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Soltanto una cosa rende
di e h c a n cro
impossibile un sogno: la paura di fallire
Paulo Coelho 9 771827 881004
di Ferdinando Adornato
QUOTIDIANO • VENERDÌ 22 OTTOBRE 2010
DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK
L’Unione segue le orme del Nobel e premia il più noto dissidente anti-castrista
Dopo Liu, è l’ora di Farinas
L’Ue gli assegna il Sakharov. E lui: «Basta con la dittatura a Cuba» DA OSLO A STRASBURGO
DA FIDEL AL DISSENSO
DALLA PROFESSIONE ALLA RIVOLTA
Non fateli diventare Il paradosso dei premi-alibi di Santa Clara
Medico e scrittore, la vita di un simbolo
di Vincenzo Faccioli Pintozzi
di Luisa Arezzo
di Maurizio Stefanini
Il primo pensiero che viene in mente è che una doppietta simile non si vedeva da molto tempo. Ma il Nobel a Liu Xiaobo e il Sakharov a Farinas non bastano: i premi non sono un alibi. a pagina 2
È nella sua città, Santa Clara, che Guillermo Farinas ha saputo di aver vinto il premio Sacharov per i diritti umani assegnatogli dalla Ue. Santa Clara, la città simbolo di Che Guevara. a pagina 2
“El Coco” è un soprannome che nei paesi latino-americani di lingua spagnola si può dare per due ragioni: per la testa pelata come un cocco o per l’intelligenza. Farinas le ha entrambe. a pagina 5
Caos anche a Boscoreale dove i manifestanti bruciano il tricolore. E il capo della polizia avverte: «Siamo pronti a usare la forza»
Continuiamo a farci del male A Terzigno l’ennesimo giorno di guerriglia per i rifiuti. Un nuovo meraviglioso spot per l’immagine dell’Italia. Oggi si riunisce il governo: è ancora attrezzato per i miracoli? Inattesa presa di posizione sul debito
Identikit della base finiana che non vuole il Lodo
Trichet duro: «Così il Patto non va più bene»
Viaggio nel “nuovo” antiberlusconismo di destra
«La Bce non aderisce a tutti gli elementi del documento approvato dall’ultimo Ecofin»
di Riccardo Paradisi
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Massimo Ciullo • pagina 17
«Chiaro squilibrio a favore del governo»
L’Agcom diffida il Tg1: parla solo del premier L’Authority analizza i dati del 2010 e richiama anche il Tg4. Mentre Berlusconi chiede i danni a “Report” Francesco Lo Dico • pagina10 se1,00 gue a (10,00 pagina 9CON EURO
unque esiste anche un antiberlusconismo di destra, si son detti alcuni osservatori di superficie di quella strana e multiforme creatura che è la destra italiana e più in particolare la destra finiana, dopo che sul web, sui siti vicini al presidente della Camera, s’è materializzata una discreta massa critica di dissenso neofuturista verso il voto favorevole di Fli al nuovo lodo Alfano. Eppure sarebbe bastato ripercorrere anche solo a volo d’ucEppure cello la storia della destra italiana degli ultimi vent’anni o già in passato indagare con un poco d’atten- si erano zione la sua rielaborazione cul- registrati turale e politica, parlare con dissensi qualche suo militante, leggere qualche rivista d’area per co- e malumori gliere un diffuso e spesso acuto sentimento di diffidenza nei confronti del berlusconismo, inteso come categoria ideologica e antropologica.
di Franco Insardà
ROMA. Berlusconi riunio- geni da parte delle forze sce il governo sui rifiuti ma si guarda bene dal rimettere piede a Napoli. Con i cassonetti che traboccano di immondizia – e la rabbia della gente che monta ora dopo ora – l’accoglienza non sarebbe più delle migliori. Dopo una notte di tensione, a Terzigno gli scontri sono continuati ieri con lanci di sassi contro le forze dell’ordine di scorta ai mezzi che avevano sversato i rifiuti nella discarica e con il lancio di lacrimo-
I QUADERNI)
• ANNO XV •
NUMERO
dell’ordine. Gravissimo il bilancio: 12 agenti del reparto mobile di Napoli sono rimasti feriti, stessa sorte per altri 8 del reparto mobile di Bari. Danneggiati dai dimostranti 8 blindati della polizia, distrutti dalle fiamme 5 autocompattatori e 3 danneggiati. A Boscoreale, poi, un gruppo di persone armate di bastoni ha distrutto le vetrine di diversi negozi e bruciato il tricolore. a pagina 8 206 •
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• CHIUSO
a pagina 12 IN REDAZIONE ALLE ORE
19.30
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pagina 2 • 22 ottobre 2010
l’editoriale
Premi importanti, ma non siano alibi Il Nobel a Liu non basta per cambiare la Cina, e il Sakharov non aprirà la gabbia di Cuba di Vincenzo Faccioli Pintozzi l primo pensiero che viene in mente è che una doppietta del genere non si vedeva da molto tempo. Il Premio Nobel per la pace al dissidente cinese Liu Xiaobo e il Premio Sakharov per la libertà di espressione dell’Unione Europea a Guillermo Farinas, a distanza di due settimane, sembrano poter essere l’atteso segnale di riscossa dell’Occidente libero nei confronti delle dittature. Una sacrosanta ripresa dal torpore anche intellettuale che ha accompagnato le battaglie democratiche in Paesi come la Cina, Cuba, il Vietnam e la Corea del Nord. D’altra parte i due premiati - il primo docente universitario e autore del manifesto democratico Charta ’08 e il secondo medico, giornalista e grande oppositore (pacifico) del regime castrista a Cuba - sono figure di calibro enorme. Probabilmente, la prima “infornata” di dissidenti degni di questo nome dai
I
tempi della rivolta anti-sovietica. E i riconoscimenti alle loro importanti battaglie sono arrivati.
Ma ci sono altri segnali che non vanno sottovalutati, e pericoli che dobbiamo evitare se non vogliamo che il Nobel e il Sakharov rimangano targhe inutili in stanze disabitate, dato che i loro proprietari languono in carcere o in ospedale. Innanzitutto va registrato il silenzio del governo cubano, che non ha reagito (almeno, non nelle prime ore) al riconoscimento conferito dai Ventisette a uno dei loro peggiori nemici. Entrambi i Castro, con il loro silenzio, rappresentano uno sgradevole richiamo a quanto già accaduto alla dissidenza cubana nel 2005: allora a vincere il premio furono le “Signore in bianco”, mogli e madri dei prigionieri di coscienza de L’Havana. Ma l’Ue, dopo aver celebrato l’importanza della lo-
ro battaglia, le ha abbandonate a loro stesse. All’epoca le proteste di Cuba furono rilevanti e rumorose: l’Unione europea venne accusata di voler sovvertire la rivoluzione del Che. Oggi gli stessi governanti tacciono, forse perché hanno capito che al di là del simbolo non c’è nulla. Il rischio è che avvenga lo stesso anche questa volta, per i Caraibi come per la Cina. Se agli onori e ai denari di premi più o meno rilevanti non vengono accostate misure diplomatiche ed economiche tese a ridurre a più miti consigli le dittature ancora in vigore nel pianeta, si trasforma di fatto il gesto in un alibi. Per dire che «noi ci abbiamo provato» senza però voler rischiare di fare qualcosa di incisivo per sostenere dav-
vero chi lotta in nome di quei principi che hanno fatto grande la nostra cultura. Principi che parlano di libertà di espressione e di stato di diritto in primis. La politica, europea ed occidentale in genere, non deve cadere nel tranello: non deve ignorare il silenzio quasi beffardo dei dittatori cubani e non deve lasciare che la Cina continui a tenere in galera un uomo che, insieme, abbiamo scelto per rappresentare la libertà insita nell’essere umano di tutte le latitudini. Altrimenti il premio diventa un alibi con cui tutti noi mettiamo a tacere le nostre coscienze, mentre continuiamo a siglare accordi commerciali – utili quanto si vuole – con quei regimi che dovremmo invece combattere.
Il coraggio dei dissidenti merita qualcosa in più di una targa vuota che tacita la coscienza
il fatto Tutte le contraddizioni dell’isola governata da un regime comunista «dove il socialismo è fallito». Parola del lìder maximo
La vendetta di Santa Clara L’Ue dà il premio per la libertà di pensiero a Guillermo Farinas Nato nella città da cui è partita la Rivoluzione cubana di Fidel Castro di Luisa Arezzo nella sua città, Santa Clara, che Guillermo Farinas ha saputo di aver vinto il premio Sacharov per i diritti umani assegnatogli dal Parlamento Europeo. Santa Clara, la città simbolo di Che Guevara, che proprio qui, nel 1958, assaltò un treno carico d’armi destinate all’esercito di Fulgencio Batista, segnando le sorti di Cuba, e dove, al suo ingresso, ancora campeggia a caratteri cubitali una delle frasi simbolo dell’isola caraibica: Esta revoluciòn es immortal. Da ieri non è più così: perché dalla piccola cittadina il dissidente cubano Guillermo Farinas, che meno di due mesi fa era ancora in pericolo di vita dopo 135 giorni di digiuno, ha lanciato un urlo, «È tempo di libertà e democrazia per Cuba». Dando così corpo e voce alla protesta (e alle aspettative) di un paese che vede scricchiolare, giorno dopo giorno, sempre più il suo regime. Uno sgretolamento pro-
È
gressivo che lo stesso Fidel, nonostante le smentite di essere stato equivocato, non riesce più ad arginare. E che lo scorso otto settembre, al giornalista americano Jeffery Goldberg che gli chiede se il modello economico cubano sia ancora valido per essere esportato, gli fa dire: «Il modello cubano non va più bene neanche per noi».
E così, con una decisione che in seno alla Ue deve aver provocato non poco scompiglio (non dimentichiamoci che Lady Catherine Ashton, l’alto rappresentante per la politica estera, prima di ieri non aveva mai detto una parola su Cuba), il premio Sakharov, massimo riconoscimento per la libertà di pensiero, è stato
assegnato dal Parlamento europeo al dissidente cubano Guillermo Farinas. Il presidente dell’europarlamento, il polacco Jerzy Buzek (lo stesso che a settembre chiedeva a gran voce di liberare i dissidenti cubani) ha detto che spera di potergli consegnare «personalmente il premio qui a dicembre» (il 15, ndr.). E spero - ha aggiunto che con lui ci possano essere anche le vincitrici del 2005, le “Damas in Blanco”. Farinas, ha spiegato Buzek, «è stato pronto a rischiare la salute e la vita per la libertà di Cuba». Immediata la risposta di “Coco” (il soprannome di Farinas): «il mondo civilizzato, il Parlamento Europeo, stanno mandando un messaggio al governo di Cuba,
che è tempo per la democrazia e per la libertà di espressione». E nelle sue parole non poteva mancare il ricordo dei suoi compagni di lotta: «non credo che il premio sia per me, ma piuttosto per il popolo cubano, che negli scorsi 50 anni ha combattuto per liberarsi della dittatura con un’opposizione pacifica». La decisione inutile dirlo - non ha fatto invece gioire il regime dell’Havana che, dopo aver liberato diverse decine di prigionieri politici, sta cercando di migliorare i suoi rapporti con l’Unione Europea.
È la terza volta che il premio, che prende il nome dall’ultimo dissidente sovietico Andrei Sakharov ed è giunto alle ventiduesima edizione, viene consegnato ad un dissidente cubano. La prima volta fu premiato Oswaldo Paya nel 2002, mentre nel 2005 fu assegnato alle ”Damas de Blanco” (le Signore in bianco) un movi-
mento di opposizione al governo dell’Avana che riunisce le mogli e i familiari dei prigionieri per reati di opinione rinchiusi nelle carceri dell’isola. «È un atto di giustizia», ha commentato da Madrid Ricardo Gonzalez, il dissidente cubano del ”gruppo dei 75” scarcerati dal governo dell’Avana a luglio. Questo premio, ha aggiunto, «è un elogio alla posizione comune che l’Unione Europea dovrà continuare a tenere». Molte ombre si addensano su questo punto e già lunedì prossimo all’ordine del giorno di Bruxelles è stata inserita la questione Cuba. Sulla rimozione o meno di una scelta strategica che Bruxelles varò nel 1996, sotto l’impulso dell’allora presidente spagnolo José Maria Aznar, e che lega la cifra della cooperazione con l’Avana alla qualità dei diritti umani applicati sull’Isola.
Qualità che non raggiunge nemmeno la soglia della de-
la testimonianza Stringere accordi commerciali per cambiare le cose«non funziona con i dittatori»
«No, non è solo uno spot, facciamo sul serio» Mario Mauro, del Ppe, sottolinea: «Da oltre 20 anni Strasburgo combatte la dittatura dei fratelli Castro» di Pierre Chiartano opo un Nobel a un cinese era naturale che venisse il turno di un cubano, nel ranking dei riconscimenti internazionali ai testimoni della lotta per la libertà. Il dissidente anticastrista Guillermo Farinas è il vincitore del premio Sacharov, il massimo riconoscimento europeo consegnato dal Parlamento di Strasburgo per la libertà di pensiero. Abbiamo chiesto all’europarlamentare ed ex vicepresidente del Ppe Mario Mauro di commentare l’assegnazione del riconoscimento di Strasburgo. «Il premio è un grande tributo che va alla battaglia di libertà che combatte chi vive nella totale mancanza di diritti fondamentali. Una iniziativa che nasce nel Parlamento europeo per sostenere questo tipo di lotta. Non a caso il premio è intitolato ad Andrej Sacharov. È stato scelto Farinas, perché da molti anni il suo persecutore, la dittatura castrista, è una delle più dure. Tanto che in 20 anni il premio è stato assegnato ben tre volte ad esponenti cubani. L’ultimo era stato conferito alle dame bianche della protesta contro il regime. E queste donne non hanno ancora potuto ritirare il premio assegnato nel 2005. La verità e che la dittatura castrista, nonostante le ipotetiche aperture e gli interessi economici che premono per la rimozione delle sanzioni, è sempre più duro. È un sistema che anziché lasciarsi contaminare da una maggiore libertà, preferisce sopravvivere a se stesso». Certo che, in tempi di crisi economica, barattare i diritti civili per qualche buon contratto commerciale o per una valida entratura in un mercato in crescita, è moneta corrente. Il premio Nobel dato a un dissidente cinese un mese prima che Obama vada a chiedere a Pechino di comprare più debito Usa, o il riconoscimento europeo a un cubano, da parte di una Ue che poi agisce alla spicciolata e secondo interessi nazionali, potrebbe sembrare solo un modo per lavarsi la
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coscienza a buon mercato. L’europarlamentare non è così pessimista però. «Sono convinto che abbia una sua importanza la scelta di queste nomine. Anche se i risultati non sono una materia facilmente preventivabile. Primo, perché è la notizia a innescare un processo virtuoso e oggi è molto difficile da nascondere. Nonostante l’affanno del governo cinese nel blindare l’assegnazione del Nobel a Xiabo, rimane il fatto che ora si sta propagando. Innesca una dinamica di libertà che non può essere fermata. E lo scorso anno il Sacharov fu dato proprio a un dissidente cinese. Non penso che sia un modo per lavarsi la coscienza. In maniera particolare il gruppo del Ppe dell’europarlamento ha sempre richiamato i governi a guida popolare a una elementare presa di coscienza. Stringere accordi di natura economica con Paesi dove non vengono rispettati le libertà elementari, sperando di ottenere aperture sui diritti civili è un gioco che non funziona. La Ue è stata abbastanza coerente anche se il grosso delle difficoltà si registra proprio con i cinesi, dove spesso siamo apparsi più confusi e meno chiari dell’amministrazione americana che pure non rinuncia ad un rapporto privilegiato col gigante asiatico». Insomma si parla di politiche «del possibile», dove la gestione delle situazioni più intricate si scontra con mille realtà differenti. «Nel caso di Cuba sono del parere che continuare a concentrarci su politiche dissuasive nei confronti del regime sia l’unica strada». Mauro si è sempre battuto per le libertà religiose e ci spiega il forte legame che queste hanno nella battaglia per i diritti civili.
Tutti i regimi, compreso quello de L’Havana, volevano fondare una società senza Dio e hanno finito per costruire una società contro l’umanità
Guillermo Farinas, premiato ieri dall’Unione Europea. A destra l’eurodeputato Mario Mauro. Nella pagina a fianco, Fidel Castro
cenza e che da anni è faticosamente denunciata (quando riesce a non essere soppressa) dalla dissidenza isolana. L’ultima voce, forse al momento la più nota (per il suo blog e in Italia anche per la sua collaborazione con La Stampa), è quella della blogger Yaoni Sanchez, a cui i fratelli Castro hanno appena negato il permesso di andare a New York per partecipare ad una conferenza.
Il tentativo del regime, dicono molti osservatori, è quello di aprire a delle modeste liberalizzazioni per evitare il collasso: economico, culturale, politico e ideologico che li assedia. Un tentativo che ha visto, dopo quattro anni di assenza, il ritorno sulle scene di Fidel. Il quale, dopo una serie di (mascherati) mea culpa, come quello verso i gay (perseguitati, a suo dire, più perché non aveva il tempo di pensare anche a quel problema duran-
te gli anni post rivoluzionari), verso Israele (a suo giudizio paese più sofferente della stessa Cuba), ha aperto al timido ingresso dei privati in alcuni settori dell’economia. Ed ecco allora che l’ultimo paradiso balneare comunista, l’Isola di Cuba, ha risposto alle tempeste economiche liberalizzando, a modo suo, certe professioni pubbliche, come i tassisti o i barbieri. Ma anche licenziando mezzo milione di statali. Nei giorni scorsi Raul Castro, accanto alla sedia vuota del fratello Fidel, ha parlato di flessibilizzazione del lavoro e nuove politiche fiscali, spiegando che lo stato deve ritirarsi da alcune attività. Insomma, Cuba resta comunista, ci mancherebbe, ma oltre al mercato qualcos’altro si sta aprendo anche lì. E dalla cortina caraibica conferma le parole del Lider Maximo: eh sì, il modello socialista introdotto da Fidel nel 1959 non è più appropriato al Paese.
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«Chi ha un rapporto con il trascendente è un uomo libero dalle servitù del potere, perché fonda la propria speranza nella vita, non sul denaro o sul potere. I regimi hanno sempre temuto questo tipo di persona, infatti le grandi dittature hanno continuamente cercato di comprimere le libertà religiose. Hanno avuto una folle paura di questo meccanismo, perseguitando, specialmente nel Novecento, la religione». Non solo, ma dovendo sublimare concetti terreni come la razza, la classe o la nazione non volevano alcuna concorrenza. «La libertà religiosa non è come le altre, ma è il fondamento affinché tutte le altre possano esprimersi. Le dittature ha promosso un’immagine di società che poteva fare a meno di Dio, perché l’uomo sarebbe stato più libero. In realtà per fondare una società senza Dio hanno finito per costruire una società contro l’uomo» rendendolo schiavo.
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l’approfondimento
La “Primavera nera” del 2003 ha aperto la strada a una nuova forma di protesta contro il governo, tra scioperi e internet
Guillermo e i suoi fratelli Non solo Farinas: ecco tutti quelli che ancora lottano per la libertà di parola e una vera democrazia a Cuba. Le “Madri in bianco”, Yoani Sanchez e Raul Rivero guidano l’ultima rivoluzione (pacifica) dell’isola caraibica di Massimo Fazzi
olti cubani non hanno idea di chi siano i dissidenti che operano sull’isola, e hanno difficoltà persino a definire l’idea di “dissidenza”. Questo si spiega con l’operato estremamente efficace della propaganda del regime comunista, che tende a imporre la propria visione del mondo al popolo attraverso i media ufficiali. Avendo un’estensione territoriale limitata, è molto difficile introdurre illegalmente la stampa internazionale o avere accesso ai canali di informazione “libera”. Di conseguenza, è estremamente difficile stabilire quanti siano i prigionieri politici attualmente nelle carceri castriste. La Commissione cubana per i diritti umani e la riconciliazione nazionale – illegale ma tollerata dai Castro – sostiene che da qualche mese i numeri sono scesi: da 200 a 167 carcerati per reati d’opinione. Secondo Amnesty International, ci sono 53 prigionieri puramente di coscienza: dissidenti che non usano né predicano la violenza.Va
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detto che l’Organizzazione applica un controllo molto rigido prima di assegnare questa qualifica a qualcuno. Ovviamente, il governo cubano nega che esistano carcerati per reati del genere: secondo l’esecutivo, quelli nominati dalle Ong sono «mercenari pagati dagli Stati Uniti per destabilizzare la società comunista».
