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mobydick ALL’INTERNO L’INSERTO DI ARTI E CULTURA

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di Ferdinando Adornato

QUOTIDIANO • SABATO 18 DICEMBRE 2010

DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK

Il premier continua a prendersela con Casini e Fini annunciando «altri otto acquisti». Il Pd è disposto a rinunciare alle primarie

Tutti pazzi per il nuovo Polo Berlusconi soffre la sfida e dice: «Unirò io i moderati». Bersani propone un patto politico ai centristi ignorando Di Pietro. E nel mondo cattolico si apre un importante confronto Qualche osservazione su etica e bipolarismo

UN PROGETTO CHE UNISCE

Perché la Chiesa deve essere soddisfatta e non preoccupata

Un nuovo sistema, una nuova nazione di Francesco D’Onofrio

L

di Ferdinando Adornato lla metà degli anni Novanta, la Cei prese atto della fine dell’èra politica fondata sull’«unità politica dei cattolici» e, con grande intuizione strategica, dovuta alla lucidità di Camillo Ruini, trasformò quella che poteva essere una secca perdita d’influenza del mondo cattolico sulla politica e sulla società italiane nell’inizio di una nuova, ancor più feconda stagione di espansione culturale. Il “Progetto culturale”, lanciato per l’appunto in quegli anni da Ruini, ebbe il merito di aprire un dialogo con il mondo laico non più solo sui temi sociali, ma anche e principalmente sui temi antropologici, guadagnando all’orizzonte del “primato della persona” e della “difesa del diritto naturale” aree intellettuali e politiche con la quale mai prima di allora la comunità ecclesiale era entrata in sintonia. La stessa esperienza di liberal, l’impegno di Giuliano Ferrara e del Foglio, le riflessioni di Marcello Pera presidente del Senato, sono solo alcuni tra i più evidenti frutti di quel “nuovo inizio”. segue a pagina 2

a decisione concernente il coordinamento parlamentare dei soggetti politici che hanno sottoscritto la mozione di sfiducia al governo Berlusconi, è stata vissuta sui principali mezzi di informazione come un evento politico di grande rilievo e, di conseguenza, fortemente capace di caratterizzare il prosieguo stesso della legislatura. Anche se in misura radicalmente diversa per i diversi partiti sottoscrittori della mozione di sfiducia, è infatti di tutta evidenza che il successo parlamentare del governo Berlusconi ha rappresentato l’insuccesso di quanti avevano puntato su una crisi del governo in carica, destinata ad aprire, in quanto tale, una nuova fase politica. La nascita del nuovo Polo rappresenta, semmai, un punto di approdo politico rispetto alle attese del passato, anche recente, e un punto di partenza rilevante per il futuro stesso dell’Italia. a pagina 5

A

Parla il presidente Acli, Andrea Olivero

«Pdl e Pd non bastano più» «Seguiamo con attenzione la novità che si è creata nella nostra politica. I vescovi hanno il diritto-dovere di intervenire sui valori, ma sarebbe davvero assurda un’indicazione stringente di tipo partitico» Franco Insardà • pagina 3

Il ministro in Senato difende la polizia sugli scontri di martedì

Via al fondo salva-Stati, ma solo all’unanimità e in casi estremi

Anche Maroni attacca: scarcerazioni sbagliate

Il diktat di Berlino sull’Europa da salvare

di Riccardo Paradisi

di Enrico Singer

l ministro dell’Interno Roberto Maroni difende l’operato delle forze dell’ordine durante gli scontri dello scorso 14 dicembre e polemizza con le scarcerazioni dei giovani fermati. «Rispetto ma non condivido la decisione dei magistrati» dice nella sua relazione in aula al Senato. Una posizione che il ministro della Giustizia Alfano approva e traduce con l’invio degli ispettori in Tribunale per una valutazione degli atti. Una sfida alle toghe, secondo l’Associazione nazionale magistrati: «Siamo di fronte a un’indebita interferenza nello svolgimento dell’attività giudiziaria che rischia di pregiudicare il regolare accertamento dei fatti e delle responsabilità dei singoli». a pagina 6

capi di Stato e di governo dei Ventisette, riuniti a Bruxelles, hanno dato il via libera al Fondo permanente salva-Stati. E l’Europa, almeno quella della moneta comune, somiglia sempre di più al modello Merkel. Niente automatismi, nessun paracadute pronto ad aprirsi per sostenere i Paesi-cicala che non rispettano le regole e poi pretendono che i virtuosi paghino per loro. Anche questa volta Angela è stata inflessibile e nella modifica all’articolo 136 del Trattato di Lisbona che introduce la possibilità di attingere al nuovo fondo è stato aggiunto un breve inciso - «se ciò si renderà indispensabile» - che attribuisce, appunto, al futuro Esm il carattere di uno strumento eccezionale. a pagina 8

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I QUADERNI)

• ANNO XV •

NUMERO

246 •

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IN REDAZIONE ALLE ORE

19.30


l’analisi

prima pagina

Qualche osservazione su etica e bipolarismo

pagina 2 • 18 dicembre 2010

Perché la Chiesa deve essere soddisfatta di Ferdinando Adornato segue dalla prima Sul piano politico, questo nuovo orizzonte si condensò nella scelta della Cei di favorire la presenza politica del mondo cattolico in tutti gli schieramenti della Seconda Repubblica. Nel centro-destra come nel centro-sinistra. Una scelta che ebbe ed ha ancora successo, avendo disegnato un fronte trasversale cattolico-liberale che attraversa tutti i partiti e che ha impedito che in Parlamento risultasse egemone una deriva “zapaterista”, una visione materialista della vita pubblica.

Ciò appare ancora più evidente se si guarda alla nuova configurazione del sistema politico, oggi orientato su tre poli. Sia l’alleanza Pdl-Lega che il neonato Polo della Nazione (seppure entrambi attraversati da suggestioni laiciste) appaiono abitati, a grande maggioranza, da un’idea di Occidente e di Nazione guidate dall’ispirazione cristiano-liberale. Il Polo fondato sul Pd, all’opposto, sembra segnato da prevalenti pulsioni laiciste: purtuttavia, anche al suo interno, opera una forte componente cattolica che, non a caso, vive oggi un sincero disagio il fallimento della fusione a freddo Ds-Margherita. Altro che preoccupazione. La Cei dovrebbe trarre motivi di grande soddisfazione “geopolitica”: due poli su tre hanno liberamente scelto l’orizzonte di dialogo tra cattolici e laici ispirato dal comune cammino umano e umanista che sia Wojtyla che Ratzinger hanno indicato alla genti d’Europa nel tempo dominato dallo scientismo e dall’utilitarismo. Tanto è vero che il “bipolarismo all’italiana” non è certo fallito sul terreno della “legislazione etica”: ma su quello della stabilità politica, della vocazione alle grandi riforme e sulla demonizzazione dell’avversario che ha impedito ogni azione comune ispirata all’interesse nazionale.

Ed è proprio per questo che va accolto come uno stimolo assai importante il suggerimento di Avvenire al Polo della Nazione di evitare di mettere in scena un «terzo pasticcio». Sacrosanto. Per due motivi: in primo luogo perché si riconosce apertamente ciò che noi diciamo da tempo: e cioè che i Poli finora costruiti sono “due pasticci”. In secondo luogo perché è del tutto evidente che se la nuova aggregazione non sarà capace di distinguersi, appunto, dai “pasticci” di Pdl e Pd tradirà il motivo stesso della sua nascita. Nessun motivo di preoccupazione dunque sull’approccio culturale ed etico del nuovo Polo. Il problema vero è invece se esso saprà corrispondere alle domande di “governo della crisi” che gli italiani oggi avvertono e alle quali né il centro-destra né il centro-sinistra hanno finora saputo rispondere. Ancora più importante diventerebbe il discorso se si volesse far riferimento al degrado istituzionale e morale che inquina la vita pubblica del Paese; e del quale l’attuale politica sembra ormai più la causa che il rimedio. Su questo, forse, la Chiesa dovrebbe alzare ancora di più la voce non essendo i modelli i comportamento proposti (dal mito del successo al ruolo della donna) degni di un Paese civile. Dovrebbe alzare la voce perché ancora troppo flebile è quella della classe dirigente. Il Polo della Nazione dovrà trovare nel riscatto morale delle leadership la prima vera di sfida da lanciare di fronte alla nuova, acuta crisi di credibilità della politica italiana che tanta indignazione (e sfiducia) provoca nei cittadini italiani. E sa che intorno all’urgenza di questa “rivoluzione morale”incontrerà il sostegno di tutto il mondo cattolico italiano.

il fatto C’è una mezza rivoluzione nel Pd che addirittura mette in discussione le primarie

Parte la sfida sui moderati

Da un lato Berlusconi dice «li unirò io», dall’altra Bersani propone un accordo ai centristi: la novità di Casini e Fini rimette in moto il panorama politico di Errico Novi

ROMA. Non incoraggia un festival delle iperboli come quello celebrato nei giorni della fiducia, ma è comunque notevole l’effetto prodotto dal nuovo Polo su Pdl e Pd. Smaltita la sbornia del pallottoliere, dismessi i toni da scontro finale, persino Berlusconi si vede costretto a parlare di politica. Rilancia le riforme e soprattutto dedica gran parte dell’incontro di Bruxelles con i giovani del Ppe a evocare il suo antico sogno: «Unire tutti i moderati italiani in un unico grande movimento politico». È un cambio di linguaggio abbastanza netto rispetto al mito dell’autosufficienza. A queste affermazioni del Cavaliere fanno da contraltare quelle rilasciate da Pier Luigi Bersani a Repubblica: una energica rimozione del mito delle primarie, «strumento che crea divisione». Un segno di consapevolezza, come nota lo stesso Pier Ferdinando Casini. Un passo che pure sembra molto condizionato dalla svolta impressa al progetto del nuovo Polo da Casini, Fini, Rutelli e gli altri leader che partecipano al progetto.

Se confrontate con gli argomenti di una settimana fa, le parole che arrivano dai piani alti di Pdl e Pd sembrano appartenere a un’altra era della politica. La ricerca di una interlocuzione con l’alleanza centrale consolidata tre giorni fa all’hotel Minerva è chiara, esplicitata sia dal Cavaliere che dal segretario democratico. Dopo mesi trascorsi a discutere di porte scorrevoli e compravendite più o meno dimostrabili, tutti sembrano costretti a ragionare finalmente di politica, pur nei limiti dei rispettivi ancoraggi. E a sua volta Casini esibisce un’azione in contropiede che fa da antidoto all’eccesso di politicismo presente in entrambi gli schieramenti: insieme

con Binetti, Santolini e Buttiglione presenta in conferenza stampa una proposta di legge per «istituire un garante della famiglia». Cioè un organismo che verifichi per ogni provvedimento la congruità rispetto alla priorità delle politiche familiari. «Un capovolgimento di prospettiva», dice il leader dell’Udc, «che proponiamo a tutte le forze in modo trasversale, perché la famiglia non è né di destra né di sinistra».

Un modo, aggiunge Casini, per dimostrare che «le alleanze si creano su questioni importanti» e che «il tema dei valori indisponibili per noi è fondamentale». A cominciare dalla difesa della vita. «Sono principi che tagliano trasversalmente tutte le forze in campo, nei Poli ci sono sensibilità diverse». Un modo per ricordare che le iniziative per ricostruire «un’idea di Paese», secondo Casini, non vanno imbrigliate nello schematismo politicista. È un messaggio abbastanza chiaro che però Pdl e Pd non decifrano sempre con il codice giusto. Berlusconi per esempio continua a vagheggiare schiere di parlamentari futuristi («ne ho altri otto») pronti a traslocare nel suo partito. Dice che «Fini e Casini sono disastrosi» e farebbero bene a tornare nel centrodestra. Poi lancia l’appello a tutti «i veri moderati» perché si raccolgano sotto il suo protettivo mantello. «Ma non parlo certo di quei pasdaran che si schierano con Di Pietro». Le categorie del Cavaliere restano le stesse: o con me o contro. Fa distinzioni, si rivolge all’Udc suona ancora la melodia del rimpianto: «Avevano la possiblità di entrare in maggioranza. All’inizio non avrebbero certo potuto pretendere alcunché, ma in seguito avrebbero ottenuto posti nel governo».


l’intervista

«Pd e Pdl ormai non bastano più» Andrea Olivero: «Seguiamo con attenzione questa novità che può superare la crisi politica» ROMA. Andrea Olivero, portavoce del Forum del Terzo settore e presidente delle Acli, è reduce dal presidio organizzato davanti al ministero dell’Economia per protestare contro i tagli al 5 per mille, quelli alle politiche sociali e contro l’azzeramento del servizio civile. «Abbiamo avuto delle promesse per ottenere il conguaglio di 300 milioni di euro e il Consiglio dei ministri di martedì dovrebbe prendere una decisione. Teniamo altissimo il livello di attenzione e non escludiamo manifestazioni clamorose, perché non accettiamo che il Terzo settore venga citato con grande enfasi dal governo, ma poi trattato in questa maniera. È offensivo supplicare per ottenere quello che ci spetta». Presidente parliamo di politica. Il Terzo Polo è appena nato e già calamita interessi. È evidente a tutti che questa non poteva essere un’iniziativa di poco conto, dal momento che a comporre questo Terzo Polo ci sono soggetti che hanno giocato e giocano partite importanti nello scacchiere politico. Un panorama che in questi anni ha registrato soltanto un movimento di forze e non uno spostamento di voti. Qual è il giudizio del mondo dell’associazionismo? Guardiamo con interesse a una forza che si costruisce dal nuovo, perché c’è la consapevolezza che l’esistente oggi non è sufficiente per rappresentare bene le esigenze e le necessità del Paese. Avete espresso critiche anche su quello che è successo per il voto di fiducia. Abbiamo valutato negativamente sia gli atteggiamenti, a tratti tracotanti, del governo, sia quelli di alcuni esponenti dell’opposizione che hanno dimostrato scarsissimo rispetto delle istituzioni. Il Terzo Polo ha posto la responsabilità alla base della sua azione politica.

di Franco Insardà Un atteggiamento che condividiamo, perché per uscire dalla situazione drammatica che stiamo vivendo dobbiamo cambiare l’atteggiamento, smettendola di giocare allo sfascio o aspettare quello che accade il giorno dopo. Occorre che ciascuno si assuma le sue responsabilità nel suo ambito: dalla politica alla società civile. È questo il modo per rinnovare la nostra democrazia che fa segnare una sempre minore partecipazione, confronto e responsabilità. Tutti parlano del Terzo Polo e qualcuno lo teme. Berlusconi ha annunciato che unirà tutti i moderati. Il Cavaliere, grazie al suo carisma, ha saputo coinvolgere e rappresentare una larga fetta di cittadini, ma non è riuscito a convincere complessivamente i moderati e a costruire una proposta diversa da quella di tipo populista. A dispetto degli annunci è ben lontano dall’essere riuscito a costruire una nuova Democrazia cristiana. Come mai? Perché bisogna rispettare delle tradizioni culturali presenti tra i moderati italiani. In caso contrario è difficile costruire un’unità che tenga presente anche le diversità che esistono. Altrimenti più che un partito si fa una caserma che non regge. I fallimenti sono evidenti a destra come a sinistra. Qualcosa però si muove sia nel Pd, sia nel Pdl. Credo che il richiamo a un’unità dei

Il leader dell’Udc risponde con ironia, fa appello alla doverosa tregua natalizia («non voglio polemizzare con Berlusconi, ho fatto un fioretto»), quindi aggiunge che «noi non siamo sul mercato». Gli appelli che vengono da una parte e dall’altra non interessano, dice Casini, «siamo impegnati a sviluppare un’altra idea dell’Italia e del Paese». E comunque si compiace degli appelli «perché dimostrano che non ci sbagliavamo nella nostra marcia solitaria». Da Berlusconi arriva anche un rilancio sul dossier delle riforme: «Intanto vogliamo verificare la correttezza di chi ha votato la fiducia sui cinque punti», avverte riferendosi ancora una volta ai parlamentari di Futuro e libertà, e poi «c’è un compito altrettanto decisivo per il futuro del nostro Paese: dare finalmente all’Italia istituzioni in grado di funzionare in modo adeguato ai tempi». Parte una scansione di modifiche costituzionali da tempo in sospeso, dalla «riduzione del numero dei parlamentari» al «superamento del bicameralismo perfetto» fino al rafforzamento dei poteri del premier «per garantire stabilità al governo e impedire ribaltoni e colpi di palazzo». Sigillo finale «una legge elettorale che garantisca bipolarismo e governabilità».

moderati ci sia all’interno di molte forze politiche. Anche le gerarchie della Chiesa cattolica sono in fibrillazione e non hanno nascosto il loro appoggio a Berlusconi. Un atteggiamento condivisibile? Il pluralismo c’è anche all’interno della Chiesa e da parte di alcuni c’è stata la sottolineatura della necessità della continuità dell’azione di governo, per evitare salti nel buio. Sul Terzo Polo la questione è differente. In che senso? Anche questa esperienza nasce da culture politiche e valoriali che non sono immediatamente omogenee. Il Terzo Polo

I vescovi hanno il diritto-dovere di intervenire sui valori, ma non sulle scelte di tipo partitico

deve fare attenzione a evitare gli errori commessi da Pdl e Pd che non hanno tenuto presente la storia, la tradizione e i valori presenti al loro interno. Se si tenta di annullarli, con la convinzione di riuscire a trovare automaticamente una sintesi politica alta, si fallisce come dimostrano appunto Pdl e Pd. Che cosa dovrebbe-

rantire la governabilità. Una proposta di legge come questa che introduce il garante della famiglia indica che noi non vogliamo interrompere la legislatura, anzi il governo vive anche grazie al nuovo Polo». Opposizione responsabile e costruttiva, aggiunge Casini, che si realizza appunto anche con iniziative simili, rivolte «a tutti i cattolici ovunque essi siano».

Ulteriori riscontri della costituzione del nuovo Polo? Sono appunto nelle parole di Bersani che trova una for-

niana: «Bisogna guardare oltre Il Cavaliere, insiste infatti il segretario democratico. Incrociando molti consensi, dalla Finocchiaro a Latorre, ma anche da parte di esponenti moderati di area popolare come Giorgio Merlo.

Altri dalle parti del Nazareno non apprezzano la sterzata pragmatica del segretario. Non si compiace Arturo Parisi, per esempio, che nell’apertura al nuovo Polo, emersa soprattutto dall’intervista di Bersani a Repubblica, vede «un ritorno al passato». Il rottamatore Pippo Civati replica per esempio con un paradosso sostenendo che «se c’è qualcuno che se ne sta andando dal Pd, questo qualcuno è rappresentato proprio dai suoi vertici». Perché, sostiene il consigliere regionale della Lombardia, «seguendo la linea di Bersani ci mettiamo in una posizione ancillare che sconfessa le stesse ragioni per cui il nostro partito è nato». Sullo sfondo sembra esserci in realtà un meccanismo di difesa del bipolarismo, chiaro anche nei rilanci di Berlusconi sulla legge elettorale. È l’altra faccia della risposta al nuovo Polo, in cui c’è comunque chiara attenzione da entrambi i fronti. Al punto che anche chi come Maurizio Gasparri si era dedicato soprattutto a guidare la controffensiva antifiniana ora ragiona sui temi che, forse più di generici appelli alle riforme, possono trovare uno spazio di dialogo tra maggioranza e nuovo Polo: «L’agenda bioetica ha trovato un consenso pressoché unanime anche nelle forze di opposizione», ricorda. Confermando che il proposito di un’opposizione selettiva dichiarato dal nuovo Polo è l’unico su cui può reggersi il tentativo di salvare la legislatura

Il leader dell’Udc presenta una proposta di legge per istituire il Garante della famiglia: «È la dimostrazione che sui valori le convergenze possono superare gli steccati»

È l’altro effetto dell’iniziativa del nuovo Polo: ora si ragiona in termini di convergenze possibili sulle questioni che riguardano il futuro del Paese. Da questo punto di vista il passo avanti del premier c’è ed è appunto difficile non metterlo in relazione con il consolidamento della nuova area moderata. «Il cardinale Bagnasco», ricorda Rocco Buttiglione, «ha invitato a ga-

mula mai così convincente rispetto al nodo delle primarie: «Vogliamo riformarle ma a partire dal fatto che non si mette il carro davanti ai buoi», spiega il segretario del Pd, «noi per esempio parliamo di primarie di coalizione presupponendo che ci sia a monte una coalizione, e per esserci bisogna intendersi sulle cose che servono al Paese. Questa è sequenza logica». Da qui per Bersani discende anche un rilancio sul piano dei contenuti, una «piattaforma» sui temi economico sociali e istituzionali «aperta a tutte le opposizioni: sia con l’Udc che con le altre forze aspetto di avere un confronto sul merito delle questioni che poniamo. Parlo di riforme istituzionali, legge elettorale, liberalizzazioni, informazione, di leggi sul lavoro». È il linguaggio della sinistra, certo, ma chiaramente liberato dal peso dell’ossessione antiberlusco-

ro fare i leader del Terzo Polo? Devono avere la preoccupazione, molto forte, di costruire un percorso politico, attraverso un serio confronto, che non può essere la soluzione immediata per realizzare una forza capace di intrepretare autenticamente un pensiero politico. Occorre. quindi, una sintesi tra laici e cattolici? Non credo che ci debbano essere riproposizioni di partiti dei cattolici o che tendano all’unità dei cattolici: sarebbe antistorico e non corretto, rispetto anche al magistero della Chiesa. Non credo, però, a dei partiti che siano dei semplici raggruppamenti elettorali. Bisogna arrivare tra laici e cattolici a una sintesi alta e spero che il Terzo Polo abbia la capacità di individuare dei temi alti sui quali ci si possa ritrovare. Da cattolico penso che le persone presenti in questa forza siano capaci e sufficientemente intransigenti su alcune questioni da garantire le battaglie sui grandi temi. Ma si può parlare di ingerenza della Chiesa? Anche i vescovi hanno il diritto di esprimere un loro parere. Ci deve essere e c’è in molti casi abbastanza attenzione a non andare oltre alle valutazioni di carattere personale. La linea molto chiara è stata delineata dal Concilio in avanti e da recenti interventi di papa Benedetto XVI e vescovi hanno la facoltà di richiamarci a un’attenzione ai valori. Sulle scelte specifiche di tipo partitico, invece, sarebbe assurda un’indicazione stringente. Lo stesso cardinale Camillo Ruini, quando guidava la Cei, aveva indicato la strada del progetto multiculturale per i cattolici. Appunto. Aveva auspicato che molti cattolici si impegnassero in forze politiche diverse, così come è successo. A quel punto non si fanno sconti, ma sulla sostanza dei valori.


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l’approfondimento

I detrattori continuano a dire che non c’è spazio fra Berlusconi e la sinistra, ma la realtà dice il contrario

La pacificazione

Il nuovo Polo non è semplicemente un’alchimia politica, ma una risposta alla domanda di “tregua” che arriva da una società ormai stanca di conflitti permanenti. Nei Palazzi del potere come nella vita quotidiana di Osvaldo Baldacci a che cos’è questo nuovo Polo? Una creatura artificiale? Un’armata Brancaleone? Un gioco di Palazzo? Un carrozzone senza leader? Chi pensa a questo, guarda da un’ottica del tutto sbagliata, guarda da una prospettiva distorta ed imposta dall’esterno, e di conseguenza si fa domande sbagliate o, peggio, non vuole risposte che non siano quelle che preconcettamente gli fanno comodo. Se si vuole capire, pur senza l’obbligo di condividere, bisogna sforzarsi di guardare la realtà secondo i criteri e le ragioni dell’altro. Meglio ancora se non si guarda dall’alto della piramide, ma dalla base.

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Dunque, si è formata una coalizione, un patto di consultazione, tra varie forze politiche distinte ma che si dicono accomunate da alcuni tratti: la responsabilità verso l’Italia, la moderazione nei modi ma non nei contenuti, il rispetto per le istituzioni, l’idea di una politica a servizio dei cittadini, la fi-

ne della contrapposizione brutale di un bipolarismo incentrato sulle faziosità, la centralità del Parlamento e della democrazia partecipata e non plebiscitaria. E via così. Sarà vero o sono solo slogan vuoti, che tutti rivendicano? Saranno i fatti a dirlo, ma intanto non si può non prendere atto che anche la storia di queste forze politiche testimonia la coerenza con cui in gran parte hanno condotto fin qui questo cammino, come nel caso dell’Udc che non ha mai ceduto alle lusinghe restando fedele alle sue convinzioni più che alle poltrone, tanto da rimanere all’opposizione sia di Prodi che di Berlusconi. Ma quel che qui interessa è capire se questo Polo della Nazione o come si chiamerà ha una prospettiva. Ed è qui che crediamo debba accendersi una sguardo nuovo, coraggioso. I detrattori continuano a dire che non c’è spazio per una realtà altra fra Berlusconi e la sinistra. Si appellano al sistema elettorale bipolare, richiamano la forza aggregante

della leadership, continuano a ripetere come un mantra il dogma del bipolarismo che gli italiani avrebbero ormai fatto proprio con un devoto atto di fede. Ma forse non è così.

A noi sembra che nel Paese si stia muovendo qualcosa di molto diverso, qualcosa di inesorabile. Una realtà che non si ritrova più nello schema ingessato attualmente esistente, ma che chiede a gran forza di far sentire la propria forza, di essere rappresentata, di avere ri-

Anche tra mondo cattolico e mondo laico c’è voglia di mediazione

sposte alle proprie esigenze. Questa enorme fetta di realtà della società italiana non ne può più di duelli rusticani e guerre di religione combattute in nome e per conto di un grande capo o dei suoi nemici, e con l’asservimento del bene comune agli interessi concreti e a quelli politici delle due fazioni, senza preoccuparsi degli enormi danni collaterali. Questa realtà guarda con attenzione al Terzo Polo, terzo non per nome e tantomeno per venire dopo gli altri due, ma terzo perché

altro, perché diverso, fuori dal sistema autoreferenziale dello schema precedente. Guarda con attenzione ma anche con diffidenza, perché prima di imboccare una nuova strada vuole essere sicura che non sia peggiore della precedente. Che ci si possa fidare, che la direzione sia giusta. Ma guarda, e spera. Sta al dialogo e all’impegno tra i responsabili politici e le forze sociali dimostrare che questo cammino si può fare insieme nell’interesse comune. Bisogna dimostrarlo con i fatti. Bisogna dimostrare di non essere una realtà nata per far sopravvivere qualcuno, ma realmente creata per far risorgere l’Italia. Questa nuova realtà politica, che al contempo si ricollega a solide tradizioni, non nasce quindi da alchimie di palazzo, ma tenta invece di essere una risposta a una esigenza ormai espressa con forza dal Paese. Non è teoria.

Parliamo di fatti concreti, di numeri. Berlusconi che pretende di rappresentare diretta-


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Le ragioni che hanno condotto alla scelta di Casini, Fini e Rutelli affondano nella nostra storia

E adesso superiamo la logica «o con me o contro di me»

La nuova realtà politica vuole rompere l’assedio di quel bipolarismo che vede nell’altro un «nemico» e non un soggetto con il quale dialogare di Francesco D’Onofrio a decisione concernente il coordinamento parlamentare dei soggetti politici (diversi dal Pd e dall’Idv), che hanno sottoscritto la mozione di sfiducia al governo Berlusconi, è stata vissuta sui principali mezzi di informazione come un evento politico di grande rilievo e, di conseguenza, come un evento politico che può fortemente caratterizzare il prosieguo stesso della legislatura. Anche se in misura radicalmente diversa per i diversi partiti sottoscrittori della mozione di sfiducia, è infatti di tutta evidenza che il successo parlamentare del governo Berlusconi ha rappresentato l’insuccesso di quanti avevano puntato su una crisi del governo in carica, destinata ad aprire, in quanto tale, una nuova fase politica.

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La nascita del coordinamento parlamentare dei diversi soggetti politici promotori di una propria mozione di sfiducia rappresenta, pertanto, un punto di approdo politico rispetto alle attese del passato, anche recente, e un punto di partenza rilevante per il futuro stesso dell’Italia. Il coordinamento infatti si propone – in termini per ora solo parlamentari – quale punto di riferimento di una cultura di governo alternativa sia al Pd sia al Pdl, perché dichiara con forza – che sarà sempre crescente – che per il governo dell’Italia occorre passare dalla cultura di un bipolarismo fondato sul principio politico e costituzionale del “o con noi o contro di noi”, che ha caratterizzato il governo dell’Italia dalla caduta del Muro di Berlino ad oggi per quel che concerne la lunga tradizione comunista, e del “o con me o contro di me”, che ha caratterizzato dal 1994 ad oggi il governo dell’Italia a guida Pdl. Non si tratta infatti di un terzo Polo, perché non è in gioco una idea geometrica di centrismo, limitata o a una pura e semplice rivendicazione di identità minoritaria o alla logica della trattativa dei posti di governo, che è stata per molto tempo una caratteristica tipica delle correnti, e non solo democristiane. Il coordinamento – noto ora come Polo della Nazione – si propone infatti una radicale contrapposizione alle due culture di governo del Paese, che hanno dominato l’Italia sia a destra sia a sinistra, sia nella Prima Repubblica sia in questa – frettolosamente definita – Seconda Repubblica. Il richiamo frequentemente operato all’esperimento tedesco non concerne pertanto una questione puramente tecnica, quale può essere quella di un sistema elettorale, perché si tratta in sostanza dell’affermazione certamente orgogliosa di un modello di governo che ha nella centralità – e non nel centrismo – l’essenza stessa della propria cultura di governo. È infatti dall’inizio di questa

cosiddetta Seconda Repubblica che non si riesce più a trovare un punto autenticamente costituzionale d’intesa: questa infatti presuppone proprio la volontà di cercare l’intesa anche tra le parti politiche che formulano proposte alternative di governo.

