanti, 2.500 manifestazioni e 300mila visitatori
Tutti i numeri della rassegna Settemila case editrici, 110 Paesi partecipanti, 2.500 manifestazioni, più di 300mila visitatori. Sono questi i numeri della Fiera del Libro di Francoforte, la principale del mondo dedicata alla cultura, che si tiene da oggi a domenica. Praticamente, girellando tra gli stand del palafiere, si può compiere il tragitto letterario completo del pianeta: editori, scrittori, poeti, traduttori, visi-
tatori, librai da ogni parte del globo si incontrano, si confrontano tra centinaia di migliaia di libri, non solo cartacei ma anche multimediali, riviste, mappe e opere d’arte.
Ma soprattutto Francoforte è l’occasione principale per vendere e acquistare prodotti editoriali di diversi paesi. La prima fiera del libro venne istituita nel 1948 a Lipsia, centro dell’indu-
stria dei libri e dell’editoria, ma di una mostra mercato dedicata ai libri si parlava già nel 1462, poco dopo l’invenzione della stampa di Johannes Gutenberg a Magonza, vicino a Francoforte. Eppure quando la città di Lipsia entrò a far parte dei territori dell’Est, dopo la divisione della Germania nel 1949, Francoforte accolse definitivamente la Buchmesse. La prima edizione si tenne in un angolo di una
cultura
6 ottobre 2010 • pagina 21
so letterario di palpitanti eroi di carta che popolano la fantasia dei lettori, nonostante i rivolgimenti urbanistici della città: eccoci in Calle Montesquieu di Assassini dei giorni di festa di Marco Denevi o nel quartiere ebraico di Once del suo capolavoro Rosaura alle dieci, nella lunga Avenida de Majo di Pablo de Santis, nel barrio di Belgrano con Ernesto Sabato, nel reticolo di Villa Crespo con Maréchal, nelle eleganti librerie di Alberto Manguel, nelle desolate periferie e nelle villa miseria con Elsa Osorio e Rodolfo Walsh, nella metropolitana con Julio Cortázar, tra gli psicologi di Samanta Schweblin, i negozi di Anna Kazumi Stahl e gli atletici ritrovi di César Aira. Ma è il percorso quotidiano di Jorge Luis Borges a dominare il mosaico della città dell’Aleph, il luogo dove si trovano, senza confondersi, tutti i luoghi della terra, visti da tutti gli angoli, miraggio colto tra il terzo e il quarto gradino di una scala di uno scantinato in via Garay.
Denevi, Marta Lynch, Abelardo Castello, Manuel Puig). Buenos Aires, città con il maggior numero di psicologici in rapporto alla popolazione, è il teatro della felicità e della disperazione, il labirinto delle identità perdute, palcoscenico di una nazione che soffre di sradicamento e che vive di miti fragili come Evita, Gardel, Che Guevara e Maradona.
Le strade, gli angoli, i giardini, i palazzi della metropoli
libreria messa a disposizione da un noto librario tedesco che presentò a quasi 14mila spettatori più di 8mila titoli. Il successo fu davvero inaspettato e si decise di trasferire la manifestazione in un luogo più adatto, pronto ad accogliere i numerosi editori, gli scrittori e le migliaia di lettori. Oggi la Buchmesse è la fiera del libro più importante ospitata in un enorme complesso nel centro della città. La fiera si estende su una superficie di 474mila metri quadrati, distribuiti in dieci padiglioni: i più spettacolari sono il padiglione 2, il salone delle feste, la Festhalle, con il tetto a
porteña conducono inevitabilmente ad un libro come i suoi antichi caffè, il Tortoni, prima di tutti, le libreria antiquarie, il Ventanal tra tante e i suoi colossali teatri con il testa il Colón. Il tango vive delle strade, nelle tane di milonga, nelle case chiuse e nei vecchi postriboli diventati alberghi a ore mentre il lunfardo, il dialetto inventato dagli italiani per giocarsi dei poliziotti, è oramai una lingua di memoria di portuali, magnaccia e malavitosi in
cupola che raggiunge i 40 metri e che ospita tutti gli eventi eccezionali, e il padiglione 5, su due piani, che vanta una struttura capace di ospitare manifestazioni importanti.
