CTRL magazine #68 - La fine del buio

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ANNO VII Vi siamo gratis

NUMERO 68 ctrlmagazine.it

La fine del buio Consonno col senno di poi — A Bergamo nell’Anno Zero — Hello Casoncello


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CTRL MAGAZINE

#68 — INDICE

GIOCHI DI LUCE,

VEDIAMOCI AL BUIO

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Cover story

La fine del buio

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Reportage

È sempre festa

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Da Bergamo a Bergamo

Bergamo Anno Zero

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RIPadvisor - Rubrica di recensione di cimiteri

Il cimitero marino

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Il TheMotivatore

Un mio amico ha bussato sulla buccia di un’anguria ed è morto

66

Interessanto

Dialogo tra un ateo e un dio

69

Fart

Aiutiemoli in Egitto

71

Meteorologeria - Rubrica di previsioni applicate

Il tempo previsto per agosto

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CGCD (&S)

C’è Gente Che Dicono (e Scrivono)

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Extra 1

A proposito di buio e luce

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Extra 2

A proposito di piccoli paesi e paesi fantasma

78

Hello casoncello

Guida ragionata alle sagre paesane

80

How to per tu

Come costruire una camera oscura

82

Fumetti e niente arrosti

Luminari


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FIATO

AI Festival di Teatrolettura 11°A Edizione

LIBRI Dall’8 Settembre al 22 Ottobre 2016


Si riparte alla grande con:

5

ANNA BONAIUTO LEGGE L’AMICA GENIALE di Elena Ferrante

Voce: Anna Bonaiuto (Roma) 8 settembre – ore 20.45 Seriate – Cineteatro “Gavazzeni”, via Marconi, 40 ● Ingresso: 8 euro (Per informazioni e prevendita 035.290250)

...si prosegue a settembre 9 10 11 15 16 17 17 18 22 23 24 24 25 29 30

Zia Mame – Luzzana Ti racconto il cielo – Cenate Sopra (JUNIOR!) Principi, principesse e principianti – Luzzana (JUNIOR!) Il Figlio – Sovere Sportivo sarà lei: Una serata per Beppe Viola – Palosco Senza Paura – Cenate Sopra (JUNIOR!) La Malora – Predore Turandot: L’Opera raccontata ai bambini – Trescore Balneario (JUNIOR!) Il buio oltre la siepe – Gorle La lunga vita di Marianna Ucria – Mornico al Serio I Brutti Anatroccoli: liberamente ispirato alla fiaba di Hans Christian Andersen – Pedrengo (JUNIOR!) Sei chiodi storti – Bagnatica Federico & Co: Storie di topi e altri animali – Costa di Mezzate (JUNIOR!) Accabadora – Villongo Come scoppiano le guerre? La Seconda Guerra Mondiale – Gorlago

● Tutti questi spettacoli sono a ingresso libero

...e il Festival continua anche ad ottobre! Scopri il programma completo su www.fiatoailibri.it Organizzazione:

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Sotto gli auspici del:



COVER STORY a cura di Valerio Millefoglie Fotografie di Thomas Pololi

LA FINE DEL BUIO 1882, New York, per la prima volta nel mondo le strade sono illuminate con lampade elettriche. 1884, si accendono anche in Italia. 2016, Surrein, Svizzera orientale, la luce arriverĂ entro la fine di agosto. Siamo andati a trascorrere una delle ultime notti di oscuritĂ .


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In un servizio della Televisione svizzera italiana intitolato “A Surrein la luce vince sulle tenebre”, si racconta di un villaggio nel cantone dei Grigioni, nella Svizzera orientale, da sempre sprovvisto d’illuminazione pubblica e che al tramonto cala nella totale oscurità. La notizia è che a fine agosto saranno installati quarantasette lampioni. Nel servizio televisivo Otto Deplazes, il rappresentante della comunità che conta circa duecentocinquanta abitanti, si dichiara soddisfatto perché le strade saranno finalmente sicure. Simon Jacomet, uno degli abitanti, commenta che si vedranno meglio le strade ma non si vedranno più bene il cielo, le stelle e si perderà qualcosa di speciale. Entrambi durante l’intervista accendono una candela e la proteggono fra le mani, come se quella piccola fiammella al momento fosse l’unica cosa ad accumunare i favorevoli e i contrari, uniti nel gesto di prendersi cura di quel luogo, una lingua di terra impolverata dai lavori in corso. Una pianura immersa nella vallata, e sovrastata dalla vallata. Una lunga strada dritta, dove ai lati si sviluppano case di legno a tre piani, porticati con uomini che scrutano i campi all’orizzonte, fattorie, capannoni, trattori in movimento, una distilleria, profondo Texas elvetico. Benvenuti a Surrein. Ho deciso di trascorrere qui una delle ultime notti senza luce, per raccontare la fine del buio. La bandiera svizzera sventola sopra i lumini rossi del cimitero, nel cortile della basilica del 1695, al centro della piazza del villaggio. I piccoli anelli di ferro che la tengono ancorata al palo, sbattono contro il palo stesso. Un rumore metallico si propaga nell’aria e diventa il preludio al suono di campanacci che si sente provenire da più in là, dal collo degli animali insonni, sparsi nel verde invisibile. Le campane della chiesa di Sumvitg, il comune cui fa capo Surrein, suonano ogni mezz’ora. Il fiume Reno infuria sottoterra. L’acqua scorre placida da una fontana. L’udito trasmette


al cervello questi stimoli sonori che l’immaginazione e la suggestione rielaborano in una versione spaventosa, ogni fruscio diventa un passo, una voce, un rumore sospetto, un agguato fantasma. Per non sentirmi solo accendo il registratore e comincio a parlare, “È l’1:57 di notte. Percorrerò tutto il villaggio a piedi, cercando di non aiutarmi accendendo la torcia”. C’è una minuscola oasi luminescente data dai lumini sopra le lapidi e da un fascio accecante, alieno, che proviene dalla vetrina vuota del supermercato. Si riverbera sul marciapiede creando un angolo di Edward Hopper, dove anche i nottambuli sono andati via. Faccio il primo passo fuori da questo cerchio salvifico e proseguo verso l’ignoto.

“È l’1:57 di notte. Percorrerò tutto il villaggio a piedi” Un po’ di ore prima, un gruppo di giovani studentesse scende le scale della scuola, accanto al municipio di Sumvitg. I capelli biondi si sollevano in una moviola cinematografica mentre sorridendo, mi augurano, “Buonasera”. È mezzogiorno. Vanno avanti lasciandomi a rivivere più volte lo stesso secondo in cui ci siamo incrociati. Ho un piccolo cortocircuito nel cervello e ripenso a quando qualche giorno fa, per il quotidiano con cui collaboro, ho seguito la prima fase di uno studio sui pazienti in coma. Al soggetto, un pedone investito da un’auto e in coma da quasi una settimana, erano lette due frasi mentre era steso dentro la macchina della risonanza magnetica: “Un aereo vola nel cielo” e “Un aereo vola nel mare”. Monitorando la risposta della tac cerebrale, e mettendola a confronto con quella di persone sane, lo studio si prefigge di evidenziare se il soggetto avverte la non plausibilità della seconda frase, rivelando così uno stato di coscienza. Un uomo vede la strada, un uomo vede il buio.

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Simon Jacomet a volte tasta le case come un cieco farebbe con il volto di una persona, per riconoscere dai lineamenti degli edifici il punto esatto in cui si trova. Il proprietario dell’officina da motors si avvolge una fascia fluorescente attorno al braccio per farsi vedere subito dalle auto. Da un rapporto della Polizia Cantonale datato 27 gennaio 2004 si legge, “L’uomo Nero che dall’inizio dell’anno si aggira nella regione è solo una diceria. Non c’è la minima prova dell’esistenza di un uomo nero che avrebbe rapito i bambini e spaventato donne, anziani e uomini. Le indagini non hanno portato ad alcun risultato concreto. I timori e le ansie sono assolutamente infondate”. In un articolo uscito il 14 novembre 2014 sul quotidiano Südostschweiz torna la paura dell’uomo nero, “La polizia chiede a chi sa qualcosa di questa donna o di quest’uomo che si veste di nero e che si aggira nelle vicinanze, d’informarla”. Nella borsa ieri mattina ho messo solo vestiti neri. Indosso un pantalone nero, una maglia nera, scarpe nere, ho i capelli neri, la barba nera, le stanghette degli occhiali neri. Un gatto nero s’infila tra le gambe. Nei secondi che c’impiego per capire che è solo un gatto, sento salire un’onda di panico che parte dalle gambe e sale fino a rimbombarmi forte nella testa e a paralizzarmi. Otto Deplazes mi ha raccontato che quando era piccolo, suo nonno una volta gli disse, “Noi vecchi facciamo la nostra vita, poi qui è finita. Arriverà l’orso”. L’orso è arrivato davvero. Nell’ultimo mese ci sono state segnalazioni di avvistamenti notturni nelle altre frazioni di Sumvitg. Avverto un formicolio dietro il collo, mi gratto e mi ritrovo in mano un insetto nero con le ali. Mi chiedo come avrei reagito se fosse stato l’orso. Ricordo il finale del documentario “Grizzly Man” di Werner Herzog, la scena in cui il regista ascolta in cuffia la registrazione delle urla di un uomo sbranato da un orso. Accendo la torcia. Una rana salta su un muretto.

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Nella terra è conficcato un paletto di frassino, sopra c’è scritto “Lampe”. Qui sorgerà la luce.

