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he di cronac
Ciò di cui ha bisogno l’uomo è la memoria dell’asino. Che mai scorda dove mangia Sofocle
9 771827 881004
di Ferdinando Adornato
QUOTIDIANO • GIOVEDÌ 1 SETTEMBRE 2011
DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK
Opposizioni e forze sociali sul piede di guerra contro l’esecutivo. Casini: «Questo è un insulto agli italiani»
Il governo ridolini Ormai la manovra cambia ancora. E l’Europa: dov’è la crescita? La Lega ci ripensa: adesso le pensioni non si toccano. E invece torna in ballo l’aumento dell’Iva. La maggioranza è indecisa su tutto e paralizza il Paese mentre l’Ue ripete: «Rilanciate l’economia!» SENZA UN’IDEA
IL NODO PREVIDENZA
Presidente, l’Italia non è una barzelletta
State attenti, il welfare sta esplodendo
di Francesco Pacifico
di Giancristiano Desiderio
di Gianfranco Polillo
apete da quanto tempo il governo è alle prese con la manovra economico-finanziaria che dovrebbe salvarci dalla crisi? Da tre mesi tondi tondi (tanto per tenerci stretti). Alla fine di maggio, quando c’era appena stato il primo turno delle amministrative, l’esecutivo guidato da Silvio Berlusconi (si fa per dire) cominciò a far circolare le misure in esame. Poi, dopo i ballottaggi e dopo i referendum, venne il giorno della resa dei conti e il ministro Tremonti, che una volta in Europa era considerato autorevole, dovette acconciarsi sotto lo spettro della cosiddetta “collegialità”. Quella è ormai passata alla storia (anche qui si fa per dire) come la manovra economica numero 1 del 2011. a pagina 2
ono soprattutto due le cose che all’estero non si comprendono: la scarsa attenzione ai problemi della crescita e la generosità del sistema pensionistico italiano. Problema, quest’ultimo, capace di evocare un disagio sociale che non è solo italiano. In Francia il tentativo di elevare l’età di pensionamento determinò proteste feroci e scontri di piazza. In Italia, invece, l’età di pensionamento aumenterà, con l’allungamento della vita media in modo automatico. Giorno dopo giorno: verrebbe da dire e senza ulteriori interventi legislativi in grado di scatenare la piazza. Eppure il problema non è risolto. Non è risolto perché la spesa previdenziale continua a crescere senza sosta. a pagina 4
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ROMA. Ogni giorno ha la sua manovra. Se quella di martedì era «equa» (Berlusconi dixit), quella di ieri non lo era più: via l’intervento sulle pensioni, dunque. E (forse) dentro un punticino in più di Iva. Dire che il governo e la maggioranza non sanno più che pesci prendere è un eufemismo. Forze sociali e opposizioni insorgono contro l’ennesimo giro di valzer: «Un insulto agli italiani», dice Casini. Insomma, si ricomincia: e così oggi in Senato arriverà la quarta manovra in tre mesi. Aspettando la prossima.
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La crisi del Pd secondo De Giovanni e Marramao
«Compagni, rottamate il partito degli affari»
a pagina 2
Tremonti accantonato definitivamente
Arrivederci Giulio, superministro senza coraggio
Le difficoltà crescenti di Bersani, tra questione morale e ritorno al mattarellum
Ad Arcore l’avevano messo in un angolo, ieri lo ha sostituito Sacconi: cade una stella che non ha avuto la forza di sganciarsi al momento giusto
Franco Insardà • pagina 6
Maurizio Stefanini • pagina 5
Oggi il vertice per decidere strategie e alleanze per ricostruire la Libia
Parigi insiste: ora truppe di terra Il figlio di Gheddafi starebbe trattando con i leader del Cnt di Enrico Singer ella bozza del documento finale del vertice che Sarkozy ha organizzato per oggi a Parigi, la proposta d’inviare una forza di peacekeeping in Libia sotto la bandiera dell’Onu è tra parentesi quadre. È una formula che, nel linguaggio diplomatico, significa che non c’è accordo e che proprio questo è il punto più delicato da affrontare. a pagina 12
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gue a (10,00 pagina 9CON EUROse1,00
I QUADERNI)
• ANNO XVI •
Il conflitto politico con i Paesi del Golfo
Il bilancio di quarantadue anni di potere
Serve una primavera della Lega Araba
Costa troppo l’eredità del Raìs
di Mario Arpino
di Daniel Pipes
atteggiamento verso la guerra in Libia, le varie “primavere”, le rivolte in Bahrein e Yemen, la stessa questione israelo-palestinese, trovano diversa considerazione presso le due organizzazioni multinazionali della regione. segue a pagina 12
ggi, primo settembre, Mu’ammar alQadhdhafi (questa è l’esatta traslitterazione del suo nome) avrebbe festeggiato 42 anni di governo, il che lo avrebbe reso il capo di Stato al potere più longevo al mondo. a pagina 15
L’
NUMERO
169 •
WWW.LIBERAL.IT
• CHIUSO
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IN REDAZIONE ALLE ORE
19.30
il commento
prima pagina
pagina 2 • 1 settembre 2011
L’unica strategia: rimangiarsi sempre la parola
Le menzogne del governo ridolini di Giancristiano Desiderio apete da quanto tempo il governo è alle prese con la manovra economico-finanziaria? Da tre mesi tondi tondi (tanto per tenerci stretti). Alla fine di maggio, quando c’era stato il primo turno delle amministrative, l’esecutivo guidato da Silvio Berlusconi (si fa per dire) cominciò a far circolare le misure in esame. Poi, dopo i ballottaggi e dopo i referendum, venne il giorno della resa dei conti e il ministro Tremonti, che una volta in Europa era considerato autorevole, dovette acconciarsi sotto lo spettro della cosiddetta “collegialità”. Quella è ormai passata alla storia (anche qui si fa per dire) come la manovra economica numero 1 del 2011. Dopo quei giorni di fine giugno, infatti, ci sono state altre due manovre: la numero 2 e la numero 3. La numero 2 è stata chiesta direttamente dall’Europa mentre il Paese stava andando a picco, mentre la numero 3 è stata approntata dalla maggioranza e dalla Lega. Ma una volta fatta la manovra numero 3 ecco che le misure adottate sulla previdenza sono state criticate e ritirate. Quindi in queste ore si è passati alla manovra numero 4 ma, visti i precedenti, una volta pensata (si fa per dire, è ovvio) e fatta è chiaro che sarà modificata perché, come diceva Collodi, all’onorevole Tal dei Tali che ha un piccolo seguito di deputati e un discreto pacchetto di voti in Valle Vattelapesca le cose decise non vanno a genio e quindi il ballo ricomincia. Il governo Ridolini è più serio, anche perché fa ridere con i soldi degli altri. Qui invece ci sono in ballo i nostri risparmi, i nostri sacrifici e il lavoro che proviamo a tenerci stretto mentre il governo delle libertà è in libertà perché non sa minimamente come agisce un governo serio.
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La questione di assumere decisioni che abbiano come obiettivo la difesa di interessi nazionali non si pone neanche. La Lega è preoccupata unicamente del proprio consenso elettorale e non ne fa mistero. Il Pdl, che dovrebbe essere il partito di maggioranza relativa, non riesce neanche a pensare alla possibilità che forse i suoi interessi elettorali possono coincidere con gli interessi nazionali. Macché. Se decidono di abolire le Province, il giorno dopo fanno il contrario. Se dicono di tagliare i trasferimenti, il giorno dopo si rimangiano quanto detto. Le misure per la crescita economica non sanno neanche che cosa siano e se conveniamo che la crescita non si decide per decreto dovranno pur convenire loro sul fatto che dai moderati più volte sono venute idee e proposte che forse valeva la pena prendere in considerazione. Macché. La preoccupazione del governo Ridolini è prima di tutto lo spettacolo: continuare a far ridere il mondo. Bisogna riconoscerlo: sono imbattibili. Non si faccia illusioni il professor Prodi. Gli italiani, che non dimentichiamolo hanno or ora finito di pagare le tasse, si alzano al mattino con la speranza di non dover pagare nuove tasse o nuove aliquote. Speranza vana perché tutte le manovre in gioco la 1, la 2, la 3, la 4 - prevedono un rincaro del prelievo fiscale. Da calcoli fatti, nel giro di due anni si passerà a pagare più del 48 per cento. Berlusconi, uomo dei capolavori, ha capovolto il suo slogan originario che, ricorderete, era“meno tasse per tutti” ed è diventato “più tasse per tutti”. Tutte bugie. È questo il filo conduttore della storia politica del cavalier Berlusconi: la bugia. La tragicommedia delle manovre economiche che variano come i giorni della settimana è figlia delle menzogne di governo che dicevano “tutto va bene, noi siamo al sicuro”. Menzogne che non solo dicevano agli italiani, ma persino a se stessi. Proprio come Ridolini.
il fatto Un inedito vertice tra Sacconi e Calderoli cancella gli interventi sulle pensioni
Crisi economica, farsa di governo Ennesimo dietrofront: la Lega ci ripensa e cambia anche la manovra che Berlusconi aveva definito «equa». Casini protesta: «Questo è un insulto agli italiani» di Francesco Pacifico
ROMA. Ogni giorno che passa la manovra perde pezzi. E di riflesso la sua copertura, quei saldi da 45 miliardi di euro imposti dall’Europa, diventa una scommessa alla quale nessuno vuole partecipare. Ieri è stata la volta del congelamento ai fini pensionistici dei contributi riscatti per gli anni universitari e per il militare. I rischi di anticostituzionalità e le pressioni (in primis) di Raffaele Bonanni e della la Lega Nord hanno imposto una repentina retromarcia all’autore della misura, Maurizio Sacconi. A uscirne male non è soltanto il ministro del Lavoro – in verità da sempre scettico sull’opportunità di toccare il capitolo previdenziale – quanto lo stesso Pdl e il suo segretario. Angelino Alfano, proprio su un intervento sulla previdenza, su una misura apparentemente più strutturale delle tante una tantum presenti in manovra, aveva legato la capacità del partito di tornare al centro dell’azione politica. Il risultato è che il centrodestra si è preso altre 24 ore per presentare gli emendamenti che dovrebbero riscrivere la manovra di agosto, come deciso al vertice di Arcore. Così ieri pomeriggio l’unico testo presentato in commissione Bilancio del Senato ha riguardato la razionalizzazione degli uffici giudiziari, che Nitto Palma ha già concordato con Quirinale e Anm. Di più non è possibile fare perché la cancellazione della norma sulle pensioni crea un buco di 1,5 miliardi, ai quali si aggiungono i 3,8 miliardi mancanti dopo l’abolizione del contributo di solidarietà per i redditi sopra i 90mila euro e i due miliardi scontati agli enti locali
dai tagli ai trasferimenti statali. Si deve trovare un tesoretto vicino ai 7 miliardi di euro, con il rischio che il conto venga presentato sul capitolo assistenza (il Tesoro deve recuperare 19 miliardi) o sulla delega fiscale. Carne viva perché contraddistinta dai fondi per le categorie più deboli o dai soldi per gli sgravi alle famiglie. In quest’ottica sono in pochi, anche nella stessa maggioranza, a credere al sottosegretario Luigi Casero, quando fa sapere che «non esiste una manovra scoperta di 7 miliardi. I numeri contenuti nel decreto li riteniamo veri». È il caos. Tanto che il presidente del Senato Renato Schifani, il politico che in questa fase più si è battuto per un’approvazione rapida della manovra e per blindarne i saldi, ieri ha convocato d’urgenza i capigruppo di Pdl e Lega a Palazzo Madama (Maurizio Gasparri, Gaetano Quagliariello e Federico Bricolo), i sottosegretari Casero e Antonio Gentile, il presidente della commissione Bilancio, Antonio Azzolini. Con loro è stato chiaro: «Il governo deve presentare in tempi immediati per consentire alla commissione Bilancio di avere piena conoscenza e tempi adeguati di dibattito. Si deve arrivare in aula entro lunedì prossimo». La maggioranza si è già data appuntamento per il weekend, ma in attesa di trovare la quadra è chiara la sconfitta in termini di consenso e credibilità. Sintetizza il leader dell’Udc, Pier Ferdinando Casini: «Questa manovra è ormai senza padri né madri e, soprattutto, senza copertura finanziaria. Il governo cambia idea ogni giorno. Questo è veramente un insulto agli italiani, che avrebbero bisogno prima di tutto di serietà».
l’allarme
Pressing dell’Europa: «Serve la crescita» La Commissione Ue contro i balletti sulla manovra: «Prioritario il rilancio dell’economia» di Francesco Lo Dico
ROMA. Nel giorno in cui dall’Europa arriva un altro duro monito nei nostri confronti, la speranza è che a Bruxelles siedano alcuni irriducibili estimatori del cabaret. «Nell’analizzare i contenuti della manovra italiana», avvisa Amadeu Altafaj, portavoce del commissario europeo per gli affari economici e monetari, Olli Rehn, «la Commissione europea dedicherà particolare attenzione alle misure strutturali destinate ad agevolare e sostenere la crescita per verificare che esse rispettino i parametri fissati nelle raccomandazioni rivolte dall’Ue all’Italia lo scorso giugno».