A guardia del complesso c’è la Torre della Fiera, opera dell’architetto Helmut Jahn, oggi adibita a uffici. Nell’edizione di quest’anno, il cui ospite d’onore è l’Argentina, grande spazio verrà dato all’editoria del libro digitale con due progetti multimediali: Frankfurt Hot Spots e Frankfurt Story Drive dedicati alle pubblicazioni che mostrano i dispositivi di ultima gene-
pensione. Anche il quartiere della Boca è solo un monumento alla genovesità perduta di questa città che assomiglia tanto al capoluogo ligure che, in fondo, la ha generata come origine di ogni piroscafo, ogni viaggio atlantico, dei sogni e delle nuove identità di cui andavano in cerca i nostri poveri emigranti.
Ad ogni calle dove risuona il sorso lamento di un bandoneón corrisponde un verso o un pasrazione come l’i-Pad e l’e-reading. Tra i protagonisti della scena internazionale spiccano i nomi di Jonathan Franzen, Ken Follett, Richard David Precht, Umberto Eco che presenterà il suo nuovo libro Il cimitero di Praga e il premio Nobel tedesco Günter Grass. Notevole è anche la presenza dell’editoria italiana, che si posizionerà nel padiglione 5 dedicato alla letteratura mediterranea e latina nello spazio chiamato “Punto Italia”. Tra gli ospiti Silvia Avallone, Daria Bignardi, Vincenzo Consolo, Giancarlo de Cataldo, Caterina Bonvicini. (m.f.)
Il quadrato urbano di Borges era formato di pochi isolati, misura in voga da quelle parti, dove gli edifici hanno dimensioni identiche e dunque gli angoli hanno più o meno la stessa distanza. Ha vissuto per quaranta anni in calle Maipu 994 in un bilocale con cucinotto al sesto piano di un elegante palazzo con una scala a chiocciola guardando la diritta strada che portava fuori dall’urbanistica e dentro la letteratura. Viaggiatore sedentario, dopo il periodo di erudizione passato in Europa, lettore accanito, bibliografo d’eccezione, omericamente cieco, negletto ai generali e guardato con sospetto dalla sinistra, Borges è diventato il conservatore della memoria argentina grazie al suo lavoro di direttore della Biblioteca Nazionale, una volta ubicata in calle Mexico. Si muoveva poco con l’ausilio del bastone acquistato in Egitto in luoghi consolidati al suo silenzio di sguardi: la solita panchina in Plaza San Martin sotto un albero di jacaranda attorniato dai piccioni, lo storico edificio Kavanagh, la Galeria dell’Est dove sedeva nella minuscola Libreria La Ciudad della signora Elizabeth Blast per dettarle e farle correggere i suoi scritti, una capatina di fronte alla casa natale in Tucuman, due passi
sulla peatonal di Florida per farsi raccontare dai librai le ultime uscite della settimana. Non stupisce quindi che il Centro Culturale Jorge Luis Borges sia ospitato oggi all’ultimo piano di un polo commerciale moderno, il Pacifico, tra calle Valmonte e San Martin all’angolo con Florida, la via più calpestata della capitale porteña. Anche se il cuore pulsante della sua strategia letteraria è a Palermo Viejo, quartiere diviso dall’altra Palermo dalla grande Avenida Santa Fe, notturno cuore mitologico della città con locali, bar, ristoranti e negozi di artigianato. Il barrio e una strada portano il nome dello scrittore che qui visse da giovane in calle Serrano, tra Paraguay e Guatemala, in una casa che la modernità ha demolito. Non ci sono più memorie di quel labirinto d’ombre dove il gaucho si fece porteño portando con sé, dalla campagna, il coltello, le donne da strada, l’odore delle stalle, i primi vagiti del tango e lo spavento dello spaesamento, il perdersi all’altro capo del mondo. I vicoli Bollini e Russell, che furono i suoi preferiti, conservano le facciate bianche e rosa delle case dove ambientò il racconto Juan Muraña. Non lontano, al civico 3784 di Honduras si incontra la casa, oggi biblioteca municipale, di Evaristo Carriego, «il primo spettatore - secondo Borges - dei nostri quartieri poveri». A pochi metri di distanza, Borges situa il punto esatto della “Fundaciòn mitica de Buenos Aires”. L’altra Palermo, che deve il nome ad un grossista siciliano di carne, tra il Giardino Botanico e il Giardino Zoologico, ospita palmeti, aree verdi, giochi per bambini, bar affollati, crocchi di persone e una luce obliqua riflesso del Rio de La Plata. Oggi alti grattacieli sembrano soffiare sul vento della storia e portarla via. La memoria dei giorni allegri e tristi dell’Argentina sta solo nei libri, nel labirinto della scrittura a cui ci conducono tanti scrittori di oggi, figli legittimi o adottivi di Borges, artefici della cultura letteraria argentina.