Nella terra è conficcato un paletto di frassino, sopra c’è scritto “Lampe”. Qui sorgerà la luce. Severine, il figlio di Otto, ha ventitré anni ed è contro l’installazione dei lampioni. Come la maggior parte dei giovani del villaggio, pensa non ce ne sia bisogno perché di sera non cammina nessuno ed è convinto che sia una spesa inutile. Il padre, mentre eravamo seduti al ristorante Placi Pign ad aspettare il tramonto, mi ha confessato che per il figlio ormai è troppo tardi, avrebbero dovuto mettere la luce quarant’anni fa, adesso Surrein è destinata a scomparire. Otto, stretto tra la generazione precedente del nonno e quella successiva del figlio, sembra essere tra loro l’unico credente. Il primo referendum per scegliere se installare i lampioni è stato fatto nel 1980. Il costo delle luci sarebbe dovuto essere totalmente a carico degli abitanti di Surrein. L’80% votò per il no, il 20% per il sì. Dieci anni dopo, nel 1990 il 50% votò per il no, il 40% per il sì. Nel 2000 la differenza fu di una sola persona per il no. Oggi il costo dell’installazione sarà suddiviso tra gli abitanti di Surrein e il comune di Sumvitg. Così il 15 marzo 2016 su 90 votanti, solo 3 hanno detto no. Molte persone in disaccordo non si sono presentate. L’unico a prendere parola per loro è stato Simon Jacomet, cinquantadue anni, imprenditore di un’azienda che produce sci, la Zai, che significa resistente, “Voglio dirvi qualcosa perché altrimenti poi mi pentirò, e ve la dico perché come tutti voi sono innamorato di questo


posto. Voglio dirvi com’è la vita nella luce. Mia moglie abitava a San Francisco e per riuscire a vedere il cielo doveva andare fuori città. Sua madre ora vive in un paese vicino a San Diego, anche lì non c’è la luce e gli abitanti hanno deciso di non metterla perché preferiscono vedere bene il mare di notte. Certe volte la gente sente la mancanza di una cosa solo quando non c’è più. La luce taglia lo spazio, divide, seziona. Anche di giorno, i pali tra una casa e l’altra creeranno un’altra geografia, un impedimento. Forse saremo più coscienti, avremo meno problemi, ma avere meno problemi è noioso. Non proveremo le stesse emozioni. Lo scuro ci mancherà”.

“Lo scuro ci mancherà” Ormai gli occhi si sono abituati. Vedo tutto. Nel registratore ripeto, “Il cielo è bellissimo. È bellissimo. È bellissimo”. È di un blu chiaro, primitivo, sono appena uscito dalla caverna e sto vedendo le stelle. La luna non è ancora sorta. Sul taccuino provo a scrivere una frase senza riuscire a leggerla, “Prendo appunti/ al buio/ devo fidarmi”. Un involontario haiku, Devo fidarmi al buio, prendo appunti. Qualche pagina prima, nel pomeriggio, mi sono appuntato la frase, “Perle di aria, acqua come il latte”. Qualcuno mi ha raccontato che qui d’inverno l’acqua nel bicchiere è bianca a causa delle bolle che ci sono nell’aria. Bisogna aspettare e dopo poco si scioglie. Parlo di nuovo al registratore, “Devo scriverti un messaggio per dirti che dobbiamo essere più forti”. Me ne vergogno subito. Sembra un pensiero consolatorio, lessico da master motivazionali per gente in carriera, lirica di una canzone che sfrutta il “Noi”, il sentirsi parte di qualcosa. Qui invece tutto il mondo dorme, c’è un solo fuso orario ed io sono l’unico uomo in piedi. Ancora per qualche passo.

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Un altro memo vocale, “Sono le 2:30, sto passando fuori da casa di Theo, è ancora sveglio”. All’ultimo piano di una casa, dietro una tenda illuminata, c’è uno scrittore di ottantaquattro anni, Theo Candinas. Di pomeriggio ho trascorso qualche ora anche con lui. Rivedo il portico sotto il quale ci siamo seduti. La moglie ci ha servito una birra. Poi ci ha aperto la porta d’ingresso, con sopra una colomba della pace. Theo ha scritto romanzi, testi teatrali, saggi, favole e articoli che trovano posto nella sua libreria tra Friedrich Dürrenmatt, “Komodien II: Und Fruhe Stucke”, Elias Canetti, “Masse und Macht”, Günter Grass, “Die Blechtrommel”, Peter Handke, “Die Hornissen”. Sulla scrivania del suo studio c’era un pezzo di legno, con infilzate dentro penne e matite. Ne ha presa una e mi ha raccontato come ha iniziato a scrivere, “Alla scuola elementare il maestro un giorno ci disse, Scrivete qualcosa sulla primavera. A quel tempo non c’erano i quaderni e ogni alunno aveva una lavagnetta. Per quel tema ne usai due, scrivendo quattro pagine. Quando il maestro lo lesse mi disse, Non puoi averlo scritto da solo. Gli risposi di sì, che per scriverlo non ero andato in bagno e non avevo fatto pausa come gli altri. Lui ripeté che a dieci anni non potevo averlo scritto da solo, immerse la spugnetta nell’acqua e lo cancellò. Quel giorno capii che scrivere è pericoloso”. “La Burnida” è il titolo di un suo romanzo. In italiano si traduce “La brace”. Quando gli ho chiesto di cosa parlasse mi ha risposto, “Parla di tutto”. Per guadagnare ha lavorato una vita come insegnante di scuola e per scrivere il primo libro, ai tempi, chiese due mesi di congedo, “Un collega commentò, Farai in tempo a scrivere il titolo”. Per un mese e mezzo non riuscì a scrivere neanche quello. Poi guardò il pendolo attaccato al muro e cominciò, “L’orologio fa tictac. Da quanto tempo fa tictac? Forse da


sempre. Gion Barlac è chiuso in casa. Da quanto tempo è chiuso in casa? Forse da sempre”. Era il 1975. Uno dei capitoli de “Le storie di Gion Barlac”, ha per protagonista un uomo che si accorge di essere circondato da cose di troppo. Abita in una casa che non si è costruito da sé, si nutre di verdure che non ha coltivato da sé. Così spegne la luce, come se anche questa fosse un oggetto, qualcosa con una sua materia che ingombra, e dà fuoco alla casa. In strada lancia pietre contro i lampioni. Abbandona la macchina sul ciglio di un viale. Si spoglia di tutti i vestiti e si accascia nudo per terra, dove muore. “La domanda da cui sono partito”, mi ha spiegato, “è questa: fino a dove devi spingerti per arrivare a te stesso, alla tua essenza, per arrivare a ciò da cui provieni?”.

“La domanda da cui sono partito è questa: fino a dove devi spingerti per arrivare a te stesso?” Tutti i suoi libri sono scritti in romancio, una lingua di origine ladina e friulana. Già nel XIX secolo girava un motto, “Alzati e difendi la tua vecchia lingua”. Oggi è difesa solo in pochi territori remoti del cantone dei Grigioni. A Sumvitg è la lingua ufficiale. Forse questo è il motivo per cui ci sono così tanti scrittori, “Ogni villaggio ne ha uno o due”, mi ha detto Otto. Anche suo zio, Gion Deplazes, era un autore e ha scritto il testo dell’inno di Surrein. Inno che in un programma televisivo anni ‘90 della RTR, la Radio televisione romancia, “Bsuech in der Surselva 3: Surrein”, viene eseguito dal coro di Surrein. Tra gli elementi del coro c’è la moglie di Otto, intona, “Las casas se fan en paradalas…”, le case fanno una parata, e quando il sole passa, la vita passa.

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Nei mesi d’inverno il sole è oscurato dalla valle. Sul versante opposto a Sumvitg, come vedette, ci sono alcune case. Fuori da una di queste è esposto un cartello con sopra scritto, “Qui si vendono formaggi e letteratura”. È la casa di Leo Thour, uno scrittore quarantenne che proprio in questi giorni ha subito un’operazione agli occhi. Mi sembra una coincidenza. Coincide con il libro che mi sono portato in viaggio, “Punto d’ombra”, edito da contrasto, di Teju Cole, uno scrittore e fotografo nigeriano che nel 2011, a causa di alcune perforazioni alla retina, ha vissuto un periodo di semicecità. Nella foto a pagina 152, un paesaggio alpino è incorniciato in un quadro sopra il letto. La carta da parati floreale fa da sfondo e sembra proseguire sul cuscino, dove sulla fodera sboccia un fiore. Nella didascalia Teju Cole racconta di un altro fotografo che sta perdendo la vista, “Ecco perché sta lavorando così tanto, cerca di vedere ogni cosa, di accumulare tutto prima che sia troppo tardi”. Per Degas, anche lui colpito da retinopatia, si stava facendo troppo tardi. Lo racconta sempre Teju Cole, citando una lettera che il pittore spedì a James Tissot, “L’oculista mi ha permesso di lavorare solo un poco finché non spedisco i quadri. Lavoro con grande difficoltà e molta tristezza”.

Le case fanno una parata, e quando il sole passa, la vita passa. Avanzo nella cecità aggirando i lavori in corso, evitando di sbattere contro una transenna, distogliendo lo sguardo dalle finestre di una casa per paura di veder apparire qualcuno. Dico in tono trionfante nel registratore, “Sono le 2:46 e sono quasi arrivato all’estremo opposto di Surrein”. Nella solitudine che amplifica tutto, sento di aver compiuto un’impresa epica.


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Le case si diradano, uscito dal paese potrò andare dove voglio. La letteratura non sembra più essere il fine ma una scusa per spingermi in situazioni sempre più lontane dal mio mondo. Un archivio dei morti, si potrebbe definirlo così, quello che c’è nella vecchia scuola di Surrein. Una grande stanza dove stanno raccogliendo le memorie di tutti gli abitanti da ogni parte di Sumvitg. Su un lungo tavolo, ordinata in cartelle, ho visto tutta la vita di Maria Beer, una poetessa della zona: lettere, album fotografici, giornali, oggetti. Incuriosito, ho fatto delle ricerche e ho trovato un quadro di Gustav Klimt, un olio su tela datato 1916 e intitolato, “Ritratto di Friederike Maria Beer”, una giovane donna della società viennese. Scavando ancora nell’archivio dei morti, in una scatola c’era un pacchettino verde con sopra scritto, Kino Photo. Dentro erano conservate diapositive di antenati in papillon, impressionati da un cerchio di luce. Da una cartella è sbucata la foto di una festa in maschera, dove non ho visto né la festa né la maschera: gli abitanti del villaggio schierati come un esercito, vestiti da soldati del passato, così la foto diventa qualcosa di trapassato. Impugnano spade, scudi, indossano elmi e i volti sembrano ricoperti di cerone bianco che li rende vitrei, seriosi, con la speranza di una guerra. Su una mensola un fucile dell’Ottocento. Su un’altra mensola “La vita dei santi”, un libro stampato nel 1839 dalla tipografia della basilica di Surrein. Accanto, il verbale dei bilanci agricoli di un contadino, sul foglio bianco a tutta pagina il titolo, “Tut el maun de Diu”. E infine un registro narrativo della popolazione del villaggio. Ogni 6 dicembre, per la festa di San Nicola, si sorteggia una persona di Surrein che deve scrivere dei brevi racconti di ciascun abitante. Poi, la notte, gira di casa in casa a leggerli, fino all’arrivo del giorno. Walter Deplazes, il responsabile dell’archivio,


mi ha letto sul registro il ritratto che gli fu fatto quando aveva quindici anni, “Walter è già maturo. Studia al ginnasio, si comporta bene e ha una predilezione per le cose militari. Un giorno sarà sicuramente un ufficiale”. Oggi fa l’ingegnere. Come passa il tempo, facendoti diventare altro.