Il Polo della Nazione è pertanto chiamato ad una prova particolarmente complessa: il punto di unità al suo interno deve sempre più chiaramente ri-

Il punto di unità al proprio interno deve risultare la disponibilità a trovare una mediazione

sultare la normale disponibilità a ricercare un’intesa costituzionale che concerna sia il territorio italiano (il federalismo deve essere compatibile con l’unità nazionale); sia la politica economico-sociale (l’economia sociale di mercato deve essere vista oggi nel contesto della globalizzazione); sia la geopolitica italiana (integrazione europea da un lato, e centralità del Mediterraneo dal-

l’altro). In questo percorso si dovranno pertanto affrontare questioni di identità partitica; questioni di adesione strategica ad un disegno politico comune; attesa per le decisioni che il Partito democratico dovrà prendere; capacità di resistenza al richiamo della logica “o con me o contro di me”che caratterizza la cultura politica del Popolo della libertà. Si tratta dunque di questioni tutte molto rilevanti, che richiedono soprattutto dalla dirigenza dell’Unione di centro, la dimostrata capacità di passare da una logica prevalentemente minoritaria ad una disponibilità a dimostrare nei fatti che non di un terzo polo si tratta ma di un nuovo Polo, orgogliosamente teso a proporre agli italiani una cultura di governo del Paese capace di passare dalla logica dell’amiconemico alla logica di quanti pur essendo avversari politici, non sono anche nemici viscerali.

Il fatto che l’Udc ha saputo passare da una visione modesta, quale era quella della sua collocazione nella Casa delle libertà, alla visione nuova dell’Unione di centro, che ha saputo resistere vittoriosamente alle pretese delle

vocazioni maggioritarie, che Pd e Pdl proposero agli italiani nelle elezioni politiche del 2008, rende pertanto oggi possibile il passaggio alla formale proposta di una cultura di governo per l’Italia diversa da quelle che hanno dimostrato di saper vincere le elezioni, ma non di governare il Paese. La nuova fase politica inizia dunque con questo coordinamento.

mente tutto il popolo ha ormai il consenso del 27% di chi vota, cosa che con l’astensionismo crescente significa che è sostenuto da circa un italiano su cinque. Forse un italiano su tre crede nei due partiti che volevano essere gli unici. Ma fuori dalla politica la situazione è ancora più chiara. Si pensi al mercato dell’informazione: i successi eclatanti di internet, Sky, La7 mostrano come il pubblico sia in cerca di qualcosa di nuova e abbia abbandonato l’informazione istituzionale attardata sugli schemi di contrapposizione bipolare. I sindacati riformisti cercano interlocutori più credibili dell’immobilismo del governo e dei pregiudizi della vecchia sinistra. Gli imprenditori chiedono a gran voce chi si occupi dello sviluppo del Paese. E insieme le parti sociali cercano una politica che li aiuti nel dialogo che rilanci l’economia e il Paese. In quasi tutti i grandi ambiti (dall’istruzione alla sanità, dalla pubblica amministrazione alle liberalizzazioni) la maggioranza silenziosa cerca una terza via tra il conservatorismo dei privilegi consolidati e le riforme arruffate che odorano di interessi di parte. Il mondo cattolico chiede di poter essere più protagonista, e vuole sbocchi diversi da chi gli si contrappone per pregiudizio e chi lo strumentalizza senza convinzione elargendo briciole in cambio di potere personale.

Molti cattolici e molti laici con loro sono stufi di dover artatamente scegliere tra difesa della vita da un lato e difesa della dignità di ogni persona (poveri e stranieri compresi) dall’altro, tra famiglia e giustizia sociale, insomma tra valori che per i cattolici sono un tutt’uno e che altri mettono in contrapposizione. Tutta la società civile è stanca della guerra tra chi pretende l’immunità e chi usa le inchieste a fini politici, mentre le vere riforme che servono ai cittadini per una giustizia giusta non vengono mai affrontate. E mentre la corruzione che il bipolarismo doveva sconfiggere dilaga invece più che mai, qui sì coinvolgendo insieme l’una e l’altra parte. E appunto si sente la richiesta di un nuovo sistema politico che non si basi sulla cieca fedeltà a l’uno o l’altro personaggio, ma piuttosto si basi sul confronto tra i progetti, le idee, le visioni per il Paese. Dove chiunque possa dare un contributo politico e non si debba rispondere prima alle domande con chi stai e chi è il capo, ma si debba prima discutere di contenuti da condividere. Insomma, il bisogno di un nuovo polo che non sia come gli altri ma compia una rivoluzione nel sistema politico è più vivo che mai nella società. Qualcuno dovrà rispondere a questa esigenza. Qualcuno sta provando a farlo.


diario

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La produzione resta ferma

Clandestinità, lite governo-Consulta

ROMA. A ottobre gli ordinativi dell’industria hanno registrato una variazione nulla rispetto al mese precedente, mentre sull’anno c’è stato un aumento del 12,4% (dato grezzo). Lo rileva l’Istat. A crescere, rispetto al mese di settembre, è stato solo l’export: gli ordinativi nazionali hanno registrato una diminuzione dell’1,2% e quelli esteri una crescita del 2,3%. In calo anche il fatturato degli autoveicoli che è calato del 2,5% rispetto allo stesso mese del 2009, mentre gli ordini sono scesi del 19%. Il fatturato su base congiunturale è aumentato dello 0,4% sul mercato interno e del 2,4% su quello estero (dati destagionalizzati). Su base annua si è registrata una crescita del 9,7% sul mercato nazionale.

Legge antipirateria firmata Agcom

ROMA. Si apre un nuovo conflitto tra la Costituzione (il cui rispetto è salvaguardato dalla Consulta) e il governo Berlusconi: «Non è punibile lo straniero che in estremo stato di indigenza, o comunque per giustificato motivo, non ha reiteratamente ottemperato all’ordine di allontanamento del questore continuando a rimanere illegalmente in Italia». Con queste parole la Corte Costituzionale ha in parte bocciato una delle norme del Pacchetto sicurezza sul reato di clandestinità. Rilevando che vengono aumentate le pene per lo straniero destinatario di un decreto di espulsione adottato dopo l’inottemperanza a un precedente allontanamento, la Corte censura la mancata previsione di un «giustificato motivo».

ROMA. Via libera all’unanimità da parte del Consiglio dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni al testo sulla normativa per la tutela del diritto d’autore su Internet, che poi verrà sottoposto a consultazione pubblica. Tra le norme c’è la possibilità da parte dell’authority di ordinare, dopo un procedimento che prevede il contraddittorio, la rimozione di contenuti coperti da copyright illegittimamente pubblicati. Per i siti che hanno il solo fine della diffusione di contenuti illeciti, sono previste due ipotesi: la predisposizione di una lista di siti illegali da mettere a disposizione degli internet service provider e la possibilità, in casi estremi e previo contraddittorio, dell’inibizione del nome di dominio del sito web.

Il ministro dell’Interno, coadiuvato da quello della difesa, riferisce in Senato sugli scontri di martedì a Roma

«Niente illazioni sulla polizia!» Maroni attacca: «Sbagliato liberare i violenti». Poi difende gli agenti di Riccardo Paradisi

ROMA. Il ministro dell’Interno Roberto Maroni difende l’operato delle forze dell’ordine durante gli scontri dello scorso 14 dicembre e polemizza con le scarcerazioni dei giovani fermati. «Rispetto ma non condivido la decisione dei magistrati» dice nella sua relazione in aula al Senato. Una posizione che il ministro della Giustizia Alfano approva e traduce con l’invio degli ispettori in Tribunale per una valutazione degli atti. Una sfida alle toghe, secondo l’Associazione nazionale magistrati: «Siamo di fronte a un’indebita interferenza nello svolgimento dell’attività giudiziaria che rischia di pregiudicare il regolare accertamento dei fatti e delle responsabilità dei singoli». È il contrario replica Alfano: «Invito l’Anm a non trincerarsi dietro un sindacalismo esasperato che difende sempre e comunque i magistrati. Il mio dovere è stare dalla parte dei cittadini, anche quando non sono togati». Insomma dopo gli scontri di martedì scorso provocati dai centri sociali coadiuvati da alcuni studenti ora sembra profilarsi l’ennesimo scontro istituzionale. Da parte sua il sindaco di Roma Gianni Alemanno che considera assurdo il rilascio dei manifestanti fermati, approva l’iniziativa di Alfano: «quella del Guardasigilli è un chiaro segnale di attenzione per quanto accaduto», dice il sindaco che si trova sul groppone 20milioni di euro di danni inflitti alla capitale dalla guerriglia urbana di martedì. Maroni, contesta le liberazioni facili anche in previsione delle

Il ministro Maroni in Senato ha detto: «Sono destituite da ogni fondamento le illazioni sulla presenza di infiltrati negli scontri di martedì scorso a Roma: sono ipotesi offensive nei confronti delle forze dell’ordine. La verità è che gli agenti hanno agito con senso di responsabilità esemplare»

prossime manifestazioni in programma, attese per la settimana prossima quando al Senato arriva la legge Gelmini: «Questi violenti fermati hanno infatti la possibilità di reiterare le violenze. Logico sarebbe stato mantenere per loro le misure restrittive». Maroni ammette che la maggior parte dei manifestanti «è stata presa in ostaggio da violenti che volevano attaccare gli uomini delle forze dell’ordine» sfruttando l’occasione del corteo. Si tratta di una «minoranza di professionisti della violenza che non vorranno perdere la prossima occa-

sione per creare violenza e terrore». E i presunti infiltrati? Il ministro nega recisamente ogni strategia di infiltrazione e di provocazione di agenti all’interno dei cortei, come continua a sostenere l’estrema sinistra e, in parte, alcuni settori del Pd. Un teorema «destituito di fondamento. È offensiva ogni illazione di provocatori inviati dalle forze di polizia ad infiltrarsi fra i manifestanti». Anzi sarebbe il caso di esprimere «apprezzamento» per le forze dell’ordine: «con il loro comportamento hanno evitato evitato incidenti più gravi».

Il ministro dell’Interno ha anche sottolineato come la persona ritratta negli scontri con manganello e manette e indicata da alcuni organi di stampa come ”agente infiltrato” è stata identificata in un ragazzo minorenne sottoposto a stato di fermo ed indiziato di delitto di rapina aggravata nei confronti di un militare della Guardia di finanza visto che aveva sottratto all’agente le manette. Alla stessa maniera, infondato risulta pure il clamore, «suscitato dalle immagini di un operatore della Guardia di finanza e di un carabiniere che impugnavano pistola. È stato appurato che i

militari proteggevano le armi dai manifestanti che volevano sottrargliele». Maroni infine ha stilato un bilancio degli incidenti che hanno comportato il ferimento di circa cento operatori delle Forze dell’ordine, 28 manifestanti, e il fermo di 34 persone, di cui 24 tratte in arresto e le altre denunciate in stato di libertà». Infine: «Il diritto a manifestare pacificamente è sacrosanto e sarà sempre tutelato e garantito dalle Forze dell’ordine». Il ministro ha però invitato «le componenti democratiche studentesche, nel loro stesso interesse, a isolare i violenti a pre-


diario

ragioni&torti di Giancristiano Desiderio

Corte dei Conti: lo Stato paga i circoli della Brambilla ROMA. Pur essendo a libro paga del ministero del Turismo, avrebbero svolto attività esclusivamente in favore del proprio partito, il Pdl. La Corte dei conti, per valutare l’esistenza di ipotesi di danno erariale, ha aperto un’istruttoria sull’attività del ministro Michela Vittoria Brambilla e sul ministero del Turismo. L’ipotesi di danno è utilizzo di risorse pubbliche per lo svolgimento di attività diverse da quelle oggetto delle consulenze. Le persone coinvolte nella truffa ai danni dello stato sarebbero individui che in precedenza avevano lavorato nel settore dello spettacolo nelle televisioni Mediaset. Pur essendo a libro paga del ministero o di strutture dipendenti dallo stesso, avrebbero svolto attività presso i Circoli della libertà. Si tratterebbe di persone con le quali lo stesso ministro Brambilla aveva o avrebbe lavorato in

venire le infiltrazioni dei violenti e a collaborare con le Forze dell’ordine». Perché «i professionisti della violenza non possono essere giustificati, né trovare sponda soprattutto tra le forze politiche responsabili, ma perseguiti con il massimo del rigore». Il capogruppo del Pdl Maurizio Gasparri da parte sua ringrazia il ministro Alfano che ha mandato ispettori propone di rivedere le norme che disciplinano la materia delle scarcerazioni. L’opposizione si divide sulla relazione di Maroni. Da una parte il polo di responsabilità dall’altra il Pd e l’estrema sinistra. A nome dell’Udc parla l’ex prefetto Achille Serra: «Non è tollerabile che queste persone vadano fuori dopo che i loro fermi siano stati convalidati». Serra ha condiviso le parole di Maroni «in pieno in ogni punto» e condivide anche le perplessità sui facili rilasci: «Certo nel corso di manifestazioni ci possono essere persone fermate che non c’entrano nulla e allora è giusto che escano, ma se convalido il fermo ho il dovere di tenerle dentro visto che sono previste altre manifestazioni la prossima settimana». A proposito di infiltrati Serra è durissimo e supera Maroni in rigore: «chi fa illazioni di questo genere è un’irresponsabile» e rivolgendosi allo stesso ministro dell’Interno: «lei ha parlato di interventi dissuasivi, le chiami cariche, sono doverose cariche, ma quale alleggerimento». Anche il leader dell’Api Rutelli rileva che «la gestione della piazza è stata buona e positiva» e che «il Senato deve esprimere a tutte le Forze dell’ordine impegnate non solo solidarietà ma anche apprezzamento. Non ci sono stati ne’infiltrati né provocatori».

Il leader dell’Udc Casini infine trova gravissimo che gli studenti non si siano dissociati dai fatti violenti, Il Pd tiene un atteggiamento diverso: «le decisioni dei giudici non si commentano» sostengono i democrats per i quali resterebbero dei dubbi su presunte e non meglio chiarite infiltrazioni.

18 dicembre 2010 • pagina 7

l’Unità di Fisichella e l’antirisorgimento federalista passato nel mondo dello spettacolo. In particolare, l’attività svolta si sarebbe incentrata tutta in Lombardia. I magistrati contabili valuteranno se le consulenze erano necessarie o meno, visto che sono stati richiesti tagli economici generalizzati e di rilevante dimensione. L’ipotesi di lavoro è quella di danno erariale, tenuto conto che proprio l’ultima finanziaria ha ribadito e aggravato le condizioni di rigore per le consulenza nelle pubbliche amministrazioni.

Il ministro Alfano dispone un’ispezione sui rilasci, e l’Anm: «È un’interferenza indebita»

Qui sopra, le immagini degli scontri di martedì scorso a Roma. Nella pagina a fianco, Maroni e La Russa ieri in Senato

Sulle quali insiste memore del suo passato in Potere operaio il già girotondino ora dipietrista Pancho Pardi: «Di fronte a un disagio giovanile molto diffuso la classe politica ha il dovere di incidere e misurare questo pensiero collettivo anche nelle manifestazioni più intemperanti e creare una via di accesso al confronto con gli studenti». Pardi pone l’accento sul disagio manifestazione: dell’intera «Dobbiamo avere l’onestà di ammettere che c’e’ stato un certo sostegno, almeno di pensiero, dei manifestanti nei confronti di chi operava con violenza». Pardi ha anche sottolineato come, «dopo il g8 di Genova, e per i dieci anni successivi, tutte le manifestazioni siano state assolutamente pacifiche, anche quelle che hanno superato il milione di partecipanti. Per questo bisogna chiederci come sia potuto accadere che un costume così sia stato interrotto».

L’estrema sinistra va addirittura oltre. Pdci e Rifondazione parlano di solidarietà generalizzata agli studenti: «Il tentativo di trasformare i problemi del Paese in problemi di ordine pubblico porta il governo ad attaccare la magistratura quando fa il suo dovere» dice Paolo Ferrero. «Maroni invece di attaccare la magistratura dovrebbe chiedere al suo governo di ritirare il ddl Gelmini che peggiora ulteriormente una condizione giovanile già segnata dall’insicurezza e dalla precarietà». Mentre Manuela Palermi della Federazione della sinistra attacca Rutelli, Fini e Casini che «hanno elogiato Maroni e le forze dell’ordine e hanno considerato un grave errore aver rilasciato i ragazzi fermati. Immaginate per un attimo che la proposta Bersani vada in porto e si formi in Italia un unico schieramento con Pd, Fli, Udc, Api, ecc... Se in una manifestazione la rabbia (nel caso degli studenti sacrosanta) avrà la meglio sulla ragione, si verrà giudicati da un autentico tribunale del popolo». La replica dei moderati: «Per fortuna che certe forze non sono più in parlamento».

er i 150 anni dell’Unità d’Italia sono state pubblicate tanti cose, tanti libri e tanti altri ne saranno editi. Ci sono pubblicazioni celebrative, altre critiche e anche delle vere e proprie contro storie come, ad esempio, il nuovo libro di Giordano Bruno Guerri intitolato Il sangue del Sud (Mondadori). Però, se dovessi consigliare una lettura su come gli stati e staterelli del Belpaese divennero il Regno d’Italia indicherei un testo di Domenico Fisichella: Il miracolo del Risorgimento (Carocci). Il libro di Fisichella, infatti, ripercorre le tappe più importanti del processo di unificazione nazionale e il loro senso, ma ricostruisce anche le idee e gli avvenimenti che portarono agli ideali e interessi del Risorgimento. Si tratta di un libro chiaro e istruttivo. Tuttavia, il valore delle pagine di Fisichella è da ricercarsi altrove.

P

Nel capitolo dedicato alle conclusioni, l’ex vicepresidente del Senato scrive: «… il Risorgimento è l’espressione, è la formulazione di una nuova, inusitata tradizione, quella dell’unità della nazione, ed è una tradizione che ha qualcosa appunto di miracoloso per la sua capacità di far ascendere un popolo unito culturalmente e socialmente ma diviso politicamente e istituzionalmente a dignità di nazione, accorciando le distanze che tanto lo hanno separato dalle altre nazioni». E aggiunge, pensando evidentemente anche alla situazione presente: «La tradizione risorgimentale, dunque, è la tradizione della modernità, mentre la tradizione dell’eccesso regionalistico e localistico è la tradizione della vecchiezza. In questo senso non vi è dubbio che il Risorgimento rappresenta una discontinuità non su base di violenza rivoluzionaria ma su base di arricchimento e accorpamento della coscienza spirituale, intellettuale, civile - rispetto all’eredità della vecchia tradizione divisionista e particolaristica, che come tale, riproposta oggi, è regressione, non avanzamento». Ecco, il valore e il significato vero e attuale del saggio di Domenico Fisichella è proprio in questa chiarificazione dell’impresa del Risorgimento che mette capo alla nascita dello Stato nazionale italiano e, al contrario, il particolarismo, il municipalismo, il regionalismo e le mille e una divisioni italiane sono il disvalore che il Risorgimento, pur con tutti i suoi limiti e le sue contraddizioni, supera e nega o prova a superare e negare. Letta così la politica del Risorgimento non è una cosa vecchia e piemontese che appartiene al passato, ma è parte attiva di una storia nazionale e statale che giunge fino agli anni Sessanta e comincia a declinare con l’inizio dell’era regionalistica. Per non lasciare nulla di non detto aggiungiamo che la odierna politica federalista non appartiene alla tradizione risorgimentale ma a quella particolaristica, non è una conquista ma una perdita, non è un progresso ma un regresso. Avremmo bisogno di un altro “miracolo” risorgimentale.


mondo

pagina 8 • 18 dicembre 2010

Il Fondo entra nel Trattato della Ue, ma soltanto come strumento d’intervento estremo da decidere all’unanimità

Euro, modello Merkel

La Cancelliera non accetta mediazioni: «Aiuti solo a condizioni rigorose». Così Berlino potrà mettere il veto sui prossimi salvataggi di Enrico Singer capi di Stato e di governo dei Ventisette, riuniti a Bruxelles, hanno dato il via libera al Fondo permanente salva-Stati. E l’Europa, almeno quella della moneta comune, somiglia sempre di più al modello Merkel. Niente automatismi, nessun paracadute pronto ad aprirsi per sostenere i Paesi-cicala che non rispettano le regole e poi pretendono che i virtuosi paghino per loro. Anche questa volta Angela è stata inflessibile e nella modifica all’articolo 136 del Trattato di Lisbona che introduce la possibilità di attingere al nuovo fondo è stato aggiunto un breve inciso - «se ciò si renderà indispensabile» - che attribuisce, appunto, al futuro Esm (che significa European stability mechanism), il carattere di uno strumento eccezionale il cui impiego dovrà, di volta in volta, essere discusso e approvato, all’unanimità, dal vertice europeo prima di trasformarsi in miliardi di aiuti per evitare la bancarotta, come è già successo con Grecia e Irlanda. È il massimo del rigore che Frau Nein, la signora no come la chiamano i suoi detrattori, è riuscita a ottenere. E che altri le hanno con-

I

cesso volentieri, anche perché era l’unico modo per far passare il meccanismo che, dal 2013, sostituirà l’attuale sistema temporaneo Efsf (European financial stability facility) varato d’urgenza l’estate scorsa sotto la minaccia del default dei conti pubblici greci.

Angela Merkel, alleata ancora una volta con Nicolas Sarkozy, ha ottenuto anche un’altra sod-

per sostenere Portogallo e Spagna, i due Paesi oggi più in difficoltà. È stato il presidente stabile del Consiglio della Ue, Herman Van Rompuy, a spiegare che un aumento dell’Efsf è al momento «inutile» visto che per salvare Atene e Dublino è stato utilizzato soltanto il 4 per cento dei suoi fondi. Niet di Merkel e Sarkozy anche al presidente della Banca centrale europea, Jean-Claude Trichet , che si era

Chiusura anche sulle euro-obbligazioni: «Invece di guarire le debolezze, le trasmetterebbero a tutti». Ma il vero timore è che i rendimenti sarebbero superiori a quelli dei Bund tedeschi disfazione: per il momento non sarà aumentata la dotazione dell’Efsf che è di 750 miliardi di euro, 440 messi a disposizione dai Paesi Ue, 60 prelevati dal “fondo di contingenza”europeo, più 250 miliardi forniti dal Fondo monetario internazionale. Grazie all’appoggio di Olanda, Svezia e Finlandia, l’asse franco-tedesco è riuscito a fermare la proposta del Belgio per un incremento di questo fondo che, prima del 2013, potrebbe servire

detto favorevole all’impiego dei fondi Efsf per acquistare titoli di Stato emessi dai Paesi finanziariamente deboli. Alla cancelliera e agli altri“rigoristi”dell’eurozona è apparso, dunque, sufficiente l’aumento di capitale di 5 miliardi di euro deciso l’altroieri dalla Bce per reggere, come spiegava una nota dell’Eurotower di Francoforte, all’aumento della“volatilità”nel settore del credito. Per Angela Merkel non bisogna confondere le partite.

Una è quella che gioca - in autonomia - la Banca centrale europea, un’altra è quella - che durerà ancora due anni - dell’Efsf e un’altra ancora è quella che giocherà, a partire dal 2013, l’Esm che ha avuto ieri il via libera al vertice di Bruxelles. L’entità di questo fondo non è ancora definita. Dopo l’accordo, la Merkel ha detto che «avrà risorse sufficienti per garantire la stabilità dell’euro». Ma che è presto per mettere delle cifre accanto a un impegno politico.

Sugli eurobond il no tedesco è stato ancora più secco. La questione è stata sollevata in modo informale nel corso della cena di lavoro dei Ventisette, ma è stata immediatamente stoppata da Angela Merkel. Forte della propria solidità finanziaria, Berlino è nettamente contraria all’emissione di obbligazioni i cui rendimenti sarebbero inferiori a quelli dei titoli emessi da molti Paesi dell’eurozona ma più alti rispetto ai Bund tedeschi. «Con delle euro-obbligazioni non si guarirebbero le debolezze dell’Europa, al contrario, si finirebbe con il trasmetterle a tutti», ha commentato la

cancelliera in una intervista. Vuol dire che la proposta lanciata da Giulio Tremonti e dal presidente dell’eurogruppo, Jean-Claude Juncker, è già su un binario morto? Non esattamente perché «la discussione è comunque cominciata», come ha detto il ministro delle Finanze belga, Didier Reynders, a margine di un incontro dei Liberali europei organizzato prima del vertice dei leader europe. Non solo. Secondo Reynders, l’Europa in realtà ha introdotto una forma di eurobond proprio con la creazione del nuovo Fondo salva-Stati che prevede anche l’intervento dei Paesi europei che non fanno parte dell’area della moneta comune e che - nel caso di loro aiuto finanziario - saranno remunerati con un tasso di interesse medio. E questo meccanismo, nell’analisi di Reynders, può essere assimilato a qualcosa che somiglia a un eurobond. Del resto anche il presidente francese, Nicolas Sarkozy, dopo l’incontro con Angela Merkel a Friburgo - che ha preparato il vertice di Bruxelles - si era pronunciato in forma più possibilista definendo gli E-


mondo

18 dicembre 2010 • pagina 9

Il vertice dei leader dell’Unione trova soltanto un accordo a metà ROMA. Il fondo salva-Stati c’è, gli Eurobond (ancora) no. I 27 leader dell’Unione Europea riuniti a Bruxelles hanno raggiunto un accordo di massima all’unanimità sulle modifiche da effettuare all’articolo 136 del trattato di Lisbona, allo scopo di creare un meccanismo di intervento permanente anti-crisi a favore degli stati dell’unione monetaria. «Una vittoria di Angela Merkel», commentava già nell’edizione on line Der Spiegel, che anticipava la possibile formulazione della modifica: «Gli Stati membri la cui moneta è l’euro possono istituire un meccanismo di stabilità che può essere attivato se indispensabili per salvaguardare la stabilità dell’area dell’euro nel suo insieme. La concessione dell’assistenza finanziaria nell’ambito del meccanismo sarà sottoposto a condizioni rigorose». La formulazione consentirà agli Stati di intervenire per i salvataggi anche dopo la scadenza, nel 2013, dell’attuale fondo da 750 miliardi. «Gli Stati membri la cui moneta non è l’euro – si legge ancora nel documento – saranno associati ai lavori se lo desiderano. Possono decidere di partecipare caso per caso alle operazioni condotte secondo il meccanismo».

Il Consiglio ha quindi approvato il testo del progetto di decisione per la modifica del Trattato di Lisbona e ha deciso di avviare ”immediatamente” la procedura semplificata di revisione. L’adozione formale di questa decisione, si legge ancora nel documento, dovrebbe avvenire nel marzo 2011, il completamento delle procedure nazionali di approvazione entro la fine del 2012 e l’entrata in vigore il 1 gennaio 2013. La discussione fra i

Ma sugli eurobond l’accordo è lontano La Germania blocca l’idea Juncker-Tremonti: solo un’indicazione generica per il futuro di Alessandro D’Amato Ventisette si è focalizzata sulla richiesta tedesca di due condizioni per evitare che si abusi del futuro fondo: prevedendo esplicitamente che il ricorso al meccanismo sia possibile solo come estrema risorsa (o ”ultima istanza”, come dicono i tedeschi) per i paesi dell’Eurozona altrimenti a rischio di default; ma assicurandosi anche che tutte le decisioni di attivare il meccanismo siano prese all’unanimità (ma questo porrebbe il problema del veto) dagli Stati membri che ne faranno parte. Per fare un esempio, la ”facility” temporanea che scade a metà 2013 e viene usata per la prima volta per salvare l’Irlanda richiede il voto unanime. La questione giuridica non è da sottovalutare: la modifica ”limitata” del Trattato sul funzionamento del-

l’Ue (ma solo della sua terza parte, relativa alle politiche e azioni interne dell’Unione) è resa possibile dalla procedura di revisione semplificata prevista dall’articolo 48 del Trattato dell’Ue. A differenza delle revisioni ordinarie, la revisione semplificata viene attivata in base a una decisione unanime del Consiglio europeo,

senza la convocazione di una conferenza intergovernativa, e dovrebbe consentire passaggi rapidi di ratifica parlamentare in tutti i gli Stati membri, evitando il ricorso (soprattutto in Irlanda e in Danimarca) al referendum. Che è sempre un rischio, come insegna la travagliata vicenda del Trattato di Lisbona. In questo modo i prossimi passi legali sono già segnati: nelle prossime settimane, la Commissione europea, il Parlamento europeo e la Banca centrale europea esamineranno la proposta e forniranno il loro parere, come da legge. Al prossimo vertice dei leader europei nel mese di marzo, la modifica al trattato deve essere adottata ufficialmente. Entro la fine del 2012, i parlamenti dei 27 Stati membri dell’UE ratificheranno le modifi-

rimaneva la barriera dei cambi con il suo corollario delle possibili svalutazioni a favorire o danneggiare l’import-export, sia pure all’interno di quello che allora si chiamava il “serpentone” delle fluttuazioni dello Sme.

che rilancino la coesione e gli eurobond fanno parte di questo secondo tipo di medicina per curare i mali dell’euro. Altrimenti potrebbe diventare possibile anche lo scenario fantapolitico dipinto dal Financial Times

Questi titoli comunitari sono «uno strumento che sicuramente avremo modo di sfruttare in futuro» ha detto il primo ministro belga Yves Leterme

bond «uno strumento teoricamente valido», anche se al momento «prematuro».

Il problema di fondo, in realtà, è sempre quello della natura dell’euro e della sua crisi. La moneta comune è nata come elemento di coesione, se diventa argomento di divisione, se scatena pulsioni più o meno inconfessate di ritorno alle vecchie monete nazionali - che si tratti del forte marco o della debole dracma, per non parlare della lira - allora sì che è in pericolo tutta la costruzione dell’Europa unita. Come anche Angela Merkel ammette. L’euro è stata la logica evoluzione del mercato unico europeo che non poteva essere efficace ed effettivo - con la libera circolazione delle merci - se

E, per gioco, l’“FT Deutschland” ipotizza una scissione monetaria nella Ue con la nascita del “Silvio” in Italia, Grecia, Portogallo e Spagna: cambio 15 a uno con l’euro e l’effige di Berlusconi La moneta comune avrebbe duvuto innescare anche più stretti legami politici per coordinare le economie dei Paesi di eurolandia. Così non è stato.