Niente di meno che uno spreco di tempo, per i solerti commissari. Perché di strutturale, in questa manovra che sembra uno spettacolo illusionistico degno del peggiore Otelma, c’è soltanto il clima farsesco. Lo stesso che ha prodotto numeri d’alta scuola come l’aumento dell’Iva, comparso e scomparso nell’arco di una notte (ma molti lo danno di nuovo in rampa di lancio), o il divieto di riscatto degli anni universitari ai fini pensionistici (talmente imbarazzante da aver prodotto un sussulto di coscienza persino in chi l’ha congegnato). Si naviga a vista, dunque, in acque rese ancora più agitate dalla volatilità delle misure del governo, che certo non rassicurano i mercati, dai dati Istat che mostrano un’occupazione giovanile ristagnante e una continua ascesa dell’inflazione, ma anche dalle notizie che vengono da Berlino. Il governo tedesco, guidato dal cancelliere Angela Merkel, avrebbe approvato ieri le misure per ampliare i poteri al fondo salva-Stati, conosciuto come l’European Financial Stability Facility (Efsf). E se dunque il fondo
avrà la possibilità di acquistare obbligazioni governative vedendo aumentate le proprie risorse, per l’eventuale semaforo verde bisognerà attendere il prossimo 29 settembre. Così che sarà difficile poter tirare un piccolo respiro di sollievo prima di allora. Tanto più che i numeri del sistema Paese, restano intinti in un profondo rosso.
Ad agosto, rileva l’Istat, l’inflazione ha fatto registrare i massimi da ottobre 2008, mentre in Eurozona è rimasta ferma sui valori precedenti (2,5%). Sul
L’Istat certifica il calo dei consumi: -9% per il pane e -4 per la pasta, -5 per il pesce e -6 per la carne: l’inflazione adesso fa paura fronte del lavoro il tasso di disoccupazione resta stabile all’8 per cento, ma sarebbe inganne-
Casini ieri ha scelto la cooperativa “L’operosa“ di Bologna per portare solidarietà a tutto il settore, che rischia di vedere svaniti i 700 milioni garantiti dalla fiscalità di vantaggio sugli utili reinvestiti. E dal capoluogo felsineo si è chiesto: «Noi vogliamo collaborare, ma su cosa quando la manovra cambia testo ogni minuto? Il governo è in stato confusionale, ha già cambiato opinione nel giro di 15 giorni: ha cambiato opinione sulle Province, sul contributo di solidarietà, oggi cambia opinione sulle pensioni. E per fortuna, perché era un’ulteriore baggianata». Sempre sul versante dell’opposizione anche il Partito democratico guarda con timore allo stato confusionale nel quale vive la maggioranza e ha espresso tutta la sua rabbia per il ritardo nella presentazione degli emendamenti. Ieri Pier Luigi Bersani ha chiesto misure drastiche, ha spiegato che «è tempo che il Parlamento prenda in mano la situazione. Da molto tempo diciamo che Berlusconi e la Lega non sono in grado di portarci fuori dai pericoli, ma solo di aggravarli. Una conferma inequivocabile viene dal caos di questi giorni, che espone il nostro Paese a rischi davvero seri. A questo punto, il Parlamento prenda in mano la situazione con un’assunzione di responsabilità». Prova a gettare acqua sul fuoco il sottosegretario alla Funzione pubblica, Andrea Augello: «Saremo costretti a prendere delle decisioni in tempi stretti. Ma quando avremmo trovato le coperture e ottenuto la fiducia in Senato, allora non potremmo che registrare la vitto-
vole prendere il dato per buono. I 2 milioni di disoccupati formali (che poi in realtà sono molti di più se si considerasse almeno una quota di inattivi), sono soltanto la punta dell’iceberg. Più significativo registrare come il tasso di occupazione è al di sotto del 57 per cento, quindi, e cioè dieci punti più basso di quello europeo. «Siamo di fronte ad una pericolosissima ed evidente stagnazione occupazionale che può rapidamente trasformarsi in una nuova depressione senza interventi adeguati», spiega il segretario confederale della Cgil, Fulvio Fammoni. E se il lavoro diminuisce, aumenta il costo della vita, tanto per gradire. I prezzi al consumo ad agosto registrano un aumento dello 0,3% rispetto al mese di luglio e del 2,8% nei confronti dello stesso mese dell’anno precedente (era 2,7% a luglio). In particolare volano i prezzi nel settore trasporti, dove il marittimo vola al +29,8%, con un incremento del 61,4% rispetto ad agosto 2010. E si registrano inoltre aumenti congiunturali consistenti anche per i prezzi del trasporto aereo (+17,3%), e i prezzi del trasporto ferroviario Il Commissario Ue Olli Rehn
ria di una coalizione che ha mantenuto la coesione e approvato due manovre in un mese». Ma non tutti nel Pdl sono ottimisti come Augello. spiega un suo collega: «A questo punto non resta che intervenire sull’Iva per recuperare i soldi necessari alla copertura della Finanziaria. Certo,Tremonti vuole modificarla con la delega fiscale, ma a questo punto se ne faccia una ragione e ci lasci lavorare. Anche perché la settimana prossima arriva in aula il voto per l’autorizzazione all’arresto di Marco Milanese. Un accordo sulla finanziaria serve anche lui, che non ha saputo ap-
Proprio il partito potrebbe riunirsi nelle prossime ore, se non si troveranno i fondi necessari a garantire la copertura. Non è escluso che debbano rivedersi anche Berlusconi e Bossi, se sarà necessario riaprire il capitolo pensioni (con un’accelerazione dell’equiparazione tra uomini e donne ) o quello dell’Iva. Intanto ieri mattina Maurizio Sacconi per il Pdl e Roberto Calderoli per la Lega hanno concordato di desti-
Per effetto dei rincari, secondo quanto rilevato da Coldiretti, la spesa per trasporti, combustibili ed energia elettrica delle famiglie italiane ha ufficialmente sorpassato quella per gli alimentari e le bevande. Inevitabile perciò il calo dei consumi a tavola, con valori che vanno dal -9 per cento per il pane al -4 per cento per la pasta, dal -5 per cento per il pesce al -6 per cento per la carne di vitello, dal -3 per cento per la frutta al -2 per cento per il latte fresco. Niente male, per uno che qualche tempo fa si faceva annusare in diretta perché dicentesi in odore di santità. Dalla moltiplicazione dei pani e dei pesci, alla loro sparizione. Il miracolo italiano continua.
stere sul congelamento degli anni universitari e della naja ai fini del calcolo pensionistico. Vuoi le pressioni di Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti – maggiori garanti della coesione sociale – vuoi il rischio che l’Inps rischiava di essere subissata di ricorsi giudiziari perché la misura è retroattiva, il ministro del Lavoro e quello della Semplificazione hanno deciso di rimandare gli interventi sulla previdenza a data da destinarsi e di recuperare i fondi mancanti (1,5 miliardi) con una nuova stretta sull’evasione. Del dossier potrebbe riparlarsi questa mattina in Consiglio dei ministri, intanto in maggioranza sembra scontato un allargamento delle competenze in mano ai Comuni nella lotta al sommerso. L’obiettivo sarebbe quello di recuperare almeno 3 miliardi, incentivando i primi cittadini a un’azione più capillare, promettendo loro il 100 per cento di quanto recuperato. In attesa di riaprire il capitolo Iva la maggioranza deve mettere anche una pezza sul contributo di solidarietà che nel prossimo triennio pagheranno solamente i dirigenti statali e i magistrati. Si studia una nuova versione della norma, nella quale non si parlerà di contributo ma di minore salario per evitare i ricorsi già annunciati da medici e magistrati. Questa mattina scendono poi in campo le Regioni. Forte di diciassette colleghi pronti a introdurre i ticket, il leader dei governatori Vasco Errani avverte il governo: «Rifacciamo la manovra e sono pronto a firmare un accordo con Palazzo Chigi».
Si prevede oggi un Consiglio dei ministri molto teso. Pier Ferdinando Casini accusa: «Un testo senza padri né madri e, soprattutto, senza copertura finanziaria. Il governo cambia idea ogni giorno. Questo è veramente un insulto al Paese profittare della manovra per invertire la sua stella e guadagnare credibilità. Senza, salta lui, il governo e lo stesso partito».
passeggeri: più di un punto rispetto a luglio, e dieci rispetto all’anno scorso. Dati i sintomi dell’ammalato, e le recenti prodezze del medico che dovrebbe metterlo in salvo, la diagnosi è presto servita. Dal fronte dell’opposizione si parla di governo nel caos. «Da molto tempo diciamo che maggioranza e governo non sono in grado di portarci fuori dai pericoli, ma solo di aggravarli», attacca il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, «Il governo prenda finalmente atto della sua condizione e passi la mano». E la condizione è plasticamente rappresentata da Antonio Azzollini del Pdl, che nel primo giorno di esame in commissione Bilancio del Senato della manovra economica, annuncia placidamente da presidente che non ha idea di quando tutti gli emendamenti del governo saranno presentati. «La drammatica improvvisazione delle proposte della maggioranza rischia di creare un rinnovato attacco speculativo contro l’Italia», ribadisce il senatore del Pd, Paolo Giaretta.
pagina 4 • 1 settembre 2011
l’approfondimento
Il tema della previdenza andava affrontato prima della crisi economica mondiale. Ora si dovranno fare scelte dolorose
La bomba welfare
Il labirinto-pensioni è composto da regalie concesse durante la prima repubblica, poi invecchiamento della popolazione e infine rifiuto dell’immigrazione. Vediamo come si può uscire dal tunnel prima che l’intero sistema esploda di Gianfranco Polillo ono soprattutto due le cose che all’estero non si comprendono: la scarsa attenzione ai problemi della crescita e la generosità del sistema pensionistico italiano. Problema, quest’ultimo, capace di evocare un disagio sociale che non è solo italiano. In Francia il tentativo di elevare l’età di pensionamento determinò proteste feroci e scontri di piazza. In Italia, invece, l’età di pensionamento aumenterà, con l’allungamento della vita media in modo automatico. Giorno dopo giorno: verrebbe da dire e senza ulteriori interventi legislativi in grado di scatenare la piazza. Eppure, nonostante ciò, il problema non è risolto. Non è risolto perché la spesa previdenziale continua a crescere senza sosta. I dati sono un po’ carogna. Dimostrano che, nonostante i sofisticati metodi di previsione, la “gobba” – vale a dire il tiraggio maggiore della spesa – è sempre più anticipata, rispetto alle ipotesi di partenza. La spiegazione del
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fenomeno è semplice. Immaginiamo, per un momento, che non vi sia alcun intervento dello Stato. Si comincia a lavorare a 20 anni, per 40 anni. Negli anni che restato – diciamo 27 – si utilizzano i risparmi accumulati nell’età lavorativa.
Prescindendo dalle equivalenze finanziarie, per semplificare: i conti sarebbero in pareggio solo se negli anni verdi riuscissimo a risparmiare il 27/40 del nostro reddito. Dovremmo, cioè, destinare al “buen ritiro” qualcosa come il 67,5 della nostra paga. E questo senza considerare un carico fiscale minimo, per garantire le funzioni essenziali dello Stato. Il ragionamento è grossolano, ma ne fa capire l’aritmetica elementare. Come si esce da questa stretta? Aumentando gli anni di lavoro o riducendo l’importo della pensione cui si ha diritto. Se la vita media aumenta, quadrare il cerchio diventa, naturalmente, ancora più difficile. Nasce da queste semplici
relazioni il problema delle pensioni d’anzianità. Un istituto che fu inventato nella prima Repubblica e che si è trasformato in una polpetta avvelenata per la seconda. Colpa soprattutto dei sindacati che rifiutano testardamente di prendere atto dei cambiamenti intervenuti nella dinamica demografica del mercato del lavoro. Nacquero nel 1956 quando si concesse ai dipendenti pubblici di ritirarsi a quarant’anni. Per le donne era ancora più facile: bastava-
Lo “scalone” aveva i suoi pregi, ma oggi la Lega lo rinnega
no 15 anni, sei mesi ed un giorno. In pensione anche a meno di 35 anni d’età.
Poi l’istituto contagiò i privati, con una differenza fondamentale. Mentre nel primo caso le pensioni erano subito erogate, per i secondi occorreva comunque aspettare il raggiungimento del sessantesimo anno d’età. Un piccolo risparmio per le casse dell’INPS, ma non per la previdenza pubblica. Come fu possibile un simile abbaglio? Il meccanismo di finanziamento era a “ripartizione”. Del tipo: “chi ha dato ha dato”. In altri termini: tutti i contributi sociali finivano in un unico calderone e con gli introiti annuali si pagavano le pensioni. Paradossalmente il sistema funzionava, ma per due ragioni irripetibili. La popolazione era giovane. Quindi i pensionati incidevano poco sulla spesa pubblica. L’occupazione era in continuo aumento nel passaggio della società italiana da agricola a industriale. E quindi i contributi
aumentavano a dismisura alimentando il montepremi. Oggi quell’epoca è tramontata. L’Italia, dopo il Giappone, è il Paese più vecchio dell’Occidente. La popolazione anziana è enormemente cresciuta e pesa sulle giovani generazioni, afflitte dal fenomeno della disoccupazione e del precariato. Il fiume che alimentava il montepremi se non si sta asciugando, poco ci manca.