“Sono le 2:46 e sono quasi arrivato all’estremo opposto di Surrein” “L’ura fa tictac, Gion Barlac ei el claus. Las steilas ballontschan, tremblan e stezza. Lu ha Gion Barlac entschiet a scriver istoria per mitschar dil claus”, Theo Candinas, in piedi nel suo studio, sotto il lampadario che quasi tocca con la testa, prima che ci salutassimo mi ha letto alcune frasi del suo libro. Poi l’ha chiuso e ha detto, “Gion Barlac sono io”. Ripasso fuori dalla sua casa. Ora la luce è spenta. Continuo a camminare. Come in un flusso mi tornano in mente alcune frasi raccolte di giorno. Anche se stanno dormendo, risento le loro voci. “Ai funerali alcuni scavano la fossa, altri depongono l’urna con le ceneri”. “Ho avuto tre attacchi al cervello ma venivano tutti dal cuore”. “È un pochino depressivo”. “È una cosa speciale”. “Non voglio parlarne”, “La luce potrebbe infastidire gli animali”, “Anche i bambini sono contro la luce, non hanno alcun timore del buio”, fantastico su una fiaba dal titolo Nero Torcia, la storia di un bambino che ha paura della luce. “Lavora per il pane ogni giorno e prega perché potresti morire presto”, è la frase che mi ha tradotto un uomo, scritta sulla facciata del ristorante Placi Pign. “Io ho sempre avuto difficoltà a farmi inquadrare in un settore preciso”, mi ha confidato Theo. Gli ho chiesto se

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con il termine farsi inquadrare intendesse in senso editoriale, a scaffale, tra i vari generi in libreria perché magari ha una scrittura sperimentale. “No”, ha specificato, “Ho sempre avuto difficoltà a inquadrarmi nella vita stessa”. Poi rivedo Otto Deplazes, in piedi, mani ai fianchi, fermo proprio dove ora sono io, quando guardando il campanile della chiesa di Sumvitg in lontananza mi ha detto, “Per me quello è il mio Cremlino, io mi metto qua e dico, Per me è la capitale, per me quella è Mosca”. “La luna sale lentamente da dietro le montagne e se trovi la sua stessa andatura a un certo punto riesci a camminarci insieme”. Ed è quello che accade.

“La luna sale lentamente da dietro le montagne e se trovi la sua stessa andatura a un certo punto riesci a camminarci insieme” La luce è già arrivata, intensa, fortissima. È giunta dall’alto, da più in alto di Sumvitg, una luna piena, nitida, umana, potrei afferrarla. La seguo. Oltrepasso anche l’antica chiesetta. Dopo di questa, rimane la strada, ai lati solo campi, arrivederci, saluti da Surrein, solo buio, la fine.

Legenda fotografie 10 Armin Candinas, sindaco di Sumvitg 14 Otto Deplazes, rappresentante della comunità di Surrein 19 Walter Deplazes, ingegnere e responsabile dell’archivio comunale di Sumvitg 20 Simon Jacomet, imprenditore, sfavorevole all’installazione dei lampioni


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La favola di Nero Torcia

Questo non si tocca, gli aveva detto più volte la mamma indicando un pulsante sul muro chiamato interruttore. Questo non si tocca, gli aveva detto più volte il papà indicando quello strano oggetto a forma di campana sopra il comodino. Mi raccomando, gli intimavano in coro tutti e due, non accendere la luce che è pericoloso. Perché?, chiedeva lui. Perché la luce è un mostro che toglie la sorpresa. Che paura, strillava lui, che paura la luce. Dove si posa, continuavano i genitori, tutto è chiaro, tutto finisce. Ti ruba la curiosità, smetti di cercare. Che paura allora, strillava lui, che paura la luce. Per questo vivevano al buio anche di giorno. Fino al giorno in cui lui disobbedì ai genitori e alla sua stessa paura. Prima schiacciò il pulsante dell’interruttore e vide che le pareti della casa erano di cartone, sopra c’erano disegnati il salone con il divano, la cucina con i fornelli, ogni cosa che non esisteva era illustrata. Poi accese l’abat-jour sul comodino e vide che questo era l’unico mobile della camera da letto. La camera non c’era, il letto era una linea di gesso sul pavimento, il pavimento era un tappeto sopra la terra. Quando tornarono i genitori, questi corsero subito a cercare un riparo dove nascondersi dalla vergogna. Si vedeva tutto, si vedeva bene anche la loro vergogna. Lui prese una torcia, montò la lampadina al contrario e inventò la torcia che fa buio su tutto. La passò sull’interruttore, sull’abat-jour, scacciò il mostro di luce. Così, riportò l’immaginazione e la meraviglia, la speranza di un mondo possibile. L’inizio del buio.

Valerio Millefoglie


LA FINE DEL BUIO — Dietro la storia

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La tovaglietta di carta di un ristorante, dépliant turistici, biglietti da visita di persone che non visiterò più. Quando lavoro a un reportage tutto è materiale storiografico. Metto in borsa qualsiasi cosa, prendo appunti su più quaderni, sul telefono, registro voci e silenzi, rumori d’ambiente, scatto moltissime foto: tutto per il timore di non riuscire poi, una volta a casa, a ricordare.

La cattedrale prima del tramonto.

La vetrina del supermercato, giravo attorno a quella pozza di luce per sentirmi al sicuro, prima di trovare coraggio e intraprendere la passeggiata da solo.

I fari dell’ultima auto entrata quella notte a Surrein.

Il paese in maschera, dall’archivio dei morti.


Surrein in chiaro

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Località

Frazione di Sumvitg, comune svizzero del distretto di Surselva, Canton Grigioni

Posizione

Latitudine 46°43'23"N - Longitudine 8°56'56"E

Altitudine

944 m

Abitanti

250 circa

Lampioni in costruzione

47 (1 ogni 0,18 abitanti)

Lingua

Romancio (90%, rimanenti Tedesco)

Risultati Google Search

12000

Recensioni TripAdvisor

Nessuna

Valutazione unico B&B

7.6/10 basato su 17 recensioni

Foto Flickr a Surrein

166

Post Instagram #surrein

30 (1 dell’autore di La fine del Buio)

Frasario minimo Romancio-Italiano

Glieud ed ora as stu piglier scu cha sun. Bisogna prendere le persone e il tempo come vengono

Valerio Millefoglie

Thomas Pololi

scrittore e musicista, ha pubblicato i libri: "Scontrini, racconti in forma di acquisto", "Manuale per diventare Valerio Millefoglie" (entrambi Baldini Castoldi Dalai editore), "L'attimo in cui siamo felici" (Einaudi), "Mondo piccolo, Spedizione nei luoghi in cui appena entri sei già fuori" (Contromano Laterza), e il disco "I miei migliori amici immaginari" (quiet, please!/EMI). Collabora con La Repubblica.

ha 34 anni e vive a Milano. Si occupa di scrittura, fotografia e comunicazione. Ha realizzato reportage per Il Post, D-La Repubblica, Rolling Stone, Baldini Castoldi Dalai, Nazione Indiana, CTRL e ha collaborato con l’agenzia fotografica Contrasto. Ha sviluppato progetti di social reporting (reportage per la comunicazione) per aziende e organizzazioni tra cui Pirelli, Findus, Argon, Teckell, Atb, Caritas Bergamasca.


Ph: Ale Beltrame

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si ragiona meglio con qualche birra in corpo ma le risposte illuminanti ti arrivano quando le restituisci al territorio

A Bergamo via Ghislandi 7 LunedĂŹ-GiovedĂŹ H 17-24 VenerdĂŹ-Sabato H 10-13 / 17-24

5 di 8 (continua nel prossimo numero)


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A cura di Nicola Feninno Fotografie di Mattia Rubino

È SEMPRE FESTA Possiede il frigorifero il 13% delle famiglie italiane nel 1958, più della metà nel 1965, il 94% nel 1975; possiede il televisore, invece, il 20% delle famiglie nel 1960 e l’89% nel 1975. (da Guido Crainz, Il paese mancato)


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Su quel ramo del lago di Como che volge a mezzogiorno c’è la crisi; e c’è da tanto tempo – da una decina d’anni almeno – tanto tempo che ormai parlare di crisi o parlare del tempo è uguale, un buon argomento per spezzare il ghiaccio quando fa troppo caldo o troppo freddo o fa troppa pioggia o troppo poca. Su quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno nel 1962 c’era la congiuntura, che era un rallentamento del miracolo economico, che era come dire che c’era la crisi – passeggera, s’intende – e a luglio fece un caldo impossibile. “Ondata di caldo del luglio 1962”: si trova anche una voce su Wikipedia. Quel ramo del lago di Como, il Manzoni, lo vede dal punto di vista di Dio, un narratore onnisciente, o di un uccello, di un drone, o di un utente di Google Maps. Segui col dito, o con l’immaginazione, quel ramo del lago, quello che scende verso l’Adda. A un certo punto c’è Lecco, sulla sinistra. Lo vedi, il lago, quasi a un tratto, ristringersi, e prender corso e figura di fiume, tra un promontorio a destra, e un’ampia costiera dall’altra parte. È il lago di Galbiate. Anche il lago di Galbiate si restringe a un certo punto: lì ci hanno fatto un ponte. Olginate a sinistra, Calolziocorte a destra. Fermati. Io sono arrivato in automobile dalla direzione opposta, risalendo parallelo all’Adda verso il lago. Ho parcheggiato a Villa San Carlo, frazione di Olginate, in una via perfettamente parallela a via Promessi Sposi. Ho suonato al civico 4L. Di fronte vedo il Resegone, molto nitido. Se mi giro c’è un colle boscoso, verde scuro, e Consonno è la sopra. Da qua sotto non si vede. Nel 1962 era un borgo di 300 abitanti, più o meno. Carmen abitava lì fino al 1977. Mi apre il cancello, ha un vigoroso accento brianzolo. Mi siedo al tavolo con lei e sua sorella, Piera Maria. Carmen è nata nel 1953. Piera Maria nel 1950.


