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he di cronac
Dopo tutto, non vi sono figli illegittimi, ma solo genitori illegittimi. Anthony Burgess
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di Ferdinando Adornato
QUOTIDIANO • VENERDÌ 19 AGOSTO 2011
DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK
Hamas non rivendica direttamente l’assalto in stile militare ma lo approva
Sangue sull’estate israeliana Decine di morti e feriti in un attentato a Eilat sul Mar Rosso di Pierre Chiartano
Negli Stati Uniti è polemica sull’atteggiamento dell’amministrazione
arebbero più di dieci (almeno 14) le vittime di un attentato che è tornato a insanguinare Israele dopo una lunga stagione di apparente quiete. È successo ieri nei pressi di Eilat, nota località turistica sul Mar Rosso, dopo un commando terroristico ha attaccato due pullman e una vettura militare. Spari e addirittura granate su una comitiva di militari che andava finalmente in vacanza. Dopo l’attacco, le forze di sicurezza israeliane hanno individuato gli attentatori e li hanno colpiti uccidendoli. Insomma, una giornata di guerra nel Negev: Hamas non ha rivendicato l’attentato ma o ha «approvato». a pagina 12
Ma Obama è troppo ambiguo
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di Daniel Pipes a settimana scorsa, la Casa Bianca si è lanciata in due mosse puerili e presto scoperte che hanno smascherato le dilettantesche e ingannevoli politiche verso il Medio Oriente e l’Islam dell’ammini-
L
strazione Obama. Il primo caso riguardava la spinosa questione dello status giuridico di Gerusalemme nel diritto americano. Nel 1947, l’Onu pose la città santa ponendola sotto un regime speciale internazionale. a pagina 12
Aperta la Giornata mondiale della Gioventù: da oggi a domenica sono attesi oltre un milione di under 25
I ragazzi della speranza Ratzinger all’Europa: «Se non pensi ai giovani, non hai futuro» A Madrid, Benedetto XVI lancia un appello alle classi dirigenti: «Bisogna tornare a mettere l’uomo al centro della politica». E interviene nel dibattito sulla crisi: «Servono crescita e sviluppo» ETICA CONTRO EDONISMO
di Errico Novi
Dai papaboys un esempio a tutto l’Occidente
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di Osvaldo Baldacci a crisi stringe il mondo alla gola. L’economia va a rotoli rubando le speranze per il futuro. I mercati impazziscono, anche perché si è andata troppo marcando la distanza tra produzione reale e speculazioni finanziarie. I grandi del pianeta si affannano a cercare una cura a questa terribile malattia che ci flagella. Forse, se in questi giorni guardassero a Madrid, la cura la riuscirebbero a trovare. Lì dove più di un milione di giovani di tutto il mondo si sono riuniti per incontrare il Papa e per incontrarsi tra di loro. O meglio, per incontrare i motivi profondi che li hanno spinti ad andare lì, a partecipare alla Giornata Mondiale della Gioventù. segue a pagina 3
Panico sui mercati, Milano a -6,15%
l papa da ieri è a Madrid per la Giornata mondiale della Gioventù che si concluderà domani. Dalla Spagna, Ratzinger ha lanciato un appello alle classi dirigenti europee: «La crisi si supera solo rimettendo l’uomo al centro della politica e dell’economia». Quanto alla “ricetta” per ripartire, il Papa non ha dubbi: «Occorre puntare su crescita e sviluppo per ridare un futuro ai giovani». a pagina 2
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Parla il filosofo Giovanni Reale
Una scelta che cambiò la Chiesa
«La forza morale E Wojtyla inventò è l’unica ”manovra” la Woodstock che può salvarci» della fede «Nichilismo e relativismo hanno prodotto solo disperazione. Ma loro ci riportano alla Verità»
Tutto cominciò nel 1984 con il Giubileo, ma ebbe il suo trionfo religioso e mediatico a Roma nel 2000
Riccardo Paradisi • pagina 4
Maurizio Stefanini • pagina 5
gue a (10,00 pagina 9CON EUROse1,00
I QUADERNI)
• ANNO XVI •
NUMERO
160 •
WWW.LIBERAL.IT
• CHIUSO
Crollano le Borse: non vogliono pagare la Tobin Tax di Marco Scotti ell’estate più piovosa degli ultimi anni, non potevano non tornare nubi temporalesche anche sui mercati europei. Qualche giorno di apparente calma, dovuto sia al Ferragosto sia all’acquisto massiccio di buoni del tesoro da parte della Bce – oltre 25 miliardi solo quelli italiani –, ha illuso eccessivamente politici ed economisti. Ma da ieri Eurolandia vede nuovamente rosso, pesantemente, con tutte le principali piazze che chiudono in fortissimo ribasso: Milano -6,15%, Londra 4,49%, Francoforte -5,82%. Come mai? Che cosa ha fatto sì che gli investitori punissero così severamente l’Europa? Una delle risposte che rimbalza sulla bocca di tanti ha un nome e cognome straniero: “Tobin Tax”. Un nome che spaventa.
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IN REDAZIONE ALLE ORE
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pagina 2 • 19 agosto 2011
Al centro della Giornata mondiale della gioventù la «dimensione etica» della crisi: «L’economia sia rivolta al bene dell’uomo»
Ritorno al futuro
A Madrid il Papa lancia un appello all’Europa: lavoro, giustizia e speranza per tornare a crescere e dare un domani ai giovani di Errico Novi
ROMA. È come se a Madrid il Papa teologo guardasse negli occhi la crisi e ne svelasse il contenuto morale. E chiedesse anche alle centinaia di migliaia di giovani accorsi per incontrarlo di riconoscere «la dimensione etica dei problemi economici» e farsene testimoni. La ventiseiesima edizione della Giornata mondiale della gioventù chiarisce dunque da subito in che direzione volge lo sguardo: al futuro incerto, in particolare alle difficoltà, per i giovani, «di trovare un lavoro degno, o perché l’hanno perduto o perché precario e insicuro». C’è un incontro ravvicinato tra la spiritualità e la mobilitazione cattolica e il fantasma che si aggira nel mondo occidentale, il fantasma dell’insicurezza e della povertà. E un significato pare assumerlo anche il confronto a distanza tra lo stesso Benedetto XVI e gli indignados, radunati a migliaia a Puerta del Sol per contestare l’evento. A loro il Pontefice riserva un passaggio ispirato a dignità e fermezza: «La Giornata mondiale della gioventù offrirà una testimonianza coraggiosa e piena di amore per il fratello, decisa e prudente al contempo, senza na-
scondere la propria identità cristiana, in un clima di rispettosa convivenza con altre legittime opzioni ed esigendo nello stesso tempo il dovuto rispetto per le proprie».
Anche questo delicato incrocio di sguardi tra il Papa, i suoi ragazzi e quegli altri giovani venuti a contestarli rafforza l’idea di un raduno centrato sul tema della crisi economica. Perché in fondo quella cristiana dei cattolici e quella antipolitica degli indignados sono due risposte diverse allo stesso problema. Non è un caso che si sfiorino fino quasi a collidere. Tensioni forti si sono registrate soprattutto mercoledì sera, quando proprio nella cruciale Puerta del Sol c’è stato prima uno scambio di cori a distanza tra manifestanti e pellegrini, quindi una carica della polizia per allontanare gli indignados, con un bilancio di 7 fermati e 11 feriti non gravi. Certo è che i ragazzi venuti per Benedetto XVI devono sentirsene dire di tutti i colori: «Quello zainetto lo pago io, mettici dentro i preservativi», urla per esempio una ragazza a un giovane cattolico. L’allusione è agli zainetti con il ”kit del pellegrino”fornito dall’organizzazione della Gmg. E soprattutto al fatto che se-
condo le proteste le spese dell’evento sarebbero nell’ordine di 100 milioni di euro, «tutti pagati collettività».
Curiosa contestazione. Alla quale risponde tra l’altro Radio Vaticana ricordando come lo stesso portavoce del governo Zapatero abbia ribadito che «le Gmg non costeranno nulla e che il peso ricade sulla Chiesa, sui pellegrini stessi e su alcuni patrocinatori privati». Con un’ulteriore, lapidaria
status quo piuttosto che di fautori del cambiamento.
Le tensioni d’altronde sono giustificate considerata proprio la delicatezza del momento e delle questioni sollevate da Benedetto XVI. Che in questa prima giornata dell’appuntamento, e in previsione della messa di domenica a cui interverranno un milione e mezzo di persone, parla in due diversi momenti. Prima a bordo dell’aereo papale partito da Ciampino,
sono tempi facili» e che «occorre porre fine all’intollerabile disoccupazione dei giovani».
È proprio di questi temi che il Santo padre ragiona durante il volo da Ciampino a Madrid. Sollecitato dalla domanda di un giornalista sul messaggio che la Chiesa può dare di fronte a una crisi economica che è anche sociale e morale, Papa Ratzinger risponde che «si conferma nella crisi attuale quanto già apparso nella precedente grande crisi» ossia che «la dimensione etica non è una cosa esteriore ai problemi economici». In particolare il Pontefice avverte che «l’economia non funziona solo con una autoregolamentazione mercantile ma ha bisogno di una ragione etica per funzionare per l’uomo». Cita quindi Giovanni Paolo II e la sua Enciclica sociale: «L’uomo deve essere il centro dell’economia e l’economia non si deve misurare secondo il massimo del profitto, ma secondo il bene di tutti». Nella concezione «umana» della vita economica il Pontefice, sempre nella riflessione svolta con i cronisti che lo accompagnano, indica diverse dimensioni: «Responsabilità per la propria nazione e non solo per se stesso», innanzitutto. Quindi «responsabilità per il mondo», nel senso che «anche
«Futuro incerto per la difficoltà di trovare un’occupazione degna e non precaria», dice il Pontefice.Agli indignados accorsi per contestare il raduno: «Rispettateci come noi vi rispettiamo» chiosa: «Le spese per la sicurezza», ricorda Radio Vaticana, «sono quelle che riguardano qualsiasi altra manifestazione, comprese quelle degli indignados». Senza contare che gli introiti del turismo «sono molto importanti per la Spagna, soprattutto in questo momento di crisi». Certo suona davvero come un paradosso il fatto che un movimento come quello degli indignados si mobiliti con tanta solerzia proprio contro un altro movimento di giovani ispirato e percorso dalle stesse preoccupazioni per la crisi economica. È quasi come se gli indignados assumessero l’imprevedibile – per loro – ruolo di custodi dello
dove risponde alle domande dei giornalisti italiani in viaggio con lui. Quindi subito dopo il suo atterraggio all’aeroporto Barajas, dove accorrono ad accoglierlo il re Juan Carlos con la regina Sofia, il premier Zapatero e l’arcivescovo di Madrid Antonio Maria Ruoco Varela. Dallo scalo madrileno il Pontefice percorre circa 20 chilometri a bordo della Papa-mobile, accompagnato da due ali di folla fino alla nunziatura, tra coriandoli e bandiere. Proprio il re di Spagna conferma subito il carattere “politico”della Giornata mondiale, quando accoglie Benedetto XVI all’aeroporto dicendo che «nono
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La contraddizione tra l’edonismo finanziario e la fiducia in Cristo
Dai papaboys un esempio per tutto l’Occidente Nel loro entusiasmo e nella loro voglia di riscoprire i valori c’è l’unica prospettiva per uscire dalla crisi di Osvaldo Baldacci segue dalla prima
Benedetto XVI al suo arrivo a Madrid, accanto al re Juan Carlos e Zapatero. Accanto e nella pagina a fronte, il campus organizzato in Spagna per la Giornata della gioventù l’Europa non sta in se ma è responsabile per l’intera umanità, e deve pensare ad affrontare i problemi economici sempre in questa chiave di responsabilità anche per le altre parti del mondo, per quelle che soffrono».
Da qui il pensiero alle Gmg come«ispirazione dovuta a Giovanni Paolo II», da «continuare», anche perché «danno ai cristiani il coraggio di sentirsi credenti, mentre spesso si sentono isolati». E anche discriminati, aggiunge Benedetto XVI subito dopo essere sceso dall’aereo e aver ricevuto il saluto del re di Spagna: «Che nessuno vi tolga la pace, non vergognatevi del Signore», dice subito. E l’impressione è che voglia riferirsi anche alle contestazioni subite dai ragazzi accorsi a Madrid. A loro, ai giovani, il Pontefice dedica ancora altre considerazioni, sempre collocate nella cornice della crisi economica: «La scoperta di Dio rianima i giovani e apre i loro occhi alle sfide del mondo». Occhi che «vedono la superficialità, il consumismo e l’edonismo imperante, tanta banalizzazione nel vivere la sessualità, mancanza di solidarietà e tanta corruzione». Diffi-
cile non riconoscere l’immagine di una società particolarmente indebolita di fronte alla crisi perché segnata dal relativismo, ricordato anche nella catechesi rivolta dal cardinale Bagnasco ai giovani italiani accorsi a Madrid. «Senza Dio sarebbe arduo affrontare queste sfide ed essere veramente felici», dice il Pontefice. Che esorta a costruire una società in cui «si rispetta la dignità umana e la reale fraternità».