Kerrie Howard, responsabile di Amnesty per le Americhe, sottolinea: «Le leggi cubane sono così vaghe che è possibile spiccare una condanna di tipo penale per praticamente qualunque atto di dissidenza. Questo rende molto difficile anche soltanto esprimersi contro il governo. Negli ultimi anni è emersa la pratica dello sciopero della fame come metodo per attirare l’attenzione dell’opinione internazionale sulle violazioni compiute a Cuba. Orlando Zapata Tamayo è morto lo scorso febbraio di stenti per denunciare gli abusi del governo: si tratta della prima vittima della dissidenza negli ultimi 40
anni. Preoccupati dalla diffusione della forma di protesta – assolutamente non violenta e di enorme impatto emotivo – i dirigenti comunisti hanno “riconosciuto” la protesta di Guillermo Farinas arrivando a parlarne sul quotidiano governativo Granma. In un’intervista al medico curante del dissidente, Armando Caballero, si è voluto però sottolineare che la scelta estrema dello sciopero della fame è «assolutamente volontaria e incomprensibile». L’articolo non fa neanche il minimo
Nel regime sono ancora centinaia i prigionieri di coscienza
accenno alle motivazioni dello sciopero, proclamato per chiedere la liberazione dei prigionieri di coscienza. Insieme a Farinas, che ha rifiutato l’invito di Madrid ad accettare l’esilio e lasciare l’isola, esistono altre figure note della dissidenza cubana; persone che, purtroppo, sono sempre più ignorate dall’opinione pubblica e dai governi internazionali. Una delle figure più note di questo gruppo è senza alcun dubbio Elizardo Sanchez, uno dei pochi ad avere una certa fama persino al-
l’interno del Paese. Alcune settimane fa, Sanchez ha dichiarato che «oramai il governo non arresta più, non condanna più. È passato a rendere la vita impossibile a chi chiede giustizia». Ovviamente, aggiunge il dissidente, «va registrato che nell’ultimo anno si sono verificati 802 casi di brevi arresti, con molestie in carcere, poi conclusi con il rilascio». Noto per aver in qualche modo “lanciato” la Primavera nera di Cuba, è seguito praticamente sempre dalla polizia nazionale: arrestato nel 2003 per il suo coinvolgimento nella Primavera – l’unico momento nella storia cubana in cui il regime è stato sul punto di cadere – è stato rilasciato due anni fa.
Sempre collegate alla “Primavera nera”, e vincitrici del Sakharov nel 2005, sono le “Madri in bianco”. Si tratta delle mogli e delle madri dei 75 prigionieri politici rastrellati in quell’occasione, che hanno scelto una particolare forma di protesta contro il governo.
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Afro-cubano, nel 1981 viene coinvolto in un terribile incidente con un gas neuroparalizzante in Urss
“El Coco”, lo psichiatra ribelle che digiuna per la libertà
Medico e giornalista, inizia a farsi notare quando osa protestare contro la fucilazione del generale Ochoa, che lo aveva comandato in Angola di Maurizio Stefanini l Coco” è un soprannome che nei paesi latino-americani di lingua spagnola si può dare per due ragioni: o perché si ha la testa completamente pelata, appunto come una noce di cocco; o perché si ha fama di intellettuali, stile le famose eggheads, le “testeduovo” kennedyane. È probabilmente per entrambe le ragioni che è chiamato “El Coco”il Premio Sakharov del Parlamento Europeo per il 2010: l’afro-cubano Guillermo Fariñas Hernández, nato il 3 gennaio del 1962 a Santa Clara. “La tua mano gloriosa e forte/ spara sulla storia/ quando tutta Santa Clara/ si sveglia per vederti”, recita un verso della famosa canzone Hasta siempre, dedicata a Ernesto Che Guevara. Tre anni prima della nascita di Fariñas, Santa Clara era stata infatti teatro della battaglia che aveva proiettato il medico argentino nella leggenda, oltre a far pendere definitivamente la bilancia della lotta contro i batistiani. Originario di una città castrista per eccellenza; appartenente per di più al segmento etnico cui la propaganda rivendica di stare al centro della Rivoluzione, anche se per la verità di non bianchi al vertice del regime ce ne sono sempre stati abbastanza pochi; Fariñas era per di più figlio di due rivoluzionari convinti. Infatti, le sue radici tornano a incrociarsi con la vicenda del Che, con il padre che combatté nel corpo di spedizione guevarista in Congo durante il 1965. Cresciuto in quel clima, dopo aver giocato nei campionati di basket giovanili Fariñas si fece cadetto militare. Nell’aprile del 1980 si ritrovò tra le truppe schierate di fronte all’ambasciata del Perù, quando questa fu presa d’assalto da una folla di gente che voleva scappare. E poi, a novembre di quello stesso anno, andò a sua volta a combattere in Africa. Per la precisione, nella “missione internazionalista”in Angola, dove fu impiegato tra le forze speciali che dovevano infiltrarsi nelle retrovie dei guerriglieri dell’Unita, fu ferito due volte alla gamba e una alla spina dorsale, e fu anche decorato al valore. Fariñas racconta che furono alcuni oggetti che portava nello zaino a deviare una pallottola che avrebbe potuto essere mortale.
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Riportato a Cuba, dopo tre mesi di vacanze lo spedirono nell’agosto del 1981 in Urss, all’Accademia di Sbarco Aereo di Tambov, a 280 Km da Mosca. Ma lì per una negligenza di un ufficiale addestratore finì contaminato da un gas neuroparalizzante, che da allora lo rese invalido per sempre al servizio militare attivo. Rimpatriato e posto in aspettativa, si iscrisse allora all’Università, laureandosi nel settembre del 1983 in Psicologia. Dirigente dei Giovani Comunisti e di organismi sportivi universitari, nel 1986 ebbe i primi guai, con una minaccia di espulsione dal Partito come
sospetto freudiano e simpatizzante della Perestroijka. La cosa rientrò, ma già nel 1988 dopo l’abilitazione a psicologo trovò vari ostacoli a esercitare la professione. Psicologo nel policlinico comunitario del municipio Camajuaní e segretario dei Giovani Comunisti, viene rimosso da entrambi gli incarichi nel 1989, per aver protestato contro la fuci-
Tacciato di simpatie “freudiane”, è guardato con sospetto sin dal 1986 lazione del generale Arnaldo Ochoa, già suo comandante in Angola. Le vessazioni iniziarono a farsi più pesanti. Nel 1991 gli negarono una casa a Sancti Spíritus, obbligandolo così a rinunciare a un posto nell’ospedale pediatrico di quella città. Passato all’Ospedale Pediatrico Pedro Borrás dell’Avana, nel 1993 fece inferocire Fidel Castro, chiedendogli durante una visita di mantenere la promessa di riaprire quell’ospedale in ristrutturazione dopo sei mesi. Ormai considerato dai compagni di lavoro il loro “sindacalista”, nel 1995 denunciò la direttrice dell’ospedale per corruzione. Ma invece finì dentro lui per un anno e otto mesi, con accuse pretestuose di possesso illegale di armi da fuoco. È questa la ragione per cui i media filo-castristi ripetono che Fariñas è diventato un dissidente dopo essere stato condannato per delitti comuni. Una seconda condanna, a tre anni, gli arrivò però per ragioni puramente ideologiche: aver manifestato pubblicamente appoggio a un gruppo di dissidenti in sciopero della fame. A quel punto lui per protesta si mise allora a non ingerire più alimenti solidi per 18 mesi, fino a quando non lo tirarono fuori. E da allora è diventato il Gandhi del dissenso cubano. Nel 2002, ad esempio, reagì con un altro sciopero de-
gli alimenti solidi a una nuova condanna a sette anni, venendo così liberato dopo 14 mesi. Fondatore nel 2005 dell’agenzia indipendente Cubanacán Press, la redazione a casa sua, si dichiarò in sciopero della fame a oltranza dal 31 gennaio al 31 agosto del 2006, in nome del diritto dei cubani al libero accesso a Internet. Premio di Reporter senza Frontiere e Premio Internazionale per i Diritti Umani della città di Weimar, i cui 5000 euro destinò ai detenuti politici, nel maggio del 2009 fondò il blog Foro Cubanacán Press, e il 10 dicembre del 2009 il Foro Antitotalitario Unido. Infine, il 24 febbraio del 2010 ha iniziato il suo 23esimo sciopero della fame: il giorno dopo la morte in un altro sciopero della fame del dissidente Orlando Zapata Tamayo, e per esigere “la liberazione di 26 detenuti politici che sono infermi”. «È ora che il mondo si renda finalmente conto che questo governo è crudele, e ci sono momenti della storia dei Paesi in cui ci debbono essere martiri». Portato in ospedale il 4 marzo, dopo essere diventato famoso in tutto il mondo Zapata ha infine sospeso lo sciopero della fame l’8 luglio, dopo l’accordo tra il regime, la Chiesa e il governo spagnolo per la liberazione di 52 prigionieri politici.
Ogni domenica, dopo la messa a cui partecipano vestite di bianco, camminano insieme per il centro de L’Havana e chiedono il rilascio dei propri cari. Molto spesso si fanno accompagnare dai sacerdoti che hanno appena finito di celebrare la messa e il governo, che sta cercando in maniera disperata di ricostruire con il Vaticano, non osa intervenire. Lo scorso aprile ci ha pensato un gruppo di sostenitori “volontari”del governo, che hanno insultato e spintonato le “Madri” durante una delle loro passeggiate domenicali. Nel giugno del 2010, il governo è tornato sui propri passi e ha concesso “libertà di parola” alle donne.
La blogger Yoani Sanchez, 34 anni, non è una dissidente nel senso stretto del termine: costretta a rimanere sull’isola – se esce non può più tornare – è l’autrice di GeneracionY, il blog più seguito dei Caraibi. Forte di 14 miloni di accessi singoli al mese, ha vinto il premio di giornalismo della Columbia University: pur non potendo fisicamente andarsi a prendere il premio, ha scritto un commovente post sull’argomento. Costretta a una sorta di arresti domiciliari dalla polizia, che non ha alcuna prova per poterle muovere accuse penali, passa il tempo cercando nuovi accessi alla Rete. Raul Rivero è più simile a un personaggio creato dalla fantasia di Gabriel Garcia Marquez che a un dissidente. Poeta, romanziere e cantante, ha scritto alcune delle poesie d’amore più belle della letteratura non soltanto cubana, ma latino-americana. Il regime questo lo sa, ed è rimasta storica nella sua comicità la condanna a cui Rivero venne sottoposto dopo la partecipazione all’ennesima protesta anti-governativa: due anni di galera con la possibilità di scrivere, ma soltanto poesie d’amore. Da parte sua l’artista, che predica l’assoluta non violenza e scrive soltanto in spagnolo, ha ricevuto il premio per la libertà di stampa dell’Unesco: lascerà Cuba soltanto quando questa sarà una democrazia. La Chiesa cattolica, tradizionalmente non proprio una voce della dissidenza, sta diventando con il tempo una struttura parallela di potere che L’Havana non ha il coraggio di toccare. Quanto meno dalla seconda metà degli anni Novanta, quando venne eliminato il bando per i comunisti di recarsi a messa. Da allora, i leader cattolici hanno iniziato ad avere sempre più peso nella società interna. Il tutto è culminato con la visita di Giovanni Paolo II nel 1998, quando il pontefice disse che la libertà di coscienza «è la base e il fondamento di tutti gli altri diritti umani». Oggi è il cardinale Jaime Ortega a guidare la Chiesa: nell’aprile del 2010 ha chiesto al governo di liberare tutti i dissidenti in galera.
diario
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Salvezza. Bocciato in Commissione un testo delle opposizioni: Mantini sta lavorando per portare l’obiezione alla Camera
Il Lodo senza scadenza
I centristi preparano un emendamento contro lo scudo «reiterabile» ROMA. Tra le file del Pdl c’è già chi lo definisce senza mezzi termini «il piano per fare lo sgambetto a Berlusconi». Qualche altro deputato della maggioranza, raggiunto al telefono da liberal ammette che una cosa del genere, se passasse anche con i voti dei finiani, potrebbe mettere - una volta per tutte - la parola fine a questa legislatura. Il «piano» cui fanno riferimento i peones berlusconiani altro non è che un emendamento messo a punto dal deputato dell’Udc Pierluigi Mantini che, passeggiando tra divanetti del Transatlantico e la buvette, raccontano non abbia perso occasione per coinvolgere nel suo piano più di qualche deputato del centrodestra. In particolare dal Pdl pensano che il deputato centrista, «con il benestare di Casini», «voglia coinvolgere quelli più vicini al presidente della Camera, Gianfranco Fini, che, tartassati dalle contestazioni sul web per aver dato il consenso alla retroattività del lodo Alfano, si sono dimostrati ben disponibili ad ascoltare la proposta del collega centrista» confida un ex colonnello di An. Mantini poi, senza troppi giri di parole, è andato dritto dritto alla questione: «L’Udc alla Camera proporrà un emendamento sulla non reiterabilità del Lodo Alfano. Se il centrodestra lo vota, garantisco che il partito sosterrà lo ”scudo” così modificato in tutte le sue sedi anche nel caso in cui si arrivasse a referendum». In altre parole, se l’emendamento Mantini trovasse il parere
determinare una sospensione sine die ai processi. Una situazione che lo stesso Mantini non ha problemi a definire come «un salvacondotto inaccettabile, uno squilibrio in danno delle esigenze di giustizia». Quello che da via del Plebiscito già chiamano «lo scherzetto a Berlusconi» sembrerebbe quindi pronto per essere consegnato anche se, per diventare veramente parte integrante del testo del lodo Alfano dovrebbe comunque ottenere il voto della maggioranza dei deputati. Una condizione che
Già due anni fa un documento che chiedeva la «non rinnovabilità» fu votato da tutta l’Aula con la sola esclusione dei deputati dipietristi favorevole della maggioranza dei deputati, accadrebbe che «si arriverebbe alla sospensione dei processi delle alte cariche per l’attuale mandato ma non anche per il futuro, in coerenza con la sentenza della Corte Costituzionale del 2004». Una condizione che avrebbe suscitato l’interesse di più di qualche deputato dato che, andando ancora di più nel concreto della questione, nel caso in cui Berlusconi decidesse di ricandidarsi o a palazzo Chigi oppure al Quirinale, potrebbe farlo senza però
celli, «non corrisponde al vero quanto riportato da alcuni giornali nei giorni scorsi, e cioè che l’Unione di Centro si sarebbe accontentata dell’esclusione dei ministri dal lodo costituzionale sulla sospensione dei processi. Come richiesto dalla Corte Costituzionale nelle decisioni del 2004 e del 2009 la nuova garanzia costituzionale deve essere anche non reiterabile nel senso che si può garantire la sospensione temporanea dei processi per il sereno esercizio del mandato istituzionale in corso e non anche per il futuro. In tal caso verrebbe ad essere alterato il corretto equilibrio tra esigenze di giustizia e politica. Il parlamento ha già votato nel 2008, con la quasi unanimità, la non reiterabilità della garanzia. Non vi è ora ragione per una soluzione diversa che sarebbe inaccettabile e incostituzionale».
di Francesco Capozza
non è da escludere a priori. Infatti proprio Mantini, che nel luglio del 2008 sedeva nei banchi del Pd, ottenne il via libera, con il voto quasi unanime di tutta la Camera (votò contro solo l’Idv), ad un emendamento che conteneva la stessa proposta. Ed è Mantini a commentare oggi quella tessa notizia: «Quello fu un successo. E da quel punto si dovrebbe ripartire».
Con Mantini sembra essere tutto il partito anche perché, si sottolinea da via dei due Ma-
Accordo per «cambiare l’agenda»
Pd-Udc per la giustizia ROMA. Sulla giustizia il Pd rilancia e chiede un confronto alle opposizioni per individuare una piattaforma comune che rappresenti «le vere priorità per i cittadini». La riforma della giustizia proposta dal governo «non va», sostengono i Democratici, pertanto bisogna tentare di «cambiare un’agenda politica fatta solo di Lodo Alfano e misure più o meno punitive per i magistrati», per imporre all’attenzione del Parlamento le vere questioni da risolvere. E su questo il responsabile Giustizia del partito, Andrea Orlando, accompagnato dai due capigruppo in commissione Giustizia di Camera e Senato, Donatella Ferranti e Silvia Della Monica, ha trovato sponda nell’Udc con il quale ieri ha avuto un primo confronto. La delegazione centrista guidata da Roberto Rao e composta dal presidente dei senatori Giampiero D’Alia, da Achille Serra e da Loren-
zo Ria, si è trovata perfettamente d’accordo sul fatto che «l’agenda imposta da governo e maggioranza» sia del tutto inadeguata. «L’idea – ha confermato Roberto Rao - è quella di stravolgere questa agenda, magari attraverso una mozione aperta anche alle forze politiche non propriamente di opposizione, per imporre all’attenzione del Parlamento le vere priorità». E Pd e Udc considerano «priorità» la riforma del rito civile, per renderlo più agevole ed efficiente; la questione carceri; la reale informatizzazione dei Tribunali; una riorganizzazione degli uffici giudiziari. Si è parlato anche della necessità di rendere più veloce il processo penale, ma senza che nel testo di legge intervengano norme «scomode» come quella transitoria che, inserita nel ddl sul processo breve, servirà solo a salvare Berlusconi e a «buttare al macero migliaia di processi».
Una doccia fredda++, tuttavia, ha colto di sorpresa le opposizioni quando, nel tardo pomeriggio di ieri, la commissione Affari costituzionali del Senato ha bocciato uno degli emendamenti dell’opposizione che stabiliva la non reiterabilità della sospensione dei processi per il capo dello Stato o per il presidente del Consiglio. «I numeri alla Camera però sono diversi, staremo a vedere» dice un deputato dell’Udc. La bocciatura degli emendamenti presentati ieri vuol dire che l’ombrello costituzionale del lodo è legato alla carica e scatta di nuovo se il presidente del Consiglio viene rieletto nella sua carica o viene eletto presidente della Repubblica. Ci sono però altri emendamenti delle opposizioni sulla non reiterabilità della sospensione dei processi che devono essere ancora votati. Sono stati bocciati anche altri emendamenti che chiedevano una maggioranza qualificata di una Camera per ottenere la sospensione. In questo caso sono stati bocciati i tre emendamenti che definivano il quorum più elevato per deliberare: con maggioranza assoluta, dei tre quinti o dei due terzi. Rimane quindi la possibilità per il Parlamento di concedere la sospensione del processo, anche per reati extrafunzionali, al Presidente della Repubblica e al Presidente del Consiglio con la maggioranza semplice.
diario
22 ottobre 2010 • pagina 7
La Commissione all’Agcom: «Dovete intervenire»
Secondo il giudice, l’omicidio è avvenuto in garage
La Ue boccia Telecom: costi d’accesso troppo alti
Delitto Scazzi, il gip ha deciso: Sabrina resta in carcere
BRUXELLES. La Commissione
ROMA. Sabrina Misseri resta in carcere. Il gip del Tribunale di Taranto, Martino Rosati, ieri ha disposto l’ordinanza di custodia cautelare in carcere per la giovane, accusata di concorso in omicidio volontario e sequestro di persona per il delitto di Sarah Scazzi, avvenuto il 26 agosto scorso ad Avetrana. Il provvedimento è lungo 21 pagine. Il giudice per scriverlo si era preso 24 ore in più rispetto al termine ordinatorio. Nelle motivazioni, oltre alla chiamata in correità della figlia Sabrina da parte di Michele Misseri, ci sono le incongruenze e le contraddizioni tra le deposizioni della giovane e le testimonianze della madre Cosima Serrano e dell’amica Marian-
Ue ha «approvato il modello generale dell’Agcom per il calcolo dei prezzi di accesso all’ingrosso» ma «la invita a ricalcolare i costi commerciali e di manutenzione». Questa la decisione di Bruxelles in merito alle tariffe dell’unbundling. Tradotto: l’Unione europea giudica ingiustificato ed eccessivo il costo dell’accesso alla rete telefonica imposto da Telecom agli altri operatori telefonici. In una lettera inviata all’Agcom, la Commissione europea ha formulato il proprio accordo in merito alla metodologia generale adottata dall’Authority per calcolare i prezzi all’ingrosso per l’accesso alla rete di Telecom Italia «sulla base di un modello di costo che riproduce i costi sostenuti da un operatore efficiente che gestisce una rete in rame di nuova costruzione in un mercato competitivo». Ma la stessa Commissione «teme che l’Agcom non abbia applicato coerentemente tale modello al calcolo dei prezzi da imputare agli operatori alternativi per l’accesso alla rete di Telecom Italia». Secondo la Commissione i prezzi proposti dall’Agcom «non tengono sufficientemente conto dei costi commerciali e di manutenzione sostenuti da un operatore efficiente che gestisce una rete in rame di nuova costruzione. Da
Federalismo: Caldoro sfida il Nord e Tremonti Il governatore fa saltare i tavoli su sanità e manovra di Francesco Pacifico
ROMA. Ai suoi ripete da settimane che «di fronte a certe proposte è meglio tenersi i tagli lineari di Tremonti». E alla fine Stefano Caldoro ha deciso di passare ai fatti, tanto da spaccare il fronte dei governatori, nato per respingere i tagli da 9,6 miliardi previsti in Finanziaria e le accelerazioni sul federalismo fiscale. Giovedì prossimo, quando si dovrà dire un sì o un no ai decreti su costi standard e autonomia finanziaria, gli enti locali potrebbero presentarsi divisi al vertice con Tremonti. E il clima non è dei migliori come dimostra il patto stretto ieri a Roma tra i governatori del Sud e Emma Marcegaglia, per aprire un tavolo e presentare una controproposta sull’utilizzo dei fondi Fas, centrali nel Piano Sud di Raffaele Fitto.Tema discusso anche durante il colloquio tra la leader di Confindustria e Berlusconi.
