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La storia non è altro

che una serie di scherzi a spese dei morti Voltaire

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di Ferdinando Adornato

QUOTIDIANO • GIOVEDÌ 30 DICEMBRE 2010

DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK

Oggi l’annuncio: si conclude nel peggiore dei modi una vicenda sulla quale pesano grandi interessi internazionali

La beffa di fine anno Ennesima figuraccia in politica estera: Lula si tiene Cesare Battisti I giornali brasiliani anticipano la decisione: «È una scelta umanitaria». Ora in Italia protestano tutti: ma la verità è che l’esecutivo non ha saputo (o voluto?) far niente per riavere il terrorista Sciopero solitario sulla Fiat

Lo strappo della Fiom: ultimo atto di una storia lunga mezzo secolo di Gianfranco Polillo

I grandi leader sindacali del passato sono nati risanando le fratture: sarà così anche stavolta? lla fine è stata rottura con la Fiom che urla alla libertà negata e proclama otto ore di sciopero. Dopo Pomigliano d’Arco, anche Mirafiori entra nella storia del sindacalismo italiano nel peggiore dei modi possibile. Con una frattura che passa all’interno del mondo dei lavoratori, visto che tutti gli altri sindacati hanno siglato l’accordo, ma anche con un conflitto nella stessa Cgil, che non sarà facile gestire. Non si faccia troppo conto sulle dichiarazioni di solidarietà di alcuni dirigenti della Confederazione. Fanno parte di un dibattito interno inevitabilmente destinato a divenire più aspro, quando sarà chiaro, dopo il referendum, da quale parte stanno le ragioni. Certo, le nuove regole, che gli altri sindacati hanno sottoscritto, sono meno accomodanti rispetto al passato. Turni più duri, meno pause, una diversa disciplina degli straordinari, lotta più decisa alle forme di assenteismo che si nascondono dietro quei medici compiacenti pronti a rilasciare la certificazione di malattie immaginarie, una maggiore disciplina nell’organizzazione del lavoro. Ma basta questo per qualificare l’accordo «indifendibile e vergognoso»? Di fatto, l’accusa nei confronti delle altre componenti sindacali di essersi trasformati nella stampella del padronato. E poi la difesa intransigente del contratto, come se fosse una carta irriformabile. a pagina 8

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EURO 1,00 (10,00

BUSINESS E REALPOLITIK

Succede così quando contano solo gli affari

L’immobilismo del governo

Vivacchiare non significa governare

di Maurizio Stefanini

di Francesco D’Onofrio

la decisione in extremis di Lula di lasciare libero Cesare Battisti è un ennesimo rovescio della politica estera di Silvio Berlusconi? In realtà, a guardar bene, no. Nel senso che quando lo scorso 29 giugno il Cavaliere andò in visita dal presidente brasiliano, in realtà di tutto parlano i due, eccetto che del terrorista. Si scambiarono invece battute su donne e calcio, con gli auguri di Berlusconi alla nazionale carioca per il mondiale in cui l’Italia era già stata eliminata: e che risultarono peraltro controproducenti, visto che il Brasile venne a ruota eliminato dai Paesi Bassi. Soprattutto però, con 60 imprenditori italiani al seguito.

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l termine di questo 2010 e in vista delle decisioni che saranno prese nel corso del 2011, è opportuno soffermarsi per qualche minuto su una questione di fondo, che è al centro della riflessione che l’Unione di centro sta compiendo, soprattutto alla luce della radicale innovazione politica ed istituzionale avvenuta nel contesto delle elezioni politiche del 2008. È molto opportuno che questa riflessione sia seriamente compresa sia dal Partito democratico sia dal Popolo della libertà, perché si tratta della questione di fondo.

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Parla Alberto Torregiani

«Berlusconi aveva promesso di intervenire: ci ha preso in giro»

a pagina 5

Franco Insardà • pagina 3

a pagina 4

Berlusconi: «Pochi mesi per risolvere tutto»

L’Occidente perdona tutto in nome del denaro

Napoli, un capodanno di fuoco sull’immondizia

Il mercato cinese non vale più dei diritti umani

di Francesco Pacifico

di Wei Jingsheng

ROMA. Questa volta la Bomba di Cavani potrebbe mettere nei guai Napoli. Perché se nella mattinata di domani i cittadini di Chiaiano e di Marano costruiranno sotto il palazzo della Regione una grande statua composta da sacchetti e per la notte del 31 si guarda con terrore ai tanti abitanti che sparano petardi e razzi. E che finiscono sui marciapiedi, occupati in questi giorni da circa mille tonnellate di rifiuti. Ma è emergenza rifiuti anche nel Lazio. a pagina 6 CON I QUADERNI)

• ANNO XV •

NUMERO

253 •

WWW.LIBERAL.IT

o parlato più volte degli errori della strategia di sviluppo economico in Cina dall’era di Deng Xiaoping. La cosiddetta economia del «lasciate che qualcuno si arricchisca per primo» - che è orientata all’export - è in verità una strategia per sfruttare crudelmente i lavoratori mentre si permette a pochi di arricchirsi velocemente; una strategia che condivide i frutti di questo sfruttamento con gli occidentali in un tentativo di comprarli e orientarli. a pagina 12

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• CHIUSO

IN REDAZIONE ALLE ORE

19.30


pagina 2 • 30 dicembre 2010

prima pagina

il fatto È polemica dopo le anticipazioni della stampa di San Paolo. D’Alia: «Un governo impreparato che ha pensato solo agli affari»

Brasile-Italia, uno a zero

Il governo non ha fatto nulla per riportare in patria Cesare Battisti: oggi Lula annuncerà la decisione di trattenerlo «per motivi umanitari» i precedenti di Francesco De Felice

ROMA. «Penserò a lui solo domani. Quando prenderò una decisione, voi lo saprete. Io posso solo pronunciarmi sugli atti del processo». A due giorni dalla fine del suo mandato Luiz Inacio Lula da Silva continua a fare melina, ma la notizia, secondo quanto anticipato dal sito di Globo News, che sarebbe intenzionato a negare l’estradizione a Cesare Battisti appena giunta in Italia ha messo in subbuglio le forze politiche e la società civile.Tutti hanno criticato la sua decisione di concedere l’asilo politico all’ex terrorista dei Proletari armati per il comunismo, condannato all’ergastolo in Italia per quattro omicidi, in carcere in Brasile dal 2007. Il motivo sarebbe che «il governo brasiliano teme che esista un rischio di morte dell’ex terrorista se tornerà in Italia». Tesi sostenuta già nel gennaio 2009, quando l’allora ministro della giustizia Tarso Genro decise di concedere lo status di rifugiato a Battisti. Allora le autorità italiane protestarono e il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano scrisse una lettera a Lula per esprimere «profondo stupore e rammarico» a nome suo e di tutte le forze politiche italiane. A novembre del 2009 l’Italia presentò ricorso e il Supremo tribunale federale brasiliano autorizzò l’estradizione di Battisti, lasciando l’ultima parola a Lula. E così sarà. Gianpiero D’Alia, presidente del gruppo Udc al Senato, ha ricordato che «è inutile che oggi la maggioranza lanci strali o metta le mani avanti alla luce della possibile liberazione di Battisti. In tante occasioni il nostro governo è stato in contatto con il presidente brasiliano Lula, concludendo accordi militari e vantandosi sempre di avere ottimi rapporti bilaterali: evidentemente però o in tutti questi incontri ci si è dimenticati di affrontare l’argomento Battisti, o i rapporti tra Stati non sono così idilliaci. Compito di un governo è farsi rispettare in politica estera: qui sembra invece che le trame internazionali per la liberazione di Battisti abbiano trovato il nostro governo del tutto impreparato, o connivente, perché non si fanno affari con governi che danno protezione a terroristi italiani». Sulla stessa linea il suo collega di partito Luca Volontè secondo il quale «la considerazione che il mondo ha dell’Italia, spiace dirlo, è tutta nella decisione orripilante e offensiva del presidente Lula a favore del de-

Da Pietrostefani a Delfo Zorzi: ecco chi sono i terroristi rifugiati nei vari Paesi

Una lunga scia di sangue in giro per il mondo ROMA. Finora solo Paolo Persichetti, ex militante dell’Unione dei comunisti combattenti, è stato riconsegnato all’Italia, nel 2002. Latitante da oltre dieci anni, sconta una condanna definitiva a 22 anni e 6 mesi di carcere per concorso nell’omicidio del generale dell’aeronautica Licio Giorgieri. In altri 15 casi, l’estradizione è stata rifiutata: quattro riguardavano latitanti condannati all’ergastolo. Sono circa 140 i terroristi, o ex, fuggiti dall’Italia tra gli anni Ottanta e Novanta. La maggior parte di loro, per lo più esponenti dell’eversione rossa, ha trovato rifugio in Francia, beneficiando della dottrina Mitterand. Per alcuni, come per l’ex leader di Potere operaio Oreste Scalzone, la latitanza si è conclusa con una bella prescrizione. Arrestato nell’82, la Chambre d’accusation di Parigi aveva dato «avviso favorevole» alla sua estradizione, ma il governo francese non firmò mai il decreto. Altri sono diventati non più estradabili in Italia. Come Alessio Casimirri, il brigatista del commando che rapì e uccise Aldo Moro: ha ottenuto la cittadinanza nicaraguese e gestisce un ristorante sulla costa. Il br Alvaro Lojacono, condannato all’ergastolo per il delitto Moro, non estradabile perché è cittadino svizzero. O ancora, Delfo Zorzi, militante di Ordine nuovo, condannato in primo grado all’ergastolo per la strage di Piazza Fontana e poi assolto in appello, che vive in Giappone. Oltre la Francia, anche l’America latina ha offerto rifugio ad alcuni terroristi italiani: in Nicaragua, si trova anche Manlio Grillo, ricercato per il rogo di Primavalle nel quale morirono i due fratelli Mattei. Mentre il Brasile ospita il suo ex compagno di Potere operaio, Achille Lollo: nel ‘93 il Tribunale supremo federale rigettò la richiesta di estradizione presentata dall’Italia. Ha fatto discutere il caso di Marina Petrella, ex brigatista, coinvolta nel rapimento di Aldo Moro e rifugiata in Francia dal 1993. Non è bastata una sentenza di ergastolo per l’omicidio di un agente di polizia, tentato sequestro e tentato omicidio, sequestro di un magistrato, rapina a mano armata e diversi attentati. Cinque anni dopo la richiesta di estradizione da parte del governo italiano del 2002, viene arrestata dalla polizia francese. Ma poco dopo, arriva l’ordine di

scarcerazione per gravissime condizioni di salute che la costringono in ospedale. E Nicolas Sarkozy non applica il decreto di estradizione per “ragioni umanitarie”. Non rischia più il rimpatrio, neppure, Paola Filippi, 56 anni, padovana, a Parigi dall’82, condannata a 23 anni per banda armata e concorso in omicidio. Nel ’79 insieme a Battisti e l’allora fidanzato Diego Giacomini, partecipò all’omicidio di Lino Sabbadin, macellaio veneziano, condannato a morte per aver ucciso un rapinatore. Naturalizzata francese grazie al matrimonio, oggi fa l’interprete e l’aiuto-psicologa negli ospedali. In Francia ci sarebbero anche Simonetta Giorgieri e Carla Vendetti, sospettate di contatti con le nuove Brigate Rosse; Sergio Tornaghi, legato alla colonna milanese delle Br Walter Alasia. La Francia ha rifiutato l’estradizione anche di Luigi Bergamin, ideologo dei Pac, condannato a 26 anni di reclusione, traduttore a Metz. Non rischia più il rimpatrio neppure l’ex brigatista torinese Olga Girotto. I latitanti, però, sono ancora una quarantina: per dieci di loro c’è una richiesta di estradizione. Il più famoso è Giorgio Pietrostefani, 65, condannato a 22 anni di carcere assieme a Sofri e Bompressi per l’omicidio del commissario Calabresi. Latitante dal 2000 oggi fa l’editore. Ci sono, poi, Roberta Cappelli, 53 anni, commerciante, e l’ex marito Enrico Villimburgo, 54, tecnico informatico, condannati all’ergastolo ed ex componenti della colonna romana delle Br (rapimento e uccisione di Aldo Moro, omicidi Bachelet, Minervini, Galvaligi). Giovanni Alimonti, 53 anni, diventato insegnante di italiano e Maurizio di Marzio, che ha aperto una brasserie, condannati a 22 e 15 anni per una serie di attentati che hanno provocato morti. E l’ex Br Enzo Calvitti, condannato a 21 anni per il tentato omicidio di un funzionario di polizia; Vincenzo Spanò, cinquantaduenne reggino, ritenuto uno dei leader dei Comitati organizzati per la liberazione proletaria (Colp), che ha aperto un ristorante; Massimo Carfora, membro dei Colp, condannato all’ergastolo; Walter Grecchi, autonomo, condannato a 14 anni per l’omicidio del poliziotto Antonino Custrà; Giovanni Vegliacasa, ex membro di Prima Linea.