Da qui la crisi che ha bisogno di misure di salvataggio, come quelle decise ieri e pilotate dal rigore della Merkel. Ma che ha bisogno anche di misure “sistemiche”, come dicono gli esperti,

Deutschland che - con toni tra lo scherzoso e il polemico - ha immaginato gli effetti della possibile fine dell’euro. O meglio, di una specie di scissione monetaria europea con i Paesi forti che mantengono l’euro («l’euro del Nord», lo definisce il giornale) e con i Paesi dell’Europa debole del Sud che passano al «Silvio». Da Silvio Berlusconi, naturalmente. Perché l’edizione tede-

che. Così i referendum si potranno evitare e il meccanismo di stabilità europeo andrà in vigore nel 2013.

Ma non è detta ancora l’ultima parola. C’è consapevolezza all’interno della Ue che probabilmente non basterà il fondo per mettere in sicurezza gli Stati; ma sulle altre misure da adottare tra i leader c’è maretta. Gli Eurobond, una proposta partita dal Lussemburgo e alla quale si è accodata anche l’Italia, sono stati respinti, per ora, da Berlino. Ma l’anno prossimo è certo che il dibattito sulla vendita di debito europeo per ridurre i costi dei prestiti per i membri più indebitati della zona euro potrà nuovamente divampare. Diversi commenti lasciato intendere che la discussione non è finita. Le obbligazioni in euro sono «uno strumento che sicuramente avremo modo di sfruttare in futuro», ha detto il primo ministro belga Yves Leterme, il cui paese detiene attualmente la presidenza di turno dell’Ue. Prima dell’inizio del vertice, il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione che chiede alla Commissione di dare un’occhiata da vicino l’idea di emettere obbligazioni collettive. Anche l’Italia, con Silvio Berlusconi, ha chiesto uno studio di fattibilità ad hoc per gli Eurobond. Ma sarà difficile scontrarsi con la volontà della Germania. La Merkel resta straordinariamente potente, se non altro perché detiene il più grasso libretto degli assegni dell’Ue. Dei 580 miliardi di euro impegnati in fondi di salvataggio dall’Europa a partire dal mese di maggio, 162 sono arrivati da Berlino. E l’altro grande azionista dell’Ue, la Francia, non ha alcuna intenzione di mettere in crisi l’asse. sca del quotidiano finanziario della City britannica ipotizza che Berlusconi, «ormai a 79 anni e al suo quinto mandato, riunisce a villa Certosa i leader dell’Europa meridionale e lancia con loro la nuova moneta che porta il suo nome e la sua effige». Il cambio è fissato a 15 Silvio per un euro in modo da sfruttare una svalutazione competitiva a tutto vantaggio di quei Paesi che, una volta, in Germania erano chiamati Vacanzeland: Grecia, Spagna, Portogallo e Italia dove si andava a passare le ferie a buon mercato e, magari, a comprare una casa. Quello del Financial Times Deutschland è uno scherzo apertamente dichiarato. Ma il rischio dell’implosione dell’euro non è, poi, così irrealistico. E per scongiurarlo i Paesi di Eurolandia dovranno mettere in campo ancora molta buona volontà e molta iniziativa politica.


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economia Le ambizioni, i limiti e il rilancio della seconda azienda culturale del Paese

ROMA. Antonello Perricone promette il ritorno dei dividendi (75 milioni di euro in totale) per il prossimo biennio. Ma parlare di guadagni in via Solferino è sempre più complesso. Così, alle fine di un consiglio durato 3 ore e mezzo e passato a elencare luci e ombre di Rcs, l’unico soddisfatto sembrava Giuseppe Rotelli. Si è astenuto sul piano (e con lui Diego Della Valle), ma dopo un’attesa durata oltre tre anni, ieri, il signore delle cliniche lombarde è riuscito a entrare nel cda del gruppo. Il secondo azionista privato dell’editoriale è stato anche cooptato nel comitato esecutivo. Ma vede – ed è difficile che nutra ancora speranze in senso contrario – invece sbarrate le porte per entrare nel patto di sindacato. Perché il suo 11 per cento, unito al 63,527 ben blindato dagli accordi parasociali, avrebbe soltanto l’effetto di azzerare il flottante di un titolo già ai minini, con il rischio che si vada verso un costoso delisting di quello che è sempre più il circolo Pickwick più esclusivo di piazza Affari. Ma ai minimi è anche la fiducia degli azionisti, convinti di aver pagato già un prezzo troppo alto per sedere nel salotto buono. Perché gli Agnelli, Intesa, i Ligresti, i Della Valle – seppure avessero soldi da buttare – non intendono più versare un euro nel pozzo senza fondo di via Solferino. Ed è sempre più difficile il lavoro dell’amministratore delegato Antonello Perricone, che anche ieri ha presentato l’ennesimo piano ambizioso, non fosse altro perché da qui al 2103 intende ridurre l’indebitamento da 979 a 677 milioni. E senza avere grandi armi in mano, visto che quando ha provato a mettere sul mercato i periodici, testate storiche come il Mondo o A, non ha trovato nessuno che facesse sul serio. Nel piano presentato ieri da Perricone si punta a portare i ricavi dai 2,259 milioni del 2010 ai 2,453 milioni nel 2013. Guardando al tasso composto di crescita annuale (in aumento del 2,8 per cento) si scopre che, se le attività tradizionali – quotidiani e periodici – sono letteralmente stabili –, il management scommette tutto su digitale e multimedia, che nelle stime di via Solferino dovrebbe segnare un +20,8. L’Ebitda di gruppo è invece calcolata in salita: dai 197 milioni del 2010 ai 296 milioni del 2013, con la redditività che

Rcs, salotto buono di soci parsimoniosi Ancora tagli per recuperare le risorse che il gotha della finanza italiana lesina di Francesco Pacifico

In alto, la storica sede milanese del Corriere della Sera. In basso, l’attuale direttore, Ferruccio De Bortoli passa dall’8,7 del 2010 al 12 per cento del 2013, se si troveranno leve per aumentare l’efficienza interno. L’Ebit è stimato in aumento da 80 milioni del 2010 a 201 milioni del 2013. Sempre nel triennio si prevede una generazione di flusso di cassa ante investimenti di circa 530 milioni, mentre gli investimenti ammontano a circa 160 milioni. Forti sforzi dovranno essere fatti se – come

l’orientamento di studiare dismissioni degli asset non strategici, soprattutto in relazione all’andamento di mercato, mentre Perricone ha parlato soltanto di «cessione di asset con marginalità negativa». Nel mirino c’è, come al solito, l’internet company Dada, che non ha mai reso rispetto alle aspettative. Si torna a parlare – anche se nel piano non ce n’è traccia – di dismissioni immo-

Della Valle e Rotelli si astengono sul piano industriale. Intesa, Fiat e Ligresti sono stanchi di sottostimare le loro quote. Per abbassare il debito Perricone confida nell’online, ma dovrà vendere da programma – si riuscirà a portare il debito da 979 milioni a 677 milioni. Perricone ha fatto mettere nero su bianco che questi numeri sono indipendenti da eventuali dimissioni. Ed è questa la leva che potrebbe cambiare il destino dell’azienda. Il Piano non comprende, infatti, gli effetti di eventuali revisioni di perimetro. Non a caso il Cda ha confermato

biliari o valorizzando i centri stampa di Gorgonzola e di Milano, oppure conferendo tutte le proprietà a un fondo ad hoc. La Rizzoli incentra il suo piano sull’attività on line. Lo si comprende bene dai target sul versante pubblicitario dal 2011 al 2013 stimano: in Italia una situazione di stabilità per i quotidiani, un -4 per cento per i periodici e un +15,3 per l’online. In Spagna, invece, c’è un

+3 per cento per i quotidiani, un +18,9 per l’online e un +4,9 per la tv free-to-air. Il problema però è che il binomio Corriere-Gazzetta tenere in piedi la baracca.

Viste le dimensioni, Rcs paga una crisi che ha cancellato completamente le strategie degli editori. I quali pensavano di aver più tempo per attraversare indenni il passaggio dalla carta al digitale. Lo switch off non è imminente, ma il calo delle copie e quello degli investimenti pubblicitari hanno diminuito i margini già di per sé risicati. Con il risultato che diventa ancora più urgente la creazione di un nuovo modello di business. Al 30 settembre 2010 l’azienda ha dichiarato che sono 25mila gli abbonati elettronici di Corriere della Sera e Gazzetta dello Sport: quasi 13mila su smartphone e oltre 12mila su iPad. Nelle scorse settimane ha presentato un accordo con Telecom per mettere on line un catalogo di di circa 16.000 volumi. Infatti è ben chiaro che in via Solferino la parola magica è tablet. Sul breve e medio termine i benefici saranno molto limitati, ma intanto investire su questo canale ha il merito di superare una logica che finora ha bloccato lo sviluppo dell’online: quella che l’informazione via internet dovesse essere per forza di cose gratuita. Se questo è il futuro, il presente è dover affrontare alla difficoltà di gestire asset pesanti come i quotidiani, periodici e la parte libri. In maniera ormai neanche tanto velata il management di Rcs attacca la redazione della corazzata Corriere per la sua rigidità, soprattutto in termini contrattuali. Mentre i soci chiedono più mordente alla linea editoriale impressa dal direttore Ferruccio De Bortoli. Il quale, a sua volta, lamenta la difficoltà di movimento dovuta agli incroci nella proprietà. Per capire il clima basta leggere la nota diffusa ieri mattina dal Cdr del primo giornale italiano per contestare la visione strategica del proprio editore. «Fino al 2006», si legge, «la posizione finanziaria fosse positiva per 5,7 milioni di euro, prima che la società si lanciasse in una serie di infruttuose acquisizioni che nel giro di 4 anni hanno fatto sprofondare l’indebitamento a quota 1,1 miliardi di euro, al punto da richiedere aumento di capitale e/o ingenti dismissioni». Se a questo si aggiunge il fatto che gli editori si sono stancati di mettere minusvalenze a bilancio e desistono dall’investire, si comprende quanto è lontana da Rcs la diretta concorrente Mondadori.


mobydick

INSERTO DI ARTI E CULTURA DEL SABATO

di Mario Donati nostri figli leggono mediamente più di noi adulti. I numeri sono confortanti, anche se i recenti tagli alla cultura non faciliteranno certo la vita delle biblioteche scolastiche, anche se certi insegnanti insistono su testi validi ma invecchiati dimenticando, o ignorando, altri ugualmente validi e più al passo (anche dal punto di vista linguistico) con i tempi. Chi ha la fortuna di vivere in famiglie informate ha l’occasione di divertirsi, per esempio, con Nick Hornby. La Rizzoli ha appena pubblicato un libricino cartonato che oltre a essere bello è anche il sunto di ciò che potrebbe avvenire (ce lo auguriamo) oggi. C’è una scimmia con una camicia a pois e un asinello dotato di computer. La scimmia cerca di convincere l’asinello a «provare» quell’oggetto a lui sconosciuto che è il libro. L’asinello è diffidente, comunque pone domande informatiche, del tipo «dov’è il mouse?». Risposta: «Questo è un libro». Alla fine lui prova. Poco dopo si vede l’asinello completamente immerso nella lettura dell’Isola Il Natale del tesoro. Dietro è la festa a lui le lancette dell’orodei bambini. E allora

I

Speciale Strenne 2010

UN LIBRO PER AMICO

trattiamoli da protagonisti iniziando questo viaggio nelle proposte editoriali da quelle pensate per loro. Gli scaffali sono carichi, c’è solo logio che è l’imbarazzo della avanzato. È feliscelta… ce. Ecco: non buttiamo via computer e televisione, ma indichiamo ai ragazzi che c’è uno strumento antico e straordinario che si chiama libro.

Mozart, i conigli, il leone La casa editrice Elliot ci fornisce l’esempio di come la letteratura per ragazzi possa essere evoluta. E quindi accattivante, lontana anni luce dal grigiore, dalla retorica e dal dolciastro didascalismo.

Risorgimento in bianco e nero di Massimo Tosti

La letteratura? Ci salverà… di Pier Mario Fasanotti

Lo schermo in casa dvd, videogiochi e altro di Francesco Lo Dico

Il Boss, i Beatles e i Rolling Stones di Stefano Bianchi

Il pensiero da coltivare nell'età del rischio di Maurizio Ciampa

Da Michelangelo all'incanto buddista di Marco Vallora

ARRIVEDERCI NEL 2011 Sabato 25 dicembre e sabato 1° gennaio come tutti i giornali liberal con Mobydick non sarà in edicola. L’appuntamento con i lettori di Mobydick è dunque per sabato 8 gennaio. A tutti, i nostri migliori auguri di Buone feste


Ragazzi

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Tutto all’insegna della contaminazione dei generi. Per esempio, con Il flauto magico secondo l’orchestra di Piazza Vittorio (22,00 euro), la trama mozartiana si snoda nei disegni, nella sorpresa dei disegni e delle foto, e anche nella musica contenuta nel cd-audio allegato. Si può imparare tutto, a patto che l’offerta sia spiazzante. Con The Rabbits di John Marsden e Shaun Tan, s’immagina, su cartoni raffinati e grandi, l’invasione dei conigli che divorano e sporcano ogni cosa e ogni luogo. Un’ondata inquinante e feroce.Alla fine nessuna soluzione rassicurante e scontata, solo domande. Come: «Dov’è la nostra terra ricca, morbida e fertile? Dov’è il profumo della pioggia che cade sugli eucalipti?». La nostalgia del pianeta pulito e la visionarietà dei disegni evitano l’ecologismo retorico. La casa editrice romana Orecchio acerbo, oggi tra le più eleganti e tra le più propositive, pubblica testi che non passano inosservati. Ci piace segnalare uno degli ultimi libri cartonati. È intitolato Mondo matto di Atak (15,00 euro). Figure coloratissime e naif mostrano un universo al contrario. Ridicolmente al contrario. Che muove la vis comica dei lettori più piccoli (ma la nostra, no?). C’è il leone davanti alla gabbia dentro la quale sorride in maniera stentata il guardiano dello zoo. Ci sono i pompieri che accorrono coi loro camion con pompe e s’accorgono che dalle case fuoriesce acqua, c’è Cappuccetto rosso che spaventa un lupacchiotto con la merenda nel cestino, ci sono insetti incredibilmente alti rispetto a elefanti, tigri e orsi, una bella vendetta, c’è un farfallone con la retina che rincorre una bambina, c’è un ragazzino sullo skate che stringe le mani dei genitori di statura minuscola, ci sono tre gigantesche civette su un ramo che sovrasta una casetta, ove dorme beato un bimbo che pare Topolino, c’è un infante che imbocca la mamma, c’è un ricco che chiede l’elemosina, c’è la lepre che spara al cacciatore. Tutto va a rovescio? È un modo per riflettere su come potrebbe andare davvero al dritto.

Parole, parole - Con Rime e Filastrocche per mamme e bambini di Davide Bregola (12,90 euro) l’editore senese Lorenzo Barbera punta invece sul suono e sul significato delle parole. Ci si diverte e si impara. Ogni bambino e da sempre - è affascinato dall’equilibrismo e dai movimenti quasi circensi delle parole. Gli sono così più vicine, e più amiche. Sorridendo si apprende. Per esempio l’uso della desinenza «gno»: «In sogno ho visto un ragno con una zampa di legno che diceva con sdegno a un suo vecchio compagno: dovrei tuffarmi in uno stagno? Sei matto, mi bagno!». Poi gli indovinelli: «Ha quattro gambe ma non cammina. Ce n’è uno in ogni cucina». La soluzione è a fondo pagina: «olovat lI». La domanda conduce a un’altra trappola. Ma è facile l’annagramma: tavolo. A proposito del fascino della rima, Hans Magnus Enzesberger nel libro Che noia la poesia (Einaudi) elencava tre ragioni a sostegno della sua utilità. Prima: la gioia di raddoppiare i suoni fa parte delle nostre prime esperienze con la lingua. Seconda: è più facile ricordarsi i versi e non la prosa.Terza: i poeti hanno usato la rima per scovare soluzioni che altrimenti non avrebbero individuato. Tre pinguini - Delizioso racconto sul diluvio universale, dettato dalla leggerezza e dall’umorismo tenero. Ci sono tre pinguini che litigano. Il più piccolo sostiene che Dio non esiste. Si sa, sono animali testardi, dispettosi, mica facili da convincere. Il piccolo vuole dare la caccia a una farfalla, gli altri cercano di fermarlo, ma lui si siede sopra l’insetto, perfidamente. Intanto comincia a piovere e una colomba sbuca dalle nubi e annuncia loro di fare le valigie perché l’arca di Noè sta per partire. Due animali per ogni specie, e niente bagagli. Ma quelli come fanno a lasciare il più piccolo, che piange e si dispera per il male fatto alla farfalla? A questo punto i due autori di L’Arca parte alle otto (Rizzoli, 10,00 euro), i tedeschi Ulrich Hub e Jorg Muhle, offrono ai loro personaggi uno stratagemma: il minore dei pennuti dentro una valigia. Seguono, sull’arca, esilaranti vicende. Senza sdolcinature, anche quando si parla dell’amore, della generosità e dei piani misteriosi del Creatore. anno III - numero 46 - pagina II

speciale

strenne Sfortunato - Neil Gaiman, autore inglese tra i più famosi e apprezzati al mondo (di lui ricordiamo il bellissimo Coraline) scrive di un ragazzo (Odd e il gigante di ghiaccio, Mondadori, 14,00 euro) che proprio non ha la fortuna dalla sua parte: ha perso la madre, è zoppo e deve affrontare un terribile inverno. Ma il coraggio non gli manca. E neppure il sorriso, cosa che fa imbestialire gli abitanti di un villaggio vichingo in faticosissima attesa della primavera. Odd va in un bosco, libera un orso intrappolato dentro un albero, una volpe e un’aquila. Dietro a quelle sembianze si nascondono le divinità nordiche Tgor, Loki e Odino. Ad attendere Odd c’è un’impresa notevole: affrontare uno spaventoso mostro di ghiaccio, lo stesso che aveva cacciato via i tre dei dalla città eletta.

La cosa importante - Di impianto classico, con disegni eleganti ed essenziali, è il best seller di Jean Giono, L’uomo che piantava gli alberi (Salani, 12,00 euro). È la storia di un solitario pastore che parla poco e fa una cosa essenziale per il mondo: pianta alberi. Non gli importa che nel mondo ci siano guerre, indifferenza, contrasti. Lui bada al futuro della Terra. Procede senza esitazioni. Di lui riferisce l’io narrante: «La costa che avevamo percorso era coperta d’alberi che andavano da sei a otto metri di altezza. Mi ricordavo l’aspetto di quelle terre nel 1913, il deserto… il lavoro calmo e regolare, l’aria viva d’altura, la frugalità e soprattutto la serenità dell’anima avevano conferito a quel vecchio una salute quasi solenne». La ricetta - Zita Dazzi, anche per il fatto che è giornalista, sa comunicare. E lo fa in maniera fluida e divertente. Si rivolge ai bambini dai sei ai dieci anni con Sciroppo di lumache e altri rimedi (Edizioni San Paolo, 10,00 euro). Viene preso di mira un medico molto severo che stila ricette assai strane. Ma c’è anche una nonna fantasiosa che sfodera rimedi che solo a sentirli viene la pelle d’oca. Un gruppo familiare vivacissimo che impara, con l’occasione di raffreddori e altri fastidi, l’arte di stare bene insieme. Da tener d’occhio - A Trieste c’è una piccola e intraprendente casa editrice che si chiama Bohem, diretta da una signora svedese da anni trapiantata in Italia. Finora traduce testi stranieri (soprattutto del nord Europa), ma ha in mente di mettere alla prova anche gli italiani. Le edizioni sono sobrie e tipograficamente ben curate. Per esempio Lupo sabbioso della svedese Asa Lind (15,50 euro), storia della bambina Zackarina che abita in una casetta in riva al mare e di Lupo Sabbioso, abile a trovare le soluzioni. Oppure le avventure, stavolta in Grecia, di Tsatsiki e Pa’ (16,50 euro) con nonni, zii e cugini, ma anche con la disinvolta Elena che insegna a rubare le più belle angurie del mondo. Testardi - Per dare un esempio del caratterino di Mojito sentite qui: «Proprio quando mi dicono che una cosa non si deve fare, d’istinto mi va di provare». Stavolta lui e compagni affrontano il tema (oggi così scottante tra i giovani) dell’alcol: «Sente spesso il bisogno di bere per evitare di chiedersi qualcosa. Altre volte per dire qualcosa che non riuscirebbe a esprimere». Incisive le parole dell’autrice di Mojito (Edizioni EL, 10,50 euro), Francesca Longo. C’è il senso della nullità della vita all’interno di quotidianità familiari non sempre incoraggianti. Mojito e Margarita vanno incontro a un’estate che prevedevano noiosa, invece c’è l’amore, c’è la nascita del desiderio, c’è l’intraprendenza che sconfigge dolore, paura e angoscia.

Lo zio scontroso - I genitori si sono sempre disinteressati di lei. Dopo una tribolata infanzia passata in India, Mary Lennox, dieci anni, viziata, per nulla carina e dispotica, va in Inghilterra e viene affidata allo zio Archibald, un vedovo scorbutico che vive in un castello. Inizia così il racconto (un classico) di Frances Hodgson Burnett, l’autrice del Piccolo Lord e della Piccola principessa. Siamo nel Giardino segreto (Fanucci, 11,00 euro). Mary incontra il cugino Colin, semplice e gentile ma con l’ossessione di essere sempre malato. Il castello ha moltissime stanze, ovviamente, e c’è il divieto di entrare in alcune di esse. Off limits è anche un giardino, già frequentato dalla donna che era stata moglie dello zio. In questo spazio incantato i due ragazzi scoprono e usano poteri straordinari capaci di trasformare la realtà. È il sogno di tutti. Spade e coraggio - Ci chiediamo: è ancora appetibile il genere fantasy? Opinione molto personale: al cinema certamente, anche se meno di una volta. Con i libri si tende a seguire quelli di consolidato successo (vedi Licia Troisi, della quale è uscito il terzo e conclusivo volume della saga delle Leggende del Mondo emerso, Gli ultimi eroi (Mondadori, 18,00 euro). Eppure la casa editrice Cavallo di Ferro scommette generosamente su queste narrazioni fantastiche che si imperniano sulla costruzione di mondi nuovi, ispirati a un medioevo apocalittico. La giovane promessa si chiama Marta Marat (liceo classico a Roma, ha 17 anni e scrive da quando ne aveva 13), autrice di La Saga di Esmeria. Il suo primo libro (16,00 euro) s’intitola L’assassino nero. C’è una parte introduttiva, di carattere storico-geografico. Per orientarci. Francamente è difficile memorizzare quegli scenari. Ma una volta fatto ci si addentra con passione in trame che riguardano lotte e cospirazioni, atti di coraggio e prove iniziatiche. Inevitabile che il fulcro sia la lotta tra il bene e il male. Musica e figure - L’idea è molto originale. Quella di mischiare canzoni e disegni (tutti davvero molto belli). Lo fa Andrea Provinciali in Tiamotti - 11+1 canzoni d’amore italiane a fumetti (16,50 euro). Ci si ispira a testi noti. Come Isy di Luigi Tenco (1967). Uno studente di Urbino riceve un bacio da Isabella (Isy), poi i due si perdono di vista, entrambi attratti da altre esperienze e da altri luoghi. S’incontrano di nuovo, romanticamente. Poi il secondo distacco. Canta Tenco: «Se tu sapessi perché ti vengo a cercare/ probabilmente non mi vorresti vedere». La malinconia di Tenco, la tenerezza di una piccola parte di vita. Per fortuna nel libro della Arcana ci sono anche Gino Paoli e Fabrizio De André. Con fumetti all’altezza delle fantasie evocate dalle canzoni. Per sapere - I nostri figli orecchiano il telegiornale, danno un’occhiata ai giornali, si connettono a internet, ascoltano conversazioni. Molti si chiedono che cosa sia davvero la mafia. Una spiegazione chiara ed esauriente la fornisce loro Antonio Nicaso, uno dei più informati giornalisti che si occupano di organizzazioni criminali, in La mafia spiegata ai ragazzi (Mondadori, 14,00 euro). C’è tutto, comprese le connessioni internazionali che fanno sempre più paura. E c’è anche un glossario di base per capire che cosa sia lo «sgarro», il «pizzo», il «41 bis». E un elenco di frasi celebri, tra cui lo slogan della Regione Sicilia: «La mafia fa schifo».


Storia

MobyDICK

di Massimo Tosti

isorgimento e Unità d’Italia, ovviamente. Decine di libri sull’argomento hanno invaso le vetrine delle librerie in vista delle celebrazioni (peraltro già avviate) per il 150° anniversario dello Stato Unitario. Ce n’è per tutti i gusti e per tutti i palati: dai testi agiografici a quelli che si autodefiniscono di «antistoria», affaccendati a distruggere (o almeno incrinare) la memoria eroica dei personaggi e degli eventi che condussero l’Italia a diventare una nazione e una Patria. L’offerta è ricca e attraente, sia per i divoratori di saggistica storica (che cercano nuove interpretazioni di fatti a loro noti) sia per i neofiti che - in occasione degli anniversari - cercano di recuperare sulle lacune accumulate negli anni. Qualcuno - a proposito di queste contraddittorie interpretazioni sull’atto di nascita dell’Italia - ha parlato di «Risorgimento schizofrenico»: a distanza di centocinquant’anni la «militanza» degli storici appare incredibilmente simile a quella dei politici (e dei commentatori politici) per i quali ogni evento, e ogni protagonista, o è bianco o è nero. E - manco a dirlo - le schiere di chi vede bianco più o meno si equivalgono con i fautori del nero. Sembra definitivamente tramontato l’appello (di moda qualche anno fa) di chi invocava, e auspicava, la formazione di una «memoria condivisa» sulle tragedie che hanno contrassegnato il cosiddetto «secolo breve», cioè il Novecento attraversato dalle dittature rosse e nere, con la scia di sangue e distruzioni che hanno provocato. Adesso il manicheismo si è esteso anche all’Ottocento. E la prova viene proprio dalla produzione storica che riguarda direttamente l’Unità d’Italia, gli anni che la precedettero e quelli che la seguirono. Forse sarebbe più costruttivo valutare ogni contributo (anche quelli di più acceso revisionismo) come utile per comprendere quel che realmente accadde.

R

Fiero oppositore di ogni dubbio sulle glorie unitarie è un politologo autorevole (con trascorsi recenti anche in campo politico è istituzionale: è stato ministro dei Beni culturali e presidente del Senato): Domenico Fisichella propone un saggio - Il miracolo del Risorgimento (Carocci editore, 118 pagine, 15,00 euro) - il cui titolo riassume già le conclusioni. Un miracolo perché «il Risorgimento è l’espressione, è la formulazione di una nuova, inusitata tradizione, quella dell’unità della nazione» per un popolo che, «unito culturalmente e socialmente», per merito di un gruppo di grandi uomini, ha conquistato la «dignità di nazione». Meno inflessibili nella glorificazione sono Giordano Bruno Guerri (Il sangue del sud, Mondadori, 312 pagine, 20,00 euro, già recensito su queste colonne) che rievoca in termini crudi la lotta al brigantaggio meridionale condotta con metodi spietati dall’esercito «piemontese», e Arrigo Petacco (O Roma o morte, Mondadori, 168 pagine, 19,00 euro) che racconta senza indulgenze le disfatte militari che accompagnarono la nascita del nuovo Stato e l’incapacità dei governanti dopo Cavour. Altri due giornalisti di successo si sono cimentati nella rievocazione del Risorgimento: Bruno Vespa (Il cuore e la spada, Mondadori, 864 pagine, 22,00 euro) che parte da Cavour e Garibaldi per arrivare a Prodi e Berlusconi, e Aldo Cazzullo (Viva l’Italia!, Risorgimento e resistenza, Perché dobbiamo essere orgogliosi della nostra nazione, Mondadori, pagine 160, 18,50 euro). Due libri curiosi

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Risorgimento

in bianco e nero

Il tema dominante è quasi scontato - l’Unità d’Italia in occasione del 150° anniversario - ma l’offerta è ricca. Anche se a distanza di tanti anni la militanza degli storici non sembra essersi stemperata. Ogni evento viene letto secondo un certo colore e la “memoria condivisa” resta ancora una chimera... sono Il viaggio della Capitale - Torino, Firenze e Roma dopo l’Unità d’Italia di Attilio Brilli (Utet, 150 pagine, 15,00 euro) e, Solferino - Storia di un campo di battaglia di Ulrich Ladurner (Il Mulino, 140 pagine, 12,00 euro) che racconta i luoghi della battaglia più sanguinosa combattuta in Italia nel XIX secolo, alla quale assistette Henri Dunant che ne ricavò lo stimolo per la creazione della Croce Rossa.