Le ostilità, ufficialmente, il presidente campano le ha aperte 48 ore fa in Conferenza delle Regioni, al tavolo per discutere del riparto del fondo sanitario. Un passaggio automatico per l’assessore lombardo al Bilancio e coordinatore dell’area finanziaria, Romano Colozzi. Invece ecco materializzarsi lo spettro di Masaniello-Caldoro. Il governatore campano non era presente, ma ha dato mandato ai suoi uomini di far saltare il tavolo, perché le regole attuali sono sfavorevoli per tutto il Meridione. Caldoro contesta la decisione di dividere le risorse usando come benchmark l’età della popolazione (e la sua regione, si sa, ha alta natalità), di usare come riferimento un patto di stabilità aggiornato al 2005 e che gli permette di poter spendere soltanto l’80 per cento di quanto programmato. Eppoi c’è la quota del 3 per cento di finanziamento che ogni regione commissariata per i deficit sanitari deve congelare e che il governatore campano vorrebbe sbloccare, visto che martedì prossimo il Tesoro e il ministero della Salute daranno il loro parere sui rientri presentati dagli enti sotto accompagnamento. Oltre all’emergenza rifiuti, l’ex ministro all’At-
tuazione del governo ha trovato in eredità dal suo predecessore Antonio Bassolino un debito da 10 miliardi, che per lo più riguardano la sanità. E dopo due draconiani piani di tagli sulla spesa ospedaliera e sulla farmaceutica si accinge a presentarne uno per rientrare dello sforamento di 1,1 miliardi fatto dalla precedente giunta sul patto di stabilità, quindi sul finanziamento di materie come il trasporto pubblico o gli aiuti alle imprese. Per tutto questo Caldoro ha chiesto che la Campania venga trattata come le altre regioni virtuose. Di conseguenza, non c’è da stupirsi che l’altro giorni i suoi uomini, dopo il tavolo della sanità, abbiano fatto saltare anche quello per ripartire tra gli enti i tagli da 9,5 miliardi di euro previsti dalla Finanziaria. Su mandato della Conferenza delle Regioni, Romano Colozzi deve studiare meccanismi di premialità e sanzioni per riequilibrare il conto presentato da Tremonti e che colpisce soprattutto Lombardia, Emilia Romagna e Piemonte. Per dividere gli enti tra virtuosi e non ha proposto di tenere in considerazione il rapporto tra spesa corrente, funzionamento delle strutture e personale. Ma questo schema è stato definito troppo penalizzante dai campani, che hanno avuto l’appoggio di Lazio, Calabria e Molise, con la Puglia e la Basilicata che invece avrebbero stigmatizzato la rigidità degli uomini di Caldoro.
Crepa nel fronte delle Regioni e rischio di un nuovo stop sui costi standard. Patto tra la Marcegaglia e gli enti del Sud sui Fas
ciò il rischio che gli operatori alternativi si trovino a dover pagare prezzi più elevati di quelli generalmente esigibili per un accesso di alta qualità a una rete moderna».
Di conseguenza, la Commissione «invita l’Agcom a riesaminare i propri calcoli utilizzando i dati di una societa’ efficiente che gestisce una rete in rame di nuova costruzione». I prezzi risultanti dovranno fornire indicazioni di investimento chiare sia a chi richiede sia a chi fornisce l’accesso e, ribadisce Bruxelles, «garantire ai consumatori prezzi equi per l’accesso all’internet ad alta velocità».
La decisione sulla ripartizione del fondo sanitario e dei tagli alla manovra è stata rinviata alla tre giorni che i governatori terranno da martedì e che dovrebbe portare al parere definitivo sugli ultimi decreti del federalismo fiscale. Ma in questo clima le Regioni del Nord temono di restare isolate. Da un lato c’è Tremonti che non ha ancora messo nero su bianco la promessa di eliminare i tagli sul versante del trasporto pubblico e dell’edilizia sanitaria. Dall’altro i loro colleghi del Sud, per i quali è più conveniente una ripartizione delle risorse con i vecchi costi storici.
gela Spagnoletti. Secondo il giudice per le indagini preliminari, Michele Misseri «è credibile» quando racconta agli inquirenti dell’omicidio della nipote. Stando al provvedimento, inoltre, Sabrina non ha avuto un ruolo nell’occultamento del cadavere. Il gip, sostanzialmente, conferma che il ruolo di Sabrina è stato quello tenere la cugina mentre il padre la strangolava e che Sarah è stata uccisa in garage.
Ovviamente le indagini della Procura proseguono. «È un provvedimento molto articolato e diffusamente approfondito. Anche se questo, ovviamente, è un giudizio soggettivo», ha detto ai giornalisti il procuratore capo della Repubblica del Tribunale di Taranto, Franco Sebastio. Ora gli avvocati di Sabrina hanno 10 giorni per un ricorso al Tribunale del Riesame. A quanto si apprende, la Procura potrebbe chiedere a breve al gip l’incidente probatorio con l’interrogatorio di Michele Misseri. Una richiesta che potrebbe essere non necessaria poiché anche gli avvocati che difendono Sabrina Misseri hanno intenzione, e probabilmente lo hanno già fatto, di chiedere l’incidente probatorio ma con confronto tra padre e figlia.
politica
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Faide. Dietro l’emergenza si nascondono le lotte intestine tra il governatore Caldoro e il coordinatore regionale Cosentino
Volano i rifiuti, anche nel Pdl Ancora scontri a Terzigno tra i manifestanti e la polizia. Per protesta incendiato un tricolore di Franco Insardà
ROMA. Silvio Berlusconi si guarda bene dal rimettere piede a Napoli. Con i cassonetti della città che traboccano di immondizia – e la rabbia della gente che monta ora dopo ora – l’accoglienza non sarebbe più delle migliori. Dopo una notte di tensione, a Terzigno gli scontri sono continuati nella giornata di ieri con lanci di sassi contro le forze dell’ordine di scorta ai mezzi che avevano sversato i rifiuti nella discarica e con il lancio di lacrimogeni da parte delle forze dell’ordine. Gravissimo il bilancio: 12 agenti del reparto mobile di Napoli sono rimasti feriti, stessa sorte per altri 8 del reparto mobile di Bari. Danneggiati dai dimostranti 8 blindati della polizia, distrutti dalle fiamme 5 autocompattatori e 3 danneggiati. A Boscoreale, altro comune vesuviano interessato alla discarica, un gruppo di persone armate di bastoni ha distrutto le vetrine di diversi negozi, bruciato una bandiera italiana e abbassato il tricolore a mezz’asta al Palazzo comunale. Alla rotonda panoramica che conduce alla discarica Sari fi Terzigno hanno manifestato gli studenti dell’istituto tecnico commerciale Vesevus di Boscoreale insieme con le mamme vulcaniche, le donne che in questi giorni sono state le protagoniste di una serie di iniziative pacifiche contro la discarica. E non ha certamente contribuito a rasserenare gli animi la dichiarazione del capo della Polizia, Antonio Manganelli, a margine di un’audizione al Senato ha detto: «Siccome a Terzigno si deve sversare, faremo in modo che questo sia possibile anche se dovesse costare l’uso della forza».
Gli abitanti e gli amministratori della zona respingono le accuse che dietro le manifestazioni ci sia la camorra: «Siamo persone per bene solo esasperate per una vita oramai distrutta - dicono. Ci siamo anche abituati alla puzza». Anche il procuratore della Repubblica di Napoli Giandomenico Lepore ha escluso che la criminalità organizzata abbia a che fare con le proteste. Anzi il sindaco di Boscoreale, Gennaro Langella, ha amaramente detto: «Con l’apertura della seconda discarica a Terzigno ha vinto la camorra, perchè ha tutto l’interesse ad aprirla. I camorristi sono quelli che la vogliono la discarica, non quelli che non la vogliono. Le proteste - ha concluso Langella - non so-
solo per l’illegalità. Voglio rassicurare tutti i cittadini e le tantissime brave persone che manifestano, dicendo loro che quello che accade a Terzigno accade in tutta Italia. Dobbiamo applicare il piano per le discariche, e dopo 15 anni finalmente prendiamo una decisione. Negli ultimi 15 anni la Campania a causa dell’immobilismo delle istituzioni regionali e’ stata lo sversatoio italiano dei rifiuti tossici illegali. Per questo dobbiamo fare adesso impianti e discariche come avviene nel resto del Paese e in tutta Europa».
Ieri il sindaco di Terzigno, Domenico Auricchio, ricevuto a Palazzo Grazioli insieme con il sottosegretario Bertolaso, ha
Oggi del ”caso” ne discuterà il Consiglio dei ministri. Silvio Berlusconi ha assicurato al sindaco vesuviano: «Verrò in Campania non appena questa vicenda sarà risolta» no mai fuori legge: stiamo parlando di persone perbene, civili, che sono esasperate. Sono persone semplici, anziani, mamme che hanno dei problemi che devono essere affrontati: non siamo dei pazzi o dei camorristi, si cerca di urlare e farci sentire di più perchè finora non è arrivata alcuna risposta».
A questo proposito Caldoro, a margine di un incontro con la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, sui fondi strutturali ha dichiarato: «Molte proteste sono motivate. I cittadini ci chiedono controlli e bonifiche, altre sono però dettate da una paura immotivata e guidate da chi ha interessi
annunciato: «Il presidente Berlusconi ci ha dato la garanzia che il Consiglio dei ministri si occuperà della vicenda», aggiungendo che Berlusconi ha ribadito la promessa di andare a Terzigno non appena la vicenda sarà risolta. Le proteste di Terzigno hanno riproposto drammaticamente le stesse scene di due anni fa. Allora, però, c’era un fronte compatto del centrodestra che aveva come obiettivo quello di far saltare il governatore Bassolino, oggi le cose sono cambiate. L’uomo che aveva mandato in Campania l’esercito e il suo fidato Bertolaso per togliere l’immondizia dalle strade oggi si ritrova a combattere su più fronti: l’attrito tra il governatore Stefano Caldoro e il coordinatore regionale del Pdl Nicola Cosentino, i rimbalzi di responsabilità tra la Regione e la provincia di Napoli, guidata da Luigi Cesaro, fedelissmo dell’ex sottosegretario all’Economia, le candidature per Palazzo San Giacomo, quelle per il comune di Salerno, dove si registra uno scontro tra il ministro Mara Carfagna e il cosentiniano Edmondo Cirielli, presidente della Provincia. Una situazione esplosiva che viene acuita da continue dichiarazioni tra i vari protagonisti.
Cosentino contro Caldoro: «Chi ha sbagliato paghi». Caldoro contro Cesaro e gli altri presidenti delle province campane ai quali il governatore ha indirizzato l’ordinanza che dispone lo smaltimento dei rifiuti prodotti a Napoli e provincia a San Tammaro nel casertano, a Savignano Irpino e a Sant’Arcangelo Trimonte nel beneventano. La Carfagna che dichiara: «I miei 58mila voti sono tutti incompatibili con Nicola Cosentino». E l’elencazione potrebbe continuare all’infinito.
E così, come accadde nella precedente emergenza rifiuti dell’era bassoliniana, Nicola Cosentino osserva e, sembra pensare ad altro. Ieri pomeriggio ai tavolini del caffè Gambrinus ha partecipato, insieme al capogruppo della commissione Bilancio della Camera, Gioacchino Alfano, al presidente della provincia di Napoli, Luigi Cesaro, a un incontro con il segretario Luigi Casero dal titolo “Attività legislativa dei giorni nostri per un territorio protagonista: Federalismo e Politica Ue”. Intanto le polemiche e le proteste non si placano. Ugo Leone, presidente del-
l’Ente Parco nazionale del Vesuvio annuncia le sue dimissioni e definisce «una pugnalata l’ok all’apertura di una seconda discarica. A destare malumore anche il no delle province campane all’accoglimento temporaneo dei rifiuti. A Leone hanno replicato duramente sia il ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo che la Carfagna.
Per il capogruppo dell’Udc in commissione Ambiente della Camera, Mauro Libè: «La gravità della situazione a Terzigno è sotto gli occhi di tutti: tensione sociale, scontri con le Forze dell’ordine e bandiere italiane bruciate. Finora il governo ha saputo solo confezionare spot e questi sono i risultati. Ad oggi gli impianti di smaltimento tanto annunciati non ci sono. La tanto sbandierata - e sostenuta - pro-
politica
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Il governo è caduto sullo stesso terreno su cui era caduto Bassolino
Tra ecoballe e inceneritori, è la sagra del dilettantismo Per risolvere il problema, servono deroghe per le discariche e poi nuovi impianti di compostaggio e di incenerimento di Aurelio Misiti l destino cinico e baro accomuna diversi “politici” che, senza cultura specifica, praticano per i rifiuti soluzioni campate solo nell’aria del Vesuvio. Ricordo che durante il periodo cruciale della crisi dei rifiuti a Napoli, Bassolino e la sua maggioranza hanno creduto di uscirne con una legge regionale di tipo scandinavo: rifiuti zero e raccolta differenziata al 65%. Antonio Bassolino, brillante politico e uomo del risorgimento napoletano - almeno così veniva descritto dalle cronache del tempo in cui era sindaco - è stato travolto politicamente e per sempre dai rifiuti solidi urbani. Insieme a lui tutta una classe dirigente, di sinistra e di destra, che nel bene e nel male ha messo le mani e la faccia nel tentativo di affrontare lo smaltimento della mondezza.
I
vincializzazione della gestione dei rifiuti rimane lettera morta. Da emergenza locale a emergenza nazionale - il passo è breve. Ci auguriamo che nel Consiglio dei ministri tutti si assumano le proprie responsabilità dando quindi il via a un Piano strutturale».
Mentre 104 sindaci della provincia di Caserta hanno convocato un consiglio comunale aperto a San Tammaro, nella discarica ”Marruzzella”, che stando all’ordinanza emessa dal presidente Caldoro, dovrà accogliere 400 tonnellate al giorno di rifiuti provenienti da Napoli. I sindaci del casertano hanno firmato un documento, ieri, nel quale si chiede un cambiamento di rotta della Regione. Insomma le premesse per una nuova stagione di emergenza e polemiche ci sono proprio tutte, con l’aggravante della spaccatura politica nel centrodestra. E pensare che non più tardi di venti giorni fa il Cavaliere aveva dichiarato: «Vengo a Napoli con Bertolaso per mettere la parola fine all’emergenza rifiuti». Ipse dixit.
Davanti ai cancelli della discarica di Sant’Arcangelo Trimonte, nel beneventano, si è svolto un consiglio provinciale straordinario per ribadire la contrarietà ai conferimenti di rifiuti del napoletano. La provincia di Benevento, diversamente da quella di Avellino, non ha presentato ricorso al Tar per discutere l’ordinanza emessa da Caldoro, ma sta preparando un esposto da inviare alla Ue
Le ecoballe ammassate in milioni di tonnellate nelle apposite aree, in parte spedite a Dusseldorf, stanno lì a dimostrare quanto sballata fosse l’idea di calare in un territorio così singolare, come quello campano, regole e piani studiati per contrade abitate da popolazioni la cui cultura ambientale è di esempio nel mondo intero. In Campania come in altre regioni italiane, più modestamente, sarebbe stato utile seguire le norme più accessibili dell’Europa meridionale e pian piano attuarle nel migliore dei modi possibile. Sono le prime norme italiane del 1982 e del 1984, cioè prima del famigerato “decreto Ronchi”, che avrebbero potuto aiutare i napoletani ad avviare a soluzione il problema dello smaltimento dei propri rifiuti. La linea doveva essere quella classica di smaltimento integrato, con una raccolta differenziata realistica e non prederminata a tavolino ma solo finalizzata a favorire le successive fasi del trattamento, con la parte umida da trasformare in ammendante organico per l’agricoltura e quella secca da utilizzare per produzione di energia, lasciando alla discarica il collocamento del solo residuo degli inceneritori. Nei piani previsti da quelle norme, tutt’ora valide con qualche modifica, erano certamente presenti gli inceneritori, che oggi vengono definiti pudicamente termovalorizzatori, come si fa con gli spazzini che si preferisce chiamare operatori ecologici. L’ubriacatura della raccolta differenziata, a cui si attribuiscono doti magiche, portata avanti da gruppi di interesse ben organizzati, tanto da influenzare il legislatore che in una norma autorizza i prefetti a sciogliere i consigli comunali e mandare a casa i sindaci che non raggiungono le percentuali come si faceva nei piani quinquennali, è indice di scarsa conoscenza della materia. La separazione delle componenti merceologiche si può ottenere infatti sia in casa che in stabilimento, senza aggravio di costi per i cittadini utenti. L’intervento della protezione civile, prima con poteri normali e poi con quelli straordinari, ha solo temporaneamente tamponato la mancanza di una linea concreta e legata alla cultura del territorio, che avrebbe potuto in un tempo adeguato al caso portare a regime uno smaltimento regolare dei rifiuti solidi urbani. Gli errori della Regione e dello Stato, documentati dalle indagini del Parlamento e soprattutto da quelle della magistratura, comporteranno un ritardo notevole alla soluzione del problema. La Presidenza del consiglio ha utilizzato il caso per dare un messaggio di efficienza al paese, servendosi dell’ausilio dei militari per rendere agibili
alcune discariche, anche non controllate bene tecnicamente e per avviare l’inceneritore di Acerra, in costruzione da un decennio. Oggi la nuova crisi ha sorpreso il Governo, che ha colpevolizzato il sindaco di Napoli, reo di non saper raccogliere l’immondizia, dimenticando che le proteste riguardano esclusivamente l’opposizione alla nuova discarica di Terzigno. Per la verità anche il sindaco di Napoli è stato malconsigliato sull’intricata questione se è vera la sua frase, pronunciata a suo tempo: «Napoli ha già dato», non volendo sentir parlare di ampliare discariche nel proprio territorio.
I rifiuti solidi urbani, come dimostra l’esperienza di tante città italiane del nord, del centro e spesso anche del sud, vanno considerati un problema da risolvere tutti insieme. Nessuno si può illudere di spe-
Nessuno si può illudere di speculare sull’ambiente per fini di parte, perché, come è sempre avvenuto, alla fine si verifica l’effetto boomerang culare sull’ambiente per fini di parte, perché, come è sempre avvenuto, alla fine si verifica l’effetto boomerang. E questo vale per tutti. A Napoli un piano realistico dei rifiuti è possibile attuarlo, senza moltiplicare i costi per la comunità, come avviene con la raccolta differenziata porta a porta, se si seguono le indicazioni dei veri esperti del settore che fortunatamente in Italia e anche a Napoli si possono trovare. Servono deroghe temporanee per le discariche ed è importante l’immediato avvio della costruzione di nuovi impianti di compostaggio e di incenerimento, così come avviene in quasi tutte le regioni italiane ed europee più evolute. Gli amministratori campani, che spesso rifiutano gli inceneritori, ma anche i consiglieri del Governo, dovrebbero visitare gli impianti del Lazio, dell’Emilia Romagna, della Lombardia e magari poi fare un salto a Vienna dove, al centro della città, esiste un grande inceneritore, gioiello dell’architettura viennese.
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panorama
ragioni&torti di Giancristiano Desiderio
La scuola italiana può davvero essere riformata? ual è il destino delle nostre scuole? Il sistema italiano non sembra essere realmente riformabile. Mariastella Gelmini ha provato a fare qualcosa. In particolare due cose: ha dichiarato chiusa la lunghissima stagione della sperimentazione - durava in pratica dal 1969 - e ha deciso di utilizzare l’Invalsi per provare a dare un senso alla parola meritocrazia. Sono delle buone cose, ma non sono sufficienti a riformare la scuola per una ragione che è ormai meta-scolastica: il sistema dell’istruzione italiano non è più riformabile. La macchina è cresciuta troppo nel tempo ed è diventata ingestibile. Per ottenere qualche buon risultato bisognerebbe prima di tutto ridurre le dimensioni fisiche della macchina scolastica, tagliare, separare, mollare. Ma si tratta di cose “improponibili”. Bisogna rassegnarsi: la macchina scolastica macina tutto e mentre si discute di merito e qualità lei, la macchina sovietica della scuola italiana, funziona con tutt’altri criteri. Qual sarà allora il destino di quella scuola pubblica che tutti dicono di difendere?