Soltanto Paolo Persichetti, ex militante dell’Ucc, ci è stato finora riconsegnato nel 2002

linquente e pluriomicida Battisti. Ora coloro che hanno agito superficialmente tirino le conseguenze. Il Brasile offende le vittime, la storia e l’intera Repubblica italiana, le reazioni diplomatiche devono essere proporzionali alla gravità».

Dal fronte Pdl per il presidente dei senatori, Maurizio Gasparri «il fatto che il Brasile faccia da tempo capire di voler ostacolare il corso della giustizia non rende meno ignobile la eventuale decisione di sottrarre il terrorista Battisti alla sua condanna. La decisione di Lula sarebbe intollerabile e porrebbe il Brasile ai margini della comunità internazionale. Sul Brasile intero ricadrebbe una gravissima responsabilità che l’Italia, non solo chi ha patito i crimini di un assassino, ha il diritto-dovere di non dimenticare mai». E Isabella Bertolini cerca di spostare l’attenzione dalle responsabilità del governo e sottolinea che «se il leader brasiliano, tra l’Italia intera e Battisti, sceglierà il terrorista ritengo che dovrebbero essere valutate, nelle sedi competenti le azioni da intraprendere per far comprendere quale grave offesa tale decisione arrecherebbe a ogni singolo cittadino italiano». Anche i giovani del Pdl, aderenti alla Giovane Italia, si sono detti pronti a scendere in piazza al fianco di Alberto Torregiani. E il segretario del consiglio nazionale, Marco Perissa, ha dichiarato: «L’accorato appello del familiare di uno delle vittime ci coinvolge in prima persona e non può lasciare indifferente chi crede nell`affermazione della giustizia. Il Brasile si dimostri amico dell’Italia e smetta di credere alle farneticazioni di un terrorista; vogliamo delle scuse a noi, come Italiani e alle famiglie delle vittime, principali spettatori di una giustizia che tutto è tranne che giusta». A loro si è unita anche il ministro della Gioventù Giorgia Meloni: «Se il presidente Lula non concederà l’estradizione a Cesare Battisti, sarò in piazza, insieme ai ragazzi della Giovane Italia, per dimostrare tutta la solidarietà dei giovani italiani ad Alberto Torregiani e ai familiari delle vittime». Il Pd attraverso il responsabile della Giustizia Andrea Orlando, e quello del forum Sicurezza del Pd, Emanuele Fiano, hanno biasimato il tentennamento di Lula e si sono lamentati per il salvacondotto che Brasilia vuole concedere all’ex terrorista. Mentre per Piergiorgio Stiffoni, senatore della Lega Nord, «in questa vicenda troppe lingue hanno consigliato Lula di far rimanere in Brasi-


la testimonianza Parla Alberto Torregiani, figlio del gioielliere ucciso dai Proletari armati

«Stavolta il premier ci ha preso in giro»

«Si era dichiarato determinato a voler ottenere l’estradizione. E gli rinnovo l’appello a incontrarmi» di Franco Insardà

ROMA. «Scendiamo in piazza. Si manifesta giustamente per tutto: dalla scuola al lavoro. La giustizia non è da meno. Lo farò anche da solo, ma sono sicuro che le persone comuni mi appoggeranno». Alberto Torregiani a botta calda reagisce così alla notizia rimbalzata dal Brasile sulla scelta del presidente alla fine del suo mandato. Alberto è il figlio adottivo del gioielliere milanese Pierluigi Torregiani, ucciso il 16 febbraio 1979 in un agguato del gruppo terroristico Proletari armati per il comunismo, che volevano vendicare la morte di un bandito durante un tentativo di rapina in cui Torregiani aveva reagito per difendersi. Nella sparatoria Alberto, allora quindicenne, rimase ferito e da allora è costretto su una sedia a rotelle. Alcuni dei terroristi furono arrestati, riuscirono a evadere e a rifugiarsi all’estero. Alberto Torregiani fa parte dell’Associazione italiana vittime del terrorismo con la quale porta avanti le sue battaglie. Cosa farete? È una notizia che, purtroppo, ci aspettavamo. Adesso organizzeremo una serie di iniziative per dimostrare che non abbiamo alcuna intenzione di accettare questa decisione del presidente Lula e chiederemo ai media di appoggiarci per dimostrare a questi “potenti” l’indignazione della gente comune, quando vengono calpestati i diritti. Sia noi che le altre famiglie abbiamo soltanto parlato e lasciato agli organismi istituzionali di fare il loro lavoro, ma non basta usare la diplomazia, bisogna far sentire la voce del popolo. È arrivato il momento di agire. Chiederemo la chiusura dell’ambasciata brasiliana per far capire che non si può abusare dei poteri. Qual è stato l’atteggiamento del presidente Berlusconi? Una volta ci siamo parlati per due minuti, purtroppo con lui è difficilissimo avere un colloquio più formale. Si è dichiarato determinato a voler ottenere l’estradizione, ora credo che sia il momento di mettere in pratica questa intenzione e fare qualcosa di più. Oltre a rinnovargli l’appello a incontrarmi. Però il fronte degli innocentisti non demorde. Nel caso Torregiani-Battisti non credo ci siano scheletri nell’armadio. A meno che l’ex terrorista non ne abbia uno che tiene ben segreto. Che sia la sua arma difensiva? Si tratta, quindi, di una vicenda chiara.

Battisti era un delinquente comune, ma si è dichiarato terrorista. Si deve assumere la responsabilità delle azioni che ha compiuto, per le quali è stato imputato e condannato, e tornare in Italia per scontare la pena. Cesare Battisti si è sempre dichiarato innocente... Lo dimostri. Non è così complicato oggi dimostrare l’innocenza di qualcuno. Teniamo presente che parliamo di un signore che è diventato un personaggio internazionale con amicizie e protezioni influenti. Non si tratta di un povero cristo qualunque che non ha possibilità e mezzi per far accertare un’apparente e discutibile verità. Lei ha anche scritto a Battisti. Perché? Forse sarà opportuno ripubblicare quella lettera nella quale gli ho ribadito questo concetto: se fornice la prova tangibile della sua innocenza io appoggerò la sua battaglia. Deve però essere una verità assoluta, ma finora non c’è stata alcuna prova di questo tipo. Prima parlava di amicizie e appoggi internazionali e uno di questi è il presidente francese Nicolas Sarkozy con sua moglie. Lei lo ha incontrato? Mi dispiace dirlo, ma l’impressione che ho avuto da quell’incontro è stato quello di avere di fronte un Ponzio Pilato. Contento di essersene liberato e lavato le mani. Non avrei mai creduto che il presidente di uno stato che ha sempre fatto della difesa dei diritti dell’uomo e della libertà una bandiera si comportasse in questo modo. Oltre a Battisti ci sono altri terroristi rifugiati all’estero e dei quali non si parla. Si tratta di percorsi personali ed è giusto chiedere per tutti l’estradizione. Voglio ricordare che Battisti è il numero due della lista dei terroristi all’estero. Delfo Zorzi è il primo, ma vive in Giappone ed è impossibile farlo estradare. Per Marina Petrella Sarkozy ha negato l’estradizione per “motivi umanitari”. Sembrava stare sul punto di morire e, invece, oggi è in Messico viva e vegeta. Non pensa che questa battaglia possa essere strumentalizzata dai partiti? Tutto viene strumentalizzato, a noi interessa raggiungere l’obiettivo: il rispetto della giustizia. È normale che ci siano persone pronte ad approfittare della situazione per avere visibilità. Il signor Battisti mi ha accusato di fare la vittima, non di esserla, e di andare in televisione soltanto per denigrarlo e per avere cinque minuti di gloria.

Non credo che ci siano scheletri nell’armadio. A meno che l’ex militante dei Pac non ne abbia uno che tiene ben segreto. Che sia la sua arma difensiva?

Cesare Battisti sarà liberato in Brasile dal presidente Lula. A destra, Alberto Torregiani, figlio del gioielliere ucciso da un commando dei Proletari armati del quale faceva parte anche Battisti le Battisti e mi riferisco a un capo di stato europeo, per il quale era importante non deludere le richieste della consorte, affascinata dai libri del terrorista e menefreghista con le vittime».

Silvana Mura, esponente dell’Italia dei Valori, ritiene necessario «tutelare la nostra dignità di Stato democratico. Questo compito, visto che il governo Berlusconi non fa nulla, spetta al Parlamento che a questo punto deve bocciare la ratifica dell’accordo con il Brasile sulla cooperazione in materia di difesa militare, che la Camera si troverà a votare l’11 gennaio. Se il Brasile non si fida dell’Italia per riconsegnare un criminale condannato anche in sede europea, è evidente che l’Italia non puó pensare di avviare una cooperazione in una materia delicata come quella della difesa militare e degli armamenti. Questa è l’occasione giusta in cui ogni parlamentare deve guardare alla propria coscienza e alla tutela del proprio Paese, staremo a vedere a quanti interessa davvero la questione». Paolo Bolognesi, presidente dell’Associazione familiari vittime della strage alla stazione di Bologna del

2 agosto 1980, questo fatto denoterebbe «ancora una volta l’insufficienza e l’incapacità del governo italiano di tutelare la dignità del Paese e delle vittime del terrorismo». Per Nicola Tanzi, segretario del sindacato di polizia Sap «si tratterebbe di un’autentica vergogna, di uno schiaffo al nostro Paese e soprattutto alle vittime del terrorismo, a partire dai due poliziotti uccisi da Cesare Battisti. Ci auguriamo che il presidente Berlusconi e il ministro Frattini facciano subito sentire la loro voce perché chi è stato condannato a quattro ergastoli non può pensare di farla franca in questo modo. Siamo altrettanto sconcertati nell’apprendere che le motivazioni che stanno dietro alla mancata estradizione sarebbero da ricondurre al“rischio morte” per Battisti in Italia. Pensiamo che un Paese come il Brasile, dove le strutture carcerarie sono tra le peggiori al mondo e dove le rivolte sono all’ordine del giorno, abbia poco da insegnare all’Italia. Crediamo che sia opportuna una mobilitazione della società civile e ci auguriamo che il governo faccia tutto il possibile per convincere il Brasile ad estradare questo ex terrorista che sino a oggi non ha mai mostrato segni di pentimento».


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l’approfondimento

Gli «amici» (chiamiamoli anche «soci») di Berlusconi continuano a creare imbarazzo al nostro Paese sulla scena internazionale

L’Italietta

Affari con Lula senza rispetto per le vittime del terrorismo, navi regalate alla Libia che poi sparano sui nostri pescherecci, alleanza di ferro con Putin malgrado i vincoli con gli Usa: è la nostra politica estera di oggi. Tra business e figuracce di Maurizio Stefanini la decisione in extremis di Lula di lasciare libero Cesare Battisti è un ennesimo rovescio della politica estera di Silvio Berlusconi? In realtà, a guardar bene, no. Nel senso che quando lo scorso 29 giugno il Cavaliere andò in visita dal presidente brasiliano, in realtà di tutto parlano i due, eccetto che del terrorista. Si scambiarono invece battute su donne e calcio, con gli auguri di Berlusconi alla nazionale carioca per il mondiale in cui l’Italia era già stata eliminata: e che risultarono peraltro controproducenti, visto che il Brasile venne a ruota eliminato dai Paesi Bassi. Soprattutto però, con 60 imprenditori italiani al seguito in rappresentanza di 80 aziende, i due parlarono di affari: 10 miliardi di dollari tra infrastrutture e rafforzamento delle Forze Armate per proteggere i novi giacimenti di petrolio trovati nell’Atlantico del Sud (Fincantieri, Finmeccanica, Ferrovie dello Stato, Piaggio, Fiat, Pirelli, Telecom, Impregilo, Saipem, Eni…). «Con Lula ci capiamo al volo», disse Berlusconi. Si capirono al volo, appunto, nel senso anche di non «perdere tempo» su un tema spinoso, e economicamente sterile.

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Ma questo è esattamente quanto è accaduto nei rapporti tra Berlusconi e Gheddafi. Affari, indiscutibili. Garanzie sul controllo del flusso dei clandestini, su cui forse ci sarebbe invece da discutere se effettivamente funzionali all’interesse nazionale o non semplicemente a quello di bottega elettoralistica della Lega. E poi il pasticciaccio brutto della vedetta di classe Bigliani: quella piccola nave guardacoste che abbiamo fornito alla Libia ai sensi degli accordi del 2008 proprio per contribuire a combattere l’immigrazione clandestina, e che invece poi ha mitragliato il peschereccio italiano

Il caso Wikileaks ha certificato l’immagine che molti hanno di noi

Ariete. Benché quel pescherevvio avesse a bordo alcuni nostri militari che poterono intervenire solo per consigliare ai connazionali al servizio dei libici di arrendersi. Più qualche altra figuraccia minore: dalle hostess pagate per ascoltare le prediche del Corano e far vedere che si convertivano, alla storia del Bunga Bunga.