Carmen: Arrivi su a Consonno, ti lasci la chiesa di San Maurizio alle spalle, passi di fronte all’Hotel Plaza, che poi è diventato una casa di riposo, che poi hanno sfasciato. Ecco, se hai l’hotel di fronte e ti giri, c’è una specie di rotondetta. Quando eravamo piccole c’era il tiglio dove ci trovavamo la domenica. Piera Maria: Era un tiglio enorme! Enorme! Io: C’è ancora? Piera Maria: No! Come poteva vivere dopo che è stato distrutto tutto? Carmen: Così grosso che ci sedevamo sopra le sua radici. Piera Maria: Madonna che radici che aveva! Era enorme! Bellissimo! Mi ricordo che la domenica iniziavano ad arrivare i primi gelati. I pinguini, 100 lire l’uno: ti ricordi? Carmen: Poi arrivava quello... come se ciamàva? Ascolta, era di Villa Vergano...no. No, era di Rovagnate. No. Quello che arrivava col cavallo a vendere la roba... Piera Maria: Sì col cavallo con su la tenda, come quella dei cowboy! Se ciamàva cumè? Carmen: Faceva l’ambulante, insomma. Piera Maria: Non di Rovagnate, verso Galbiate. Anzi no, l’era di Ravellino. Carmen: Ravellino, ecco! Piera Maria: Ol Turcé! Carmen: Ecco, ol Turcé lo chiamavano! Scrivi ol Turcé! Vendeva caramelle, le liquirizie quelle piccoline, il tonno, un po’ di tutto, scatolame, farina, crusca da dare alle bestie. Allora non era come adesso: nelle città c’era già qualcosa, ma nelle frazioni non c’era niente. Pier Paolo Pasolini: Nessun paese ha posseduto come il nostro una tale quantità di culture “particolari e reali”, una tale quantità di “piccole patrie”, una tale quantità di mondi dialettali: nessun paese, dico, in cui si sia poi avuto un così travolgente “sviluppo”. Io: Di dov’era il Conte Mario Bagno?

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Pasolini scrive “sviluppo” tra virgolette, in quel suo articolo per il Corriere della Sera (luglio 1974), perché ci tiene – per farla breve – a tenere il concetto separato da quello di “progresso”, che è un fatto che riguarda – per farla breve – la cultura, la civiltà, il "sentire", non solo l’economia. Io blocco un attimo la registrazione della chiacchierata con Carmen e Piera Maria, poi torno a fartela sentire. Esci di nuovo dal civico 4L, e seguimi fino al Natale 1961, a Consonno. Presumibilmente fa freddo. Sono tutti contadini. Ma i campi e le case non sono proprietà loro: tutti, come coloni, pagano l’affitto a due sole famiglie: i Verga e gli Anghileri; questo dai tempi della Repubblica Cisalpina, 1798. Poi l’Epifania, che tutte le feste si porta via. E due giorni dopo, l’8 gennaio, il Conte Mario Bagno, residente a Milano, firma un atto notarile e si compra – dalle due famiglie – tutto il paese di Consonno: 22.500.000 lire. La prima cosa che fa è costruire una strada; prima c’era solo una mulattiera perché di macchine in paese ne arrivava una ogni morte di papa. Papa Giovanni XXIII – il Papa buono – muore all’inizio dell’estate del 1963, i lavori a Consonno procedono a ritmo indiavolato. «Avevano fretta di arrivare su.» Mi dice Piera Maria «La strada non doveva essere così in piedi. C’era il papà a picchettarla insieme al geometra o ch’el che l’era. Nel progetto iniziale era più lunga e più pianeggiante.» «Alle dieci de sìra erano ancora su a lavorare.» Questa è la voce di Carmen «Il Bagno aveva operai da tutte le parti: meridionali, da Spoleto, da Piacenza. A novembre li licenziava tutti e a maggio li riassumeva. Allora iniziavano ad aprire tante fabbriche. La Faini a Lecco, la Costacurta a Olginate, la ICAM... Eh insomma, un mare di aziende per tutto il lago. Allora c’era lavoro per tutti, c’era


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il boom. Sono rimasti su solo il papa e lo zio e tutti quelli di Consonno che avevano deciso di lavorare per il Bagno.» Ora Piera Maria: «Ha iniziato con la strada, poi è passato al bar. Dovevi essere su in quegli anni lì: palta de per tutt! Li vedo ancora come se vedessi il cinema davanti a me. Mi ricordo quando hanno buttato giù la nostra stalla. Mio papà e mia mamma non c’erano, erano a un funerale. Hanno tirato fuori le mucche, senza avvisare né niente. In un amen erano già lì con le ruspe. Mi è venuto in mente che c’era il pollaio chiuso. Sono corsa giù ad aprire le galline. Tutti che gridavano.» E poi Carmen, di nuovo: «Non sapevamo niente. Diventavo matta quando arrivavano le ruspe. Correvo giù a vederle. Sembrava di vedere chissà che cosa, era tutto nuovo. Una quasi era affascinata. Gh’era de diventà mat!»

Esci di nuovo dal civico 4L, e seguimi fino al Natale 1961, a Consonno. È successo questo: un imprenditore – il conte Mario Bagno – si è comprato un intero paese. Questa era l’idea: trasformarlo in una specie di Las Vegas brianzola. Così ha costruito una strada. Poi un bar. Ristoranti. Il Grand Hotel Plaza. Una balera all’aperto. Una piccola balera al chiuso, per l’inverno: si chiamava “2001”. Capitelli ionici a incorniciare una piazza costruita sulle case rase al suolo. Pagode cinesi di legno; le travi erano quelle delle case dei vecchi abitanti. Una sfinge egizia. Un trenino che scorrazzava per il paesello. Un minareto. Ha fatto abbassare una collina, per migliorare il panorama. «Ol bö, dove c’era il cimitero. Ogni pezzo di terra aveva il suo nome» Carmen parla di quella collina spianata. «Quello era il bö, il butto. L’ha abbassato di una decina di metri.» La fama di Con-


sonno si diffonde. Pippo Baudo ci gira uno spot, Milva dorme al Grand Hotel e canta, cantano a Consonno anche i Dik Dik, Celentano, i Profeti, i The Renegades. «Doveva arrivare Fausto Leali, ma l’è mia riàt.» Hanno fatto anche una gara di moto, di bici, un incontro di boxe, un catalogo delle Postal Market che pubblicizzava bikini. Il conte Bagno aveva altri grandi progetti. Indossa un paltò chiaro, su una camicia bianca e una cravatta scura, ha un panama in testa, è appoggiato alla ringhiera della piazza della nuova Consonno, in un filmato del 1968, in bianco e nero, della Radiotelevisione svizzera italiana. Gesticola volitivo, fa qualche errore di italiano, al guinzaglio ha la sua inseparabile cagnetta Mila, un barboncino: «Farò il circuito automobilistico in quella zona là [indica, dietro la ringhiera e dietro le sue spalle]. È uno dei più belli per la zona panoramica eh, quasi d’Europa. Vorrei dirlo forte, perché forse un circuito così, se avrò i mezzi, non ci sarà l’uguale. È piccolino, ma molto elegante. Campo di calcio, della pallacanestro e del tombarello [credo si riferisca al tamburello], che è uno sport che volgerà in declino. Poi qui vengono i campi da tennis, delle bocce e di minigolf. Di là dovrà venire la pista del pattinaggio, lüna park e uno zoo di bestie da parco giardino, un grande zoo». E «‘ste fontane alla sera!» Mi dice Carmen: «Quando sono andata giù all’Expo, siamo andati a vedere l’albero della vita. Io ho detto: bah, a me mi sembra di vedere la fontana di Consonno, con tutti i colori che van su con le acque eh!» I vecchi abitanti di Consonno, intanto, vengono stipati in un capannone, originariamente costruito per gli operai. Sei famiglie, in due locali, con un solo bagno. Nello stesso filmato si vede un’anziana signora, con le braccia conserte: «Sem chi cumpagn di chei de l’Africa. Abandunà de tut. Come gli africani. Nessuno ha compassione di noi.»

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Non si può dire che la natura provi compassione. O rabbia. O che porti pazienza. O che sia giusta. O che si vendichi. Uno potrebbe dire che – semplicemente – se ne fotte. Ma non si può dire nemmeno questo, in realtà. Nel 1976 – come sempre, come ovunque – la natura fa il suo corso a Consonno. C’è un frana, che si porta giù la strada costruita dal conte Bagno. Comunque c’era già stata la crisi – quella petrolifera del 1973 – con l’austerità: in Italia divieto assoluto di circolazione dei mezzi privati nei giorni festivi; bandite le insegne luminose di grandi dimensioni; le trasmissioni televisive dovevano terminare alle 22.45. I cinema dovevano chiudere alle 22. A Consonno non ci andava già quasi più nessuno. L’anno prima, nel 1972, il primo sequestro delle Brigate Rosse. Nel 1974 la strage di Piazza della Loggia, a Brescia. La strada frana e Consonno va in malora, con le sue pagode, le colonne doriche e il minareto. La strada verrà rifatta. Il Grand Hotel verrà trasformato in una casa di riposo. La strada per Consonno l’ho percorsa in auto, molto lentamente, dopo aver salutato Carmen e Piera Maria. Si passa sotto l’arco dell’edificio che chiamano “Pavesino” (un autogrill, detto alla maniera degli anni ’60). Sembra un checkpoint dopo una ritirata. La strada prosegue a tornanti. Ogni tanto, ai lati, ci sono dei pali, che reggono delle insegne ad arco: “A Consonno è sempre festa”, “Qui Consonno, tutto è meraviglioso”. Carmen: Il 22 settembre, il giorno di San Maurizio, i ragazzi facevano le porte trionfanti, lo sai cosa sono? Io: no. Carmen: Andavano sui nei boschi, prendevano delle piante, le tagliavano, facevano un fiocco sopra e le ripiantavano in paese.