I loro padri storici sono quasi tutti al Cimitero della Recoleta, luogo di raccoglimento di Borges , anche se le sue spoglie sono al Plain Palais di Ginevra, città dove morì di cancro al fegato nel 1986. Alla Recoleta, dove passeggiava con Adolfo Bioy Casares, Silvina e Victoria Ocampo, Leopoldo Maréchal, ha preferito non porre per sempre le proprie ossa offeso dalle ferite eterne della dittatura, dei desaparecidos e della stupida guerra delle Malvine.
o p i n i o n ic o m m e n t il e t t e r ep r o t e s t eg i u d i z ip r o p o s t es u g g e r i m e n t ib l o g L’IMMAGINE
Lo Stato provvidenza tratta gli individui da minorenni incapaci L’individualismo non è egoismo. L’avanzamento morale ed economico dell’umanità deriva specialmente dall’individuo operoso, responsabile e originale, che rispetta i diritti altrui e assume un comportamento leale nella gara della vita e nei rapporti umani. Alcuni sedicenti altruisti sono i più accaniti egoisti. I pubblici poteri trattano i cittadini come minorenni incapaci e restringono l’area dei liberi contratti privati, mediante l’elefantiasi legislativa. Il dirigismo espande le prerogative dello Stato ed emargina i singoli. Stalin ammazzò più kulaki che Hitler ebrei: fu la soppressione della volontà individuale e della proprietà individuale. Il dirigismo riduce la libertà e redistribuisce: innalza i bassi e deprime gli alti. Così abbassa il livello generale, specie per disincentivo dell’operosità. Lo Stato provvidenza promette la liberazione da fatiche e sacrifici. Ma i bisogni sono illimitati: per soddisfarli “dalla culla alla bara”, occorrerebbero risorse infinite. Il collettivismo deresponsabilizza e sposta le disuguaglianze economiche e sociali, senza attenuarle. Lo spirito d’intrapresa risulta oppresso dall’eccedente fiscalità e dai debordanti adempimenti burocratici obbligatori. Il sindacato pretende di decidere o interferire in qualsiasi problema nazionale.
Gianfranco Nìbale
LO SPORT PER TUTTI Lo sport praticato da bambini, anziani, diversamente abili, è un fatto universale di socialità e civiltà. Essere in movimento serve a stare meglio, a migliorare la qualità della vita: nei Paesi più poveri, tra i bambini dei campi profughi, l’attività motoria spesso equivale all’unica speranza, a un momento di recupero della dignità umana. Gridiamo e mostriamo la nostra indignazione nei confronti dell’inerzia dei governi.
Filippo Fossati
INAMISSIBILE RISCHIARE LA VITA PER IL DIRITTO DI PAROLA L’agguato, fortunatamente fallito, a Maurizio Belpietro è un pessimo segnale che non fa sperare nulla di buono per il futuro. Piena e completa solidarietà al direttore di
Libero. Esiste purtroppo una frangia assolutamente minoritaria di individui che confondono fisiologici episodi di polemica politica propri di un sistema democratico vitale, con un’autorizzazione all’aggressione fisica. È inammissibile che un giornalista rischi la vita per esercitare un diritto fondamentale della nostra democrazia, quello di informare i lettori e di esercitare la libertà di pensiero e di parola.
Lettera firmata
I VAGITI DI IDIL, LA FORZA DELLA VITA Le dita sottilissime strette a pugno, quasi a sottintendere che non rinuncerà al dono della vita: ecco l’ esempio bellissimo di un esserino minuscolo che lotta come un adulto. Mi riferisco a quella bimba di Torino, nata da una madre in coma e clinicamente morta da un mese, che ha visto la
Specchio delle mie brame... Potrebbe sembrare assorto a specchiarsi nell’acqua. Invece questo vespertilio di Daubenton è preso dalle operazioni serali di caccia. All’imbrunire il pipistrello esce dal suo nascondiglio e, individuata la preda, l’afferra con la coda membranosa e i lunghi piedi, e piegandosi la porta alla bocca
sua vita iniziare in anticipo. Fa tanto piacere notare che ci sono presidi sanitari che assistono e proteggono i cittadini. La vita è sacra. A Idil (che porta il nome della madre deceduta) e a tutti gli altri bimbi, ai genitori, ai nonni abbiamo il dovere di donare un mondo migliore e di assicurare le migliori condizioni di vita, di salute, di lavoro, di ambiente. Presenti e future.