Esisterebbe la risorsa degli immigrati, che accettano lavori che gli italiani rifiutano. Ma qui il “nero”la fa da padrone. Risultato? Crescenti difficoltà di finanziamento. Nel 1995, quando questi fenomeni erano già evidenti, il Governo Dini introdusse una grande novità: il graduale passaggio dal metodo retributivo a quello contributivo. La pensione finale non era più il risultato di una legislazione di privilegio, ma doveva essere correlata all’entità dei contributi effettivamente versati. Non tutti furono sottoposti a
Ambizioso, preparato ma ostile al dialogo. Fenomenologia del politico meno simpatico d’Italia
Arrivederci Tremonti, superministro senza coraggio In minoranza ad Arcore, ieri addirittura sostituito da Sacconi: si spegne la stella di Supergiulio, che non ha colto l’occasione per cambiare il Paese di Maurizio Stefanini on è la prima volta che Tremonti perde rapidamente quota in un governo Berlusconi. Ma adesso sembra difficile che possa tornare sulla scena stile Conte di Montecristo, a vendicarsi di coloro che lo avevano spedito al Castello di If della politica. Allora, aveva potuto spiegare di essere stato vittima dei Poteri Forti: che poi non si sa mai bene cosa sono, ma in Italia fa sempre effetto gridare alle loro congiure. E così aveva perfino potuto mettersi a scrivere pamphlet profetici, in stile Oriana Fallaci della geoeconomia, a indicare un percorso per la salvezza dell’intera Europa. Adesso, è stata invece una rivolta dal basso di riscattatori di naje e lauree a travolgere la stessa Padania, ed a costringere Sacconi e Calderoli a liquidare la sua riforma delle pensioni, informandolo per telefono. Una umiliazione che trasforma anche il suo profilo di garante dell’alleanza tra Berlusconi e Bossi in bestia nera del popolo del Carroccio, e venuta dopo che già la sua storica immagine di polemista anti-tasse era stata metamorfosata in autore di stangate, e quella di intrepido euroscettico in ultimo garante dell’eurocrazia sul risanamento dei nostri conti. Paradossalmente, anzi, sono proprio Bruxelles e Francoforte ora il suo ultimo asset. L’Ue ha individuato lui come uomo del rigore, e ha paura che ogni altro nome sulla sua poltrona equivalga a un ritorno al Carnevale. Dunque, forse per un po’ al governo resterà.
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Ma è difficile che sia lui l’uomo simbolo e l’ideologo del centro-destra, come fu nel 2008. E meno che mai che possa diventare il delfino di Berlusconi, come pure a un certo punto era sembrato poter essere. D’altra parte, già al vertice di Arcore da cui era venuto il compromesso poi subito saltato, lo stesso Cav aveva raccontato come «stavolta Giulio è stato ad ascoltare più del solito ed è venuto con proposte alternative che abbiamo valutato insieme». Insomma, era già finito il tempo del “prendere o lasciare”, e ancora di più quello della “manovra approvata in nove minuti”. È vero che Tremonti è personaggio abituato a cambiare volto. Di famiglia liberale, Giulio Tremonti entrò in politica dopo l’Università da socialista di sinistra, che era ostile a Craxi e scrive-
va anche sul Manifesto. Ma la sorella Angiola assicurava che fin da piccolo la sua passione erano i soldi, anche fasulli. «Da ragazzini, giocavamo a Monopoli e lui era forte. Oltre a essere sempre più ricco. Il nonno ci dava 10mila lire quando si prendeva 10 a scuola, e 50 lire per un 9 o un 8. Ci compravamo le figurine. L’unico anno in cui vinsi su di lui fu quando al ginnasio zoppicava un po’, e io alle magistrali volavo». Sempre Angiola ha testimoniato su un suo prima-
Dumas insegna che chiunque può divenire Conte di Montecristo. Ma deve trovare il suo abate Faria donnismo che a 15 mesi lo vide prodursi in una crisi di gelosia alla notizia della nascita di lei, manifestata col correre inferocito per casa ad agitare minaccioso un mestolo. Storie di fine 1949, dal momento che lui è nato il 18 agosto 1948. A Sondrio, ma da genitori cadorini, e sul Cadore la madre ha scritto varie poesie, mentre un dna artistico ha portato invece Angiola verso pittura e scultura. Lo si è detto: un politico da ossimori. L’interesse per il denaro, e un uzzolo vagamente anticapitalista. La trasversalità, e le radici nordiste. L’egocentrismo, e un peculiare richiamo per l’estetica. Docente di Diritto Tributario a 27 anni dopo essersi laureato in Giurisprudenza, Tremonti non è in realtà un economista formatosi in ambiente giuridico nella tradizione degli Einaudi o dei Modigliani, ma un tributarista con un senso quasi artistico del modo in cui far pagare ai suoi clienti il meno tasse possibile. Per lo meno, sul suo
senso dell’arte testimonia in modo in cui nel 1986 trasformò un argomento ostico come quello tributario in un bestseller dal titolo Le cento tasse degli italiani. “Cento tasse” che poi proposte di ridurre a sole otto in un altro libro del 1995: La riforma fiscale. Otto tasse, un unico codice, federalismo (vedo, pago, voto). Salvo che poi questo nemico delle tasse è diventato un ministro delle Finanze che invece le fa pagare a tutto spiano.Tremonti è stato pure uno che ha lavorato negli anni ’70 in una società di consulenza e revisione internazionale. Ma è anche colui che dal 2005 in poi ha cominciato a scrivere pamphlet contro la globalizzazione dei commerci, invocando dazi contro la Cina. Meritano anche di essere ricordati i titoli dei due libri che scrisse tra 1997 e 1999: Lo Stato criminogeno. La fine dello Stato giacobino. Un manifesto liberale; Meno tasse piu sviluppo. Un progetto per uscire dalla crisi. Salvo poi un decennio più tardi trasformarsi in colui che ha voluto resuscitare all’attualità politica quel Colbert ministro del Re Sole, che non era propriamente un fautore dello stato minimo. E, alla fine, trasformarsi pure nel soppressore di autonomie locali, comuni e province.
Passato per Psi e Alleanza Democratica, nel 1994 era stato eletto deputato col Patto Segni, dopo una campagna elettorale in cui era stato durissimo contro il programma fiscale di Berlusconi. “Miracolismo finanziario”. “Panzane”. Ma subito dopo il voto passò invece a Berlusconi, che in cambio lo fece ministro delle Finanze. E da allora è rimasto l’ideologo economico del Cav: al posto di quell’Antonio Martino che aveva ispirato il programma originale di Forza Italia, ma che è personaggio troppo poco duttile per poter prosperare politicamente alla nostre latitudini.Tremonti invece unisce un’assoluta adattabilità ai cambi di casacca e politica a una fede intransigente nella propria insostituibilità e competenza: singolare combinazione di pugno di ferro in guanto di velluto. «Un giorno, avremo avuto 6 o 7 anni, una vicina di casa ci aveva portato a farci leggere la mano da una conoscente», ha raccontato una volta la sorella. «A me disse che sarei diventata una grande artista, a Giulio che sarebbe diventato presidente della Repubblica». Ripetiamo il concetto da cui siamo partiti: Alessandro Dumas ha insegnato che qualunque Edmondo Dantès può sempre diventare Conte di Montecristo. Il problema è solo di trovare l’Abate Faria che accetti di morire al suo posto.
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quella mannaia. Si stabilì, infatti, che la nuova regola andava applicata pro-rata. I vecchi privilegiati del metodo retributivo, per un certo numero di anni, mantenevano le loro prerogative. Per i giovani, invece, si applicavano i nuovi parametri. Una discriminazione pelosa. Il prezzo pagato per smussare gli spigoli della politica.
Oggi chi va in pensione anticipata è soprattutto il figlio di quell’antico privilegio. Gli ultimi dati INPS dicono che l’età media del loro ritiro è pari a 58,3 anni per i dipendenti e 59,1 per gli autonomi. Ben al di sotto del nostro schema teorico. La loro pensione, grazie al peso del “retributivo” è superiore all’entità dei contributi versati. Per gli autonomi, poi, vale la regola della continuità del lavoro. Nella maggior parte dei casi, percepiscono la pensione e continuano a lavorare, come prima, senza pagare ulteriori contributi. Anche se si sta cercando di correggere almeno questa stortura. Il risultato di questo coacervo di contraddizioni appare evidente negli squilibri della finanza pubblica italiana e nell’andamento del Roberto Maroni, debito. quand’era Ministro del lavoro, cercò di porvi rimedio inventando il famoso “scalone”. Si poteva andare in pensione prima dell’età canonica, pagando un prezzo: sotto forma di una limitata penalizzazione. Era un incentivo per rimanere sul “pezzo” in un’età ancora produttiva. Poi il Governo Prodi, sotto la spinta dell’ala massimalista della sua coalizione, soppresse la norma. Errore incalcolabile. Anche se non si capisce perché, oggi, la Lega rinneghi quanto di buono aveva fatto uno dei suoi leader più prestigiosi. Qui c’è un gioco assurdo. Capiremmo le resistenze nel caso di lavori usuranti – che possono essere opportunamente disciplinati – ma, francamente, è difficile comprendere perché un’impiegata pubblica debba andare in pensione a 65 anni, mentre una dipendente di banca conservi un bonus (età minima 60) di 5 anni. Più che una questione sociale, tutto ciò è frutto di un fraintendimento ideologico. Negli anni i prepensionamenti stanno rapidamente diminuendo. La crisi finanziaria – non solo quella più recente – spinge a lasciare il posto di lavoro più tardi possibile. E non solo per non subire le decurtazioni al proprio tenore di vista: essendo la pensione più bassa del reddito goduto. Ma per rimanere all’interno di un circuito sociale, che è la vera garanzia contro la solitudine del post. Era un vecchio principio – il lavoro come forma di emancipazione personale – che le nuove generazioni di politici e sindacalisti sembrano aver, colpevolmente, rimosso.
politica
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ROMA. Il metodo Penati, le spinte populiste di chi come Romano Prodi rilancia sul referendum anti-porcellum, il tentativo di dividere laici e cattolici, una certa leggerezza nella gestione della cosa pubblica, dividono il Partito democratico e fanno discutere. A proposito di legge elettorale e di referendum il leader dell’Udc, Pier Ferdinando Casini, è stato molto chiaro: «La scelta di una parte del Pd e di Idv e Sel di raccogliere le firme per chiedere un referendum che cancelli il Porcellum e stabilisca il ritorno al Mattarellum è un errore. La Corte costituzionale non potrà mai accettare un referendum con questa impostazione. È una pressione illegittima verso il legislatore per cambiare la legge elettorale sulla quale invece è il Parlamento che deve scegliere. Noi siamo per la proporzionale alla tedesca, ma possiamo e siamo disposti, l’ho detto anche a Bersani, a discutere del disegno di legge del Pd». Un partito, quello di Bersani, sempre più diviso soprattutto a livello generazionale. Non a caso Giacomo Marramao, docente di Filosofia politica all’Università di Roma Tre con un consolidato passato a sinistra, pone l’accento e fa risalire tutti i mali alla differenza tra «quel Pci che ruotava intorno a Enrico Berlinguer e la generazione che gli è succeduta, l’attuale gruppo dei cinquantenni». Il segretario del compromesso storico e della questione morale resta centrale nel pantheon ideologico di chi ha avuto in gioventù la tessera del Pci e che oggi guida il Partito democratico. Eppure si è persa la memoria della capacità di interpretare le esigenze dei militanti, di mediare tra le varia anime di Botteghe Oscure per dare all’esterno un messaggio di unità, dei compromessi per raggiungere dei risultati. «Ai cinquantenni», sentenzia Marramao, «manca quella cultura politica». Risultato? «Molti hanno condizionato la vita del partito e trasformato la politica secondo i loro interessi personali e di clan». Il professor Marramao senza mezzi termini ritiene che la classe dirigente del Pd non stia affrontando nel modo giusto la vicenda Penati: «Va sottolineato innanzitutto l’atteggiamento assunto dal Partito democratico in Parlamento sulle ultime richieste di autorizzazione a procedere nei confronti del senatore Tedesco e dell’onorevole Papa. In quelle occasioni il Pd ha dimostrato di usare pesi e misure diverse a seconda se i parlamentari siano del suo schieramento o della maggioranza. Un comportamento sbagliato perché il garantismo o il rigore vanno applicati sempre, senza alcuna differenziazione». Anche il politologo Biagio De Giovanni conosce bene il mondo dal quale provengono molti dirigenti del Pd e il suo giudizio è altrettanto critico: «In generale
ha dichiarato anche il sindaco di Firenze Matteo Renzi, questa mitologia dell’alterità morale. Al di là delle questioni che riguardano la sfera giudiziaria e quella etica che non vanno confuse esiste un problema politico molto serio che supera il discorso della strategia del Pd, ma ha a che fare con dei fattori di inquinamento della nostra democrazia. Il privilegiare interessi lobbistici, ovviamente, determina una alterazione molto grave del sistema democratico e si appanna anche la battaglia, o meglio la retorica, del Pd sul conflitto di interessi berlusconiano, perché da un certo punto di visto coinvolge lo stesso partito di Bersani».