Piera Maria: Poi mia mamma e tutte le ragazze facevano delle rose di carta, che andavano da una pianta all’altra, a festone. La processione passava lì sotto, e finiva a Consonno più bassa, dove c’era la madonnina. Carmen: Dove adesso c’è la balera, ecco scendevi giù un pezzettino e lì c’era la madonnina. Adesso è tutto rivoltato. Doveva esserci qui il papà, Maria, lui poteva contare su tutto. Piera Maria: Si ricordava tutto. Tutto. Ti contava su i sentieri e la strada che aveva fatto in guerra, per filo e per segno. Era stato sul Peloponneso, poi prigioniero a Mostar in Jugoslavia. Quante cose che ha contato su! Ce l’aveva in mente proprio tutta, la guerra. Carmen: Ti ricordi quando il Bagno gli ha fatto fare le guardie all’inizio della strada, a lui e allo zio Aurelio! Piera Maria: Madonna mia! Carmen: Prima di entrare a Consonno, c’è il Pavesino. Prima ancora c’era una specie di arco, con due torrioni medievali. Ormai ’sto Consonno era diventato internazionale e arrivava un fiume di gente. Il Bagno – quando non lavoravano nel cantiere – gli dava ’sto costume da guardia antica, con l’elmetto, la lancia e l’alabarda, tipo guardia svizzera. Loro incrociavano le alabarde, e quando arrivavano quelli con le macchine dovevano pagare. Poi tiravano su le alabarde e li facevano passare. A un certo punto si sono stufati, hanno detto al Bagno che non andavano più; lui ha messo lì due fantocci. Piera Maria: Il conte Bagno! Praticamente Consonno era il suo giocare. Carmen: Però adesso io penso che la colpa non gliela devi dare tutta al Bagno. E il comune? La provincia? Va bene che era privato e tutto quello che vuoi. Ma perché devi fargli buttare giù un paese intero?

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Su una parete esterna della chiesa di San Maurizio c’è una lapide che ricorda i caduti consonnesi della prima guerra mondiale. Di fianco quelli della seconda. Entro in quella che era la casa del custode. C’è una scritta, la vernice spray nera sembra abbastanza fresca: “La maggior parte della gente qua non sa che fare ma lo fa in maniera maniacale”. Seguimi ancora un po’. Prendi Consonno e il suo colle e i campi e le sue case e le sue persone, così come erano prima dell’arrivo del conte Bagno e immagina che Consonno e il suo colle siano tutto il mondo, un intero pianeta che per secoli ha vissuto secondo i suoi ritmi, una civiltà senza nessun orologio. Sto esagerando – permettimelo – forse sto disegnando una civiltà di buoni selvaggi, che non è mai esistita, se non nel rimpianto; sto mitizzando, ma permettimelo per un attimo. C’è questo pianeta e poi arriva un alieno in paltò e panama e cagnolino chiari. Compra l’intero pianeta. 1962. Fa accelerare il tempo. Distrugge in un paio d’anni quello che era vissuto e cresciuto secolare, sempre in lenta evoluzione, tanto da aver la tentazione di dire che era vissuto e cresciuto sempre uguale a se stesso. Rade al suolo il pianeta. Lo trasforma in un pianeta dello spettacolo, delle luci e dei colori, lo stadio avanzato (e già terminale?) della nuova società dell’industria, che ha bisogno dell’orologio, che ha bisogno dei consumatori che hanno bisogno dell’industria per consumare. Arrivano frotte di alieni in automobile. C’era già la caricatura della globalizzazione, nel nuovo pianeta di Consonno (o – se vuoi – la globalizzazione era già la caricatura che è adesso). Poi qualcosa è andato storto, o si è esaurito. E sono rimaste solo le carcasse. La città dei balocchi senza le luci e la musica e Pippo Baudo e le fontane inizia subito a marcire. Una pianta senza radici la devi tenere su a mano, facendo turni notte e giorno; e se


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riesci a farla stare in piedi, a un certo punto la devi agghindare con foglie finte e fiori finti e frutti finti, perché quelli veri marciscono e poi cadono. Gli alieni se ne vanno dal pianeta di Consonno e marcisce la nuova civiltà, nata, vissuta al massimo, morta in meno di una quindicina d’anni. Arrivano nuovi colonizzatori: i vecchi, alienati dalle loro comunità, consumano poco perché sono più occupati a consumarsi; le loro comunità li parcheggiano qui a riposarsi, lontani da casa. Se ne vanno anche loro. Restano le carcasse disabitate. E nel 2007 arrivano i decompositori, a mimare l’ultima azione naturale nel paradiso artificiale. Consonno, per due notti, diventa il pianeta del “Summer Alliance”, un rave party con un paio di migliaia di persone. «Sono arrivati coi camper un sabato di giugno» mi dice Carmen «mia cugina Margherita era ancora su ad abitare. Nella sua casa erano in 4. E poi c’era il Pepo, da solo. Erano gli ultimi consonnesi rimasti. Ha detto che bisognava vedere cosa c’era su, si vede che erano drogati e bevuti. La Margherita spiava dalla tapparella: ne ha visto uno che si aggirava con una macchina da scrivere in mano, penzolava, andava in giro come uno zombie. Veniva giù così», Carmen tende le braccia avanti e imita uno zombie. “Il nostro è uno spazio assolutamente libero” – si legge sul sito www.consonno.it – “e lo dimostriamo pubblicando una e-mail di una persona che ha partecipato al Summer Alliance. Il dibattito si arricchisce così di un altro punto di vista: Sono una delle partecipanti al rave party di sabato 30 giugno. Vorrei scusarmi, a nome della maggior parte dei partecipanti, per lo scempio causato dai danni della nuova casa di riposo e vorrei spezzare una lancia a favore dei nostri raduni. Rave party è un modo per festeggiare liberi da pregiudizi e proibizionismo, tra amici, immersi nella

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musica sperimentando stati alterati di mente che però non ammettono comportamenti come quelli di sabato. [...] Per noi il rave è una TAZ (zona temporaneamente autonoma), dove non ci sono regole al di fuori del rispetto per le persone e per i luoghi occupati, ma purtroppo ci sono troppi ragazzi che ne approfittano per distruggere sporcare o rubare. [...] Rave è un circo, un'opportunità per tutti di manifestare la propria identità anticonformista, è un mondo misterioso che nasce con la complicità della notte e svanisce al mattino senza lasciare tracce. [...] Triste e sconsolata, la ringrazio per l'attenzione. Un saluto solidale. - Valentina, 26 anni da Torino.”

“Quando sono andata giù all’Expo, siamo andati a vedere l’albero della vita. Io ho detto: bah, a me mi sembra di vedere la fontana di Consonno” Sono sceso dalla strada per cui sono salito, quella del conte Bagno. Ho attraversato di nuovo Olginate. Ho proseguito parallelo all’Adda, che scorreva alla mia sinistra, questa volta. C’è un ponte, e lì c’è Brivio. Mi sono fermato in un bar, proprio di fronte al fiume, a raccogliere e fissare su carta un po’ di impressioni della chiacchierata con Carmen e Piera Maria e delle mia visita solitaria a Consonno, fintanto che erano ancora fresche. Mi è venuto da pensare che Consonno potrebbe essere stato – per così dire – un campione in provetta dell’Italia intera, con la sua civiltà contadina millennaria (fatta di “piccole patrie” in lenta evoluzione), il suo miracolo economico travolgente e la decomposizione di quel miracolo: “il paese mancato”, secondo la definizione di Guido Crainz.


Poi la questione della provetta (o della sineddoche, la parte per il tutto) mi è sembrata poco scientifica (qualunque cosa significhi). L’ambiente di quella provetta – forse – aveva delle condizioni uniche, non ripetibili, non generalizzabili. Le realtà sono molto più complesse delle nostre interpretazioni, su cui si basano le nostre previsioni, mi è venuto da pensare. E forse rimpiangiamo sempre realtà schematiche, e sogniamo sempre realtà schematiche. E intanto dietro di me sfilavano frotte di ragazzini – liceali, credo – giocavano a Pokemon GO. Ho chiesto a uno di loro perché si trovavano proprio a Brivio. E mi ha risposto che dove ci sono i corsi d’acqua si trovano i Pokemon d’acqua. (Per un paio di giorni questo è stato il finale del pezzo: suonava bene, ma suonava anche un po’ amaro e moralista; non mi convinceva più. È finita che mi sono messo a fare delle ricerche su Google sulla “civiltà dell’orologio”, che è un’espressione di Carlo Levi. Ho trovato un suo discorso, tenuto a Torino, intitolato proprio “Il contadino e l’orologio”): Vorrei qui aprire una parentesi per evitare di essere frainteso. Il mondo contadino di cui vi parlo [...] è sostanzialmente un mondo che non si esprime, un mondo ineffabile, muto, ma i cui tentativi di espressione conservano il patetico dello sforzo e del pericolo, ma hanno tuttavia i caratteri che in ogni uomo ha la poetica invenzione del linguaggio. Essi non si sollevano al di là del loro orizzonte poiché manca ad essi la coscienza di un altro mondo, ma quell’altro mondo di coscienza e di ragione sarebbe vuoto senza questo pullulante contenuto poetico. Le due civiltà non possono stare l’una senza l’altra, né superiori né inferiori l’una all’altra. Non è questo un elogio romantico del buon selvaggio: i tempi sono contemporanei e tutti i momenti coincidono nella vita di ciascuno di noi.