Il personaggio più gettonato del Risorgimento resta Garibaldi.Tre libri gli sono stati dedicati: Andrea Possieri è l’autore di Garibaldi (Il Mulino, 248 pagine, 16,00 euro); Francesco Pappalardo di Il mito di Garibaldi - Una religione civile per una nuova Italia (Sugarco, 240 pagine, 18,50 euro), Nicola Fano di Garibaldi - L’illusione italiana (Baldini e Castoldi Dalai, 224 pagine, 17,50 euro). Possieri racconta il personaggio nelle sue luci e nelle sue ombre. Pappalardo e Fano si dividono il compito del nero e del bianco nella memoria divisa e antagonista. Il primo individua in Garibaldi uno dei responsabili della diffusione di un’ideologia laicista che ha posto le basi per una liturgia laicista alternativa rispetto alle radici cristiane dell’Italia. Fano racconta, con affetto e passione civile, la grandezza morale dell’Eroe, con frequenti paragoni con l’Italia di oggi, svilita e mortificata dalla corruzione. La casa editrice Salerno è presente nel mercato risorgimentale con due imponenti biografie: Cavour di Adriano Varengo (564 pagine, 28,00 euro) e Napoleone III di Eugenio Di Rienzo (716 pagine, 30,00 euro). Ciascuno nel suo ruolo, furono decisivi per il raggiungimento dell’obiettivo unitario. A proposito della memoria non condivisa, per ragioni diverse,

hanno suscitato forti polemiche due libri. Salviamo l’Italia di Paul Ginsborg (Einaudi, 134 pagine, 10,00 euro) e I vinti non dimenticano - I crimini ignorati della nostra guerra civile di Giampaolo Pansa (Rizzoli, 466 pagine, 19,50 euro). Il primo - che affonda la lama nei difetti del nostro Paese ha suscitato molte critiche per alcuni svarioni storici, frutto - probabilmente - di quel tanto di sufficienza che gli storici inglesi (anche quelli trapiantati in Italia) riservano alla nostra storia. Il libro di Pansa è l’ultimo (per ora) della serie «revisionista» che il grande giornalista ha dedicato alla ricostruzione delle pagine più oscure delle vendette consumate contro la parte «sconfitta» nell’ultimo dopoguerra. Due saggi sul Novecento meritano una particolare attenzione da parte di chi conosce a fondo la storia del «nostro» Novecento. Francesco Perfetti in Lo Stato fascista - Le basi sindacali e corporative (Le Lettere, 452 pagine, 32,00 euro) ricostruisce il passaggio del fascismo da movimento a regime e la trasformazione dello Stato in senso autoritario: a traghettare l’Italia verso il totalitarismo furono soprattutto le «leggi di difesa dello Stato» concepite da Alfredo Rocco. Amedeo Osti Guerrazzi (Noi non sappiamo odiare - L’esercito italiano tra fascismo e democrazia, Utet, 368 pagine, 24,00 euro) offre le registrazioni delle conversazioni fra alcuni alti ufficiali italiani catturati dagli inglesi nel 1943, rivelando le ansie, le paure e le speranze di chi si preparava al passaggio di campo dall’Asse agli Alleati.

Una citazione, infine, per quattro libri che si occupano del passato remoto. Giusto Traina in La resa di Roma (Laterza, 212 pagine, 18,00 euro) racconta un episodio poco conosciuto della storia romana: la battaglia di Carre, in Mesopotamia, combattuta nel 53 avanti Cristo, nella quale 25 mila legionari romani furono massacrati da un esercito persiano. Conor Kostick (L’assedio di Gerusalemme, Il Mulino, 275 pagine, 26,00 euro) ricostruisce il momento culminante della Prima Crociata. André Chastel (Il sacco di Roma, Einaudi, 274 pagine, 30,00 euro) approfondisce lo studio della calata dei Lanzichenecchi che creò un’autentica frattura nella storia di Roma e dell’Italia. Andrew Wheatcroft (Il nemico alle porte - Quando Vienna fermò l’avanzata ottomana, Laterza, 388 pagine, 24,00 euro) rievoca l’assedio fallito di 200 mila turchi alla città difesa da appena 27 mila uomini. Una guerra di religione: come Lepanto, e come tante altre, anche più recenti.


Rock

strenne

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di Stefano Bianchi

Natale, il Boss suona che è una meraviglia. The Promise: The Darkness On The Edge Of Town Story (Sony Music, 110,00 euro), è il cofanetto con 3 cd e 3 dvd che illuminano d’immenso il capolavoro di Bruce Springsteen datato 1978. In ordine di apparizione: la versione rimasterizzata di The Darkness On The Edge Of Town, 2 cd con 21 brani mai prima d’ora pubblicati (fra le chicche: Because The Night, Fire, The Brokenhearted) e sei ore filate di filmati e riprese video fra cui l’esecuzione dell’intero disco al Paramount Theather di Asbury Park (2009). Non date retta a chi si ostina a dirvi che la voce non è la sua: Michael Jackson canta da dieci con lode nell’album che stava preparando fin dal 2004. Si intitola Michael (Epic, 19,50 euro) ed è il suo più bello da vent’anni in qua fra hip-hop (Monster, col rap di 50 Cent), una ballata come (I Like) The WayYou Love Me e il rock di (I Can’t Make It) Another Day col chitarrista Lenny Kravitz. Natale è ancora più intrigante, se a intonarne le dolci arie sono Annie Lennox e Mariah Carey. La prima, con A Christmas Cornucopia (Universal, 16,90 euro), ci regala soavità come Silent Night, The Holly And The Ivy, The First Noël e Il Est Né Le Divin Enfant, più l’ineUniversal dita Child scritta da

A

The Boss celebration

nessa Paradis (I Love Paris), Laetitia Casta (Comic Strip), Isabelle Adjani (Beau Oui, Comme Bowie), Charlotte Gainsbourg (L’Un Reste, L’Autre Part) e la coppiaYves Montand & Marilyn Monroe che intona Incurably Romantic dalla colonna sonora di Let’s Make Love. Libanese, Freddo, Dandi, Bufalo, Scrocchiazeppi… In Romanzo criminale: il Cd (Emi, 11,90 euro), il rock italiano Un cofanetto illumina d’immenso dà voce e suono ai protagoil capolavoro di Bruce Springsteen nisti della serie tv. Da Francesco Sàrcina delle Vibradel 1978, “The Darkness on the Edge zioni (Libanese il Re) ai Reof the Town”. Poi c’è un bellissimo zophonic (Vita da Dandi), Michael Jackson postumo, passando per Pierluigi Ferrantini dei Velvet (Il sangue il Natale cantato da Annie Lennox è Freddo), Calibro 35 (Come e Mariah Carey e l’holiday album un romanzo…) e Afdei Pink Martini. Per non dire di R.E.M., terhours (Ballad For My Little Hyena), c’è di che bearsi Beatles e Rolling Stones fra rock duro, psichedelìa e struggenti melodie. Passando al pop e al rock dal lei. La seconda, vivo, obbiettivo puntato sul dvd con Merry Christdei Depeche Mode Tour Of The mas IIYou (Island, Universe - Live in Barcelona 17,90 euro), passa (Emi, 20,90 euro) che documenta con disinvoltura i concerti del 20 e 21 novembre da Little Drum2009 al Palau St Jordi. In scaletmer Boy a O Little ta, oltre ai brani più famosi della Town Of Bethcomputer-band (da Enjoy The Silehem. E nel brano O Come All Ye lence a Personal Jesus e I Feel Faithful/HalleYou), un film sul tour e 7 video lujah Chorus duetta con sua madre, Pa- girati dal fotografo Anton Corbjin. Anche coi R.E.M. andatricia, cantante lirica. te sul sicuro.Ve lo garantiscono il Gli americani Pink Martini, giostrano carisma del cantante Michael invece l’atmosfera natalizia all’insegna Stipe e il loro rock a denominadella lounge music. Joy To The World zione d’origine controllata.Vede(Heinz Records, 17,90 euro), da loro stessi re per credere Live From Austin definito holiday album, ci propone White TX (New West, 25,90 euro) che Christmas (cantata in inglese da China riprende il gruppo americano Forbes e in giapponese da Saori Yuki, la nel programma televisivo Austin Barbra Streisand del Sol Levante), Silent City Limits (13 marzo 2008). I Night, Santa Baby e altri evergreen. Ave- pezzi da novanta, ovviamente, non mante un debole per le canzoni francesi? Allo- cano: a cominciare da Losing My Relira non lasciatevi sfuggire Travelling 2: Les gion, Drive e Man On The Moon. Ladies & Acteurs Français Chantent (Discograph, Gentlemen: The Rolling Stones (Eagle Vi17,50 euro), disco extraordinaire con un sion, 19,90 euro) è invece il leggendario cast di stelle del cinema alle prese con 18 film-concerto texano del 1972 (restaurato amabili chansons. Qualche esempio: Va- e rimasterizzato) che vede in azione Mick

Jagger, Keith Richards, Charlie Watts, Bill Wyman e Mick Taylor. Il tour è quello dell’album Exile On Main Street, la sfilata dei brani è da brividi: si va da Brown Sugar a Jumpin’ Jack Flash, fino a Gimme Shelter e Midnight Rambler. Ma l’epopea dei Rolling Stones va anche vissuta nelle parole e nelle immagini dei due mattatori: Keith Richards e Mick Jagger.

Sul primo, chitarrista fenomenale e uomo perennemente in bilico, non solo c’è la disarmante onestà autobiografica di Life (Feltrinelli, 24,00 euro) che narra la sua vita scampata a un uragano di fuochi incrociati, ma anche Happy - L’incredibile avventura di Keith Richards (Meridiano Zero, 10,00 euro), meticoloso resoconto del giornalista Massimo Del Papa su questo «fuorilegge» letteralmente salvato dalla musica. Riguardo a Jagger, archetipo della rockstar e corpo da sex symbol, a parlare sono gli scatti di The Photobook (Contrasto, 35,00 euro) che lo ritraggono nelle sue mille metamorfosi. Lo sguardo, geniale, è quello di grandi fotografi quali Cecil Beaton, Francesco Scavullo, Herb Ritts, Anton Corbijn, Mark SeliDominique ger, Tarlé. Dalle Pietre Rotolanti agli Scarafaggi, ecco un tris di libri che omaggiano i Beatles. Sfizioso Beatles a fumetti di Enzo Gentile e Fabio Schiavo (Skira, 39,00 euro), che documenta attraverso pubblicazioni d’ogni latitudine (dall’inglese Boyfriend, al messicano Grupo EditorialVid) l’interesse di editori e

disegnatori nei confronti dei Fab Four. Accattivante Read The Beatles (Arcana, 22,50 euro), antologia di articoli giornalistici vintage sull’impatto, l’influenza e la modernità di John Lennon, Paul McCartney, George Harrison e Ringo Starr. Esaustivo The Beatles. Yeh! Yeh! Yeh! Testi commentati. 1962-1966 di Massimo Padalino (Arcana, 25,00 euro), che passa al setaccio l’epico canzoniere che va da Please Please Me fino a Revolver. Diari della bicicletta (Bompiani, 18,00 euro) inquadra invece la passione del musicista, fotografo e regista David Byrne per la due ruote, dagli anni Ottanta fedele compagna di viaggio e di tour, meglio se pieghevole. Il suo è il punto di vista del ciclista sul sellino: uno sguardo a New York, Istanbul, Berlino, Sydney, Manila, Buenos Aires, San Francisco e nella psiche dei loro abitanti. Negli anni Settanta, sfoggiando tacchi a spillo, David Bowie e Marc Bolan dimostrarono al rock che il maschile poteva fondersi col femminile. Da lì in poi, fra punk, post-punk, gothic, drag queen, drag king, emo e lolite, è stato tutto un rompere le righe sconfinando oltre il limite. Ne sanno qualcosa Madonna, Grace Jones e Antony Hegarty, ce lo racconta l’antropologa Alessandra Castellani in Vestire degenere - Moda e culture giovanili (Donzelli Editore, 24,00 euro).


Classica

MobyDICK

chi volesse infilare sotto l’albero qualche testimonianza sonora attinente ai principali anniversari dell’anno in scadenza, Chopin e Schumann, consiglio i cofanetti Brilliant e Audite dedicati a registrazioni radiofoniche di Géza Anda, il sommo pianista ungherese prematuramente scomparso, nel 1976, a soli 45 anni: tecnica vertiginosa, sensibilità spiccata per le sfumature di tocco e di suono, cantabile cristallino e una fantasia tenuta sempre a bada dal demone dello stile e dell’eleganza. Sul fronte dei dvd, un altro compleanno: la Fanciulla del West, cent’anni appena compiuti, nell’allestimento montato di recente ad Amsterdam (Opus Arte): musicalmente decente, con una protagonista, Eva-Maria Westbroeck, non priva di atout, sebbene Puccini le si addica solo fino a un certo punto, e una regia, di Nicholaus Lehnhoff, che tramuta la California del Golden Rush (1848) negli Stati Uniti d’oggi: l’originaria parabola di delitto e redenzione diventa una vicenda di speculazione economica e di strategie mediatiche (nel finale ultimo campeggia il caro, vecchio leone della Mgm), in certi momenti osservata colla lente dell’ironia se non dello sberleffo (qualcosa di simile accade anche nella Tosca di Luc Bondy, che, nata a New York, tra febbraio e marzo 2011 sarà alla Scala di Milano: la Virgin ha intanto pubblicato la primigenia versione del Metropolitan, ma è così scadente sul piano musicale che la sconsiglio vivamente). Di libri nuovi sulla musica ce n’è abbondanza, molti curiosi e interessanti, alcuni pregevolissimi. Dato lo spazio limitato a disposizione e la finalità puramente informativa del presente articolo mi limiterò a pochi cenni. Altre pubblicazioni, non meno significative, resta-

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Jazz

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Buon compleanno Fanciulla del West di Jacopo Pellegrini no per adesso escluse; torneranno utili più avanti: un libro non cessa d’essere buono solo perché ha qualche mese di vita sulle spalle. Da Edt Hallelujah Junction (18,00 euro), autobiografia dell’ancor quasi giovane (ha «solo» 63 anni) compo-

sitore americano minimalista John Adams; per Il notes magico, piccola ma agguerritissima casa editrice di Padova (www.ilnotesmagico.it), il Mozart scritto, intorno alla metà degli anni Trenta dell’Ottocento, nel suo eremo di Recanati da

Paolina Leopardi (8,00 euro). Sì proprio lei, la sorella di Giacomo, tanto appassionata di melodramma, quanto ignara di teatri (non usciva quasi mai di casa), traccia in poche pagine la biografia di un compositore la cui musica non ebbe mai occasione di ascoltare, eccezion fatta forse per qualche sporadica lettura domestica al pianoforte o di pochi, sparuti strumenti. La prosa limpida e concreta, le strategie narrative messe in atto con piena coscienza da questa misconosciuta musicografa meritavano di essere riportate alla luce: sia reso il giusto merito ad Alessandro Taverna, curatore del prezioso opuscolo. Ancora Mozart, la sua produzione operistica, vengono indagati nell’agile, intelligente Le opere teatrali di Mozart di Manfred Hermann Schmid (Bollati Boringhieri, euro 17,00), reso in un italiano esemplare da Elisabetta Fava. Agli appassionati di melodramma si raccomanda un’altra «biografia», quella dedicata al «suo» teatro da Giuseppe Barigazzi: La Scala racconta (Hoepli, 29,00 euro). Di giornalisti come questo parmigiano trapiantato a Milano e scomparso nel 2003, s’è perso lo stampo: così attaccato al proprio mestiere di cronista musicale da trascinarsi dietro i figli piccoli in Scala (non alla: i milanesi dicono così e il libro rispetta l’uso antico e radicato) e da lasciarli soli ad ascoltare le opere, qualsiasi opera, mentre lui scorazzava per corridoi, camerini e sottoscala in cerca di notizie fresche. Ed è appunto la figlia Silvia, giornalista anch’ella, che si è assunta l’onere di rivedere e correggere il testo appassionato e avvincente (la sua prima versione risale al 1984), mentre a Franco Pulcini, dal 2005 responsabile editoriale del Teatro alla Scala (dunque parte in causa, con tutti i vantaggi e i limiti che questo fatto comporta), è toccato il delicato compito di raccontare i molti fatti, non di rado burrascosi, accaduti nell’ultimo quinquennio.

Conversando con Lee Konitz sulle note di Blakey e Coleman ancano pochi giorni a Natale e agli appassionati di jazz che non avessero ancora deciso cosa regalare a qualche amico o a se stessi, suggerisco innanzitutto un libro, appena pubblicato in Italia dalla EDT di Torino per la collana Siena Jazz. È il ben noto Lee Konitz. Conversazioni sull’arte dell’improvvisatore (XXVII-327 pagine, 20,00 euro) che Andy Hamilton, professore di filosofia e insegnante di Storia ed estetica del Jazz all’Università di Durham, in Inghilterra, aveva pubblicato tre anni fa. Costruito sotto forma di intervista, questo volume rivela un musicista che tutti nel mondo del jazz conoscono e amano da decenni, da quando cioè, nel 1948, ventunenne, aveva partecipato alle prime famose registrazioni al Royal Roost di New York con il gruppo di Miles Davis e alle successive incisioni con il pianista Lennie Tristano, fra cui Intuition, jazz libero ante lettera. Nella bibliografica jazzistica rari sono i libri dedicati alle interviste con un solo musicista. Ricordo, e lo cita anche Andy Hamilton, Time Will Tell. Conversation with Paul Bley, ma Konitz, a differenza del più giovane collega canadese, riesce a mantenere costante l’interesse del lettore. Perché Lee, e chi lo conosce personalmente lo sa, è un uo-

M

di Adriano Mazzoletti mo dotato di gran senso dell’umorismo, molto determinato nelle sue opinioni, ma anche riflessivo e pronto a discutere con sincerità di se stesso, della sua musica e di figure importanti della storia del jazz quali il suo maestro Lennie Tristano del quale dice: «Lennie aveva una personalità talmente forte che cominciava a configurarsi come una figura paterna. Per questa ragione alla fine mi sono dovuto allontanare». Mentre su Charlie Parker e Miles Davis: «Era più facile identificarsi con un italo-americano bianco, Lennie Tristano, che con un afro-americano nero. Anche se Davis fosse generoso d ospitale e Charlie Parker sia sempre stato gentile con me, non riuscii mai a sentirmi a mio agio in quell’area». Ebreo, nato a Chicago da padre austriaco e madre russa, a differenza di altri ebrei ashkenaziti «come Shorty Rogers e Steve Lacy, non ho mai voluto cambiare cognome e non ho mai nascosto, come invece ha sempre fatto Steve Lacy, le mie origini ebraiche». La parte più importante del libro, che si avvale della perfetta traduzione di Francesco Martinelli, è quella sulla contrapposizione fra improvvisazione intuitiva e quella simulata o preparata, oggetto, anni fa, di uno approfondito studio del critico e musicologo oltre che musicista André Hodeir. Ma anche sulle esigenze della musica di gruppo, sulla necessità dell’intonazione e

sull’analisi delle più importanti opere incisi dallo stesso Konitz nel corso degli oltre sessant’anni della sua lunga e importante carriera. Il libro contiene altre interviste, circa quaranta, con musicisti con i quali Konitz ha incrociato la propria esistenza di musicista e non solo: Sonny Rollins, Wayne Shorter, Gunther Schuller, Ornette Coleman. Per chi invece volesse oltre che leggere anche ascoltare, suggerisco due dischi registrati nel corso di altrettanti concerti. Il primo nel 1958, il secondo nel 1990. La pubblicazione di registrazioni dal vivo è sempre stata nel jazz di grande importanza. Non si saprebbe nulla sulle origini del bop se Jerry Newman non si fosse recato, munito di registratore, alla Minton’s Playhouse di New York per registrare gli «esperimenti» di Thelonious Monk, Charlie Christian, Don Byas, Kenny Clarke. I due concerti che vengono pubblicati per la prima volta, sono quelli di Art Blakey con i Jazz Messengers (Solar Records), con una delle formazioni più esaltanti di quel celebre complesso, Lee Morgan, Benny Golson, Bobby Timmons e Jimie Merritt. Il concerto che ebbe luogo allaVolkshaus di Zurigo il 4 dicembre 1958, comprende undici brani fra cui due splendide versioni di Moanin e I Remember Clifford. Il secondo, più recente, risale al 24 aprile 1990 al Teatro Muncipale Valli a Reggio Emilia, con il rinnovato Quartetto di Ornette Coleman (Domino Records) Don Cherry, Charlie Haden e Billy Higgins, la stessa formazione con cui Coleman aveva realizzato nel 1959 il celebre The Shape of Jazz to Come. Due eventi importanti che possono essere nuovamente riascoltati da coloro che erano presenti in quelle occasioni e ascoltati, finalmente, da tutti gli altri.


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Odiati e temuti, hanno il compito di spezzare come un'ascia il mare ghiacciato che è dentro di noi. Ecco perché i libri solo l’unico antidoto ai tempi di crisi, la vera, legittima difesa che possiamo rivendicare per salvarci dalle aggressioni a cui siamo sottoposti. Da Simenon a Cunningham, da Calasso a Eco, da Nabokov a Citati alla Highsmith, breve viaggio nelle letterature da regalar(ci)

il paginone

LEGGERE il bene-rifugio

di Pier Mario Fasanotti on è per corteggiare la bontà natalizia, ma solo per cronaca che ci piace dare una buona notizia. La percentuale degli italiani che legge, secondo i dati Istat è del 46,8 per cento, due punti in più rispetto all’anno precedente. Certo, è un numero ancora molto basso, in Europa. Rimane sempre ovvia questa constatazione: a prendere in mano il libro sono soprattutto le donne. Secondo Ian McEwan «quando le donne smetteranno di leggere, il romanzo morirà». Gli uomini dicono sempre di «aver altro da fare». Risultato: ignoranza e limitata percezione per le sfumature. Ed ecco alcune frasi celebri a proposito della lettura. Woody Allen: «Leggo per legittima difesa». Harold Bloom: «Leggere bene è il più terapeutico dei piaceri». Ray Bradbury: «Capite ora perché i libri sono odiati e temuti? Perché rivelano i pori sulla faccia della vita. La gente comoda vuole soltanto facce di luna piena, di cera, senza pori, senza peli, inespressive». Franz Kafka: «Il libro deve essere l’ascia che spezza il mare ghiacciato che è dentro di noi». Queste diverse verità sono elencate nel libro di Patrizia Traverso, Preferisco leggere (Tea editore, 160 pagine, 12,00 euro). L’avvicinarsi del Natale coincide con l’acquisto di libri. Potrebbe essere fondamentale avere sullo scaffale il primo volume dell’Atlante della letteratura italiana - Dalle origini al Rinascimento a cura di Sergio Luzzatto e Gabriele Pedullà edito da Einaudi (885 pagine, 85,00 euro). Le mappe servono. A parte questa, ora do altre indicazio-

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anno III - numero 46 - pagina VIII

ni. Sono arbitrarie: sia perché lo spazio tipografico non è un elastico, sia perché ogni recensore ha le sue preferenze. **** Scandali - Per fortuna si sta riscoprendo un autore inglese che può essere affiancato a Dickens e a Thackeray: Anthony Trollope. La Sellerio ripropone il suo più ambizioso romanzo, La vita oggi (due volumi, 1182 pagine, 26,00 euro) dopo averci fatto conoscere la sua Autobiografia. Un genio vittoriano della scrittura, onnisciente, che si affida alla minuziosa costruzione dei personaggi. Tra questi spicca la figura losca e abietta (nel fisico e nel morale) di August Melmotte, boss della finanza e dei brutti traffici. Si muove in una società variegata come quella dipinta da Balzac. Ha fortuna poi cade, riuscendo però a intuire un barlume di dignità.

Tutto un mondo - Esempio della famosa atmosphére di Georges Simenon: «Probabilmente era autunno, perché il vetro della finestra priva di tende era leggermente appannato, e la luce giallastra del lampione a gas sul marciapiede di fronte, l’unica a rischiarare la stanza, pareva umida». Questa frase è nella prima pagina del Ragazzino di Rue Mouffetard, contenuto nel secondo volume delle opere complete di Simenon edito da Adelphi (Romanzi, 1832 pagine, 65,00 euro). Contiene romanzi

mirabili come Il presidente, L’orologiaio di Everton, Il treno, Le campane di Bicetre, La neve era sporca ma anche alcuni noir di Maigret. Produzione sterminata dietro un’esistenza vivace e dolorosa, tra fortune economiche, guai giudiziari, tragedie familiari.

Nulla è vero - Come sempre accade un romanzo di Umberto Eco va subito in testa alla classifica. Questo è il suo sesto e l’autore riprende temi già trattati, come la falsificazione, il complotto, le persecuzioni. Con Il cimitero di Praga (Bompiani, 518 pagine, 19,50 euro) Eco mischia in un grande frullatore, che a volte pare abbia disturbi elettrici, fatti noti e meno noti assieme a un personaggio inventato, il notaio sabaudo Simonini. Un pataccaro internazionale. La lente d’ingrandimento sosta sugli ebrei, sulla presunta loro cospirazione per avere il controllo del mondo (con riunione, appunto, al cimitero di Praga). L’intrico narrativo, che pare un prodotto centrifugato derivante da scaffali di libri letti, citati, allusi, non intende perdere per strada niente: né Garibaldi, né Ippolito Nievo, né Dreyfus, né stragi, né messe sataniche. Ne esce, come è nelle corde dell’autore, un romanzo che fa il verso al feuilleton ottocentesco. Come leggere Dumas, ma entrando e uscendo (questo più di rado) da continue ombre. Narrativamente è una pietanza pesante, con troppi ingredienti e senza un sapore di base. Che alcuni cat-

tolici e alcuni ebrei lo abbiano giudicato «negativo» è un fatto. Ma è anche un fatto che spesso il lettore prova vertigine e avverte la sensazione - questa sì veramente negativa di non capire nulla. A meno che Eco voglia proprio dimostrare che la Storia è un atroce e incomprensibile divertissement.

Stephen King disse che questa novel è una dei più penetranti testi sul lato oscuro dell’American dream. Stevens, malgrado il successo, si isolò dall’inizio degli anni Ottanta fino al 2007, quando fu data la notizia della sua morte. Ancora oggi si ignora la sua vera identità.

Relazioni umane - Storia di Ingrid, donna di 48 anni, impegnatissima nel lavoro. Una telefonata la informa che suo figlio ha aggredito un ragazzo di origini straniere ed è stato arrestato. Ingrid torna a Copenaghen e si chiede: perché le cose sono andate così? Il danese Jens Christian Grondahl ci porta per mano nella revisione di un’intera esistenza (in Quattro giorni di marzo, Marsilio, 381 pagine, 20,00 euro). La donna scava nel suo passato, delinea i modelli femminili (madre e entrambe nonna, perfide madri e cattive mogli), pone sotto accusa il proprio egocentrismo.

Instabilità - Va tutto bene a Peter, ricco mercante d’arte. Bella la casa, affascinante la moglie, affidabile la figlia. Però pensa che questo non può essere «tutto». Michael Cunningham in Al limite della notte (Bompiani, 286 pagine, 17,50 euro) ambienta i turbamenti del quarantenne a NewYork, «una delle più stramaledette perturbazioni che mai abbiano solcato la mobile superficie della terra». Peter sa di aver migliorato la sua vita, ma «certi giorni non riesce a scrollarsi di dosso la sensazione di aver sbagliato tutto». Cunninghan (autore di Le ore) mette a fuoco la mancanza: di una tensione, di un’aspirazione. L’elemento che sconvolge il quadro è l’arrivo del giovane cognato Ethan. Peter s’interroga sulla bellezza,sul desiderio, sull’amore.

Male assoluto - Scritto con uno pseudonimo, Shane Stevens, questo poderoso romanzo (Io ti troverò, Fazi, 800 pagine, 19,50 euro) narra di uno dei primi serial killer ed è un lucido e feroce affresco degli Usa tra gli anni Cinquanta e Settanta. Il protagonista Thomas viene internato a dieci anni in una clinica psichiatrica dopo aver ucciso la madre. Evade quindici anni dopo. Nel suo terribile percorso c’è lo sfaccettato ritratto della follia.

Anni ruggenti - Tutto ha inizio nel 1929 a Cannes. L’annoiata Claire è convinta di aver ucciso Stella, maestra di danza. Decide di scoprire la verità, la via maestra è leggere il diario dell’amica. La grande crisi del ’29 fa svoltare il mondo, crollano ricchezze e certezze, ma Claire, che vaga tra Marsiglia, Sanremo e Damasco fino alla Dallas dell’omicidio Kennedy, segue le tracce. Cinzia Tani, in Charleston (Mondadori, 359 pagine,


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19,50 euro) dipinge il dramma di una donna ma anche lo scenario storico pieno di conflitti che dureranno fino ai nostri giorni. Senza tralasciare atmosfere, abiti e personaggi celebri come Isadora Duncan e Lawrence d’Arabia.

Vecchia Russia - In questo libro Vladimir Nabokov (Parla, ricordo, Adelphi, 335 pagine, 23,00 euro) ci racconta della Russia della sua infanzia, quella «leggendaria», precedente alla Rivoluzione, così perfetta e felice (ai suoi occhi, ovviamente) da non poter evitare un dileguamento totale e istantaneo. Nabokov è maestro dei dettagli. Le sue sono miniature che nell’insieme formano un quadro complesso. Tutto è importante, anche il modellino di un vagone letto color quercia esposto nella vetrina di un’agenzia viaggi sulla Prospettiva Nevskij. Magie di un grande narratore. Psichiatra - Il berlinese Sebastian Fitzec con questo thriller (La terapia, Elliot, 251 pagine, 16,50 euro) ha venduto nella sola Germania oltre 600 mila copie. È la storia di uno psichiatra la cui esistenza viene sconvolta dalla sparizione della figlia dodicenne. La cerca ovunque. Finché nel suo studio si presenta una scrittrice per l’infanzia che dice di essere perseguitata dai suoi stessi personaggi. La verità è da trovare nei tunnel della schizofrenia? La promessa - Anni di vertigine nella Parigi inizio 1960. Un ragazzo di undici anni esce dal-

l’infanzia e si imbatte nelle emozione degli incontri. Guarda attentamente nel retro di un bistrot un gruppo di esuli che raccontano storie appassionanti. Sono profughi dell’Est, traditi dal comunismo ma ancora visionari. Jean-Michel Guenassia in Il club degli incorreggibili ottimisti (Salani, 700 pagine, 18,60 euro) racconta di questi sognatori, dei loro ideali così difficili da incastonare nell’epoca di Sartre, del della rock’n’roll, guerra fredda. Umiliati e cacciati, loro credono ancora.