La sfida è ardua giacché «non mancano difficoltà», dalle «tensioni e scontri con spargimento di sangue» alla «giustizia e valore della persona umana sottomessi a interessi egoisti, materiali e ideologici». E soprattutto «la difficoltà a trovare un lavoro degno, che costringe i giovani a vivere senza sicurezza». In un mondo in cui chi ha fede in Cristo soffre anche per la privazione dei «segni della sua presenza nella vita pubblica», ricorda il Papa. Che così non manca di associare il relativismo diffuso tra le istituzioni alle ragioni profonde della crisi. Secondo una lettura sullo stato di salute della società che promette di accompagnare il raduno fino a domenica.
L’attuale crisi è soprattutto e prima di tutto una crisi etica, una crisi derivata direttamente dal fatto che abbiamo smarrito l’orizzonte, che abbiamo dimenticato che al centro c’è l’uomo e non il denaro, che ci siamo chiusi su noi stessi pensando solo alla nostra più gretta soddisfazione. Quei giovani invece sono il futuro, hanno i valori, hanno una visione, hanno la speranza dell’avvenire e l’energia per plasmarlo. Quei giovani sanno che la vita non è solo edonismo, egoismo, apparenza: questa mentalità futile e vanesia ha infettato il mondo e ha causato la crisi attuale. La ricetta per andare oltre si trova in chi sa guardare oltre, in chi sa dare il giusto valore alle cose e soprattutto conosce il valore delle persone, degli altri, sa e vuole aprirsi, entrare in relazione, chi conosce la bellezza del dare ed è disposto a pagare un prezzo per ciò che merita, accetta i sacrifici. In chi distingue la differenza tra bene e male, e lo fa con cuore grande e aperto, non con l’atteggiamento accigliato di chi è più interessato a condannare gli altri che a cambiare il mondo.
cercate la felicità, quando cercate il senso, quando cercate ciò per cui vale la pena di vivere, è Gesù che cercate»: questa la sintesi di tutto pronunciata a Roma nel 2000 dal Papa polacco ora beato e protettore di quei giovani che ha sempre cercato e che lo hanno seguito. I momenti cruciali e quasi incredibili, spesso incomprensibili a mass media piegati al pensiero comune, sono quei grandi momenti di preghiera, il silenzio in ginocchio di fronte all’Eucaristia, le file per confessarsi e ricominciare una vita più vera. Gmg vuol dire incontrare il Papa, vuol dire incontrare tanti altri giovani, ma vuol dire incontrare soprattutto il Cristo, incontrarlo appunto attraverso quegli altri incontri più facilmente percepibili. Perché il cristianesimo non è una filosofia, ma l’incontro vivo con una persona che ama.
Parigi, Roma, Toronto e Colonia: questi incontri hanno la capacità di cambiarti la vita, offrendoti una luce nuova da seguire. Sapendo di poterlo fare tutti insieme
È questo ciò che andranno a scoprire i ragazzi cattolici che affollano festosamente Madrid e dintorni. Non importa che alcuni di loro siano finiti lì quasi per caso, trascinati dagli amici, spinti dalle famiglie, incuriositi dalla possibilità di visitare Madrid e soprattutto di incontrarsi con giovani di tutto il mondo. È naturale. Ma quello che resterà loro dentro è molto di più, va nel profondo, ed è impossibile resistere alla forza dell’amore che emana da occasioni di grazia come questa. Lo so per esperienza. A Parigi, Roma,Toronto e Colonia c’ero. Ho visto persone cambiare, innamorarsi di Gesù, avere occhi nuovi verso la Chiesa, capire di più cosa sia davvero la religione. Ho visto nascere coppie e nuove famiglie, ho visto sbocciare vocazioni. Fare il pieno di quell’energia che dà la forza di affrontare la sfida della vita. Pochi “raduni” sono così fecondi come una Gmg. Perché ha radici profonde. La differenza fondamentale tra una Gmg e una woodstook qualunque è tutta in un nome: Gesù. Il tifo entusiasta per il Papa, la festa gioiosa che si scatena nelle strade, il divertimento della fatica e dei disagi, tutto questo è solo il contorno. «Cari giovani, quando cercate la bellezza, quando
È difficile categorizzare i giovani. I “soliti” mezzi di comunicazione procedono sempre per stereotipi. A volte i giovani sono le vittime di un sistema gerontocratico ed egoistico, ma molto più spesso sono quelli che pensano solo al divertimento, storditi dall’edonismo, dal sesso, dalla droga, dall’alcol e dal ballo fino allo sfinimento. Chi vorrebbe mettere in mano a questi giovani il futuro? Ma se i pigri mass media avessero un po’ di coraggio vedrebbero che i giovani sono anche quelli il cui cuore batte forte per la voglia di fare, di mettersi in gioco, di dare. Sono quelli che credono, amano, pregano. Sono quelli che conoscono il limite e soprattutto riconoscono i loro doveri prima dei loro diritti, non pretendono, non si nascondono, non si sballano, ma si impegnano. Certo, per fare questo oggi ci vuole una grande forza, bisogna nuotare controcorrente, bisogna difendersi non da modelli marci. Forse umanamente non ce la si può fare. Ma è per questo che le vere persone forti sono quelle che hanno il coraggio di perseverare, e quella forza la trovano solo nei grandi valori in cui credono, e nella fede di un Dio che li ama comunque e sta sempre al loro fianco. Una forza che si moltiplica se si trovano guide valide come deve essere la Chiesa, e compagni di viaggio con cui condividere gioie e dolori, risultati e delusioni, progetti e speranze. Compagni di strada che ti aiutano a rialzarti quando cadi e ti danno fiducia quando sono loro ad aver bisogno di aiuto. È questo ciò che si trova alla Gmg.
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l’approfondimento
Il vero avvenimento nell’Europa in crisi è che un milione di giovani stanno arrivando a Madrid da tutto il mondo
La sfida della speranza
«I giovani sono stati traditi dalla modernità: non c’è stata redenzione laica, la fede è stata sostituita da relativismo e nichilismo. Ossia dalla disperazione. Ma loro ci dimostrano che la Verità esiste». Parla il filosofo Giovanni Reale di Riccardo Paradisi a speranza e la disperazione: a Madrid i due volti della gioventù attuale mettono in scena una dialettica drammatica, la stessa che si svolge nell’anima occidentale in questi tempi di incertezza e di crisi. Da un lato quasi un milione di giovani cattolici in attesa del Pontefice e dall’altra i cosiddetti indignados, diecimila dei quali hanno contestato violentemente la presenza dei ragazzi cristiani tanto da costringere la polizia ad intervenire per salvaguardare la loro incolumità.
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Ragazzi colpevoli, secondo gli indignados, di far parte d’una iniziativa dai costi «esorbitanti» –100 milioni di euro – in un momento in cui il paese è in ginocchio e l’esercito dei disoccupati tocca i 5 milioni. Non si capisce bene quale sia la relazione tra le due cose sta di fatto che attraverso i contestatori una certa Spagna, e con lei una certa Europa, sembra riscoprire il suo animus più virulentemente anticattolico: ”Chiudere il Va-
ticano, la Guantanamo del Cervello” c’era scritto in uno dei cartelli issati dai manifestanti.
Una rabbia che cerca obiettivi espiatòri e che crede di trovarli, ancora una volta, nei cristiani. Liberal ha cercato di capire con l’aiuto del filosofo Giovanni Reale – recentemente insignito dalla presidenza della Repubblica del cavalierato di gran croce – quali sono le cause dei turbamenti della gioventù europea, quali i possibili sbocchi d’un angoscia che sembra attanagliare soprattutto le nuove generazioni che sentono di non contare, di non avere un futuro. «La tragedia che in quest’epoca investe soprattutto i giovani – dice Reale – è stata spiegata bene da L’epoca delle passioni tristi di Miguel Benasayag e Gérard Schmit (Feltrinelli) due psichiatri non credenti che hanno centrato una verità, ossia che il disagio profondo delle nuove generazioni è il segno visibile della crisi della cultura moderna occidentale fondata sulla promessa del futuro come
redenzione laica». Una redenzione che non c’è stata e che non può esserci, «perché lo scientismo e la tecnica non liberano l’uomo lo incatenano semmai sempre di più al demone della strumentalità e dell’efficientismo, riducendolo da persona a individuo. Fino a due secoli fa – continua Reale – l’uomo credeva e pensava che questa vita fosse un tragitto per arrivare nell’aldilà, alla vera vita. Cristo diceva io sono la via, la verità e la vita. La modernità laica e atea,
«Il Pontefice ha ragione a dire che la fede genera sviluppo»
dichiarando la morte di Dio, ha solennemente affermato che il paradiso era da cercare e creare su questa terra. Sulla terra la modernità ha invece costruito solo dei rispettabili inferni e i giovani che entrano oggi nel mondo non hanno per orientamento né l’antica fede né quella fiducia nel progresso che è stata l’ideologia della modernità. Sono immersi nel caos: nel lavoro, nella scuola, nelle stesse famiglie di provenienza. E non hanno più un sistema di valori, un modello. Ecco allora
che il disagio esplode in maniera anarchica, disperata».
Ma questa violenza, questa disperazione, è anche il frutto della predica dei cattivi maestri che hanno segnato il discorso pubblico di questi decenni con la loro ideologia corrosiva. «C’è chi negli passati teorizzava la superfluità della bellezza considerata un concetto borghese. E così chi accusava le periferie delle grandi metropoli d’essere squallide, improntate com’erano ai tetri schemi architettonici del socialismo reale, veniva accusato d’essere un reazionario. ”La bellezza – si diceva – è una sovrastruttura borghese, l’abitazione ha solo un compito funzionale”. Ma l’uomo non è una creatura che vive di solo pane, ha dei bisogni spirituali. Per sfamarlo non basta dargli da mangiare cibo fisico. Privarlo della bellezza, di armonia, di senso produce in lui disperazione e violenza. Se letto attraverso quest’ottica si chiariscono meglio anche le rivolte parigine o quelle londinesi più recenti».
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C’è una mirabile fusione di tradizione e modernità alla radice degli incontri con i giovani
Quando Wojtyla inventò la Woodstock della fede
La «Giornata» nacque per il Giubileo del 1984, ma ebbe il suo trionfo religioso e mediatico a Roma, nel 2000, con due milioni di papaboys di Maurizio Stefanini arissimi giovani, al termine dell’Anno Santo affido a voi il segno stesso di quest’Anno Giubilare: la Croce di Cristo!. Portatela nel mondo, come segno dell’amore del Signore Gesù per l’umanità, ed annunciate a tutti che solo in Cristo morto e risorto c’è salvezza e redenzione». Con queste parole Giovanni Paolo II il 22 aprile del 1984 consegnò una croce di legno ai 300.000 giovani che erano accorsi a Roma da tutto il mondo, ospitati da circa 6000 famiglie romane. Fu il primo Giubileo Internazionale della Gioventù, inserito in occasione di un evento straordinario come il Giubileo del 1983-84: 1950° anniversario della Morte e Risurrezione di Gesù. Da allora il Giubileo c’è stato di nuovo solo nel 2000. Ma quell’appuntamento speciale per i giovani è diventato annuale. Un secondo incontro venne infatti già nel 1985, cogliendo l’occasione per l’Anno Internazionale della Gioventù proclamato dall’Onu. Di nuovo convocati a Roma per la Domenica delle Palme e ancora all’insegna della stessa croce di legno, stavolta i giovani presenti furono 350.000. E Giovanni Paolo II istituì alla loro presenza la «Giornata mondiale della gioventù», da celebrarsi con cadenza annuale appunto la settimana precedente a Pasqua, e per organizzare e coordinare la quale fu creata presso il Pontificio Consiglio per i Laici una apposita Sezione Giovani. Ancora a Roma la prima edizione ufficiale, il 23 marzo del 1986. Giovanni Paolo II lesse la lettera «sempre pronti a testimoniare la speranza che è in Voi», e per l’anno successivo diede appuntamento a tutti a Buenos Aires.