Biagio De Giovanni e Giacomo Marramao fotografano la crisi del Nazareno
Compagni, rottamate il partito degli affari Dal metodo Penati alle uscite di Prodi il Pd si scopre sempre più spaccato di Franco Insardà non ho un impressione positiva di come si sta rispondendo alle vicende legate a Penati. Si nota, prima di tutto, una situazione molto legata e imbarazzata e non si intravede una linea chiara. L’unica cosa che si evidenzia in modo clamoroso è il grande sconcerto che nasce dal fatto che in questi anni ci si è incaponiti a continuare sulla linea: noi siamo diversi. È un colpo durissimo proprio nel momento in cui il Pd sembrava poter scalzare Berlusconi e ne ritarda la crisi.
personale o se c’è ha la caratteristica della marginalità. Il vero rischio per il Pd è che si accerti l’esistenza di un sistema. Da qui nasce la grande difficoltà di Bersani e sinceramente, siccome lo considero una persona che ha i suoi meriti e una sua dirittura, mi dispiace che si trovi in questa situazione». Il professor De Giovanni fa un’analisi puntuale del momento: «Prima esistevano dei vincoli forti di militanza, c’era una dedizione che in larga misura lascia-
fusa di amministrare da parte del Pd e la spia più grave è nella percezione che ne ha l’opinione pubblica che, oramai, fatica a distinguere tra centrodestra e centrosinistra. Gli ultimi sondaggi dimostrano proprio come stiano calando i consensi del Pd. Non si tratta soltanto di una questione morale, ma diventa anche una questione politica». Quella della Commissione di garanzia secondo De Giovanni rappresenta «dei riti che si prolungano con la fine dei soggetti
Pier Ferdinando Casini ribadisce la bocciatura del referendum anti-Porcellum e si dichiara disponibile a discutere in Parlamento il disegno di legge “democratico” per modificare l’attuale sistema elettorale Fermo restando che questa classe dirigente nel suo insieme è onesta e nessuno azzarda ipotesi di altra natura, risulta evidente questa albagia ogni volta che si verificano episodi, seppure di diversa gravità, che coinvolgono esponenti del Pd. Quella relativa a Penati sembra essere una questione gravissima che non riguarda tanto l’arricchimento personale, ma un vero e proprio sistema nel quale compaiono i soliti soggetti: le cooperative. E la cosa si verifica in una zona dove alcuni episodi erano già avvenuti negli anni passati, dando l’impressione che si tratti di un fatto sistemico, nelle quali non c’è quasi mai un interesse
va intravedere una comunità umana e politica, nella quale avvenivano cose di varia natura. Oggi i partiti non sono più comunità unitarie, ci sono gruppi che hanno bisogno di finanziare le loro lotte interne. E sono sempre più convinto che queste vicende riguardano il finanziamento della politica e non gli arricchimenti personali, soprattutto quando avvengono a sinistra». Un problema come quello legato alla vicenda Penati affidato al vaglio della Commissione di garanzia, presieduta da Luigi Berlinguer, non può, secondo Marramao, «essere affrontato in questo modo. Ritengo purtroppo che esista una mentalità dif-
che li avevano fondati. Giorni fa rileggevo uno scritto di Max Weber del 1919 intitolato“La politica come professione” che per la sua attualità potrebbe essere pubblicato oggi come articolo di fondo di un quotidiano. C’è tutto: politica, affari, boss, clientele. Non voglio arrivare all’idea weberiana che la politica significa dare l’anima al diavolo, ma qualcosa di simile c’è. Bisogna trovare le modalità per fare in modo che gli elementi oscuri della politica non travalichino certi limiti, ma è da ipocriti negarne l’esistenza». Quale può essere la via d’uscita? Secondo Marramao il Pd deve «per un verso superare, come
La nuova classe dirigente del Pd chiede un rigore maggiore e spinge per una inversione di rotta e, a questo proposito, il professor De Giovanni dice: «Senza voler fare l’eco dei rottamatori dico chiaramente che questa generazione di quasi sessantenni dovrebbe andare a casa, perché è un pezzo di una politica fallita. I volti di Veltroni, D’Alema e degli altri sono lì da oltre trenta anni ed è un fenomeno che non avviene in nessuna altro Paese al mondo. Dovrebbero farsi da parte e dedicarsi ad altro, magari anche a studiare dove hanno sbagliato nel loro modo di fare politica. Una nuova generazione che non ha conosciuto il vecchio sistema dei partiti deve avere la possibilità di misurarsi. Può darsi che venga fuori qualcosa di positivo, senza voler fare miracolismi generazionali potremo vedere che cosa sono capaci di fare. Purtroppo già so che non avverrà, perché in Italia non si verificano quelle situazioni traumatiche dalle quali nascono le nuove classi dirigenti». Su questa posizione si trova d’accordo lo stesso Marramao: «Un’alleanza tra gli anziani che sono riusciti a fare, nel bene e nel male, una politica rilevante nei decenni passati e i giovani e giovanissimi. Perché, a mio parere, questa pratica lobbistica e di clan attecchisce nella generazione di mezzo, dei cinquantenni che non hanno visualizzato bene le esigenze del Paese e hanno inteso la modernizzazione della politica nel senso sbagliato. Modernizzare la politica significa introdurre criteri di giustizia, di universalità e di razionalità rigorosi e non mi pare che nessuno di questi tre criteri siano rispettati dalla generazione che ha preso il sopravvento all’interno del Pd. Ben vengano i giovanissimi, non solo per una questione generazionale, ai quali mi permetto di consigliare di apprendere dagli anziani della generazione berlingueriana che, ripeto, nonostante alcuni errori, ha dimostrato in quella congiuntura storica ha dimostrato una sobrietà e una dignità che ha fatto onore alla politica». E oggi a Milano inizia la festa del Pd sulla quale aleggia lo spettro Penati.
Una lettura al giorno
Storie di bimbi sperduti: gli ultimi due racconti di Roberto Genovesi
Il soldatino di Manolito e la Playstation di Giacomo di Roberto
Genovesi
Ogni bambino è un’isola e il suo tempo e i suoi sogni sono confini che non c’è ragione di voler varcare
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una lettura al giorno Il soldatino di stagno
Armarsi a dodici anni per difendersi dai Sandinisti. E ritrovarsi, solo in una buca, faccia a faccia col nemico. Con in mano un simulacro di foglie di coca a tanto freddo in questa buca. Abbasso il bavero del cappellaccio di due misure più grande e mi stringo nelle spalle senza perdere d’occhio il fucile. Il vento, teso come la corda di un arco, mi porta da lontano la voce di uno dei miei compagni che canta una canzone d’amore. Siamo rimasti in sette a presidiare questo posto di blocco e aspettiamo ormai da due giorni che arrivino i rinforzi. Ci siamo scavati le buche con le mani e il calcio dei fucili mentre il rumore delle pale degli elicotteri dei sandinisti ci fracassava le orecchie. Con le dita scrostate e sanguinanti nella terra e gli occhi al cielo, inginocchiati come animali e impauriti come ragazzini. Pregando Dio che non riuscissero a scovare le nostre forme in movimento. Io mi chiamo Manolito e sono un contrarrevolutionario. Gli assassini del Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale hanno ucciso i miei genitori e stuprato le mie sorelle e così ho deciso di unirmi a un gruppo di amici intenzionati a fargliela pagare. Abbiamo fatto tante azioni eclatanti negli ultimi tempi e ho scoperto che siamo diventati anche famosi. I giornali ci chiamano contras e dicono che combattiamo per la libertà del nostro Paese, il Nicaragua. Ma io questa notte ho freddo. Perché… perché in realtà non era cominciata così.
F
Da piccolo vivevo in un villaggio ai confini della foresta amazzonica. In casa eravamo in sette. Io, i miei genitori, due fratelli più piccoli di me e due sorelle più grandi. Mio padre e mia madre lavoravano alle piantagioni di coca mentre le mie sorelle si occupavano della terra e dei fratellini. Io ogni tanto andavo a scuola ma, più spesso, me ne andavo a zonzo nella foresta a parlare con gli animali. A me piacciono gli animali, soprattutto gli uccelli. Perché per parlare tra loro
cantano. Ma mi piacciono anche le armi. Da bambino mi piaceva giocare alla guerra. In verità mi piacevano le armi che vedevo in mano ai ragazzi più grandi e spesso passavo intere giornate a sbirciarli mentre facevano avanti e indietro per il villaggio ostentando quei fucili di metallo luccicante. Si fermavano davanti alle case delle ragazze più belle e facevano finta di controllare l’otturatore o il caricatore. Io li guardavo in silenzio ma con ammirazione, immaginando che anche io, un giorno, avei posseduto un fucile.
C’è qualcosa che non mi convince questa notte. Non è tanto il freddo, quanto il silenzio. Ci hanno detto che i sandinisti sono lontani e che difficilmente entreremo in azione prima di un paio di giorni ma quando c’è troppo silenzio, il rumore di un fruscio d’ali o di un ramoscello spezzato assumono una connotazione diversa, distorta. Per fortuna che i miei compagni non hanno perso il buonumore. Li sento cantare anche se non riesco a capire da dove provengano le loro voci. Abbiamo scavato le buche senza stabilire una disposizione precisa ma ognuno di noi ha almeno due companeros alle spalle e due di fronte. Agli estremi ci sono invece i soldati più giovani, quelli che devono farsi ancora la gavetta e che non hanno avuto il battesimo del fuoco. Le sentinelle, le chiamano gli ufficiali. Una di queste sono io. Mio padre sapeva che mi piaceva giocare alla guerra e così un giorno, di ritorno dal lavoro, mi portò un soldatino che aveva costruito con le sue mani utilizzando alcune foglie di coca bagnate con la saliva e poi intrecciate con i fili di stagno che servono per tenere i panetti che caricano sui camion che vanno al confine. Rammento ancora quel giorno. Mio padre arrivò al tramonto, stanco come al solito. Con il vol-
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to arrossato dal sole e dalla sete. Mia madre arrancava alle sue spalle mentre trascinava lo zaino dove metteva di solito l’otre dell’acqua e il cambio di mezza giornata. Io corsi loro incontro per salutarli come al solito. Così mio padre si fermò a una decina di passi dalla porta di casa. Mise una mano in tasca e la tirò fuori per mostrarmi un soldatino di foglie e fili di metallo morbido Dedicato ai più deboli sottilissimi. Io I racconti pubblicati in queste pagine lo guardai e lo sono gli ultimi che vi proponiamo (gli presi dalle sue altri sono usciti il 3 e il 19 agosto) tratti mani come fosdal ciclo dei Bimbi sperduti, un ampio se il corpo di un progetto creativo ed editoriale dedicato uccello morto. da Roberto Genovesi ai bambini che nel Lo soppesai per mondo sono quotidianamente vittime qualche istante delle violenze individuali e collettive e poi lo scagliai degli adulti. Giornalista ed esperto di lontano scopmedia education, Genovesi si occupa da piando piangemolti anni di narrativa e tv per i ragazzi re. Un soldatied è autore di romanzi e fumetti particono. Non una pilarmente attenti alle problematiche delstola o un fucile l’infanzia e dell’adolescenza. Da qualche come avevo spesettimana è in libreria il suo nuovo rato. Un soldatiromanzo La vendetta di Augusto no di foglie di (Newton Compton) che vede come protacoca, capace di gonisti proprio un gruppo di bambini, prendere fuoco orfani o schiavi, che vengono addestrati con la fiammelcome sacerdoti dalle legioni romane. la di un cerino. Il regalo per un bambino, non per un bambino che si sente sento più. La notte non gli fa ormai grande. Ho fatto tan- paura. A me sì invece. Anche te cose fino a oggi di cui do- se posso solo pensarlo. vrei pentirmi ma quel gesto nei confronti di mio padre Mio padre mi voleva molto che ora non c’è più non po- bene. Ma voleva bene anche ai miei fratelli e alle mie sotrò mai dimenticarlo. relle. Anche se non è riuscito I companeros hanno smes- a salvarli tutti. Io ho avuto so di cantare e anche la luna solo fortuna. Quando i sandiha deciso di andare a dormi- nisti arrivarono al nostro vilre. Forse anche gli altri dor- laggio, era da poco sopragmono. Io non ci riesco. Dico- giunto il tramonto. La giorno che dopo aver ucciso una nata era stata particolarpersona, anche se è un nemi- mente piovosa e ampie e co che deve essere ammaz- gonfie pozze d’acqua sporca zato, si cambia completa- di terriccio avevano richiamente e anche la percezione mato tutti i bambini nonodel mondo attorno diventa stante l’ora tarda e i rimproun’altra cosa. I miei compa- veri delle mamme indaffaragni hanno tutti ucciso qual- te a preparare l’unico pasto cuno mentre io ancora no e della giornata. Mio padre non saprei dire cosa si prova sbucò come al solito dal fonnel farlo. So solo che loro do della strada seguito da riescono a dormire a coman- mia madre. La prospettiva do perfino nel bel mezzo di mi permetteva di accorgermi uno scontro se non è il loro di lui solo quando arrivava turno di sparare. Ora non li proprio al primo perimetro
Arrivano. Come allora. Riconosco lo sgommare delle loro camionette. Qualcosa è andato storto, oppure qualcuno ha fatto male i conti. Comunque non sento più cantare i miei compagni ma solo un miscuglio di voci concitate e di proiettili che scivolano nei caricatori. Poi i primi spari, le prime urla, i primi silenzi. Ho freddo e ho paura. Non so quale sensazione mi preoccupi di più. Ma ho bisogno di calmarmi se voglio uscirne vivo. Il fucile è a portata di mano. Il mio braccio sembra di pietra e prima che la mano tocchi il legno freddo del calcio, sento qualcosa di caldo e umido che mi cola tra le gambe. Ringrazio il cielo di essermela fatta addosso. È la prima sensazione di calore che provo da quando mi sono scavato questa maledetta buca. Quando finalmente ebbi il coraggio di uscire dal mio nascondiglio il villaggio era
Ma pensare alla vendetta è un concetto mentre uccidere una persona è un fatto. E io non so quale sia la differenza. Cerco di aguzzare il più possibile la vista. Provo ad ascoltare la notte per evitare che possa sorprendermi. Il fucile al mio fianco, uguale a quello che avevo tanto sperato di possedere, carico e con il colpo in canna. Nella mano sinistra un oggetto piccolo e morbido da cui non mi separo da quando avevo cinque anni. Quel giorno, quando mio padre e mia madre furono andati a dormire, uscii di casa di nascosto per andare a cercare ciò che avevo rifiutato. Sperai con tutto il cuore di ritrovarlo ed ebbi fortuna. Il soldatino di stagno e foglie mi aspettava nascosto tra le radici di un grosso albero a pochi passi dal mondo in cui vivevo. Forse lo aveva spinto fin là il vento o il calcio di qualche bambino che non aveva riconosciuto in quella forma acerba i tratti di un soldato. Lo infilai in tasca e tornai a dormire. Ora lo guardo come fosse l’unico vero compagno di vita di cui fidarmi. Ora che sono grande. Un rumore. Uno schiocco. Mi volto molto lentamente. E vedo l’uomo che ha preso possesso della mia buca e che mi punta il fucile in faccia. Ride. Riconosco quella risata. L’ho vista specchiata tanto tempo fa negli occhi terrorizzati anche nella morte delle mie sorelle. E così, prima che possa sorprendersi del fatto che un bambino di tredici anni possa maneggiare un’arma, afferro il fucile, glielo punto addosso e sparo. L’uomo mi guarda incredulo e poi crolla senza battere nemmeno le ciglia. Io lascio cadere il fucile e guardo entrambi come fossero fatti della stessa materia inerme. Da piccolo mi piaceva giocare alla guerra e desideravo possedere un fucile. Ora che sono grande, ora che ho tredici anni e che ho soddisfatto tutti i miei desideri tremo dal freddo in una buca mentre sento altri passi che si avvicinano richiamati dal rumore del mio fucile. Ora che sono grande ho ucciso il mio primo nemico ma le sensazioni che provo non sono molto diverse da prima. Sembra che non sia cambiato nulla. C’è solo una buca nella notte, con dentro un morto, un bambino e il suo soldato di stagno. Ora che sono grande e che ho ucciso il mio primo nemico non riesco ancora a capire che differenza ci sia tra la vendetta e la morte.