Fortunatamente, alle pacche sulle spalle tra Berlusconi e Putin o Lukashenko non è invece stata associata alcuna soperchieria diretta nei nostri confronti. Ma sì quella insofferenza degli Stati Uniti che è rimbalzata an-

che nelle indiscrezioni di Wikileaks, tra le accuse al Cavaliere di lavorare come portavoce di Putin e la caricatura della mosca cocchiera a proposito della pretesa mediazione (lautamente pagata, dicono loro) con la Georgia. Intendiamoci: su Wikileaks di fango ce ne è stato per tutti, non solo per il Cavaliere. Quella dei «giri di valzer» con i Paesi teoricamente nell’altro campo rispetto a quelli con cui siamo schierati, poi è una vecchia abitudine nazionale. Spesso una necessità per una media Potenza stretta tra Mediterraneo e Centro Europa; e derivante d’altronde direttamente da quella tradizione dei Savoia di «finire una guerra dalla stessa parte in cui l’avevano incominciata solo se avevano cambiato fronte un numero pari di volte» che ha attirato sì l’ironia dei Grandi, ma permise pure al piccolo Piemonte di sottrarsi alla stretta potenzialmente mortale tra francesi ed Asburgo.

N o n d i m e n t i c h i a m o poi certi “scambi” che ci furono in gran quantità nella Prima Repubblica, e per cui noi ad esempio scordammo Cefalonia o le Foibe in omaggio alla necessità di recuperare l’esercito tedesco alla Na-


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Il premier continua a parlare di un ipotetico «allargamento della maggioranza»

Coalizione per governare, non accordi per vivacchiare

Pdl e Pd continuano a non prendere atto del fallimento del loro progetto bipartitico. E invece serve una svolta per rilanciare il Paese di Francesco D’Onofrio l termine di questo 2010 e in vista delle decisioni che saranno prese nel corso del 2011, è opportuno soffermarsi per qualche minuto su una questione di fondo, che è al centro della riflessione che l’Unione di centro sta compiendo, soprattutto alla luce della radicale innovazione politica ed istituzionale avvenuta nel contesto delle elezioni politiche del 2008. È molto opportuno che questa riflessione sia seriamente compresa sia dal Partito democratico sia dal Popolo della libertà, perché si tratta della questione di fondo di fronte alla quale essi si trovano proprio sul tema del significato attuale da attribuire al termine bipolarismo. Per l’Unione di centro è infatti essenziale il considerare che essa è ad un tempo il punto di approdo dell’esperienza del Ccd, del Cdu e di De, e il punto di partenza della nuova fase politica apertasi appunto con le elezioni politiche del 2008.

A

In quelle elezioni prendeva infatti corpo una ipotesi di orgogliosa autosufficienza bipartitica, caratterizzata dall’affermazione di Veltroni e di Berlusconi relativa alla vocazione maggioritaria di Pd e Pdl, per tale sostanzialmente intendendosi il passaggio dalla cultura delle alleanze politiche che aveva caratterizzato la cosiddetta Prima Repubblica alla cultura iperpersonalistica della vocazione maggioritaria di due soggetti politici – il Pd e il Pdl – che affermavano di ritenere persino “inutile” il voto dato a soggetti diversi da essi. Quel bipartitismo si fondava su una radicale discontinuità rispetto alla tradizione democratica dell’Occidente europeo: due partiti uni-personali in luogo di due coalizioni politiche alternative rispetto alla proposta di governo per il proprio Paese. L’unità politica, che nell’esperienza della cosiddetta Prima Repubblica si era realizzata nell’ufficiale riconoscimento dell’autonoma soggettività politica dei partiti che avevano dato vita a due coalizioni alternative di governo, finiva con il diventare – in vista delle elezioni politiche del 2008 – una unità realizzata quasi esclusivamente da colui che guidava l’uno o l’altro partito, all’interno dei quali si finivano persino con il trasformare in simulacri le diverse identità politiche dei soggetti

che partecipavano pertanto in qualità di singoli individui all’uno e all’altro partito.

L’Udc si opponeva a questa pretesa in nome del principio del primato della coalizione politica ai fini del governo dell’Italia, ritenendo che Pd e Pdl

Per Il Cavaliere non c’è differenza tra «campagna acquisti» e rapporti programmatici con altre forze fossero sostanzialmente due cartelli elettorali, capaci pertanto di combattere per la vittoria elettorale ma non anche di governare l’Italia una volta terminata la competizione elettorale medesima. Da allora ad oggi sono avvenuti fatti significativi di disgrega-

zione proprio del Pd e del Pdl in nome della cultura delle coalizioni: sul versante della sinistra si è pertanto di fronte al passaggio dalla pretesa individualistica di Veltroni all’abbandono di Rutelli ed alla tuttora peraltro incompiuta cultura della coalizione propria di Bersani; dall’altro lato lo scontro tra Berlusconi e Fini ha posto in evidenza proprio la insufficienza di una aggregazione esclusivamente personalistica se si vuol dar vita ad

un soggetto politico capace di governare l’Italia, e non si tratta solo di vincere le elezioni. È questa la questione di fondo di fronte alla quale si trovano oggi il Pd di Bersani e il Pdl di Berlusconi: il bipolarismo al quale fanno entrambi riferimento è un bipolarismo che sostanzialmente nasconde una perdurante vocazione bipartitica, o è anche la ricerca di una coalizione nella quale ciascun soggetto politico ha il dovere di indicare contemporaneamente identità e proposta di governo?

Sentir parlare di un ipotetico allargamento della maggioranza da parte del Pdl, basato o sull’aggregazione di singole individualità culturalmente e politicamente anche “raccogliticce”, o su un rapporto politico con l’Udc, che deve necessariamente essere “nuovo”, in quanto teso al governo del Paese e non già alla sola contesa elettorale, fa pertanto emergere la questione di fondo di fronte alla quale si trova oggi il Pdl e per converso lo stesso Pd: cartello elettorale o coalizione politica? Da questa alternativa non si esce, a sinistra, se non si risolve definitivamente la questione della proposta di governo per l’Italia di oggi nel contesto dell’unità europea e

della globalizzazione; dall’altro lato, perché si continua ad insistere su ipotesi meramente individualistiche ed elettorali, con le quali si può forse “vivacchiare”, ma certamente non si governa. La cultura della coalizione è infatti il fondamento politico del nuovo Polo, lo si chiami – come noi preferiamo – Polo della Nazione o Polo degli Italiani, o – come altri pervicacemente continuano a chiamarlo – Terzo Polo.

to o Tito a un’esigenza di contenimento dell’Urss, ma ottenendo d’altronde in cambio che pure sui crimini di guerra compiuti dai nostri soldati in Africa o in Jugoslavia calasse poi l’oblio. E gli stereotipi sull’Italia una certa stampa internazionale ce li butterebbe in faccia, chiunque fosse il leader alla testa del nostro governo. Con tutta la buona volontà, però, sembra davvero difficile ravvisare in certi cedimenti attuali un parallelo con le dure necessità della Guerra Fredda. Berlusconi, poi, non è “chiunque”. È un tycoon delle comunicazioni, che ha attraversato diciassette anni di politica italiana proprio valendosi delle sue doti di grande comunicatore, e anche il cui successo imprenditoriale fu dovuto al lancio di un tipo di tv che per lo meno il grande pubblico colse come sprovincializzante. Cioè, contro la storica impostazione autarchica della Rai, colui che ci fece vedere in quantità film e soap operas Usa, telenovelas latino-americane e cartoni animati giapponesi.

La stessa Forza Italia nacque con l’intenzione di dare al Paese una moderna forza moderata nell’ambito di un bipolarismo di modello appunto anglo-sassone. Possibile che sia proprio questo grande comunicatore quello che diventa una macchietta della stampa internazionale attraverso l’immagine del suo “harem”, o le corna, i “cucù” e le gaffes distribuite nei vertici internazionali? Dall’attacco su tutta la linea alla Finlandia, tra cucina e chiesetta d legno da togliere di mezzo e arti da playboy da mettere in campo con la presidentessa Tarja Halonen; all’«abbronzatura» di Obama… Possibile che proprio questo leader volitivo esponga poi l’Italia a umiliazioni stile Battisti o Ariete? Possibile che un Paese i cui soldati stanno svolgendo un ruolo di primo piano in Afghanistan sia citato nei rapporti della diplomazia Usa non per i caduti, ma per le abitudini nottambule del suo Presidente del Consiglio? Qua, forse, si può ricordare quando Mussolini andò per la prima volta in visita di Stato in Inghilterra, e fece rifiutare una conferenza stampa da un portavoce con queste battute: «Il Duce è molto stanco, sta a letto, probabilmente sta facendo l’amore con una bella ragazza, e non vuole essere disturbato». Micidiale come impatto, in un Paese puritano magari in modo ipocrita come il Regno Unito dell’epoca: dove certe cose forse si facevano a tutto spiano, ma senza spiattellarle a quel modo. Ma in Italia si alimentava invece il mito del leader super-virile. Appunto: quelle che sembrano gaffes, in realtà sono perfettamente funzionali a un’immagine interna di grande simpaticone, vitaiolo e iper-ottimista che poi permette al Cav di vincere elezioni a ripetizione. Ma al costo accettato di compromettere poi l’immagine nazionale in altri Paesi, dove invece la percezione di come dovrebbe essere un leader è molto diversa. E anche la scelta di barattare Battisti o i pescatori con ben più sostanziosi affari, deriva da un preciso calcolo sul dare e avere. Tanto di spesa; tanto di tornaconto; tanto di guadagno netto. A patto, si intende, di mettersi d’accordo sul valore che bisognerebbe poi dare alla dignità nazionale, o al dolore dei figli delle vittime del terrorismo.


diario

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Ferrario al Tg1, dice il tribunale

Benedetto XVI mette in riga lo Ior

Una famiglia su tre a rischio crisi

ROMA. Ancora un knock-out

CITTÀ DEL VATICANO. Anche lo

ROMA. Sono aumentate, nel

giudiziario per la Rai: il tribunale di Roma, accogliendo il ricorso in via d’urgenza di Tiziana Ferrario, ha ordinato alla Rai di reintegrare la giornalista nelle mansioni di conduttrice del Tg1 delle 20 e di inviata speciale per grandi eventi. Il giudice ha ravvisato nella rimozione di Tiziana Ferrario dell’incarico di conduttrice del tg della rete ammiraglia una «grave lesione della sua professionalità per motivi di discriminazione politica a seguito dell’opposizione della stessa giornalista alla linea editoriale del direttore Augusto Minzolini». Secondo il giudice, la rimozione della Ferrario coincide con il suo «dissenso alla linea editoriale impressa al telegiornale dal nuovo direttore».

Ior dovrà attenersi rigorosamente alle normative antiriciclaggio dell’Unione europea. A sancirlo è un “motu proprio” di Benedetto XVI pubblicato oggi. L’istituto bancario dovrà rispettare le norme della Convenzione monetaria firmata il 17 dicembre dell’anno scorso a Bruxelles dall’Unione europea e dalla Città del Vaticano. Una decisione che arriva a due mesi dalla sentenza del Tribunale del Riesame di Roma, che aveva stabilito il sequestro di 23 milioni di euro allo Ior, reo di aver ignorato gli obblighi di trasparenza. Un’autorità di presiederà al rispetto delle norme antiriciclaggio. L’obiettivo del Vaticano è l’iscrizione alla ”white list” dei Paesi in linea con l’Ocse.

2009, le famiglie che non sono state in grado di fronteggiare spese impreviste, che si sono indebitate e che sono in arretrato con debiti diversi dal mutuo. È questo il quadro che emerge dall’indagine dell’Istat su «Reddito e condizioni di vita in Italia negli anni 2008-2009». Nel 2009, il 15,2% delle famiglie ha presentato tre o più sintomi di disagio economico. Un valore, questo, che se non presenta variazioni statisticamente significative rispetto all’anno precedente (quello in cui la crisi era in gestazione) e si conferma molto più elevato tra le famiglie con cinque componenti o più (25,8%), residenti nel Mezzogiorno (25,1%) e tra le famiglie con tre o più minori (27,1%).

Alemanno scarica sulla Polverini la grana Malagrotta: nessuna nuova discarica a Roma. E la provincia di Torino rifiuta le ecoballe campane

I botti con l’immondizia

Allarme a Napoli: si teme che i petardi possano dar fuoco ai rifiuti di Francesco Pacifico

Il presidente della Provincia di Napoli Luigi Cesaro cerca di gettare acqua sul fuoco in vista di Capodanno: «Abbiamo previsto turni straordinari per la raccolta dei rifiuti, così come già accaduto per le giornate del 24 e del 26 dicembre». Ma il vero problema è che le strade di Napoli sono ancora piene di rifiuti

ROMA. Questa volta la Bomba di Cavani potrebbe mettere nei guai Napoli. Perché se nella mattinata di domani i cittadini di Chiaiano e di Marano erigeranno sotto il palazzo della Regione una grande statua composta da sacchetti, per la notte del 31 si guarda con terrore ai tanti abitanti che sparano abitualmente petardi e razzi. E che finiscono sui marciapiedi, occupati in questi giorni da circa mille tonnellate di rifiuti. C’è il timore che Napoli, a Capodanno, sia avvolta da una grande pira tanto che da giorni le autorità lavorano per sensibilizzare i cittadini a non usare botti illegali, promettono premi per chi sarà virtuoso e stanno tenendo riunioni e riunioni per rafforzare i servizi di pattugliamento delle zone più calde.