termezzo diocesano ogni due anni l’8 aprile 1990, e il 10-15 agosto 1991 nella polacca Czestochova, il santuario della Madonna Nera cara a Giovanni Paolo II, la concomitanza con la fine del comunismo in Europa Orientale favorì un boom da 1,5, forse 1,8 milioni di partecipanti. Ma nel 2000 fu l’apoteosi.Tra i 2 e i 2 milioni e mezzo di giovani parteciparono alla veglia e alla messa presso la spianata di Tor Vergata, e fu allora che i giornali italiani coniarono il termine di
Il 28 marzo 1988 la Giornata si tenne a livello diocesano, ma il 15-20 agosto a Santiago di Compostela si iniziò l’attuale scansione estiva in cinque giorni. I 600.000 presenti rappresentarono un calo forse fisiologico, e forse dovuto al fatto che per la prima volta l’incontro non si teneva in una grande città. Ma il tutto fu abbondantemente compensato dalla riscoperta dell’antico “Cammino di Santiago”, che addirittura negli anni successivi avrebbe trasformato quell’itinerario a piedi in moda. Di nuovo l’in-
“papaboys“: con più di un’ironia, accentuata dalle notizie sulle masse di preservativi che gli stessi papaboys avevano lasciato sul luogo del loro raduno. Ma in fondo proprio la bonaria presa in giro coglieva nel pieno la grande intuizione di Giovanni Paolo II: il papa che ha cercato in tutti i modi di conciliare Modernità e Tradizione non contrapponendole ma in qualche modo sposandole. Appunto: gli antichi pellegrinaggi di massa riciclati con le modalità dei grandi happening rock in stile Woodstock. Che è poi, a guardar bene, il modo in
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A Czestochova, dopo la caduta del comunismo, la Chiesa rilanciò la fede nella rinata Europa dell’est
cui la Chiesa ha avuto i suoi maggiori successi: dalla cristianizzazione dell’Impero Romano a quella della democrazia.
Edizione diocesana l’8 aprile 2001, e il 23-28 luglio del 2002 800.000 persone si videro a Toronto. Ma grande erano i timori subito dopo gli attentati dell’11 settembre, e anche Giovanni Paolo II era ormai molto malato. «Voi siete il sale della terra, la luce del mondo» fu la citazione di Matteo con cui in pratica diede il suo addio. Seguirono infatti altre due edizioni diocesane, il 12 aprile 2003 e il 4 aprile 2004, in attesa che tra il 16 e il 21 agosto 2005 il nuovo papa Benedetto XVI potesse accogliere 1,2 milioni di pellegrini nella sua Germania, in quella Colonia dove sono custodite le reliquie dei Re Magi. E il «Siamo venuti per adorarlo» dei Re Magi fu lo slogan della manifestazione. Due edizioni diocesane, il 9 aprile 2006 e primo aprile 2007. Ma a quest’ultima fu in qualche modo collegato l’Incontro nazionale dei giovani dell’1-2 settembre 2007 a Loreto per l’Agorà dei giovani italiani, che fu una specie di Giornata Mondiale della Gioventù Nazionale, e che raccolse mezzo milione di persone. «Andate avanti, anche in situazioni difficili. Il mondo deve cambiare. Ed è la missione dei giovani cambiare il mondo. Andate, vivete, amate! Agli occhi di Dio ciascuno di voi è importante», disse Benedetto XVI parlando a braccio. Dopo una troppo lontana edizione a Sidney del 15-20 luglio 2008 ci furono ancora altre due edizioni diocesane, il 5 aprile 2009 e il 28 marzo 2010. E adesso è il turno di Madrid. «Radicati e fondati in Cristo, saldi nella fede», è il tema. Per la verità, proprio questa seconda edizione spagnola sta risultando la più contestata di tutte, con le proteste di Indignados e sindacati per i costi della manifestazione che vanno ben oltre la bonaria sfottitura italiana dei papaboys, quasi allo stesso modo in cui la ferocia del conflitto tra clericali e anticlericali della Guerra Civile Spagnola andò ben oltre le tradizionali schermaglie italiane alla Don Camillo e Peppone. Sono problemi della storia spagnola, cui comunque Benedetto XVI allude nel momento in cui richiama a «una rispettosa convivenza» tra i cristiani e i seguaci di altre «legittime opzioni».
Per quanto riguarda le contestazioni di Madrid Reale è amareggiato ma non sorpreso. «Non è una novità che i cristiani vengano perseguitati, eletti a capri espiatori. Succede quello che Cristo aveva detto: vi perseguiteranno come hanno perseguitato me. E del resto ci sarà un motivo per cui l’olocausto cristiano che sta avvenendo nel mondo non fa notizia. Questo è inquietante ma è nel destino del bene quello di attirare l’odio del male. Però nell’evento di Madrid noi dobbiamo notare anche quello che di straordinariamente positivo sta accadendo. La capitale spagnola attende un milione di giovani dai cinque continenti del mondo, è un evento enorme, che apre a grandi speranze. Il punto è che qui abbiamo due estremi: ci sono giovani eccellenti, straordinari ma di contro ci sono esempi pessimi. Quello che mi preoccupa non è questo contrasto sussistente, che è una componente della realtà, quello che mi preoccupa è che non c’è più una fascia intermedia forte e attiva che doveva la sua formazione alla scuola e alla famiglia oltre che alle proprie doti personali. Ecco quest fascia intermedia è neutra, passiva».
E questo perché è il tono generale della società e dunque della gioventù ad essere generalmente depressivo. «Perché non esiste più un ideale regolativo, un modello che trae in alto. Al contrario siamo imbevuti di nichilismo e di relativismo: il Papa ha perfettamente ragione a denunciare questa deriva, ad affermare che il relativismo è solo l’ultima maschera del nichilismo, il veleno che viene servito ai giovani, ai quali s’insegna che la verità non esiste e che le loro gioie, come i loro dolori, non hanno, in definitiva, nessun senso». Ma il destino umano non è la disperazione dice Reale. Per questo i giovani, che sono forze in divenire, continuano a cercare un orizzonte di senso e una fonte di spiritualità e spesso la trovano proprio nella religione e nella verità cristiana, una verità che viene testimoniata in queste ore a Madrid. «Vedendo questi giovani io sento il mio cuore aprirsi e mi viene alla mente la notazione di Kirkegaard: che Cristo c’è, è nostro contemporaneo e rimarrà finchè anche uno solo tra gli uomini lo crederà vivo. Ci sono un milione di giovani a Madrid che oggi dicono al mondo che questa verità è lontana dall’essere tramontata. Giovani che stanno facendo al cosa più cristiana che si possa immaginare: considerare Cristo vivo in mezzo a noi. Ha ragione il Papa a dire - con buona pace dei contestatori – che la fede genera futuro e sviluppo. Questi giovani raccolti a Madrid intorno alla verità sono la primavera dell’avvenire. La vitalità dell’idea cristiana. La ragione della nostra speranza».
economia
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Dopo pochi giorni di tregua, crollano tutti, “spaventati” dalla Tobin Tax ell’estate più piovosa degli ultimi anni, non potevano non tornare nubi temporalesche anche sui mercati europei. Qualche giorno di apparente calma, dovuto sia al Ferragosto sia all’acquisto massiccio di buoni del tesoro da parte della Bce – oltre 25 miliardi solo quelli italiani –, ha illuso eccessivamente politici ed economisti. Ma da ieri Eurolandia vede nuovamente rosso, pesantemente, con tutte le principali piazze che chiudono in fortissimo ribasso: Milano -6,15%, Londra -4,49%, Francoforte -5,82%. Come mai? Che cosa ha fatto sì che gli investitori punissero così severamente l’Europa? Una delle risposte che rimbalza sulla bocca di tanti ha un nome e cognome straniero: “Tobin tax”. Per capire di che cosa si tratti, è necessario fare un salto indietro di circa 40 anni, al 1972 per la precisione.
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Gli speculatori non vogliono tasse Mercati nel panico e Borse in picchiata. Milano è maglia nera: chiude a -6,15% di Marco Scotti
James Tobin, famoso economista, propose di imporre una tassa sulle transazioni finanziarie per «gettare sabbia negli ingranaggi dei trader». Allora il ruolo degli investitori era decisamente più marginale di quanto non sia oggi, ma una serpeggiante preoccupazione iniziava a circolare. In realtà, poco dopo la sua creazione la Tobin fu seppellita dalle critiche di chi sosteneva che la tassa fosse troppo difficile da raccogliere e facile da eludere. La Tobin Tax è tornata alla ribalta negli ultimi gior-
In molti paesi europei, l’imposta sulle transazioni esiste già: la contrarietà di alcuni dipende più dal fatto di non voler perdere un privilegio di cui già si gode rispetto ad altre piazze ni, dopo il vertice tra Sarkozy e la Merkel che hanno individuato in essa una possibilità per reperire risorse proprio ora che le finanze di Eurolandia iniziano a traballare. Un provvedimento resosi ancor più necessario dopo la pubblicazione delle stime di crescita del Pil dei paesi-membro nel trimestre – con la Germania che raggiunge uno striminzito +0,1%, la Francia addirittura con crescita zero – che hanno allarmato economisti e investitori. Durante l’incontro, i due leader hanno approntato alcune misure emergenziali, volte a impedire il progressivo ridimensionamento dell’Europa nel suo complesso, sotto i colpi della speculazione.
Oltre alla introduzione della “Tobin Tax” – proposta già approvata a maggioranza all’Europarlamento nel marzo scorso – che cos’altro si sono detti i due? Intanto, hanno ri-
fiutato la proposta di un “eurobond”, sorta di titolo sovranazionale europeo che contenendo titoli di stato di tutti i Paesi avrebbe bilanciato gli squilibri tra le diverse economie. È vero, dice Sarkozy, avrebbe garantito il rating “AAA”a tutti i paesi europei, ma avrebbe minato la credibilità di Francia e Germania perché non avrebbero avuto il controllo sulle economie – e soprattutto sui debiti – degli altri paesi. Insomma, in mancanza di un controllo, perché metterci la faccia? Ancora, hanno prefigurato la creazione di un governo economico che si riuni-
Desolazione, ieri, a Wall Street: è stata un’altra giornata nera per le Borse dopo la richiesta di una tassa sulle transazioni da parte di Merkel e Sarkozy sca una volta al mese per deliberare di politiche economiche comunitarie. Infine, il pareggio di bilancio. Sia che la Sarkozy Merkel hanno voluto sottolineare più volte l’importanza di inserire nella Costituzione dei paesi-membro la necessità di raggiungere la parità tra entrate e uscite. Deve esserci un obbligo nazionale, spiega il cancelliere tedesco, «anche se si forma all’interno delle varie nazioni un’opposizione».
Una serie di misure chiare e condivisibili, eppure, a quanto pare, non sufficienti. Per due motivi fondamentali: da una
parte la “Tobin Tax” rischia di spaventare gli investitori, anche se, in molti paesi europei esiste già un contributo analogo – la City londinese, per esempio, si finanzia con una Duty Stamp Tax dello 0,5% del valore di tutti i titoli acquistati sulla sua borsa – e quindi la contrarietà di alcuni dipende più dal fatto di non voler perdere un privilegio di cui già si gode rispetto ad altre piazze piuttosto che per un pregiudizio ideologico. Dall’altra, le iniziative del tandem Sarkozy-Merkel non convincono i mercati. Perché? Semplice, perché non sono troppo incisive. Prendiamo ad esempio l’idea di un governo economico: che efficacia potrebbe avere, riunendosi una volta al mese? Chi investe in Europa pretende stabilità, situazione che di certo non può verificarsi fintanto che i paesimembro possono permettersi di fare sostanzialmente come credono sia in materia di deficit che di rapporto tra debito e pil. La moral suasion (che potremmo liberamente tradurre come “minaccia di provvedimenti”) fin qui applicata ha prodotto più danni che altro, e non stupisce che ora gli investitori ce la stiano facendo pagare. L’esempio più calzante è quello dell’Irlanda, che avendo applicato un regime fiscale estremamente agevolato per le imprese, ha visto implodere la propria economia nel momento in cui, per la crisi finanziaria ed economica del 2008, gli investitori stranieri hanno chiuso i cordoni della borsa. Oggi il rapporto deficit/pil di Dublino è del 30% - mentre a Maastricht nel 1992 si chiese di mantenere il dato entro il 3% - e il rapporto tra debito pubblico e pil è balzato in un anno dal 29 al 120%. Eppure nessuno ha previsto interventi sanzionatori seri che costringessero l’Irlanda a metterci, rapidamente, una pezza.