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È SEMPRE FESTA — Dietro la storia

Premessa: se digitate “Consonno” su Google trovate una tutto sommato buona voce di Wikipedia. Trovate il sito www.consonno.it, che è una piccola miniera di spunti. Trovate poi un rigoglioso fiorire di fotografie tutte un po’ troppo uguali, con quel gusto un po’ pulp, un po’ W l’Apocalisse...che in realtà finiscono per raccontare poco di quella realtà. In libreria trovate un volume fresco di stampa (2016) di Marco Revelli: Non ti riconosco più. Un viaggio eretico nell’Italia che cambia. C’è un intero capitolo dedicato a Consonno: Fantasmi. Nel cuore della Brianza; è alle pagine 71 – 94. Per la stesura dell’articolo mi è stato prezioso (e lo è in generale) il volume di Guido Crainz: Il paese mancato. Dal miracolo economico agli anni Ottanta. Fondamentale, accademico ma anche concretissimo, e in un certo senso narrativo, “un libro che ti fa incazzare”, l’ha definito un amico. Per l’etichetta di “civiltà dell’orologio”, che si contrappone (oppure no) alla civiltà contadina, sono debitore a Carlo Levi; quella definizione fa capolino nel libro L’orologio. Tutto quello che ha scritto Levi sui contadini della Lucania è prezioso anche per provare a comprendere (o a “sentire”) le piccole civiltà preindustriali italiane. Anche Pasolini si è spaccato la testa e la penna su questi temi; nel pezzo c’è un estratto da un suo articolo apparso sul Corriere della Sera. Lo ritrovate tra gli Scritti corsari, (Garzanti, 2015, p.73). Piccoli paesi, piccole patrie deserte, sintomi di una desertificazione più ampia: vi consiglio di leggere

Terracarne (Mondadori, 2011), di Franco Arminio, un “paesologo”. Anche la sua pagina Facebook è interessante. Tornando un po’ indietro nel tempo: recuperatevi qualcosa di Ernesto de Martino. Sul versante opposto: Guy Debord, La società dello spettacolo. È chiaro che questa sorta di bibliografia è del tutto impressionistica, e personale. Il mare, su questi temi, è troppo magnum. Su Youtube: la cosa migliore che ho trovato su Consonno è un documentario della Televisione svizzera italiana, del 2004 (con riprese del 1968, quelle che cito nell’articolo); multisfaccettato e delicato. Il rave party del 2007 ha fatto uno sfacelo a Consonno. Ma sarebbe banale semplificare tutto il movimento dei free party tekno – ormai quasi completamente esaurito – in una formula del tipo: “giovani strafatti che ballano come zombie su musica insopportabile”. Sull’argomento è uscito l’anno scorso un bel libro di Vanni Santoni, Muro di Casse (Laterza). Per andare più dritti alla fonte – e capire cosa intenda Valentina, la ragazza della lettera di scuse – procuratevi: Hakim Bey, T.A.Z., Zone temporaneamente autonome (ShaKe edizioni, 1993). Oltre a Carmen e Piera Maria, un grazie all’Associazione Amici di Consonno. Sono loro che tengono aperto l’unico bar funzionante a Consonno, la domenica, dopo la messa. Alcune delle foto sono state scattate lì. Il 3 e il 4 settembre a Consonno CTRL organizza i Campionati Mondiali di Nascondino


T E S S E R A M E N T O

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Bergamo Anno Zero o del circo che cambiò una generazione

Fotografie a cura di: Linda Alborghetti e Marco Bellini

1979, Qualcosa sta cambiando in Italia. “Il Paese è percorso da una linfa benefica che alimenta il tronco e le membra. A Milano ho visto ragazze eleganti, bei vestiti, buoni profumi”. Così Romano Prodi a Panorama. In una Bergamo che sembra quella di oggi, il giorno che cambia tutto è il 27 aprile. Un reportage ex-post fedelmente basato sulla stampa locale dell’epoca.


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I Cronaca della Città dal Tendone

Il 27 aprile 1979 a Bergamo, forti scrosci di temporale per tutta la giornata. Un dobermann marrone si allontana da casa, forse spaventato dai lampi. Il padrone si preoccupa, cerca, non trova, chiama l’Eco di Bergamo e fa scrivere “smarrito dobermann marrone, si promette lauta ricompensa” e il numero del telefono da cui sta chiamando. Intanto un operaio di Stezzano, al riparo dai lampi, si infortuna testando un laser all’anidride carbonica. Le notizie saranno pubblicate il giorno dopo. Fu per gioco o per follia, quando ad un relè affidai la sorte mia! Marco Rota ha 23 anni, studia Economia e Commercio a Bergamo. In questo momento, tardo pomeriggio, sussulta nell’androne della biblioteca Caversazzi, incerto se attendere che spiova o uscire lo stesso. Lo avvicina un giornalista del Giornale di Bergamo, gli domanda perché ha scelto proprio quella biblioteca. Risponde che ci trova sempre amici con cui discutere nelle pause dalle 2 o 3 ore di studio filato. Saluta. Sfida la pioggia per qualche centinaio di metri, che si fa più forte seguendolo verso il Quadriportico. Trova un riparo inaspettato sotto il tendone in allestimento della Fiera dei Librai, aprirà la mattina seguente (il Premio Bergamo andrà a Primo Levi con il romanzo industriale La chiave a stella). Le notizie saranno pubblicate il giorno dopo. Un commesso della libreria Arnoldi gli domanda una mano con gli ultimi scaffali e riprende a discutere dei fatti del comune: poche ore fa è stato nominato il nuovo sindaco di Bergamo, Giorgio Zaccarelli. L’Italia, alle elezioni di maggio dirà addio al compromesso storico, ma a Bergamo la DC mette ancora d’accordo tutti. Il carrozzone va avanti da sé, con le regine, i suoi fanti, i suoi re… Marco, annoiato, riflette sulle proposte della ricca serata bergamasca. Cinema. La rassegna del cineforum Lab80 sul cinema cinese o l’ultimo di Spielberg, Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo, al Conca Verde? Musica. Continua la moda dei dancing dotati di incredibili impianti sonori hi-fi della Italian Sound Company e collezioni di dischi made in USA: al Capriccio di Arcene questa sera canta il crooner Fred Bongusto, allo Snoopy


di Serina dopodomani Beppe Grillo (proprio lui). Musica strana: grazie alle ARCI di Chiuduno, Trescore, Osio e Clusone arriva a Bergamo Rock in Opposition, collettivo di band europee che fanno avant-prog e altri sperimentalismi, odiano la distribuzione commerciale come le strumentalizzazioni politiche, “suonare e basta”. I principali gruppi del collettivo, tra cui i milanesi Stormy Six, saranno in circoli provinciali nei prossimi giorni: stasera a Dalmine i belgi Univers Zero, con l’album Eresia. L’evento più importante della storia di Bergamo a cavallo tra gli anni ’70 e ’80 però, più di sindaci, fiere del libro, incidenti col laser e dobermann scomparsi, si svolgerà sotto un altro tendone.

II Cronaca della Città sotto il Tendone

È meglio fingersi acrobati che sentirsi dei nani, spendendo tutti i sogni eludendo i guardiani. Il Piazzale dei Divertimenti di Bergamo, alla Celadina. Un tendone, ma non è un circo. Anzi sì, è il circo della famiglia Togni. Ma è stato comprato e trasformato in un tempio. Gira l’Italia, in quell’anno verrà visitato da 300000 persone in 58 sold-out, stracolme di adolescenti o poco di più. Zerolandia, il mondo mobile di Renato Zero. A Bergamo si esibisce in una tre date del tour EroZero: venerdì sera, sabato sera, domenica pomeriggio. Tre “tutto esaurito” da 5000 posti, 15000 paganti. Cosa cercano sotto Zerolandia 15000 giovani bergamaschi? La “terra promessa dell’amore e dell’amicizia” in cui si mette in scena uno spettacolo allegorico-psicanalitico: nel mondo di Zerolandia l’Uomo flirta con la Morte, sfiora il Cielo e trova la Salvezza, incontra Super-Io, sconfigge la Normalità. Le canzoni sono secondarie, ma al primo posto delle classifiche da 3 anni: parlano di incontri occasionali, relazioni perverse e/o eterne, ripensamenti e ansie. Pochi mesi fa è anche uscito nelle sale Ciano Nì, un film allegorico-narcisistico-psicanalitico che sbanca al botteghino, altro che Spielberg. L’accettazione della propria complessità interiore rappresenta la grammatica delle canzoni, interpretate con movenze sensuali e costumi lussureggianti spesso imitati dagli spettatori. Il fenomeno sfonda le classi, la politica e il genere, cementando un’identità giovanile nazionale. L’atmosfera sotto al tendone vacilla tra il divismo e la santificazione: l’Uomo officia messe in jeans e con toni profetici invita all’amore libero (etero, gay e altri), al rifiuto della droga, alla conquista del Cielo.

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Perché giuro che non ti basta mai. È sempre troppo quello che tu vuoi! Ma tu lo sai quello che vuoi? Zerolandia per alcuni diventa una comunità, giovani fuggiti di casa (fenomeno non raro al tempo) decidono di seguire il tendone nel suo viaggio, una “Nomadelfia mobile”. Il messaggio di Zero è una dottrina multiforme, tanto progressista quanto catto-conservatrice, adolescenziale nel chiedere tutto e niente, gli indulgenti anni ’80. Nel 1983 la Procura sequestrerà tutto, troppa isteria (sassaiole, contestazioni sul palco, assalti ai camerini), ma soprattutto troppa indipendenza di pensiero. In quell’aprile però alla Celadina la Zeromania è al suo picco, per 3 giorni di pioggia e follia che restano nel cuore di molti. Il 30 aprile l’Eco di Bergamo esce con “L’Idolo Zero”, micro recensione a pagina 11 in cui il reporter “col.” si scaglia contro “il vuoto dopo il vuoto” delle idee di Zero, la “volgarità” dei suoi modi, i suoi abiti “sgargianti e costosi” e soprattutto i “20 milioni” di incasso delle 3 date. In chiusura “col.” lamenta sconsolato la scomparsa dell’impegno, la “crisi del sociale”. La tua idea, la tua idea non mollare, difendi la tua idea ricordi quando ti nasceva una canzone e quando la speranza aveva gli occhi tuoi. Nella pagina precedente ampio spazio alle 6000 colf polacche in visita a Papa Giovanni Paolo II. Una fiumana di lettere di protesta, vergate da adolescenti e imbucate di corsa o in motorino, piovono su l’Eco, “col.” risponde in “Zeromania”, a pagina 3 del 1 maggio. Si dice non sorpreso, consiglia ai “ragazzini” di lasciar stare quell’idolo da poco. Non cita nessuna lettera, se non quella di un diciottenne che dice: “Se non fossi figlio di operai come sono, vi avrei querelato”. Sul Giornale di Bergamo un altro acuto pseudonimo, “Marlowe”, dedica il suo editoriale al “riflusso del sesso”. Non saranno pubblicate altre notizie nei giorni seguenti. Sesso — tutto intorno è sesso la tua pelle in cartellone tutto un mondo in distorsione.