Al momento l’unica certezza è la decisione della Protezione civile di bagnare le pile di immondizia per strada. Una scelta che ha scatenato l’ilarità dei vigili del fuoco di Napoli. In una nota sindacale fanno notare che «il progetto di bagnare i cumuli di rifiuti è tecnicamente discutibile» e che, da mesi, i pompieri spengono decine e decine di roghi nonostante il governo «non riconosca più dal 2009 gli straordinari grazie ai quali si è sopperito alla carenza di personale». Silvio Berlusconi ha approfittato di una kermesse organizzata dal deputato napoletano Paolo Russo, e telefonicamente ha lanciato nuove promesse ai napoletani. Se fino a poco tempo parlava di giorni, ieri ha scandito: «In pochi mesi riusciremo a trasformare la situazione di Napoli». Pulirà Napoli e co-

struirà gli impianti che mancano. Anche perché «scenderò di nuovo in campo, ma con un’iniziativa personale». L’importante è contrastare la «volontà precisa per dimostrare urbi et orbi che l’intervento del governo non è stato risolutivo». Al momento il Cavaliere fa fatica anche a convincere gli enti locali ad aiutare Napoli. Antonio Saitta, presidente della provincia di Torino e uomo forte del Pd piemontese, ha fatto sapere che «non prenderemo sotto la Mole i rifiuti di Napoli. Lo avevamo detto a Prodi, lo abbiamo già detto a Berlusconi e lo ripeteremo. Non si illuda che con qualche telefonata a Cota risolva la questione». Al riguardo, e durante una riunione straordinaria a palazzo Chigi, Gianni Letta ha richia-

mato le istituzioni a una maggiore disponibilità. «Ognuno», ha detto il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, «si assuma le proprie responsabilità e faccia la propria parte. La situazione a Napoli è una ferita per l’orgoglio italiano». Accanto ai governatori, principali destinari dell’appello le autorità campane, presenti al completo al vertice di ieri. A Roma non è piaciuto il tutto contro tutti che ha visto coinvolti il sindaco di Napoli Rosa Russo Iervolino, il governatore Stefano Caldoro, e i presidenti delle provincie di Salerno (Edmondo Cirielli), Napoli (Luigi Cesaro) e Caserta (Domenico Zinzi). Tutti chiamati ad accogliere parte dell’immondizia che sommerge da settimane il capoluogo campano.

Letta ha acconsentito a fare limitatissime modifiche sulle norme recentemente varate per far fronte all’emergenza. Intanto, e a dispetto del consiglio della Iervolino di tenersi gli scarti del cenone di Capodanno, dalla provincia di Napoli hanno fatto sapere che gli «Stir di Giugliano e Tufino, impianti per l’imballaggio e il compostaggio dei rifiuti, lavoreranno anche la notte del 31 dicembre e il 1 gennaio 2011».

Il suo presidente, Luigi Cesaro, fa notare che «nel giorno di Natale gli impianti non erano chiusi», quindi ha puntato il dito contro «la fallimentare gestione della società comunale Asia». Cesaro ha anche annunciato che nel 2011 partiranno i lavori per costruire cinque im-

pianti di compostaggio. Ostenta tranquillità l’assessore all’Igiene urbana del comune di Napoli, Paolo Giacomelli, perché nelle ultime ventiquattr’ore le tonnellate di immondizia presenti in città sono calate da 1.400 a mille tonnellate. Un “successo” ottenuto per la possibilità di conferire immondizia presso lo Stir di Santa Maria Capua Vetere (Caserta) e non solo nella discarica di Chiaiano. «Se continuassimo ad avere lo stesso ritmo anche domani e dopodomani», sottolinea, «potremmo avere una città assolutamente decorosa per il week end di Capodanno». In attesa di capire che cosa succederà, la tensione resta alta. Nella notte tra martedì e ieri un gruppo di giovani con il volto coperto ha riempito le corsie di


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Cenone di Capodanno. Zampone o cotechino?

Due bombe carta nel varesotto contro una sede della Lega VARESE. Due petardi sono stati esplosi, la scorsa notte, davanti alla alla sede della Lega Nord a Gemonio, in provincia di Varese. Benché le stampa locale abbia parlato di «due ordigni» la cui deflgrazione avrebbe provocato «danni al portone e ai vetri delle finestre», le autorità hanno smentito spiegando che si è trattato, appunto, di due petardi che hanno mandato in frantumi due vetrine. Sul muro, la scritta con vernice spray ”Antifa secondo atto”rivendica l’azione di membri dell’area anarchica vicino ai centri sociali, spiegano gli investigatori. Secondo i primi risultati delle indagini ad agire potrebbero essere state due persone e, al momento, le indagini si concentrano in un ambito provinciale, soprattutto in direzione di persone gia note alle forze dell’ordine. Sdegno e fermezza hanno mostrato i dirigenti leghi-

via Marina, arteria sul mare che collega la periferia al centro della città, di sacchetti provenienti dal vicino quartiere delle Case nuove. Ma a peggiorare le cose potrebbe essere la guerra in atto tra gli enti locali della Campania, compresi quelli dello stesso colore. Da Salerno il presidente della Provincia, Raffaele Cirielli, ha detto che è pronto a sospendere gli aiuti, se il governo non troverà i soldi per pagare gli arretrati ai dipendenti delle municipalizzate dei rifiuti. «Tra poco», dice, «non soltanto non avremo più discariche, ma neanche più i dipendenti che devono accogliere l’immondizia. Salerno dovrebbe ricevere almeno 120 milioni su tutta la provincia: soldi che i Comuni non pagano». Non ci saranno cumuli di rifiuti nelle strade, ma con la discarica di Malagrotta vicina alla saturazione, il problema infiamma anche Roma. Dopo tanti tira e molla il sindaco Gianni Alemanno ha ufficializzato che non intende far installare nel suo territorio una nuova discarica e ha passato la palla alla Regione. Ieri mattina il Campidoglio ha notificato alla Pisana la propria valutazione «sulla non esistenza di aree idonee all’interno del territorio comunale per la realizzazione di nuovi impianti integrati». Di conseguenza toccherà a Renata Polverini scegliere il sito e prendere una decisione a dir poco impopolare. Quanto sta avvenendo scandalizza non poco l’ex vicepresidente del Lazio, Esterino Montino. «La decisione del sindaco di non indicare un sito alternativo a Malagrotta», dice, «certifica il suo fallimento politico e personale, azzera l’arroganza del Pdl e coinvolge nel crollo l’intera coalizione che lo sostiene in Campidoglio. Dopo due anni di chiacchiere Alemanno ha deciso oggi di abdicare al suo ruolo scaricando ogni responsabilità sulla Regione». Il primo cittadino non accetta queste critiche. Parla di «delirio di Esterino Montino contro Roma Capitale e contro il sottoscritto» e si chiede come mai

g i u d i z il e t t e r ep r o t e s t es u g g e r i m e n t i

sti: il ministro dell’Interno Maroni, per esempio, ha tuonato un classico «Non ci faremo intimidire». E del resto ci vuole ben altro che due petardi per intimidire la Lega. Le maggiori preoccupazioni, comunque, sono legate al fatto che a qualche centinaio di metri dalla sede leghista oggetto della burla pirotecnica c’è una delle residenze di Umberto Bossi. Solidarietà nei confronti di Bossi e preoccupazione sono state espresse dal governatore del Veneto Zaia.

Berlusconi: «Scendo di nuovo in campo e risolvo tutti i problemi». Letta richiama gli enti

Dall’alto: Stefano Caldoro, governatore campano; Gianni Letta; il sindaco di Roma Gianni Alemanno e Renata Polverini

«l’ex vice di Piero Marrazzo, negli anni in cui governava Roma, non è mai riuscito a trovare un’alternativa a Malagrotta dentro il territorio del Comune. A meno che quest’alternativa non sia il sito di Monti dell’Ortaccio, che si trova di fronte a Malagrotta e che è di proprietà dello stesso imprenditore». Ha provato a sedare gli animi la Polverini. Che per prima cosa ha chiesto a Palazzo Chigi di lanciare una procedura d’urgenza per l’individuazione di un sito alternativo a Malagrotta e di nominare un commissario per l’impianto. Quindi ha cercato alleanze bipartisan. La governatrice ha ammesso di non aver ancora parlato con Nicola Zingaretti, presidente della provincia di Roma e titolare dei poteri sulla gestione del ciclo dei rifiuti – «Ma lo farò presto» – però ha sottolineato di aver «informato tutte le forze di maggioranza, anche quelle di opposizione: ho chiamato il capogruppo del Pd Esterino Montino, al quale ho chiesto di coinvolgere anche gli altri perché credo che su una questione così importante come i rifiuti di Roma tutte le forze politiche debbano essere coinvolte. Ci incontreremo dopo questa breve pausa». Francesco Carducci, capogruppo regionale dell’Udc, fa sapere che i centristi sono favorevoli all’idea di prorogare l’attività della discarica di Malagrotta». E consiglia, «in attesa di individuare dei siti alternativi», di «continuare a smaltire i rifiuti a Malagrotta per un periodo limitato di tempo».

Intanto trenta sindaci della provincia di Roma hanno scritto direttamente al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e al premier Silvio Berlusconi, per evitare l’apertura di una nuova discarica sui loro territori, come chiesto da Alemanno. Un appello lanciato perché «Roma è il primo produttore di immondizia» ma vuole scaricare tutte le sue responsabilità sulla periferia. Eppoi c’è «l’altissimo rischio che anche qui possa ricrearsi un caso Napoli».

Zampone o cotechino? La vexata questio si ripropone ogni volta che si avvicina la fine dell’anno perché è “obbligatorio”il consumo di questi prodotti, accompagnati dal tradizionale contorno di lenticchie. Si sa che del maiale non si butta nulla, così nacque l’idea (nel 1511 durante un assedio) di utilizzare anche le parti meno nobili per poterle consumare in tempi successivi. Il contenuto dello zampone e del cotechino è sostanzialmente identico, si tratta infatti di parti del maiale (muscoli di spalla, cotenna, lardo, musetto, orecchie) macinate, con aggiunta di condimenti e spezie. Il valore nutritivo è piuttosto elevato. La differenza sta nell’involucro, che nello zampone è costituito dalla cotenna della zampa (mangiabile) e nel cotechino dal budello, che un tempo era naturale e oggi può essere sintetico, quindi non commestibile.

Primo Mastrantoni

FESTE DI FINE ANNO, LO STRESS PUÒ ROVINARLE La fine dell’anno è vissuta da alcuni come un incubo, perché si trasforma in un tour de force fatto di stress e stati d’animo negativi, con ripercussioni sulla salute dell’organismo. Si fanno bilanci, si guarda al futuro con preoccupazione, si deve convivere anche brevemente con persone con le quali ci sono stati problemi. I rapporti umani possono farsi difficili, mentre chi è solo o ammalato sente più pesante la propria condizione. Un valido aiuto può venire dalla floriterapia originale del dottor Bach: trentotto rimedi a base di fiori ed erbe, che possono influire positivamente su molteplici situazioni di disagio e conflitto. Una terapia naturale sperimentata con successo da oltre ottant’anni, accettata dall’Oms, e che si è dimostrata efficace non solo nell’affrontare le lievi ansie di tutti i giorni, ma anche quando si manifestano problemi e patologie più gravi, da gestire con calma e lucidità. Non è necessario“credere”in questa terapia: i fiori di Bach funzionano anche nei bambini, negli animali e nelle piante.

Vera Paola Termali

L’IMMAGINE

Sorsi sacri Per questa bambina Kalash - popolazione che vive sulle montagne tra Pakistan e Afghanistan - nulla è meglio del latte di capra. Tale latte è sacro perché viene da animali che vivono sui monti, dove dimorano anche le fate ASSISTENZA PER LE PERSONE AFFETTE DA SLA Bisogna sostenere le famiglie che si fanno carico di assistere soggetti totalmente o gravemente non autosufficienti affetti da patologie dei “motoneuroni”e in particolare da Sclerosi laterale amiotrofica (Sla), che devono o scelgono di ricorrere a una forma di assistenza domiciliare, evitando l’inserimento in strutture sanitarie, preferendo il mantenimento dell’assistito all’interno della famiglia, in virtù dell’applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale. Queste patologie gettano le famiglie in difficoltà gravissime, poiché spesso i familiari del malato sono costretti a lasciare il lavoro o a ricorrere al regime part-time, riducendo drasticamente il loro budget economico. Bisogna, garantire a queste persone la possibilità di essere assistite in modo qualificato nel loro contesto familiare, aiutandole a mantenere il più a lungo possibile una vita affettiva e relazionale, attraverso l’erogazione di prestazioni economiche equivalenti alla quota sanitaria dei servizi residenziali. Tali finalità si concretizzano nell’aiuto diretto alle famiglie, consistente nell’erogazione di un assegno mensile variabile in progressione da 1000 a 1500 euro, che si configura quale intervento innovativo atto a valorizzare la cura a domicilio della persona, destinato a sostenere le funzioni dei familiari che si fanno carico dell’attività di aiuto e supporto alla persona.