Q
L’abbandono. In un fondo di qualche giorno fa, Galli della Loggia sottolineava il fenomeno dell’iscrizione sempre maggiore di figli di famiglie abbienti a scuole straniere, sia per la scuola di secondo grado sia per le scuole elementari. Secondo l’editorialista la causa della scelta di scuole straniere piuttosto che della scuola pubblica italiana è dovuta a un declino della cultura nazionale. Michele Salvati intervenendo a sua volta sull’argomento ha individuato una diversa ragione: il bisogno di qualità da parte delle famiglie e la perdita di autorevolezza da parte della scuola dello Stato. Al di là di quali siano le ragioni, il fenomeno dell’abbandono della scuola statale per scegliere scuole straniere sarà sempre più crescente. Mannheimer ha testato un dei suoi soliti campioni demoscopici ed il risultato è stato che il 18% delle famiglie italiane è orientato verso le scuole straniere: un numero non piccolo che diventa più grande se viene scomposto per categorie e classi sociali. In altre parole, il fenomeno è destinato ad espandersi. Si verificherà in Italia, in pratica, quanto è già avvenuto in altri Paesi: a una scuola statale di basso livello corrisponde una scuola non gestita dallo Stato di livello superiore. Qualcuno, infatti, dovrà pur garantire un buon insegnamento. La scuola statale italiana - bisognerebbe sottolineare che in Italia la scuola è tutta statale - in declino già da molto tempo si avvierà verso la più totale decadenza, lasciando spazio ad altre iniziative, proprio perché in tanti decenni nessun governo è stato in grado di riformarla. Ciò che non hanno saputo fare i governi farà la società, ma con una differenza: una riforma oculata e tempestiva avrebbe potuto ridare autorevolezza alla scuola di Stato, mentre ora sarà destinata a un declassamento e le conseguenze ricadranno sulle famiglie meno abbienti.
Minzolini fa il tifoso: l’Agcom diffida il Tg1 «Squilibrio a favore della maggioranza e del governo» di Francesco Lo Dico
ROMA. Per il Tg1 del direttorissimo Augusto Minzolini, arriva infine la diffida della commissione servizi e prodotti dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazione. Ma nell’occhio del ciclone c’erano anche il Tg4 e a Studio Aperto, che vengono raggiunti invece da un richiamo a un’informazione più rispondente a quella che dovrebbe essere quella di un prodotto berlusconiano di proprietà, ma pur sempre giornalistico perché rivolto all’informazione dei cittadini.
Tutta colpa del «forte squilibrio» a favore della maggioranza e del governo. La decisione dell’Agcom arriva dopo l’attento monitoraggio dei dati sul pluralismo per il periodo luglio-agosto-settembre 2010. «Qualora tale squilibrio perdurasse – avverte l’Agcom – verranno adottati ulteriori provvedimenti». Ma richiami e sanzioni vanno accolti come doverosi interventi su un panorama televisivo, che a giudicare dalle cifre, sembra essere stato sconquassato dal Minzulpop berlusconiano. I dati Vidierre avevano già dimostato pochi giorni fa squilibri da regime latinoamericano: 130 ore alla maggioranza contro le 41 che si sono dovute spartire le forze di opposizione nei primi otto mesi del 2010 sui telegiornali Rai. E a Mediaset, ancora peggio: 87,2 ore a Berlusconi e governo, contro le 14,3 che Fede e affini hanno benevolmente concesso ai principali esponenti dello schieramento avversario. L’Autorità delle comunicazioni ha dunque dato seguito agli ordini del giorno presentati di recente da Futuro e libertà e da Beppe Giulietti. «Il Tg1 non rispetta neanche le regole formali: e la diffida di Agcom conferma che, anche sul piano formale, il Tg1 è ormai diventato una voce della maggioranza e anche tra le più faziose», commenta il responsabile comunicazioni del Pd, Paolo Gentiloni. «L’accostamento al Tg4 e a Studio Aperto parla da sé: la testata che aveva sempre rappresentato la voce dell’informazione istituzionale – prosegue Gentiloni – è stata ridotta alla stregua di un organo militante e di parte». «Un danno immenso – conclude - per la Rai e per i tanti professionisti di qualità che ci lavorano».
E dai danni provocati da molti, si passa a quelli richiesti da uno solo: lo stesso presidente del Consiglio che all’attivo 130 ore in Rai, contro 40 dell’opposizione. Neppure ieri, poteva mancare all’appello l’ennesima puntata della geremiade berlusconiana, recitata ora in tono di minaccia (in forma privata) come a Trani, ora in forma querula e vittimista (in pubblico). Più che una novità, un gradito ritorno, quello di Report sul banco degli imputati. Non potendo essere stata sospesa ex ante, la trasmissione della Gabanelli è finita sotto tiro ex post. Berlusconi ha infatto denunciato la trasmissione in quanto «offensiva e diffamatoria». Ovviamente senza tenere in alcun conto, il fatto di avere costretto quest’anno la Gabanelli e i giornalisti diReport, ad andare in onda senza il patrocinio della Rai, nel caso di eventuali cause Il Cavaliere ha scelto la querela a proposito dell’inchiesta che il programma giornalistico ha mandato in onda domenica scorsa, sui presunti immobili acquistati dal premier nella paradisiaca cornice di Antigua. «Il giudizio – ha spiegato l’avvocato Fabio Lepri – sarà promosso contro tutti i responsabili dell’illecito, e sarà chiesta anche la pubblicazione della futura sentenza sui principali mezzi di comunicazione. Sarà dunque il Tribunale a ripristinare la verità dei fatti». Ma la procellosa guerra televisiva, ieri ha seminato altra tempesta. L’authority per la concorrenze ha avviato due istruttorie nei confronti di Rai e Rti per verificare se il meccanismo del televoto sia trasparente o se, invece, costituisca una pratica commerciale scorretta.
E intanto Berlusconi cita «Report» per diffamazione e chiede i danni alla Gabanelli per il servizio sulla villa di Antigua
Una decisione che, spiega una nota dell’agenzia, è stata presa dopo che l’autorità aveva tentato la via della moral suasion nei confronti delle due aziende radiotelevisive, chiedendo l’introduzione di ”filtri” in grado di escludere le utenze business dal meccanismo del televoto. Una pratica che avrebbe evitato il rischio di chiamate di massa da parte di call-center appositamente organizzati all’uopo. Repubblica televisiva fondata sul televoto, magari taroccato? Dall’Agcom arriva una metafora suggestiva.
panorama
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Conti. Torino comincia a raccogliere i frutti della diversificazione lla fine i risultati gli stanno dando ragione. Gli ultimi dati del gruppo Fiat sono lusinghieri. Parliamo del gruppo e non della sola casa automobilistica, dove, invece, le preoccupazioni non mancano. Del resto sarebbe sorprendente il contrario. Nel Vecchio Mondo - l’Europa, gli Stati Uniti, il Canada - i consumi languono. Qualche spiraglio ancora si vede per i beni non durevoli, vista la necessita di sopravvivere, ma per il resto è buio pesto. I cittadini, oppressi dai debiti ed intimoriti dalle incertezze, preferiscono rimettere fieno in cascina. Negli stessi Stati Uniti - il paese per eccellenza delle cicale - il risparmio è fortemente cresciuto. Si rinviano i consumi che possono essere rinviati, in attesa di tempi migliori che nessuno e in grado di prevedere. Ci sarà la sospirata ripresa e quando? Che intensità avrà? Riassorbirà una dilagante disoccupazione, che sembra prefigurare il male oscuro dei prossimi anni? Nell’attesa che questi nodi vengano sciolti, meglio accumulare qualcosa, per resistere nel tempo. Ed ecco allora mantenere la vecchia auto. Da cambiare, semmai, solo per approfittare degli incentivi che i Governi di mezzo mondo hanno deliberato, ma che sono già finiti con un contraccolpo immediato sui mercati ed una conseguente perdita di quote: destinato, inevitabilmente, a riflettersi nel rosso dei bilanci aziendali.
A
A Marchionne va riconosciuto il merito di aver compreso per tempo dove si stava andando. Quando ipotizza che alla fine di questo cataclisma, che la crisi ha esasperato, sopravvivranno solo quattro o cinque grandi gruppi operanti a livello internazionale, dimostra di aver colto alcune direzioni di marcia. I testi canonici ci dicono che quando il gioco si fa duro, occorre concentrarsi sul core business.Vale a dire mobilitare il management verso obiettivi univoci. Concentrare le ri-
Contrordine: la Fiat non è più in crisi In nove mesi, 282 milioni di utili: i trattori salvano il 2010 del Lingotto di Gianfranco Polillo
Risultato positivo per la politica della “diversificazione industriale” voluta da Marchionne. Soprattutto grazie alle vendite di trattori e macchine industriali nei Paesi asiatici di conflitti, alimentati da un lato dalle resistenze al cambiamento, dall’altro dalle posizioni di un sindacato, come la Fiom, che rifiuta il presente, ma è incapace di declinare un diverso possibile futuro. Marchionne sta vivendo tutto questo e non solo in Italia. Anche se all’estero le cose, almeno per quanto attiene i rapporti con le forze sociali, richie-
to il resto: produzione di trattori, macchine per il movimento terra, autocarri. E, ciliegina sulla torta, il piccolo impero editoriale che è ancora custodito in quella che fu la cassaforte della famiglia Agnelli. Fiat Industrial – questo il nome della nuova società che ha rag-
siduale pronta ad essere sacrificata sull’altare delle quattro ruote. A tutto vantaggio del fratello maggiore che rimane identificato dal nome originario. Ed invece la sorpresa di questi giorni. Il fatturato è enormemente cresciuto, al punto da spingere il management a rivedere le previsioni originarie, migliorandole sensibilmente. Nulla di misterioso. La migliore performance di Fiat Industrial si deve solo alla globalizzazione ed ai grandi cambiamenti che stanno scuotendo l’economia mondiale.
gruppato le attività fuori dal comparto auto – non sembrava destinata ad un grande futuro: quasi fosse un’attività re-
automobilistica della Fiat è ancora concentrata nella fascia intermedia di quella produzione. Automobili essen-
Cina e India comprano automobili tedesche ma veicoli industriali italiani: è questo il segreto della formula Marchionne sorse sulle principali linee di produzioni. Abbandonare il resto. Razionalizzare le strutture produttive. Ridurre i costi, puntando sulla crescita della produttività,per sostenere i livelli salariali passati e quindi diffondere un benessere più generalizzato. Atti concreti: come quelli di Pomigliano, con il seguito inevitabile
dono meno stress e concitazione.
L e s c e l t e o pe r a t i v e che dovevano favorire questo processo avevano portato alla scissione delle diverse attività, che ancora oggi fanno parte del gruppo Fiat, in due distinti contenitori. Da un lato l’auto; dall’altro tut-
La produzione
zialmente destinate ad un ceto medio che, nel Vecchio Mondo, vive le difficoltà che abbiamo ricordato. I nuovi ricchi del Pianeta non comprano Fiat, ma Ferrari, Bmw e Mercedes. Sono queste le automobili che sfrecciano per le vie di Pechino, di Nuova Delhi o di Mosca. Però quegli stessi Paesi comprano trattori e veicoli industriali per dare alimento ad un’economia che cresce ad un ritmo che è dieci volte tanto. Beni capitali, come dicono gli economisti, che sono indispensabili a soddisfare la fame delle nuove metropoli industriali o sostenere un’agricoltura che, dopo tanto tempo, vede il prezzo della sua produzione crescere ad un ritmo ben diverso dal passato. Ecco, quindi, la spiegazione del piccolo miracolo. Una domanda che aumenta ed un’azienda leader nel settore che in grado di catturarne il vento. Ed a monte le contraddizioni di una fase nuova nello sviluppo complessivo del Pianeta.
Consumi opulenti delle nuove classi dirigenti, il cui livello di reddito è cento volte superiore a quello dei propri dipendenti. In grado di assorbire la produzione del lusso, mentre languono i consumi più comuni. Forte domanda dei beni intermedi e di quelli capitali che sono necessari per produrre beni, che saranno poi esportati principalmente in Occidente. È la spiegazione del successo tedesco. Un attivo della bilancia dei pagamenti che fa concorrenza alla stessa Cina: sia perché quella è la patria in cui si produce gran parte delle automobili di lusso, sia perché da lì proviene la maggior parte dei macchinari indispensabili per alimentare lo sviluppo dei nuovi poli industriali. Il gruppo Fiat si trova, suo malgrado, al centro di questa contraddizione. Finora si era soprattutto avvantaggiata Ferrari, oggi, per fortuna, il pendolo si è spostato verso quelle produzioni la cui importanza era stata, forse, sottovalutata. Dal che un insegnamento di carattere più generale. La globalizzazione non è una maledizione del Signore, come sostiene la retorica no-global, ma un grande cambiamento che marcia con le gambe di popoli che inseguono il sogno della loro emancipazione dalla fame e dal bisogno. Crea problemi nuovi ed inediti; ma anche grandi opportunità che il Paese intero può cogliere. Sempre che sia in grado di relegare in soffitta tesi polverose e guardare con disincanto a quello che sta realmente avvenendo.
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unque esiste anche un antiberlusconismo di destra, si son detti alcuni osservatori di superficie di quella strana e multiforme creatura che è la destra italiana e più in particolare la destra finiana dopo che sul web, s’è materializzato il dissenso neofuturista verso il voto favorevole di Fli al nuovo lodo Alfano. Eppure sarebbe bastato ripercorrere anche solo a volo d’uccello la storia della destra italiana degli ultimi vent’anni o indagare con un poco d’attenzione la sua rielaborazione culturale e politica, parlare con qualche suo esponente o militante, leggere qualche rivista o rivistina d’area per cogliere un diffuso e spesso acuto sentimento di diffidenza, se non di ostilità, nei confronti del berlusconismo inteso come categoria ideologica e antropologica. Certo, s’è trattato per più di tre lustri di un sentimento represso, celebrato di sottecchi, sovente dissimulato con consumata abilità o al contrario, nei momenti polemici, affermato attraverso la rivendicazione orgogliosa d’una diversità che affondava nella propria storia le sue radici e nella consapevolezza di avere ascendenze e padri nobili di contro ai parvenu della politica con cui la destra s’era, a un certo punto, trovata alleata.
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ROBERTO CHIARINI
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L’ostilità al Cavaliere è l’unica cosa che tiene insieme un radicale come Della Vedova e un vecchio missino come Tremaglia
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Un certo punto che coincide con il punto di svolta e di snodo della storia repubblicana: l’interregno tra la fine della prima Repubblica e l’inizio della seconda, dove viene siglata l’inedita alleanza tra Silvio Berlusconi, imprenditore legato al mondo socialista craxiano e il segretario del Msi Gianfranco Fini. Un’alleanza il cui innesto è lo sdoganamento del giovane segretario missino – eternamente rinfacciato dal Cavaliere – alla vigilia delle elezioni amministrative di Roma dove Fini è candidato contro Rutelli. Il passaggio che funziona da saldatura di questa intesa è la simultanea riconversione del Cavaliere e di Fini alle ragioni del garantismo dopo aver cavalcato a lungo e senza esitazione la tigre del giustizialismo e di Mani Pulite. Le monetine del Raphael contro Craxi partono dalle mani di molte centinaia di militanti organizzati dal Msi come sono missini i guanti bianchi agitati in parlamento nei giorni delle manette e dei processi in Tv.
Affondano anche qui, nella stagione di mani pulite, oltre che nei precedenti anni di lotta al sistema
L’antiberluscon
di Riccardo
partitocratico (non senza equivoci e accordi sottobanco) le radici legalitarie con slittamenti giustizialisti della destra italiana. In un pronunciato senso dello Stato e in una visione del mondo lontana dal modello edonista veicolato dal berlusconismo. Gianfranco Fini riesce nell’impresa di tenere insieme realpolitik e richiamo all’identità, malgrado i continui strappi e strattoni a cui sottopone il suo mondo fino addirittura alla fusione con il Pdl. Passaggio in cui Fini si gioca la scommessa di costruire la grande destra italiana dentro cui costruire un’egemonia. Ma viene così persa la giusta distanza che rendeva possibile questa alleanza, le frizioni tra i due cofondatori pro-
Viaggio in un fenomeno esploso in questi giorni ma che cova sotto la cenere da quindici anni. In discussione il senso dello Stato e l’interpretazione del binomio legge e ordine vocano scintille e le scintille l’incendio. Con la scissione di Fli infine quel sentimento carsico che ora diventa visibile si fa eruzione vulcanica. L’espressione più politica di questa corrente è Fabio Granata, interlocutore di Micromega e del Fatto quotidiano, coerente nella sua funzione di rottura di ogni ponte sospeso rimasto in
piedi tra Fli e Pdl. È l’unico a non votare la fiducia sui cinque punti programmatici al governo, a esprimersi in dissenso con il Lodo Alfano, ma non è isolato in questo percorso. Tanto che non è facilissimo per Fini argomentare di fronte alle contestazioni (ora anche interne) al suo equilibrismo una condotta che tenga assieme realpolitik e narrazione legalitaria. Lo stesso Secolo d’Italia offre una sponda di riconoscimento, un canale d’espressione a questo dissenso nel tentativo di governarlo. «C’è un fenomeno relativamente nuovo – scrive Flavia Perina – che è l’emergere e il consolidarsi di un antiberlusconismo da destra che vive come un trauma qualsiasi tipo di compromesso politico sui temi del rispetto delle regole. Si potrebbe rispondere che si tratta di un atteggiamento antipolitico perché è ovvio che l’orizzonte del gruppo finiano va molto oltre le contingenze di un voto in
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zo Palmesano nel suo libro Gianfranco Fini – Sfida a Berlusconi (Aliberti editore)– commette lo stesso errore dell’antiberlusconismo di sinistra. È l’errore di considerare il berlusconismo come una sorta di invasione barbarica nel mondo perfetto della politica e non per quello che effettivamente è: l’espressione di un blocco sociale». La trentina di intellettuali finiani adunatisi recentemente a Milano per lanciare il cosiddetto manifesto d’ottobre pronunciano messaggi alati: parlano di «metamorfosi come patire attivo», di «investimento sulla paideia», di «formazione irreversibile di un soggetto politico pericoloso». Denunciano «l’arteriosclerosi ideologica della ripetizione infeconda». Il filosofo Giacomo Marramao – che s’è affacciato al convegno dei pensatori finiani, e che negli anni Ottanta aveva partecipato con Cacciari agli incontri con la Nuova Destra di Marco Tarchi – precisa a liberal di non aver firmato il loro manifesto, «però ho detto loro che mi sembra un
GIACOMO MARRAMAO
nismo di destra
o Paradisi
commissione. Ma non basta perché come ci spiega Massimo Fini – uno che nei circoli di base ci va a parlare e ne conosce meglio di altri gli umori – l’antiberlusconismo di destra è anche e soprattutto un dato istintivo di pelle».
Sopra il premier Silvio Berlusconi nella foto sotto il presidente della Camera Gianfranco Fini. Il nuovo movimento dell’ex leader di An è stato criticato dai suoi simpatizzanti per aver votato il Lodo
Massimo Fini – scrittore di genio, campione d’una destra ideologica antiliberale e comunitaria, antiberlusconiano tra i più feroci in circolazione – spiega ancora al Secolo che cosa è l’antiberlusconismo di destra: «Il dato di fondo della destra è la difesa di legge e ordine: la difesa dell’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge è un principio sul quale ogni compromesso è percepito come un tradimento». Dunque pagato il dazio del Lodo – conclude Perina – «forse sarà il caso che Fli approfondisca il tema e dissi ogni equivoco su un’impossibile normalizzazione della contesa sulla giustizia». E del resto come poter proseguire un percorso con un berlusconismo, che, scriveva questa estate un altro ultrà finiano, Filippo Rossi, «coincide con il dossieraggio e con i ricatti», con gli «editti bulgari», con «la propaganda stupida e intontita? Per sedici anni ci siamo sbagliati – è l’autocritica di Rossi – che ora dà ragione agli antiberlusconiani di professione, confessando i propri «sensi di colpa», ammette anche «un pizzico di vergogna», «per non aver capito prima, per non aver saputo e voluto alzare la testa». Eppure Piero Ignazi, politologo dell’università di Bologna, studioso della destra italiana dai tempi del Msi, invita i neoantiberlusconiani di Fli a guardarsi dalle scorciatoie polemiche, dalla tentazione a cui potrebbe
indurre un rancore trattenuto da anni e la voglia di regolare dei conti sospesi. In una recente riflessione Piero Ignazi ammonisce che «L’importante non è (solo) provocare e dichiarare la fine del berlusconismo, quanto “ri-educare”un popolo che per troppo tempo ha preferito il canto delle sirene dell’ottimismo senza senso e senza fondamento. Rieducare questo sarà un processo molto molto più lungo che far cadere un governo e una maggioranza. Richiede molto tempo, molta pazienza, idee chiare, soggetti politici e attori sociali coscienti di quello che bisogna fare, con una narrazione convincente di un’Italia diversa, un progetto avvincente e convincente una strategia adeguata e coerente». Quella della legalità a destra è però un’arma spuntata secondo Ignazi «Fini fa un uso strumentale del tema della legalità, per una contrapposizione polemica dentro il Pdl. Non mi pare che la legalità sia un tema identificativo della destra italiana, e neppure della nascita di An». Anche perché «Il tema della legalità non è mai stato un tema delle formazioni moderate, semmai di alcune formazioni di sinistra liberal radicali: è un tema minoritario in sé, e che non ha mai caratterizzato la destra italiana: difficile che sulla legalità si possa costruire un’identità forte di
una nuova destra». E sono d’accordo con Ignazi anche molti finiani moderati, contrari all’idea di rievocare e cavalcare le erinni giustizialiste degli anni Novanta. il rischio evidente infatti è quello di finire nell’area d’ombra del qualunquismo dipietrista, di passare dalla padella del populismo berlusconiano alla brace di quello dell’ex magistrato molisano. D’altra parte sono molte le anime che s’agitano nel petto del nuovo corpo politico finiano. «Ci sono molti elementi dentro Fli – dice Roberto Chiarini, storico e osservatore attento della destra italiana – quello che li tiene assieme è l’identità organizzativa. Come si fa a tenere insieme del resto un radicale come Benedetto della Vedova con un vecchio missino come Tremaglia se non con un unica organizzazione che si definisce in termini polemici di fronte al vecchio alleato percepito come minaccia della propria identità. Ma appunto le identità in Fli sono molto diverse e Fini le tiene unite non avendone nessuna in particolare. Ciò che lo muove, soprattutto, è la sua ambizione di leader mentre ciò che muove uomini come Granata è questa idea forte di Stato di derivazione gentiliana. Che era lo stesso sentimento di Fisichella che con Fini ruppe quando An appoggiò il federalismo».