Sogno e sapere Per comprendere il cammino della civiltà occorre esaminare ciò che successe nel Nord dell’India più di tremila anni fa, dove si sviluppò una civiltà molto evoluta che lasciò una grande quantità di testi e nessun monumento. Il regno dei Veda, che somigliava alla sfera onirica. Non era una civiltà materiale, ma una civiltà della mente. Poi tutto sparì, ci racconta Roberto Calasso in L’ardore (Adelphi, 560 pagine, 35,00 euro), inghiottito dall’ignoto. Ma quegli insegnamenti, a cominciare dalla coscienza e dalla consapevolezza del sé, non furono mai demoliti, anzi s’insinuarono in altre civiltà, come per esempio nell’induismo: «Il regno vedico - spiega l’autore - è un cuneo conficcato in mezzo ad altre grandi teocrazie». La coscienza dei Veda si fondava sul soma, una pianta inebriante. Se il greco Dioniso era un elemento scon-

volgente dentro un assetto certo, il «delirio» dei Veda era l’assetto stesso. Quella civiltà anteponeva la conoscenza alla potenza. Una continua riflessione sull’essere vivi e coscienti, e sulla consapevolezza che noi non siamo autosufficienti tanto è vero che per non morire dobbiamo respirare (loYoga è fondato su questo principio, infatti). Perché «ardore»? È l’indiano tapas, via via tradotto come «ascesi» e «mortificazione». In realtà «ardore» è vicino al tepor, è qualcosa che brucia. La cosa più prossima all’essere vivi.

Un bel tiro - Aneddoti, ricordi, storie brevi.Tutti attorno al gioco del calcio. Che diventa umanamente più interessante se raccontato da un poeta come Valerio Magrelli, in Addio al calcio (Einaudi, 17,00 euro). Ventidue giocatori e un pallone danno il via a discorsi e riti familiari, raduni, passioni, alterchi. Magrelli ci impresta gli occhiali. E allora ci accorgiamo del diverso passo dei calciatori africani, della loro particolare «maniera di caracollare» dietro la quale «c’è la tragedia di un continente intero: è come se si fossero allenati per secoli con le catene ai piedi. Ecco, ora le hanno tolte. Da qui, quell’andatura sghemba e selvaggia, quelle accelerazioni irresistibili». Poi un ragazzo in un pomeriggio d’estate: «Non allegro, ma assorto, pienamente consacrato al mio compito. Una buona approssimazione alla felicità».

Le scimmie di Ischia - Ottavo secolo a.C: i greci si muovono dall’isola Eubea e conoscono gran parte del Mediterraneo. L’Odissea, poetico libro di viaggi, fa indiretto riferimento a itinerari strabilianti, che Robin Lane Fox, in Eroi viaggiatori (Einaudi, 545 pagine, 35,00 euro) ricostruisce in modo affascinante e plausibile. Nell’Iliade Omero narra della dea Era che vola sul monte Olimpo seguendo una linea che somiglia a un movimento cerebrale: «Come si slancia la mente di un uomo dopo aver percorso molta terra pensa tra sé: “Fossi là, oppure là”, e fa molti progetti». Itinerari obliqui, misteriosi. Ma anche reali. I viaggi, a scovarne bene le tracce, ci furono, e molti. Anche a Ischia, che i greci, credendo agli etruschi, battezzarono Pithekoussa, isola delle scimmie. Le fonti confermano: una poesia greca del 200 a.C. narra che Zeus ingannava i suoi nemici relegandoli a Ischia con sembiante scimmiesco. Scettici gli zoologi sulla presenza di quegli animali. Può darsi che sia etruschi sia greci si fossero fatti una certa idea dei pacifici abitanti di Ischia: parevano ed comportarsi esprimersi come gli antenati dell’uomo. Il tramonto della luna - Di molti artisti si hanno ritratti. Leopardi si nascondeva, timidissimo. L’amico Antonio Ranieri ce lo descrive così: «Fu di statura mediocre, chinato ed esile, di colore bianco che volgeva al pallido, di testa grossa, di fronte quadra e larga, d’occhi cilestri e languidi, di naso profilato, di lineamenti delicatissimi, di pronunziazione modesta e alquanto fioca, e d’un sorriso ineffabile e quasi celeste». Fino a 24 anni non si mosse da Recanati. Eppure descrisse acutamente la società, come tanti Balzac. Ci spiega Pietro Citati, in Leopardi (Mondadori, 413 pagine, 22,00 euro) che Giacomo «preferì sempre lo sguardo indiretto… non amava immaginarsi dentro le case, ma guardare di fuori, di sotto in su». Con l’eccezione di Pisa, in tutte le città si sentì straniero. A Roma ebbe una sorta di trauma: abituato a vivere dentro di sé, la necessità di esporsi «ogni minuto all’aria del mondo» lo rese «stupido, inetto, morto internamente». Derideva gli intellettuali, quelli che paiono «andare in Paradiso in carrozza». Meglio parlare con le donne. A Napoli morì. Dopo aver individuato nella ginestra, pianta sulla schiena del Vesuvio in attesa d’essere travolta dalla lava, la sorte di se stesso e dell’umanità.

È la natura «inimica», indifferente. Osserva la ginestra, «lenta» e «odorata», «lo splendore delle illusioni finisce», la pianta è piegata nella sua morte.

Gatti e lumache - Patricia Highsmith si sentiva molto vicino a Dostoevskji, per gli effetti nefasti della fantasia e la morbosa attenzione al «doppio». C’è ancora qualcuno che ridicolmente la ingabbia nel genere giallo. Sbagliatissimo: fu narratrice e basta, e pure di alto livello. Eccentrica, mascolina e raffinata, portava tantissime lumache in una borsetta, persino ai cocktail-party. In casa teneva molti gatti. Diceva spesso di non avere motivi per essere infelice, eppure era depressa. Amici e amanti erano un «lubrificante». Si arrabbiò quando una giornalista la definì solitaria: «Io sono riservata». La biografia di Patricia, alcolista e geniale, di Andrew Wilson (Il talento di Miss Highsmith, Alet, 513 pagine, 19,00 euro) descrive inventive e tormenti di una donna che paragonava le nuove idee per i suoi romanzi a uccelli che scorgeva con la coda dell’occhio. Dai suoi taccuini: «Di notte, sola, appena sveglia io sono pazza… sono senza discrezione, giudizio, codice morale. Non c’è niente che non farei, omicidio, distruzione, pratiche sessuali abiette. Tuttavia leggerei anche la mia Bibbia… Sono turbata dalla sensazione di essere più persone». Come i suoi personaggi. Imperium - Dall’agreste Lazio all’intero mondo occidentale, fino a lambire quello orientale: ecco i movimenti della più grande potenza mondiale della storia. L’antica Roma unì e amalgamò all’interno di un’unica cultura (condivisa) milioni di persone, dal Mare del Nord al Marocco. Boris Johnson, in Il sogno di Roma (Garzanti, 280 pagine, 19,60 euro) descrive l’ascesi e la caduta dell’impero con l’aquila nello stemma (come gli Stati Uniti d’America oggi), insistendo sui dualismi. Da una parte Augusto, divi filius, dall’altra Gesù di Galilea, «unico» figlio di Dio. Augusto e Gesù, spiega l’autore, «erano destinati a istituire, o quantomeno a esprimere, due sistemi di valori antagonisti, che sarebbero convissuti per secoli, finché l’uno non fu sovrapposto all’altro». Così si capisce meglio la nostra Europa. L’altro dualismo riguarda la cultura: i romani furono sempre debitori dei greci. Quello romano era un impero bilingue. Quando un barbaro si rivolse a Claudio parlando sia in greco sia in latino, l’imperatore rispose: «Ah, vedo che vieni armato di entrambe le nostre lingue». Greci e romani molto affini anche nel tacciare di «grossolanità» i barbari, sia persiani sia celti.


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Pensiero

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a morte è tornata ancora un volta tra noi e noi dobbiamo pensarci, che lo vogliamo o no», scrive Dietrich Bonhoeffer in una lettera del 20 settembre 1939 ora raccolta, con altre lettere, sermoni, conferenze, documenti, nell’ultimo volume delle sue opere (Scritti scelti 1933-1945, a cura di Alberto Conci, edito da Queriniana, 915 pagine, 93,00 euro). Bonhoeffer è, con Simone Weil, Karl Barth e pochi altri, uno dei punti più alti del pensiero religioso del Novecento, capace di guardare con lo stesso penetrante acume all’eterno e al contingente.Vale la pena conoscerlo o, per chi già lo conosce, ricordarlo attraverso le pagine di questo ricchissimo volume. Un altro Bonhoeffer: il suo Viaggio in Italia (1924) (edito da Claudiana, a cura di Fulvio Ferrario e Manuel Kromer, con un ampio repertorio di lettere e fotografie, 104 pagine, 10,00 euro), che riporta alla luce un pensiero e uno sguardo in formazione. Dietrich ha diciotto anni, viaggia con il fratello Klaus, visita Roma, partecipa ai riti della Settimana Santa, a San Pietro e a Trinità dei Monti. Il Cattolicesimo romano gli è «estraneo» (diventerà pastore protestante sette anni dopo), ma «lo affascina», come osserva nella sua introduzione Fulvio Ferrario. Un altro grande classico del pensiero del Novecento: Hans Jonas, originalissimo studioso dello gnosticismo e ardito esploratore delle regioni più impervie dell’etica contemporanea (va ricordato almeno Il principio responsabilità di cui molto si è discusso). A cura di Emidio Spinelli l’editore Aragno pubblica ora un’ampia raccolta di «lezioni americane» inedite in Italia: Problemi di libertà (464 pagine, 35,00 euro), dove il tema della libertà è indagato nello spazio della sua genesi, tra i greci e Agostino d’Ippona. Ancora una sosta nel mondo greco per segnalare due libri assai diversi. Il primo è Apollineo e dionisiaco di Giorgio Colli (edito da Adelphi a cura di Enrico Colli, 269 pagine, 14,00 euro), che è stato, con Mazzino Montanari, il tenace curatore delle ope-

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Poesia

Abitare

il mondo nell’età del rischio Gli scritti di Bonhoeffer, la libertà secondo Hans Jonas, la Grecia riletta da Giorgio Colli e altre riflessioni “in interiore hominis” di Maurizio Ciampa

re di Friedrich Nietzsche e l’autore di un viaggio nella Sapienza greca, che appare, per ampiezza e profondità, come una mirabile impresa. Il libro raccoglie scritti stesi alla fine degli anni Trenta, punti critici di assoluto rilievo per attraversare l’orizzonte dell’«esperienza greca», ma anche l’intera parabola del pensiero occidentale. Sotto il segno dionisiaco è Bere vino puro. Immagini del simposio di Maria Luisa Catoni (pubblicato da Feltrinelli, 505 pagine, 39,00 euro). «Una ricerca magistrale» enfatizza il risvolto di copertina, ma è davvero così: in un semplice calice di vino il lungo sguardo di Maria Luisa Catoni arriva a leggere le modalità simboliche di un significativo tratto della cultura occidentale, dalla Grecia a Roma. Lasciamo le antiche radici per inoltrarci fra i nodi tesi della contemporaneità e i suoi laceranti interrogativi, che un libro come Straniero di Umberto Curi (pubblicato da Cortina, 174 pagine, 12,50 euro) sa raccogliere in tutte le sue problematiche stratificazioni, tornando inevitabilmente alla matrice greca, ma riportando poi alla luce lo «straniero che ci abita» e ci inquieta. Pensiero vivente di Roberto Esposito (edito da Einaudi, 265 pagine, 20,00 euro) guarda alla tradizione italiana e ai suoi sviluppi. Più di ogni altra cultura filosofica, quella italiana si trova esposta alle tensioni e ai conflitti dell’oggi. E questo, secondo Roberto Esposito, la rende capace di confrontarsi con le contraddizioni del tempo e di elaborarne le forme. L’edificazione di sé di Salvatore Natoli (edito da Laterza, 97 pagine, 10,00 euro) sembra orientato in una direzione del tutto diversa. Il libro di Natoli, come d’altra parte quello di Roberto Esposito, risponde alle pressioni del tempo storico, ma si sviluppa poi in interiore hominis. Può essere letto come un piccolo «manuale d’istruzioni sulla vita interiore» che cerca di articolare la difficile «pratica delle virtù» oggi. Come «abitare il mondo nell’età del rischio»? È l’interrogativo su cui Natoli porta la propria attenzione, e non solo a partire da questo libro. Il pensiero si misura con gli affanni e le angustie della vita di ognuno.

Quando Ungaretti traduceva Leopardi (in francese) Natale la recita della poesia resiste ancora nella tradizione tanto quanto l’albero, il presepe e i dolci tipici. In genere a tavola è il bimbo più piccolo ad alzarsi, tutto compreso nella parte, e a declamare cantilenanti versi imparati a scuola. Allora: perché non far trovare ai più grandi sotto l’albero un bel libro di poesia, tanto per restare, almeno in quel giorno, ancora un po’ bambini? Un classico può andar bene, soprattutto poi se questo assume le vesti di un audiolibro nei due cd di poesie scelte da Roberto Mussapi, La grande poesia del mondo (Salani, 15, 80 euro) e lette con svariata sapienza d’attore più che da poeta: Omero e Ovidio, Virgilio e il sommo Dante, Ariosto e Tasso, ma poi Shakespeare, Goethe, i romantici Shelley, Keats, Byron, i grandi Rilke e Yeats sono una parte di un più ampio repertorio qui messo alla portata di tutti. E tutte da leggere sono anche le Traduzioni poetiche (Mondadori, 65,00 euro) di Giuseppe Ungaretti, un elegante Meridiano che mette in luce l’indubbia qualità interpretativa del più sommo dei poeti del Novecento italiano, anche con le sue versioni in senso opposto: Leopardi in francese. Eleganza e contenuti che non mancano nei due più recenti Diamanti della Salerno Editrice: I fiori del male di Charles Baudelaire, curati da Davide Rondoni con tratto origi-

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di Francesco Napoli nale e grande vis critica, e le Poesie di Federico García Lorca, nell’attenta e raffinata edizione di Giovanni Caravaggi (22,00 euro), sono autentiche chicche per accendere ancora una volta l’amore per la poesia. Poesia che, diciamolo, ha un suo tratto gentile nella numerosa e valida schiera di poetesse che recano, sempre vivo, una ben nitida sapienza del cuore. Sarà l’appartenenza a un’area geografica caleidoscopica come il Medioriente siro-libanese, ma a riguardo consiglio vivamente, di Multimedia edizioni, il calore e la fermezza dei versi di Maram al-Masri (Ti guardo, 13,00 euro) o l’affilata e acuta penna di Etel Adnan (Nel cuore del cuore di un altro paese, 15,00 euro), in loro la poesia si colora dell’affascinante intreccio bellezza-sofferenza. La stessa che talvolta si ritrova in Alda Merini, un’icona ben sfruttata dall’editoria, con un suo cantare dall’ampia partitura che il cofanetto Il suono dell’ombra. Poesie e prose 1953-2009 curato da Ambrogio Borsani (Mondadori, 38,00 euro) ha saputo cogliere. E nei mille rivoli al femminile della poesia italiana due piccoli corsi d’acqua esili ma vivi nel loro scorrere come quello di Francesca

Galazzo (Paradisi sotto assedio, Albatros, 11,50 euro), emergente voce tra Nietzsche ed esistenzialismo, e Anna Buoninsegni (AnnAlfabeti, Unaluna edizioni), che restituisce in questa plaquette su carta di cotone e con miniature preziose la bellezza del libro-oggetto, confermando quanto di buono letto in Ad occhi aperti. Un occhio anche ai giovani, con due nomi: Alessandro Rivali (La caduta di Bisanzio, Jaca Book, 14,00 euro) e i suoi versi potentemente evocativi tessuti attorno al perenne tormento sul destino del mondo e Massimo Morasso (Viatico, Raffaelli, 15,00 euro) suadente, vivido e sfaccettato nel suo poetare. Prima di andare un po’fuori le righe, un libro della vecchia guardia, quella emersa a partire dagli anni Settanta: l’autoantologia di Gianni D’Elia (Trentennio, Einaudi, 16,50 euro), terso rispecchiamento di un’opera che ha man mano intrecciato, e sempre più intensamente, pubblico e privato. Fuori dal coro? La voce poetica di Lucrezia Lerro, ma non per i suoi versi bensì per la poesia insita nel suo ultimo romanzo (La bambina che disegnava cuori, Bompiani, 16,50 euro) dove piccole cose, gesti e sentimenti quotidiani fanno eco al silenzio di un dramma in agguato. E due indicazioni telegrafiche: Walter Benjamin (Sonetti e poesie sparse, Einaudi, 15,00 euro), il volto meno noto di un grande intellettuale del Novecento; Giovanni Costantini (Sacerdos in Aeternum, Ares, 15,00 euro) quantomeno per il mistico coraggio di scrivere «di fatto sei Tu Kyrios mio Sole,/ che mi hai trovato,/ per farmi Tua lucerna».


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di Francesco Lo Dico

orprese gradite e cadeaux appariscenti, luccichii intermittenti e trovate promozionali senza troppa sostanza. Le feste natalizie imbandiscono piatti di ogni sorta, e in campo editoriale non è facile distinguere un buon colpo da un buco nell’acqua. Utile, per tutto l’anno e gli altri a venire, è di certo la collezione di scritti che Alberto Moravia ha dedicato al cinema: Recensioni e interventi 1933-1990 (Bompiani 1624 pagine, 34,00 euro). Da Ossessione di Luchino Visconti a La voce della luna di Federico Fellini, la penna aguzza di Moravia si fa largo nella storia gloriosa del nostro cinematografo, alla luce di scritti polemici percorsi da un impareggiabile aplomb letterario. Feste per cinefili, ma anche per giovani aficionados di Toy Story & company. I pargoletti più esigenti potranno rifarsi gli occhi con Storia della Disney (Odoya, 319 pagine, 17,00 euro) e Pixarpedia. La guida completa al mondo Pixar (Walt Dinsey, 375 paggine, 29,90 euro). Un paio di biglietti all inclusive con destinazione fantasia. Chi ne fosse a corto, ma dispone di qualche serata da passare al calduccio, potrà trovare invece in Che cosa guardo stasera? Dvd per tutte le occasioni (Il Castoro 189 pagine, 15,00 euro) un fido consigliori capace di scandagliare come nessuno nei vostri umori. Diviso in simpatici capitoli rispondenti ad altrettanti stati d’animo, il prontuario del cinema si propone di soddisfare le attese a medio termine di ciascuno: andare a letto soddisfatti, e con un pizzico d’incanto a insaporire il tutto. A proposito di bestie più o meno docili che dimorano in noi, si presta a perfezione il collage di saggi critici che Alberto Morsiani e Serena Augusti hanno composto in onore dei personaggi cesellati da Cristina Comencini in film quasi sempre notevoli: La commedia del cuore (Il Castoro, 110 pagine, 16,00 euro). E a un altro grande protagonista del set contemporaneo è dedicato My name is Virzì di Alessio Accordo e Gabriele Acerbo (Le Mani, 334 pagine, 16,00 euro).

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Per chi vuole fare scalo sull’altra sponda dell’Atlantico, c’è invece Non è un paese per vecchi di Marco Duse (L’Epos, 126 pagine, 14,30 euro), attenta rivisitazione del cinema dei fratelli Coen, sminuzzato a dovere tra preziosi rimandi letterari e studio degli stilemi affabulatori adoperati dai registi di Fargo. Dal cinema da leggere, al cinema tout court, il passo è breve, anche se la lista d’imbarco al gate natalizio è così ingombra che ri-

Aerobici… ma non troppo

Pronti a illuminarsi di nuove proposte i led delle console, con la fitness fai-da-te ma anche con la Roma dei Borgia. Poi c’è il cinema da leggere e da vedere nell’intimità domestica delle feste, dai segreti della Pixar a quelli di Orson Welles

schia di farci fare qualche scivolone. A naso, non ci verrà in mente di chiedere il rimborso per alcune collezioni d’autore firmate Dolmen Video: dall’opera omnia di Laurent Cantet, ai classici di Ingmar Bergman, passando per un raffinato pout porri di Erich Von Stroheim, il vero pionere del cinema hollywoodiano. Opere da centellinare, e riservare per circostanze propizie. Ma c’è anche il cinema one shot: uno, benedetto e subito. Non sbaglierete nell’acquisto di Bright star, film di Jane Champion che ripercorre la tormentata love story tra John Keats e Funny Brown.

Decisamente meno ottocentesco, My Son, My Son, What Have Ye Done di Werner Herzog, storia di un delitto che annoda le spire del palcoscenico a quello della vita stessa: come affidare Pirandello alla psicosi visionaria di un David Lynch.

Se pensate che il nepotismo non vada combattuto sempre e comunque, date un’occhiata alla giovane rampolla di Francis Ford Coppola, che in Somewhere imbastisce una splendida parabola del transfert paterno. Sappiamo però che avete figli e che non è troppo gradevole prospettare loro serate all’insegna della Psicopatologia freudiana. Largo allora a Sansone, gigantesco alano dai modi poco eleganti e dalla simpatia debordante. Nel cast Owen Wilson, incoronato attore canino ad honorem dopo la commovente performance di Io & Marley. E da copione, molte gag azzeccate e pasticci in quantità. Ad allietare i pargoli, ma soprattutto i genitori bisognosi di un paio d’ore d’ossigeno, arriva poi l’ultimo capitolo di Shrek: 120 minuti ipnotici, quanto basta per una canasta senza troppi mugugni. Si procede poi con Me & Orson Welles, nuova avventura visiva che porta la griffe di Richard Linklater (Waking life e A scanner darkly consigliati a chi vuole prepararsi psicologicamente a un cinema semplicemente sublime). Più tradizionale, ma

molto appagante, Il solista di Joe Wright: un duo affiatatissimo (Robert Downey Jr e Jamie Foxx), buoni sentimenti e inconfondibile impronta da cinema classico, da Frank Capra a Una poltrona per due). Non innovativo, ma ricco di freschezza, City Island di Raymond De Felitta. Non è I Tenenbaum, ma la polpa a base di equivoci e segreti familiari si gusta con piacere. Di lettura un po’più complessa, sono Inception, thriller onirico di Cristopher Nolan che se non è un capolavoro ci somiglia parecchio e The Box di Richard Kelly, il più promettente dei figlioletti terribili di David Lynch (Donnie Darko per chi vuole rinfrescarsi la memoria). Sotto Natale, non può mancare una scontata ed amabile commedia romantica: il perfetto identikit di Amore a mille miglia. E non manca poi l’ultima creatura partorita dalle parti di Narnia, Pandorum -L’universo parallelo di Christian Alvart.

Più delle luminarie, splenderanno in tutte le case i led irresistibili delle console. I videogame sono come i suoceri: se non riuscite ad amarli sopportateli. E scegliete quelli che abbiano un vago sapore didattico. O uno sprizzo di dinamismo come nel caso di Just Dance 2 per Nintendo Wii. Prodotto da Ubisoft, addestra grandi e piccini all’arte del ballo. Coreografie divertenti e godimento assicurato. A patto che abitiate al piano terra, s’intende. Decisamente movimentato anche EA Sports Active 2 che approda anche su PS3 e Xbox 360, dove supporterà il Kinect. Tre sensori da posizionare sul proprio corpo, una fascia elastica per gli esercizi e una chiavetta Usb: quanto basta per trasformare la propria console in un’inflessibile sergente di ferro pronto a tutto pur di farci smaltire l’adipe in eccesso. Più votato ai piaceri dell’anaerobico, Divinity 2, gioco di ruolo che ci porterà in mezzo a orde di dragoni famelici nei panni di un cavaliere coraggioso. Adrenalina a tutto gas nel quinto capitolo di Gran Turismo, nessuna novità di rilievo ma tanta tradizione al servizio dei driver più spericolati del mondo virtuale. Per gli amanti di lacrime e sangue ai tempi della Roma cinquecentesca, c’è poi l’ipnotico nuovo episodio di Assassin’s Creed, Brotherhood. Ezio Auditore prosegue l’acerrima battaglia contro la famiglia Borgia in un appassionante andirivieni tra storia, azione e colpi di scena hollywoodiani. Non è fededegno come un sussidiario ma può suscitare nei più piccoli impreinteressi vedibili culturali. A questo punto auguri. Speriamo di avervi conciato per le feste.


strenne Arte Michelangelo scultore e Warhol visto da Danto

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e dobbiamo partire, partiamo dal più simpatico, il volume illustrato di Abscondita (255 pagine, 35,00 euro) Gli artisti della mia vita, di Brassai, il fotografo transilvano, piombato a Parigi come un delizioso vampiro e che qui non si limita a fotografare ateliers e vezzi tragici degli amici-artisti (disordine, povertà, depressione) ma li racconta pure in fulminanti cammei narrativi: da Giacometti a Maillol, da Picasso a Matisse, da Le Corbusier a Dalì. Ma è avvincente, anche se documentatissimo e brillantemente dotto, il Souvenir di Antonio Pinelli (Laterza, 137 pagine, 20,00 euro): L’industria dell’antico e il Gran Tour a Roma, che racconta il formarsi d’un gusto d’esportazione, il mito di Roma quale fulcro di turismo colto, portandosi ogni volta via (che tu sia il Re di Svezia o un anglorampollo capriccioso) una pietruzza del cuore: che può esser firmata da Piranesi, Thomas Jones o dall’anonimo virtuoso di micro-mosaico. È in quei frangenti che nasce un’altra moda, quella dell’Orientalismo e le arti, sempre nel pieno del Settecento, tra Rococò e Neoclassicismo, incarnandosi nella delizia della chinoiserie d’appartamento. Un modo alternativo d’abitare, che si proietterà nell’Ottocento esotico alla Pierre Loti. Due esperti gli autori, Emanuelle Gaillard e Marc Walter, sontuoso apparato fotografico (Electa, 239 pagine, 59,00 euro).

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Per quanto riguarda l’architettura (ma l’offerta è ricca e nell’articolo della pagina accanto viene ulteriormente scandagliata da Marzia Marandola), sempre l’Electa propone un prezioso volume di approfondimento ma pure divulgativo, sulla nascita dell’architettura italiana, a partire dalla romanità di Costantino, via arte bizantina (Ravenna, Aquileia, Venezia) sino a Carlo Magno: Alle soglie del Romanico, le origini dell’arte cristiana, nella lettura di specialisti coordinati da Sible de Blaauw (225+ 417 pagine, 130,00 euro). Una peripezia dell’intelligenza analitica, La colonna danzante di Joseph Rykwert, sull’«ordine in architettura», che svaria dall’«eroe come colonna», alle «maschere, le corna, gli occhi» (Scheiwiller, 429 pagine, 45,00 euro). Una vera sorpresa la raccolta Aragno degli Scritti di Architettura di Alfonso Gatto (232 pagine, 20,00 euro) conosciuto e troppo dimenticato grande poeta atipico, «er-

di Marco Vallora metico ma attecchito al paese di Campanella», lo intuì il Macrì, già noto quale esperto di arte e gallerista di vaglio. Ma qui sorprende la sua competenza in materia urbanistico-architettonica, nel clima fecondo di Casabella, accanto ai maestri del Razionalismo, Persico, Rogers. Sempre Aragno, ha avuto l’accortezza, grazie al tandem già sperimentato di Gianni Contessi e Miriam Panzeri, di arare l’inesauribile serbatoio degli scritti sparsi di Paolo Fossati, «critico scontroso», in un denso volume (649 pagine, 40,00 euro) dal provocatorio titolo longhiano di Officina torinese. Che rastrella e tesaurizza la sua attività

alle pirotecniche lezioni del non-maestro e sciamano veneto, con la sua cadenza lagunare, mentre schizza su (per fortuna conservate) lavagne, alla Beuys, il suo visionario vitalismo grafico. Per la scultura, si conclude felicemente il marmoreo viaggio illustrato entro la collezione Farnese, che oggi ha trovato sontuoso spazio al Museo Archeologico di Napoli. Questo terzo pannello, su Le Sculture delle Terme di Caracalla (Electa, 414 pagine, 75,00 euro) giunge all’acme del suo orgasmo petroso, con il mastodontico Toro Farnese e il confratello Gladiatore. Cristina Acidini Luchinat ritorna, in elegante edizione economica (316

Da leggere e da sfogliare. A partire dagli artisti prediletti dal fotografo Brassai per finire nelle Ande precolombiane e nell’incanto buddista. Ma ci sono anche gli scatti di Mulas e un Dizionario che da “Abbozzo” a “Wunderkammer” ci guida in un mondo tutto da scoprire

pagine, 28,00 euro) e grazie alle chiaroscurate fotografie di Amendola dentro le pieghe e i tormenti sospesi di Michelangelo sculptor. Un felice «macigno» di potenza pietrificata, lo spagnolo basco Eduardo Chillida, che si rivela qui ottimo pensatore aforismatico: «La persistenza dell’instabilità non è l’unica cosa stabile?». E si dissigilla in alcune fiere conversazioni (Christian Marinotti, 220 pagine, 22,00 euro). Per capire che cosa sta succedendo nel confuso mondo dell’arte a noi contigua, ...dontstopdontstop... di un critico alla moda, Hans Ulrich Obrist, intervistatore planetario (Postmedia.book, 152 pagine, 19,00 euro), e Arte-mondo a cura di Emanuela De Cecco, «storia dell’arte, storie nell’arte» (stesso editore, 199 pagine, 19,00 euro). Come cambia l’arte dominata dai media. Utile pure, anche visivamente, il ricco volume Skira, su Tendenze della contemporaneità (432 pagine, 60,00 euro) curato da Valerio Terraroli, e suddiviso per artisti. In forma di vocabolario, ma con brio saggistico, sempre Skira (229 pagine, 34,00 euro) il Dizionario dei termini artistici, proposto da Flaminio Gualdoni: da Abbozzo a Wun-

di polemista-militante, di filologo imprestato alla critica per le pagine dell’Unità, nel momento della nascita della Gam e d’altre storiche gallerie: Galatea, Sperone, Martano, ecc. Intelligenza sulfurea, critica vera, un laboratorio a voce e cuore aperto. Sfogliando il lampeggiante volume A lezione con Carlo Scarpa, di Franca Semi, per Cicero editore (350 pagine, 48,00 euro) e grazie a un cd parlante, si ha davvero l’impressione d’esser tornati, soggiogati,

derkammer, compreso encausto, post-moderno, monocromo. Che è il tema d’un bellissimo volume italo spagnolo, Monocromo, edito da Valeria Varas (329 pagine, 40,00 euro) incentrato intorno al magistero di Barbara Rose. Che, risalendo alle origini della rivolta anti-figurativa di Malevic, arriva sino a noi, in un momento di grande rischio d’accademia del vuoto negativo.