Sandra Monacelli

ETICHETTE ALIMENTARI: UN REBUS Per l’Efsa (l’Autorità europea per la sicurezza alimentare) è uno strumento abusato, tanto da spingerla a bocciare la maggior parte dei messaggi contenenti funzioni benefiche, mentre per gli italiani si rivelano essere un vero e proprio rebus. Sono le etichette dei prodotti alimentari che ogni giorno riempiono il carrello della spesa. Le motivazioni? Diciture minuscole, nomi incomprensibili, nessuno strumento a disposizione per poterla leggere nel modo adeguato. E gli additivi alimentari che compaiono sulle etichette? Servono solo a rendere più belli gli alimenti piuttosto che per conservare a lungo i prodotti. Più che un rebus, per gli italiani l’etichetta sembra dunque scritta in un’altra lingua.

Giacomo Simonelli


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lla fine è stata rottura con la Fiom che urla alla libertà negata e proclama otto ore di sciopero. Dopo Pomigliano d’Arco, anche Mirafiori entra nella storia del sindacalismo italiano nel peggiore dei modi possibile. Con una frattura che passa all’interno del mondo dei lavoratori, visto che tutti gli altri sindacati hanno siglato l’accordo, ma anche con un conflitto nella stessa Cgil, che non sarà facile gestire. Non si faccia troppo conto sulle dichiarazioni di solidarietà di alcuni dirigenti della Confederazione. Fanno parte di un dibattito interno inevitabilmente destinato a divenire più aspro, quando sarà chiaro, dopo il referendum, da quale parte stanno le ragioni. Certo, le nuove regole, che gli altri sindacati hanno sottoscritto, sono meno accomodanti rispetto al passato.Turni più duri, meno pause, una diversa disciplina degli straordinari, lotta più decisa alle forme di assenteismo che si nascondono dietro quei medici compiacenti pronti a rilasciare la certificazione di malattie immaginarie, una maggiore disciplina nell’organizzazione del lavoro. Ma basta questo per qualificare l’accordo «indifendibile e vergognoso»? Di fatto, l’accusa nei confronti delle altre componenti sindacali di essersi trasformati nella stampella del padronato. E poi la difesa intransigente del contratto nazionale. Come se la parola stessa – contratto – non evocasse clausole negoziate e non leggi immutabili scritte sulla pietra. E infine una spruzzata di vittimismo. Sergio Marchionne – è stato detto – ha escluso il più rappresentativo sindacato italiano del comparto. «Uno dei più gravi attacchi alle relazioni sindacali italiane»: come ha replicato Vincenzo Scudiere, segretario confederale della Cgil? Suvvia: un po’di logica. Quella non è stata un’espulsione, ma un’autoesclusione. La Fiom può rientrare in qualsiasi momento, firmando gli accordi che altri hanno sottoscritto. Ciò che non può pretendere è che gli altri smentiscano se stessi, riaprendo la trattativa solo per far piacere a Maurizio Landini. E alla sua intransigenza.

A

Detto questo, non tutto è chiaro in questa vicenda. Com’è noto i due stabilimenti saranno gestiti da due distinte newco. Due società, sempre controllate dal Gruppo torinese, ma operanti sotto una distinta bandiera. A prima vista un bizantinismo. Di fatto una soluzione che lascia intravedere un contrasto profondo tra Confindustria da un lato ed il manager italo canadese dall’altro. Il nodo del contendere è proprio il contratto collettivo, nonchè le regole e le prassi che in tutti questi anni hanno regolato i rapporti tra Via dell’Astronomia ed il variegato mondo del lavoro italiano. In Cgil si è colta questa contraddizione. Quando lo stesso Scudiere si interroga se Confindustria «intende proseguire il confronto avviato con il tavolo sulla crescita o sposare la linea dell’amministratore delegato Fiat» mette, appunto, il dito nella piaga. E lascia a noi l’onere di una possibile spiegazione. L’accordo separato riguarda un tipo di produzione – l’automobile – che sta vivendo una crisi globale. Eccesso di produzione a livello mondiale, concorrenza di prezzo e di qualità spinta al limite, avvio di un processo di concentrazione che, alla fine, lascerà in vita solo quattro o cinque grandi produttori. Sergio Marchionne vuole essere tra questi. Ma per realizzare questo obiettivo e mantenere

il paginone

La strategia di Marchionne ha spaccato la sinistra. Ma non è una novità nel mov

La triplice allea

di Gianfran

Sull’accordo di Mirafiori è rottura tra Fiom e Cgil (con Landini che proclama uno sciopero quasi da solo). Ma la storia del sindacato italiano è piena di «ricucitori»: da Di Vittorio a Lama a Trentin Qui sotto, l’ingresso di Mirafiori. Accanto, Luciano Lama a un comizio del 1975. A destra, la «Marcia dei quarantamila» che chiedevano la fine degli scioperi alla Fiat nell’ottobre del 1980 e, sotto, Bruno Trentin

in Italia una parte non secondaria di quella produzione, occorrono regole diverse dal passato. Una più forte produttività; una più marcata utilizzazione degli impianti, da far girare a ciclo continuo; una coesione interna ben più forte di quella degli anni passati. Se ci sono queste condizioni si può azzardare un investimento di svariati milioni. Se vengono meno questi presupposti, meglio lasciar perdere per non gettare il dena-

ro dalla finestra. Confindustria, invece, opera in un mondo in parte diverso. Le grandi aziende italiane che ancora ne fanno parte sono presenti nel comparto dei servizi – Eni ed Enel – o sono collegate – come Finmeccanica – alle commesse pubbliche. Il resto è rappresentato da medie e piccole aziende. Da strutture più flessibili, dove le stesse relazioni sindacali hanno le loro peculiarità. Tant’è che numerosissimi sono stati gli accordi in deroga, firmati dalla stessa Fiom. Ecco allora una delle possibili risposte all’interrogativo di Scudiere. Con una postilla un po’ più acida. Finora i documenti approvati dalle parti sociali riguardano le emergenze sociali, la ricerca e l’innovazione, il Mezzogiorno e la semplificazione. Quello sulla competitività è invece ancora in alto mare. Come dire? Ci occupiamo del dolce, ma il piatto forte resta ancora da cucinare.

Se questa è la cronaca di un accordo mancato, lo strascico che questa vi-

cenda lascerà non sarà senza conseguenze. È la stessa storia del mondo del lavoro italiano a ricordarcelo. I metalmeccanici della Cgil sono stati sempre il sismografo di vicende ben più complesse, a partire dalla sconfitta alla Fiat – un caso? – nel 1955, quando la Cgil perse le elezioni per il rinnovo della Commissione interna. La storiografia di sinistra ricollega quelle vicende al clima che era maturato in Italia, all’indomani delle elezioni del 1948 e all’affermazione del centrismo democristiano. A monte era stata tuttavia

I metalmeccanici della Cgil sono stati sempre il sismografo di vicende ben più complesse, a partire dalla sconfitta nella Commissione interna alla Fiat nel 1955


il paginone

ovimento operaio: tutti i grandi leader hanno ricominciato proprio dagli strappi

anza del lavoro

nco Polillo

Negli anni Sessanta si affacciò una nuova classe di lavoratori: i figli del Sud. Coloro che avevano abbandonato il paese natio alla ricerca di un riscatto

la rottura dell’unità sindacale di qualche anno prima, che aveva portato alla nascita di quelle sigle che ancora oggi sono presenti nel panorama sindacale italiano. E più in generale al clima di “guerra fredda” che la logica di Yalta aveva imposto al nostro paese. Da quell’isolamento, politico ancor prima che sindacale, Di Vittorio - il segretario generale di quell’organizzazione - ebbe il coraggio di uscire con una pubblica autocratica che apriva le porte della sua organizzazione alle esigenze del cambiamento. E con il cambiamento iniziava la lunga corsa in salita che mirava a riunificare il mondo del lavoro italiano su una piattaforma sempre più autonoma dalla logica dei blocchi contrapposti e dai partiti che tali blocchi interpretavano.

È del 1956 un duro comunicato di condanna per l’invasione, da parte dell’Urss dell’Ungheria. E fu altrettanta perplessa la reazione a quel comunica-

to da parte del Pci, mentre molti intellettuali lo abbandonavano per aderire al Partito socialista. Agostino Novella, ex segretario generale della Fiom, raccolse l’eredità di Di Vittorio, quando quest’ultimo morì. Ne continuò e sviluppò la linea sindacale all’insegna di due grandi coordinate: autonomia crescente dai partiti ed unità sindacale. Una complessa costruzione – quest’ultima – che resse anche nei momenti più difficili, come durante gli anni ’60, quando la Cgil proclamò da sola lo sciopero generale per combattere la svolta di destra del Governo Tambroni, che si voleva reggere sui voti fascisti. Fu anche grazie ad esso che si chiuse un ciclo politico, in Italia,

con la nascita del centro – sinistra. Nel frattempo, grazie all’apporto di molti intellettuali, si tentava di interpretare i grandi mutamenti che scuotevano la società italiana. È sempre di quegli anni un convegno presso l’Istituto Gramsci sulle «Tendenze del capitalismo contemporaneo». Una delle relazioni era stata affidata a Bruno Trentin, un giovane dirigente sindacale destinato ad avere un grande futuro. Lì furono tracciati gli orizzonti che avrebbero guidato la lotta sociale in Italia negli anni a venire. Si prendeva atto delle grandi trasformazioni intervenute nella fabbrica moderna. Del suo essere “fordista”. Dove il lavoro operaio acquisiva una centralità in precedenza sconosciuta. E dove una “nuova” classe operaia prendeva il posto di coloro che avevano vissuto il dramma della guerra e della lotta partigiana. Erano soprattutto i figli del Sud. Coloro che avevano abbandonato il paese natio alla ricerca di un riscatto personale. Disponibili al sacrificio oltre l’inverosimile per non subire l’onta di una possibile sconfitta. Andavano organizzati: non più su basi ideologiche, come in passato, ma partendo dalle reali condizioni di lavoro all’interno dei luoghi di produzioSenza ne.

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smarrire, tuttavia, il senso di un orizzonte più vasto.

Occorreva, al tempo stesso, modificare le condizioni di lavoro, per ridurre lo stress psico-fisico della prestazione, ma senza bloccare il modello di accumulazione di capitale. Imporre, cioè, alla controparte di realizzare adeguati investimenti per le innovazioni di processo necessarie, presidiando, al tempo stesso, quelle rigidità, senza le quali ogni impegno sottoscritto si sarebbe risolto in una promessa di marinaio. Per far questo, le forze della sola Fiom non bastavano. Occorreva l’unità con le altre sigle sindacali ed una pressione dal basso che poteva nascere solo dagli strumenti - i Consigli dei delegati - della democrazia diretta. La costituzione della Flm fu il completamento di questo processo. A guidarla furono Bruno Trentin, per la Fiom; Giorgio Benvenuto per la Uilm e Pierre Carniti per la Fim. Diverranno rispettivamente segretari generali della Cgil, dell’Uil e della Cisl, seppure in tempi diversi. Ma il loro rapporto con i rispettivi partiti fratelli non fu mai né di acquiescenza né di sudditanza. Avevano, al contrario, l’ambizione di guidare un processo più complesso, facendo direttamente leva su un blocco sociale che aveva contribuito ad organizzare e che – a differenza di quanto accade oggi per la Fiom – non doveva vivere in solitudine, ma misurarsi con i problemi più generali dell’Italia, la cui soluzione richiedeva alleanze ben più vaste. Se si guarda a quegli anni, alle difficili sfide di quei momenti – non ultima il terrorismo degli anni Settanta – si può comprendere quanto importante sia stata la forza organizzata della Fiom e come questa forza sia stata utilizzata come una grande leva per far maturare processi di ben più ampia portata. Bruno Trentin divenne segretario generale della Cgil nel novembre del 1988. Di lì a pochi mesi sarebbe crollato il muro di Berlino, ponendo fine al’esperienza del “socialismo reale”. Doveva essere per tutta la sinistra italiana un momento di riflessione profonda. Il capire cosa salvare della passata esperienza politico – ideologica o cosa gettare alle ortiche. Nessuna abiura, ma liberare la mente per affrontare un nuovo che non poteva rientrare nelle vecchie categorie analitiche. Si optò, invece, per un continuismo furbesco. Cambiare tutto per non cambiare nulla. E ora la realtà chiede il conto. Lo chiede soprattutto a quelle categorie che, in passato, furono la punta di lancia del rinnovamento e dell’innovazione, ma che oggi sono mute ed afone di fronte alle sfide del cambiamento. Si pensi all’esperienza degli anni ’90. Fu accettata senza discutere la linea della Banca d’Italia. Lotta all’inflazione e duri sacrifici per entrare nell’euro. Ma scarsa e poca attenzione ai temi dell’economia reale, a quelle delle grandi riforme a partire dal fisco e dalle famiglie. Come se la politica del maggior rigore, comunque necessaria, fosse l’unico elemento risolutivo. Mentre in fabbrica avveniva una grande rivoluzione silenziosa che spazzava i residui del fordismo, esaltando nuove figure professionali, rinnovando l’antico contrasto tra la “vecchia” e la “nuova” classe operaia, trasformando gli antichi “diritti” in un nuovo elemento di divaricazione tra “padri” e “figli”. La rottura di Mirafiori rappresenta l’epilogo di questa lunga storia. La fine di un ciclo di cui la Fiom rischia di non essere più protagonista.


mondo

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80mila secondo le fonti ufficiali, più del doppio secondo le Ong. Sono i bambini dimenticati, sfruttati e ammazzati di un Paese della Ue. Come è possibile?