È vero quello che dice Chiarini. La definitiva uscita dal ghetto ha come spinto la destra finiana a recuperare il tempo perduto, a rivendicare, dopo averlo rinnegato, il suo passato missino e primorepubblicano, a trattare Berlusconi come appunto un parvenu della politica. «L’antiberlusconismo di destra – scrive En-
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Gli intellettuali finiani imputano al populismo di Pdl e Lega la colpa di lacerare le istituzioni e la comunità nazionale
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testo per molti versi efficace. Questo gruppo intellettuale – tra gli altri Peppe Nanni, Monica Centanni – ha da sempre una vena antiberlusconiana. È nel loro dna l’antiberlsuconismo. Pensi che loro ritengono che se c’è un tratto in cui l’esperienza tragica del fascismo vada in qualche modo recuperata o comunque faccia parte della storia italia a pieno titolo è stato proprio il fatto di conferire all’idea della nazione, dello Stato e della comunità nazionale un senso e dei valori definiti. Il modo in cui il fascismo era stato vissuto da un grande intellettuale come Giovanni Gentile. Ora, non si può negare che la destra populista e berlusconiana metta in crisi il tessuto connettivo della comunità nazionale non avendo il senso della sfera pubblica, il rispetto delle regole. Ma la vera novità di questo documento è il riconoscersi di questi intellettuali finiani nei principi e nei valori della costituzione repubblicana nata dalla resistenza». Ernesto Galli della Loggia ha scritto recentemente che Gianfranco Fini ha impiegato cinquant’anni per capire cosa è stato il fascismo e quindici per capire chi è stato Berlusconi: un po’ troppi. «Non nascondiamoci il fatto – risponde Marramao – che questi anni sono serviti a Fini come definitivo sdoganamento e per accreditarsi come uomo delle istituzioni. La torsione ulteriore del berlusconismo ha accelerato la sua rottura. Per quanto riguarda gli intellettuali a lui vicini sono stati sempre molto critici nei confronti di Berlusconi». Chissà se si riferiva a questo lungo viaggio verso il dissenso finalmente esplicito quel passaggio del documento sulla «metamorfosi come patire attivo».
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Elezioni. Il 2 novembre gli Stati Uniti rinnovano il Congresso: per il Presidente si annuncia una sconfitta sonora, malgrado Michelle e... Coondoleezza Rice
Pete contro Chris La sfida finale per le elezioni americane di mid-term si gioca fra i due guru del Paese: Sessions e Van Hollen di Martha Nunziata romosso o bocciato? Le elezioni del 2 novembre saranno la prima verifica per il Presidente Obama: in gioco c’è il controllo del Congresso. La “strategia d’attacco” è nelle mani dei coordinatori dei comitati elettorali: da una parte il democratico Chris Van Hollen, l’avvocato-filosofo del Maryland, dall’altra il repubblicano Pete Sessions, il manager-boy scout del Texas. Pete Sessions, da 13 anni deputato del Texas, ha scelto di trasformare le elezioni in un referendum anti-Obama, indicato come il principale responsabile della crisi. Non è un caso che in tutti gli spot televisivi, i candidati repubblicani rimarchino la scomparsa di oltre 11 milioni di posti di lavoro e la politica della Casa Bianca, fatta di «tasse, spesa pubblica e debiti». Lo slogan preferito di Sessions, che in ogni apparizione pubblica si vanta sempre di usare un linguaggio chiaro e semplice, da padre di famiglia del Sud, è «You cut», ovvero la necessità dei tagli per arginare la crisi, da opporre all’obamiano «Yes we can». La strategia del partito democratico, invece, è affidata a Chris Van Hollen; il deputato del Maryland, eletto nel 2003, nuovo pupillo di Nancy Pelosi, la speaker della Camera, punta a trasformare la consultazione del 2 novembre in una miriade di scontri locali, per disinnescare, o almeno attenuare, l’effetto negativo della perdita di popolarità del Presidente. Che lo ha subito seguito, dichiarando in un’intervista a Rolling Stones: «Bisogna che i democratici vadano a votare, per evitare il ritorno dei repubblicani di Bush».
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Van Hollen e Sessions , divisi politicamente, accomunati da una singolare storia familiare: entrambi sono cresciuti nel mito dell’intelligence americana. William S. Sessions, il padre di Pete, è stato per 7 anni Direttore dell’Fbi, mentre Eliza, la madre di Van Hollen, è stata un agente della Cia, e funzionario del Dipar-
timento di Stato, nel periodo nel quale il marito Cristopher sr., il padre di Chris, è stato Ambasciatore degli USA in Medio Oriente e nello Sri Lanka. Van Hollen dovrà fare i conti con un clima che, al 1600 di Pennsylvania Avenue, nei prossimi giorni sarà arroventato.
C o l p a d e g l i u l t i m i sondaggi, che assegnano a Obama il 47% delle preferenze degli americani, il minimo storico del suo mandato presidenziale (nel 2008, subito dopo l’elezione, il suo gradimento era l’oltre l’80%). Sono passati appena due anni dalla notte del Grant Park di Chi-
Secondo le ultime rilevazioni compiute dall’autorevole “New York Times”, i democratici hanno 159 seggi sicuri e sono in testa in altri 45 distretti elettorali. Un numero maggiore per i repubblicani, sicuri in 168 seggi e in testa in 26 cago, quando 75000 persone sfidarono il gelo dell’Illinois per tributare l’omaggio a colui che sa-
rebbe diventato, di lì a poche ore, il 43esimo presidente della storia degli Stati Uniti, il primo di origine afroamericana, ma sembrano secoli. E le accuse di immobilismo, provenienti dalla base stessa del suo partito, si mescolano alla delusione. Il cambiamento tanto atteso non c’è stato, gli Usa continuano ad essere ostaggio di un forte momento di recessione, migliaia di cittadini medi hanno perso il lavoro, la casa, e pure l’american dream, quel misto di speranza e fiducia nel futuro che l’elezione di Obama aveva alimentato, aspettative forse ingigantite anche dai massmedia, per i quali, subito dopo il suo insediamento, sembrava che Obama fosse destinato a risolvere tutti i problemi del mondo.
La consultazione porterà al rinnovamento dell’intera Camera dei Deputati, 435 seggi, e di parte del Senato, 37 seggi su 100: gli americani, poi, eleggeranno i governatori di 37 dei 50 Stati. E le previsioni delle ultime settimane non sono certo rosee per il Presidente: secondo il New York Times alla Camera i democratici hanno 159 seggi sicuri e sono in testa in altri 45, mentre i repubblicani hanno 168 seggi sicuri e sono in testa in altri 26, con i restanti 18 in bilico. Anche al Senato la sfida sembra pendere dalla parte dei repubblicani, che controllano 12 seggi e sono davanti in altri 8, contro i 6 blindati dai democratici, in testa in altri 2, con 9 sfide sul filo dell’equilibrio. Ancora più negativa, invece, secondo gli analisti del quotidiano newyorkese, la situazione dei governatori, se osservata con l’angolazione presidenziale: i seggi incerti sono parecchi, 13, ma i repubblicani controllano 10 Stati e sono in vantaggio in altri 8, mentre i democratici, in vantaggio in 3 Stati, sono sicuri, per ora, di portarne a casa solo 2, l’Arkansas e lo Stato di New York, nel quale Andrew Cuomo, l’ultimo esponente di una dinastia, figlio dell’ex governatore Mario (tre mandati di fila dall’86 al ’94) corre contro un altro american italian, Carl Paladino, l’imprenditore di Buffalo che sta trasformando la campagna elettorale per una delle poltrone più ambite in una sfida che nelle scorse settimane è stata senza esclusione di colpi, accuse personali e insulti compresi. Storicamente, peraltro, le elezioni di Mid-
term portano male al partito del presidente, uscito sconfitto in dodici delle ultime 14 consultazioni: uniche eccezioni nel 1998, con Clinton (al secondo mandato) che conquistò 5 seggi in più alla Camera e pareggiò al Senato, e nel 2002, quando George W. Bush (il cui rendimento sfiorò il 72%, anche sull’onda emotiva dell’11 settembre e della war against terror) guadagnò 8 deputati e 2 senatori in più.
E forse è anche per questo che il Partito Democratico ha deciso di schierare i suoi fuoriclasse, Bill Clinton e Michelle Obama. L’ex presidente, nelle prossime due settimane parteciperà a trenta eventi (più dello stesso Obama e del vice Biden), puntando soprattutto a recuperare i voti degli elettori di centro, i moderati delusi e gli indipendenti, cercando di scongiurarne l’astensione dalle urne, mentre alla First Lady è destinato il compito di parlare soprattutto alle donne, elemento trascinante nella vittoria di due anni fa. Obama, invece, si concentrerà sul recupero di quella fascia di elettori che due anni fa si erano battuti per lui ma che stavolta meditano di starsene a casa: verdi, liberal e neri, per convincere i quali il presidente ha deciso di adottare anche un eloquio diverso dal solito, più duro e pungente. In attesa di calare, forse, l’asso nella manica, quello meno atteso, ma che potrebbe davvero sconvolgere le dinamiche elettorali. A W ashi ngt on, in fat t i, continuano ad inseguirsi le voci di un possibile inserimento nello staff della casa Bianca di Condoleezza Rice, l’ex Segretario di Stato che la scorsa settimana è stato ricevuta nello Studio
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Parla lo studioso e politologo Joseph LaPalombara
«Incognita affluenza su un’America delusa»
«Il presidente ha perso troppo tempo sulla sanità senza guardare i veri problemi della mid-class» oseph LaPalombara, Professore di Scienze Politiche alla Yale University, è uno dei più famosi ed apprezzati politologi americani. Di origine italiana, ha pubblicato anche decine di libri sulla politica italiana. Vive a New Haven, nel Connecticut, da dove ha commentato, per noi, la vigilia delle elezioni di Mid-term. Professor LaPalombara, come si stanno preparando gli USA a queste elezioni? E quale sarà, secondo lei, l’impatto di queste elezioni sul Paese? Gli americani, da qualche mese a questa parte, continuano solo a sentire che i democratici prenderanno una bella batosta elettorale. Certo, questo è un risultato da non escludere, anche se i sondaggi più recenti riportano risultati leggermente più incoraggianti per il partito democratico. Molto dipenderà, in realtà, dall’affluenza alle urne. Se la campagna elettorale recente dei democratici, alla quale lo stesso presidente Obama e la First Lady stanno partecipando con grande impegno, otterrà il risultato voluto, cioè quello di mobilitare la base del partito (i neri, i giovani e i ceti più bassi della popolazione, cioè proprio le categorie che storicamente fanno registrare i livelli di partecipazione più bassi alle consultazioni di mid-term) le perdite saranno ridotte. Perché il Presidente Obama ha perso così tanti consensi in due anni? Il calo di gradimento del Presidente in carica, secondo lei, è fisiologico (nelle ultime 14 elezioni di Mid-term solo due volte, con Clinton e George W. Bush il partito del Presidente ha guadagnato seggi), o ci sono altri fattori? La ragione principale per cui le perdite potrebbero essere ingenti per i democratici si chiama Barack Obama. Questo perché, a mio parere, è stato mal consigliato. Ha voluto concentrarsi, e spendere molto del suo tempo, sulla riforma sanitaria, trascurando la situazione economica americana che, a parte i risultati importantissimi registrati dal primo e massiccio intervento di salvataggio del sistema finanziario dall’abisso, non ha avuto quella riduzione della disoccupazione nella quale contava la Casa Bianca. Si sono salvate le banche. Si è favorita Wall Street. Gli americani leggono ogni giorno che nel settore finanziario sono tornati in circolazione “bonus” di cifre astronomiche, quasi oscene. Contemporaneamente, milioni di americani stanno perdendo le proprie case, perché gli stessi banchieri hanno stipulato mutui sba-
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Ovale. La Rice, che si trovava a Washington per presentare la sua autobiografia Extraordinary, Ordinary People, è andata a trovare il presidente, ufficialmente su suo invito perchè Obama non avrebbe potuto partecipare alla presentazione, ma il suo ingresso da West Wing ha fatto parecchio rumore. Obama dovrà fare i conti, nel 2011, con un rimpasto del suo staff, che continua ad accusare defezioni: l’ultimo in ordine di tempo a lasciare sarà Robert Gates, che abbandonerà il Pentagono. Gates è repubblicano, e Obama medita di sostituirlo con un esponente dello stesso partito, in ossequio al sistema bipartisan che lui stesso ha voluto.
Ecco p er ché la presenza alla Casa Bianca della Rice, che ha definito Hillary Clinton «una patriota, con gli istinti giusti, molto tosta e che sta facendo tante cose giuste» ha scatenato una ridda di ipotesi sul suo possibile coinvolgimento. Sarebbe un clamoroso coupe de theatre, che garantirebbe al Presidente non solo la vittoria, ma l’appoggio praticamente incondizionato di gran parte dell’elettorato conservatore. Una sorta di assicurazione sul futuro.
Barack Obama: le elezioni di mid-term saranno un banco di prova per la sua politica. In basso, Michelle Obama. A destra, il politologo Joseph LaPalombara. Nella pagina a fianco, la leader repubblicana Sarah Palin
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gliati. Ed è proprio da questo scenario - aggiungo - che stiamo assistendo ad una nuova forte ondata di populismo, abbastanza preoccupante. Si riferisce al fenomeno dei Tea Party? Secondo lei possono incidere in queste elezioni? Sì, il fenomeno dei Tea Party potrebbe essere l’aspetto più palese del nuovo populismo al quale mi riferivo. Credo però - o forse è meglio dire che spero - che i candidati più strani di questo nuovo schieramento non abbiano alcuna chance di essere eletti a novembre. Mi riferisco all’aspirante senatrice che va in tv per dichiarare che l’accusa di essere una strega è falsa (Christine O’Donnell, candidata al Senato del Delaware, ndr) o all’aspirante Governatore dello stato di New York, Carl Paladino, che dice cose che poi gli stessi leader repubblicani sono costretti a smentire. A parte ciò, sembra altamente probabile che diversi candidati dei Tea Party verranno eletti. Oggi ci sono degli analisti convinti che da questo movimento potrà nascere il futuro politico. Io personalmente lo dubito, però a breve saranno loro la ragione principale per l’immobilismo del governo federale: e questo sarà il loro contributo, del tutto nocivo. Dov’è finito l’elettorato medio, che tanto aveva inciso sull’elezione di Obama? I giovani, coloro che erano fra i più fiduciosi sul fatto che un presidente come Obama avesse portato a vere e sostanziali riforme risultano oggi fra i più delusi: scarsi posti di lavoro; laureati che non trovano un impiego; operai che vengono licenziati; fabbriche che chiudono; genitori che, nei sondaggi (per la prima volta in America), rispondono di non aspettarsi che i propri figli faranno passi avanti, rispetto a loro, dal punto di vista socioeconomico. E poi giovani coppie che divorziano ma, poiché incapaci di cavarsela economicamente ognuno per proprio conto, restano a vivere nello stesso appartamento, dividendone il costo mensile. Ecco, tutto questo è lo scenario nel quale si muove Obama. Ci si può aspettare, secondo lei, l’emergere di una figura nuova, che possa calamitare l’attenzione nazionale? Questa è una domanda alla quale è difficile dare una risposta. Lo stesso Obama è stato una figura nuova, il che però ci fa capire che anche in questi casi quello che si spera, anzi, quello che si prevede, finisce per non avverarsi, e creare grandi delusioni. In ogni caso, anche consultando la mia sfera di cristallo, continuo a trovarla troppo nebbiosa... (m.v.)
Il nuovo populismo in stile Tea Party è sicuramente nocivo, ma da qui in avanti la politica degli States dovrà imparare a farci i conti
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Russia. Educazione, immobili e trasporti le priorità del primo cittadino l Cremlino ha archiviato il dossier Mosca. In neanche un mese, il presidente russo, Dimitri Medvedev, ha liquidato lo storico primo cittadino della capitale, Yuri Luzkhov, lo ha sostituito con un suo uomo per un incarico ad interim, Vladimir Resin, e ora ha chiuso la partita consegnando definitivamente le chiavi della città a Sergey Sobyanin. La scelta del leader russo necessitava dell’approvazione da parte della Duma cittadina. L’ok è arrivato in una maniera sostanzialmente bulgara. Trentadue membri del consiglio si sono espressi in favore del candidato, mentre solo due hanno espresso la loro sfiducia. Da un punto di vista formale, la nomina del sindaco spetta alla Duma locale solo dal 2004, quando le elezioni dirette furono abolite con un colpo di mano che nessuno, in epoca putiniana, osò contestare. Il meccanismo era finalizzato a controllare la municipalità moscovita. Questo, tuttavia, non portò all’eliminazione di Luzkhov. Per farlo sarebbero dovuti passare altri sei anni, arrivando così alla crisi dello scorso fine settembre. Il nome di Sobyanin ha cominciato a circolare solo all’inizio di questa settimana. Appena mercoledì la Ria Novosti - agenzia stampa notoriamente inserita nelle stanze dei bottoni e che quindi dovrebbe essere la prima a sapere certe notizie - metteva in evidenza le sfide che attendono il futuro sindaco moscovita e che sarebbero gravate appunto sulle spalle di Sobyanin.