Per capire queste problematiche, alcuni volumi intorno al tardivo successo, presso di noi, di Arthur Danto, che studia l’enigma d’un’arte che non si distingue più dalla semplice realtà. Suo l’Andy Warhol, uscito da Einaudi (617 pagine, 18,50 euro): un testo ormai classico sull’«estetica della banalità». Utile, per conoscere la sua evoluzione critica, Arthur Danto. Un filosofo pop, di Tiziana Andina (Carocci, 137 pagine, 14,50 euro): intrigante biografia critica. Illuminante il saggio sul dopo Warhol e Oltre il brillo box (295 pagine, 26,50 euro) che ha un sottotitolo giustamente allarmante: «Il mondo dell’arte dopo la fine della storia». Altro grande studioso di estetica, Arnold Gehlen, esegeta dell’uomo come «essere che agisce», antologizzato in questo importante volume di Mimesis (480 pagine, 30,00 euro). Per la fotografia, Zanichelli (372 pagine, 37,50 euro) offre un concentrato saggio, di Walter Guadagnini, su Una storia della fotografia del XX e XXI secolo, con un taglio d’autore anche didattico. Elio Grazioli, per Bruno Mondadori (215 pagine, 19,00 euro) tenta un’esame critico del proteiforme genio di Ugo Mulas, «fotografo degli artisti», che Johhan & Levy (207 pagine, 55,00 euro) omaggia con un volume di inediti, legati alla mostra romana Vitalità del Negativo, repertorio epocale. Tra i più spettacolari, vero viaggio patinato in carta, Ande precolombiane, Forme e storia degli spazio sacri (Jaca Book, 325 pagine, 92,00 euro, splendenti foto-archeologiche) e Angkor di Maurice Glaize, con fotografie di Suzanne Held (Jaca Book, 376 pagine, 130,00 euro). Il fascino dell’incanto buddista, che la foresta voleva riprendersi e che trasformò Malraux in un cleptomane. Per chi vuole addentrarsi nell’estetica moderna del Giappone, un sottile interprete come Marcello Ghilardi indaga la Filosofia nei manga. Estetica ed immaginario, Mimesis, 171 pagine, 17,00 euro).


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di Marzia Marandola

lla fine di questo anno difficile per l’editoria, fortemente colpita dalla crisi economica, non mancano una serie di interessanti volumi di architettura, pubblicati in Italia e Oltralpe, che meritano di essere letti e regalati. Gli appassionati non possono rinunciare al piccolo ma prezioso volume su Giorgio Vasari (Electa, 80 pagine, 20,00 euro), firmato da Claudia Conforti, che ripercorre la vita e le opere del grande artista aretino con nuove scoperte sugli Uffizi, il complesso fiorentino che si snoda tra Palazzo Vecchio e l’Arno. Dal Rinascimento al Barocco: di grande interesse e impegno il lavoro di Andrew Hopkins e Arnold Alexander Witte, curatori della prima traduzione in inglese del fondamentale Alois Riegl, The Origins of Baroque Art in Rome (Getty Trust, 292 pagine, 50 dollari), che raccoglie le lezioni del grande storico dell’arte austriaco edite tra il 1898 e il 1902, introdotte dai saggi dei curatori e della brillante storica dell’architettura Alina Payne, di Harvard. In Spagna, si segnala l’impresa del talentoso Miguel Sobrino, Catedrales. Las biografias desconocidas de los grandes templos de espania (La esferas de los libros, 833 pagine, 50,00 euro): una straordinaria storia dell’architettura narrata

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Viaggi

Cattedrali di Spagna e le sfide di Nervi attraverso 25 cattedrali spagnole, illustrate da oltre 400 magnifici disegni. Per allargare lo sguardo fino al lontano oriente, Giappone. Tutela e conservazione di antiche tradizioni di Olimpia Niglio e Koji Kuwakino, (20,00 euro, italiano e giapponese, Editore Plus) guida in

un viaggio attraverso la cultura del Sol Levante, alla scoperta dei metodi di conservazione del patrimonio artistico e del paesaggio giapponese. L’architettura del Novecento trova una testimonianza interessante e inedita nella monografia Giovanni Rota 1899-

Itinerari d’autore in compagnia di Borges di Diana Del Monte a letteratura di viaggio è uno dei nuclei più numerosi ed eterogenei della grande famiglia dell’arte della scrittura. Per questo, un itinerario di strenne all’interno di questa cartografia immaginifica e stimolante non può che seguire le parole scritte da Marco Steiner nella prefazione a Corto Maltese. Mu la città perduta: «Perché limitarsi a scegliere sempre una sola strada per arrivare alla meta?». La matita di Hugo Pratt, dunque, è il varo del nostro vagabondaggio letterario, e non potrebbe essere altrimenti; l’avventura riservata a Corto Maltese nel romanzo grafico del 1988, infatti, è l’archetipo del viaggio: audace e allo stesso tempo malinconico, in cerca di una terra ignota e leggendaria. In volume cartonato, questa riedizione di pregio del 2010 è accompagnata da una galleria forografica di Marco D’Anna di soggetto etnografico; la storia, così arricchita di una dimensione del reale, riporta immediatamente alla mente del lettore i primi temerari viaggiatori, quelli, come Corto Maltese, che avevano la passione della scoperta come unica guida. Impossibile, a questo punto, non citare uno dei testi che hanno fatto la storia del genere: Eothen. Viaggio in Oriente (1844), l’opera prima dell’inglese Alexander William Kinglake riscoperta e rieditata quest’anno dalla Ibis; considerato dalla Cambridge History of English Literature il più bel racconto di viaggio scritto in lingua inglese, il libro

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è stato un faro per intellettuali quali Henry James, Graham Greene, Peter Fleming. Se il termine viaggio è sinonimo ideale di scoperta, la scoperta non può che essere multidimensionale; in Il romanzo di Costantinopoli. Guida letteraria alla Roma d’Oriente a cura di Silvia Ronchey e Tommaso Braccini, la capitale bizantina diventa un crocevia di itinerari geografici, storici e sentimentali; un’antologia che dà voce a centocinquanta testimoni tra poeti, viaggiatori, filosofi, esploratori, eruditi, pellegrini e avventurieri di ogni nazionalità ed epoca. Per tutti i viaggiatori contemporanei, invece, forse meno intraprendenti del medico francese François Bernier - autore di un altro classico riscoperto recentemente, Viaggio negli Stati del Gran Mogol (1891) - ma ugualmente interessati a evitare le piste battute dal turismo di massa, la Lonely Planet ha inaugurato una nuova serie di guide intitolata Itinerari d’autore.Tutte illustrate da affermati fumettisti, le guide propongono itinerari che aprono al turista-viaggiatore un nuovo punto di vista su quei luoghi la cui notorietà, a volte, fa dimenticare il piacere della scoperta; ai volumi dedicati a Roma, NewYork e Bruxelles si sono aggiunti, a novembre, quelli di Firenze e Marrakech. Un altro viaggio d’autore è senz’altro quello proposto dal giornalista Pino Cimò in Con Jorge Luis Borges per le strade di Buenos Aires; nato dall’assidua frequentazione del giornalista

con lo scrittore argentino all’inizio degli anni Settanta, il romanzo analizza, attraverso le poesie di Borges, l’amore profondo tra il poeta e la sua città in un momento di svolta per tutto l’amato Paese. Se il viaggio vuol dire anche e soprattutto abbattere le barriere invisibili di cui è fatto il pensiero quotidiano, non si può certo pensare di delineare un percorso sul tema senza dedicare qualche riga ai maestri indiscussi di questa pratica, i viaggiatori più importanti e intraprendenti, quelli di domani. Al loro cammino più impegnativo è dedicato l’e-book di Federico Monti, Il principe Orpak e la primavera dei colori nel quale il giovane protagonista intraprende un viaggio iniziatico per salvare la sua terra. Una struttura favolistica di stampo tradizionale data in sposa alla tecnologia per guidare i più piccoli, attraverso simboli e similitudini, verso l’avventura più difficile, crescere. Una nota particolare va senz’altro all’ultimo lavoro di Guillaume Duprat tradotto in italiano, Il libro delle terre immaginarie; Premio Andersen nel 2010, questo volume pieno di illustrazioni affascinanti e inaspettati pieghevoli - tutti disegnati da Dupret a partire dal lavoro di antropologi, storici delle scienze e delle religioni - spiega con ironia e intelligenza la conoscenza della terra e la sua rappresentazione da parte dell’umanità; da Talete alle popolazioni del Benin, dai Tartari agli Indù per un viaggio che seduce, da 0 a 99 anni.

1969 (Electa, 35,00 euro) di Roberto Dulio: dedicata a un architetto e ingegnere poco noto, quanto raffinato. Professionista vigevanese dalla metà degli anni Venti, Rota intraprende una originalissima attività nella città natale, dove realizza edifici industriali e residenze, per trasferirsi dopo la guerra in Ecuador e in Colombia. Dell’architetto friulano Gino Valle (19232003) il volume di Luka Skansi, Gino Valle. Deutsche Bank, (120 pagine, 35,00 euro, Italiano/Inglese), illustra con perizia l’edificio per uffici della Deutsche Bank a Milano. Un complesso austero, composto da più blocchi diversi su ogni fronte stradale, che nel quartiere della Bicocca assurge a segnale urbano di forte riconoscibilità. Restando in Friuli, Studio Avon. Architetture 1990-2010, a cura di Irene Giustina e Ferruccio Luppi (Marsilio, 116 pagine, 28,00 euro) è il volume dedicato ai più recenti lavori dello studio Avon, fondato da Gianni Avon e ora guidato dai figli Elena e Giulio.Tra le numerose opere la parrocchiale di Lusevera (1988-90), Udine, ricostruita a seguito del terremoto del 1976, presenta una originale soluzione architettonica con cemento a faccia vista all’esterno e muratura e legno all’interno. A Pier Luigi Nervi (1891-1979), il più grande ingegnere italiano del Novecento, quest’anno sono stati dedicati numerosi studi (Pier Luigi Nervi. Architettura come sfida, mostra al Maxxi a Roma dal 15 dicembre) tra cui le «lezioni americane» in La lezione di Pier Luigi Nervi, a cura di A. Trentin e T. Trombetti (Bruno Mondadori, 225 pagine, 20,00 euro) con premessa di Sergio Poretti e un interessante saggio di Micaela Antonucci. Infine un salto ai tropici con la competente guida di Marco Mulazzani che illustra l’originale lavoro di Palerm & Tabares De Nava. Architettura e paesaggio costruito (Electa, 170 pagine, 38,00 euro), uno dei maggiori studi delle isole Canarie. Tra le opere più significative dello studio il progetto di riqualificazione del Barranco de Santos (dal 2000 a oggi), un grande disegno urbano dove la città contemporanea, fatta di grandi assi stradali, viadotti e spazi pedonali convive in perfetta armonia con il rigoglioso paesaggio naturale.


Fantastorie

speciale

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strenne

La caduta degli eroi secondo

Tolkien di Gianfranco de Turris

nno di vacche magre per la narrativa dell’Immaginario questo 2010 ormai agli sgoccioli, nonostante ciò qualche consiglio lo si può dare lo stesso. Non sempre infatti i roboanti annunci degli editori a proposito di certi libri hanno corrisposto al vero valore. Gli uffici stampa fanno il loro mestiere per cercare di vendere il più possibile, e noi facciamo il nostro cercando di separare il grano dal loglio, in base ai nostri criteri e ai nostri gusti. Senza dubbio da segnalare subito è il nuovo Tolkien pubblicato da Bompiani che sta recuperando e presentando con apparato critico e traduzioni riviste o nuove quanto del professore oxoniense era stato già edito in Italia nei decenni passati, oltre che pubblicare le novità. Questa volta è il turno di Il ritorno di Beorhtnoth figlio di Beorthelm, un testo tradotto per la prima volta in Albero e foglia (Rusconi, 1976) e che si può avvicinare per intenti e scelte stilistiche a La leggenda di Sigurd e Gudrùn (Bompiani, 2009): nel 1945 Tolkien redasse in inglese moderno ma con la metrica antica la continuazione/conclusione di un breve poema anglosassone (qui ripubblicato), La battaglia di Meldon, che narrava un famoso scontro con i vichinghi. Con queimmagina sta battaglia, Tolkien per bocca dei due servitori che vanno alla ricerca del cadavere di Beorthelm, si conclude simbolicamente l’età eroica e romantica senza peraltro alcuna condanna nei confronti degli antichi eroi. Il testo ha una singolare storia: scritto anche per essere rappresentato a teatro, venne ripreso dalla Bbc suscitando le ire del suo autore, come ci fa sapere Humphrey Carpenter, in quanto gli attori non ne avevano seguito la metrica.Tolkien stesso ne fece una registrazione su nastro, almeno parziale.

A

Il volume è curato e introdotto da Wu Ming 4, al secolo Federico Guglielmi, che fa parte appunto del noto «collettivo» operante in precedenza con lo pseudonimo complessivo di Luther Blissett, i cui componenti per le opere singole si sono scelti un numero per identificarsi: Guglielmi con il romanzo Stella del mattino di due anni fa aveva già dimostrato interesse per questo ambito mettendo in campo gli scrittori degli Inklings. Però, affermare come fa la nota editoriale, che «l’epilogo narrativo da lui [Tolkien] im-

maginato, ribalta la prospettiva eroica, apre la strada all’elaborazione di quel diverso modello d’eroismo che troverà compimento nel Signore degli Anelli», mi pare alquanto azzardato. Infatti, quando nel 1945 Tolkien scrisse Il ritorno di Beorhtnoth la stesura del Signore degli Anelli aveva superato il Libro IV, cioè era a due terzi del cammino, avendo concluso Le due torri e accingendosi ad affrontare la terza e ultima parte, Il ritorno del re, che si sarebbe conclusa dopo varie pause nel 1949.Vale a dire che Tolkien era un po’troppo avanti con il suo capolavoro perché l’elaborazione del Ritorno di Beorhtnoth potesse «aver aperto la strada a quel diverso modello di eroismo ecc.». Casomai il contrario: il dolente senso del passaggio tra un’Era e un’altra e la fine del mito degli Elfi immortali con la supremazia degli Uomini mortali, potrebbe aver indotto Tolkien a trasferire questo sentimento anche nel suo seguito della originaria Battaglia di Meldon. Il ritorno di Beorhtnoth uscì poi su

Mervyn Peake di cui Adelphi ha finalmente tradotto il terzo e ultimo romanzo dedicato a Tito: Via da Gormenghast.

Letterariamente inferiore agli altri (l’autore morì senza poterlo rivedere) non lo è da meno invece dal punto di vista dell’impatto simbolico: Tito fugge dal suo castello e dopo una serie di peripezie nel mondo reale cerca di ritornarvi, ma all’ultimo momento non compie il passo decisivo e gli volta le spalle. Una metafora del passaggio dall’età infantile all’età adulta in un contesto simil-medievale che rende la trilogia uno dei capolavori del fantastico moderno. Sarebbe il caso che l’editore ripubblicasse commentati i tre romanzi negli «Adelphi». La fantascienza batte la fiacca, e si rivivifica grazie al poderoso tentativo non di un americano bensì di un tedesco, Frank Schaetzing, con un romanzo-monstre di oltre 1300 pagine edito dalla Nord. Un’opera quasi impossibile da riassumere per la molteplicità di intrecci e la miriade di personaggi,

Tra le uscite più appetibili, in un tempo di vacche magre per l’Immaginario, “Il ritorno di Beorhtnoth figlio di Beorthelm” dell’autore del “Signore degli anelli”. La fantascienza si ravviva nel romanzo-monstre di Schaetzing e riserva anche due sorprese italiane rivista nel 1953, mentre, com’è noto, i primi due volumi del Signore degli Anelli apparvero subito dopo nel 1954 e il terzo nel 1955. Sarebbe da aggiungere che se Bompiani volesse riprendere in mano un testo veramente fondamentale per la comprensione a fondo di Tolkien, invece di testi tutto sommato «minori», dovrebbe impegnarsi a ri-tradurre e ri-annotare il volume dell’epistolario, uno dei peggio tradotti del nostro professore. Ma è una iniziativa, questa, che non si può realizzare in fretta nello spazio di due o tre mesi, ma ha bisogno di una lunga e meticolosa preparazione… L’altro grande nome della letteratura fantastica da avvicinare a Tolkien, anche se assai meno conosciuto e prolifico di lui, è lo scrittore-illustratore

che racconta la storia della Terra e della Luna fra il 2025 e il 2029, dove scienza, spionaggio, intrighi internazionali e industriali potrebbero indicare una nuova via per la science fiction degli anni Duemila che sembra abbia perduto la presa sull’interesse dei lettori. Ma un’altra strada potrebbe essere quella squisitamente letteraria, sempre che sappia evitare la noia e l’autocompiacimento: è il caso di Chronic City (i soliti titoli in inglese!) di un autore del calibro di Johnatan Lethem edito da Il Saggiatore: un’occhiata a una metropoli del futuro per parlare di quella di oggi… Da segnalare anche due italiani, fra loro agli antipodi anche se parlano entrambi di catastrofi: L’amore al tempo dei treni perduti di

Paolo Aresi (Mursia) e Killzone di Alan D. Altieri (Tea): quanto il primo è ottimistico anche descrivendo una umanità disperata di un dopo catacliasma, tanto il secondo è cinico e pessimista nel raccontare le avventure del tiratore scelto Kane in un mondo su cui incombe l’apocalisse ipertecnologica. L’horror ha purtroppo subito una invasione di vampiri di tutti i tipi, indole, età, sesso, posizione sociale, quasi al limite del ridicolo. Soltanto L’Ordine della Spada di Virginia de Winter (Fazi) del ciclo Black Friars (ancora il vezzo inglese!) si distingue per una certa originalità: sembrerebbe un romanzo di cappa-e-spada del buon tempo antico e invece mette in campo proprio un vampiro che cerca di frenare il Caos (proprio un vampiro, poi…). Stessa missione ha anche un romanzo italiano assai ben scritto, Il diacono di Andrea G. Colombo (Gargoyle Books): qui è un esorcista che si pone come barriera al dilagare del Male nel mondo. Infine, due altri italiani con romanzi poco etichettabili: La sequenza mirabile (Mondadori) di Giulio Leoni che è una caccia al tesoro esoterica, fra storia, alchimia e matematica; e Il labirinto dei Sarra e La pazzia di Dio di Luigi De Pascalis (entrambi Edizioni La Lepre), terzo e secondo capitolo rispettivamente di una trilogia pubblicata alla rovescia (attendiamo ora il primo della serie): storia di una famiglia abruzzese che attraversa un secolo e mezzo di storia italiana intrecciando fatti reali con mito, folklore, esoterismno e la fuga degli dèi dal mondo. Per chiudere invece di un «genere», un editore o meglio una collana: «Fiabe e Storie» di Donzelli che si segnala per l’originalità e l’accuratezza delle scelte in nome del puro piacere della lettura. E così dopo la prima nuova traduzione del Conte di Montecristo di Dumas dopo 150 anni (sembra incredibile, ma è proprio così) e le divertenti Storie inedite del piccolo Nicolas di Goscinny e Sempé (una specie di Gian Burrasca francese), ecco alcuni titoli fantastici come la nuova traduzione di La tana del verme bianco di Bram Stoker sul versante orrorifico, e Storie proprio così di Kipling con 150 incisioni a colori di May Angeli sul versante fiabesco ed esotico. Tutti libri curati anche dal punto di vista grafico ed estetico perché oggi, nella sciatteria imperante, anche la vista vuole la sua parte.


o p i n i o n ic o m m e n t il e t t e r ep r o t e s t eg i u d i z ip r o p o s t es u g g e r i m e n t ib l o g

A.A.A. Autorità indipendente cercasi... il caso Consob IL POLO DELLA NAZIONE PER L’ITALIA, PER L’UNITÀ È questo il regalo di Natale più bello per tutti noi che abbiamo prima creduto e poi sperato che ciò avvenisse. Non è solo il nuovo polo laico, cristiano e moderato italiano, ma anche l’unica vera novità politica degli ultimi quindici anni, e gli italiani saranno chiamati a dare forza e anima per far crescere e tenere unito il Paese. Anche il presidente del Consiglio, uomo di “dialogo” ma con la pistola carica sul tavolo, dovrà confrontarsi con questa nuova realtà politica, che è nata grazie al coraggio di uomini liberi e forti come Casini, Fini e Rutelli, ma anche grazie al nostro presidente Ferdinando Adornato, che è stato il primo in Italia a dire no a Berlusconi sul predellino. Adornato è uscito da Forza Italia, perché ha capito in anticipo che quel partito non era la “realizzazione” della promessa rivoluzione liberale, bensì la fine e insieme l’inizio di un nuovo movimento personale, ancor più leaderistico, guidato da un solo uomo. Con i Circoli Liberal, la Rosa per l’Italia di Savino Pezzotta e l’Udc di Cesa e Casini, decidemmo di dar vita all’Unione di centro. Unico simbolo, baluardo di libertà e piccolo seme piantato, difeso e cresciuto fuori dall’orto berlusconiano, grazie al quale oggi il Polo della Nazione è possibile. Un sentito grazie va anche al lavoro di tanti uomini e tante donne, che - nel quotidiano e da prospettive diverse - hanno creduto e difeso dei valori, mai in vendita; combattuto per conservare politicamente e geograficamente un’Italia tutta intera; e non si sono mai arresi all’idea del “pensiero unico” in un Paese diviso. L’Italia così come ci è stata consegnata dai nostri padri, unita nel bene e nel male. Ecco perché dall’ Unione di centro si è passati… verso il Partito della Nazione, perché ciò ci chiedeva la maggioranza degli italiani: difendere l’Italia, la nazione il suo bene più prezioso, la sua unità, con uomini e partiti politici capaci di esaltare il valore del dialogo sereno e costruttivo, anche da posizioni distanti e differenti. Come diceva Adenauer: «Un partito deve esistere per il popolo, non per se stesso». Vincenzo Inverso S E G R E T A R I O NA Z I O N A L E CI R C O L I LI B E R A L

LE VERITÀ NASCOSTE

Le “Autorità indipendenti” (Banca d’Italia, Agcm - cioè l’Antitrust - Agcom, Consob, Isvap) hanno acquisito un potere sempre più significativo sia in termini di legislazione che di poteri sanzionatori. Chi controlla questi “controllori”? Di fatto nessuno. Si ritiene, in teoria giustamente, che sia un bene sottrarre questioni molto specifiche e delicate dalla sfera di competenza dei politici. Il problema è che il presupposto dell’indipendenza sta venendo sempre meno in maniera inversamente proporzionale al potere che viene delegato a queste autorità. Esse ormai sono guidate da una logica di sotto-potere politico. Un tempo le autorità si sforzavano quantomeno di apparire indipendenti, oggi non c’è più neppure questo “scrupolo”. Un esempio: il 18 novembre scorso il Consiglio dei ministri ha nominato Giuseppe Vegas a capo della Consob, l’Autorità che dovrebbe vigilare sulla trasparenza e correttezza degli operatori finanziari. Già il fatto che un viceministro dell’Economia passi da questa carica a quella di presidente della Consob non è il massimo, ma il fatto che il presidente nominato di una autorità così detta indipendente vada in Parlamento a votare la fiducia al governo ci sembra emblematico della decadenza del senso civico e istituzionale di questo Paese.

Alessandro Pedone

COSA ASPETTA ALEMANNO A BOCCIARE IL GP CAPITOLINO? Cemento al posto del verde, sperpero di soldi pubblici e adesso anche il no targato Ferrari. Ad Alemanno servono davvero altri elementi per rimettere nei box l’assurda ipotesi di un Gran premio a Roma? Le parole di Montezemolo sono state chiarissime: alla Ferrari non interessa avere una seconda gara in Italia. Va più che bene Monza, con il suo carico di storia e di spettacolarità. Il sindaco di Roma ha giurato che avrebbe fatto un passo indietro se avesse avuto prove che una gara all’Eur avrebbe danneggiato Monza: questa è una conferma. Dire che in un Paese non c’è spazio per due competizioni, significa che una delle due sarebbe di troppo. Alemanno è ancora in tempo per evitare figuracce: ammetta che il progetto di Flammini è bello, ma purtroppo non si può fare. Eviterà di deturpare il quartiere dell’Eur, di scatenare rivolte popolari, di sprecare inutilmente soldi pubblici e di mettere in crisi il patrimonio di Monza.

Sarah Ostinelli

A PROPOSITO DI DROGHE “LEGGERE” Ho purtroppo dovuto constatare, navigando su un social network, come siano ancora radicati pregiudizi e ignoranza relativi alle impropriamente denominate “droghe leggere”, ovvero le non-droghe: cannabis e

derivati. Secondo me bisogna legalizzare cannabis e derivati per togliere alla criminalità organizzata una buona fetta di “mercato” illegale. Ogni anno l’Unione europea destinava fior fior di danaro in favore degli innumerevoli utilizzi industriali della canapa indiana o cannabis: dai carburanti poco inquinanti passando al cordame sino ai saponi, la birra, le fibre sintetiche. Senza contare i molti malati di tumore che, anche in Italia, fanno uso di marijuana per alleviare le proprie sofferenze. I derivati della cannabis, ovvero marijuana ed hashish, non possono essere classificati “droghe” sotto un profilo medico-scientifico, in quanto non danno alcuna dipendenza fisica. Ad oggi, dopo la fallimentare legge proibizionista Jervolino-Vassalli e la legge Fini-Giovanardi, la situazione è ancora peggiorata con grande vantaggio per le organizzazioni criminali, che su queste (e altre) sostanze lucrano. Sarebbe ora, cari amici e compagni laici, repubblicali e liberali, di rilanciare un sano antiproibizionismo laico sulle non-droghe, che possa guardare alle civilissime Olanda e Spagna e Svizzera. Nessuno parla più di antiproibizionismo. Nemmeno sulla ricerca scientifica. Siamo tristemente un Paese medievale. Con pericolose tendenze al favoreggiamento del crimine organizzato. E ciò è veramente drammatico.

Luca Bagatin

L’IMMAGINE

SEGRETARIO

VINCENZO INVERSO NAZIONALE CIRCOLI LIBERAL

REGOLAMENTO E MODULO DI ADESIONE “…VERSO IL PARTITO DELLA NAZIONE” SU WWW.LIBERAL.IT E WWW.LIBERALFONDAZIONE.IT (LINK CIRCOLI LIBERAL)

ELKHART. Le capsule del tempo dovrebbero servire a tramandare la propria memoria ai posteri: si tratta, infatti, di contenitori ermetici destinati a contenere oggetti o informazioni da aprire in un’epoca futura. Ma se non ci si ricorda più dove sono messe, non sono molto efficaci. Ed è questo che sta avvenendo ad Elkhart, nell’Indiana, dove era in programma di aprire una capsula sepolta nel 1958, aggiungere gli oggetti del 2010 e ri-seppellirla fino al 2058. Solo che nessuno si ricorda dove sia stata seppellita quella del 1958: alcuni cittadini ritenevano fosse nel parco, ma in realtà lì è sepolta una capsula degli anni Settanta, realizzata per festeggiare il bi-centenario dell’indipendenza (il fenomeno delle capsule va molto di moda negli Stati Uniti). Altri sostengono che fosse all’incrocio di Main street e di High street, ma in questo caso sarà difficile recuperarla perché lì è stato costruito un nuovo palazzo. Altri ancora ritengono che la capsula del ’58 non esista proprio, dato che vi sono alcune contraddizioni nei documenti, e potrebbe quindi trattarsi di un errore in quelli dove è indicata, anziché di un’omissione in quelli in cui non è citata.

SOLIDARIETÀ AGLI OPERAI DELLA VINYLS Con temperature ben sotto lo zero e un vento gelido, passare la notte su di una torre e un ponte del Petrolchimico di Marghera deve essere un supplizio tremendo. Speriamo che il ministro per lo Sviluppo economico Paolo Romani apra prima possibile un tavolo di trattativa che sappia porre rimedio alla vicenda. È piuttosto amaro constatare come in questo Paese, per difendere il diritto al lavoro, sancito dalla Costituzione, e per fare in modo che la politica si interessi alle disgrazie dei lavoratori, si sia costretti ad atti così estremi. Si tratta di persone che da un anno vivono con meno di 900 euro al mese, e che a causa delle vicissitudini della loro azienda, che da giugno 2009 non incassa più un euro, hanno in forse gli stipendi di Natale. Il ministro Romani si sta interessando e pare aver dato garanzie almeno sulle retribuzioni e sulle tredicesime. Bisogna ora velocizzare le trattative tra Eni, titolare ultimo dell’impianto, e Gita, società svizzera che si è detta interessata ad acquistare, in modo che queste centinaia di famiglie abbiano garantite non solo la retribuzione natalizia, ma più in generale il futuro.