Pensare alla vendetta è un concetto, ma uccidere una persona è un fatto. Che differenza c’è tra la vendetta e la morte? esterno del villaggio perché la strada scendeva come ripiegandosi su se stessa per poi gettarsi nella vallata. Per tutti questi motivi ci accorgemmo solo troppo tardi dell’arrivo dei sandinisti. Erano una ventina, armati di tutto punto. Ma quando mi accorsi di loro avevano già ammazzato una dozzina di persone, soprattutto i vecchi seduti nei pressi dello steccato ad ammirare come ogni sera il sole che se ne andava a dormire. Due camionette sgommarono tra le pozzanghere senza preoccuparsi dei bambini con i piedi immersi nell’acqua. Li trattarono come birilli da abbattere mentre i loro mitra crepitavano sputando proiettili nel cielo. Vidi mio padre correre verso di me. Mi afferrò e mi trascinò in casa. Aprì una botola di cui non mi ero mai accorto prima e mi spinse dentro. Prima di precipitare nel buio, vidi il corpo di mia madre riverso proprio davanti all’uscio. Le mani protese verso la sua casa come a volerla proteggere da qualcosa inevitabilmente incontrastabile.
* ** **
avvolto in una cappa di silenzio. I sandinisti se ne erano andati tutti lasciando alle spalle tangibili testimonianze della loro visita. Gran parte dei bambini erano riversi nelle pozze d’acque che avevano assunto una colorazione rossastra. Molti uomini erano morti con ancora stretti tra le mani forconi, coltellacci o bastoni. Armi di difesa improvvisate che poco avrebbero potuto comunque fare contro mitragliatori a ripetizione. Ma le immagini che non scorderò mai sono quelle delle mie sorelle, spogliate dei loro vestiti e della loro dignità. Non so quando cominciai a piangere. So solo che a un certo punto mi ritrovai con un fazzoletto in mano e mi accorsi che a darmelo era stato uno di quei ragazzi con i fucili che avevo visto girare per il villaggio. Mi raccontò che all’arrivo dei sandinisti si erano nascosti nella boscaglia perché sapevano che erano venuti a cercare proprio loro. Fieri oppositori ma troppo pochi per poter sperare di sfidare un esercito vero. Ma ora erano pronti per la vendetta. Anche io.
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una lettura al giorno I bambini dei quadri i chiamo Giacomo. Ho dodici anni e sono nato a Carrara, una piccola città italiana famosa per il marmo. Almeno così c’è scritto sul libro di geografia che ho studiato quest’anno. Ma non sono così sicuro che dica la verità perché Carrara non è una piccola città e c’è una gelateria che conosco per la quale potrebbe essere molto più famosa per-
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ché ci vanno quasi tutti i miei amichetti, e io naturalmente. Carrara è la mia città, la città in cui sono nato e, per me, è la più bella del mondo. Spesso, quando prendo il treno con la mamma per andare a trovare la nonna che vive a Viareggio, passo tutto il tempo con il naso appiccicato al finestrino. Un po’ perché mi piace vedere il respiro che si condensa e ci posso scrivere col dito tante parole e un po’ perché ci sono tante cose interessanti di fuori. Guardo i binari che sembrano andare nella direzione opposta a quella del treno, guardo le case che mi sfilano davanti e gioco a dare un nome a ognuna a seconda del colore e della forma, come fossero persone in carne e ossa. Qualche volta penso agli altri bambini. A quelli che vivono in quelle case ma anche a quelli che vivono in altre città. E mi piace sognare a occhi aperti perché sembra che il treno mi porti in un mondo che solo io conosco e dove solo io posso andare. Io sono nato a Carrara e non so se sia una fortuna o una sfortuna. E penso che la stessa cosa potrebbe dirla un bambino che è nato a Benevento o a Messina. Forse i più fortunati sono i bambini
che sono nati nelle grandi città come Roma, Milano o Napoli. Ci sono molti più negozi di videogiochi che a Carrara e molti più cinema. I fumetti arrivano puntuali nelle edicole e ci sono tanti bei negozi dove puoi trovare tutto quello di cui parla la pubblicità in tv senza dover aspettare settimane o fare la fila o ordinarli per posta. Qualche volta però penso anche ai bambini del passato. Mi
vengono in mente soprattutto quando il nonno mi porta al museo dei quadri. Si chiama pinacoteca, dice lui. Ci sono tanti bambini vestiti in modo buffo che sembrano guardarmi dalle tele dei dipinti. Io mi sposto e i loro occhi continuano a seguirmi.
Qualche volta mi volto e poi mi giro improvvisamente e i loro occhi sono ancora su di me. Allora chiudo gli occhi forte forte e poi li riapro di scatto. Ma niente da fare, continuano a guardarmi.
I bambini dell’età della pietra, o quelli dell’Amazzonia o quelli come me credono di vivere nel momento migliore. Perché il vero problema è il tempo...
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Non sono molto diversi da me se si trascura il particolare dell’età. Solo che i loro vestiti sono un po’ più ridicoli dei calzoni corti che mi ha comprato la mamma all’Oviesse. Io credo che non si possa giudicare se un bambino è più o meno fortunato a seconda di dove è nato. Il vero problema è il tempo. Spesso penso che i bambini di oggi siano più fortunati di quelli dei quadri. Oggi i bambini come me possono portare l’apparecchio se nascono con i denti storti
e l’ago delle siringhe è più corto e fa meno male, dice la mamma, di quello con il quale le facevano le punture quando lei era piccola. I bambini dei quadri non avevano l’anestesia per togliere le tonsille e non potevano permettersi di tenere un cane o un gatto in casa se non erano figli di ricchi o di nobili perché spesso il mangiare non bastava nemmeno per loro. Eppure se guardo quei quadri li vedo spesso sorridenti e contenti.
Questo perché credo che ogni bambino immagini di vivere nel momento più bello, nel momento delle scoperte più sensazionali e delle più grandi comodità. Sempre perché il vero problema è il tempo. Ogni bambino si guarda attorno e immagina di essere quello più fortunato. Si guarda indietro e vede quadri e fotografie di bambini che crede siano stati costretti dal caso a vivere in luoghi meno sicuri, meno puliti e meno interessanti. Oggi io immagino che nulla di più bello e divertente della mia Playstation 2 possa mai essere inventato e che i bambini del futuro, rispetto a me, al massimo potranno avere qualche gioco in più dei miei, che sono già tanti dice il babbo. E invece non è così. In questi casi
chiudo gli occhi e cerco di sognare di essere io uno di quei bambini del futuro e allora mi vedo guardare a me come farei io con un bambino dell’età della pietra. Eppure anche i bambini dell’età della pietra, l’ho letto sul libro di storia, avevano i loro giocattoli. Non avevano la corda come i bambini dei quadri o la Playstation come me ma si divertivano lo stesso. Perché è sempre colpa del tempo. Vedete, il tempo sembra che si muova o muova le cose e le persone ma in verità le ferma, le fissa come su una foto o su un dipinto. Come faccio io quando vedo una casa mentre corre il treno. È proprio in treno che mi sono fatto l’idea che lo scorrere del tempo è un’illusione. Come quella dei binari della ferrovia che sembrano correre nella direzione opposta al mio vagone.
In realtà credo che il tempo stia fermo. Perché siamo noi che ci muoviamo. Siamo noi che raccogliamo le cose che ci stanno attorno come fanno i pescatori che vedo l’estate al mare con le loro grandi reti.Tutto quello che ci troviamo attorno diventa improvvisamente necessario solo perché c’è. Ma questo non spiega perché un bambino delle tribù indigene delle foreste tropicali dell’Amazzonia, che ho visto su una rivista che legge il babbo, in questo momento stia ridendo e giocando lo stesso e magari si stia divertendo più di me che aspetto con ansia che al mio negozio di giocattoli arrivi qualcosa di nuovo per la mia Playstation. Quel bambino vive praticamente come i bambini dell’età della pietra del mio libro di storia. Ma la differenza tra lui e loro è che lui, in qualche modo, sa che attorno alla sua foresta c’è qualcosa di diverso, di più… come posso dire… progredito. I bambini dell’età della pietra, come me o come i bambini dei quadri, credevano di essere nel momento migliore. Il bambino dell’Amazzonia sa che a pochi chilometri dal suo villaggio c’è una Ps2 nuova fiammante pronta per giocare? Magari non sa della Ps2 in particolare ma sa che c’è qualcosa di diverso. Insomma, le cose sono due: o lo sa e non gli importa o non lo sa e allora per forza che non gli importa. Quando guardo tutte quelle case colorate che sfrecciano davanti al finestrino del mio treno che va a Viareggio, sogno a occhi aperti di tutti questi bambini e cerco di capire che cosa li renda tutti così esclusivamente felici, come lo sono io. E, forse, l’ho anche capito. Una volta anziché contare le case, seguire il tempo scandito dai binari che mi vengono incontro o pensare ai vestiti del passato o alle macchine del futuro, ho chiuso gli occhi per un attimo e in quell’attimo e in tutto quel buio che dura un momento, ho trovato la spiegazione. Perché ho capito che ogni bambino è un’isola e il suo tempo e i suoi sogni sono i confini che non c’è ragione di voler varcare.
o p i n i o n ic o m m e n t il e t t e r ep r o t e s t eg i u d i z ip r o p o s t es u g g e r i m e n t ib l o g ACCADDE OGGI
Rispondi, l’operatrice è al telefono 1878: la Edwin Holmes Telephone Dispatch assume Emma Nutt. È la prima centralinista ischi registrati, voci cordiali, voci meno cordiali che ti svegliano nei momenti più disparati... La figura dell’operatrice telefonica è iper-conosciuta: amata, odiata, vilipesa ed esaltata, ha cambiato le comunicazioni sin dal loro esordio. E in effetti questo esordio risale al primo settembre del 1878, quando la Edwin Holmes Telephone Dispatch Company assunse Emma Mills Nutt, la prima operatrice telefonica della storia. In effetti, i primi a compiere questo lavoro furono dei maschi e - nello specifico - George William Croy. Ma i maschi assunti come operatori, fra cui il marito della Nutt, si dimostrarono poco capaci nello svolgere questo ruolo. Bravissimi come operatori del telegrafo, non avevano la pazienza e la voglia di dare retta a chi telefonava. Ecco perché la direzione della compagnia puntò sull’altra metà del cielo, vincendo una scommessa importantissima. Emma rimase al suo posto per 37 anni. Ad assumerla fu Alexander Graham Bell in persona, che ne apprezzò l’atteggiamento positivo, la cultura generale e la voce gradevole. Subito dopo di lei assunse la sorella Stella, che però rimase per motivi personali soltanto un paio d’anni. Pagata dieci dollari al mese per 54 ore di lavoro settimanale, era in grado di ricordare a memoria ogni numero presente nell’elenco telefonico del New England. Una pioniera dalla memoria incredibile.