Domenico e Giuseppe
UNA SINERGIA ALTERNATIVA Per costruire un’alternativa all’attuale
L’OCCHIO DEL MONDO - Le opinioni della stampa internazionale a cura di Pierre Chiartano
maggioranza di governo è necessario lavorare nei prossimi tre anni. Oggi è ancora prematuro. E l’alternativa può costruirsi per mezzo di una sinergia fra laici, repubblicani, liberali, finiani di Futuro e Libertà, Udc e Api, capaci di coalizzarsi per un progetto di riforma che preveda almeno cinque punti: abolizione delle Province; riduzione della spesa pubblica improduttiva; riduzione delle imposte a due o tre aliquote; separazione delle carriere dei magistrati e spoliticizzazzione del Csm.
Luca Bagatin
da ”Spiegel online” del 05/10/10
Pronto a rientrare nella mischia pakistana l tempo dei golpe militari appartiene al passato» lo afferma l’ex presidente pakistano Pervez Musharraf intervistato dallo Spiegel. Anche se la pessima gestione del governo di Asif Ali Zardari riguardo la disastrosa alluvione che ha colpito il Paese, non ci dovremmo aspettare alcun colpo di mano da parte degli uomini in divisa. Anche se il Paese è in una fase molto turbolenta e la gente guarda ai militari, per l’ex generale l’evoluzione politica non lo permetterebbe più.
munque il militare diventato presidente ha le idee piuttosto chiare sul perché abbia deciso un suo ritorno in Pakistan. Nei suoi frequenti viaggi a Dubai ha avuto occasione di incontrare molti connazionali, ha aperto un profilo Facebook con 315mila fan. Durante una trasmissione televisiva che promuoveva una sua iniziativa per la raccolta di fondi a favore delle vittime dell’alluvione, in tanti hanno fatto una donazione. Sono stati raccolti 3,5 milioni di dollari. «Non penso che tutta quella gente lo abbia fatto perché mi odia». Ad ogni critica che gli viene posta, dalla guerra contro l’India del 1999, alla mancata protezione per Benazir Bhutto, alla rimozione di un giudice costituzionale, Musharraf ha una risposta plausibile. Pronto a rientrare in campo.
«I
«La Corte suprema si è posta un limite e non avallerebbe più un colpo di Stato dell’esercito» spiega l’ex presidente, che non vuole però dare alcun giudizio sulla condotta dell’attuale governo, né sull’azione politica del premier Yousuf Raza Gilani né su quella istituzionale del presidente Zardari. Insomma è in esilio, ma con un occhio ancora attento agli equilibri del Pakistan, pronto per il grande ritorno. Però non può non vedere «il declino economico del Paese in questi ultimi anni. La legge e l’ordine si stanno deteriorando a macchia di leopardo. L’estremismo sta crescendo, così come le turbolenze politiche». Musharraf ha parole d’elogio nei confronti del nuovo capo delle forze aramate, il generale Ashfaq Parvez Kayani. «L’ho nominato perché pensavo fosse l’uomo più adatto per quell’incarico» spiega l’ex presidente. Ma molti in Pakistan pensano che sia lui a tirare le fila del potere. In genere chi ha governato il Pakistan se perde il potere è de-
stinato a finire dietro le sbarre o ucciso dai suoi avversari politici. Ci si chiede come mai Musharraf, invece di godersi un tranquillo e sicuro esilio londinese, abbia deciso di fondare un nuovo partito e voglia ributtarsi nella mischia. «Nel mio Paese esiste la cultura della vendetta» risponde il vecchio generale, ma non pensa che il rischio non valga la candela. Inoltre non esisterebbe, al momento, alcun procedimento giudiziario contro di lui, né per corruzione né per frode. «Il mio acerrimo nemico Nawaz Sharif vorrebbe tanto portarmi in tribunale» confessa e non è detto che non riescano a costruire un caso giudiziario prima o poi. «Ma sono pronto ad affrontarlo in tribunale. È un rischio che devo prendermi». Co-
L’Occidente critica il Pakistan su tutto. Ma non si chiede perché «l’India si sia riarmata e abbia acquisito capacità nucleari. Oltre a massacrare la nostra gente nel Kashmir». «Gli Usa e la Germania fanno delle dichiarazioni che non significano nulla. Tutti sono interessati a trattare con l’India, ma nessuno lo fa col Pakistan che è considerato ancora uno Stato canaglia» la risposta piccata del generale. Anche l’appoggio ai gruppi indipendentisti del Kashmir era funzionale alla riapertura di dialogo con Delhi. E sulla vicenda afghana la storia ormai è quella che hanno già ben compreso a Washington: «dobbiamo pensare alla situazione dopo che l’Occidente avrà fatto le valigie».
opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog LE VERITÀ NASCOSTE
La Fiera ”Starting Over” e la polizza “WedLock” LONDRA. Il divorzio, oltre ad essere per molti versi traumatico, ha anche un aspetto non trascurabile: comporta spesso costi molto sostenuti. E se stare legati a un partner che non si ama più o sostenere le spese per il divorzio vi sembra come scegliere tra l’incudine e il martello, sappiate che c’è una terza via, da poco introdotta nel Regno Unito: l’assicurazione. Si stanno infatti diffondendo polizze che coprono i costi di divorzio, almeno in parte, e l’idea è venuta a un finanziere che ha imparato la lezione dall’esperienza diretta, vedendo il suo patrimonio “evaporare” al momento del suo divorzio, tra spese legali, alimenti, e così via. E così è nata “WedLock”, la polizza che protegge dal divorzio, che sta guada-
gnando successo… anche come regalo di nozze da parte degli amici delle coppie. Come prevedibile, non tutti ritengono che un’assicurazione di questo tipo sia una buona idea: il rischio, secondo alcuni, è quello di rendere molto più concreto del dovuto l’opzione-divorzio, in un certo senso “banalizzandola”. In Gran Bretagna è nata anche una fiera dedicata al divorzio, dove si possono incontrare gli “specialisti” che offrono servizi dedicati a chi si sta separando: avvocati, consulenti finanziari, ma anche personal trainer (per “ricostruirsi una vita”) e astrologi. La fiera si chiama “Starting Over” (“ricominciare da capo”). Gli organizzatori spiegano il motivo della fiera: «ci sono dovunque fiere dedi-
ACCADDE OGGI
LA GIUSTA PROTESTA DEI PANIFICATORI In genere quando un’associazione di categoria fa sentire il proprio dissenso contro l’apertura della professione ad altri soggetti, si storce il naso e si sente odore di corporativismo, cioè difesa di rendite di posizione, di privilegi contro chi si affaccia nuovo a quel tipo di attività e che minerebbe prezzi e qualità imposti dalla medesima corporazione. Non è così, invece, per la contestazione della Federazione italiana panificatori, che ha chiesto al ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, di modificare il decreto da poco firmato che consente agli agricoltori di produrre e vendere pane fresco. Gli agricoltori hanno un regime fiscale forfettario che si ferma al 15%, mentre nella panificazione artigianale, tra imposte dirette e indirette si arriva al 52% di tasse sul reddito trasformato. Non vi sembra un obbrobrio, un privilegio che mina la base di qualunque economia di mercato: l’uguaglianza davanti allo Stato e al fisco?
Vincenzo Donvito
RIDURRE LA SOFFERENZA DEGLI ANIMALI E AUMENTARE I CONTROLLI Per limitare le sofferenze inutili agli animali occorre promuovere metodi alternativi riconosciuti come più efficaci e più affidabili. L’espressione «metodi di sperimentazione alternativi a quelli animali» comprende anche test su cellule staminali embrionali umane, sperimentazioni contrastate ideologicamente, tanto che questa formulazione inizialmente prevista è saltata dall’ultima ver-
e di cronach di Ferdinando Adornato
Direttore Editoriale Ferdinando Adornato
6 ottobre 1928 Chiang Kai-Shek diventa presidente della Repubblica cinese 1929 In nove città viene giocata la prima giornata del primo Campionato di calcio di serie A a girone unico 1938 Il Gran Consiglio del Fascismo sulle leggi razziali pubblica la Dichiarazione sulla razza 1943 La città di Lanciano, unica in Abruzzo e nell’Italia centrale si ribella alla truppe tedesche 1944 L’Armata rossa entra in Slovacchia 1956 Il medico polacco Albert Bruce Sabin scopre il vaccino per la poliomielite 1966 L’Lsd viene dichiarato illegale negli Stati Uniti 1976 La cosiddetta Banda dei quattro in Cina viene arrestata accusata di un tentato colpo di Stato 1981 Nel corso di un attentato viene ucciso il presidente egiziano Anwar Sadat 1990 Elio e le Storie Tese tentano di entrare nel Guinness dei primati suonando per 12 ore consecutive Cara, ti amo
Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Giancristiano Desiderio, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria)
cate ai matrimoni, ma quando si divorzia c’è bisogno di molto più aiuto». Nonostante il tema “delicato”, la fiera vuole avere un’immagine positiva e allegra: ci sono spettacoli musicali, rinfreschi e anche uno spazio giochi per i bambini.
sione della direttiva europea recentemente approvata. Oltre a vietare definitivamente la sperimentazione sugli animali, si potrebbero effettuare visite di controllo ispettive nei locali dove vengono allevati o realizzati esperimenti senza preavviso da parte di parlamentari e consiglieri regionali in carica, per limitare ulteriormente la sperimentazione su primati non umani, cani e gatti e anche per permettere l’adozione degli animali al termine delle sperimentazioni.