Ed eccoci di nuovo alla cronaca degli eventi in borsa di ieri: c’era grande attesa per sapere come avrebbero preso i mercati l’asse Merkel-Sarkozy e, soprattutto, la ventilata “Tobin Tax”. Il fatto che tutte le borse, fin dal mattino, abbiano continuato a perdere terreno è una risposta inequivocabile. D’altronde, è l’intero sistema occidentale ad essere sempre più in affanno, come sottolineato ieri dalla banca d’affari Morgan Stanley in un rapporto che raccontava il crollo della fiducia nei confronti dei Paesi dell’ex Primo Mondo. Se a ciò aggiungiamo l’acquisto dei bond dei Paesi del Golfo, considerati nuovo bene rifugio, capiamo subito che il barometro rimane fisso sul brutto tendente a tempesta.
Un a l e t t u r a a l g i o r n o
S t o r i e d i b a m b i n i s p e r d u t i : d u e n u o v i r a c c o n t i d e l l a s e r i e d i R o b e r t o Ge n o v e s i
Aaron, Jihad & Nuredin di Roberto
Genovesi
Israele, Palestina e Afghanistan. Tre piccole vittime dei conflitti, immolate sull’altare delle ideologie
pagina I - liberal estate - 19 agosto 2011
una lettura al giorno Aaron & Jihad i chiamo Aaron, che nella lingua dei miei padri significa colui che è elevato e vivo a Gerusalemme, la città dove sono nato. Ho due fratelli più piccoli di me e tutte le mattine li aiuto a vestirsi e a fare la cartella per andare a scuola. La nostra mamma fa l’operaia in una fabbrica di vestiti e si sveglia molto prima di noi. Per questo, visto che sono il più grande, il mio compito è quello di accompagnarli sul pullman della scuola. Passa proprio sotto casa ma non si ferma più di qualche minuto, quindi dobbiamo essere davvero molto puntuali. Per fortuna però quando lo prendiamo è quasi vuoto perché ha appena cominciato il giro e riesco a fare sedere i miei fratellini vicino ai finestrini. Mio padre è un ufficiale dell’esercito israeliano e non lo vedo molto spesso perché il più delle volte dorme in caserma ma qualche volta comanda il posto di blocco che si trova proprio sulla strada attraversata dal pullman della scuola. Per questo, se siamo seduti tutti vicino al finestrini, spesso riusciamo a salutarlo anche se lui non ci risponde perché dice che deve tenere un contegno da soldato e non sta bene che un soldato saluti mentre sta facendo la guardia.
M
Mi chiamo Jihad, che nella lingua dei nostri padri significa sforzo sulla via di Dio e vivo a Gerusalemme, la città dove sono nato. Sono il più piccolo di nove fratelli e frequento la scuola che anche loro hanno frequentato prima di me. Mi piace molto perché ci insegnano il significato delle cose che il profeta Maometto ha scritto in un libro che si chiama Corano. Io ci vado anche quando ho la febbre o non mi sento tanto bene perché quel libro mi piace troppo e il nostro maestro ce lo spiega talmente bene che ogni volta che esco per tornare a casa mi sento come di camminare a una spanna da terra. Mio padre ha scelto di fare il soldato perché dice che così ci difende meglio. Ci dice che in città si nascondono tante persone cattive che vogliono fare del male a noi ebrei. Dice che solo i soldati sanno riconoscerli perché si sono addestrati per questo mentre a noi
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sfuggirebbero. Dice che fanno finta di essere come noi e si mischiano a noi mentre passeggiamo per strada, andiamo a fare la spesa o andiamo a lavorare. E poi, quando meno ce l’aspettiamo, si fanno esplodere. Io non ho mai capito come facciano. Voglio dire, come si fa a vestirsi con una bomba e poi a fare boom come se niente fosse? Non è che si può tornare indietro poi. Niente più playstation, niente più cartoni animati, niente più amici per andare a giocare a pallone. Eppure ogni tanto li vedo al telegiornale con tutta quella gente che corre, le ambulanze e il sangue mentre tutti piangono e si mettono le mani nei capelli. Ecco, mio padre dice che lavora per evitare che succedano quelle cose così brutte. Però, penso io, succedono lo stesso e allora a che serve che dorma così spesso fuori casa se poi lo vedo che piange davanti al televisore?
Vivo in una casa con il tetto fatto di assi di legno che mio padre e i miei fratelli hanno sistemato con le loro mani mentre io li guidavo da sotto per evitare che le mettessero storte. Sono fiero della mia casa anche se è un po’ piccola per noi tutti. È difficile vivere in dieci in uno stanzone ma abbiamo il bagno e perfino un cucinino a gas che molti miei compagni di scuola nemmeno si sognano. Ma il mio papà fa il venditore ambulante di carta e cartone e ci possiamo permettere qualche comodità. Se solo ci fossero ancora i miei nonni sai quanto sarebbero contenti. È per colpa della vecchia casa che sono morti. Era fatta tutta di legno e quando sono passati i carri armati è crollata per le vibrazioni e i miei nonni non hanno fatto in tempo a uscire. Mio padre dice che la colpa è stata dei soldati che ci sono passati sopra con i carri armati ma io dico che se non fosse stata di legno e così fragile probabilmente non ci sarebbero riusciti. Comunque ce la siamo ricostruita e adesso è di pietra. Almeno fino al tetto. Ma i carri armati non volano e difficilmente arriverebbero sul nostro tetto. Però quando dico queste cose mio padre ride perché dice che i soldati dei carri armati hanno anche i missili e quelli sì che volano. I soldati non sono come noi. Sono ebrei e vivono nella parte più bella della città in case alte con i giardini tutt’attorno, i negozi e le strade tutte nere di asfalto. Ma io dico che non c’è poi così tanta differen-
za perché siamo pur sempre tutti a Gerusalemme che è una città bellissima.
Gerusalemme è una città bellissima e mio padre dice che devo essere fiero di esservi nato. Anche se viviamo nell’anello esterno della periferia nord, in palazzoni giganteschi tutti grigi, con finestrelle piccolissime e nemmeno un albero attorno, tanto che non hanno potuto comprarmi un cucciolo perché non saprei dove portarlo a fare la pipì. Comunque Gerusalemme per noi ebrei è il Monte del Tempio. Un giorno che era in libera uscita, mio padre mi ha letto un passo bellissimo di un libro che si chiama Midrash Tanhuma dove c’era scritto «La terra di Israele è situata nel centro del mondo, Gerusalemme nel centro della terra di Israele, il Santuario nel centro di Gerusalemme, il Santo dei Santi nel centro del Santuario, e la pietra di fondazione su cui il mondo fu fondato è situato di fronte al Santo dei Santi». Così bello che l’ho imparato a memoria e lo ripeto ogni mattina quando sto seduto sul pullman che mi porta a scuola mentre guardo la gente di fuori che cammina e tutte le insegne colorate dei negozi che mi sfrecciano davanti come i lembi di una girandola. Gerusalemme è davvero una città bellissima e mio padre dice che dobbiamo essere fieri di esserci nati e poi il mio maestro un giorno ci ha letto un brano di un libro antichissimo. Talmente bello che l’ho imparato a memoria. Dice «Il posto più santo sulla terra è la Siria; il posto più santo nella Siria è la Palestina; il posto più santo nella Palestina è Gerusalemme; il posto più santo in Gerusalemme è la Montagna; il posto più santo in Gerusalemme è il luogo di culto, e il luogo più santo nel luogo di culto è la Cupola». Però i soldati dicono che Gerusalemme è solo loro perché loro sono israeliani e Gerusalemme sarebbe all’interno dei confini di Israele. Ma io so che dicono una bugia perché il mio maestro mi ha fatto vedere che in realtà Gerusalemme si trova all’interno dei confini di un altro Stato che si chiama Palestina. Il mio Paese. Un giorno ho chiesto a mio padre che cosa fa quando riesce a scovare qualcuna di quelle persone cattive che vogliono farci del male ma lui non mi ha risposto e si è mes-
so a ridere. Ma io lo sento quando parla sottovoce con la mamma. Lei piange perché dice che ha paura per lui, che prima o poi si farà ammazzare e che non ne vale la pena. Ma mio padre alza la voce e le risponde che ne vale sempre la pena perché questa terra, la terra di Israele dice, non è solo nostra ma anche di tutti quelli che sono morti nei campi di concentramento nazisti e di tutti quelli che verranno dopo di noi e per i quali la stiamo difendendo. Io però, nonostante tutti gli sforzi che faccio, i nemici non riesco a riconoscerli e a me la farebbero sicuramente sotto al naso. Per me i nemici sono quelli che vedo nei videogiochi. Sono brutti, digrignano i denti, hanno le mani fatte di artigli ma un mio compagno di scuola mi ha raccontato che una volta ha visto la foto di uno di quelli che i giornali chiamano kamikaze e non aveva artigli o denti aguzzi. Era una ragazza poco più piccola di sua sorella che ha vent’anni. E io gli ho detto che non è giusto perché se si travestono pure da ragazze come facciamo a evitarli? Ma lui mi ha assicurato che non era un travestimento. Era proprio una ragazza.
La nostra casa è molto piccola ma c’è un grande spiazzo di terra tutt’attorno. Per questo mi hanno permesso di tenere un cucciolo. Tutte le mattine sono io ad aprirgli la porta per farlo uscire a fare i bisogni. La notte dorme ai miei piedi ma all’alba ci sveglia tutti perché vuole uscire. E, tutto sommato, anche lui fa qualcosa per la comunità perché ci fa da orologio vivente. È la cosa più importante che ho. E prima di andare a scuola ci gioco sempre un po’. Ma questa mattina non sono andato a scuola perché oggi è il grande giorno. Il giorno per il quale ho studiato e pregato per tanti anni. Per questo mi hanno permesso di giocare un po’ di più con il mio cane prima di vestirmi. È stato tutto molto divertente perché di solito quando esco mi vesto da solo. So farlo perché sono grande. Ma stamattina c’erano tutti i miei fratelli. Poi mio padre mi ha messo un’imbracatura pesantissima e tutti mi hanno dato tante pacche sulle spalle gridando Allah è grande! Allah è grande! Così ho gridato anche io e ci siamo messi tutti a ridere. Poi mi padre si è fatto serio, si è inginocchiato di fronte a me e mi ha chiesto se ricordavo cosa dovevo fare. Mi ha detto che in questo modo guadagnerò il paradiso dei miei padri. E io ho pensato a quando il mio maestro ce lo descrive a scuo-
la questo paradiso e a quanti alberi da frutto ci sono in ogni dove e a quanti corsi d’acqua e quanti amici con cui giocare. Così ho annuito con decisione e mio padre mi ha spiegato per l’ultima volta come si aziona il meccanismo dell’imbracatura. Poi sono uscito e ho salutato il mio cucciolo. Proprio perché oggi è un giorno speciale, gli ho promesso che questa sera, quando tornerò, avrà razione doppia di pappa.
Stamane il pullman era proprio vuoto quando siamo saliti. Così abbiamo conquistato con soddisfazione i migliori posti vicino al finestrino proprio accanto all’autista. Sono bastate un paio di fermate per riempirlo quasi tutto. È rimasto vuoto solo il posto accanto al mio perché c’ho posato la merenda e probabilmente gli altri bambini che sono saliti devono aver creduto che fosse occupato. È stata una fortuna perché a un certo punto abbiamo visto un bambino che correva verso il pullman. Io mi sono alzato e ho fatto cenno all’autista che non l’aveva visto. Così ci siamo fermati e il bambino è salito. Non l’avevo mai visto prima ma capita spesso che dei bambini si iscrivano a scuola a corso cominciato perché molte famiglie lasciano le case coloniche che vengono abbattute nelle zone periferiche ai confini con i campi profughi. Per farla breve, è salito con il fiatone, si è guardato attorno e ha visto il sedile accanto al mio. Io ho preso la merenda e gli ho fatto cenno che poteva sedersi. Lui mi ha sorriso e si è seduto. È proprio vero che Allah aiuta i giusti come dice mio padre. Stavo rischiando di perdere il pullman ma, per fortuna, uno dei bambini dentro se n’è accorto e ha fatto fermare l’autista. Mi ha perfino fatto sedere accanto a lui e mi ha offerto una caramella. Io, naturalmente, ho rifiutato, perché per fare quello che devo fare, occorre essere puri e per essere puri bisogna stare a digiuno e pregare. Però stasera, quando tornerò a casa, mi hanno detto che mi aspetta un dolce buonissimo che la mamma ha imparato a fare dalla nonna. Si fa solo quando si festeggia qualcosa di importante e oggi è certamente una giornata importante. Il bambino che mi si è seduto vicino è proprio buffo. Con il caldo che fa si è vestito con un giubbotto che lo fa sembrare come l’omino della Michelin, quello della réclame delle gomme per auto. Però è simpatico e sorride in continuazione. Per
questo gli ho offerto una caramella ma l’ha rifiutata perché dice che non può mangiare niente fino a questa sera.