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Una manovra “da cordai” ovvero indietro tutta Le manovre finanziarie non sono mai bene accolte perché portano sempre sacrifici e riduzioni di benefici. L’ultima, quella che è in discussione in questi giorni al Parlamento, ha raggiunto il Guinness dei primati per avere scontentato il maggior numero di persone. Nessun governo prima di ora aveva raggiunto tale traguardo. La manovra ha creato forte malcontento nelle piccole comunità comunali che dopo secoli di vita vedono sopprimere la loro identità, nelle popolazioni delle province con meno di 300.000 abitanti che si vogliono declassare, nei pensionati che si vedranno privati dei piccoli incrementi annuali legati al costo della vita, nei neo-pensionati che si vedranno congelato per due anni il T.F.R. come se si trattasse di una concessione e non di un diritto maturato. L’elenco potrebbe continuare. Ma perché tutto ciò? Per una calamità naturale improvvisa e quindi imprevedibile? No! Per errate previsioni sull’esito della crisi finanziaria che si trascina da più anni. Errate valutazioni che avevano recentemente fatto promettere anche riduzioni delle tasse. Si è andati,come dice un antico proverbio della saggezza popolare , sul “muro basso”. Ovvero indietro tutta, come i cordai.
Luigi Celebre
LO SCIOPERO ASSURDO DEI MILIONARI SPORTIVI Caro Direttore, pur condividendo la volontà di non fare di tutta l’erba un fascio resta per me inspiegabile lo sciopero che ha fermato la serie A del campionato di calcio italiano. Sono riuscito a capire soltanto che c’è un rinnovo del contratto nazionale che non si riesce a concordare e che una nuova tassazione, prevista nella neonata finanziaria, deve essere pagata da qualcuno che non vuole farlo. Lavorando come dipendente, vedrò soltanto in busta paga gli effetti di questa manovra: non avrò alcun modo per influire sulle scelte del mio datore di lavoro o tanto meno potrò evitarmi qualche aggravio economico. Eppure io, come i miei colleghi, non abbiamo intenzione di scioperare in un momento in cui, invece, si dovrebbe lavorare tutti quanti di più. I miliardari del pallone dovrebbero quanto meno tenere a mente in che Paese vivono.
Vincenzo Lovagnini
ANIMALI IN CAMPAGNA, UNA LEGGE SUBITO Caro Direttore, come tutte le estati, le cronache locali e nazionali sono purtroppo piene di notizie di abbandoni, maltrattamenti e abusi ai danni di animali da compagnia. Tra queste spicca però la notizia del salvataggio di 6 cuccioli appena nati stipati in un sacchetto dell’immondizia e gettati in un cassonetto, a Montallegro (AG). I meriti del salvataggio vanno alla turista che, insospettita dai guaiti, ha prontamente segnalato il fatto ai Carabinieri di
L’IMMAGINE
C’è Bach? Allora si balla la break-dance Niranh Chanthabouasy, a sinistra, e Benny Kimoto, a destra, fanno parte del gruppo tedesco quattro volte campione del ondo di break-dance “Berlin Flying Steps”. In questo scatto li vediamo mentre portano la loro arte davanti ai Giardini Tivoli di Copenhagen, Danimarca, nell’ambito del “Red Bull Flying Bach European Tour”. Si tratta di un campionato di break-dance sulle note (remixate) di Johann Sebastian Bach. Lo spettacolo raggiungerà Germania, Austria, Svizzera, Turchia e Danimarca con oltre 50 esibizioni e si apre oggi alla Music Hall dell’Accademia reale
e di cronach
Montallegro che si sono mobilitati immediatamente non solo per recuperare i cuccioli, ma anche per perlustrare soprattutto le zone rurali alla ricerca della cagna che li aveva da poco messi al mondo, senza di lei i cuccioli sarebbero andati incontro a morte certa. Le ricerche dei carabinieri hanno portato al ritrovamento della cagna, detenuta da un anziano contadino che, non senza difficoltà, alla fine ha ammesso il suo terribile gesto, e al conseguente ricongiugimento della mamma con i suoi cuccioli, a detta dei presenti, una scena commovente! Ora i cuccioli avranno la possibilità di vivere e di essere allattati, svezzati e curati dalla loro mamma, reclusi in un canile però. Tutto questo si sarebbe potuto evitare se in Italia ci fosse una legislazione seria sull’obbligo di sterilizzazione degli animali da compagnia, che – come riportano le principali associazioni animaliste italiane e internazionali – è l’unica soluzione al sovraffollamento di canili pubblici e privati – questi ultimi spesso gestiti da persone senza scrupoli con il solo obiettivo di lucrare sulla pelle degli animali – al randagismo, al maltrattamento di cui milioni di animali sono vittime ogni anno, in Italia. La maggiorparte di questi purtroppo non ha la fortuna di trovare sulla propria strada persone sensibili e dedite alla loro missione come i carabinieri di Montallegro. Spero solo che il loro intervento sia d’esempio non solo ai colleghi dell’Arma ma a tutti i cittadini che scelgono la compagnia di un animale! Grazie
Barbara Bruno
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la guerra libica
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Sarkozy guiderà a Parigi il vertice sul dopo Gheddafi: ma non c’è accordo sull’invio di forze di terra
Ultimi saldi a Tripoli Oggi si discutono gestione e alleanze per la grande ricostruzione della Libia di Enrico Singer ella bozza del documento finale del vertice che Nicolas Sarkozy ha organizzato per oggi a Parigi, la proposta d’inviare una forza internazionale di peacekeeping in Libia sotto la bandiera dell’Onu è tra parentesi quadre. È una formula che, nel linguaggio diplomatico, significa che non c’è ancora accordo e che dimostra che proprio questo è il punto più delicato da affrontare: un rompicapo dalle tante implicazioni sul quale si sono inutilmente confrontati gli sherpa dei Paesi e delle organizzazioni internazionali – siamo ormai arrivati a quota sessanta – che partecipano alla costruzione del dopo-Gheddafi. Prima di tutto perché dal Consiglio nazionale transitorio che si è insediato a Tripoli è arrivato un secco “no” all’ipotesi di affidare la sicurezza del Paese a militari stranieri, soprattutto se – anche solo in parte – occidentali. È evidente che i conti con il vecchio regime – dalla cattura del Colonnello, all’epurazione dei suoi fedelissimi – il Cnt vuole regolarli senza interferenze esterne. E in assenza di una richiesta da parte del nuovo potere che si sta radicando in Libia, qualsiasi iniziativa del genere sarà più difficile da realizzare. Ma anche tra i componenti del
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ti consiglieri e che si è ufficialmente detto pronto a fornire anche ottomila soldati ai quali far indossare i caschi blu. Ma il partito degli scettici, guidato dalla Germania, è vasto e c’è anche il partito dei contrari al quale si è iscritta l’Italia che, per bocca del ministro della Difesa, Ignazio La Russa, ha comunque escluso l’invio di militari anche per ragioni di opportunità come ex potenza coloniale.
A dividere i diversi fronti ci sono considerazioni politiche e tattiche. Chi vuole partecipare alla forza di peacekeeping insegue l’obiettivo di aumentare il peso della nuova presenza in Libia conquistata a colpi di raid aerei, ma adesso è oggettivamente spiazzato dall’opposizione del Consiglio nazionale di transizione del quale, finora, era stato il più forte alleato. Il presidente del Cnt, Mustafà Abdel Jalil, si è dichiarato «disponibile a valutare» l’arrivo di una forza internazionale soltanto se sarà composta da soldati dei Paesi arabi o islamici. Questo taglierebbe fuori tutti gli europei, a partire da francesi e britannici, e accrescerebbe il ruolo dell’emiro del Qatar che, guarda caso, è uno dei migliori amici di Sarkozy nell’area del Golfo. Non solo perché il
Per l’Eliseo bisogna «assolutamente evitare gli errori» commessi in Afghanistan e in Iraq, dove la transizione è stata sanguinosa. Il rischio? «Se si sbaglia, gli effetti saranno disastrosi» cosiddetto “gruppo di contatto” – che da oggi potrebbe cambiare il suo nome in “Amici della Libia”, come vorrebbero Sarkozy e David Cameron – le posizioni sono contrastanti. Il partito di chi è disposto a spedire uomini sotto l’ombrello delle Nazioni Unite è composto essenzialmente dai Paesi che, sin dal primo momento, hanno spinto per un intervento attivo e che hanno già sul terreno uomini delle loro forze speciali con compiti di assistenza e di intelligence: la Francia, la Gran Bretagna e il Qatar dell’emiro Hamad al Thani che in aiuto degli insorti libici ha impegnato otto cacciabombardieri e mol-
suo potente fondo sovrano, la Qatar investiment authority, ha già salvato l’agonizzante squadra di calcio del Paris Saint Germain e sua moglie Mozah fa shopping nelle più esclusive boutiques parigine: anche gli aerei inviati dal Qatar a bombardare le truppe di Gheddafi sono Mirages di fabbricazione francese e questo la dice lunga sugli ottimi rapporti tra Doha e l’Eliseo. Senza contare che è basata in Qatar l’emittente televisiva Al Jazeera che ha avuto un grande ruolo sia nella primavera araba esplosa prima a Tunisi e poi al Cairo, sia nel sostenere l’intervento contro il Raìs libico. Ma, al
A destra, il presidente francese Nicolas Sarkozy e il premier britannico David Cameron, che hanno lanciato l’idea del vertice sulla Libia di oggi. Sotto, Abd al Rahman Ibn Hamad Al-Attiyah (Qatar), presidente del Consiglio di cooperazione del Golfo
Propositivi i membri del Gulf Cooperation Council, incerti gli altri leader
Le diverse primavere di Golfo e Lega araba Le monarchie del Gcc dimostrano un’unità politica insolita. Che l’Occidente deve sostenere, senza interferire troppo di Mario Arpino atteggiamento verso accadimenti come la guerra in Libia, le varie “primavere”, la rivolta in Bahrein, la guerriglia nello Yemen, la stessa questione israelo-palestinese, che scuotono in profondità tutto il mondo arabo, sembrano trovare difforme considerazione presso le due organizzazioni multinazionali della regione. Nell’area che gli analisti chiamano Mena (Middle East and North Africa) si nota, infatti, un atteggiamento molto propositivo dei sei Paesi del Gulf Cooperation Council (Gcc) a fronte di un’evidente incertezza e stagnazione nella Lega Araba. L’attivismo politico del Gcc sinora aveva avuto preminenti motivazioni economiche, legate a gas e di petrolio. È su ciò, infatti, che si basa la prosperità di Arabia Saudita, Kuwait, Emirati, Qatar, Bahrein e Oman. Ma la primavera araba ha cambiato qualcosa, nel senso che le monarchie del Golfo stanno dimostrando un’unità politica sinora inconsueta. Anzi, quasi cercando
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supporto tra i loro simili, stanno tentando di ampliare, rafforzandola, loro dimensione consortile. È della fine di giugno, infatti, un invito formale nei confronti del Marocco e della Giordania – che appartengono anch’essi alla schiera dei cosiddetti sunniti “moderati”, ad aderire all’organizzazione regionale del Golfo. Secondo gli osservatori d’area l’eventuale accoglimento della proposta – da non dare per scontato nel breve termine – potrebbe effettivamente apportare vantaggi reciproci. Da un lato, le economie di Giordania e Marocco, paesi non petroliferi, potrebbero usufruire del sostegno fiscale e finanziario degli Stati membri.
Dall’altro, l’organizzazione, allargando la sua membership, potrebbe affrontare con maggior sicurezza eventuali ritorni rivoluzionari interni e, contemporaneamente, innalzerebbe il livello della propria protezione contro i non troppo nascosti appetiti iraniani. È un aspetto che l’Occidente deve saper valutare in modo
la guerra libica
di là della composizione della forza di pace, chi è scettico e chi è contrario mette in guardia dai pericoli che si nascondono in una simile operazione. Con Gheddafi che ancora si nasconde, che può contare sull’appoggio di una parte delle tribù del Paese e che prepara, probabilmente, qualche colpo di coda a sorpresa, i caschi blu potrebbero diventare l’obiettivo numero uno delle residue forze fedeli al raìs. E la loro presenza potrebbe essere sfruttata dal colonnello nel tentativo di dimostrare che la ribellione contro di lui è stata manovrata dall’Occidente.
I leader del Golfo in questo momento hanno l’opportunità e, timidamente, anche la volontà di traghettare la loro società verso una maggiore apertura anche culturale, e non solo commerciale pragmatico, perché una sia pur lenta evoluzione di questi Paesi, che, pur tra frequenti dissapori e molti distinguo, subiscono l’influenza di ciò che avviene in Arabia Saudita, potrebbe nel tempo portare a un surrogato accettabile del sistema democratico. Si tratta di Paesi non “democratici” nel senso comune dell’aggettivo, ma tutto sommato “amici”, i cui regnanti – fatta eccezione per alcune insofferenze in Arabia Saudita e nel piccolo Bahrein – non sono affatto invisi alle maggioranze, che, anzi, ne traggono benefici sostanziali. Sotto il profilo politico-militare, il primo esempio di autostabilizzazione interna sono stati proprio i moti scoppiati in Bahrein, origi-
nati dagli sciiti filo iraniani, che un contingente militare di Riyadh, cui si sono unite anche truppe kuwaitiane ed emiratine, ha stroncato con specifico avallo del Gcc. Dopo questa azione, l’organizzazione ha accresciuto il suo prestigio rispetto alla Lega Araba – indebolita anche dall’avvicendamento del carismatico Amr Moussa intervenendo con prontezza a fianco della Nato nelle operazioni in Libia e proponendosi nuovamente come intermediario per la transizione nello Yemen.