Donatella
SÌ AL POTENZIAMENTO DEI COLLEGAMENTI NO ALL’AEROPORTO Per Renata Polverini il progetto di raddoppio della ferrovia Roma-Viterbo è funzionale solo alla realizzazione dell’aeroporto di Viterbo. La Polverini ha affermato che l’approvazione del progetto del nuovo scalo viterbese consentirebbe alla Regione di accedere ai fondi europei per il raddoppio del tratto ferroviario Roma-Civita Castellana-Viterbo. La presidente continua a giocare con numeri e parole: i Fondi europei destinati al raddoppio ferroviario già ci sono e i lavori potrebbero partire subito se la Giunta regionale non ne avesse bloccato il bando. Non ha alcun senso mettere in connessione la realizzazione delle due opere, una necessaria l’altra inutile. L’aeroporto di Viterbo non solo rischia di azzerare la vocazione turistica e agricola del territorio, ma avrebbe un impatto devastante sulla salute dei cittadini viterbesi.
Ivano e Fabio
Anselma Dell’Olio, Alex Di Gregorio Gianfranco De Turris, Rossella Fabiani, Pier Mario Fasanotti, Marco Ferrari, Aldo Forbice, Antonio Funiciello, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Roberto Genovesi, Aldo G. Ricci, Robert Kagan, Filippo La Porta,
Direttore da Washington Michael Novak
Inserto MOBYDICK (Gloria Piccioni)
Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Andrea Margelletti, Adriano Mazzoletti, Gabriella Mecucci,
Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Francesco D’Onofrio, Gennaro Malgieri Ufficio centrale Gloria Piccioni (direttore responsabile) Nicola Fano, Andrea Mancia, Errico Novi (vicedirettori) Antonella Giuli (vicecaporedattore) Franco Insardà, Luisa Arezzo Stefano Zaccagnini (grafica)
Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Collaboratori
Ernst Nolte, Emanuele Ottolenghi,
Maria Pia Ammirati, Mario Arpino,
Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci,
Bruno Babando, Giuseppe Baiocchi,
Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi,
Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi,
Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini,
IN RICORDO DEL PRESIDENTE COSSIGA (I PARTE) Con la scomparsa del presidente Francesco Cossiga, il nostro Paese ha perso uno straordinario uomo di Stato che tanto ha servito l’Italia, ricoprendo nella sua lunga carriera tutte le più alte cariche istituzionali. Egli stesso, nella lettera indirizzata al presidente Napolitano, ha reso la giusta immagine del suo impegno per il nostro Paese, definendosi servitore dello Stato, con animo religioso, passione civile e dedizione assoluta. Fu il primo ad accorgersi di come, dopo il crollo del muro di Berlino, i tempi stessero cambiando. Per primo intuì la crisi dei partiti e dell’intero sistema politico italiano. Le sue celebri picconate rappresentarono l’alto tentativo di avviare una seria riforma finalizzata a far evolvere il sistema politico e a rigenerare il Paese, per via politica e istituzionale, e non come poi avvenne attraverso la traumatica stagione di “Mani pulite”. Ma l’impegno del presidente Cossiga per il nostro Paese non terminò con il dissolversi della cosiddetta Prima Repubblica. E qui i ricordi del Cossiga riportati dai media, si mescolano in me, ai ricordi diretti che ho del Presidente, che ebbi l’onore di conoscere. La mia stessa passione per la politica e il mio impegno nascono guardando con grande interesse all’iniziativa politica che Cossiga mise in essere nella seconda metà degli anni Novanta, a partire dalle elezioni politiche che nel 1996 portarono l’Ulivo di Prodi al governo. In quegli anni Cossiga ideò e realizzò l’iniziativa politica dell’Udr, movimento politico che - risultando determinante per l’ascesa a palazzo Chigi di D’Alema segnò la fine di quella conventio ad escludendum che voleva comunisti, e post-comunisti, al di fuori del governo, realizzando, o aspirando a realizzare, con due decenni di ritardo quella democrazia compiuta teorizzata da Aldo Moro. Mario Angiolillo P R E S I D E N T E NA Z I O N A L E LI B E R A L GI O V A N I