Mio padre dice che devo azionare l’imbracatura quando passiamo di fronte a un posto di blocco di soldati israeliani. Questo perché, dice, loro devono vedere quello che faccio in modo che ricordino quello che hanno fatto ai miei nonni. Dice che, mentre tiro la levetta, devo continuare a dire Allah è grande, Allah è grande. Ma non mi ha detto se dopo, quando ho tirato la levetta, mi devo fermare o devo continuare. Mi sono dimenticato di chiederglielo perché andavano tutti di fretta. Poi ho pensato che continuare a pregare non è sbagliato. Ecco papà! Il pullman sta passando proprio vicino al suo posto di blocco. I miei fratellini lo hanno riconosciuto subito e hanno cominciato a sbracciarsi. Ma lui, serio, ha fatto finta di non vederli anche se io mi sono accorto che, nascosto dall’elmetto, si è lasciato sfuggire un sorriso. Ho fatto cenno al mio nuovo amico che quello che vedevamo in mezzo ai soldati, con il grado di ufficiale, era mio padre ma lui sembrava distratto da qualcosa che cercava di tirare fuori dalla tasca e così siamo passati davanti ai sacchi di sabbia senza che potesse alzare la testa. Il mio nuovo amico è proprio simpatico. È ebreo come tutti i bambini nel pullman tranne me naturalmente ma non sembra cattivo come mi hanno raccontato i miei amici e il mio maestro. Quando questa sera tornerò a casa lo racconterò a mio padre. Gli racconterò del mio nuovo amico ebreo e magari un giorno gli farò conoscere anche il mio cucciolo. A pensarci bene non gli ho ancora dato un nome. Magari, se diventeremo amici, glielo daremo insieme. Io e il mio nuovo amico ebreo. Se solo questa levetta non si fosse incastrata. Ah, ecco, si muove. Meno male, altrimenti sai stasera mio padre quante...
pagina III - liberal estate - 19 agosto 2011
una lettura al giorno Il cercatore di farfalle
i chamo Nuredin e vivo in un piccolo paese dell’Afghanistan. Il mio nome significa luce della religione e lo ha scelto la mia mamma. È l’ultima cosa che ha detto a mio padre quando sono nato. Ha sofferto tantissimo prima di morire perché il mio paese è molto piccolo e isolato e non ci sono dottori. Così non è stato possibile aiutarla. Ma mio padre mi ha raccontato che attorno al letto c’erano tante persone che pregavano ed è stato più facile accompagnarla in paradiso. Non chiedetemi come si chiama il mio paese perché ha un nome difficilissimo da pronunciare e io, che adesso ho undici anni, non sono riuscito ancora a impararlo. So che significa oasi di luna e credo che dipenda dal fatto che, siccome non ci passano i fili della luce che ci sono nelle città più grandi, al tramonto fa già buio e la luna s’accende d’improvviso nel cielo come fosse una grande torcia.
M
Nel mio paese c’è anche un pozzo dove le donne, la mattina, vanno a raccogliere l’acqua per lavare e impastare la farina. Ci si arriva percorrendo una stradina scoscesa che si può percorrere solo a dorso di mulo o camminando con molta attenzione tra i sassi che spesso si staccano e ruzzolano a valle. Io accompagno mia zia a prendere l’acqua da quando ero piccolissimo e ho imparato a riconoscere a prima vista i sassi pericolosi da quelli ben saldi nel terreno. È per questo che i vecchi del villaggio mi hanno scelto. Per questo sono diventato un cercatore di farfalle. Io non ho paura di girare per il villaggio anche dopo il tramonto. Prima di tutto perché sono maschio e i maschi non possono avere paura del buio. E poi per-
ché so che non può succedermi niente di male per via dei soldati che vegliano su di noi dall’alto del colle che sovrasta il villaggio. In realtà non sono veri e propri soldati. Non nel senso che portano le divise. Ma hanno tante armi che hanno preso prima ai russi che hanno cercato di conquistare le nostre terre e poi agli americani che ci hanno fatto credere di volercele restituire.
Come dicevo i soldati che ci difendono e vegliano sul nostro villaggio non sono veri e propri militari. Hanno studiato il Corano a scuola e si dice che lo abbiano imparato tutto a memoria. Per questo noi li chiamiamo Taliban che in lingua cranica significa proprio studenti. Difendono le persone ma anche le nostre tradizioni e non vogliono che le cose brutte che si fanno e si dicono in altri posti del mondo arrivino fino a noi giovani perché sono convinti che ci farebbero male e ci porterebbero lontano dalla religione. Un giorno uno di questi Taliban mi ha visto saltellare tra i sassi e si è avvicinato per parlarmi. Era
come facevo a riconoscere i sassi buoni da quelli cattivi e così abbiamo fatto amicizia. L’ho rivisto tante altre volte anche se mia zia non era molto contenta. Anzi, ogni volta che lo rincontravamo lungo il sentiero cercava di non farmelo salutare con le scuse più stupide e io non capivo perché. Penso che fosse un po’ gelosa oppure che gli stava semplicemente antipatico. In ogni caso io e Omhar, è questo il suo nome, siamo diventati amici e un giorno è andato a parlare con i vecchi del mio villaggio di me. Non potevo crederci: un Taliban che parla di me agli anziani della comunità. Fatto sta che i vecchi mi hanno chiamato e mi hanno detto che ero stato scelto e che i soldati che vivevano sulle colline mi avrebbero insegnato a cercare per loro le farfalle.
Le farfalle sono degli oggetti molto curiosi che i russi hanno sotterrato nel terreno quando sono arrivati con i loro carri armati. Ma è molto difficile trovarli perché li hanno nascosti davvero bene. Sono molto curiosi. Hanno proprio la forma di una grossa farfalla con tanto di alette sporgenti. In realtà i russi non li hanno sotterrate davvero. Quando passavano sui nostri villaggi con i loro elicotteri li lasciavano cadere e, per via della forma simile a quella degli aeroplani di carta che mi fa mio nonno, si sono conficcati quasi per intero nella terra. Così è molto difficile riuscire a scovarli e occorre un occhio attento e una grande capacità di riconoscere i sassi. La capacità che ho io ed è per questo che da oggi sono diventato un cercatore di farfalle.
«Le farfalle i russi le hanno messe nel terreno. Hanno alette sporgenti. E siccome io so riconoscere bene i sassi, sono stato scelto per ritrovarle» molto alto e aveva una lunga barba nera che gli nascondeva gran parte della faccia. Portava a tracolla un grosso fucile di quelli che avevano portato un tempo i russi. Anche questo tipo di fucile ha un nome strano con tante K che non riesco a pronunciare. Io non sono tanto bravo con le parole e con la memoria ma riesco a riconoscere i sassi. Così quell’uomo dalla barba lunga a cominciato a chiedermi
pagina IV - liberal estate - 19 agosto 2011
L’autore, l’opera I racconti pubblicati in queste pagine fanno parte del ciclo dei Bimbi sperduti, un ampio progetto creativo ed editoriale dedicato da Roberto Genovesi ai bambini che nel mondo sono quotidianamente vittime delle violenze individuali e collettive degli adulti. Giornalista ed esperto di media education, Genovesi si occupa da molti anni di narrativa e tv per i ragazzi ed è autore di romanzi e fumetti particolarmente attenti alle problematiche dell’infanzia e dell’adolescenza. Da qualche settimana è in libreria il suo nuovo romanzo La vendetta di Augusto (Newton Compton) che vede come protagonisti proprio un gruppo di bambini, orfani o schiavi, che vengono addestrati come sacerdoti dalle legioni romane.
Stamattina non sono andato con la zia a prendere l’acqua. I Taliban mi aspettavano fuori dalla mia capanna. Erano in cinque. Due fermi davanti alla porta e gli altri tre su una camionetta che sugli sportelli aveva dipinte le lettere occidentali u, esse e a. Mi hanno fatto salire sulla camionetta e mi hanno dato un bel panino imbottito di carne di manzo che ho finito ancor prima di arrivare nei pressi di un vastissimo terreno pieno di sassi e cespugli dove ci siamo fermati. Mi hanno fatto scendere e mi hanno detto che avrei dovuto cercare le farfalle in mezzo ai sassi. Mi hanno spiegato che, una volta trovate, non dovevo tirarle fuori ma solo conficcarci vicino un bastoncino avvolto in un fazzoletto bianco. Un lavoretto facile facile per uno come me che sa riconoscere i sassi. Ora, mentre vi parlo, è quasi mezzogiorno. L’ora della preghiera e devo fermarmi. Ho trovato quattro farfalle e ho conficcato nel terreno altrettanti bastoncini. Ma i soldati non ci sono più. Dicono che torneranno questa sera a riprendermi per vedere il lavoro che ho fatto. Le farfalle dei russi sono degli oggetti davvero strani ed è un peccato doverle lasciare qui in attesa che arrivino i Taliban. Ho deciso che farò una pausa, tanto non possono accorgersene per-
ché se ne sono andati e torneranno al tramonto. Tirerò fuori dal terreno una di queste farfalle e la porterò al villaggio per farla vedere agli amici così potremo giocarci tutti insieme e io farò una gran bella figura.
Ma è proprio difficile tirarle fuori dalla terra per via dei sassi e per via di quel gancio che le blocca. C’è quella che ho davanti in questo momento che è bianca come il latte. Una farfalla bellissima. Sulla parte superiore ha disegnata una scritta nella lingua dei russi e sulla parte inferiore una specie di scalino. Ho scoperto che, quando ho provato a sollevare la farfalla, lo scalino ha fatto un rumore strano. Una specie di schiocco. Ora la farfalla ha cominciato a vibrare. Adesso la prendo e me la stringo forte al petto così magari, durante il tragitto di ritorno al villaggio, smette di vibrare. Questa sera la rimetterò al suo posto e i Taliban mi diranno che sono stato bravo. Ma adesso la vibrazione sembra più forte di prima e ho sentito un altro schiocco che…
o p i n i o n ic o m m e n t il e t t e r ep r o t e s t eg i u d i z ip r o p o s t es u g g e r i m e n t ib l o g ACCADDE OGGI
California, terra dorata... 1848: il Nyt lancia ufficialmente la corsa all’oro nei fiumi del Sud. E l’America impazzisce a corsa all’oro californiana o febbre dell’oro californiana fu un periodo della storia americana segnata dall’interesse mondiale per l’oro della Sierra Nevada, nella regione centrale della California. Ebbe inizio il 18 gennaio 1848, quando il pioniere svizzero Johan Suter (americanizzato in John Sutter) scoprì un filone del prezioso metallo. Iniziata meno di due anni dopo la proclamazione della Repubblica della California (giugno 1846) e prima che il Messico cedesse formalmente la California agli Stati Uniti (febbraio 1848), la corsa all’oro diede il via ad un flusso migratorio di migliaia di uomini in cerca di fortuna. Ma pochi riuscirono e divennero ricchi. La maggior parte infatti trovava solo l’oro sufficiente al proprio sostentamento quotidiano. Sutter era arrivato in America nel 1834 in cerca di fortuna e si era stabilito sulle rive del fiume Sacramento. Lì ottenne dal governo messicano una concessione per costruire un fortino contro gli statunitensi. Nonostante questo il territorio venne invaso e Sutter stabilì buoni rapporti con i nuovi padroni. Il filone aurifero venne scoperto mentre si stava lavorando alla costruzione di una fabbrica. Sutter tentò di mantenere segreta la notizia, ma questa si diffuse molto rapidamente. Il Nyt, nel 1848, lancia la notizia. E migliaia di cercatori accorsero da tutto il mondo per cercare la fortuna nei fiumi.