È stato applicato – qualcu-
no dice impropriamente – l’art. 1 della Carta del Gcc che, mutuando dall’art. 5 dell’Alleanza Atlantica, impegna tutti in caso che anche un solo membro venga aggredito. Anche il possibile contagio, evidentemente, è considerato aggressione. Ma su questioni del genere l’Occidente è bene si abitui a sorvolare, se non vuole rimanere prigioniero di una visione utopistica del mondo. Secondo Sultan al-Qassemi, un commentatore locale membro della Dubai School of Government, i leader del Golfo in questo momento hanno l’opportunità e, timidamente, anche la volontà di traghettare la loro società verso una maggiore apertura anche culturale, e non solo commerciale e tecnologica, ma senza pressioni esterne od interne. Forse hanno capito la direzione della Storia, e varrebbe la pena provare ad assecondarli.
Nelle ore decisive della fine del quarantennale regime del colonnello si rincorrono molte voci su come sia stata possibile l’accelerazione del conflitto che, dopo una lunga fase di stallo, ha portato alla caduta di Tripoli e alla fuga di Gheddafi e della sua famiglia dal bunker superprotetto di Bab el Aziziya. C’è anche chi è convinto che l’assassinio del generaleYounes, il comandante militare del Cnt, da parte della componente fondamentalista del fronte dei ribelli abbia fatto precipitare la situazione spingendo la Nato a intensificare i suoi sforzi e il vertice del Consiglio nazionale di transizione a mettere da parte le divisioni in-
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dell’offensiva che potrebbe scattare tra due giorni contro Sirte, città natale e roccaforte di Gheddafi. Il ministro Frattini, ieri, ha anticipato che la Nato ha prorogato la sua missione fino al 30 settembre. E, per il momento, il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, che sarà a Parigi, si è pronunciato a favore dell’invio di osservatori – si parla di 200 militari e altrettanti poliziotti – che è soltanto il primo gradino nella strategia delle operazioni di peacekeeping.
Il confronto sull’opportunità della costituzione di una forza di pace, dei tempi del suo invio e della sua composizione, non metterà in discussione il risultato complessivamente positivo che ci si attende dal vertice di Parigi. Certo, la partita con Gheddafi non è ancora definitivamente chiusa, ma il suo regime non esiste più e nel documento che sarà approvato oggi la coalizione che ha sostenuto il Cnt rivendica la bontà della sua scelta, nonostante i molti tentennamenti, assicura appoggio al nuovo potere, promette fondi per la ricostruzione, insiste perché la transizione verso la democrazia sia rapida – con l’adozione di una carta costituzionale e libere elezioni – e senza vendette personali. Sarebbe ingenuo non cogliere le insidie che si nascondono anche in questo elenco di buoni propositi, a partire dalla sorte che toccherà al colonnello. Proprio ieri il Cnt ha rivendicato il suo diritto a giudicare ed anche a uccidere Gheddafi che il fronte occidentale vorrebbe, invece, portare di
Per molti il rischio maggiore in agguato sarebbe l’illusione di rinnovare un condominio franco-britannico nel Mediterraneo. Proprio quella stessa alleanza che è già fallita in passato terne per sferrare l’offensiva sulla capitale. Ma se Gheddafi riuscisse a diventare una specie di introvabile “primula verde” e a colpire, con azioni più terroristiche che militari sia il neonato esercito del Cnt, sia l’eventuale forza di peacekeeping, le divisioni potrebbero rapidamente riemergere e la stabilizzazione del futuro politico del Paese sarebbe messa in serio pericolo. La Libia potrebbe correre il rischio di diventare un nuovo Iraq. Almeno questa sarebbe la speranza di vendetta del Colonnello. Gli elementi del rompicapo su come e se dare vita a un’operazione internazionale di pace sono questi e, oggi, saranno sul tavolo del vertice di Parigi. È probabile che la parola finale sarà lasciata all’Onu e che non sarà in ogni caso pronunciata prima dell’esito
fronte al Tribunale internazionale dell’Aja per rispondere di delitti contro l’umanità. Sarebbe ingenuo, anche non vedere nell’annunciata assenza del premier turco, Recep Tayyip Erdogan, che spedirà a Parigi il suo ministro degli Esteri, Ahmet Davutoglu, un segnale dell’irritazione di Ankara con l’Europa – e soprattutto con Sarkozy – che ha rallentato la marcia dell’adesione della Turchia all’Unione europea. Ma il rischio maggiore in agguato è l’illusione di rinnovare un condominio franco-britannico nel Mediterraneo che è già fallito in passato e che potrebbe coinvolgere tutti in un nuovo fallimento se gli europei continueranno a muoversi in Libia soltanto per contendersi la torta degli affari e delle posizioni strategiche di forza.
A sinistra, gli insorti a Tripoli. Dove domani riaprirà l’ambasciata italiana e arriverà il nuovo personale diplomatico. Attesa sulla nomina del nuovo ambasciatore, che dovrebbe essere indicato nel Cdm di oggi dal ministro Franco Frattini. Nella pagina a fianco, il Raìs, che ancora sfugge alla cattura. Secondo il Cnt si nasconderebbe a Bani Walid, nei sobborghi sudorientali della capitale
La nuova leadership libica non vuole forze di terra straniere. E Saadi, terzogenito del dittatore, sarebbe pronto alla resa
«Sparate sul Colonnello» Il Cnt porta alle estreme conseguenze la lotta al Raìs: «Se si arrende lo processeremo, ma comunque è nostro diritto ammazzarlo» di Luisa Arezzo esta doppia in Libia per l’Eid al-Fitr, la fine del Ramadan che è coincisa con la caduta del regime di Muammar Gheddafi, anche se il Colonnello continua a rimanere un fantasma. E mentre la caccia continua, il ministro dell’Interno del Cnt, Ahmed Darrad, ha rivendicato il «diritto di uccidere» Gheddafi se non si consegna. «Lui ci uccide, è un criminale e un fuorilegge. In tutto il mondo, se un criminale non si arrende, chi fa rispettare la legge ha diritto di ucciderlo», ha sottolineato Darrad.
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Torna di moda, insomma, il trsitemente noto detto: “occhio per occhio, dente per dente”. Anche se il presidente del Cnt, Mustafa Abdel Jalil, già arrivato a Parigi per la Conferenza degli Amici della Libia, ha cercato di porre un rimedio alle parole di Darrad auspicando che l’ex leader libico - che oggi avrebbe festeggiato 42 anni di governo - sia catturato affinchè «possa essere processato per i suoi crimini contro il popolo libico». E nel farlo, ha nuovamente ribadito di essere totalmente contrario all’ipotesi dell’invio di forze di terra sul suolo libico, tema che certamente sarà al centro del summit. Chi invece sembrerebbe disposto alla resa è il terzogenito del Colonnello, al-Saadi, no-
Lo davano a Sirte, ma forse è nel sud del Paese e punta verso l’Algeria
La fuga infinita di Gheddafi di Pierre Chiartano ella grande caccia al Raìs si è detto e scritto di tutto. La Primula rossa libica fino ad ora ha gabbato i ribelli, gli agenti dell’intelligence francese e inglese e probabilmente è stato aiutato dai russi, senza dimenticare il grande amico d’oltre Oceano, Chavez. Uno dei posti maggiormente nominato nelle ultime ore è Sabha, nel cuore meridionale del Paese. La guardia del corpo di Khamis, il figlio di Muammar Gheddafi dato per morto in varie occasioni, ha rivelato all’emittente Sky News che fino a venerdì il Colonnello «si trovava a Tripoli» e che sarebbe poi fuggito «verso Sabha», roccaforte lealista nel sud del Paese. Prima ancora era stato il governatore della banca centrale libica a indicare quella meta come ultimo nascondiglio del dittatore. Si tratta di una base dell’aeronautica libica dove avevano sede due squadroni di Mig 25. Ora dopo i bombardamenti Nato di fine marzo sarà rimasto ben poco. Ma la cosa più interessante è che lì all’inizio degli anni Ottanta c’erano tanti italiani. Istruttori di volo e tecnici mandati dalla Siai Marchetti in seguito alla vendita di numerosi SF260. Allora il livello di preparazione dei piloti libici era “terrificante”, erano pericolosi per se stessi e per gli altri. Ma faceva comodo anche alle aziende che fossero in grado di distruggere i mezzi che pilotavano: presto ne avrebbero avuti di nuovi da fare a pezzi. Ragion per cui poco importava se giovani ufficiali arrivati da un biennio d’addestramento in Unione sovietica sui Mig 21, avessero
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difficoltà a capire la differenza tra litri e chilometri. Sarebbe un punto ideale per una fuga: sperduto nel deserto, lontano da occhi indiscreti se non quelli dei satelliti, con una pista in grado di far decollare qualsiasi tipo di velivolo, difeso da militari ancora fedeli al rais. Anche se molti osservatori segnalano come più sicura fuga la via di terra. La trattativa, anche se disconosciuta da tutti, potrebbe essere ancora in piedi. Il Colonnello avrebbe ancora abbastanza soldi da creare problemi con i mercenari e non solo. Ha in mano gli archivi con i segreti di 40 anni d’intrighi internazionali, dalla guerra fredda alla guerra del petrolio. Probabilmente con tanti panni sporchi che molte cancellerie occidentali vorrebbero lavare in casa, chiusi in una stanza, al buio.
Sabha è poi una porta comoda per l’Algeria, un Paese che ha continuato a fornire armi al regime di Tripoli per tutto il conflitto.Tanto che alcuni reparti speciali francesi pattugliavano di continuo lungo il confine a caccia dei carichi d’armi provenienti da ovest. La scelta di quell’area come trampolino di una fuga, magari verso l’Algeria, sembra dunque la più probabile. Anche se il Colonnello ci ha abituato a continue sorprese. L’Algeria potrebbe averlo già accolto in segreto e darebbe maggiori garanzie del Venezuele di un Chavez al terzo giro di chemioterapia, oppure di una Tunisia che potrebbe essere governata da i nuovi democratici della Primavera araba. Un vero incubo per il Raìs.
to in Italia per aver giocato brevemente e senza successo nel campionato di calcio di serie A. Dato da più parti come latitante insieme al padre e al fratello Saif al-Islam, Saadi avrebbe comunicato ai ribelli di essere pronto non soltanto a consegnarsi, ma addirittura a unirsi a loro: lo ha riferito Abdelhakim Belhadj, capo del Consiglio Militare insurrezionale. Il responsabile militare del Consiglio Transitorio, al centro di roventi polemiche per il suo passato di combattente salafita, ha aggiunto che i negoziati con il figlio di Gheddafi sono tuttora in corso, precisando che comunque da essi non è emerso alcun indizio su dove si trovi attualmente il Colonnello.
Per tutta la giornata di ieri la Nato ha portato avanti i suoi bombardamenti aerei, intensificandoli soprattutto nelle aree dove si presume possa essere nascosto il dittatore: la costa centrale, tra la sua città natale di Sirte, Bani Walid, dove è già stata segnalata una sua ipotetica presenza, e Hun. Situata nel distretto di Misurata, è un feudo della tribù dei Warfalla, una delle più potenti del Paese che conta circa un milione di persone. E man mano che la guerra sembra, almeno a parole, allontanarsi, cominciano le dispute più “succulente”: come quella per il controllo del fondo sovrano
la guerra libica ggi, primo settembre, Mu’ammar al-Qadhdhafi (questa è l’esatta traslitterazione del suo nome) avrebbe festeggiato 42 anni di governo, il che lo avrebbe reso il capo di Stato al potere più longevo al mondo. Mentre lui abbandona la scena, il suo infelice regno merita una valutazione. Gheddafi assunse il potere all’età di 27anni negli ultimi giorni di Gamal Abdel Nasser, l’arci-influente leader panarabo egiziano, e si considerava un seguace di Nasser, ma nutrendo maggiori ambizioni: mentre Nasser sognava una singola nazione araba che si estendesse dall’Atlantico al Golfo Persico come fine a se stessa, Gheddafi vedeva l’unità araba come il primo passo verso l’unità musulmana. Anche se Gheddafi non è riuscito a ottenere nessun tipo di unità, e la sua “Terza Teoria Internazionale” dettagliata nel Libro Verde del 1975 si è dimostrata un totale fallimento, lui ha avuto un forte e sollecito impatto su due importanti sviluppi. Innanzitutto, ha avuto un ruolo chiave nell’aumento dei prezzi dell’energia che ebbe inizio nel 1972 e continua ancor oggi. Sfidando il controllo delle compagnie internazionali sulla produzione petrolifera e dei prezzi, il governante libico cominciò a trasferire il potere dalle sale dei consigli di amministrazione occidentali ai palazzi mediorientali. In particolare, le possibilità di successo di Gheddafi hanno contribuito a quadruplicare i prezzi del petrolio nel 1973-74.