Carlo Cardona

GIOVEDÌ 23 DICEMBRE LIBERAL EDIZIONE SPECIALE Nascita del Polo della Nazione: presentazione Manifesto Politico con gli interventi di Casini, Fini, Rutelli e tutti i massimi dirigenti del nuovo Polo della Nazione AUGURI DI BUON NATALE E FELICE ANNO NUOVO

Alla ricerca della capsula del tempo

IL TRICOLORE DI UN’UNITÀ REGREDITA

E se fosse una clinica? Quando pensate a Las Vegas, che cosa vi viene in mente? Casinò, alberghi a cinque stelle, matrimoni? Quello che vedete è un famoso edificio della città del divertimento, ma non ha nulla a che fare con il gioco. Il Lou Ruvo Center for Brain Health è una clinica per la cura delle malattie neurodegenerative come l’Alzheimer progettata dal celebre architetto canadese Frank Gehry

La bandiera italiana, l’amato vessillo di un’unità regredita... a furia di metterla al centro di mille contese, adesso l’adoperiamo per troppe cose, vuote di significato. La issiamo persino sui cumuli della spazzatura (vedi Napoli), per dire che “questa è l’Italia”. La sventoliamo quando la maggioranza riesce a tenere anche se traballando. Ma quando il nostro vessillo sventola per effetto del vento delle regioni dell’Afghanistan dove i nostri ragazzi rischiano la vita per la pace è tutta un’altra cosa.

Gennaro Napoli


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grandangolo Per il primo ministro etiope, «è questione di pochi mesi»

Duemila anni dopo, torna la guerra per le acque del Nilo Egitto, Etiopia e Sudan si confrontano ancora (armi in pugno) per lo sfruttamento delle risorse del fiume,“padre” del Cairo. In ballo ci sono interessi economici legati alla pastorizia, al sistema dei trasporti e all’agricoltura: i pilastri su cui vennero fondati l’impero millenario dei Faraoni e la supremazia sui popoli di tutta l’Africa di Antonio Picasso lla fine di novembre, il primo ministro etiope, Meles Zenawi, ha dichiarato che la possibilità di una guerra con l’Egitto, per la ridistribuzione delle risorse idriche del Nilo, è sostanzialmente realistica. «In tal caso, non andrebbe scartata nemmeno una sconfitta per Il Cairo», ha aggiunto. In linea di massima le parole di Zenawi possono apparire come una provocazione gratuita e a ciel sereno, da parte di un governo di Addis Abeba, alla ricerca di visibilità sul piano internazionale. L’Etiopia è ambiziosa di crearsi un’immagine di potenza regionale. Al tempo stesso però, versa in una disastrosa difficoltà economica. Oltre che politica, per la crisi somala che la fiacca sul lato orientale. Per questo motivo, avrebbe deciso di sollevare dal nulla un vento di guerra che, sulla carta, parrebbe incomprensibile. Sottovalutando ulteriormente la questione, ci si potrebbe affidare all’atteggiamento del governo egiziano. Questo, sebbene direttamente minacciato, ha deciso di minimizzare il problema, facendo passare sotto silenzio la sfida del leader etiope. Il governo Mubarak ha lasciato correre come se non fosse stata un suo problema. Osservando meglio il fatto, tuttavia, ci si rende conto che l’entrata a gamba tesa di Zenawi chiude, in modo preoccupante, un anno di frizioni, che si sono consumate lungo i 6.600 chilometri del fiume più lungo del mondo. Lo zenit della vicenda è stato toccato lo scorso aprile,

A

quando sette delle dieci nazioni che fanno parte della Nile Basin Initiative (Nbi) hanno firmato un accordo per una nuova politica di sfruttamento delle acque del fiume. Nella loro totalità, i Paesi sono: Burundi, Egitto, Eritrea, Etiopia, Kenia, Repubblica democratica del Congo, Ruanda, Sudan, Tanzania e Uganda. Di questi coloro che non hanno aderito al nuovo accordo sono Egitto, Sudan ed Eritrea. I primi due in quanto contrari a qualsiasi cambiamento della situazione. Il governo di Asmara invece, ricoprendo una posizione di osservatore esterno nell’Nbi, non ha alcuna voce in capitolo

Il Sudan sta combattendo una battaglia tutta personale, con l’obiettivo di minare i patti egiziani e farli suoi nelle decisioni dell’organizzazione. Il nodo nilota chiama in causa un’area idrografica praticamente senza paragoni a livello mondiale. Il bacino del fiume si distribuisce su una superficie di oltre 3,2 milioni di chilometri quadrati e for-

nisce acqua a quasi la metà della popolazione africana. Si calcola che, mediamente, il 60% delle riserve idriche nazionali dei dieci Paesi in questione è recuperata dal Nilo e dai suoi affluenti. In un continente come l’Africa, il fiume più lungo del mondo rappresenta quindi una ricchezza inestimabile. Proprio per questo motivo, rischia di essere la sorgente di un ennesimo conflitto. O comunque di una tensione permanente.

Per comprendere il problema è necessario risalire agli ultimi decenni della storia coloniale. Nel 1929, un accordo fra il Regno Unito e l’Egitto, fresco di indipendenza, prescrisse che al governo del Cairo sarebbe stato destinato l’80% delle risorse nilote. Era appena finita la Grande guerra. Allora i Paesi che oggi compongono il complesso mosaico africano erano un sogno embrionale di chi parlava di emancipazione dall’Occidente. Sudan e Kenia erano assoggettati al ,inistero delle Colonie dell’Impero britannico. L’Etiopia, di lì a cinque anni, sarebbe caduta sotto il controllo italiano. Come lo era già l’Eritrea. Il resto degli attuali membri dell’Nbi restavano frammentati fra le giurisdizione Londra, Parigi e Bruxelles. In questa condizione, il governo britannico fece una concessione all’Egitto con la speranza di riceverne un adeguato tornaconto. Lo sfruttamento esclusivo del Nilo da parte egiziana avrebbe permesso al ministero delle Colonie di Sua Maestà un consoli-

damento dei suoi interessi a Suez e nel resto del Paese. Le clausole del trattato vennero rispettate e mantenute in vigore anche dopo la seconda guerra mondiale. Anche quando al Cairo salì al potere Gamal Adbel Nasser. I due governi sfruttarono la debolezza degli Stati appena nati dalla decolonizzazione. Sicché rinnovarono l’accordo di trent’anni prima. Attualmente, grazie a quest’ultimo, gli 80 milioni di egiziani dispongono di 55 miliardi di metri cubi ogni anno. Sicuramente i progetti che da Nasser in poi sono stati realizzati per l’ottimizzazione dello sfruttamento di questa risorsa hanno contribuito sensibilmente a far sì che oggi il Nilo costituisca - come ai tempi delle piramidi - una ricchezza fondamentale per il Paese nordafricano. La diga di Assuan, in primis, è stata inaugurata nel 1970. Da allora, le inondazioni estive che colpivano il Basso Egitto non sono più un problema. Il lago artificiale che si è formato costituisce un’oasi fluviale larga dai 5 ai 20 chilometri. Essa produce energia elettrica per tutta la popolazione, va ad alimentare le metropoli del Cairo e di Alessandria e abbevera la fiorente agricoltura nazionale egiziana. L’Egitto, inoltre, vanta un diritto di veto su tutte le decisioni che potrebbero essere adottate in termini di modifica dello sfruttamento delle acque nilote all’interno dell’Nbi. In un certo senso quindi, parlare di Egitto significa parlare di Nilo. E viceversa. Naturale, quindi, il rifiuto delle autorità


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La proposta egiziana dopo gli scontri di un anno fa post-qualificazione mondiale

Mentre la diplomazia torna in campo: una partita di calcio per far pace con Algeri di Massimo Fazzi entre al Cairo si inizia a pensare come reagire all’assalto pan-africano alle acque del Nilo, la diplomazia egiziana cerca di salvare il salvabile e offre un ponte all’Algeria per ricucire i rapporti. Lo strumento, una volta di più, è il pallone: una “partita amichevole”tra la nazionale di calcio dell’Egitto e quella dell’Algeria per tentare una riconciliazione tra le due tifoserie, oltre che tra i due Paesi. A proporla è stato ieri il capo della Federazione calcistica egiziana, Samir Zaher, al suo omologo algerino Mohamed Rawrawa. Zaher ha anche invitato Rawrawa a partecipare al meeting della Federazione calcistica araba in programma al Cairo il 24 dicembre: «La sua presenza rafforzerebbe i rapporti tra le nostre due federazioni». Alla stampa algerina, tuttavia, Rawrawa ha dichiarato di aver subito pressioni per una riconciliazione con la sua controparte egiziana da parte delle federazioni calcistiche internazionali e asiatiche: «Vengo obbligato. Ma non dimenticherò mai chi ha umiliato il popolo algerino e il loro ambasciatore al Cairo. Bisogna riconciliarsi perché abbiamo in programma di incontrarci in diversi campionati». Il quotidiano algerino al-Shorouk, da parte sua, ha chiesto che l’Egitto si scusi formalmente con l’Algeria per la cattiva condotta di alcuni tifosi egiziani che un anno fa attaccarono l’ambasciata algerina al Cairo in seguito alla qualificazione dei “Verdi” ai Mondiali di calcio in Sudafrica. In risposta a questo attacco, i tifosi algerini attaccarono con pietre e coltelli quelli egiziani in Sudan. In quell’occasione il ministero degli Interni egiziano convocò l’ambasciatore algerino al Cairo per comunicargli il suo “profondo disappunto”.

M

cairote di rivedere i parametri dell’Nbi. Il Sudan, dal canto suo, sta combattendo una battaglia del tutto personale, con l’obiettivo di rubare le risorse nelle mani dell’Egitto e farle sue. Senza condividerle con nessuno però. Da qualche anno infatti, il governo di Karthoum ha chiesto aiuto alla tecnologia cinese per l’edificazione di un sistema di dighe da posizionare fra la quinta e la settima cataratta. Omar al-Bashir e i suoi ministri si sono affidati a Pechino, facendo una scelta di settore, quanto politica. La

Nel 1929, un accordo fra il Regno Unito e l’Egitto stabilì che al Cairo toccasse l’80% delle risorse nilote competenza della Cina in ambito di dighe di vaste dimensione, è una certezza. Le monumentali barriere idriche del Fiume Giallo, dell’Azad Kashmir in Pakistan e in parte anche in Turchia sono tutte made in China.

Le intenzioni sudanesi, tuttavia, si sono orientate verso questa direzione anche perché spinte dalla necessità di ottenere un forte vantaggio dalla presenza di altre industrie cinesi presenti nel Paese. La Sinopec, in particolare, è la leader mondiale nell’estrazione di petrolio in Sudan. L’obiettivo del Sudan, fortemente sposato dalla Cina, è quello di creare un canale navigabile che congiunga il Nilo con Port Sudan, sul Mar Rosso. In questo modo, le grandi esportazioni di greggio verso l’Estremo oriente verrebbero effettuate fin da subito per via d’acqua. Quindi in tempi so-

stanzialmente brevi. Logico pensare, a questo punto, anche l’Etiopia pretenda ricavare qualcosa dal segmento di Nilo bianco che attraversa il suo territorio. Sicché, mentre l’Egitto si sente sicuro del suo trattato - benché vecchio di ottant’anni - e il Sudan gode dello sponsor cinese, Addis Abeba non può che sperare nella complicità degli altri Paesi dell’Nbi. Da qui l’accordo di aprile.Va ricordato che l’esclusione dell’Eritrea non nasce unicamente da impedimenti burocratici, ma anche dalla forte opposizione dell’Etiopia, che non ha mai riconosciuto ad Asmara la piena indipendenza. È altrettanto lecito, del resto, nutrire dubbi sull’affermazione del premier etiope. È vero che il tratto di fiume sotto la sua giurisdizione fornisce il 60% delle risorse ad Assuan. Ma, effettivamente, è immaginabile un conflitto aperto fra Etiopia ed Egitto? A ben guardare, l’accordo di aprile presenza debolezze strutturali non di poco conto. Kenia, Congo, Ruanda,Tanzania e Uganda possono definirsi interessati alla causa promossa dall’Etiopia solo in termini relativi. Il loro orientamento è verso il Sud Africa. Le risorse idriche a disposizione giungono dai laghi Tanganica e Vittoria e dal fiume Congo. Peraltro è da scartare a priori un’ipotesi di navigabilità del tratto di Nilo di loro competenza. In quell’area il corso d’acqua è soggetto a forti rapide. L’Eritrea, come si è visto è fuori da qualsiasi gioco. Egitto e Sudan, dal canto loro, possono sentirsi forti. Ciascuno per le ragioni qui indicate. Ma non è escluso che la comunità internazionale imponga loro la revisione degli accordi. Il Cairo soprattutto, piuttosto che cedere tanto e con la forza ai suoi partner africani, potrebbe essere costretto - magari dagli Usa - ad assecondare parzialmente le richieste di questi ultimi. Per quanto riguarda l’Etiopia, è plausibile che Zenawi abbia lanciato i suoi strali non tanto per spaventare Mubarak, bensì per stimolare l’interesse dell’Occidente sulla condizione precaria del suo Paese.

La scia di violenze che accompagnò il confronto calcistico tra i due team per la qualificazioni ai Mondiali 2010 portò a una vera frattura diplomatica tra Egitto e Algeria, alimentata anche dalla rete televisiva araba al-Jazeera, che con programmi ad hoc sulla rivalità tra i due Paesi fu accusata di “gettare benzina sul fuoco”. Notizie, poi smentite, di morti, scatenarono anche una vera e propria “caccia all’uomo”, con diversi

egiziani costretti ad abbandonare Algeri per timori di ritorsioni. Qui le sedi di compagnie egiziane furono devastate da folle inferocite, mentre a Parigi si verificò uno scontro tra immigrati egiziani e algerini nelle banlieus. In effetti, quasi una guerra con undici agenti di polizia e 24 civili feriti, 15 vetture distrutte e le vetrine di quattro magazzini in frantumi.

Migliaia di manifestanti si erano raccolti nella notte del 15 novembre – dopo la vittoria per 1 a 0 dell’Egitto sull’Algeria - invadendo le strade del quartiere nel tentativo di raggiungere l’ambasciata di Algeri e di protestare contro il governo di quel Paese per i tifosi feriti - una ventina in tutto - negli scontri con i supporter algerini dopo la partita in Sudan. La polizia è riuscita a tenere a circa mezzo chilometro di distanza la folla dall’ambasciata algerina, ma i manifestanti hanno sfogato la loro rabbia lanciando pietre e bottiglie. Gli incidenti sono durati per tutta la notte. Il giorno prima, dopo oltre una settimana di tensioni anche diplomatiche tra Egitto e Algeria che hanno accompagnato l’attesa dell’incontro di calcio per la qualificazione, il governo egiziano aveva deciso di ritirare il proprio ambasciatore ad Algeri. E se nel quartiere di Zamalek si contavano i danni, sulla stampa egiziana si leggevano parole di fuoco. Sul giornale filo-governativo Al Messa, il ministro per gli affari giuridici Mufid Shebab aveva detto che se l’Algeria avesse continuato in questa escalation di violenze, la reazione dell’Egitto sarebbe stata molto violenta. Alaa Mubarak, figlio del presidente, aveva aggiunto - parlando a vari giornali - che quanto accaduto ai danni degli egiziani in Sudan dopo il match vinto dall’Algeria è stato “terrorismo” e l’Egitto, aveva aggiunto, «ha sopportato abbastanza. Non è più il momento di parlare dell’Egitto come di una “grande sorella”degli altri popoli arabi, perchè questi legami di fratellanza vanno rispettati solo se anche gli altri lo fanno». Una volta di più, dunque, lo sport cerca di essere un ponte fra nazioni divise da odio razziale. Ma il rischio è che Algeri rifiuti.


mondo

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È in atto un cambiamento epocale negli equilibri di un’area strategica per l’intero Occidente, con nuovi protagonisti e alleanze

Grosso guaio a Teheran In campo i fedeli di Ahmadinejad e Khamenei che si scontrano per la supremazia regionale di Pierre Chiartano lotta di potere in Iran. Stanno cambiando gli equilibri mondiali, con un America più debole, una Cina emergente e una Turchia nuovo protagonista regionale. Era naturale che cominciassero a saltare i vecchi equilibri anche in Medioriente. Uno degli attori che più preoccupava il mondo arabo e non solo per il progetto nucleare, Teheran, è oggi preso in pieno da una lotta di potere tutta interna al regime. La guida suprema Alì Khamenei che già da tempo non si fidava più ciecamente del presidente Ahmadinejad ha cominciato a far uscire allo scoperto i suoi uomini. Sullo sfondo di un confronto culturale tra vecchio khomeinismo islamico, che sta perdendo appeal – soprattutto tra i giovani – e la ripresa della vecchia tradizione iranica, mai sopita, che oggi può diventare un utile strumento di Ahmadinejad per smarcarsi dall’ortodossia musulmana, in favore di un approccio più laico alla gestione dello Stato. «Gli iraniani sono molto fieri della loro identità persiana», scriveva, qualche settimana fa, Adel al Toraifi su Asharq Alawsat. Lo stesso Khomeini aveva più volte puntato sul nazionalismo persiano per compattare il Paese. Ad esempio durante la lunga guerra contro l’Iraq. Ahmadinejad sa di non poter contrastare questa forte radice culturale, tanto che recentemente ha parlato di Ciro come di un «imperatore del mondo». Un cambiamento di rotta che ha delle conseguenze non solo interne, ma soprattutto nei rap-

È

porti regionali ed internazionali. Per questa ragione il siluramento del vecchio ministro degli Esteri, Manuchehr Mottaki, avvenuto il 13 dicembre, va letto con attenzione. Giovedì, molti deputati iraniani si erano detti sorpresi della mossa del presidente e avevano manifestato il loro malcontento per le modalità – parecchio inusuale – con le quali il presidente aveva annunciato il giorno precedente la rimozione del ministro degli Esteri, Manuchehr Mottaki, proprio mentre questi era impegnato in una missione in Senegal. Il licenziamento ha colto

analisi della situazione iraniana, ha dato una certa interpretazione dell’accaduto. Iran press news e PyknetIran (pyk significa postino in farsi) , leggono la rimozione del capo delle feluche di Teheran come connessa ai giochi di potere che si sono scatenati tra Ahmadinejad e Khamenei.

Il presidente sta cercando di limitare la sfera d’influenza della guida suprema. I giornali paludati vicini al clero, come Keyhan, mette in evidenza la forte reazione dei parlamentari conservatori al siluramento di

Il recente siluramento del vecchio ministro degli Esteri, Manuchehr Mottaki, va inserito all’interno dello scontro di potere in atto tra presidenza della Repubblica e Guida suprema tutti di sorpresa. Per il direttore del quotidiano Keyhan, Hossein Shariatmadari, la rimozione «è chiaramente un insulto» e il provvedimento «non è giustificabile». Ma parliamo di voci vicino alla guida suprema come era lo stesso Mottaki. La stampa dell’opposizione laica all’estero, molto attenta alle

Mottaki. Sottilineando la vera ribellione degli uomini della guida suprema in Parlamento. Un segnale di come sia ormai avanti – a giochi quasi scoperti – la sfida all’interno dello Stato islamico. Chiaramente la parte d’informazione vicina al presidente minimizza l’episodio. Ricordiamo che Ahmadinejad non controlla direttamente molti giornali, perlopiù siti d’informazione online, come MashaNews che infatti non da alcuna colorazione politica al licenziamento in tronco del ministro, ma la descrive come una prassi normale: era da troppo tempo in carica. Che sia stato scelto come sostituto e facente funzione un personaggio come Ali

Akbar Salehi ha un po’ calmato gli animi. È considerato uomo molto vicino sia al presidente che all’ayatollah. Dopo aver studiato al Massachusetts Institute of Technology negli Stati Uniti, Salehi è rientrato in Iran, dove ha insegnato ed è stato dirigente dell’università Sharif di Teheran, la più prestigiosa della Repubblica islamica in campo scientifico.

È poi diventato ambasciatore dell’Iran presso l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), con sede a Vienna, dove ha avuto un ruolo di primo piano nelle trattative che portarono, nel 2003, alla temporanea sospensione delle attività di arricchimento dell’uranio. Ma proprio nel dicembre di

quell’anno l’allora ministro degli Esteri Kamal Kharrazi rimosse Salehi dall’incarico, provocando una clamorosa reazione pubblica di quest’ultimo, che accusò Kharrazi di «comportamento antidiplomatico». Nel luglio del 2009, nel pieno delle manifestazioni di piazza contro la contestata rielezione di Ahmadinejad alla presidenza, Salehi è stato nominato capo dell’Organizzazione per l’energia atomica, carica che comporta il grado di vice presidente. Un segnale anche nei confronti dei negoziatori internazionali che non può essere interpretato negativamente. «Non può essere considerato semplicemente un uomo di Ahmadinejad» spiega a liberal l’esperto di politica iraniana, Kurosh Farrokhi. «Siamo di fronte a una guerra non dichiarata» sottolinea lo studioso di Teheran, spiegando come sia nello stile mediorientale celare quanto più possibile i con-


mondo

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La Guida Suprema della Rivoluzione iraniana, Ali Khamenei, e il presidente del governo di Teheran Mahmoud Ahmadinejad. A destra membri del corpo scelto dei pasdaran, i guardiani dell’ortodossia islamica nel Paese. In basso il presidente turco, Recep Tayyp Erdogan. Nella pagina a fianco, l’ex ministro degli Esteri iraniano Mottaki, licenziato nei giorni scorsi ci dall’Iran sostengono che non potrebbero essere una cattiva notizia. Bisognerebbe chiederlo a Israele però, quanto sarebbe auspicabile il controllo totale del grilletto nucleare da parte dell’ingegner Mahmoud. Insomma, si cercherebbe, dietro le quinte, un dialogo con l’Occidente. Ahmadinejad deve affrontare un calo di consensi, non solo interno, ma in tutto il mondo arabo, dove la figura del premier turco Recip Erdogan l’ha soppiantato nei cuori dell’opinione pubblica musulmana. È un modello di “oppositore alla tracotanza d’Israele e occidentale” più credibile dell’abbaiare alla luna del pasdaran persiano.

trasti interni. Uno stile diffuso anche in Occidente, aggiungiamo. Le frizioni continueranno e porteranno a nuovi scontri. E proprio nel settore della politica estera, già qualche mese fa, Ahmadinejad aveva nominato i propri rappresentanti speciali. Quattro fedelissimi, tra cui il consuocero, responsabile del Medioriente, e gli altri competenti per le restanti aree geografiche. Una task force che risponderebbe solo al presidente. Di fatto, dunque, Mottaki era già stato “depotenziato”, se non proprio esautorato dai poteri. «Da mesi in Iran esiste una diplomazia parallela». Un cambiamento che punta a spostare le decisioni e l’indirizzo di politica estera

a favore della presidenza della Repubblica. Nei prossimi mesi l’agenda delle feluche sarà più influenzata dalla volontà di Ahmadinejad, piuttosto da quella di Khamenei.

Il presidente pasdaran farebbe suo anche il dossier nucleare. Cosa questo voglia dire è difficile da pronosticare. Ma molte vo-

Giovedì, l’ex ministro degli Esteri dell’era Rafsanjani, Ali Akbar Velayati, oggi uno dei consiglieri diplomatici più ascoltati della Guida suprema, è andato in Turchia. C’è stato un incontro a porte chiuse con Erdogan. E proprio in Libano, dove turchi e sauditi stanno lavorando alacremente per una stabilizzazione del Paese, che da tempo si intuivano i segnali di un cambiamento dei rapporti interni e internazionali di Teheran. Hezbollah, una volta acquisite responsabilità di governo, era sempre più a disagio nel subire i diktat di Teheran. Preso nella ricostruzione del Libano a sud del fiume Litani, non voleva sentire parlare di Terza Intifada o di nuove provocazione verso Gerusalemme. Nell’ultimo viaggio di Ahmadinejad a Beirut e poi sulla Blue Line (il confine provvisorio con Israele) è parso evidente la schermaglia a distanza con il premier turco. Una figura che ormai giganteggia politicamente ed economicamente in tutta la regione del Meshraq e del Magh-

reb che si affaccia sul Mediterraneo. Non è dunque difficile pensare che nel duello al vertice, Khamenei stia giocando la carta Cina e Turchia per metter in ulteriore difficoltà il presidente “traditore”. Una conferma del cambiamento di equilibri in Libano, viene dalla notizia lasciata filtrare dall’intelligence israeliana che il governo di Teheran avrebbe tagliato del 40 per cento gli aiuti al Partito di Dio di Nasrallah. Ad Ahmadinejad dunque non rimarrebbe che la carta di una nuova apertura internazionale, ma è ancora prematuro poter ipotizzare un indirizzo così “rivoluzionario” per il pasdaran ”provocatore”. Ma le guardie rivoluzionarie che sono una poten-

in Iran, come ci conferma Farrokhi. Le truppe militari ed economiche sono quindi entrate in campo al fianco dei loro padrini. Aspettiamoci dunque, nei prossimi mesi, che riprenda la moria improvvisa di ufficiali delle Guardie della Rivoluzione, magari decimate da incidenti aerei. Uno scenario complesso il cui esito è importante, non solo per il futuro dell’Iran, ma per tutto il Medioriente e che avrà conseguenze anche nel vicino Afghanistan. Ma che può essere meglio compreso attraverso la lente dello scontro di potere. Se gli uomini vicini al clero intensificano i rapporti con Ankara e Pechino, quelli del presidente tessono la tela dei rapporti internazionali con

Il cambiamento della politica estera del presidente “pasdaran” risente anche dell’ascesa politica del premier turco e del forte consenso che Erdogan riscuote presso l’opinione pubblica araba za militare ed economica, come partecipano allo scontro? Visto anche che sono divise al loro interno tra amici di Ahmadinejad e fedeli di Khamenei. È un oligopolio molto frammentato quello dei pasdaran, confermano gli esperti iraniani. Ognuno gestisce le proprie fondazioni economiche lecite o illecite, come quelle guardie che trafficano con la droga afghana sul mercato europeo. Ognuno ha delle personalità politiche di riferimento che sempre di più seguono l’indirizzo dell’interesse, piuttosto che quello delle categorie politiche. Fatte queste premesse, si può affermare che ci sia una divisione di massima tra partigiani del presidente e fedeli alla Guida suprema. Ma ci sono anche altre squadre in gioco, come quella del sindaco della capitale, Mohammad Bagher Qalibaf, oppure quella dell’ex candidato conservatore alle presidenziali, Mohsen Rezai. Con Rafsanjani che raccoglie le briciole, essendo l’elemento politico più debole oggi

Amman e Beirut. Il governo del presidente, in buona sostanza, si vorrebbe sganciare da Hezbollah e cominciare giocare politicamente con interlocutori laici come il premier Saad Hariri e Abdallah di Giordania. Con grave preoccupazione di Khamenei.

Visto che nel Sud del Libano Hezbollah non era più strumentalizzabile, si è deciso di cambiar cavallo. Vedremo nel prossimo futuro cosa porterà la nuova concorrenza tra Teheran ed Ankara. Verificheremo se il vento neo-ottomano spazzerà l’eredità di Ciro il Vecchio, una delle più grandi figure dell’antichità, temperata dal valore e l’intraprendenza in guerra, con la sapienza organizzativa e con un raro senso di tolleranza e di umanità. Lasciò un impero che si estendeva dal Caucaso all’Oceano Indiano, dal Mediterraneo all’Asia Centrale. Mahmoud, per il momento, ha un Paese in piena crisi economica e sempre più isolato.


quadrante

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Costa d’Avorio, è guerra civile

Rissa al Parlamento di Kiev : 5 feriti

ABIDJAN. Quello che era prevedibile è accaduto: dopo venti giorni di stallo istituzionale, la crisi in Costa d’Avorio degenera in violentissimi scontri e trascina il paese sull’orlo di una guerra civile. Sul terreno restano 8 morti e decine di feriti, ma alcune fonti parlano di almeno 20 vittime. La situazione nella capitale Abidjan è in pieno caos e la tensione che si respira nell’aria è incandescente. Gli ex ribelli delle Forces nouvelles, sostenitori del presidente Alassane Ouattara, uscito vincitore alle elezioni del 28 novembre scorso, hanno organizzato una marcia verso la sede della televisione statale Rti presidiata dai soldati delle Forces de défence et de sécurité (Fds). Si tratta di uomini fedeli all’ex presidente Gbagbo.

Dopo Delhi, Wen in Pakistan

KIEV. Non solo Italia: una rissa nel Parlamento ucraino, scoppiata giovedì sera, ha mandato all’ospedale cinque deputali. Alcuni deputati del partito d’opposizione di Yulia Tymoshenko hanno dapprima occupato i banchi del governo e bloccato fisicamente i lavori in segno di protesta contro l’esecutivo del presidente filorusso Viktor Yanukovich reo, a loro dire, di mettere nell’angolo politicamente la ex premier e pasionaria della Rivoluzione arancione con accuse fasulle e procedimenti giudiziari intimidatori. In pochi minuti si è scatenato una vera e propria battaglia nella Rada alta. Senza esclusione di colpi: sono volati tavoli e sedie, schiaffi, spintoni e pugni. Cinque deputati, tutti dell’opposizione, sono rimasti feriti.

ISLAMABAD. È Iniziata ieri la visita di tre giorni del premier cinese Wen Jiabao in Pakistan.Tra i tanti accordi previsti, si parlerà soprattutto del collegamento via terra tra Pakistan e Cina, molto a cuore a entrambi i Paesi. Wen è volato in Pakistan proveniendo da New Delhi, dove pure è stato in visita ufficiale. La Cina è uno dei principali partner commerciali del Pakistan ed è prevista la firma di accordi per 20 miliardi di dollari tra ditte dei due Paesi, per energia, agricoltura, infrastrutture e sanità. Wen incontrerà il premier pakistano Yousuf Raza Gilani, per parlare soprattutto del porto di Gwadar, realizzato dalla Cina anche per avere uno sbocco sul mare. Previsto anche un accordo sui trasporti bilaterali.