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I vitalizi dei parlamentari vanno tagliati con un decreto legge Per le pensioni dei nostri parlamentari nessuno invoca nuove norme per riportare i conti ad una situazione sostenibile. Né scaloni, né scalini, né revisione dei coefficienti, né modifiche ai requisiti. Trattasi di vitalizi (così è chiamata la pensione dei politici) ricchi e generosi che gravano sul groppone di tutti i cittadini. Di queste pensioni la nuova manovra finanziaria non dice nulla tanto che il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, ha inviato una lettera ai capigruppo di maggioranza di Camera e Senato, con la quale “invita”a procedere all’applicazione dei tagli del 5 e del 10 per cento previsti per le pensioni d’oro che superano i 90mila e i 150mila euro e che non colpiscono direttamente i vitalizi dei parlamentari. Ma non era meglio e più semplice stabilirlo con una norma del decreto legge con cui è stata varata la manovra-bis, così come è stato fatto per le pensioni dei comuni mortali?
Simone Carella
PENSIONATI: UN PESO O UNA RISORSA? La grave crisi finanziaria, che ha investito in modo particolare molte nazioni europee, ha messo in discussione tutto l’intero sistema economico. Per riparare ai guasti, da più parti, si vogliono coinvolgere, penalizzandoli, anche i pensionati. Prima di entrare in argomento è bene premettere che la crisi economica, madre della crisi finanziaria, aveva da anni mostrato quale punta dell’iceberg l’alta percentuale di disoccupazione. Essa è stata sottovalutata e negata prima, timidamente ammessa dopo, e successivamente ancora, ci era stato assicurato che ormai era superata tanto che si progettavano sgravi fiscali. Era facile prevedere che in una economia debole la speculazione finanziaria poteva avere facile sviluppo. La crisi finanziaria non è un cataclisma naturale, imprevedibile come i terremoti, le alluvioni, le eruzioni vulcaniche. Una più attenta e tempestiva azione politica quasi sicuramente avrebbe potuto attutire gran parte degli effetti negativi. Ritengo che la classe politica abbia il dovere di fornirci dei chiarimenti per fugare i nostri dubbi. Nelle voci che si rincorrono di manovre finanziarie correttive, di anticipazioni di provvedimenti, tornano troppo spesso i pensionati come se essi costituissero un peso per la collettività. Negli aridi numeri dei bilanci degli enti previdenziali gli importi delle pensioni sono segnati in uscita. Ma i pensionati non sono una passività perché prima, durante tutta la vita lavorativa, hanno versato i contributi nella misura richiesta. I pensionati, in una società come la nostra con un’alta percentuale di disoccupazione, sono una grande risorsa per la società, perché - facendo economie e conti-
L’IMMAGINE
Ho scritto il (mio) nome sulla sabbia Quante volte d’estate avete provato a scrivere il vostro nome sul bagnasciuga? Dura solo qualche secondo, prima che le onde lo cancellino. Anche lo sceicco arabo Hamad Bin Hamdan Al Nahyan ha scritto, o meglio ha fatto scrivere, il proprio nome sulla sabbia di un’isola di sua proprietà, Al Futaisi (Emirati Arabi). Ma per essere sicuro che tutti lo vedessero ha fatto scavare lettere di 1 chilometro in altezza per 3 di larghezza. Il nome non passa inosservato su Google Earth ed è visibile anche dallo spazio. Difficile che le onde lo cancellino: lo scavo ha talmente deturpato il paesaggio che l’acqua è entrata all’interno delle lettere formando veri e propri canali
nuando a fare sacrifici - aiutano i figli e i nipoti disoccupati, o precari o sottoccupati. Nella insufficienza o nella mancanza di asili nido e di altre strutture indispensabili per consentire alle madri di espletare qualche attività, i nonni pensionati provvedono ad accudire e a crescere i nipoti. Intaccare le pensioni significa ridurre questa valvola naturale di solidarietà e colpire ancor più i ceti più deboli. Ad un politico di lungo corso della Prima Repubblica venne attribuita la frase: «I pensionati sono delle foglie morte». Chi detiene i cordoni della borsa la pensa allo stesso modo? Forse è bene ricordare che anche i pensionati votano.
Luigi Celebre
PIRATI DELLA STRADA: INTERVENIRE SENSIBILIZZANDO L’aumento del 39 per cento degli episodi di pirateria nel nostro Paese nei soli primi 6 mesi di quest’anno è un campanello di allarme che non può non essere ascoltato. Oltre alle punizioni serve una chiave di svolta culturale che arrivi da una maggiore formazione e sensibilizzazione del guidatore. Non possiamo pensare di risolvere il problema solo con le sanzioni. Stiamo parlando di una cultura che deve essere cambiata, e per farlo dobbiamo investire in un insegnamento della sicurezza stradale e dei buoni comportamenti da tenere sulla strada. Occorre ricordare anche come l’omissione di soccorso è un reato e che fermarsi a prestare aiuto potrebbe salvare una vita. Serve unire le forze per avviare una campagna informativa capillare su tutto il territorio. Solo in questo modo si possono raggiungere obiettivi duraturi nel tempo.
Carmelo Lentino, BastaUnAttimo
e di cronach
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Tre attacchi in stile militare nel Neghev. Secondo Israele, il colpo è stato preparato a Gaza, con l’assenso di Hamas
Sangue sulle vacanze Spari e granate su due pulman a Eilat, sul Mar Rosso. Decine di vittime e feriti di Pierre Chiartano acanze di sangue per Israele. Si è trattato di una serie d’attacchi, probabilmente pianificati per ottenere un effetto saturazione del dispositivo di sicurezza israeliano nel Neghev nel sud del Paese. Nonostante il rapido intervento delle forze di sicurezza con la stella di David il bilancio si annuncia pesante. La provenienza dei commando sarebbe egiziana, visto che il Sinai è un territorio sconfinato e desertico. Sarebbero sette i terroristi uccisi dalla reazione dei militari di Gerusalemme e almeno sette i civili rimasti sul terreno. Ieri lo Stato ebraico dunque ha vissuto di nuovo giorno di violenza con tre attentati avvenuti in sequenza. Il primo ha coinvolto un autobus civile con a bordo diversi militari in licenza diretti nella località turistica di Eilat. Il mezzo sarebbe stato bersagliato da raffiche di mitra. Il secondo, sempre un mezzo pubblico, sarebbe stato attaccato con un lanciagranate tipo rpg, ma la dinamica non è ancora chiara. Sono seguiti degli scontri a fuoco tra forze di sicurezza di Gerusalemme e i membri dei gruppi di fuoco. Il terzo – ma la
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cronologia non è ancora chiara – ha visto come obiettivo un mezzo militare fatto saltare da un ordigno esplosivo lungo il confine egiziano.
Numerosi i morti, sia tra i soldati sul mezzo che tra i civili per strada. L’attacco sarebbe avvenuto verso l’una del pomeriggio contro unità delle Forze di difesa israeliane (Idf) in servizio di pattuglia lungo il confi-
che lo separa dai territori palestinesi. L’area sotto attacco è quella di Eilat, nel sud di Israele, appunto non difesa dalla muraglia. Stando a quanto riferito dai servizi di soccorso quattro israeliani sarebbero stati uccisi all’interno del mezzo sulla quale stavano viaggiando; deceduta anche una quinta persona che si trovava vicino all’automezzo colpito. Secondo fonti della sicurezza
Le forze di sicurezza di Gerusalemme, appoggiate da due elicotteri, avrebbero localizzato il primo veicolo coinvolto negli attentati ingaggiando uno scontro a fuoco con gli assalitori ne fra Israele ed Egitto. Poco dopo, militari israeliani ingaggiavano uno scontro a fuoco con un gruppo di terroristi, lasciando sul terreno alcuni morti. Per un bilancio definitivo delle vittime bisognerà aspettare, nel primo pomeriggio di parlava di almeno sedici morti e 26 feriti. Resta il fatto che Israele è di nuovo entrato nel mirino dei terroristi, dopo un periodo di relativa calma, dovuto principalmente alla costruzione del controverso muro
israeliana dai due ai quattro assalitori sarebbero inoltre stati uccisi dalla polizia in un successivo scontro a fuoco. E si cerca di capire chi possa aver organizzato i commando, visto anche alcune testimonianze. Secondo un’emittente israeliana, gli attentati sarebbero stati organizzati a Gaza dai cosiddetti Comitati di resistenza popolare, un gruppo armato che agisce di norma in sintonia con Hamas. Il Partito di Dio pur non riconoscendo la paternità
gli attentati li ha appoggiati. E il governo israeliano è certo sull’origine degli attentatori.
Gli attacchi terroristici sono stati organizzati dalla Striscia di Gaza e lo Stato ebraico «agirà con decisione»: lo ha affermato il ministro della Difesa israeliano, Ehud Barak, secondo il quale gli attentati dimostrano anche «l’allentarsi del controllo egiziano sulla regione del Sinai». Ed Eilat zona turistica sul Mar Rosso, poco più a
nord di Sharm el Sheik, ha un confine lungo la penisola del Sinai che più volte si è dimostrato permeabile. In passato la stessa zona era stata bersagliata dal lancio di razzi. Secondo le prime ricostruzioni, ancora confuse, vi sarebbero stati tre diversi attacchi in rapida successione seguiti da uno scontro a fuoco tra forze di sicurezza e assalitori, ma non è ancora chiaro se i due attacchi ai bus siano stati portati a termine dal medesimo commando, né se il
Washington continua a tenere un atteggiamento sfuggente con lo Stato ebraico per non urtare la sensibilità degli islamici
Le ambiguità di Obama su Gerusalemme a settimana scorsa, la Casa Bianca si è lanciata in due mosse puerili e presto scoperte che hanno smascherato le dilettantesche e ingannevoli politiche verso il Medio Oriente e l’Islam dell’amministrazione Obama in un modo fin troppo lapalissiano. Il primo caso riguardava la spinosa questione dello status giuridico di Gerusalemme nel diritto americano. Nel 1947, le Nazioni Unite amministrarono la città santa ponendola sotto regime speciale internazionale in modo che fosse un corpus separatum, senza così far parte di nessuno Stato. Dopo tutti questi anni e nonostante molti cambiamenti, la politica americana continua a sostenere che questo è lo status di Gerusalemme. Ignora però che il governo israeliano nel 1950 proclamò propria capitale Gerusalemme ovest e così fece
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di Daniel Pipes nel 1980 per l’intera città santa. Il ramo esecutivo ignora anche la legge Usa del 1995 (che richiedeva un trasferimento dell’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme) e quella del 2002 (che richiedeva che i documenti americani riconoscano ai cittadini Usa nati a Gerusalemme di essere nati in Israele). Piuttosto, esso insiste sul fatto che l’assetto della città deve essere deciso attraverso la diplomazia.
Sfidando questa politica, i genitori americani di Menachem Zivotofsky, chiesero per conto del loro figlio che sul suo certificato di nascita e sul passaporto risultasse che fosse nato in Israele. Quando il Dipartimento di Stato rifiutò, i genitori intentarono una causa e il loro
caso ha ormai raggiunto la Corte Suprema. Le cose cominciano a farsi interessanti il 4 agosto scorso, quando Rick Richman del New York Sun ha osservato che «la Casa Bianca riconosce sul proprio sito web che Gerusalemme è in Israele – e così anche il Dipartimento di Stato e la Cia», indebolendo la tesi del governo. Richman ha messo in evidenza tre menzioni di «Gerusalemme, in Israele» nelle didascalie che accompagnano le foto pubblicate sul sito web della Casa Bianca con riferimento a un viaggio fatto da Joe Biden nel marzo 2010: «Il vicepresidente Joe Biden ride in compagnia del presidente israeliano Shimon Peres a Gerusalemme, in Israele»; «il vicepresidente Joe Biden incontra il primo ministro Benjamin Netanyahu a Gerusa-
lemme, in Israele» e infine «il vicepresidente Joe Biden fa colazione con l’expremier britannico Tony Blair (…) a Gerusalemme, in Israele». Richman ritiene che questa dicitura sia in fieri la “prova fondamentale” contro la tesi del governo. Alle ore 15,22 del 9 agosto, Daniel Halper del Weekly Standard ha reiterato l’opinione di Richman postando la prima di quelle foto. Due ore e quattro minuti dopo, alle 17,26, Halper ha riportato che «la Casa Bianca ha rivisto il suo sito web, eliminando ogni riferimento al fatto che Gerusalemme fosse in Israele». La nuova didascalia recitava così: «Il vicepresidente Joe Biden ride in compagnia del presidente israeliano Shimon Peres a Gerusalemme». Qualcuno dello staff della Casa Bianca sperava di giocare un brutto tiro. Ma come ha osservato James Taranto nel Wall Street Journal,
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sul terreno. Subito dopo sarebbe scattata un’imponente caccia all’uomo anche da parte delle guardie di frontiera egiziane.Nel primo attacco il commando sarebbe stato formato da almeno tre terroristi, a quanto pare con addosso divise militari blu (egiziane). L’imboscata a raffiche di mitra contro un autobus della linea 392 in viaggio da Beersheva (capoluogo del Negev israeliano) a Eilat (nell’estremo sud del paese, sulla costa del Mar Rosso).