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Il nuovo primo cittadino della capitale russa è nato nel 1958, nel Circondario autonomo dei Chanty-Mansi, regione sperduta della Siberia. È il suo stesso volto a ricordarci queste origini. I suoi tratti somatici sono squisitamente
Sobyanin, un siberiano alla guida di Mosca Ecco perché il nuovo sindaco mette d’accordo Medvedev e Putin di Antonio Picasso
l’amministrazione presidenziale di Vladimir Putin. Nel frattempo è stato chairman del consiglio di amministrazione di Channel One, l’emittente tv più seguita nel Paese e controllata al 51% dal governo. Ma il punto più rilevante di questo curriculum è che Sobyanin faccia parte della segreteria nazionale di Russia Unita (Edinaja Ros-
La scelta del leader necessitava l’ok della Duma cittadina. Il via libera è arrivato in maniera sostanzialmente bulgara centro asiatici e forse sono proprio questi a suggerirne l’imperscrutabilità del carattere, di cui è celebre il diretto interessato. Sobyanin corona una carriera politica che si intreccia con quella nell’alta amministrazione. Negli anni Novanta, prestò servizio nella burocrazia locale e poi, nel 1996, fu eletto membro del Consiglio federale. Nel 2001, diventò governatore della regione di Tyumen, centro nevralgico delle risorse minerarie del Paese. Successivamente per tre anni, ha guidato
sija), il partito di riferimento di Putin ora che questo è primo ministro. Il presidente russo ha firmato un decreto di nomina del segretario generale del Presidio del partito e Vice Presidente della Duma di Vyacheslav Volodin. Osservando lo scenario delle dinamiche di potere distribuite fra Mosca e San Pietroburgo, il presidente Medvedev avrebbe optato su Sobyanin in quanto si tratta un boiardo di Stato che ha dimostrato le sue capacità dirigenziali e, al tempo stesso, ha sa-
I possibili intrighi del vecchio ”zar”
La vendetta di Luzkhov Lo zar di Mosca non molla lo scettro. Pur essendo stato estromesso dalla sua carica il 28 settembre, ci si aspetta che l’ex sindaco Yuri Luzkhov passi al contrattacco. La sua rimozione era stata dettata da una decaduta fiducia presso il Cremlino di un uomo che, per 18 anni, aveva governato in modo incontrastato la città. Peraltro, lasciando la carica pubblica, Luzkhov è stato emarginato anche dalla leadership di Russia Unita, il movimento politico che aveva cofondato con Putin. L’ex sindaco si era trovato sempre in linea con le scelte del Cremlino e con il suo atteggiamento palesemente autocratico nei confronti dell’opinione pubblica nazionale. Educato anch’egli alla vecchia scuola della nomenclatura sovietica non aveva mai mostrato alcuna propensione in favore di aperture democratiche o per una maggiore distribuzione dei poteri. Tuttavia, chi di spada ferisce, di spada ferisce. Neanche un mese fa, infatti, la lunga car-
riera era stata interrotta per espressa volontà del Cremlino. Adesso Luzkhov sembra che stia meditando vendetta. Il fatto di aver governato Mosca per quasi vent’anni deve avergli permesso di stringere alleanze e relazioni che potrebbero essere ben più forti dell’asse che l’ha detronizzato. L’incognita è:
che tipo di iniziativa politica potrà nascere? Il sistema politico russo è costruito a tenuta stagna, tale per cui nuovi partiti e nuovi soggetti politici possono sì nascere, ma hanno vita breve. Luzkhov sarà capace di interrompere questa tradizione e rendere la vita difficile al Cremlino? (a.p.)
puto non compromettersi con le fazioni politiche attualmente in lotta nelle due città russe. Il leader del Cremlino ha deciso di promuovere un uomo di Putin per evitare frizioni con quest’ultimo - le quali sarebbero inopportune in un momento in cui il Paese sta cercando di uscire dalla crisi finanziaria. Inoltre ha sbaragliato Igor Sechin, anch’egli vicino al premier, ma ritenuto troppo ambizioso a livello personale. A bocca asciutta è rimasto anche Vladislav Surkov, vice capo di gabinetto di Medvedev e tentacolare businessman. In questo modo, Medvedev ha lasciato insoddisfatte le istanze di entrambi i gruppi di potere, uno a lui avversario e il secondo invece alleato. Probabilmente, in accordo con Putin, ha preferito non esporre la municipalità di Mosca agli appetiti delle due fazioni opposte.
Presidente e primo ministro, in questo, sebbene in esplicita competizione personale, sono consapevoli che la ripresa economica di tutta la Russia deve cominciare dalle grandi aree metropolitane: Mosca ora e San Pietroburgo in un secondo tempo. Per questo è necessario avere un sindaco tecnicamente preparato e politicamente non pericoloso. La capitale, come ricorda la Ria Novosti, presenta il peggiore tasso di disoccupazione dei suoi ultimi vent’anni. Per quanto le cifre ufficiali - diramate ancora dalla decaduta giunta Luzkhov - parlino di appena 50 mila cittadini moscoviti senza lavoro, sugli 11 milioni di abitanti totali, «le cifre effettive sono molto più alte. Peraltro la maggior parte della popolazione non riceve i sussidi base previsti dalle leggi comunali», dice criticamente l’agenzie filo governativa. È logico pensare che questa presa di posizione mediatica sia faccia parte dell’onda lunga di screditamento contro l’ex sindaco Luzkhov, il quale, pur epurato, sembra non voler abbandonare lo stage politico. Ria Novosti servirebbe per mostrare l’inefficienza dell’ex sindaco, che comunque era rimasto in carica per quasi diciotto anni: cosa ha fatto di male e soprattutto cosa non ha fatto. Una campagna mediatica che, tuttavia, non solleva Sobyanin dalle incombenze che da ieri gli sono state attribuite. Medvedev ha parlato francamente al nuovo primo cittadino della sua capitale. Educazione, immobili e trasporti devono essere prioritari nella agenda municipale.
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22 ottobre 2010 • pagina 17
Un mercato da 75 milioni di dollari che viaggia sul web
Parigi: oggi il Senato voterà la legge sulle pensioni
Farmaci falsi, il business che assedia l’Europa
Francia, vigilia di caos per l’ok alla riforma
BUCAREST. Un mercato clandestino da 75 miliardi di dollari quest’anno, poco rischioso, estremamente redditizio, che in Europa sfrutta le vie già battute dai trafficanti di droga. È il mercato dei farmaci contraffatti che riguarda un farmaco su due venduto su internet e che assedia le frontiere dei paesi dell’Europa orientale. Secondo l’Oms l’uso di medicinali falsi può condurre anche alla morte: dall’assenza totale di componenti attivi alla presenza 8mila volte la dose normale, i farmaci falsi a volte contengono anche metalli pesanti, arsenico, coloranti a base di piombo e polvere di mattoni. Secondo Steve Allen, direttore di Pfizer Global Security, dal 2004 a oggi sono stati sequestrati 63 milioni di false compresse e fiale Pfizer oltre agli ingredienti attivi per altri 64 milioni. «Non è che la punta dell’iceberg» secondo Allen.
PARIGI. Non accenna a placarsi in Francia la protesta contro la riforma delle pensioni, che il Senato voterà domani. Il governo ha chiesto una accelerazione del dibattito parlamentare e l’opposizione socialista, che aveva presentato una serie di emendamenti per rallentare l’iter della riforma, sarebbe d’accordo nel non ostacolarla. I sindacati però restano sul piede di guerra. Barnard Thibault, il leader della più forte organizzazione sindacale, la Cgt, ha affermato che «non ci sono ragioni per interrompere la protesta», preannunciando altre azioni. Ieri a Marsiglia i manifestanti hanno bloccato per ore tutte le strade d’accesso a tutti i terminal dell’aeroporto. Nella
Il business del farmaci falsi attira sempre più i trafficanti di droga. «I metodi di approvvigionamento sono gli stessi, le pene no» spiega l’esperto della più grande casa farmaceutica mondiale. A volte droga e farmaci viaggiano insieme, come testimonia il sequestro in Turchia di 6mila compresse di falso Viagra, 378mila
Le riserve di Trichet sulle regole dell’Euro Il governatore dice “no” al Piano Van Rompuy di Massimo Ciullo l Presidente della Banca centrale europea, Jean Claude Trichet, pretende che il suo disappunto sulle nuove regole di bilancio Ue, giudicate troppo morbide, sia messo nero su bianco. La notizia era stata anticipata ieri sulla prima pagina del Financial Times, che aveva raccolto le indiscrezioni filtrate dall’entourage del governatore della Bce. Secondo il quotidiano britannico, l’ufficio di Trichet avrebbe inviato al Presidente del Consiglio Europeo Herman Van Rompuy una lettera, invitandolo ad inserire nella bozza una postilla dove si spieghi che il Presidente dell’Istituto centrale «non sottoscrive tutti gli elementi del rapporto dei ministri dell’Economia della Ue». Il governatore della Banca di Francoforte ha avanzato le sue riserve sulle nuove regole di disciplina fiscale per i Paesi della zona Euro, elaborate nel rapporto Van Rompuy e approvate dall’Ecofin lunedì. La presa di posizione di Trichet è stata poi ufficializzata da una nota della Bce, che attraverso un suo portavoce ha confermato la richiesta del Presidente di riformulare la bozza in modo da includere le sue obiezioni. Il portavoce dell’Eurotower ha che dichiarato «Trichet non è d’accordo su tutti gli elementi contenuti nell’accordo» e per questo «ha redatto una nota che spiega le sue obiezioni» da inserire nel testo approvato. Il documento pubblicato ieri dal Consiglio Ue non contiene invece, le riserve del banchiere centrale, ma informa solo del suo dissenso su punti che non sono specificati. I 27 ministri delle Finanze dell’Unione europea, al lavoro questa settimana al Lussemburgo per un accordo sul rafforzamento delle regole di bilancio europee, hanno deluso le aspettative dei banchieri di Francoforte. Ieri, il vicepresidente della Bce,Vitor Constancio, aveva definito la scelta dei ministri finanziari «troppo morbida», affermando che la disciplina di bilancio avrebbe dovuto essere più severa. Anche il membro del Consiglio direttivo della Bce, Juergen Stark, aveva criticato l’accordo, definendolo «ben al di sotto delle proposte della Commissione Ue», un testo che non recepi-
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sce «le lezioni della crisi dei conti pubblici in Europa». La versione approvata presenta delle difformità rispetto alle proposte avanzate dalla Commissione di Bruxelles, soprattutto in tema di automatismi per le sanzioni ai Paesi che non rispettino i vincoli stabiliti per i conti pubblici. La decisione ultima, in tema di sanzioni, spetterà sempre agli Stati e la Bce teme che la severità richiesta sarà diluita dalle solite operazioni ricattatorie che ogni membro Ue può mettere in atto nei confronti dei suoi partner.
Non si spiega altrimenti, l’abbandono da parte della Germania della linea di estremo rigore finora sostenuta dalla Cancelliera Angela Merkel. Nell’accordo di ieri, i Paesi più rigoristi guidati proprio dalla Germania hanno ceduto sul fronte dell’automaticità delle sanzioni per i Paesi non virtuosi, ma avrebbero ottenuto l’impegno a valutare una possibile modifica dei trattati comunitari per avviare una “fase due” della riforma del patto. Sarebbe proprio questo compromesso giudicato da molti «al ribasso», accettato dalla Merkel e dal presidente francese Nicolas Sarkozy, che non piace a Trichet, da sempre a favore di sanzioni dure per chi, all’interno della Ue non riesce a rispettare i parametri stabiliti. Secondo l’attuale testo redatto dai ministri dell’Economia, le sanzioni per i Paesi non virtuosi non scatteranno appena uno Stato va in deficit eccessivo, ma solo dopo sei mesi se nel frattempo non saranno state prese le misure correttive necessarie. A quel punto le sanzioni saranno comminate dalla Commissione Ue e il Consiglio Ue le potrà respingere solo con una maggioranza qualificata degli Stati. Il compromesso raggiunto in Lussemburgo dà maggiori poteri all’esecutivo europeo in materia di sanzioni per deficit eccessivo. Sul fronte del debito, nel testo non compare alcun riferimento sull’entità del taglio dei debiti eccessivi (che Bruxelles nella sua proposta individua in un ventesimo l’anno). L’accordo sarà sottoposto all’approvazione dei Capi di Stato e di Governo della Ue, la prossima settimana.
I 27 ministri delle Finanze dell’Unione, hanno deluso le aspettative dei banchieri di Francoforte, per essere stati “morbidi”
compresse di ecstasy e degli ingredienti per fabbricare 51 chilogrammi di eroina. «Esiste una rotta dei Balcani sia per i medicinali contraffatti sia per la droga» ha detto Karolyi Szep, un doganiere ungherese, durante un convegno sul tema tenutosi ieri in Romania. Farmaci contraffatti sono stati trovati nelle catene di vendita legali di 45 paesi. Tra cui Stati Uniti, Gran Bretagna e Canada dice Rubie Mages di Pfizer Global Security. Oggi la maggior parte delle vendite, con i rischi che comportano, avviene via internet. Secondo l’Oms c’è il 50% di possibilità che i farmaci acquistati online siano contraffatti.
città meridionale, diventata il fulcro dell’agitazione, il porto è paralizzato da un blocco, i trasporti pubblici sono praticamente fermi e i treni in forte ritardo. Tonnellate di rifiuti si stanno accumulando nel centro della citta, tanto che il governo locale ha denunciato una «situazione di forte pericolo per la salute cittadina».
A Tolosa, dove è in programma una nuova manifestazione, e a Nantes, gli autobus cittadini sono fermi dalle prime ore del mattino. Gruppi di studenti si sono scontrati con la polizia in diverse città del paese. Una ragazza è rimasta ferita a Poitiers, nella Francia centrale. I distributori di benzina sono a secco in più di un quarto del Paese. Diversi ministri hanno annunciato che procede lo sblocco dei depositi di carburante, mentre migliora anche la situazione dei treni. Nicolas Sarkozy ha promesso il pugno di ferro contro i protagonisti degli incidenti di mercoledì a Lione, un’altra delle città più calde. «Uno scandalo», ha detto il presidente francese, promettendo che i violenti non avranno l’ultima parola. «È inaccettabile, saranno trovati, arrestati e puniti, a Lione come altrove».
cultura
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Revisioni. Esce per Skira “Camera oscura”, nuovo libro di Simonetta Agnello Hornby dedicato all’attività fotografica del creatore di ”Alice nel paese delle meraviglie”
Oltre lo specchio di Carroll I suoi scatti provocarono accuse e dicerie, ma il mondo dell’infanzia fu soltanto la fonte delle sue favole immortali di Diego Mormorio isognerebbe forse essere un bambino, o meglio, una bambina, e avere la fortuna di incontrare nella vita di tutti i giorni il reverendo Charles Lutwidge Dodgson per entrare nella magia di Lewis Carroll, di cui noi non sapremmo nulla se non fosse per un libro nato durante una gita sul Tamigi – da Oxford fino a Godstow e ritorno – il 4 luglio 1862: Alice nel paese delle meraviglie.
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Dodgson fu un personaggio fra i più singolari che l’Inghilterra ha avuto nell’Ottocento, sul quale per lungo tempo è gravata l’infamia di essere un pedofilo, seppure represso. Un’accusa che, però, ancor prima dell’uscita del libro In the shadow of the dreamchild di Karoline Leach, a un attenta lettura dei sui Diari e delle 1200 pagine delle sue Lettere, mirabilmente curate da Morton N. Cohen, poteva benissimo risultare del tutta infondata. A leggere le lettere si rimane a tratti sbalorditi, si vede come il wonderland di Dodgson non sia una questione semplicemente letteraria, ma riguardi la vita di tutti i giorni. Si potrebbe addirittura dire che non c’è un divertimento carrolliano maggiore della lettura della sua corrispondenza, così come niente più delle lettere a Felice Bauer può farci entrare in quello che Kafka chiamava “il mio manicomio”. La “questione Carroll” è diventata incandescente sin dal 1948, a partire dalla “scoperta” delle sue fotografie. Ai tempi in cui era vivo, Dodgson era molto noto come fotografo nella cerchia dei suoi amici, e segnatamente co-
me fotografo di bambine. Dopo la sua morte, però, nonostante la biografia The Life and Letters of Lewis Carroll scritta dal nipote Stuart Dodgson Collingwood contenesse alcune immagini riprese dallo scrittore, si perse memoria di
Dodgson si dichiarava un uomo «di una meravigliosa felicità» e aggiungeva: «Questa felicità viene dall’amicizia di fanciulle»
questa sua attività. La riscoperta di queste sue fotografie avvenne quasi per caso, da parte di Helmut Gernsheim, che durante le sue ricerche per il volume Jiulia Margaret Cameron. Pioneer of Photography, pubblicato nel 1948, venne a imbattersi in uno degli album di Dodgson, che lo portarono a intraprendere nuove ricerche che finirono per assegnare all’autore di Alice un
singolare importante posto nella storia della fotografia.
Man mano che queste fotografie divennero note al grande pubblico crebbe la diceria di “Carroll pedofilo”, e in ciò ebbe un parte importante uno dei maggiori fotografi del Novecento, Gyula Halász, detto Brassaï, con un testo intitolato Lewis Carroll photographe ou L’autre côté du miroir, pubblicato su “Zoom” a Parigi nel 1972. Questo testo, scritto in bella e scorrevolissima forma, ha avuto una diffusione straordinaria, e si è accompagnato alla fortuna di “Lewis Carroll fotografo”. Si affermò così presso il vasto pubblico l’idea che le fotografie delle bambine fossero per Dodgson «una camera di compensazione della sua vita amorosa frustata». Si è trattato e si tratta ancora – come spesso per tutte le dicerie – di un fuoco che si autoalimenta. Ultimamente, con una certa circospezione si è avvicinata a questo fuoco Simonetta Agnello Hornby, con un libro intitolato Camera oscura (Skira, 122 pagg, 15 euro), in cui dati reali tratti dalle lettere di Dodgson si fondono con elementi di fantasia e costituiscono racconto di scorrevole lettura. Dodgson si dichiarava un uomo felice, «di una meravigliosa felicità» e aggiungeva: «tutta questa felicità mi è venuta dall’amicizia di fanciulle». È da questo sentimento che si sono irradiate Alice nel paese delle meraviglie e Attraverso lo specchio, i libri coi quali Dodgson si è consegnato ai fasti della letteratura, ma anche le immagini che gli hanno dato un posto nella storia della foto-
Nella foto grande, un fotogramma di “Alice nel paese delle meraviglie”, nell’adattamento cinematografico che la Walt Disney fece a partire da Lewis Carroll. Pesudonimo di Charles Dodgson, (in basso a sinistra, nella foto) fu chiacchierato per la frequentazione di minori
grafia. Possiamo, addirittura dire, che queste due cose – la letteratura e la fotografia – entrarono nella sua vita ognuna per via dell’altra. Furono inscindibilmente connesse.
Il suo primo diretto contatto di Dodgson con la fotografia cominciò a maturare nel 1855, attraverso la frequentazione di Reginald Southey, studente come lui al Christ Church, già a quel tempo competente amatore di fotografia. Reginald era di tre anni più giovane di Dodgson. La loro amicizia nacque e si sviluppò avendo come base una comune passione scientifica. Con la sua notevole esperienza fotografica, attestata dagli album fotografici conservati alla Princeton University, Southey fu il vero iniziatore di Dodgson alla fotografia. Dodgson scelse subito la via del ritratto, e la seguì per sempre. Diversamente dalla grande
maggioranza dei fotografi amatori della sua epoca, egli sentì solo marginalmente il fascino delle rovine, dei boschi, dei paesaggi inglesi e dei giardini. Sin dall’inizio egli fu affascinato dalle fotografie in cui era centrale la figura umana. Nel volgere di poco più di un anno, tra l’estate del 1856 e il settembre del 1857, Dodgson è diventato uno grande fotografo. Le sue immagini più straordinarie – e indimenticabili – nasceranno però a partire dal 1858, l’anno della celeberrima Alice Liddell come The Beggar Maid (mendicante) e dell’incontro con lo scultore Alexander Munro (1825-71), che conobbe in febbraio in casa di sir Henry Wentworth
cultura
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solutamente impareggiabile con le bambine, alle quali inviava lettere incredibilmente esilaranti. Un esempio per tutti può essere quella che inviò (in un giorno imprecisabile del 1867) alla piccola Annie Rogers, figlia di un parlamentare professore di economia politica a Oxford: «Mia cara Annie, è proprio terribile. Non hai idea del dolore in cui mi trovo mentre scrivo. Sono costretto a servirmi dell’ombrello impedire per che alle mie lacrime di scorrere sul foglio. Sei venuta a farti fotografare? E ti sei molto arrabbiata? Perché non c’ero? Beh, è andata così – ero uscito a fare una passeggiata con Bibkins, il mio caro amico Bibkins – siamo andati molte miglia da Oxford – cinquanta-cento, diciamo.
Acland. Da questo incontro nacque una lunga frequentazione, che introdusse il matematicoscrittore-fotografo nell’ambiente preraffaellita di cui faceva parte Munro, che, come Dodgson, prendeva ispirazione dal mando infantile. Quello dei bambini era in quegli anni un tema molto seguito, in fotografia come in pittura e scultura. In campo fotografico l’autore che ne ricavò maggiore successo fu Oscar Gustav Rejlander, che ebbe fra i suoi ammiratori, oltre a Dodgson, Julia Margaret Cameron, che raggiunse la celebrità come fotografa negli stessi anni cui l’autore di Alice nel paese delle meravi-
raggiunse glie quella letteraria.