APPUNTAMENTI OTTOBRE DOMENICA 10 ORE 10.30 - BENEVENTO - COMUNE DI CASALDUNI Ferdinando Adornato chiude i lavori della Festa Provinciale Udc… verso il Partito della Nazione “Come si costruisce il Partito della Nazione” ORE 16.00 - SALERNO - BAR MOKA - CORSO V. EMANUELE Ferdinando Adornato presenta Angelo Villani, nuovo Coordinatore Regionale della Campania dei Circoli Liberal… verso il Partito della Nazione VENERDÌ 15 ORE 11 - PALAZZO FERRAJOLI - ROMA Consiglio Nazionale Circoli liberal ORE 16.30 - FONDAZIONE LIBERAL - ROMA il presidente Ferdinando Adornato incontra i giovani dei Circoli SEGRETARIO
VINCENZO INVERSO NAZIONALE CIRCOLI LIBERAL
REGOLAMENTO E MODULO DI ADESIONE “VERSO IL PARTITO DELLA NAZIONE” SU WWW.LIBERAL.IT E WWW.LIBERALFONDAZIONE.IT (LINK CIRCOLI LIBERAL)
Società Editrice Edizioni de L’Indipendente s.r.l. via della Panetteria, 10 • 00187 Roma
Distributore esclusivo per l’Italia Parrini & C - Via di Santa Cornelia, 9 00060 Formello (Rm) - Tel. 06.90778.1
Amministratore Unico Ferdinando Adornato
Diffusione Ufficio centrale: Luigi D’Ulizia 06.69920542 • fax 06.69922118
Concessionaria di pubblicità e Iniziative speciali OCCIDENTE SPA Presidente: Emilio Bruno Lagrotta Amministratore delegato: Raffaele Izzo Consiglio di amministrazione: Ferdinando Adornato,Vincenzo Inverso, Domenico Kappler, Antonio Manzo Angelo Maria Sanza Amministrazione: Letizia Selli, Maria Pia Franco Ufficio pubblicità: 0669924747
John R. Bolton, Mauro Canali,
Gianfranco Polillo, Loretto Rafanelli,
Franco Cardini, Carlo G. Cereti,
Franco Ricordi, Carlo Ripa di Meana,
Enrico Cisnetto, Claudia Conforti,
Roselina Salemi, Katrin Schirner,
Angelo Crespi, Renato Cristin,
Emilio Spedicato, Davide Urso,
Tipografia: edizioni teletrasmesse New Poligraf Rome s.r.l. Stabilimento via della Mole Saracena 00065 Fiano Romano
Francesco D’Agostino, Reginald Dale
Marco Vallora, Sergio Valzania
Agenzia fotografica “LaPresse S.p.a.”
Abbonamenti
06.69924088 • fax 06.69921938 Semestrale 65 euro - Annuale 130 euro Sostenitore 200 euro c/c n° 54226618 intestato a “Edizioni de L’Indipendente srl” Copie arretrate 2,50 euro
Registrazione Tribunale di Salerno n. 919 del 9-05-95 - ISSN 1827-8817 La testata beneficia di contributi diretti di cui alla legge n. 250/90 e successive modifiche e integrazioni. Giornale di riferimento dell’Udc
e di cronach
via della Panetteria 10 • 00187 Roma Tel. 0 6 . 6 9 9 2 4 0 8 8 - 0 6 . 6 9 9 0 0 8 3 Fax. 0 6 . 6 9 92 1 9 3 8 email: redazione@liberal.it - Web: www.liberal.it
Questo numero è stato chiuso in redazione alle ore 19.30
ULTIMAPAGINA Qui accanto, gli schemi combinatori del grafene, minuscolo materiale a base di carbonio ideato dai russi Novoselov e Geim (in basso, nella foto). Ideato a partire dalla grafite, il materiale è così sottile da presentare due sole dimensioni
Rivoluzioni. L’Accademia assegna il premio per la fisica a Geim e Novoselov per l’invenzione del grafene
Il Nobel va alla plastica del di Francesco Lo Dico iceva il Gran Baffuto che non si può fare una rivoluzione portando i guanti di seta. Ma a leggere le motivazioni che assegnano il Nobel per la Fisica ai russissimi Geim e Novoselov se ne deduce un’importante lezione: al tempo di Soso non c’erano ancora quelli di lattice. Contemporanei, flessibili, aderenti come una seconda pelle, quelli dei due scienziati hanno maneggiato il materiale più piccolo del mondo. Lo hanno inventato loro, i due scienziati di stanza a Manchester che l’Accademia svedese ha insignito per le loro «ricerche rivoluzionarie». Geim e Novolesov lo hanno chiamato grafene, è semisconosciuto e fa pensare a un sofisticato sinonimo del temperamatite. Non sono in molti, ad avere capito bene a che cosa serve. Nè i loro padrini, aiutano granché. Anche perché ieri è andata in scena una specie di gag che manco Ionesco. Il comitato di Stoccolma contatta Geim, gli fa i complimenti di rito dopo avergli assegnato il premio con tanto di solenne motivazione, e poi lgi domanda a bruciapelo: «Bravissimo. Ma a cosa serve la vostra invenzione?». E Geim candido: «Non lo so. È come presentare un pezzo di plastica a un uomo di un secolo fa e chiedergli cosa ci si può fare. Un po’ di tutto, penso».