I boskettari di Bucarest Sono gli orfani che vivono nelle fogne, per non morire di freddo. La loro è un’altra città, sommersa e al buio di Martha Nunziata n incubo. Un sogno orribile dal quale, se sei nato a Bucarest e non hai una famiglia, puoi non svegliarti mai, nemmeno desiderandolo con tutte le tue forze. Una discesa negli inferi di una città sotterranea, nascosta e dimenticata. Sottosopra. I suoi abitanti si chiamano “boskettari”, hanno un’età che varia dai 3 ai 20 anni, e una cosa sola in comune, la disperazione. Perché per loro, gli orfani di Bucarest, il sottosuolo della capitale rumena rappresenta l’unico rifugio. Buio e fetido, ma caldo: grazie alle tubature di acqua che riscaldano tutta la città, nei sette mesi del rigido inverno dei Carpazi. Un sistema messo a punto dagli ingegneri di Nicolae Ceausescu, l’ultimo dittatore. Come in moltissime città dell’Est avrebbe avuto una funzione duplice: riscaldare il terreno, impedendo la formazione di ghiaccio e cedendo calore a strade e case, e permettere alla “Securitate”, la polizia segreta, di spiare, attraverso le botole, i nemici del regime. Geniale e perfido, allo stesso tempo. Esattamente come la politica demografica, ispirata alla grande nazione rumena: redditi tassati del venti per cento a chi, compiuti i 25 anni, non avesse ancora figli, e benefit, al contrario, a chi ne mettesse al mondo il più possibile. Le madri che arrivavano al decimo figlio ricevevano una medaglia d’oro, una macchina e il trasporto gratuito sui treni e sugli autobus. Storie di ordinaria follia, che hanno prodotto la mostruosità di una città sottosopra.

U

Un mondo “down-under” che ancora oggi, a oltre trent’anni di distanza dalla caduta del regime di Ceausescu, rappresenta una ferita aperta nel ventre della città, e nel cuore stesso di un paese, che all’altare della Unione Europea (la Romania ci è entrata l‘1 gennaio del 2007) ha sacrificato la propria infanzia. Nascondendola, ignorandola, umiliandola. Numeri impressionanti, che vanno ben al di là delle cifre ufficiali, come spiega a liberal Gabriella Zimpo, avvocato, consulente giuridico dell’Associa-

zione Cuore, che opera in Romania, che ha seguito tutta l’evoluzione sull’attività istituzionale internazionale del paese ed è stata consulente legale, nella XIV Legislatura, della Commissione bicamerale per l’infanzia. L’avvocato Zimpo, nel corso di un’indagine conoscitiva sulle adozioni internazionali, ha approfondito la tematica sulle adozioni in Romania, impossibili dal 2001, anno dal quale una moratoria internazionale le impedisce, dopo una serie di scandali provocati da adozioni illegali, traffico di organi e tratta di esseri umani. Il suo racconto mette i brividi: «I bambini abbandonati, che vivono fuori dalle famiglie di origine, e che sopravvivono in situazioni aberranti sono circa 80.000. E parliamo solo dei bambini censiti, quelli che risultano registrati alla nascita: perché in realtà potrebbero essere anche il doppio, piccoli esseri indifesi e invisibili, che potrebbero sparire e nessuno lo noterebbe». Una comunità fantasma, che popola i sotterranei. Perché a Bucarest l’importante è apparire: all’esterno la

Il sottosuolo, grazie alle tubature d’acqua (volute da Ceausescu) che riscaldano tutta la capitale, é l’unico rifugio nei sette mesi del rigido inverno dei Carpazi. Gli abitanti? Ragazzi dai 3 ai 20 anni città è una vetrina, pulita e perfetta, ma nelle viscere custodisce il suo segreto di disperazione.

«Questi bambini - continua l’avvocato Zimpo - vivono sotto terra, nelle fogne, calandosi dai tombini in questi cunicoli che portano nel sistema di riscaldamento della città; e la loro è un’altra città, sommersa, senza luce, al buio, dimenticata. E i

bambini che vivono sotto sono i più fortunati, perché sono al caldo delle tubature, evitano di morire di freddo, anche se moltissimi di loro, soprattutto i più piccoli, si procurano brutte fratture agli arti, cadendo, nel sonno, da quegli stessi tubi ai quali si abbarbicano per resistere al gelo». Per combattere i morsi della fame e della sete, invece, sniffano colla, la “droga dei poveri”. Molti di loro, però,

Le immagini di queste pagine (tranne quella di apertura) sono del fotografo rumeno Daniel Cojanu. Ritraggono tutte i bambini fantasma della capitale. La ragazzina con il naso da clown fa parte del progetto Parade


mondo Molte di queste strutture, un tempo ospedali psichiatrici, sono state chiuse, a seguito di varie denunce, anche della comunità internazionale, ma queste sono realtà che esistono ancora, eccome». Quella di Bucarest è un’emergenza umanitaria poco nota, nella quale la difesa dei diritti dei minori è affidata al volontariato, che, come spesso accade, arriva lì dove le istituzioni faticano.

L’Unicef si è già occupata in passato di queste situazioni, cercando di togliere i bambini dalla strada, ma chi riesce a fare di più sono sicuramente le tante organizzazioni nazionali ed internazionali presenti sul territorio, con l’obiettivo di far entrare più bambini possibili in situazioni istituzionali riconosciute, per toglierli dalla strada e da un destino segnato. Straordinarie, in questo senso, le esperienze di Mino Damato, la cui Fondazione ha dato vita a cinque case-famiglia, con un progetto sul modello italiano di autogestione, grazie al quale i bambini strappati alla strada venivano accuditi, alimentati, curati ed educati, e di Miloud Oukili, clown franco-algerino che nel 1992, durante una trasferta in Romania, come animatore in ospedali, orfanotrofi e centri per disabili, ha conosciuto la disperazione dei bambini di strada e l’ha fatta sua. «Ho conosciuto Miloud - dice Gabriella - qualche anno fa, quando lavorava ancora a Bucarest. Una persona fantastica, che è riuscita dove molti, prima di lui, avevano fallito». Alla storia di Oukili sono ispirati tanto il romanzo La città di sotto, scritto nel 2006 dal napoletano Riccardo Brun, quanto il film che porta il nome della sua associazione, Parada, apprezzata opera d’esordio di Marco Pontecorvo, premiato nella sezione “Orizzonti” del Festival del Cinema di Venezia nel 2008. Miloud Oukili è rimasto a Bucarest molto più di quanto egli stesso avesse previsto.

restano fuori, e sono destinati a morire, di freddo e di stenti, oppure nelle guerre per la conquista della città fantasma. «Ci sono delle bande di adolescenti, bambini più grandi che decidono in una selezione naturale tra il più forte ed il più debole chi ha il diritto di scendere.

Bande che rubano, vivono di espedienti: è la legge del più forte, di chi ha una buona alleanza sopravvive». Chi non trova posto nella città sotterranea, invece, è destinato ad altri orrori, se vuole tirare avanti: «La realtà dell’infanzia di Bucarest - continua Gabriella - è fatta anche di traffici illegali, di prostituzione, dei pericoli della

pedofilia e del traffico di organi. Alle bambine viene strappata, insieme all’infanzia, l’innocenza, e la possibilità di crescere: è esploso, negli ultimi anni, un giro di organizzazioni criminali dedite allo sfruttamento del mercato della pedofilia. Si classificano i bambini a seconda dei gusti del cliente, utilizzando dei veri e propri book fotografici». Altri, invece, finiscono in strutture di accoglienza che sono praticamente dei lager: «Ancora oggi sono circa trentamila i minori che vivono in questi posti: anche chi ha leggeri handicap viene trattato come un malato di mente, e tenuto in condizioni disumane, malnutrito, legato ai letti.

«Avevo vent’anni nel 1992 scrive di sè - e una grande voglia di salvare il mondo. Sono partito per la Romania, con la mia valigia da clown e dopo quattordici anni ho scoperto che io non sono stato in grado di salvare nessuno, ma sono stati i ragazzi che ho incontrato in strada a Bucarest a salvare me». Un’opera di mutuo soccorso, attraverso un linguaggio, quello della clownerie, capace di arrivare direttamente al cuore dell’infanzia, per mezzo di un sorriso. «Abbiamo cominciato a pensare ad un percorso di recupero completo - scrive ancora Oukili - che aiutasse questi bambini con volti di adulti a tornare alla vita: così abbiamo strutturato un centro diurno con assistenti sociali, animatori socio-educativi, medici, psicologi. Abbiamo aperto appartamenti sociali, abbiamo

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costituito delle equipe di strada che per mezzo di caravan potessero incontrare tutti quei bambini che vivono al freddo e hanno fame, e hanno bisogno di sentirsi dire buongiorno, ma anche ti voglio bene. E poi abbiamo pensato di portare questi bambini in tournée in Europa, in Italia, in Francia ed in altri paesi, come ambasciatori dei diritti dell’infanzia negata. Per molti di loro è stato uno stacco netto tra il passato buio, e il futuro illuminato dalle luci di scena». Adesso che Oukili si è ritirato dalle scene, e vive in Normandia con la moglie e la figlia, la sua eredità è stata raccolta dall’associazione “Parada”, il cui presidente della sezione rumena, Franco Aloisio, ha raccontato a liberal una realtà cruda, di disperazione che si mescola al disinteresse politico: «Credo che le cifre del

si reportage sui minori rumeni - è stata quasi totalmente abbandonata la politica di sostegno alla famiglia. Tutto quello che si era riusciti a fare dopo la caduta del regime comunista è andato perso.

Prima dell’ingresso della Romania nell’Unione Europea erano state fatte tante promesse per la soluzione di questo problema, dalle sovvenzioni alle famiglie meno abbienti alle agevolazioni per chi avesse intrapreso la strada dell’adozione nazionale. Il governo aveva garantito una politica sociale di recupero dell’infanzia abbandonata, di appoggio alle ragazze madri, di recupero delle fasce più deboli della popolazione. E invece negli ultimi tre anni, tra l’altro, sono stati progressivamente azzerati i fondi a disposizione del Ministero

Prima dell’ingresso nell’Unione europea erano state fatte tante promesse per questa emergenza: dalle sovvenzioni alle famiglie meno abbienti alle agevolazioni per l’adozione nazionale Rapporto Eurochild 2010, che parla di circa 70-80mila minori abbandonati, che vivono al di fuori delle loro famiglie d’origine, siano abbondantemente sottostimate. È vero che in città, all’apparenza, la situazione è tenuta sotto controllo, ma è altrettanto vero che tutti coloro che non hanno un posto dove vivere cercano disperatamente di rifugiarsi nei sotterranei; e anche se la polizia li sigilla, non ci vuole molto a riaprirli». Negli ultimi anni ai bambini si sono aggiunti gli anziani, i disoccupati, intere famiglie che hanno perso tutto, dignità compresa: «Dal 2007 ad oggi - dice Simona Vasta, inviata di SkyTg24, autrice di diver-

della Famiglia». Tutto dimenticato, come se l’ingresso in Europa avesse avuto il potere di eliminare un problema che, al contrario, è solo nascosto. E che ne genera altri, se possibile ancora più drammatici: «Dopo l’ingresso in Europa Bruxelles, di fatto, non è più competente in questioni di politica interna, ma negli ultimi anni conclude Aloisio - è aumentato in maniera spaventosa il consumo di eroina, che ha sostituito la colla. E sono centinaia, ogni anno, i bambini che muoiono di Aids». Un dramma di proporzioni immense. Un’emergenza umanitaria. Dimenticata da tutti. A due ore di volo da Roma.


quadrante

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Colombia: ucciso il narcos Cuchillo

Kazakistan sempre con Nazarbaiev

Sventato attentato in Danimarca

BOGOTÀ. Il narcotrafficante co-

ASTANA. Il Parlamento del Ka-

lombiano Pedro Guerrero Castillo, alias “Cuchillo” (coltello), leader di una banda composta da ex paramilitari e tra i maggiori ricercati del Paese, è stato ucciso durante un’operazione delle forze dell’ordine. Era accusato dalla giustizia colombiana di aver finanziato almeno 2mila omicidi, in particolare quando dirigeva uno dei blocchi della milizia delle Autodifese unite di Colombia (Auc, estrema estrema). Questa milizia paramilitare, creata ufficialmente per combattere i guerriglieri di estrema sinistra, è stata sciolta nel 2006, ma centinaia o migliaia di suoi membri (fra cui Cuchillo) sono rimasti nella clandestinità, dedicandosi al traffico di cocaina.

zakistan appoggia la volontà del presidente, Nursultan Nazarbaiev, di prorogare il suo mandato fino al 2020 sottoponendolo a un referendum. Un gruppo di sostegno composto di membri del Majilis (parlamento) e del Senato, inclusi i portavoce, è infatti stato formato a tal scopo. Secondo Interfax Kazakistan, in questo modo «il Parlamento riconosce il ruolo storico e la missione del primo presidente della repubblica kazaka, leader della nazione, fondatore di uno Stato indipendente». Lunedì scorso la Commissione elettorale kazaca aveva registrato un gruppo di attivisti desiderosi di estendere (via referendum) al 2020 l’incarico di Nazarbaiev, al potere dal 1990.