L’esercito di Tzahal si affretta a smentire, ma il “Partito di Dio” affila le armi in vista di un attacco di terra e torna a minacciare

Israele-Libano, spy story infinita Hezbollah denuncia: ci sono spie di Tel Aviv nella valle della Bekaa di Giovanni Radini uella in Libano è una drôle de paix: una pace farsa. Nel corso di questa settimana, le Forze Armate (Lebanese Armed forces – Laf) di Beirut hanno disinnescato due sistemi di intercettazione localizzati nella Valle della Bekaa, roccaforte dello sciismo libanese. Qui Hezbollah ha un controllo capillare di tutto quel che vive, si muove ed eventualmente è pronto a combattere. Il “Partito di Dio” spende in quest’area la maggior parte delle proprie risorse economiche e politiche, al fine di preservarsi il sostegno degli elettori, ormai non più solo suoi correligionari, ma anche molti fra i cristiani che abitano negli sperduti villaggi. Ed è sempre in questa piccola regione montuosa che Israele ritiene si concentri il grosso delle forze e delle milizie sciite, pronte a scattare in caso di guerra contro Tzahal. L’esercito libanese è venuto a conoscenza di questi strumenti di controllo grazie a una soffiata da parte proprio delle milizie sciite. Queste magari non possono attaccare il nemico, com’è previsto dagli accordi internazionali successivi alla guerra dei 34 giorni del 2006. Con la presenza di Unifil sul territorio non conviene scatenare una guerra. Tuttavia, si sentono in diritto di effettuare un controllo capillare delle loro aree e, nel caso trovino qualche anomalia, di segnalarla alle autorità.

Q

Questa volta i sistemi di controllo erano mimetizzati sotto una serie di rocce false, che si sarebbero dovute confondere con il resto del paesaggio. Le autorità di Beirut hanno accusato immediatamente il vicino Israele. Da una parte, la celerità dell’accusa è stata dettata dalle scritte in israeliano ben leggibili sui congegni sequestrati. Una sorta di flagranza di reato, in pratica. D’altro canto, sulla mossa di Beirut devono aver pesato i precari equilibri politici interni al Paese. Se le autorità statali non si fossero mosse verso un diretto e ben identificato colpevole, avrebbero lasciato spazio a Hezbollah,

La guerra fra i due Paesi ha radici antiche e profonde. Nello scontro a fuoco avvenuto nel sud del Libano, l’esercito israeliano ha subito perdite imponenti ed è stato costretto a ritirarsi. Ecco perché, oggi, scendono in campo le “barbe finte”: si vuole evitare una nuova brutta figura in campo militare

sia di gonfiare la polemica sia, eventualmente, di strumentalizzare il problema per una nuova fiammata di violenza. Lo Stato Maggior dell’Esercito israeliano, dal canto suo, ha smentito immediatamente e senza mezzi termini un qualsiasi suo coinvolgimento nella questione. La vicenda segue un filone scontato e prevedibile.

Non è la prima volta che Beirut incastra una rete di intelligence straniera attiva sul territorio libanese e, senza pensarci due volte, punta l’indice accusatorio verso Israele. Anzi, nei casi precedenti la situazione si era dimostrata an-

cora più complessa. A essere coinvolti non erano microfoni spia oppure puntatori laser per registrare gli spostamenti di Hezbollah, bensì ufficiali inseriti nei ranghi delle forze regolari, stipendiati dal nemico per passare informazioni sottobanco.

Quindi se l’episodio di ieri non può essere annoverato fra le novità della crisi israelo-libanese che cuoce sottocenere, vanno comunque sottolineati due elementi. Uno causa dell’altro. Dandola per scontata, bisogna riscontrare la persistente attività di controllo di Tzahal sul Libano. Dandola per scontata, ap-

punto. Chi ci assicura che sia stato Israele a mettere quei rilevatori e non altre agenzie di intelligence interessate a creare confusione? Conseguenza di tutto questo è il totale allineamento delle Laf nei confronti del Partito di Dio. Al di là di quanto di legge nella Risoluzione Onu n.1701 dell’agosto 2006, Israele e Libano non hanno mai smesso di tenere alta la guardia e di restare sul sentiero di guerra. Nei quattro anni passati dall’ultimo scontro, la prima – alla quale sarebbe imposta un’area off limits nei cieli e nel territorio del Libano – insiste a effettuare controlli unilaterali di tutte le attività militari oltre i confini di sua pertinenza.

Questo significa che, mediante aerei di ricognizione, scrutatori lungo la frontiera e, caso mai, un’adeguata strumentazione tecnologica installata appositamente in loco, riesce ad avere una mappatura delle risorse militari a disposizione delle Laf, degli spostamenti delle unità Onu, ma soprattutto di eventuali rifornimenti agli arsenali delle milizie irregolari. È noto infatti che queste, anche loro in contrasto con le direttive delle Nazioni Unite, non siano state disarmate. Anzi, stando alle informazioni più recenti la Santabarbara di Hezbollah non sarebbe mai stata così ben fornita. Così, mentre Israele scruta illecitamente oltrefrontiera, la milizia sciita resta sull’attenti e, cosa ancora più paradossale, suggerisce alle Laf come muoversi. Risulta allora evidente che, in campo libanese, siamo di fronte a una catena di comando del tutto anomala. Il Partito di Dio, movimento politico dotato di un apparato di sicurezza illegale – stando al diritto internazionale, ma in linea con la consuetudine del Paese – adotta una politica di sicurezza autonoma rispetto alle direttive di Beirut. Non solo, una volta che gli sciiti sono entrati in possesso delle adeguate informazioni, impone alle autorità costituite come muoversi e chi incolpare. Queste, passivamente, eseguono gli ordini. Da notare, inoltre, che il Primo ministro Saad Hariri, sunnita e quindi distante dalle posizione del


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e di cronach

Direttore Editoriale Ferdinando Adornato

Vaticano: dalla Cina atti inaccettabili contro la Chiesa CITTÀ DEL VATICANO. “Profondo dolore”e“rammarico”della Santa Sede per le modalità dello svolgimento e per le conclusioni dell’Assemblea dei rappresentanti cattolici cinesi. Un comunicato diffuso oggi dalla Sala stampa della Santa Sede denuncia “l’atteggiamento repressivo” e “l’intransigente intolleranza” delle autorità nei confronti della Chiesa,“segno di timore e di debolezza, prima che di forza”, ribadisce la “grave violazione” della libertà religiosa compiuta verso i cattolici e in particolare verso sacerdoti e vescovi obbligati a parteciparvi, evidenziando la responsabilità “davanti a Dio e davanti alla Chiesa”dei pastori presenti e ricorda, infine, che “cosiddetta Conferenza Episcopale e dell’Associazione Patriottica Cattolica Cinese”non sono riconosciuti dalla Chiesa e sono “inconciliabili” con la fede cattolica. Nel documento, infine, malgrado “tali atti inaccettabili ed ostili” la Santa Sede “riafferma la propria volontà

Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Francesco D’Onofrio, Gennaro Malgieri Ufficio centrale Gloria Piccioni (direttore responsabile) Nicola Fano, Errico Novi (vicedirettori) Vincenzo Faccioli Pintozzi (caporedattore) Antonella Giuli (vicecaporedattore) Franco Insardà, Luisa Arezzo Stefano Zaccagnini (grafica)

di dialogare onestamente” e ricorda l’invito che il Papa ha rivolto a tutti i cattolici del mondo a pregare per la Chiesa in Cina, che sta vivendo momenti particolarmente difficili. La Santa Sede, si legge infine,“si rammarica profondamente per il fatto che la celebrazione della suddetta Assemblea, come pure la recente ordinazione episcopale senza l’indispensabile mandato pontificio, abbiano danneggiato unilateralmente il dialogo e il clima di fiducia con la Cina”.

Da sinistra Netanyahu, premier d’Israele; il capo del Mossad Tamir Pardo; il premier libanese Rafic Hariri

Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Giancristiano Desiderio, Francesco Lo Dico, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria) Inserto MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Baiocchi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Renato Cristin, Francesco D’Agostino Anselma Dell’Olio, Alex Di Gregorio Gianfranco De Turris, Rossella Fabiani, Pier Mario Fasanotti, Marco Ferrari, Aldo Forbice, Antonio Funiciello, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Roberto Genovesi, Aldo G. Ricci, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Andrea Margelletti, Adriano Mazzoletti, Gabriella Mecucci, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Ernst Nolte, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo, Loretto Rafanelli, Franco Ricordi, Carlo Ripa di Meana, Roselina Salemi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania Società Editrice Edizioni de L’Indipendente s.r.l. via della Panetteria, 10 • 00187 Roma Amministratore Unico Ferdinando Adornato

Segretario di Hezbollah, Hassan Nasrallah, tende ormai ad assecondare gli atteggiamenti aggressivi degli sciiti. Questo non accadeva né ai tempi del defunto padre, Rafiq, né all’inizio dello stesso mandato di Saad, alla fine del 2009. Possibile che il premier, per interessi di autoconservazione politica personale, abbia deciso di seguire la corrente del comune pensare e abbia elevato Israele a nemico di tutto il Paese? Il Libano non è certo il Paese dei compromessi. Tuttavia, è possibile che nei suoi palazzi si giunga a qualche accordo bizantino, incomprensibile agli occhi di noi occidentali. A un anno dalla formazione del suo esecutivo, frutto di un difficile accordo fra maggioranza e opposizione, Hariri si trova a un punto di svolta. Se il Tribunale internazionale incaricato di far luce sulla morte del padre, ucciso in un attentato nel 2005, dovesse emettere una sentenza di condanna contro alcuni esponenti di Hezbollah e altri agenti dell’intelligence siriana, non si sa cosa potrebbe capitare. Né al primo ministro, né all’intero Paese. Potrebbe anche essere che Damasco non venga coinvolta direttamente. In tal caso, sarebbe solo il Partito di Dio a pagare le spese delle violenze a lui attribuite. Conseguenze?

La disgregazione del governo, la perdita della stabilità politica acquisita in questi mesi e, soprattutto, il rischio di

Il premier Hariri, sunnita di ferro, tende sempre di più a assecondare le richieste degli sciiti, e agisce su loro indicazione una nuova guerra civile. Nasrallah potrebbe essere tentato addirittura di coinvolgere dalla sua parte l’Iran e la Siria per un ulteriore conflitto contro Israele. Il Paese dei cedri, insomma, farebbe un passo indietro di circa quindici anni. E con lui l’intero processo di pace in Medioriente. È logico che Hariri non possa e non voglia permettersi un simile disastro. Egli si ritiene l’erede politico del padre. Per quanto di quest’ultimo non abbia lo stesso carisma. Il suo potere nasce dall’appoggio che gli è stato concesso dall’Occidente e dalla Lega Araba. Tuttavia, non si può escludere che anche Israele abbia dato il suo placet. Ma a questo punto, allora, perché muoversi contro Tzahal e non contro Hezbollah? E ancora: per quale motivo quest’ultimo, ora che è al potere, non si con-

centra unicamente sulle questioni politiche abbandonando la propria componente operativa? Nelle mille ombre che delineano la corniche di Beirut, bisogna filtrare come per Hariri sia più complesso fronteggiare il Partito di Dio invece che il nemico israeliano. Il premier libanese, per quanto se ne dica, condivide con Netanyahu amici, alleati, ma anche avversari e oppositori. La polemica fra i due, di conseguenza, va sminuita a un’operazione di facciata. L’obiettivo comune, del resto, è arginare lo strapotere di Nasrallah. Ma questo sembra crescere sia in termini di consensi sia sulla strada dell’intransigenza.

Un anno fa, eravamo convinti che Hezbollah – una volta entrato nel governo, pur dopo la sconfitta elettorale di giugno 2009 – avrebbe cominciato ad abbandonare i kalashnikov. In cambio i suoi parlamentari, abbigliati in giacca e cravatta – e non più con tuniche e turbanti da mullah – avrebbero firmato accordi commerciali con tutto il mondo. La previsione si è rivelata sbagliata. Il Partito di Dio, sebbene non disdegni le strade della politica ortodossa, è nato come un movimento in armi ed è questa identità che pretende conservare. Non importa che i suoi ministri siano entrati nelle stanze dei bottoni a Beirut. Nel Libano del Sud, chi comanda in Hezbollah è la milizia. Ed è su di essa che vengono puntati i microfoni delle spie.

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il personaggio della settimana Vita, ville, successi e molti caffè dell’imprenditore che ha evitato ai rossoblù il fallimento

Treviso-Bologna, un uomo solo andata Massimo Zanetti guida da decenni la Segafredo, leader mondiale della tazzina più amata del mondo. Grazie ai chicchi macinati, però, l’imprenditore ha salvato realtà mitiche (e mitologiche) dello sport di Maurizio Stefanini assimo Zanetti Beverage Group, “an Italian coffee company that owns brands such as Segafredo and MJB. With turnover of around US$ 1.2 billion per year, it claims to be the biggest private company in the coffee industry”, ha una voce su Wikipedia in inglese, giapponese, finlandese e polacco. Non però in italiano; e meno che mai in emiliàn e rumagnòl, che pure sta tra le lingue della famosa enciclopedia on line. Nemo propheta in patria, si potrebbe commentare. Il fatto però è che Zanetti non è di lì, ma di Treviso. Più precisamente di Villorba: un comune di 18.000 abitanti composto da varie frazioni sparse, e allo

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stile della campagna veneta disseminato anche di ville. Ben 18. Villa Zanetti, per pochi metri distante dal confine del comune di Treviso, e dove lui è nato il 12 febbraio del 1948, risaliva al ‘600, e la sua famiglia ci teneva tanto che i genitori gli fecero giurare di rimetterla a posto. E Massimo proprio lo scorso maggio ha terminato una profonda ristrutturazione appunto con un’inaugurazione, con cui ci ha spostato il quartier generale di Segafredo Beverage, multinazionale del caffè, oltre all’omonima fondazione dedicata alla beneficienza: a Bologna è rimasto solo lo stabilimento. A questo restauro, anzi, ha fatto dedicare addirittura un libro: Villa Zanetti. Nel cuore antico del futuro. Edizioni italiana e inglese di Elena Franzoia e Marco Zanta, Editore Vianello Libri. Va pure ricordato che Massimo Zanetti, quando tra 1994 e 1996 pensò per un po’di darsi alla politica con Forza Italia, fu a Treviso che si fece eleggere senatore. E del Treviso Segafredo è stata anche sponsor, oltre che del Bologna.

È vero che del Bologna lo era stato prima, tra 1986 e 1989. E che in soccorso del Treviso Zanetti venne quando quella squadra per via di un ripescaggio su ritrovò all’improvviso e per la prima volta in serie A, sprovvista di mezzi adeguati. Comunque Segrafredo è stata anche sponsor del Benetton Treviso di basket, oltre che dell’Hockey Cortina. Di golf e di Ayrton Senna in Formula 1. Ma alla nascita il Bologna Football Club 1909, non va dimenticato, ebbe l’odontoiatra svizzero Luis Rauch come primo presidente e il boemo Emilio Arnstein come promotore. E tra i primi giocatori vi era lo studente del Collegio di Spagna Antonio Bernabeu, fratello del famoso grande presidente del Real Madrid. Più tardi l’epoca d’oro dello “squadrone che tremare il mondo fa”e dei sei scudetti del 1925, 1929, 1936, 1937, 1939 e 1941 fu propiziata dalla influente protezione del ras Leandro Arpinati, che era un sanguigno romagnolo. Anche se presidenti furono formalmente

Enrico Masetti, Paolo Graziani, Gianni Bonaveri e soprattutto Renato Dall’Ara, che era reggiano. Dall’Ara, cui dal 1983 è dedicato lo stadio, andò avanti dal 1934 al 1964, e dopo i sei campionati di epoca fascista riuscì ad aggiudicarsi anche il settimo proprio del suo ultimo anno: con Bologna la rossa ormai città simbolo del modello Pci, e lo spareggio finale vinto con l’Inter di Helenio Herrera campione d’Europa e del Mondo. Il romano Flavio Bernardini era l’allenatore di quell’ultimo squadrone che magari non faceva più intimorire il pianeta: ma del quale si disse che “così si gioca solo in Paradiso” (dopo un 7-1 al Modena). D’altra parte, i precedenti scudetti erano stati vinti con l’austriaco Hermann Felsner e con l’ebreo ungherese poi morto a Auschwitz Árpád Weisz. Insomma; squadra che intimoriva il mondo, grazie al fattivo apporto di gran parte di questo stesso mondo. Tant’è che un anno dopo aver festeggiato il centenario dalla fondazione con una stagione già mezza fallimentare, diciassettesimo posto e salvezza solo alla penultima giornata, proprio per cercare il riscatto il Bologna la scorsa estate si era affidato al sardo Sergio Porcedda: imprenditore del tessile e calzaturiero poi allargatosi al turismo, che proprio per sfogare la frustrazione di non essere riuscito a comprarsi il Cagliari si era rivolto alla squadra che il barocchismo dei giornalisti sportivi ama anche definire “felsinea” e “petroniana”. Tanto, devono aver pensato, il colore rosso e blu è sempre quello. Non l’avessero fatto. Sarà perché con la crisi la gente non solo va meno in vacanza ma si rifornisce di vestiario soprattutto con outlet e saldi, il 18 novembre Porcedda è finito alla Commissione Disciplinare Nazionale dal Procuratore Federale,“per la mancata attestazione agli Organi Federali competenti del pagamento delle ritenute IRPEF relative agli emolumenti dovuti per le mensilità di maggio e giugno 2010, nei termini stabiliti dalle disposizioni federali”. Una tegola da sei mesi di inibizione


18 dicembre 2010 • pagina 31

Una foto presa dal match fra Bologna e Inter del Campionato 2008-2009. In alto Giovanni Consorte, entrato nella cordata per salvare la squadra dal fallimento. In basso l’imprenditore Massimo Zanetti, patron del gruppo Segafredo. Nella pagina a fianco, Marco Di Vaio per Porcedda e per l’amministratore Silvino Marras, anche lui di trasparenti origini sardi. Più, anzi meno, un punto di penalizzazione in classifica per la squadra, da contarsi nell’anno in corso. Che è ancora meno di quello che gli volevano fare i tifosi il giorno dopo, quando ha dovuto lasciare il centro tecnico del Bologna scortato dalla polizia. Il caffè, invece, anche con la crisi, più lo mandi giù, più ti tira su. Va be’: quello era uno slogan della Lavazza, la concorrenza. Ma, se è per questo, col Segafredo Momento Renzo Arbore riusciva

no nella vita di ognuno, quando cominci da bambino con il primo caffelatte. E poi, via via che diventi grande, il primo caffè da solo, caffè puro, che ti fa sentire adulto. Il primo appuntamento di lavoro, il primo contratto fatto ad un cliente difficile». E anche questo al Bologna assomiglia molto. «Il caffè, insomma, un fedele amico che ti accompagna tutta la vita». Insomma, Zanetti al caffè ci crede proprio. In effetti la torrefazione era già il business di famiglia, che il padre aveva montato già nella villa seicentesca. Ma

Oltre 2 milioni e mezzo di sacchi di caffè lavorati; 140.000 tonnellate vendute; 900 milioni di euro di ricavi annuali, quasi tutti all’estero a dare un attimo di sollievo perfino ai dannati dell’Inferno. Zanetti dice di considerare addirittura una “missione”, quella di «far amare il caffè, che è la mia vita, la vita di molte persone». E ancora: «È la tradizione di molte culture. È il buongiorno di tutte le mattine. È ciò che fa passare una sbornia o dà forza quando sei stanco». Effettivamente, ricorda l’attuale Bologna.

«È, insomma, qualcosa di famigliare, come qualcuno di famiglia a cui si vuol bene e del quale non si può fare a meno. Mille situazioni che si susseguo-

ci si limitava a rifornire i Segafredo, storica famiglia imprenditoriale di Bologna. Ma il 17 novembre 1974 il 23enne Francesco Segafredo, erede della fortuna, viene rapito. Un sequestro misterioso e rapido, conclusosi dopo cinque giorni con un rilascio in cambio di un riscatto da mezzo miliardo, che l’amico Zanetti aiutò a trovare. In seguito Francesco avrebbe iniziato a vendere a Massimo varie quote, fino a liquidargli tutta l’azienda. Ma ciò non sarebbe stato che il primo passo. Appunto appassionato di caffè, Zanetti si sarebbe espanso in tutto il mondo, sviluppando

una filiera completa. I Paesi di produzione innanzitutto, a partire dal Brasile: dove oltre a varie piantagioni la Zanetti controlla anche l’importante società esportatrice Nossa Señhora Da Guia Exportadora de Cafè, ed un grande stabilimento nel Minais Gerais. Ma anche in Vietnam, Perù e Costa Rica.

I panorami di foglie verdi stormenti, bacche rosse, lagune e uccelli in volo anche citato in alcuni spot: «Forse ci sono anche altri modi di raccontare questo vento. Questi colori. Questi silenzi. Queste distanze. Io, però, continuo a provarci. A raccontarlo attraverso il caffè». E poi la firma di Massimo Zanetti in un bianco zuccherato, su una tazzina colma di liquido spumoso. “Segafredo Zanetti. Da una passione vera, il caffè più autentico”. Poi i nove stabilimenti: in Brasile appunto, Austria, Finlandia, Francia, Olanda, Polonia, Stati Uniti e a Bologna, più l’altra fabbrica nel trevigiano per la produzione di capsule e cialde di caffè. E una catena di caffetterie che ha portato in tutto il pianeta il modello del caffè italiano. Oltre 2 milioni e mezzo di sacchi di caffè lavorati; 140.000 tonnellate vendute; 900 milioni di euro di ricavi annuali, di cui i quattro quinti all’estero; oltre 1000 locali propri e 100.000 clienti; 50 milioni di tazzine bevute ogni giorno, in oltre un centinaio di Paesi. La Cofiroasters S.A., trading company di caffè crudo con sede in Svizzera. La San Marco, società leader nel settore delle macchine per l’espresso. La divisione caffè del gigante americano Sara Lee Corporation, in quegli Stati dove la Zanetti è la terza società per presenza sul mercato. La Segafredo Zanetti Espresso Worldwide, controllata nel settore delle caffetterie in franchising. L’ultima espansione in Estremo Oriente, dive il caffè sta sempre più diventando un’icona del boom economico, soppiantando nei gusti dei giovani il tradizionale tè. Come si è già ricordato, già in passato la Segafredo aveva fornito al Bologna la sua sponsorizzazione, ma vari tenta-

Bologna Fc, una carica lunga 101 (anni) Il Bologna Football Club 1909, comunemente noto come Bologna, è una società calcistica italiana, fondata nel 1909 nell’omonimo capoluogo. Attualmente milita in Serie A, massima divisione del campionato italiano di calcio. Occupa il 53º posto del ranking delle migliori squadre del XX secolo, ottava squadra italiana dell’IFFHS.Tra i club più titolati del Paese, vanta 7 titoli di campione d’Italia, due Coppe Italia, due Coppa dell’Europa Centrale, una Mitropa Cup, una Coppa Intertoto e una Coppa di Lega Italo-Inglese. Presente in 65 campionati di Serie A, detiene il singolare record di tre scudetti vinti allo spareggio, due dei quali prima dell’introduzione del girone unico, nel 1925 contro il Genoa e nel 1929 contro il Torino, e uno nell’era del girone unico, nel 1963-1964 contro l’Inter. Quello del 1964 è anche l’ultimo scudetto vinto dal Bologna. Nato come Bologna Football Club, fallì nel 1993 e fu ricostituito societariamente con il nome attuale, dopo aver riacquisito il titolo sportivo della defunta società. La maglia di gioco è a strisce verticali alternate di colore rosso e blu. Dal 1927 la squadra disputa le proprie gare interne nello Stadio Renato Dall’Ara (nato come Stadio del Littoriale).

tivi di Zanetti di scalare la società erano stati bloccati. E sembra anche ci ci fosse di mezzo la moglie a fare resistenza, in nome del futuro dei figli. Ma ormai questi si sono fatti grandi: Laura è avvocatessa e gli ha dato un nipote; Matteo si è dato alle auto di marca. E quanto al Bologna, ormai non c’erano più alternative. Sei milioni per ripianare i debiti sono stati offerti da Porcedda vendendo un hotel e un palazzo al centro di Cagliari, più un’ipoteca da mezzo milione. Renzo Menarini, che a Porcedda aveva venduto, mette altri tre milioni, mettendo come garanzia un immobile di pregio a Bologna.

A Zanetti è bastato versare cinque milione, coadiuvato da un milione e mezzo di Giovanni Consorte, che così torna alla ribalta dopo quei guai di Bancopoli che lo avevano costretto alle dimissioni dalla Presidenza e carica di Amministratore Delegato di Unipol. È stato in particolare Consorte a montare la cordata Intermedia, anche se poi ci si è messo alla testa Zanetti. Già uomo delle Cooperative, il suo collegamento con un ex-parlamentare berlusconiano già definito “l’anti-Illy”, indica un ampio consenso trasversale per il rilancio di una squadra con un passato troppo grande, per ridursi a non pagare gli stipendi da luglio. Tant’è, che si di lui è subito arrivato un autorevolissimo imprimatur anche dal consigliere regionale del Pd Maurizio Cevenini, considerato “il più famoso dei tifosi rossoblu”: «Massimo Zanetti è un imprenditore prestigioso che potrà fare bene al Bologna. Ora più che mai tutta la città e i bolognesi devono partecipare al progetto di rilancio della nostra amata squadra».


ULTIMAPAGINA Il divulgatore di “Superquark” torna in libreria con “Impero”, un originale viaggio alla scoperta dell’antica Roma

Angela jr, un reporter alla corte di Francesco Lo Dico li ingredienti per un accostamento sbarazzino ci sono tutti. La smodata passione per Traiano («Il più grande imperatore dell’antica Roma»), l’eloquio garbato, un padre venerando che ne favorisce il cursus honorum, la vocazione enciclopedica perseguita con la stessa nonchalance di uno scolaretto preparato ma amabilmente distante dalla saccenteria. Alberto Angela sta all’epoca televisiva come Plinio il Giovane all’antica Roma. Entrambi al seguito del genitore (e pazienza se Plinio il Vecchio non lo fu in senso stretto), i due hanno faticato a lungo perché fossero distinti dagli illustri capostipiti. Ma alla fine ce l’hanno fatta, perché ciò che li apparenta più di tutto è una cosa: l’attrazione fatale per il palinsesto. Largamente ricambiata. I numeri di Angela il giovane parlano chiaro: Una giornata nell’antica Roma è stato un bestseller Mondadori da oltre 400mila copie e numerose traduzioni in inglese, cinese, giapponese e persino coreano.

G

E così, dopo le ventiquattro ore trascorse in sua compagnia in un ipotetico martedì del 115 dopo Cristo, il simpatico conduttore di Superquark ritorna in libreria con Impero (Mondadori, 508 pagg. 21 euro). «È il libro che avrei sempre voluto leggere e che ho spesso consigliato di scrivere», spiega Angela junior. Ma è finita che per leggerlo se l’è scritto da solo. Un peccato, perché il volume muove da un’idea niente male: raccontare la gloria imperiale mediante un protagonista del tutto inconsueto: un sesterzio di bronzo che dalle quadrighe del Circo Massimo, dalla Britannia alla Provenza, dalla via Emilia a Ostia, passa di mano in mano lungo un viaggio che illustra la quotidianità di chi per diversa ventura può stringerlo in pugno. In balia di un destino capriccioso, la moneta di Angela finisce anche dalle parti della Spagna e di Alessandria d’Egitto, non disdegna l’accoglienza in un postribolo e fa tappa Alessandria ad d’Egitto, senza farsi mancare anche destinazioni esotiche come il Mar Rosso, l’India, e il palmo di un filosofo. Ma l’apparente natura carambolesca del racconto, risponde in vero a precise geometrie divulgative. E a un assunto che lo stesso Angela spiega così: «I romani sono stati in grado di realizzare la prima globalizzazione della storia. C’era una sola lin-

DI TRAIANO gua ufficiale, girava ovunque la stessa moneta e quasi tutti sapevano leggere e scrivere. Quello che colpisce è la grande modernità dei romani che, non solo con le armi ma, soprattutto con la grandezza del loro stile di vita, con le comodità e la medicina, seppero conquistare il resto del mondo. I barbari non vollero mai distruggere Roma, ma entrarne a far parte». Anche se di quel desiderio represso, i Barberini furono ottimi liberatori. La parabola numismatica tracciata dall’autore, mette in rilievo un sistema di potere tentacolare, ma non repressivo. La romanitas emerge in aspetti spesso negletti come la libertà accordata alle donne (maggiore di quanto si possa immaginare), e la profonda civiltà giuridica a fondamento di un modello di integrazione che funzionò bene per molti secoli. Attento divulgatore, vaccinato contro le

frequenti patologie accademiche che spingono il pubblico a fughe precipitose, Angela il giovane spiega il segreto di una scrittura snella, ma incisiva. «Utilizzando la mia penna come fosse una telecamera, entro dentro l’atmosfera dell’epoca, grazie anche al mio mestiere di divulgatore televisivo». Ma il lavoro dello scrittore, è tutt’altro che corrivo. Angela ha preparato il volume in seguito a una ricerca triennale su

«I romani sono stati in grado di realizzare la prima globalizzazione della storia», spiega l’autore, «c’era una sola lingua, la stessa moneta e quasi tutti sapevano leggere» stele tombali, iscrizioni e testi antichi, e sebbene stilato come un romanzo, esso non presenta una sola riga che non attinga da solide fonti documentali. «Anche i nomi, i dialoghi e il luoghi raccontati nel libro sono veri. Le battute dei protagonisti provengono dalle opere di autori latini come Ovidio, Marziale e Giovenale», precisa.

Affabile, genuino, pacificato, Impero è lo specchio del suo autore. Si legga per esempio questo passo: «L’aspetto del paese è bellissimo: immagina un immenso anfiteatro come soltanto la natura può crearlo. Anche se c’è abbondanza di acqua non ci sono paludi perché la terra è in pendio e non viene assorbita». Sembrerebbe un commento alla Angela.Tranne che invece è un’epistola di Plinio il Giovane. Non dite che non vi avevamo avvertiti.


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