L’attacco ha avuto luogo sulla Strada 12, una ventina di chilometri a nord di Eilat, presso l’incrocio di Ein Netafim. I feriti sono stati trasportati d’urgenza con ambulanze ed elicotteri agli ospedali Yoseftal di Eilat e Soroka di Beersheva. Pochi minuti dopo, giungeva notizia di un secondo attacco nella stessa regione, con armi da fuoco e lancia-granate contro un autobus e un’auto privata: cinque le persone mortalmente ferite. Secondo il portavoce delle Forze di Difesa israeliane, fra le vittime vi sarebbero anche dei soldati. Tutte le strade verso Ei-
sia continuerà a lungo, visto anche i radicali cambiamenti in atto nella politica estera del Cairo dopo il change provocato nei vertici del potere dalla Primavera araba. Nei giorni scorsi le autorità israeliane avevano espresso la preoccupazione che gruppi di terroristi nel Sinai potessero sfruttare il vuoto seguito dalla destituzione del presidente egiziano Hosni Mubarak nel febbraio scorso. Preoccupazioni che si allargano a qualsiasi variazione dei delicati equilibri che negli anni lo Stato ebraico era riuscito a costruire nella regione per difendere la propria sicurezza e su cui si basa la stessa sopravvivenza di Israele.
L’Egitto aveva nelle ultime settimane aumentato le attività di sicurezza nel deserto del Sinai, che è un corridoio natutrale tra Israele e la Striscia di Gaza. Fonti di sicurezza egiziane hanno riferito martedì scorso di aver fermato gruppi armati nel nord del Sinai. Tra loro ci sarebbero stati quattro estremisti islamici che stavano organizzando un attentato a un ga-
Nei giorni scorsi le autorità israeliane avevano espresso la preoccupazione che gruppi di terroristi nel Sinai potessero sfruttare il vuoto seguito dalla destituzione del presidente Mubarak terzo attentato – avvenuto nei pressi del confine – fosse coordinato. Il primo pullman, a bordo del quale si trovavano numerosi militari in licenza, è stato accostato da un’automobile i cui occupanti hanno aperto il fuoco sull’autobus e su altri veicoli, provocando almeno undici feriti lievi. Gli attentatori sarebbero poi fuggiti. Alcuni testimoni avrebbero parlato di attentatori con indosso divise dell’esercito egiziano. L’attacco è avvenuto una trentina di chilome-
tri a nord di Eilat, sull’autostrada numero 12. Successivamente, sulla stessa autostrada, sono stati presi di mira il secondo autobus e un’automobile diretti verso sud, con almeno cinque feriti gravi, forse colpiti mortalmente secondo altre fonti; fonti ospedaliere parlano in totale di 14 feriti fra i passeggeri dei due pullman di linea. Infine, nei pressi della recinzione che delimita la frontiera vi sarebbero state delle esplosioni dovute a uno o più ordigni collocati sul
ciglio della strada da e colpi di mortaio – secondo altre fonti, lanciagranate a razzo, sparati dal territorio egiziano e diretti contro un pattuglia militare israeliana.
Dopo di che, le forze di sicurezza di Gerusalemme, appoggiate da almeno due elicotteri, avrebbero localizzato almeno il primo veicolo coinvolto negli attacchi ingaggiando uno scontro a fuoco con gli assalitori, due dei quali sarebbero rimasti
lat sono state temporaneamente chiuse al traffico. Chiuso anche l’aeroporto di Ovda, mentre le forze di sicurezza si sono lanciate alla ricerca dei responsabili in tutta la zona. Secondo fonti della Difesa, almeno parte degli attacchi sarebbero stati portati dal versante egiziano della frontiera. Un funzionario della sicurezza egiziana ha sostenuto invece che tutti gli attacchi si sarebbero svolti all’interno dei confini d’Israele. Ed è immaginabile che la controver-
la Corte Suprema non vede di buon occhio scherzi del genere.
Il secondo inganno riguarda la lista degli invitati redatta per la cena dell’iftar (a rottura del digiuno del Ramadan) tenutasi alla Casa Bianca il 10 agosto. La Casa Bianca ha pubblicato una lista degli invitati «di alcuni degli ospiti attesi» che annoverava 4 membri del Congresso, 36 diplomatici e «11 membri della comunità». Con grande sollievo per noi che stiamo attenti a queste cose, nella lista non c’erano i nomi di islamisti americani. Ma alcuni nomi erano tutt’altro che chiari. Un’indagine condotta dall’Investigative Project on Terrorism e da altri ha dimostrato che la lista pubblicata non menzionava gli islamisti americani presenti a quella cena, come Haris Tarin del Muslim Public Affairs Council, Mohamed Magid dell’Islamic Society of North America e Awais Sufi dei Muslim Advocates. Si noti altresì che la Casa Bianca non ha invitato un solo rappresentante dei 12 membri del gruppo anti-islamista American Islamic Leadership Coalition, la cui dichiarazione degli obiettivi proclama di voler «difende-
sdotto. Secondo funzionari dell’intelligence egiziana, i militanti islamici starebbero approfittando del calo d’attenzione dopo la caduta del presidente Hosni Mubarak avvenuta a febbraio. Insomma nel caos del nuovo Egitto le maglie della sicurezza si starebberop allargando. E da Gerusalemme la risposta è ferma. «Agiremo contro l’origine degli attentati con tutta la forza e la determinazione», ha affermato il ministro della difesa, Ehud Barak.
re la Costituzione degli Stati Uniti, sostenere il pluralismo religioso, tutelare la sicurezza americana e tenere in gran conto la reale diversità nella professione della nostra fede islamica».
Ha fatto scalpore negli States il caso di un americano nato nella Città Sacra alle tre religioni che ha chiesto anche la cittadinanza israeliana e se l’è vista negare a causa di una motivazione tutta burocratica: la capitale è Tel Aviv
Questi due inganni in soli due giorni inducono a porsi degli interrogativi sulla moralità e perfino sul buonsenso dello staff della Casa Bianca sotto l’amministrazione Obama. I suoi impiegatucci pensano davvero di potere farla franca con simili trucchi sordidi? Separatamente, ognuno di questi inganni assicura delle condanne; insieme, essi simboleggiano il tenore di un’amministrazione fallita in panico per gli indici di gradimento più bassi in assoluto nei sondaggi (solo il 43,3 per cento è a favore secondo i dati pubblicati da RealClearPolitics.com) e che cerca di far rivivere le sue fortune con qualsiasi mezzo necessario, anche se i suoi tentativi disonesti la espongono al ridicolo. Più specificamente, i due episodi mostrano il fallimento delle politiche verso il Medio Oriente e l’Islam. L’arroganza del 2009 è sempre quella, ora temperata dall’insuccesso e dalla disperazione.
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Obama e l’Europa non accettano mediazioni e tornano a chiedere le dimissioni dell’uomo forte della Siria
Assad chiede la tregua Pressato da Onu e Lega Araba, il dittatore annuncia la fine delle «operazioni militari» di Martha Nunziata l primo annuncio è arrivato per telefono, nella notte, il secondo, più risoluto, nel primo pomeriggio siriano, quando a Washington non erano nemmeno le sette del mattino. Bashar al-Assad ha chiamato Ban Ki-Moon, rassicurato sul fatto che in Siria fossero «terminate le operazioni militari» contro i ribelli. Nel corso del colloquio, il presidente siriano ha quindi sottolineato che il suo Paese «rimarrà forte» davanti alle pressioni della comu-
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americano Barack Obama e l’Unione europea hanno finalmente rotto gli indugi e dopo 5 mesi dall’inizio dei massacri in Siria, hanno chiesto esplicitamente le dimissioni del presidente siriano Bashar al-Assad.
Il Presidente Usa ha ordinato il congelamento di tutti gli asset siriani sul territorio americano e ha dichiarato: «Per il bene del popolo siriano è arrivato il momento che il presidente Assad si dimetta». «Il futuro
Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite si preparara a valutare ufficialmente la possibilità di incriminare il regime di Damasco per aver commesso «crimini contro l’umanità» nità internazionale. Il capo delle Nazioni Unite ha poi chiesto al presidente siriano di avviare riforme «credibili» e di collaborare pienamente con gli addetti delle Nazioni Unite che si occupano di diritti umani e che indagano sulla repressione in Siria. A Ban Ki-moon, Assad ha elencato le riforme che intende attuare, tra cui modifiche della Costituzione ed elezioni. Il presidente siriano si è inoltre detto disponibile a ricevere la missione umanitaria dell’Onu. A poche ore di distanza dalla telefonata di Assad il presidente
della Siria deve essere determinato dal suo popolo, ma il presidente Bashar Assad non glielo permette», sostiene Obama. «I suoi inviti al dialogo e alle riforme – dice ancora – sono rimasti vuoti mentre lui continua a imprigionare, torturare e massacrare la sua stessa gente». È quanto si legge nella dichiarazione rilasciata dalla Casa Bianca con cui per la prima volta il presidente americano chiede pubblicamente al leader siriano di lasciare il potere. «È tempo che Assad se ne vada», ha poi sottolineato il segretario
di Stato Hillary Clinton, spiegando come l’obiettivo delle nuove sanzioni varate contro Damasco sono mirate a rafforzare l’isolamento del regime e «aumentare la pressione su di esso per distruggere la sua capacità di finanziare le violenze contro i civili». A proposito della transizione verso la democrazia, la Clinton ha sottolineato come la volontà del popolo siriano vada rispettata e come nessuna interferenza dovrà essere posta in atto da parte dei governi stranieri, «anche se ognuno di noi – ha aggiunto – dovrà fare la sua parte».
Ora, dunque, tutto dipende, di nuovo, da Assad. Non è la prima volta, però, che il presidente siriano promette la fine delle violenze contro i civili, salvo ritrattare puntualmente, nonostante gli inviti da più parti. Ultimo avvertimento, il più duro, quello degli Stati Uniti, arrivato, anche questo per telefono, direttamente dalla Casa Bianca, ma accompagnato dalle prime sanzioni anti-siriane. L’amministrazione americana, infatti, ha deciso il blocco di tutti gli investimenti americani in Siria e delle proprietà siriane negli Stati Uniti, proibisce ai cittadini americani di fare nuovi investimenti o di esportare servizi in Siria, e ha disposto l’embar-
go per tutti i prodotti petroliferi che provengono direttamente dalla Siria, o sono in qualche maniera riconducibili al Paese mediorientale. E nella black list del governo di Washingotn è finita anche la General petroleum corporation, la compagnia petrolifera statale che controlla tutta la produzione nazionale di greggio. «È la più dura azione finanziaria che gli Stati Uniti abbiano finora preso contro il regime di Damasco», ha affermato un portavoce della Casa Bianca, sottolineando come cominci a stringersi il cerchio intorno al presidente siriano, anche da parte europea. Parallelamente, infatti, il commissario per gli Affari esteri dell’Ue, Catherine Ashton, ha sottolineato l’impegno dell’Ue che, compatta, chiede la fine delle repressioni e domanda esplicitamente al leader siriano di lasciare il potere. «L’Ue – ha dichiarato il capo della diplomazia dei Ventisette – ha constatato la totale perdita di legittimità di Assad davanti al popolo siriano e quindi la necessità che si dimetta». Un comunicato congiunto del Presidente francese Nicolas Sarkozy, del cancelliere tedesco Angela Merkel e del primo ministro britannico David Cameron ha annunciato, ieri, l’intenzione europea di «sostenere attivamente nuove sanzioni euroIn queste pagine, varie immagini degli scontri di questi mesi in Siria. Sopra: Hillary Clinton e Assad
pee ferme contro il regime del presidente Assad». «I nostri tre Paesi – scrivono Sarkozy, Merkel e Cameron nella nota congiunta – ritengono che il presidente Assad, che ha fatto ricorso alla forza militare brutale contro il suo stesso popolo e che ha la responsabilità della situazione, ha perso ogni legittimità e non può più pretendere di dirigere il Paese. Lo invitiamo a trarre le conseguenze del rifiuto totale del suo regime dal parte del popolo siriano e a lasciare il potere, nell’interesse superiore della Siria e dell’unità del suo popolo».