D
Ma fattasi la domanda, e datasi la marzulliana risposta, il grande busillis resta: «Si, ma a che cosa serve?». Escluso che si tratti di qualche speciale unguento per curare le follicoliti, il grafene può essere visto così: una materiale talmente minuscolo che ha due sole dimensioni. E se anche minuscolo dice poco, proviamoci così: per arrivare a un’altezza di un millimetro servono qualcosa come tre milioni di fogli di grafene affastellati uno sull’altro. Chi lo ha visto – al microscopio supponiamo – lo descrive come un enorme lenzuolo disegnato a celle di alveare. È formato da un elemento molto comune, il carbonio, ed è un buon conduttore di elettricità. Il comitato di Stoccolma, che pure arranca nell’individuarne gli utilizzatori finali, lo descrive come un materiale «sottile, resistente, leggero eppure densissimo, pratica-
FUTURO
proprio un lavoretto da terza elementare, perché la quasi invisibilità del grafene ha come tutti i materiali ultrasottili, la simpatica abitudine a disobbedire a tutte le leggi della fisica tradizionale. Dicevamo di una comune matita, ma non si trattava di un tipico aneddoto per stemperare il tedio del cerimoniale. Il grafene è infatti il figlio più piccolo della grafite, quel materiale scaglioso che tanto ci ha fatto penare nelle ore di Educazione tecnica. Come la punta della matita, il grafene è composto di sottilissimi strati. Che in linea teorica, sarebbero dovuti andare in mille pezzi perché privi di terza dimensione. E che invece, grazie a un insospettato moto ondulatorio, si tengono insieme a dispetto di tutti i calcoli. Grazie al grafene, se ne potranno presto fare di grossi, e in tempi incredibili. Innanzitutto perché la creazione di Geim e Novoselov è destinata a diventare la materia prima ufficiale dei transistor elettronici. Sarù dunque usata per schermi ulcomputer trasottili, pocket che più pocket non si può, pannelli solari, ma anche strumenti in grado di ravanare nel nostro dna, sensori in grado di captare anche singole molecole di gas velenosi e apparecchi elettronici indossabili come magliette. Il gruppo di ricerca del duo russo, prevede però che le prime applicazioni commerciali del grafene arriveranno soltanto nel 2025.
Chi ha visto il materiale lo descrive come un enorme lenzuolo disegnato a celle di alveare. È formato da un elemento molto comune, il carbonio, ed è un buon conduttore di elettricità. Presto cambierà la tecnologia, ma non solo
mente trasparente e flessibile». Quando fu ideato correva il 2004, e Science scrisse che l’unico limite di questa invenzione era la fantasia. Non ne hanno lesinato nemmeno loro, Andre Geim e Konstantin Novoselov, che hanno creato il grafene a partire da una punta di matita e del nastro adesivo. Non
Un’invenzione ancora giovane, dunque, che contrariamente ai protocolli svedesi, assegna il premio a un’invenzione dal grande futuro, piuttosto che a una dal grande avvenire dietro le spalle. Non l’unica peculiarità dell’edizione di quest’anno, perché con i suoi trentasei anni Novoselov è uno dei più precoci premi Nobel della storia. «Il futuro è nella plastica», esclamava Dustin Hoffman ne Il laureato. Era il 1967, ma il celebre motto dell’ingenuo studente da oggi mostra qualche ruga.