COPENAGHEN. Sono stati arrestati in Danimarca quattro uomini con l’accusa di preparare un ”attacco terroristico”contro il quotidiano Jyllands-Posten, che nel settembre del 2005 pubblicò alcune caricature del profeta Maometto. Contemporaneamente, i servizi di Stoccolma (Sapo) hanno reso noto che in Svezia è stato arrestato un quinto uomo legato al complotto danese. «Questi arresti - ha precisato il direttore dei servizi d’informazione danesi (Pet) Jacob Scharf in un comunicato - hanno impedito un attacco terroristico imminente, con diversi sospetti che si sarebbero introdotti nell’edificio (del giornale) a Copenaghen, per uccidere il maggior numero possibile di persone».

Il grande dissidente mette a confronto il sistema cinese e quello occidentale e lancia l’allarme: «Ci dimenticate per gli affari»

Tutto, ma non il modello Cina La politica tollerante di Usa e Ue verso le violazioni dei diritti umani è miope di Wei Jingsheng o parlato più volte degli errori della strategia di sviluppo economico in Cina dall’era di Deng Xiaoping. La cosiddetta economia del “lasciate che qualcuno si arricchisca per primo” - che è orientata all’export - è in verità una strategia per sfruttare crudelmente i lavoratori mentre si permette a pochi di arricchirsi velocemente, una strategia che condivide i frutti di questo sfruttamento con i grossi affari occidentali in un tentativo di comprarli e incoraggiarli quindi a far pressione sui governi occidentali affinché approvino un governo dittatoriale in Cina. I grossi affari occidentali hanno ostentato questo modello di sviluppo come il “modello Cina”. Tuttavia questo modello non ha propriamente portato il decollo economico in Cina. Al contrario, si è arrivato ad un punto morto. I poveri che derivano da questo modello malato stanno diventando un ostacolo allo sviluppo economico e sociale in Cina. La riforma del sistema economico sarà in grado di sciogliere questo nodo? Certamente no.Tutto questo perché la situazione anomala dell’economia cinese è causata dall’anomalia politica in Cina. Uno sviluppo normale dovrebbe permettere all’intera società di ricevere i benefici dello sviluppo in modo equilibrato proporzionalmente alla crescita della capacità di produttività. Con l’aumento degli stipendi, aumentano i profitti, migliora lo stato sociale e miglioreranno anche l’istruzione, la sanità etc. L’aumento della richiesta sociale rappresenta la forza guida originale che sta dietro lo sviluppo economico, quindi la crescita della capacità di produzione non deve preoccuparsi di trovare mercati appropriati. Il che è vero per una grande economia in un modello di sviluppo normale. Lo sviluppo degli Stati Uniti negli ultimi due secoli ne è un esempio tipico. Quando lo sviluppo dei Paesi europei ha raggiunto un certo livello, sentiva sostanzialmente che non gli bastavano i mercati locali. Le guerre che hanno attra-

«La maggior parte delle persone che vivono in fondo alla società sentono meglio di altre se la vita è giusta o no. Mentre inchieste e dati statistici possono essere imbrogliate e manipolate dal denaro, i sentimenti non possono essere comprati. Il voto è molto più onesto di vuoti slogan».

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versato l’Europa negli ultimi quattro secoli nacquero quasi tutte per lotte di mercato. Oppure, come notoriamente espresso dal Lebensraum di Adolf Hitler, per una lotta per l’habitat o per lo spazio vitale.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, al fine di allargare i propri mercati, gli europei diedero vita alla Comunità Europea, ora Unione Europea. La sua essenza è di condividere un mercato più ampio invece di andare in guerra. Con la spinta degli Stati Uniti, nacque l’Organizzazione Mondiale per il Commercio con l’obiettivo di espandere un mercato libero nel mondo attraverso il commercio libero e con l’intenzione di una grande espansione del mercato mondiale per eliminare le cause ataviche delle guerre. Il mercato comune dell’Europa ha raggiunto il suo obiettivo. Lo sviluppo congiunto ha eliminato la forza guida originale che sta dietro le guerre in Europa. Ora, se qualcuno

vi dice che è appena scoppiata una guerra fra Germania e Francia, sarebbe meglio controllare sul calendario che non sia il primo di Aprile. Come sappiamo tutti, è un evento impossibile. I mercati allargati non solo hanno portato la pace, ma anche un’economia efficace, e lo sviluppo scientifico e tecnologico nei paesi europei. Questa notevole trasformazione ci rende tutti invidiosi verso di loro per essere riusciti a guarire le ferite della guerra soltanto in mezzo secolo e persino di saltare ad uno stadio ancora più prospero e avanzato rispetto a prima della guerra. Lo sviluppo dell’Europa inoltre negli Stati Uniti ha portato opportunità di ulteriore sviluppo. Il mercato europeo in rapida espansione è una potente forza guida per uno sviluppo sostenibile nell’economia statunitense. Perché l’Europa favorisce queste opportunità per gli Stati Uniti? Perché lo sviluppo stesso dell’Europa è stato così veloce? Perché l’Europa ha realizzato

una strategia di condivisione del benessere con il suo popolo nel corso della sua ripresa economica e del suo periodo di sviluppo? Via via che la gente si arricchiva, il mercato si allargava, dando quindi alla produzione uno slancio per la crescita.

L’aumento della produzione ha significato l’espansione del mercato del consumatore.Via via che il mercato si allargava, lo stesso faceva la domanda per un allargamento della produzione. Se l’Europa e gli Stati Uniti avessero anch’essi adottato quella politica del “Prima si lasci che siano alcuni ad arricchirsi” per concentrare il benessere nelle mani di pochi per riciclaggio di denaro o speculazioni finanziarie, non si sarebbe avuto questo mezzo secolo di sviluppo rapido ed equilibrato. Perché lo sviluppo dell’Europa e degli Stati Uniti è stato caratterizzato da una giusta distribuzione di sviluppo? Perché i loro sono governi democratici. Le per-


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e di cronach

Direttore Editoriale Ferdinando Adornato

Via la Corona: da sabato l’Euro approda in Estonia TALLIN. L’Estonia ce l’ha fatta. Da sabato, primo tra i paesi nati dalla disgregazione dell’Unione sovietica, userà banconote e monete in euro. Con enormi sacrifici, ha stretto legami anche economici, dopo quelli politici e militari, con l’Europa. Ha abbandonato la corona, importante simbolo di indipendenza dall’Unione sovietica, ma solo per chiudere definitivamente le porte a un passato che non rimpiange. Ora comincia però un’altra avventura. Un po’di inquietudine, tra gli estoni, non manca. Ai racconti dei tedeschi, degli spagnoli e degli italiani, che parlano di prezzi in aumento in pochissimo tempo - un’eventualità temuta dai più poveri, dalle tante famiglie che dipendono dalla Eesti Toidupank, la banca del cibo - si aggiunge la sensazione, cavalcata dagli euroscettici, di salire su un Titanic destinato al naufragio, in cui Tallin oltretutto non conterà nulla. Di fronte all’euro “estone” pende la minaccia di di-

Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Francesco D’Onofrio, Gennaro Malgieri Ufficio centrale Gloria Piccioni (direttore responsabile) Nicola Fano, Errico Novi (vicedirettori) Vincenzo Faccioli Pintozzi (caporedattore) Antonella Giuli (vicecaporedattore) Franco Insardà, Luisa Arezzo Stefano Zaccagnini (grafica)

ventare il capro espiatorio di un’inflazione che promette di ripartire, tra la pressione dei prezzi alimentari in rialzo in tutto il mondo e quella di un mercato del lavoro molto piccolo, in cui mancano molte competenze, giustamente strapagate anche se la disoccupazione è del 18 per cento. Sarà difficile accorgersi di quello che non si vede. L’economia estone è dominata da quattro banche straniere che controllano il 95% del mercato.

Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Giancristiano Desiderio, Francesco Lo Dico, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria) Inserto MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Baiocchi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Renato Cristin, Francesco D’Agostino Anselma Dell’Olio, Alex Di Gregorio Gianfranco De Turris, Rossella Fabiani, Pier Mario Fasanotti, Marco Ferrari, Aldo Forbice, Antonio Funiciello, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Roberto Genovesi, Aldo G. Ricci, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Andrea Margelletti, Adriano Mazzoletti, Gabriella Mecucci, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Ernst Nolte, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo, Loretto Rafanelli, Franco Ricordi, Carlo Ripa di Meana, Roselina Salemi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania Società Editrice Edizioni de L’Indipendente s.r.l. via della Panetteria, 10 • 00187 Roma Amministratore Unico Ferdinando Adornato

A sinistra, Wen Jiabao e Hu Jintao. Sopra, lavoratrici cinesi in un laboratorio di giocattoli di una nota marca occidentale sone hanno il diritto di governare i politici. Se i politici diventano disobbedienti nei confronti del popolo, il popolo non li voterà più. Quest’autorità è stata molto chiara. La gente non consentirà una distribuzione iniqua. Alla maggior parte dei capitalisti piace il cosiddetto mercato giusto, che rappresenta l’onestà nel fare soldi. Questa è la legge dell’economia di mercato. Tuttavia, le persone non chiedono solo un mercato giusto, ma anche onestà. Il mercato dovrebbe servire le persone e l’umanità, non il contrario. Il genere umano non dovrebbe essere schiavo del mercato e dei capitalisti. Quando non c’è onestà nel mercato, lo sviluppo economico perde il suo potere. Ad oggi, sappiamo che l’onestà consente un modello economico che con molta probabilità incoraggerà le persone a lavorare duro e con passione. Senza un’uguaglianza sociale, i mercati e i capitalisti potenti sicuramente trasformerebbero tutti i lavoratori in disgraziati meno di schiavi. I capitalisti succhieranno il sangue e il sudore dei lavoratori, non curandosi delle loro vite. Dal punto di vista di un capitalista, questo non è sbagliato: la funzione del capitale e dei capitalisti nel mercato è di fare soldi, non di essere filantropi.

Il problema reale è che oggi i capitalisti sono troppo miopi e vogliono fare soldi senza lavorare. Si sono dimenticati che il loro benessere è basato sui desi-

Il mercato dovrebbe servire le persone e l’umanità, non il contrario. L’uomo non deve essere schiavo deri del popolo e sulla capacità di pagare per le merci. Abbiamo quindi bisogno di un’autorità al di fuori del mercato per mantenere un’onestà per il genere umano. Altrimenti sarà difficile mantenere la società. Come ormai è noto, il sistema democratico è il sistema più efficace nel mantenimento di una giustizia sociale. Come dice la poesia cinese: «le anatre di fiume sentono l’arrivo della Primavera dal calore dell’acqua». La maggior parte delle persone che vivono in fondo alla società sentono meglio di altre se la vita è giusta o no. Mentre inchieste e dati statistici possono essere imbrogliate e manipolate dal denaro, i sentimenti delle persone non possono essere comprati. Il voto è molto più onesto di vuoti slogan. Sebbene i capitalisti abbiano sempre i mez-

zi per comprarsi i politici, a volte diventa difficile per loro fare finta di niente. I capitalisti non potranno mai comprare la maggioranza delle persone, senza assicurare loro stipendi giusti e benefici.

Visto che le vite politiche degli uomini politici sono nelle mani del popolo, gli acquisti dei capitalisti potranno solo avere un effetto limitato, ed è difficile nuocere agli interessi fondamentali della gente. Ogni giorno, i governatori cinesi cantano il loro slogan “servire il popolo”, allora perché vediamo solo che è il popolo a servire loro? Il motivo è che i destini di questi politici non sono controllati dal nostro popolo. In Cina la politica è la politica delle minoranze che cerca di autoriprodursi. Sebbene non si tratti di un’eredità di sangue, si tratta comunque di una successione di gruppi. Quando il potere pubblico diventa la proprietà privata del gruppo, a chi interesserà dei diritti e degli interessi del popolo? Questa politica del sistema politico aiuterà certamente i propri elementi a “prima ad arricchirsi” entro poco tempo, ma non è possibile dare opportunità di prosperità a tutte le persone. Quindi, le politiche economiche di Deng Xiaoping sono il risultato inevitabile di un regime autocratico. E questi politici e capitalisti cinesi non dovranno assolutamente preoccuparsi della stabilità sociale, fino a quando potranno scappare in Occidente.