«La violenza in Siria – aggiungono – deve cessare subito. Come altri popoli arabi nel corso degli ultimi mesi, i siriani esigono che i loro diritti alla libertà,
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I quotidiani di Ankara interpretano l’appello di Hillary Clinton
Ma la Turchia non riesce a fare la voce grossa Il governo di Erdogan, pur spinto dagli Usa, esita nel prendere le redini della politica mediorientale di Pierre Chiartano o grazie». La risposta a Hillary Clinton che incoraggiava la Turchia (e l’Arabia Saudita) a chiedere le dimissioni di Bashar al Assad è arrivata stretto giro di posta. Ne danno notizia i quotidiani turchi di ieri. Tra questi Hurryet, testata storica di area laica che sottolinea la replica del ministro degli Esteri di Ankara, Ahmet Davutoglu. Se l’America non vuol stare in prima linea nel chiedere che il Leone di Damasco si faccia da parte, la Turchia, secondo l’opinione del ministro, passa la mano: «non vuole ricoprire quel ruolo». Nei complicati rapporto tra la penisola anatolica e la Siria la parola prudenza sempre dominare su tutto. Per altri versi questo eccesso di cautela è percepito come incapacità a svolgere un ruolo guida veramente efficace. E la scossa data dal segretario di Stato americano sembra aver centrato il vero problema. Più Washington fa passi indietro, lasciando il campo al protagonismo delle potenze regionali, più il gioco diventa difficile per chi, fino ad ora, ha avuto vita facile e «zero problem» rispetto ai Paesi di tutta l’area, grazie alle limitate responsabilità fin qui esercitate. Finché c’è l’America a incarnare tutti i problemi è fin troppo facile giocare di sponda. E appena compare l’occasione di dover gestire in prima persona crisi così difficili come è quella siriana, sembra subito arrivare la sindrome da “braccino”diplomatico. Davutoglu non esclude in toto l’ipotesi Usa, ma afferma che i tempi non siano ancora «maturi» per chiedere le dimissioni del dittatore di Damasco. Anche se il sangue di tanti siriani innocenti continua a scorrere nelle piazze e nelle strade. Se gli Usa dovessero chiedere ad Assad di fare le valigie, «che novità sarebbe?» aveva sottolineato la Clinton alla Cnn. In soldoni occorre leggere tra le righe delle tante dichiarazioni ufficiali riportate dal quotidiano turco. La Turchia non vuole diventare la guida di una coalizione che possa esercitare una «diplomazia coercitiva» nei confronti della Siria. Parla piuttosto di una politica
«N
vi Pillay, infatti, esistono ormai prove inconfutabili delle gravi violazioni dei diritti umani perpetrate giornalmente in Siria. La coordinatrice degli aiuti di emergenza, Valerie Amos, dovrebbero illustrare gli ultimi sviluppi della situazione nel Paese, dove la repressione contro le manifestazioni in atto dalla metà dello scorso marzo hanno causato quasi 2mila morti, più di un migliaio di dispersi e oltre 20mila arresti e cinquemila palestinesi sono stati costretti ad abbandonare i loro campi profughi. Le «gravi
L’Unione europea è scettica: «Se le violenze contro la popolazione si fermeranno, noi ne saremo molto lieti, ma finora tutti gli impegni annunciati dal presidente Assad non si sono mai concretizzati» alla dignità e il loro diritto di scegliere liberamente i propri dirigenti siano riconosciuti. Continueremo a lavorare con il popolo siriano, i Paesi della regione e i partner nella comunità internazionale, con un ruolo centrale per le Nazioni Unite, per sostenere le loro esigenze e realizzare una transizione pacifica e democratica». A questo punto, tutto, o quasi, torna nella mani del dittatore siriano.
E non è un caso, forse che la decisione di Assad di chiamare Ban Ki-Moon sia arrivata anche a poche ore dalla notizia che l’Alto commissariato dell’Onu per i diritti umani si apprestava a chiedere al Consiglio di sicurezza che la Corte penale internazionale aprisse un’inchiesta sulla repressione in Siria. Secondo l’Alto commissario per i diritti umani Na-
violazioni dei diritti umani» in Siria contro i manifestanti antiregime «potrebbero essere considerate come crimini contro l’umanità», indica un rapporto dell’Alto commissariato Onu per i diritti umani.
Evocando un «insieme di violazioni dei diritti dell’uomo che costituiscono un attacco generalizzato o sistematico contro la popolazione civile», questo rapporto invita il consiglio di Sicurezza dell’Onu, a «ipotizzare un ricorso alla Corte Penale Internazionale sulla situazione in Siria». Lunedì si riunirà anche il consiglio dei Diritti umani dell’Onu in sessione straordinaria per discutere della situazione in Siria. Ma le promesse del presidente siriano non sono credibili, infatti, gli attivisti siriani, denunciano già nuove violenze nella notte.
«coerente», cioè continuare con le consultazioni con le cancellerie saudite e giordane. C’è chi a Washington leggerebbe questa risposta come la prova dell’inconsistenza della politica estera turca, ma è presto per dare giudizi. Davotoglu, mercoledì, durante una conferenza stampa aveva sottolineato come Ankara avrebbe continuato il dialogo con la Siria, per cercare una soluzione. E lo ha fatto avendo al suo fianco il ministro degli Esteri giordano, Nasser Judeh. Insomma, la Turchia pur avendo fallito nella richiesta di porre fine alla violenza contro la popolazione, predilige una certa ambiguità nei rapporti con Damasco, prima di applicare l’isolamento diplomatico che sarebbe più che necessario. Anche perché sono troppi gli interessi comuni sviluppati negli ultimi anni di relazioni tra Ankara e Damasco. I turchi vedono una scala crescente nella crisi siriana. Il primo livello è quello che riguarda la violazione dei diritti umani, vicenda grave ma interna al regime alawita. Il secondo è la conseguente crisi sul confine con la Turchia a causa del flusso di profughi. Il terzo riguarda il possibile allargamento della crisi a livello regionale. Ricordiamo che storicamente i siriani sono stati dei broker politici, non avendo altre carte da giocare sui tavoli del Medioriente. Bravi nel creare crisi che poi si proponevano di risolvere. Più complessa l’analisi di Today’s Zaman, quotidiano filogovernativo, che però in un editoriale, a firma Suat Kinikliogu, problematizza l’approccio turco al dossier siriano. Da un lato ne evidenzia la debolezza «dopo la visita a Damasco di Davutoglu, Ankara ha solo ottenuto un parziale ritiro dei mezzi corazzati da Hama e una timida apertura ai giornalisti stranieri, poi subito cancellata». Dall’altro sembra spronare il governo a scelte difficili: servirebbe «mantenere una legittimità morale» per poter affrontare a testa alta l’ulteriore degenerazione della crisi. E Ankara non deve tirarsi indietro rispetto «a un ultimo e disperato tentativo» di convincere l’autocrate di Damasco a fare un passo indietro.
Secondo i commentatori, la risposta alle parole del segretario di Stato è stata timida: «Servirebbe maggiore legittimità morale»
ULTIMAPAGINA A Triora, in Liguria, ogni anno si ricorda, in un clima festoso, un terribile processo dell’Inquisizione del 1587
Tremate, le streghe sono di Diana Del Monte urante l’inverno tra il 1691 ed il 1692 nel piccolo insediamento di Salem Village, nato nel 1636 per volontà delle autorità della vicina città di Salem ed oggi noto come la città di Danvers, la figlia e la nipote del parroco iniziarono a comportarsi in modo inusuale. Dopo le prime accuse delle due ragazze, venne istituito un tribunale nella Meeting House, l’edificio adibito alla vita pubblica del villaggio; lì, Sarah Osborne, Sarah Good e Tituba Indians furono accusate di stregoneria e incarcerate. Visto che al loro arresto non coincise affatto la fine degli isterismi delle due povere adolescenti, la caccia alle streghe proseguì fino al novembre del 1692, anno in cui il governatore del Massachussetts, William Phips, decise di sospendere ogni azione contro le supposte streghe. Nel frattempo, però, tra Salem e dintorni erano già state processate 144 persone e 19 erano state le condanne a morte – 20 se si considera il caso di Giles Corey, torturato per essersi rifiutato di parlare durante il suo processo e sepolto vivo secondo quanto prevedeva la legge in tali casi. Se l’episodio storico che vide al centro del contendere il tribunale situato nel villaggio di Salem è senz’altro la più famosa caccia alle streghe della storia, purtroppo non fu né l’unico né il più deplorevole episodio di questo genere. Poco più di un secolo prima, infatti, la Santa Inquisizione processò e torturò per stregoneria 43 donne e un bambino nell’italianissima Liguria. In quel periodo, infatti, i processi alle streghe che ebbero luogo nell’area occidentale della regione furono numerosissimi, ma quello di Triora, paese nell’Alta Valle Argentina, rimane ancora oggi il più celebre per ampiezza e crudeltà.
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Era il 1587 e da due anni una grave carestia affliggeva la Liguria, così come altre regioni italiane, producendo migliaia di vittime; le condizioni del popolo non erano delle migliori ed i più poveri abbandonavano le città per raggiun-
PERDONATE Al posto di interrogatori e torture, oggi ci sono balli, feste e banchetti: un modo per esorcizzare il passato e trasformare gli errori in moniti per il futuro gere le campagne dove morivano di stenti. Davanti alla carestia, il Parlamento locale, per lo più formato da gente ignorante del luogo, non seppe darsi spiegazioni razionali e fece subentrare la figura delle strega. Facile capro espiatorio, la strega era quasi sempre una donna appartenente alla parte più emarginata della società e dunque senza alcun mezzo per difendersi dalle accuse. Nell’ottobre di quell’anno, dunque, in risposta alla richiesta del Parlamento e del Consiglio degli Anziani, giunsero a Triora il sacerdote Girolamo Del Pozzo, in veste di Vicario del Vescovo di Alberga, e un vicario dell’Inquisitore di Genova. I due celebrarono una messa nella chiesa della Collegiata durante la quale invitarono chi sapeva a denunciare i fatti. La predica ebbe i suoi tragici effetti e le accuse, molteplici e dettagliate, portarono all’arresto di tredici donne e un fanciullo. Dagli interrogatori, condotti con la tortura, scaturirono nuove accuse che portarono in carcere altre donne. Nel popolo cominciò a serpeggiare un certo malumore e spavento; quando, infatti, nel gennaio del 1588 furono incarcerate altre trenta donne appartenenti a tutte le classi sociali, il Consiglio
In alto, uno scorcio del borgo antico di Triora, in Liguria, luogo di antichi roghi. Accanto, una classica maschera stregonesca
degli Anziani, composto dai membri delle famiglie più importanti e ricche del borgo, decise di intervenire. Dopo varie vicissitudini, i processi vennero rinviati a Roma dove il Sant’Uffizio decise di scomunicare chi aveva istruito il processo di condanna delle streghe; l’accusa era di quella di essersi ingerito in cose spettanti all’autorità ecclesiastica. In seguito, però, a tutti gli accusati fu concessa la piena assoluzione.
Da allora, il paese di Triora è conosciuto da tutti come“Il Paese delle Streghe”e, da una ventina d’anni, ha trasformato la funesta ricorrenza in una festa dedicata all’immagine misterica della “Strigora”. Una sorta di rivincita per quelle donne trioresi che nel lontano 1587 vennero torturate e processate e che oggi sono invece ricordate come le vere regine del paese. Ogni anno, dunque, la domenica dopo Ferragosto il paese si veste a festa e la Cabotina, il vecchio casolare che «credevasi luogo delle streghe» (come recita un cartello), diventa meta di improvvisati pellegrinaggi profani. A Triora il fenomeno della caccia alle streghe che ha afflitto l’occidente cristiano tra la fine del XV secolo fino all’inizio del XVIII si trasforma in un’allegra e colorata fiera di cappelli a punta e zucche intagliate, condita con gustosi piatti tipici. Nella più famosa Salem, a suo tempo, una donna del villaggio di nome Mary Sibley propose un espediente chiamato Witches’ cake, usato dalla tradizione popolare per identificare le streghe. Si trattava di una focaccia ottenuta impastando la segale con l’urina delle ragazze stregate; data in pasto ad un cane, avrebbe dovuto condurre l’animale a riconoscere e aggredire la responsabile dei malefici. Durante l’Oscurantismo, l’arguto sistema riuscì solo a far ammalare il povero cane, speriamo che la storia abbia insegnato qualcosa ai posteri.