* Le citazioni sono tratte dai brani in scaletta nella performance eseguita a Bergamo nel 1979, in particolare da Nascondimi, Il Carrozzone, La tua Idea, Baratto, Sesso o Esse, dagli album Zerolandia (1978) e EroZero (1979).


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Aldilà dei luoghi comuni – Leone Belotti per Gruppo Cultras

RIPadvisor

Ω Il cimitero marino SCENOGRAFIA †††††

EMPATIA †††††

Fotografia di Michele Perletti Tutte le immagini su: www.ctrlmagazine.it/tag/ripadvisor/

MEMORIA †††††


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Sète, 20 km da Marsiglia, 1917: lo sguardo di Paul Valéry corre dal piccolo camposanto “vista mare” della sua città all’orizzonte marino. Improvvisa, un’intuizione: smisurato, infinito, il mare è il vero cimitero. Massa di calma, inerzia strana, ma piena di forza: il mare dorme fedele sulle tombe. Dopo tre anni, pubblica “Il cimitero marino”, quasi il controcanto dei Sepolcri, capace di smitizzare, oltre alla poesia romantica, la retorica allora imperante dei cimiteri monumentali. Tutta la poetica del Cimitero marino deriva dalla citazione in epigrafe (da Pindaro): Anima mia, non aspirare a vita immortale, ma esaurisci un compito fattibile. Non hai bisogno di monumenti, lapidi o croci. Avrai la più umile, la più nobile delle tombe possibili. Alcuni decenni dopo, il suo concittadino Brassens riprenderà il discorso, e con una boutade chiederà alle autorità di “essere sepolto sulla spiaggia” (ma in Tunisia effettivamente ci sono cimiteri “in spiaggia”). Oggi sono entrambi nel cimitero “vista mare” di Sète. Ma il desiderio latente, è quello di essere affidati al mare. Un corpo che si inabissa, e si allontana in silenzio dalla luce, dalla superficie. Quanti film abbiamo visto con questa sequenza, così precisa nel rendere il momento del distacco, del lasciare andare chi muore. Alla fine, torniamo nel mistero da cui proveniamo, nel ventre liquido della terra. Sei risucchiato, inghiottito, in pochi istanti e per sempre. Ti dissolvi nell’elemento base della vita: l’acqua. Quel giorno a tua madre si ruppero le acque, oggi le acque si chiudono su di te. Un parto amniotico al contrario, a ritroso. Chi ha perso qualcuno in mare, sentirà sempre nell’onda che s’infrange la sacralità, la spiritualità del mare. Memento mori e inno alla gioia, insieme, ecco il finale del Cimitero marino: S’alza il vento! L’onda in polvere balza sulle rocce! Bisogna tentare di vivere!


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Il TheMotivatore a cura di Francesco Muzzopappa

Un mio amico ha bussato sulla buccia di un’anguria ed è morto. In fondo ce lo dicevano sin da piccoli: non accettate le caramelle dagli sconosciuti, non bussate alle porte degli sconosciuti, non rivolgete mai la parola alle porte degli sconosciuti. E avevano ragione! Cosa questo c’entri con le angurie non lo so, ma mi sembrava comunque un ottimo incipit. L’anguria, diciamolo, è superata. Così grossa, piena di semi, grondante d’acqua. In un’epoca in cui tutto è miniaturizzato, dalle fotocamere agli smartphone, i cocomeri appartengono al pleistocene, quando persino un animaletto da cortile misurava quanto una roulotte da otto posti. E poi non è un frutto pratico. Quante mamme esclamano ai loro figli “E ricordati di infilare la tua anguria nella cartella”? Nessuna, perché è troppo scomoda per la merenda di metà mattina e troppo pesante anche per le schiene più resistenti. Immaginate un bambino andare a scuola con un melone rosso e succoso nello zaino. Come minimo finirà schienato come le tartarughe Ninja e bullizzato dagli amichetti che preferiscono le pere. L’anguria crea ostracismo. C’è chi dice che niente come un’anguria riesce a rinfrescare una torrida giornata estiva. Ma ne siete proprio sicuri? Se ci pensate, anche un frigorifero rin-

fresca, ma nessuno lo porta al mare per tagliarlo a fette. Come mai? PERCHÉ LA LOBBY DELL’ANGURIA SA COME MUOVERE I PROPRI FILI. È difficile da accettare ma è così. Inoltre, diciamolo: si sta degenerando. In diverse zone del mondo, infatti, si va diffondendo la moda di dare ai cocomeri forme inconsuete. In Giappone, ad esempio, confezionano su misura angurie cubiche o piramidali inserendo il frutto in stampi resistenti per poi lasciarli crescere in cattività. Tempo qualche anno e, potete giurarci, Philippe Starck presenterà in una affollata conferenza stampa al Guggenheim di Bilbao una linea di angurie di design a forma di nanetti da giardino, lampada o garage. Capiamoci. Non vorrei mai che dopo la lettura di questo pezzo pensaste che ho qualcosa contro le angurie. Personalmente non mi hanno fatto nulla. Non sono mai stato insultato da una anguria, né mai ho ricevuto una mail al vetriolo da un cocomero. È tutta gente per bene che MAI ha commesso nella vita azioni scorrette, è bene ribadirlo. Lungi da me, dunque, themotivarvi dal mangiare angurie. Il punto non è questo. Il punto, piuttosto, è che vorrei themotivarvi dal mangiare angurie. Ah, il titolo di questo articolo è totalmente arbitrario.


Illustrazione: 6K

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Interessanto del mese a cura di Chiara Generali – Gruppo Cultras

Dialogo tra un ateo e un dio intorno a questa rubrica Recensire una vita raccontandone gli aneddoti non è mai semplice; se appartiene ad un santo l’impresa diventa poi doppiamente ardua: l’inestricabile narrazione vive di mito e leggenda, di fede e di storia. L’InteresSanto del mese, questa rubrica, l’ha fatto per un anno, sempre cercando di oscillare, con sinuoso scetticismo, tra le due posizioni agli antipodi per definizione, che qui troviamo comodamente sedute (per la prima, unica ed ultima volta) a scambiar due parole, arroccati con strenua resistenza nel paradigma della loro convinzione: ATEO

Hai un momento, Dio? Nah, già sentito – epoiognivoltachelasentoallaradiocambiocanale – però sì, un minuto ce l’hai? Due chiacchiere in nome del nostro ultimo confronto in questa sede sono doverose, visto che hai deciso di terminare la rubrica, e non ti si può dire granché: il dio sei tu. Certo, mi mancherà un po’ demistificarti. È quasi divertente. Fammi un po’ capire per esempio perché i tuoi cristianucci son passati dall’adorare solo te al venerare tutta una schiera di gente fattasi arrostire con diversi gradi di cottura in nome tuo, manco aveste un particolare gusto per la carne alla griglia. Dico sul serio, tutto quel sangue è insopportabile, sembra un film splatter. Permettimi poi di dirti che peccate un po’ d’originalità: tutti sanno che la maggior parte dei santi – a proposito, non rischi il sovrappopolamento, lassù? – deriva direttamente da culti pagani. Ma non voglio esser polemico; a proposito, finirò in gattabuia dopo questo amichevole scambio

di battute? O posso confessarti le mie perplessità senza la paura di una tua vendetta impellente come la spada di Damocle? Oppure finirò in Purgator… Ah, già. È inventato.


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Iconografia: Miss Goffetown


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FART a cura di *talia

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vana commerciale e del mehari da corsa, le delizie e le complessità del Grande Erg. M’inviò una cinquantina di sms per compartecipare al suo matrimonio in tenda, scontentandolo. Meste ferie ad Alima che col marito e due figlie tiene bottega alla base della Medina di Tunisi nei pressi della cattedrale cattolica di San Vincenzo de’ Paoli. Delle centinaia di migliaia di crocieristi che vi facevano tappa e della parte d’essi che gli acquistava argenti e coralli non è rimasto che un malinconico zero. Buone vacanze a Lonely Planet EDT che non ristampa l’Egitto [esaurito in tutte le librerie] nell’attesa di un rasserenamento geopolitico dell’area. Buona villeggiatura al blocco degli europarlamentari italiani che trasversalmente e/o compattamente [centrodx-lega-mov5stelle] ha votato contro la soluzione umanitaria di Strasburgo per l’importazione temporanea di olio d’oliva tunisino senza dazi. Un puntello d’emergenza per l’economia nord-africana svuotata dal turismo. Ci hanno rammentato la vanità della politica [consenso immediato vs lungimiranza]; la doppiezza delle opinioni [aiutiamoli a casa loro]; la preferenza per la botte piena e la moglie ubriaca a discapito dell’onesta coerenza. Grazie all’emergenza terrorismo, senza concorrenza, le nostre strutture turistiche fanno il pieno mentre loro la fame; se però, intanto, approda da noi olio d’oliva o un carico umano maghrebino li definiamo rispettivamente, merce indesiderata e migrante economico indesiderabile. Pessime vacanze a Lofti, esperta guida beduina di Zaafrane, adesso senza clienti. Benevolo amico grazie al quale ho imparato alcuni segreti di una caro-

Disgraziate vacanze alle famiglie dei camerieri, degli addetti alle cucine, alle pulizie e lavanderie, dei marinai, delle guide, degli imprenditori, dei commercianti, di tutti i lavoratori e dei fornitori del [fu] gigantesco indotto che ruota intorno ai resort sul Mar Rosso e di viaggi e crociere sul Nilo. In sostanza l’assurdità del terrorismo unita alla fragilità del sistema ha, almeno per il momento, prevalso. Buone vacanze a te che leggi. Se non ti sei ancora riservata la canonica settimana d’evasione, un last minute a prezzi stracciati da queste parti è una buona occasione. Non saranno due gocce a colmare il mare di valuta pregiata evaporata, tuttavia, correndo un rischio in realtà infinitesimale, potrai beneficiare non solo di spiagge e siti turistici meno affollati di stronzi, altresì dell’amicizia e abnegazione tipica della gente del luogo. Il pericolo semmai, come la gran parte dei nostri crassi, egotisti europarlamentari insegna, sarebbe quello di restare a giocare apaticamente in “casa” soffocando in un’aria greve di patriottismi, la stessa ignoranza intrinseca che ha concretato Brexit.