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In secondo luogo, Gheddafi ha dato il via a ciò che allora era conosciuto come il risveglio islamico. In un’epoca in cui nessun altro era disposto a farlo, con orgoglio e in modo provocatorio, lui ha perorato le cause islamiche applicando aspetti della Shari’a, invitando i musulmani di tutto il mondo
Lia, longa manus del regime in settori strategici in tutto il mondo con asset intorno ai 65 mld di dollari. Secondo quanto riporta il Financial Times, alcuni membri del Consiglio nazionale transitorio vorrebbero assicurare continuità di gestione nel potente fondo in questa delicata fase di transizione e contestano l’autorità di Mahmoud Badi, ex tecnocrate del regime, incaricato di fare luce sulla corruzione in seno al fondo di investimento.
Ma altri in seno al Cnt spingono per una svolta immediata ed un’indagine che sveli tutte le scorrettezze perpetrate dalla vecchia dirigenza sotto la gui-
Oggi il dittatore avrebbe festeggiato 42 anni di governo
Il sogno spezzato di Muammar Il suo regno forse verrà dimenticato, ma il risveglio islamico di cui è autore no di Daniel Pipes a fare la stessa cosa e aiutando quegli islamici che erano in conflitto con i non-musulmani. Il lungo regno di Gheddafi può essere diviso in quattro ere. La prima e la più rilevante, 1969-86, consisteva in una frenetica attività da parte sua, intromettendosi in questioni e conflitti: dall’Irlanda del Nord alle Filippine.
Una lista incompleta includerebbe il danno reso alla campagna presidenziale di Jimmy Carter nel 1980, facendo dei pagamenti a suo fratello Billy; la dichiarazione di unione politica con la Siria; gli aiuti militari all’Iran contro l’Iraq; le minacce a Malta in merito allo sfruttamento petrolifero in acque contese; le bustarelle date al governo cipriota affinché quest’ultimo accettasse un radiotrasmettitore libico; l’invio di truppe nel Ciad meridionale per il controllo del Paese e l’imposizione di un’unione politica su esso; e infine l’aiuto offerto a un gruppo di musulmani in Nigeria, la cui violenza ha lasciato oltre un centinaio di morti. Questi sforzi, però, non hanno portato da nessuna parte. Come scrissi in un’analisi del 1981: «Non uno solo dei tentativi di colpi di stato da parte di
da del figlio di Gheddafi, Seif al-Islam. Albudery Shariha, direttore anziano del dipartimento legale del Lia, sostiene che la guida del fondo spetti a Mohamed Lyas, che ricopriva l’incarico già sotto il regime di Ghed-
I libici possono riprendersi dalla malversazione e dalla brutalità, ma la falsità della vita nella Grande Jamahiriyya libica popolare socialista ci metterà molto tempo a sparire ne senza conseguire nessuno dei suoi obiettivi. Una maggiore futilità difficilmente può essere immaginata».
Gheddafi ha rovesciato un governo, non una forza ribelle ha avuto successo, nessun separatista ha creato un nuovo stato, nessuna campagna terroristica ha demotivato un popolo, nessun piano per l’unione è stato realizzato e nessun paese tranne la Libia segue la “terza teoria”. Gheddafi ha raccolto amarezza e distruzio-
La prima era terminò con il bombardamento americano del 1986 come rappresaglia per l’attentato dinamitardo contro una discoteca a Berlino, che sembrò influenzare la
è provvisoria. La disputa è tutt’altro che secondaria ed è certamente un primo banco di prova sulle effettive capacità gestionali della nuova leadership libica. Capacità su cui confida il nostro ministro degli
mocrazia è un contagio positivo, quando la gente la scopre non l’abbandona più. Diamo una chance alla Libia». E proprio nell’ottica dei rapporti con una Libia post Gheddafi, il ministro ha anche auspicato che
L’imam sciita di nazionalità libanese (ma nato in Iran), Moussa al-Sadr, misteriosamente scomparso a Tripoli nel 1978, sarebbe ancora vivo. A rivelare la notizia è stato Khalil Hamdan, esponente del partito filosciita libanese Amal dafi. «Il Libian Investmnent Authority opera sotto l’autorità del Cnt e ha nominato Mohamed Laya come presidente e Rafik Nayed come capo esecutivo» ha detto. Ma l’entourage di Badi punta i piedi, insistendo sul fatto che la nomina di Lyas
Esteri Frattini, che annunciando per oggi la riapertura (era stata chiusa il 18 marzo) della nostra ambasciata a Tripoli (e la nomina forse già nel Cdm odierno del nuovo ambasciatore), ha detto: «La nuova Libia sarà un paese amico (...) e la de-
in ambito Onu vi sia «una iniziativa a sostegno di risoluzioni che consentano di tornare indietro sulle sanzioni». Negli ambienti atlantici, intanto, non si esclude inoltre di mantenere un ruolo in Libia anche dopo la fine della guerra: in linea di
1 settembre 2011 • pagina 15
psiche di Gheddafi. Il suo avventurismo fanatico diminuì drasticamente, accompagnato da una svolta verso l’Africa e dall’ambizione di costruire armi di distruzione di massa. Man mano che la sua presenza sulla scena mondiale avvizziva, lui è stato abbandonato perché pazzo. Una terza fase iniziò nel 2002, quando un Gheddafi addomesticato pagò i risarcimenti per il ruolo avuto dalla Libia nel 1988 nell’abbattimento di un aereo della Pan Am e rinunciò alle sue armi di distruzione di massa. Anche se le basi del suo regime rimasero in piedi, lui divenne persona grata ai Paesi occidentali, mentre il premier britannico e il segretario di Stato americano sono arrivati perfino a porgergli i loro omaggi in Libia.
La quarta e ultima era è cominciata all’inizio di quest’anno, con la rivolta di Bengasi, quando un Gheddafi in ritirata è tornato alla brutalità esplicita che un tempo contraddistinse il suo governo, mettendo da parte l’immagine attentamente costruita di chi presta una nuova attenzione alle aspettative internazionali. Con il suo regime in bilico, la sua cattiveria e i suoi deliri che occupano il centro della scena e i risultati che sono stati devastanti, con un gran numero di libici che rifiutano lui, la sua famiglia, il suo regime e il suo retaggio. Dopo decenni di repressione e d’inganni, i libici ora affrontano la sfida di rinunciare a questo folle retaggio. Devono lottare per sbarazzarsi della paranoia, della depravazione e della contorsione. Come Andrew Solomon del New Yorker ha sintetizzato, i libici «possono riprendersi dalla malversazione e dalla brutalità di Gheddafi, ma la falsità della vita nella Grande Jamahiriyya Araba Libica Popolare Socialista ci metterà molto tempo a sparire». E così sarà.
massima si dovrebbe trattare di un supporto logistico, per esempio attraverso ponti aerei o navali, ma è possibile che si decida di proseguire le operazioni di ricognizione aerea per imporre il rispetto della No flyzone e garantire l’osservanza dell’embargo sulle armi.
In ogni caso qualsiasi iniziativa dovrà essere adottata solo su specifica richiesta del Palazzo di Vetro. L’attuale mandato alleato di 90 giorni scadrà il 27 settembre, ma gli ambasciatori hanno concordato di rinviare qualsiasi decisione su un’eventuale proroga di uguale durata in quanto «C’è tutto il tempo per prenderla».
ULTIMAPAGINA «Le idi di Marzo», nuovo film da regista del divo americano, apre la Mostra del Cinema di Venezia
L’antipolitica secondo di Andrea D’Addio
VENEZIA. «Alla Casa Bianca da un paio d’anni c’è qualcuno che è molto più sveglio e carino di quanto lo sia io e sta facendo un ottimo lavoro anche in un momento difficile come questo». George Clooney dispensa parole di elogio a Barack Obama durante la conferenza stampa di apertura del festival di Venezia, ma, a guardare il suo Le idi di Marzo, l’argomento di cui parla e i vari rimandi, più o meno espliciti, all’attuale Presidente degli Stati Uniti, non sembra crederci fino in fondo. La sua pellicola, infatti è una lucida analisi sul rapporto tra comunicazione e politica ambientato durante una verosimile campagna elettorale per le primarie democratiche in Ohio in cui tutti sono costretti a sporcarsi le mani se l’obiettivo è la vittoria, compreso chi sembra a prima vista il santo a cui affidare qualsiasi speranza di cambiamento. E così i vari, espiciti parallelismi tra Obama e il protagonista (i posster elettorali che lo ritraggono sono blu e rossi come la locandina del Time realizzata all’epoca da Shepard Fairey, sono identiche le pose scelte per le foto ed analoghi i temi affrontati e l’approccio, nonché il fascino da neocinquantenne da bravo padre di famiglia) non sembrano casuali o il semplice desiderio di rendere tutta la storia più legata al mondo vero, quello fuori dal cinema, ma rappresentano una strizzatina d’occhio a pubblico e addetti ai lavori del genere «È così che va il mondo, inutile farsi illusioni, anche i migliori sono pur sempre politiciı». E del resto ad esprimere questo concetto è anche uno dei personaggi del film, una giornalista interpretata dal premio Oscar Marisa Tomei. Quell’integrità più volte invocata dai politici come passpartout per persuadere elettori stanchi di una situazione politica ed economica in crisi proprio a causa dell’assenza oggigiorno di coerenza e valori condivisi, è una parola che si spoglia del proprio significato non appena si scava un pochino dentro le vite di chi la cita come base per qualsiasi ripartenza. La contraddizione tra verità e bugie in ambiti in cui le ambiguità e i misteri fanno parte delle regole del gioco, è un tema più che mai a cuore del Clooney regista. Se con il suo esordio, Confessioni di una mente spericolata, il cinquantenne attore e cineasta si era soffermato sul mondo dei servizi segreti attraverso una storia biografica, quella dello showman Chuck Barris, che da anni continua a dichiarare di essere stato per anni un agente assoldato dalla Cia per missioni di spionaggio negli ex Paesi dell’ex blocco sovietico, con il successivo Good Night, and Good Luck, Clooney aveva messo al centro del discorso un altro tema caldo della società di oggi, ovvero l’indipendenza della stampa e dei giornalisti dal denaro e dalle lobby di potere. Con Le idi di Marzo il focus si sposta sul piatto grande, la politica per
CLOONEY arrivare a conclusioni sono pressoché analoghe. «Il potere seduce - ha ripetuto ieri a Venezia e - non solo nella politica, ma ovunque».
di Marzo ciò che si vuole sottolineare è la circolarità di talune dinamiche, dai colpi bassi alle relazioni sessuali tra politici e stagiste. Saranno fischiate le orecchie a Bill Clinton, ma che sia un problema generale è fuori di dubbio. Il problema spesso non sono i fatti in sé, ma cosa si è poi discosti a fare per nasconderlo all’opinione pubblica. Clinton ebbe l’empeachment non per la sua relazione con la Lewinsky, ma per il fatto di averla negata.
È un apologo sui rapporti tesi tra potere e comunicazione con riferimenti diretti alla cronaca. «Ma non me la sento di dare consigli a nessuno», ha spiegato il cineasta in conferenza stampa Le «idi di Marzo» citate nel titolo non sono solo un rimando al Giulio Cesare di Shakespeare, ad una costruzione narrativa in cui la tragedia è corale ed è difficile definire buoni o cattivi, ma ad un’idea generale della congiura.Tutti sono pronti a colpire il bersaglio grosso, non importa quando e come, l’importante è arrivare all’obiettivo. Stavolta però con c’è un discorso accusatorio di Marc’Antonio: vince semplicemente chi è più scaltro. Gli elettori sono semplici numeri nei sondaggi disposti a seguire inconsapevolmente logiche di marketing politico di ogni tipo. Ce lo raccontò già quel Tutti gli uomini del Re nel 1949, ed era sulla stessa falsariga anche Power, splendido dramma che Sidney Lumet firmò nel 1986 anche allora sposando il punto di vista di un addetto stampa (nel film di Clooney il vero protagonista è un giovane guru della comunicazione che prova, a sue spese, quanto sia difficile essere idealisti). Ne Le idi
Il Festival di Venezia ha così aperto i battenti con un film forse non originale nelle conclusioni, ma abbastanza denso di spunti e parallelismi con la realtà da poterne discutere a lungo. George Clooney ha deciso di non rilasciare interviste all’infuori della conferenza stampa, finendo suo malgrado per alimentare le voci di chi spiega i suoi dinieghi (è ormai un paio d’anni che Clooney, un tempo molto disponibile, si nega ai tu per tu) come la più sicura delle strategie per evitare che gli si rivolgano domande sulla propria vita privata dopo le voci sulla ragioni della rottura con la Canalis e il suo rinnovato essere scapolo. Qualcuno in conferenza stampa, ha cercato comunque di prenderla alla larga e a fargli esprimere qualche giudizio sulla avventure sessuali di persone in vista come ad esempio Dominque Strass Kahn: «“Gli consiglierebbe questo film?» gli hanno domandato. Al che la risposta non poteva che essere più lapidaria: «Ogni paese legge questo film riportandolo a qualche scandalo che conosce del proprio ambiente, ma io non darò mai consigli a nessuno». Una risposta da vero politico…