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società

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Facili costumi. In barba alle battaglie femministe, la destra ha rispolverato il modello della cortigiana avida e pronta al ricatto

Escort sull’orlo di una crisi di nervi di Gabriella Mecucci

rinserrata nelle sue competenze bioetiche. C’è l’avvocato Giulia Bongiorno che ha avuto un certo potere grazie a Fini, ma meno però di quanto una con le sue qualità meriterebbe. C’è Fiamma Nirestein, ma anche a lei troppo poco spazio. Insomma, le più brave non fanno notizia ai tempi di Silvio. Mentre la scena è tenuta da ministre ondivaghe e chiassose nonché dalle “nipotine di Mubarak”. Non è sempre stato così: il centrodestra partì animato da buone intenzioni. La verità è che oggi a destra contano le donne o se rappresentano scampoli di divertimento per il capo super stressato, o se sono belle signore la cui carriera dipende molto dalle fattezze del loro corpo e che “dipendono” dal “padre-padrone”. Le altre esistono, lavorano, ma possono attendere. Non è voler girare il coltello nella piaga, ripetere che a sinistra si intravedono solo tre o quattro profili femminili e sempre più sbiaditi. Del resto è la sinistra a essere sempre più sbiadita. Mala tempora currunt per il femminismo: a questo è approdato quel robusto movimento che puntò sulla promozione delle donne? Nacque proprio a sinistra. E la storia è lunga: dalle suffragette sino ad Engels e alla Kuliscioff. Poi venne quello straordinario personaggio di Virginia Wolf che non rivendicava l’uguaglianza dei sessi, ma preferiva sottolineare la loro differenza, una diversità femminile portatrice di valori positivi che non poteva essere sinonimo di marginalità. Dopo ci fu Simone de Beauvoir e lo scontro fra emancipazionismo e teoria della differenza di Luce Irigaray. In Italia spuntarono Carla Lonzi e Luisa Muraro. Una serie di importanti elaborazioni, dunque, che ha comportato alcune acquisizioni culturali. Di queste, due appaiono molto caratterizzanti. Da una parte il fatto che le donne portavano avanti la strategia del riscatto mettendosi in rete, dando vita a una battaglia collettiva; dall’altra la riappropriazione del proprio corpo e la sua valorizzazione, non permettendo più a nessuno di violarlo impunemente.

e il problema era il protagonismo femminile, adesso c’è da stare allegri. Non si parla d’altro che di donne. L’altra metà del cielo impazza sul lato destro dello schieramento politico mentre a sinistra – fatta eccezione per tre o quattro signore – è scomparsa dalla scena.

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Le donne ai tempi di Berlusconi sono due tipi. O sono “in carriera”e hanno un canale diretto col capo, o sono escort. Partiamo da queste. Ne sono emerse a valanghe. L’ultima si chiama Rachele – “nomina sunt consequentiam rerum”: è nostalgica e ha scelto di chiamarsi “nella professione” come la moglie di Mussolini – e avrebbe avuto una rocambolesca storia di sesso con Gianfranco Fini. Ha concesso un’intervista a luci rosse per raccontarla e “mettere sotto pressione” il presidente della Camera. Nessun riscontro alla sua peccaminosa narrazione, anzi il forte sospetto che gli ultimi sexgate all’italiana abbiano fatto scuola: una confidenza sul politico giusto al momento giusto, per aprirsi le porte della celebrità. È il marketing della melma. Quanto alla verità, chi la saprà mai? Fini ha querelato, ma del resto gli hanno persino appiccicato addosso “un falso attentato” che avrebbe dovuto subire per poter incolparne Berlusconi. C’è da aspettarsi di tutto. La lotta politica ai tempi di Silvio si fa anche così. Ma Rachele è solo l’ultima escort comparsa sulla scena in quest’epoca buia in cui le prostitute hanno preso a chiamarsi con questo ridicolo neologismo. Mentre i comici di professione

L’ultima si chiama Rachele e avrebbe avuto una torbida storia di sesso con Gianfranco Fini... le definiscono “le nipoti di Mubarak” in virtù dell’altra storia poco edificante che ha coinvolto Ruby e il capo del governo. Il Cavaliere a notte fonda telefonò alla questura di Milano per “salvare”dal ricovero in una qualche comunità una signorina dal fisico procace e dalla vita molto allegra. Mandò una consigliera regionale del Pdl a prelevarla spiegando il suo interessamento col fatto che Ruby era una parente del leader egiziano. Nell’occasione sono uscite foto di Lele Mora che accompagna formose ragazze alla villa di Arcore: entra nel parco con una macchina ricolma di “nipoti di Mubarak”che passano alcune ore in compagnia del premier. Del resto Veronica Lario, moglie di Silvio, aveva parlato del marito, in una storica intervista, come di un uomo “malato di sesso”. E prima di Ruby, c’era stata l’escort storica: in principio fu la D’Addario, che filmò la camera del capo del governo e che registrò la sua voce: “Aspettami nel lettone di Putin”. Sono questi “i punti alti”delle avventure erotiche nei palazzi del potere, mentre a sinistra un presidente di Regione s’in-

contrava con transessuali da un metro e novanta d’altezza, con tette da quinta misura. Ogni volta che si scoprono – vere o false che siano – queste storie di letto, per giustificarsi, viene chiamato in causa John Kennedy, un presidente che “ci dava dentro”. D’accordo, ma quello s’incontrava clandestinamente con Marilyn Monroe o con Marlene Dietrich, non con volgari sottoprodotti.

Piantiamola qui, altrimenti il capitolo escort diventa inesauribile. E passiamo alle “donne in carriera” che nell’ultima versione sono diventate “donne sull’orlo di una crisi di nervi”. Due nomi balzano agli occhi. Si tratta di due signore muy hermose: le ministre Carfagna e Prestigiacomo. La prima nasce velina, la seconda imprenditrice. Entrambe bisticciano col partito e si arrabbiano parecchio, tanto da rendere pubblica la loro decisione di andarsene. Poi arriva papi Silvio, parla con loro e, in men che non si dica, rientrano nei ranghi: tutto è stato chiarito. Fra le donne in carriera non ci sono solo quelle “sull’orlo di una crisi di nervi”, ma anche delle “grintose”guardiane del potere. Questa fattispecie di combattenti, è riassunta nel capitolo “le amazzoni di Silvio”. Due nomi per tutti: Daniela Santanchè, bocca e seno procaci, tacchi a spillo, bellezza aggressiva, e Mariastella Gelmini, occhialini da intellettuale, lineamenti più delicati, look sull’elegante-tranquillo. Entrambe puntano molto in alto: i loro nomi circolano come possibile future coordinatrici del Pdl, o come diamine deciderà di chiamarsi. La lista d’attesa poi è molto lunga.Tutte qui le donne di destra? Nossignore, ce ne sono di prim’ordine, ma contano poco o niente. C’è gente come la Barbara Contini, che guidò una regione dell’Iraq con mano sicura, finita nel dimenticatoio. C’è Eugenia Roccella, molto capace ma

Nella foto grande, Patrizia D’Addario, la più celebre escort del presidente del Consiglio. Qui sopra, dall’alto al basso, altre due donne accostate al premier: Nadia Macrì e Ruby

Oggi sta avvenendo l’esatto contrario, le donne scendono in campo singolarmente: ciascuna pensa a sé stessa. Quando la politologa Sofia Ventura chiese un po’ di solidarietà per la Tulliani, bistrattata per tutta l’estate dai giornali di destra, il suo incitamento cadde nel più assordante dei silenzi. Per quello che riguarda il corpo, invece, le signore che hanno a che fare con la politica se ne sono riappropriate e lo usano come arma per la loro carriera. Spesso, addirittura, ne fanno una merce di scambio: lo vendono e “incassano” in proprio il prezzo pagato. L’eterogenesi dei fini impazza e segna la sconfitta del femminismo. Su questo fronte può avere un peso – e molto parzialmente lo ha – la mitologia nibelungica delle donne guerriere, mal amalgamata però col consumismo dei giorni nostri giorni, tanto da dare come frutto opportunismo e asservimento. Chi vuol costruire qualcosa di nuovo dovrà porsi anche questo problema: non tornando al passato, ma superando anche la scandalosa mediocrità del presente.


ULTIMAPAGINA Una petizione contro la diffusione delle musiche delle feste

Gorizia, la città dal divieto di Angela Rossi ultima protesta, in ordine di tempo, è quella contro la musica natalizia che proviene dalla filodiffusione. Volume troppo alto che infastidisce il normale svolgimento delle attività quotidiane. A protestare sono universitari che vivono nella ”Casa dello studente che hanno chiamato la segreteria del Comune di Gorizia per comunicare il proprio fastidio e la propria avversione per Jingle bells che, a loro dire, disturba la concentrazione e quindi lo studio . Gorizia si conferma senza ombra di dubbio la città dove «no se pol» per dirla in dialetto. «Non si può»: sono gli stessi goriziani ad affermarlo. Cittadini pronti a raccogliere firme, a dare vita a comitati ed a inscenare proteste per ogni cosa. I precedenti sono numerosi. Se qualsiasi cosa va a modificare la quotidianità, a rompere il monotono tran tran giornaliero e le abitudini quotidiane di gran parte del cittadino medio, apriti cielo. Si scatena la protesta. E allora, spuntano comitati, associazioni ad hoc, e si affollano gli uffici postali per inviare lettere a sindaco, prefetto o altre istituzioni. Figuriamoci se a qualche commerciante o a qualche musicista di strada vie-

L’

sultano eccessive e fantasiose. Tanto che, andando a spulciare le cronache locali meno recenti ci si imbatte nell’intervento risalente a tre anni fa dell’allora sindaco Vittorio Brancati il quale in occasione di un convegno di presentazione di alcuni progetti, nella sala consiliare del Comune ebbe a sottolineare «Basta con questa cultura del no se pol. A Gorizia nascono comitati contro ogni cosa: contro lo skatepark, contro l’isola pedonale, contro i bar, persino contro la sagra di Sant’Anna. Ma dove pensiamo di andare in questa maniera, opponendoci a tutto?».

In questi ultimi tre anni al Comune di Gorizia il centrodestra ha sostituito l’amministrazione di centrosinistra ma non è mutato nulla nel carattere e nel costume dei goriziani. Come dire che non è certo questione politica ma solamente di Dna. Ed infatti non solo la musica natalizia è considerata fonte di fastidio e non sono solo i goriziani a ribellarsi. Stavolta ci si mettono anche le istituzioni a dare man forte. Infatti il sindaco ha emesso un’ordinanza che prevede multe e sequestro degli strumenti per i suonatori “molesti”. Stavolta però è scattata anche la contro protesta dei suonatori che hanno dichiarato «Il repulisti delle strade è già scattato, con le prime multe e respingimenti degli indesiderati. L’idea che siano gli artisti di strada a compromettere la qualità della vita nella città, e non speculatori e inquinatori vari, che il decoro sia danneggiato da persone che da anni esercitano un antico e dignitoso mestiere e non dal proliferare di gazebo, ingorghi del traffico e bancarelle, che la sicurezza dei cittadini sia minacciata da uno strumento musicale e non dalla desertificazione degli spazi urbani provocano ripugnanza e rabbia verso questo provvedimento,

Lo dicono i dati ufficiali: è il luogo italiano dove si protesta di più, dove esiste il numero maggiore di comitati, dove proliferano iniziative per raccogliere firme contro qualcosa, dove si spediscono più lettere anonime ai giornali ne la malaugurata idea di organizzare un concerto estivo all’aperto. Si scatena l’iradiddio. E meno male che qualcuno ha definito Gorizia come una città tollerante.

I precedenti nel campo sono veramente numerosi. Dal comitato Salute e Ambiente contro le antenne di telefonia mobile o quello degli operatori economici contro il nuovo Piano traffico cittadino. Oppure quello contro l’inquinamento transfrontaliero o i gruppi che si oppongono agli schiamazzi notturni. Alcuni avranno sicuramente motivi fondati di proteste ma altri sono veramente al di fuori di ogni realtà. Basti pensare alle 700 firme raccolte contro i gazebo dei bar. Ma la città non è certo nuova ad iniziative che ri-

MOLESTO verso i suoi estensori e verso la cultura da mondo alla rovescia che ispira entrambi. Per questo motivo, insieme ad altre persone altrettanto preoccupate e stanche, abbiamo pensato che sia giusto reagire subito».

E infine, pare, sempre a dar retta alle notizie locali che anche la costruzione di uno skate park abbia dato molto ma molto fastidio ai cittadini.Tanto, pare, da indurre gli amministratori a fare retromarcia .Gorizia è la città italiana, secondo stime non ufficiali, insomma, dove si protesta di più, per ogni cosa. La città dove esiste il numero maggiore di comitati, dove proliferano iniziative per raccogliere firme contro qualcosa, dove si bruciano chili di carta per spedire note di protesta alle varie istituzioni ed alle redazioni dei giornali. Ora la protesta contro la filodiffusione che diffonde musica natalizia. Che fastidio possa provocare i nrealtà non è molto chiaro. Viene anche da pensare che la concentrazione degli studenti ai quali dà fastidio sia veramente bassissima . Adesso sorgeranno comitati di protesta e saranno raccolte firme ad horas visto che Natale è ormai arrivato? Occorre battere il calendario sul tempo. Fare in fretta. Meno di una settimana per bloccare le note dei canti natalizi per i cittadini goriziani e per riconfermarsi ancora una volta i cittadini del “non si può”.


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