Le fotografie di bambini avevano molti collezionisti, fra cui Dodgson, che in una lettera del 1872 confessa di avere per questo genere di fotografie la voracità di una balena. «Sembra evidente – ha scritto Auden – che a Dodgson, come creatore di fantasia interessasse la reazione immediata e profonda del suo pubblico e la sua completa attenzione (la sua passione per il teatro forse veniva da qui)». Una considerazione questa che possiamo estendere anche alla fotografia – che in realtà, almeno nella sua parte essenziale era, come la sua opera letteraria, intrisa di fantasia. La fascinazione di Dodgson per le bambine trascende qualunque richiamo erotico. Il mondo dell’infanzia è per lui essenzialmente un mondo incantevole e misterioso. E di ciò abbiamo davvero un esempio illu-
minante in una lettera alla sorella Louisa (3 agosto 1864) scritta dall’Isola di Wight: «Un’altra stranezza, o piuttosto mistero, è questo. Ogni mattina quattro bambinetti, vestiti di giallo, scendono dal forte sulla spiaggia: passano in uno stato di grande eccitazione, brandendo badili di legno, e producendo rumori selvaggi: da questo momento scompaiono totalmente. Non li si vede più sulla spiaggia. La sola teoria che riesco a formulare è che ruzzolano tutti in qualche buco da qualche parte, e che continuino a scavare lì dentro durante il giorno; comunque ciò possa essere, una volta o due li ho incontrati la sera di ritorno, nello stesso preciso stato di eccitazione, e in apparenza nella stessa fretta di tornare a casa, che prima avevano mostrato di uscirne. I rumori notturni che producono mi sembrano assi simili ai loro rumori mattutini, ma suppongo che a loro suonino diversi, e che contengano il resoconto delle imprese del giorno». Quando non si trovava a disagio, e la sua balbuzie non lo perseguitava, Dodgson era di una amabilità straordinaria, che si faceva as-
Mentre attraversavamo un campo un campo pieno di pecore, un pensiero mi ha attraversato la mente, e ho detto solennemente, ‘Dobkins, che ore sono?’. ‘Le tre’, ha detto Fipkins, sorpreso dai miei modi. Le lacrime mi hanno solcato le guance. ‘È l’ORA’ ho detto. ‘Dimmi, dimmi Hopkins, che giorno è?’. ‘Ma è lunedì, naturalmente’, ha detto Lupkins. ‘Allora è il GIORNO!’ ho mugolato. Ho pianto. Ho gridato. Le pecore mi si sono affollate attorno, e mi hanno strofinato quei loro nasi affettuosi contro il mio. ‘Mopkins! – ho detto, – sei il mio più vecchio amico. Non mi ingannare, Nupkins! Che anno è?’. ‘Beh, credo il 1867’, ha detto Pipkins. ‘Allora è l’ANNO!’ ho urlato, così forte che Tapkins è svenuto. Era la fine: mi hanno riportato a casa in un carretto, assistito dal fedele Wopkins, in molti pezzi. Quando mi sarò ripreso un poco dallo choc, e dopo aver trascorso qualche mese al mare, verrò a trovarti per fissare un altro giorno per le fotografie. Sono troppo debole per scrivere questa lettera, perciò è Zupkins che scrive al mio posto. Il tuo infelicissimo amico Lewis Carroll». Nella sua brevità, oltre a essere un racconto straordinario degno di figurare accanto ad Alice nel paese delle
meraviglie, questa lettera ci fa ben toccare il meraviglioso fascino che le bambine nutrivano per Dodgson. Per loro egli era una sorta di mago incantatore, che aveva disseminato il suo appartamento (dove realizzava la maggior parte delle fotografie) di giocattoli e carillon. Egli amava rappresentare delle atmosfere. Tutte le sue fotografie mirano a questo. A generare un mondo onirico. Ed è da qui che viene la sua predilezione per i francy dress come per le camicie da notte, con le quali alcune bambine da lui fotografate sembrano stiano uscendo o siano in procinto di entrare in un sogno o in una favola, trovandosi di fronte l’incantatore Dodgson. Nell’ultimo decennio della sua attività fotografica che avrà termine intorno al 1881, Dodgson si dedicò a riprendere bambine nude. In una lettera del 26 maggio 1879 a Mrs Mayhew – moglie dello scrittore, cappellano e lettore di ebraico al Wadham College di Oxford e madre della ragazza protagonista del racconto di Agnello Hornby – alla quale chiedeva il permesso di fotografare nude le figlie Ethel e Janet, Dodgson scrive: «Eccomi qua, fotografo dilettante, con un profondo senso di ammirazione per la forma, specialmente per la forma umana, e convinto che sia la cosa più bella che Dio ha fatto su questa terra». In una lettera a Mrs Henderson – madre di Annie e Frances, due bambine che fotografò nude diverse volte – Dodgson scrive: «Non ammiro i ragazzi nudi nelle figure. Mi sembra sempre che gli manchino i vestiti: laddove non si capisce perché le leggiadre forme delle fanciulle dovrebbero mai essere coperte!». Non tutte le bambine, però, Dodgson voleva fotografare nude, ma soltanto quelle belle: «I bambini malfatti – diceva – andrebbero ripresi vestiti da capo a piedi». E ciò, a seguire il suo ragionamento, per il fatto che non mettono in buona evidenza o, addirittura, tradiscono la bellezza della forma umana.
I nudi che si sono salvati non hanno, però, il misterioso fascino delle immagini delle bambine vestite, che sembrano ammantate di tutto la bellezza che troviamo in Alice nel paese delle meraviglie.
cultura
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Libri. Tra filosofia e racconto, Luc Ferry analizza l’eredità del tradizione pagana nella nostra vita quotidiana
La persistenza del mito di Giuseppe Del Ninno
ettimane fa, visitavo la Galleria Borghese con la mia nipotina di nove anni. Ero molto contento della sua curiosità per le storie di dei e di eroi raccontate dagli affreschi e dalle statue di quel museo, storie che cercavo a mia volta di sviluppare adattandole a lei, a partire dalla “Caccia di Diana”del Domenichino e dalle tele del Caravaggio, fino ai gruppi marmorei del Bernini. Dei in rapporto con gli umani, Diana e Atteone, Apollo e Dafne, Ade e Persefone; ma questi dei – mi chiedeva la bambina – esistono ancora? Interrogativo al quale è difficile dare una risposta univoca: certo, se ancor oggi andiamo a vederli raffigurati dal genio di tanti artisti; se lo stesso culto dei Santi assume connotati paganeggianti; se si girano film come Picnic ad Hanging Rock e si elaborano studi come Saggio su Pan; se si ascoltano componimenti musicali coL’après-midi me d’un Phaune o magari se ne rilegge l’omonima opera di Mallarmé; ma anche quando si prova un misterioso sgomento in cima a una montagna o nel folto di un bosco, ci troviamo di fronte a manifestazioni che non è azzardato riferire ad una sensibilità pagana. La questione della sussistenza degli antichi dei, dunque, se non ha più una rilevanza teologica e confessionale, continua ad avere un notevole peso culturale e identitario. Così, se a suo tempo Benedetto Croce, da pensatore laico, spiegava perché non possiamo non dirci cristiani, va anche ricordato che, sul filo di un ragionamento speculare, Alain de Benoist poté illustrare in un corposo saggio “come si può essere pagani”.
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Del resto, questa persistenza della mitologia greco-romana nella nostra cultura, viene periodicamente attestata da saggi e da opere di narrativa, queste ultime perfino in chiave di rilettura “leggera”, come è stato nei casi di Giusep-
pe Marotta (Gli alunni del Sole) e di Luciano De Crescenzo (si veda il recente Ulisse era un fico). Nel suo più recente lavoro La saggezza dei miti, Garzanti, pag. 372, ¤ 18,00 - Luc F erry sceglie una via di mezzo tra l’interpretazione filosofica ispirata anche al rigore filologico e il puro gusto del narrare. Ne scaturisce un’opera fruibile a diversi livelli, indirizzata sia ad
un pubblico di specialisti che ad una più vasta platea di lettori, non esclusi i bambini. L’autore che fu ministro della Gioventù, dell’Educazione Nazionale e della Ricerca, dal 2002 al 2004, e che è docente di filosofia presso l’Università Parigi VI-Jussieu – dichiara fin dalle prime pagine della premessa le finalità del suo lavoro: «…ho tentato di raccontare, nel modo più semplice
della discordia”, “cadere fra le braccia di Morfeo”,“fare la Cassandra”, “incrociare un Cerbero” e via elencando. Il racconto vero e proprio muove dalla Cosmogonia, vale a dire dall’origine del Cosmo, in contrapposizione al Caos, e dalla nascita degli dei e del mondo, per poi procedere verso la nascita degli uomini, soffermandosi su alcune figure di eroi particolarmente
hollywoodiano “Troy”, di Wolfgang Petersen, che mise in scena una Iliade pressoché svuotata da ogni presenza divina. Ci chiediamo come sia possibile ricondurre tutto il poema omerico alla scontro di caratteri e alle decisioni dei singoli, dimenticando le protezioni e le avversioni – operative – di Athena e Posidone, di Hermes e di Afrodite.
I n s o m ma , s i ha
e vivo possibile, le principali storie della mitologia greca. L’ho fatto, tuttavia, in una prospettiva filosofica molto particolare… Con l’intenzione di far emergere le lezioni di saggezza celate nei miti, mi sono sforzato di spiegare che cosa contiene ancora la miriade di storie e
significative, prime fra tutte quelle di Ulisse, Edipo e Antigone.Tuttavia, ci fermeremmo alla superficie di questa ennesima rielaborazione di materiali ben noti non soltanto agli studiosi, se non dessimo conto di alcune peculiarità dell’impostazione di Ferry. Cominciamo allora col dire che la sua visione del mito
«La saggezza dei miti» è un’opera che ha anche un valore divulgativo: e aiuta a capire alcuni aspetti dei nostri comportamenti comuni aneddoti solitamente raggruppati…sotto il nome di “mitologia”…vorrei precisare…in che cosa siano loro debitrici la nostra cultura, perfino la più comune, e anche la nostra saggezza filosofica più sofisticata». Qui sopra, «Apollo e Dafne», celebre opera del Bernini. In alto, «La caccia di Diana» del Domenichino
In tale prospettiva, si comincia col ricordare alcune espressioni correnti, di evidente origine mitologica, quali “il pomo
vuol essere rigorosamente laica, al punto da considerare quasi sinonimi i sostantivi “saggezza” e, appunto,“laicità”. Su questo versante, per l’Autore, si evidenzia non tanto la perennità, quanto la modernità dell’apparato mitologico. In particolare nell’epopea di Ulisse, Ferry ravvisa i connotati di una laicità che a noi, invero, appare discutibile. L’operazione ricorda un poco quella tentata dal colossal
l’impressione che Ferry confonda la religione con la trascendenza, quando definisce “laica” la risposta fornita dai miti alla domanda filosofica sulla vita buona, ponendo in primo piano una “salvezza senza Dio”. Ed è curioso che rivendichi la fedeltà all’insegnamento di Jean Paul Vernant, il quale ha sottolineato come perfino l’alimentazione fosse assoggettata, presso i Greci, a meticolosi rituali religiosi. A noi sembra invece che non tanto la laicità, quanto una rinnovata sensibilità nei confronti della Natura riporti all’ordine del giorno una certa declinazione “pagana” della nostra cultura (questa potrebbe essere una chiave di lettura, ad esempio del successo di tanti movimenti ecologisti). Una recuperata sensibilità che investe anche il corpo umano e l’uso che se ne fa, come sostengono, proprio in Francia, studiosi quali Michel Maffesoli e Michel Onfray. Corretta ci pare invece la distinzione fra mitologia e scienza moderna, di cui la prima non può essere considerata una pura e ingenua anticipazione, bensì un’autonoma via alla conoscenza; considerazione che può valere, ad esempio, anche nei rapporti fra alchimia e scienza sperimentale. Tornando dunque all’interrogativo postomi dalla mia nipotina, la risposta potrebbe essere questa: «Gli dei antichi non hanno smesso di esistere, ma si sono nascosti o, qualche volta, camuffati. Siamo noi che dobbiamo essere capaci di scoprirli, nel loro giocare a nascondino».
spettacoli
22 ottobre 2010 • pagina 21
un cerchio che si chiude. Una postuma ricompensa o una «semplice piega del destino», per dirla come Dylan. L’eredità artistica di Roger “Syd”Barrett ha trovato un custode amorevole in David Gilmour: proprio lui, che nel 1968 fu chiamato dai Pink Floyd ad affiancarlo e poi a sostituirlo. È stato Gilmour, nel 2001, a premurarsi che il greatest hits Echoes contenesse un congruo numero di canzoni barrettiane, cosicché all’eremita di Cambridge fosse riconosciuta una quota equa delle sostanziose royalties. Ed è sempre lui a curare oggi An Introduction to Syd Barrett, raccolta appena uscita nei negozi che per la prima volta compila in un solo disco brani dei Floyd e pezzi estratti dallo scarno repertorio solista (due soli album, The Madcpap Laughs e Barrett, più un disco di rarità e provini assortiti, Opel).
È
Questione d’amicizia, certo (Syd e David frequentarono lo stesso liceo a Cambridge, il College of Arts and Technology). Ma c’entra forse anche quel senso di colpa che ha attanagliato tutti gli ex compagni dal giorno in cui, in viaggio verso un concerto al’Università di Southampton, decisero di non passare a prenderlo, esasperati dalla sua inaffidabilità alimentata da dosi extralarge di Lsd. Roger Waters lo ha sublimato, quel sentimento, dedicando al “diamante pazzo” una delle canzoni più memorabili del repertorio della band, Shine On You Crazy Diamond. Gilmour lo ha coltivato recuperando dal vivo, anche recentemente, pezzi come Dominoes. Che ci tenga a presentare Syd come si deve alle nuove generazioni è testimoniato dal fatto che sulle vecchie tracce ha lavorato di cesello, aggiungendo alcune parti di basso e curando nuovi missaggi. Simultaneamente, si è premurato di restare fedele al personaggio, alla sua natura e al suo ambiente: affidando la realizzazione della evocativa copertina a Storm Thorgerson, il graphic designer di fiducia cresciuto lui pure a Cambridge. La tracklist compilata dal chitarrista (c’è anche una chicca per collezionisti: uno strumenta-
Musica. “An Introduction to Barrett”, l’antologia curata dall’amico David Gilmour
Il “ritorno” di Syd da un eterno passato di Alfredo Marziano
La raccolta, appena uscita nei negozi, per la prima volta compila in un solo disco brani dei Floyd e pezzi del repertorio solista le di 20 minuti, Ramadan, mai ascoltato prima e accessibile solo via Internet a chi acquista il cd o la versione digitale venduta su iTunes) è un trip cronologico nella folgorante e brevissima parabola artistica di Barrett: cominciando da quel primo e bislacco 45 giri dei Pink Floyd, Arnold Layne, censurato dalla Bbc per il suo contenuto scabroso (protagonista un feticista dallo “strano hobby”: rubare indumenti intimi femminili dagli stendibian-
cheria) e dall’hit See Emily Play, giocoso, stralunato e colorato come solo Syd, enigmatico sex symbol della Swinging London, sapeva essere. Se l’album The Piper At The Gates of Dawn (da cui provengono Matilda Mother, Byke e Chapter 24) resta una delle pietre d’angolo della psichedelia targata 1967, a fianco del beatlesiano Sgt. Pepper’s e di Are You Experienced? di Jimi Hendrix, il merito è soprattutto suo, della sua misteriosa abilità nel confezionare confettini pop sballati ma contagiosi, sghembi ma orecchiabili, ispirati dalle droghe lisergiche come dalle nursery rhymes, dall’I-Ching e dalla letteratura per l’infanzia (il titolo dell’album è quello di un capitolo di Il vento nei salici di Kenneth Grahame). Durerà lo spazio di un lampo: appena assaggiato lo stardom, Syd di-
ce basta ai singoli e a Top Of The Pops, ai riflettori e ai playback televisivi. Il brillante ragazzo che da adolescente era «anni davanti agli altri» subisce una mutazione drammatica e repentina: già ai tempi di Arnold Layne, primi mesi del ’67, fissa con “occhi vitrei” l’amico Gilmour che è andato a trovarlo in studio, stentando a riconoscerlo. Pochi mesi dopo, sul palco e davanti alle telecamere, resta immobile a fissare il vuoto con la chitarra che gli penzola davanti al bacino. E quando, nei primi mesi del ’69, entra in studio per incidere The Madcap Laughs è già andato un passo oltre. Barrett è diventato il Cappellaio Matto, la sua è una risata inquietante, agghiacciante. La stravagante attitudine “pop” delle prime composizioni è scomparsa; al suo posto ci sono l’indolenza stropicciata di Terrapin, le
traiettorie erratiche di Dark Globe, gli incespicamenti di She Took A Long Cold Look e If It’s In You; Syd abita ormai un mondo immaginario, che più avanti lo porterà a immaginare «elefanti effervescenti» e i tentacoli di Octopus. «Il problema, in studio con lui, è che le canzoni non suonavamo mai uguali due volte di seguito», ricorderà il bassista Willie Wilson a Mark Blake, autore della biografia floydiana Pigs Might Fly. «Io e Roger (Waters) facemmo il possibile per salvare il salvabile», aggiunge Gilmour. «Syd era davvero in cattive condizioni. In studio cadeva continuamente, e buttava giù i microfoni». Ne esce un disco vérité. Quasi imbarazzante nella sua onestà: «Volevamo far capire che cosa stesse succedendo», confermerà David. Quando Syd e Gilmour tornano in sala di incisione, nel febbraio del 1970, le cose non vanno meglio: ci vogliono cinque mesi per raccapezzarsi tra il materiale errabondo di Barrett, anche se Baby Lemonade e Gigolo Aunt riflettono qualche bagliore della antica brillantezza. In studio Syd, ancora una volta, è muto, silenzioso, assente. Ma tutti si chiedono se ci è o ci fa, e se non provi un qualche gusto perverso nel disorientare gli interlocutori.
È un dilemma che lo accompagnerà per tutto il resto dell’esistenza, trascorsa nella quiete familiare di Cambridge tra pittura, bricolage e pedalate in bicicletta: un cervello brillante bruciato dall’acido, o un consapevole ritiro in un confortevole, per quanto grigio, anonimato? Il bel tenebroso dai capelli ricci e gli abiti sgargianti di sartoria hippy è diventato un bonzo calvo e grasso, che apre la porta in canottiera e con lo sguardo attonito ai fan che osano bussare alla porta di casa. Fino a quando, nel luglio del 2006, un cancro al pancreas non lo porta via. La notizia desta impressione, non ultimi negli ex compagni di band. Ma già allora Barrett era un personaggio di culto, avvolto nel mito. Syd era morto molti anni prima di Roger.
In alto, un’immagine d’epoca dei Pink Floyd. A sinistra, uno scatto di David Gilmour e un’illustrazione di un album della band. A destra, una fotografia di Syd Barrett
o p i n i o n ic o m m e n t il e t t e r ep r o t e s t eg i u d i z ip r o p o s t es u g g e r i m e n t ib l o g L’IMMAGINE
Scenari poco rassicuranti per il futuro che verrà L’articolo del premio Nobel Liu Xiaobo cita delle ineluttabili regole che un governo dovrebbe seguire per il bene del proprio popolo, che non deve essere servitore dello Stato in senso stretto, bensì ricevere dallo stesso un’attenzione addirittura “familiare”: non è un’esagerazione ma fa parte proprio della filosofia orientale:, così come un individuo è servitore nella propria umiltà lo deve essere anche una grossa entità come il governo. Indipendentemente dalla non conformità di tale premessa, colpisce il ruolo conferito in Cina al partito di Stato, la cui caduta porterebbe alla distruzione di un Paese intero. Così il comunismo riesce a durare da 50 anni e passa, e a vestirsi di un aspetto di modernità, passando dalle “chiusure” del passato alle “aperture” per motivi economici. Adesso si parla anche della realizzazione di armamenti ultramoderni, in grado di colpire una portaerei americana che stazioni nell’Oceano. Orbene, dal momento che gli Usa ne dichiarano circa sei nei pressi dei posti più caldi del pianeta, con coordinate altresì segrete, è ovvio che la Cina, proprio in relazione alla sua lenta filosofia del procedere, non prospetta scenari rassicuranti per il futuro che verrà.
Bruno Russo
VICINI ALLA CISL Siamo vicini in questo momento alla Cisl e agli altri sindacati, che quotidianamente combattono la dura battaglia contro la disoccupazione e per il riconoscimento dei diritti dei lavoratori. È un momento difficile per la nostra economia e per l’occupazione,ma queste difficoltà non possono e non devono tradursi in atti di intolleranza o peggio ancora di violenza.
Lettera firmata
FEDERALISMO FISCALE. A CHE SERVE? Il federalismo fiscale serve a far restare i soldi laddove si producono, direbbero i leghisti. In sintesi il modello delle regioni a statuto autonomo, tipo Trentino-Alto Adige. Oggi le regioni incassano dal sistema fiscale l’addizionale Irpef (privati), l’Irap (imprese) e partecipazione Iva (servizi e utenze). Secondo la proposta del
ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, l’Irap può essere solo abbassata ma deve essere compensata da un aumento dell’Irpef, il che è poco probabile. L’Irpef può essere aumentata, in relazione alle esigenze di cassa, ma non per i redditi da lavoro dipendente e da pensione, limitatamente ai primi due scaglioni Irpef, il che significa che l’aumento interesserà i redditi medio-alti cioè quelli piu’ presenti nelle regioni ricche. E quali sono le regioni ricche? Quelle del Nord Italia, cioè quelle che votano Lega. Paradossale? Sembra proprio di sì.
P.M.
TERMOSIFONI. QUANDO ACCENDERLI? Arriva il freddo e un termosifone caldo a casa ci sta proprio bene. Ma quando si possono mettere in funzione gli impianti termici? Si può accenderli quando si vuo-
Pipì ecologica? Nelle toilette della Shaanxi Normal University nella provincia dello Xian, in Cina, c’è qualcosa che non funziona: perché nei bagni delle ragazze ci sono gli orinatoi, come in quelli dei maschi? Non si tratta di un grossolano errore, ma di un progetto per risparmiare acqua, ben 160 tonnellate al giorno
le, soprattutto se la casa è dotata di impianto autonomo? La questione è regolata da una norma, che alla tabella A suddivide l’Italia in 6 zone climatiche, dalla A alla F, dove la A individua un’area mite e la F una fredda. Per quest’ultima non ci sono limiti temporali mentre per le altre le date di accensione variano dal 15 di ottobre al 1 dicembre e quelle di spegnimento dal 31 marzo al 15 aprile. Mutano anche le ore di accensione, da un minimo di 6 a 24 ore. Il proprietario di un impianto autonomo è
tenuto al rispetto della normativa vigente per l’accensione ma chi mai andra’ a controllarlo? Praticamente nessuno. Situazione diversa per gli impianti centralizzati la cui accensione è sotto la responsabilità dell’amministratore del condominio. Come si fa a sapere quando si possono accendere nel proprio comune gli impianti di riscaldamento? Si può telefonare alla polizia municipale o all’ufficio relazioni con il pubblico del proprio municipio.
L’OCCHIO DEL MONDO - Le opinioni della stampa internazionale a cura di Pierre Chiartano
Primo Mastrantoni
da ”The Indipendent” del 21/10/10
Dal Pakistan con furore rima o poi doveva succedere e sta accadendo. Le guerre tra sette islamiche arrivano in Europa. Più precisamente nella terra un tempo patria del multiculturalismo. Oggi, in Gran Bretagna, stanno crescendo le preoccupazioni della comunità Ahmadiyya. Negli ultimi quattro mesi le moschee di questa particolare confessione musulmana avevano subito numerosi attacchi vandalici e, in Pakistan, all’inizio dell’anno, erano stati colpiti i due principali luoghi di culto. Da tempo in molte moschee radicali della capitale britannica si sprecavano gli attacchi alla setta, definita come non ortodossa rispetto ai dettami del Corano. I cui membri quindi erano passabili di morte. Insomma il solito copione messo in campo per regolare i conti usato dall’ultrafondamentalismo.
tati ultrafondamentalisti che hanno pensato di prendere il testimone dai talebani. Rafiq Hayat, presidente dell’associazione nazionale degli Ahmadi ha spiegato all’Indipendent come la sua comunità sia entrata nel mirino del radicalismo violento attraverso numerosi siti web e canali satellitari, spesso in lingua urdu, che inneggiano alla morte dei membri della setta.
P
Alcuni imam inglesi l’avevano definita Wajib-ul Qatal, una specie di anatema per la comunità di credenti. Ma i problemi vengono da lontano, in maniera particolare dai talebani in Pakistan, che hanno avviato una guerra contro gli Ahmadi considerati degli eretici. Anche se questa setta aveva già subito un simile trattamento in passato, l’attacco simultaneo a due loro mosche a Latore nel mese di maggio, è sembrato un messaggio troppo forte. Il bilancio di 93 morti durante la preghiera del venerdì, compresi alcuni cittadini britannici, è un messaggio urlato alla comunità britannica. L’Indipendent ha per primo indagato sulla vicenda che ha
radici nel passato. Il Pakistan è l’unico Paese dove gli Ahmadi non possono definirsi una setta musulmana, ragion per cui negli anni Ottanta molti aderenti sono emigrati in Inghilterra. Compreso il loro leader spirituale Edhrat Mirza Masroor Ahmad. La loro base è sempre stata la moschea di Morden nella parte sud di Londra. Dichiarano di avere circa 70 milioni di adepti nel mondo, anche se i loro detrattori affermano che non sono più di due milioni. Si stima che almeno 15mila vivano nel Paese di Sua Maestà. La leadership degli Ahmadi pensava che gli attacchi di Lahore avrebbero creato un movimento di solidarietà nei loro confronti in Inghilterra. Invece quegli atti di violenza non hanno fatto altro che eccitare gli animi di una minoranza di esal-
Tanto che l’Autorità per le telecomunicazioni inglese (Ofcom) è dovuta intervenire più volte per censurare alcune stazioni tv come Ummah channel dove erano stati messi in onda dei programmi inneggianti alla morte degli Ahmadi. E proprio pochi giorni prima dei fatti di Lahore. Una situazione che sta creando una forte tensione nellla comunità musulmana inglese. Anche la polizia locale ha aperto un’inchiesta dopo il ritrovamento di alcuni volantini a Kingston-upon-Thames, dove si poteva leggere: «Uccidi un Ahmadi e le porte del paradiso si apriranno». Allo stesso tempo alcuni ben noti imam sunniti invitavano i fedeli a boicottare le attività commerciali dei membri della comunità «di eretici». Il punto è che i loro seguaci sono convinti che il proprio leader e fondatore (nel XIX secolo) sia il Mahdi – l’equivalente musulmano del Messia – e il successore di Maometto. Tra i più accaniti critici degli Ahmadi c’è la scuola Khatme Nubbawat e il suo portavoce Akber Choudry. Un vero paladino a difesa della propaganda degli «apostati».
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LE VERITÀ NASCOSTE
Salviamoci dall’Alzheimer parlando al cellulare SOUTH FLORIDA. L’esposizione prolungata alle onde elettromagnetiche del cellulare potenzierebbe la memoria e proteggerebbe dal morbo di Alzheimer, che è una demenza degenerativa invalidante ad esordio prevalentemente senile e prognosi infausta. Prende il nome dal suo scopritore, Alois Alzheimer. La sua ampia e crescente diffusione nella popolazione, l’assenza di una valida terapia, e gli enormi impatti in termini di risorse necessarie (emotive, organizzative ed economiche) che ricadono sui famigliari dei malati, la rendono una delle patologie a più grave impatto sociale del mondo. La dimostrazione dei benefici delle onde elettro-
magnetiche arriva da una ricerca condotta sui roditori da Gary Arendash della University of South Florida, e pubblicata sul Journal of Alzheimer’s Disease. Gli esperti hanno esposto, per due ore al giorno per sette-nove mesi, un gruppo di topolini a onde elettromagnetiche ad alta frequenza identiche a quelle emesse dai cellulari mentre li usiamo. Parte dei topolini era destinata ad ammalarsi di demenza senile, parte era già malata, altri topolini invece erano sani. Le onde del telefonino hanno impedito che i to-
ACCADDE OGGI
ALCOLISMO: LEGGE INAPPLICATA, SUD DIMENTICATO La legge sulle dipendenze del 2001 non ha ancora trovato attuazione: le strutture per la riabilitazione degli alcolisti mancano in molte regioni, specialmente al Sud, eppure il problema coinvolge nove milioni di persone. L’articolo 11 della legge quadro sulle dipendenze patologiche sottolinea l’opportunità di predisporre, per ogni regione, una struttura sanitaria focalizzata sul percorso riabilitativo dei pazienti che hanno superato la fase acuta della dipendenza dall’alcool, ma non tutte le Regioni si sono adeguate: quelle più in linea con tale norma sono al Nord, specialmente Lombardia, Veneto e Toscana, mentre quelle del Sud sono molto indietro. Le cause che ostacolano l’applicazione della legge sono due. La prima è la mancanza di risorse economiche. Un’altra motivazione è però culturale. In Italia stiamo abbinando alle cattive abitudini alimentari il binge drinking, la tendenza a bere per sballare tipica del mondo anglosassone. Il contrasto dell’alcoolismo finisce però per collidere con interessi industriali e commerciali: si pensi alle norme contro la pubblicità degli alcolici in televisione, assai più dure in Francia che da noi. Nella battaglia contro l’alcolismo dobbiamo soprattutto tener conto della nostra cultura e delle nostre tradizioni. Il parlamento e il governo possono dare indicazioni e direttive, ma i caposaldi sono il recupero e la prevenzione. Il divieto di somministrazione di bevande alcoliche dopo le 3 di notte, ad esempio, sta invertendo la rotta rispetto alle stragi del sabato sera, costate la vita a 10mila ragazzi negli ultimi venti anni, ma
e di cronach di Ferdinando Adornato
Direttore Editoriale Ferdinando Adornato
di Vincenzo Bacarani
22 ottobre 1962 John F. Kennedy annuncia che gli aerei spia americani hanno scoperto armi nucleari sovietiche a Cuba, e che ha ordinato un blocco navale sull’isola 1964 Jean-Paul Sartre ottiene il Premio Nobel per la letteratura, ma lo rifiuta 1966 Le Supremes diventano il primo gruppo musicale femminile ad ottenere un album in cima alle classifiche di vendita negli Usa (Supremes a Go-Go) 1968 L’Apollo 7 ammara nell’Oceano Atlantico dopo aver orbitato attorno alla Terra per 163 volte 1975 Leonard Matlovich, sergente dell’aviazione militare statunitense e veterano decorato della Guerra del Vietnam, viene cacciato dall’esercito dopo essere apparso in uniforme sulla copertina di Time magazine, sotto il titolo “Io sono omosessuale” 1999 Maurice Papon, politico francese, viene incarcerato per crimini di guerra 2004 Nature pubblica la scoperta di una nuova specie umana, Homo floresiensis, sull’isola di Flores
Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Giancristiano Desiderio, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria)
polini predisposti all’Alzheimer si ammalassero, hanno migliorato la memoria di quelli già malati e hanno potenziato la memoria di quelli normali. Se volete salvarvi dalla demenza di Alzheimer, e quindi dal deterioramento cognitivo cronico progressivo, parlate tanto e soprattutto al cellulare.
la strada è ancora lunga e i giovani hanno bisogno di una rete in grado di aiutarli, dalla famiglia alla scuola, dalle parrocchie alle società sportive. Una struttura residenziale regionale, dopo la cura della dipendenza, permette di seguire i “tempi lunghi”necessari in ogni serio percorso di cura per una patologia insidiosa come quella alcolistica. I servizi territoriali sono oberati dalle emergenze causate dalle tossicodipendenze e gli ospedali sono attrezzati per degenze molto brevi, le strutture residenziali permetterebbero perciò di colmare una lacuna importante e di evitare la migrazione dei pazienti: sradicare un paziente dal proprio tessuto è infatti dannoso, la dipendenza alcologica ha degli aspetti sociali e familiari essenziali al pieno reinserimento.
Laura Battisti
STOP AI SACCHETTI DI PLASTICA Dal 2011 in Italia saranno banditi i famigerati sacchetti di plastica per la spesa. In Campania è stato aperto il Sia (Sportello informativo ambientale) per una campagna di sensibilizzazione sulla riduzione e la differenziazione dei rifiuti, che prevede anche un modulo dedicato all’eliminazione delle classiche buste di plastica a beneficio delle borse riutilizzabili o delle buste in carta o biodegradabili. Anche gli enti locali devono fare la loro parte: in Italia si consumano circa 20 miliardi di sacchetti di plastica all’anno, un quinto dell’intera Ue e non basterà l’impegno estemporaneo del governo, ma sarà necessario fare appello alla sensibilità dei consumatori e dei distributori.
Alberto Fimiani
Anselma Dell’Olio, Alex Di Gregorio Gianfranco De Turris, Rossella Fabiani, Pier Mario Fasanotti, Marco Ferrari, Aldo Forbice, Antonio Funiciello, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Roberto Genovesi, Aldo G. Ricci, Robert Kagan, Filippo La Porta,
Direttore da Washington Michael Novak
Inserto MOBYDICK (Gloria Piccioni)
Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Andrea Margelletti, Adriano Mazzoletti, Gabriella Mecucci,
Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Francesco D’Onofrio, Gennaro Malgieri Ufficio centrale Gloria Piccioni (direttore responsabile) Nicola Fano, Andrea Mancia, Errico Novi (vicedirettori) Antonella Giuli (vicecaporedattore) Franco Insardà, Luisa Arezzo Stefano Zaccagnini (grafica)
Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Collaboratori
Ernst Nolte, Emanuele Ottolenghi,
Maria Pia Ammirati, Mario Arpino,
Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci,
Bruno Babando, Giuseppe Baiocchi,
Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi,
Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi,
Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini,
IL WELFARE AZIENDALE DI LUXOTTICA Mentre a livello nazionale continuano le polemiche tra le tre principali organizzazioni sindacali confederali (Cgil, Cisl e Uil), mentre sulla vicenda Fiat continuano a esserci contrapposizioni nette con la Fiom-Cgil da una parte e le altre sigle sindacali (Fim, Uilm, Fismic e Uglm) dall’altra, si sta diffondendo in tutt’Italia un sistema di relazioni sindacatiaziende che scavalca queste polemiche e bada al sodo. Al di là e oltre alcuni settori dove si raggiungono accordi a firme separate, ci sono molti esempi di accordi integrativi che potrebbero essere presi come traccia da seguire per meglio garantire i lavoratori. Uno degli esempi più recenti riguarda la Luxottica. Agli inizi di questo mese è stato reso operativo un importante accordo tra azienda e sindacati, raggiunto a giugno, che tende a proporsi come punto di riferimento per altre vertenze aziendali in atto. La Luxottica non è nuova a questo genere di accordi e quello operativo dal 5 ottobre è un accordo “figlio” di quello dell’anno scorso. Di che cosa si tratta? L’azienda ha introdotto - di intesa con le organizzazioni dei lavoratori - nel contratto integrativo una serie di incentivi non monetari. Al posto o a complemento del premio annuo, la Luxottica fornisce ai propri dipendenti una serie di servizi che vanno ad aiutare le famiglie dei propri dipendenti in tre settori fondamentali e fra i più costosi del ménage familiare: la sanità, la spesa alimentare e la scuola. Grazie ad alcuni accordi con broker assicurativi, la Luxottica ha costitutito una vera e propria cassa sanitaria aziendale che copre le spese sostenute in caso di maternità intervenendo anche con diarie per ricoveri dovuti a interventi chirurgici. Non solo, le dipendenti (la manodopera femminile in Luxottica è del 60 per cento) in caso di maternità potranno beneficiare di un ulteriore contributo di 350 euro. Altre agevolazioni riguardano l’asilo nido, la palestra, la lavanderia, i corsi di formazione, il disbrigo di alcune pratiche burocratiche. In definitiva un sistema di servizi essenziali che tendono a rendere la vita del lavoratore e della sua famiglia più serena. E forse a ben guardare per i dipendenti un integrativo di questo carattere rende di più che non il solito aumento lordo distribuito in due o tre anni. Si tratta quindi di un tipo di accordo integrativo che non va a sfiorare la cornice del contratto nazionale, non va a intaccare il premio di produzione, ma lo integra con benefit di varia natura. Benefit che si traducono in un consistente risparmio per le famiglie. È una strada relativamente nuova (all’estero ce ne sono vari esempi) e sarebbe ora che le varie organizzazioni di categoria guardassero a questo welfare aziendale come a una sorta di modello da seguire. bacarani@gmail.com
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ULTIMAPAGINA
Isole. Azzorre, Canarie, Madeira, Guyana francese, Guadalupe, Martinica, Reunion, St. Martin e St. Barthes
Le frontiere (esotiche) di Luisa Arezzo n francese la pronuncia evoca ancora i tempi del colonialismo: regions d’outremer. Ed è forse per questo che Bruxelles ha preferito cambiare nome a tutti gli avamposti dell’Unione europea lontani da casa e affidare il loro riconoscimento burocratico ad un acronimo poco invitante: Dom (anche Tom, e infatti nei documenti è facile trovare Dom/Tom, Ptom e Rup, praticamente i nomi di personaggi da cartone animato.). Stiamo parlando delle 9 regioni ultraperiferiche della Ue: le isole Azzore, l’arcipelago di Madeira, le isole Canarie, la Guyana francese, Guadalupe, Martinica, Reunion, Saint Martin e Saint Barthes. Si tratta di regioni costituite da isole o gruppi di isole, ad eccezione della Guyana francese che è collocata sulla costa settentrionale dell’America latina. Le Canarie appartengono alla Spagna, le Azzorre e Madeira al Portogallo, mentre le altre sei sono dipartimenti d’oltremare francesi.Tè, vino, rhum, frutta, fiori e piante ornamentali sono alcuni dei loro prodotti tradizionali. Se sui cataloghi delle agenzie di viaggio questi luoghi sono dei paradisi in terra, queste regioni sono (qualcuna più, qualcuna meno) soggette invece a gravi handicap economici: dimensioni ridotte, lontananza dal Vecchio Continente, conformazione del territorio sfavorevole e clima difficile.
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E infatti i circa 4 milioni di abitanti vivono per lo più di agricoltura, pesca e turismo. Riconoscendo tali limiti, l’Ue ha adottato una politica regionale per rispondere alle esigenze specifiche di questi territori autonomi. In passato si era pensato soprattutto a migliorarne l’accesso, la competitività e i legami regionali. Ora Bruxelles intende compiere un ulteriore passo avanti e promuovere uno sviluppo che possa andare a vantaggio di tutta l’Europa. Ad esempio trasformandole in avamposti regionali (o come dicono loro: frontiere avanzate) per la Protezione Civile. L’idea è quella di suscitare un interesse più ampio per questi territori, nella speranza di trasformare i loro handicap in una risorsa. Una per tutte: le regioni ultraperiferiche presentano delle caratteristiche geografiche e geologiche che
dell’EUROPA ne fanno degli eccellenti laboratori per la ricerca in diversi campi, compresi i cambiamenti climatici. E la loro biodiversità e la ricchezza dei loro ecosistemi marini lasciano ben sperare per l’innovazione nel campo della ricerca farmaceutica ed agronomica.
Tanto che Bruxelles ha stanziato a favore di queste regioni 23 miliardi di euro in poco meno di 35 anni (dal 1998 al 2013). Fra i progetti realizzati: la centrale elettrica polifunzionale di Madeira e un progetto condotto nell’isola di
deve invece affrontare grossi problemi con il rifornimento di prodotti a base di latte, visto che la produzione locale non è sufficiente a soddisfarne il consumo. Lontana dalle rotte tradizionali del commercio di latte fresco, chiede il permesso di ricostituire il latte Uht in percentuali minori di quelle stabilite dalla legge europea. Inoltre, le verrà tolto l’obbligo di indicare la percentuale di latte fresco, considerate le difficoltà nel misurarla. Queste possibilità saranno anche garantite all’isola di Madeira. Nel caso delle Azzorre, sarà permesso di diversificare l’attività agricola (quasi esclusivamente incentrata sulla produzione di latte e zucchero), cosa molto importante per l’economia della regione. In più, sia le Azzorre che Madeira potranno usare alcuni tipi di vino proibiti nelle altre regioni, ma che possono essere utilizzati per il consumo locale. Come queste regioni europee dall’altra parte del globo sono amministrate dall’Europa?
Basta con l’etichetta di paradiso vacanziero: ormai gli sta stretta. Sono gli atolli europei, veri avamposti del Vecchio Continente in terre lontane, dove l’Euro è moneta corrente, ma la vita non è ancora uguale a quella vissuta da queste parti Réunion per l’autosufficienza energetica delle isole dell’Oceano Indiano e le centrali per le energie rinnovabili nelle Canarie. Ma in questi tempi di crisi e con il 2013 sempre più vicino, alle Dom tutto questo non basta. E dopo aver ottenuto i fondi per diventare regioni europee a tutti gli effetti (case, scuole, servizi, turismo, lavoro), chiedono a Bruxelles (come ben segnalato alle giornate di studi del Ppe a Madeira), di non essere dimenticate, perché senza il suo aiuto e con uno spostamento dell’interesse mondiale dall’Atlantico al Pacifico, rischiano di soffocare le loro economie sul nascere. In più hanno domandato (e ottenuto) di non doversi rigidamente attenere alle leggi Ue sull’agricoltura. Per esempio, le isole Canarie stanno per avere il permesso di continuare a mettere sul mercato un prodotto considerato tradizionale, fatto con latte in polvere misto a grassi vegetali, usato tradizionalmente come cibo, soprattutto dalle persone più povere. Réunion
Ci sono tre categorie di territori d’Oltremare. Innanzitutto le regioni ultraperiferiche meno numerose che rientrano a tutti gli effetti nell’Unione Europea e in cui si applica il diritto comunitario: ovvero tutte quelle che vi abbiamo appena descritto (a cui presto potrebbero aggiungersi le Antille olandesi). A seguire i 21 Paesi e i territori d’Oltremare (Ptom) tra i quali, ad esempio, la Groenlandia dipendente dalla Danimarca e le isole Cayman sotto la giurisdizione del Regno Unito, con uno statuto diverso da quello delle regioni ultraperiferiche e che non fanno parte integrante dell’Unione Europea pur beneficiando di rapporti privilegiati con questa: libera circolazione dei loro abitanti e delle merci come della cultura all’interno dell’Ue.