Da lunedì a domenica dalle 09.00 alle 24.00 Fino al 30 settembre Ristorazione, Animazione e Sport Parco della Trucca

*(Non) c’è Trucca non c’è inganno

Prato, fiori, piante, pontile, laghetto, veranda, terrazza, fitness, food, beverage, happy hour, live music, beer, night time, true people, good vibrations, free entry...

DOV’È LA TRUCCA?*


Rubrica di Previsioni Applicate a cura del Tenente Tritiğ

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Meteorologeria, Agosto 2016 Aeronautica Minimale

N Anche i meteorologi vanno in vacanza in agosto. Quindi diffidate dai meteo daily, stilati spesso sotto una palma alla Marina di Ravenna, e guardate questo modello: 15 giorni di caldo eccezionale (sopra i 35°C), 5 giorni di pioggia (o grandine). Ogni mattina, prima di uscire di casa, utilizzate il calcolo combinatorio per stimare il meteo che vi aspetta. L’1 Agosto al 50% farà molto caldo, al 16% pioverà e al 32% sarà un giorno mediocre. Nei giorni seguenti la situazione non potrà che migliorare.

Il sagace utente Bruno Cortona commenta l’analisi di un sito specializzato: “Se uno è stufo del caldo estivo può salvarsi trasferendosi in Lapponia o più semplicemente in una di quelle località del nord Italia dove il tempo fa quasi sempre schifo.” Riconosciamo qui l’esposizione di un principio di psicometereologia: paventare migliori condizioni meteo in un luogo che non sia distante ma che sia assolutamente sfavorevole alla vita umana, come il Nord Italia, per poter accettare lo stato presente.

C’è un sottile legame tra la Brexit, Game of Thrones e il meteo. La Brexit mette in discussione, oltre all’intelligenza degli inglesi, gli accordi di Cop21 sulla sostenibilità ambientale. L’ultima stagione di Game of Thrones subirà un ritardo di messa in onda, non per colpa della Brexit, come qualcuno pensava. A decidere le sorti dello show del decennio è infatti il meteo: nel mondo di GOT l’inverno è arrivato, bisogna attendere che arrivi anche sulla Terra per iniziare a girare i nuovi episodi.

Ritagliate un cd in otto spicchi, riscaldatelo con una candela e modellate gli spicchi come se fossero pale. Dividete a metà un tappo di sughero, inseritelo nel cerchio del cd, metteteci un motorino elettrico e poi fissatelo con della colla. Tagliate l’estremità di un cavo usb: collegate il filo nero e quello rosso al motorino e il cavo alla porta del computer. In nessun caso il ventilatore produrrà frescura tale da giustificare lo sforzo e più in generale l’incessante voglia umana di costruire.

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 Il meteorologo del mese: Aleksej Vangengejm, climatologo e fisico di spicco dell’URSS degli anni ‘30. Pioniere dell’energia eolica, morì in Siberia dopo anni di prigionia, accusato da Stalin di sbagliare previsioni per fermare il progresso agricolo sovietico.

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 Strumento meteorologico del mese: Pistola elettroflogopneumatica, tubo di vetro con due elettrodi, riempito di gas infiammabile e aria, chiuso da un tappo di sughero. Tenendo un elettrodo e toccando l'altro con un elettroforo si innesca un’esplosione.


FROGLAND 18-21 AGOSTO2016

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LEVATE (BG) PARCO COMUNALE

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Con il patrocinio del Comune di Levate

SERVIZIO BAR,RISTORANTE, PIZZERIA,PANINOTECA,RANE FRITTE. SELEZIONE BIRRE ARTIGIANALI A CURA DI FRIMID ALE. DEGUSTAZIONE VINO A CURA DI CORNALI DIVINO.

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IL RICAVATO DELLA festa sarA DEVOLUTO ALL’ASSOCIAZIONE ITALIANA PERSONE DOWN BG

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Rubrica di filosofia contemporanea a cura di GroS

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D (& S)

C'è gente che dicono (e scrivono)

Guarda che questo camion qua in tre manovre riesco a infilartelo nel culo. (Tommy L. si è infastidito un attimo dopo una critica sul suo modo di parcheggiare il furgone) Scusa, mi porti una ceneriera? (Katia A. chiede un posacenere al cameriere) Il limite del Che Guevara tatuato è che quando ingrassi diventa un Pino Daniele. (Gianni M. Ci fa giustamente notare che un tatuaggio è per sempre) Si vede che quando schiappettava andava strawave. (Greg commenta il culo di una in spiaggia; lei pensava di averlo bello, ma secondo lui non era molta atletico)

Meglio un cazzo di herpes che un cazzo con l'herpes. (Max fa una semplice considerazione che non mi sento di contraddire) La fica è un hardware meraviglioso, ma il software con cui gira è tipo Windows 95 con l'antivirus scaduto... (Michele L.C. ha le idee molto chiare su come dovrebbe essere un sistema migliore) Con le tette ci nasci, col culo ci diventi. (Arianna B. cerca di portare acqua dalle sue parti) Qui vai a prendere il kebab e ti danno il sushi. (Cristiano ci racconta che a Peschici i ristoranti giapponesi sono ovunque)


Ciao. Se sei un affezionato lettore, qui eri abituato a trovare tutti gli eventi di Bergamo e provincia. Ci sono ancora, e sono aggiornati quotidianamente, sul sito: www.ctrlmagazine.it SEZIONE EVENTI

Saranno aggiornati durante tutto agosto. Ci teniamo a essere utili. Altre cose utili che vorremmo approntare da settembre: — Darti in pasto ancora più storie di prima mano su questo magazine di carta. — Darti la possibilità di ricevere ogni numero del magazine a casa. — Farti navigare su un sito restaurato/rivoluzionato (abbiamo delle idee, seguici). Su tutto questo ti daremo aggiornamenti. Nel frattempo, ci sembrava utile segnalarti questi eventi → da non perdere, a Bergamo e intorno a Bergamo.


— Dal 2 al 7 agosto Filagosto Tarrus Riley, Bandabardò, Tre Allegri Ragazzi Morti, Derozer, Bugo, Il Teatro degli Orrori e tanti altri. — Dal 10 al 27 agosto Festa di Radio Onda d’Urto 25a edizione A Brescia il più grande happening autogestito del Nord Italia. Diciotto giorni di concerti. — Dal 11 al 21 agosto Made in Bg - Festival del Casoncello All’Edoné di Redona ogni giorno: casoncelli, scarpinocc, formaggi, polenta e selvaggina. — Fino al 17 agosto A levar l’ombra da terra Festival di teatro, musica, danza e poesia che attraversa la provincia di Bergamo. — Dal 18 agosto al 28 agosto Ferrara Busker Festival La più grande manifestazione al mondo dedicata agli artisti di strada, dal 1987. — Dal 18 agosto al 3 settembre Cine-Tascabile Proiezioni nel Monastero del Carmine a cura di TTB e LAB80. — Sabato 27 agosto VRP - Il Gran Finale Edoné, Bergamo: l’ultima festa del VialeRossiProject con Belzebass, B.A.N.G., Violent Orchestra, Silvio Zylfi e Trash come una rosa. — 3 e 4 settembre Nascondino World Championship A ridosso del paese fantasma di Consonno (Lecco), 320 giocatori a contendersi la foglia di fico d’oro! Campeggio, concerti, truck food e beer good per due giorni “imboscati”.

— Fino al 4 settembre Esterno notte Il cinema all’aperto nel cortile della Biblioteca Caversazzi, a cura di Lab80. — Dal 7 al 11 settembre Festivaletteratura - 20a edizione A Mantova cinque giorni di incontri, laboratori, percorsi tematici, concerti e spettacoli con narratori, saggisti, artisti e scienziati provenienti da tutto il mondo. — Dall'8 al 18 settembre Milano Film Festival Il cinema nel quartiere di via Tortona. — Venerdì 9 settembre contemporary locus 11 Ore 18.00, inaugurazione della mostra al Monastero del Carmine (Città Alta). — 10 e 11 settembre Bergamo Buskers Festival Decine di artisti di strada per le strade del centro storico di Bergamo Bassa. — Fino al 17 settembre Magnolia Estate 2016 Concertoni, concertini, party, festa della birra, tornei di bocce nei pressi dell’Idroscalo di Segrate (Milano). — Fino al 25 settembre Estatica Il Parco del Buon-Essere. Musica, Laboratori, Arte terapia, Veg-Bar al parco delle fonti di Sant'Omobono Terme. — Fino al 22 ottobre deSidera Più di un Festival, la scommessa sulla possibilità di fare dello spettacolo legato ai luoghi e ai tempi di un territorio di enorme ricchezza artistica. — Per tutta l'estate Ex carcere Sant'Agata - Città Alta Le sale dell'ex carcere aperte a musica e arte.


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A proposito di buio e luce

Una risata nel buio, di Vladimir Nabokov, Adelphi, 2016 (LIBRO) Tour elettrico-postindustriale del corso dell'Adda, da Brivio a Imbersago (LC), 15km in bicicletta, 4 centrali, 1 diga, 1 ponte e 1 villaggio operaio (TOUR) Paese del silenzio e dell’oscurità, di Werner Herzog, 1971 (FILM) Breve storia della luce, di Richard J. Weiss, Dedalo, 2005 (LIBRO) Scientificamente, cos’è la luce? Approfondisci sotto l’ombrellone la teoria corpuscolare della luce, la teoria ondulatoria, la teoria elettromagnetica, la teoria quantistica (DOMANDE)

Isole Svalbard, Norvegia. Da novembre a gennaio potete vivere delle notti polari civili (sole sotto all'orizzone di almeno -10°C), con buio assoluto o quasi per tutto il giorno e la notte (TOUR) Artisti sotto la tenda del circo: perplessi, di Alexander Kluge, Germania Ovest, 1968 (FILM) Nightlife, Erase Errata, 2006 (MUSICA) Lights Out, di David F. Sandberg, USA, 2016 (FILM) Punto d’ombra, di Teju Cole, contrasto, 2016 (LIBRO, CITATO A PAGINA 18) La stella più luminosa conosciuta si chiama R136a1 (INFO)

Nostalgia della luce, di Patricio Guzmàn, Cile, 2010 (FILM)

Carmelo Bene che legge L’uomo nero di Sergej Esenin (YOUTUBE) Ivan Fedele, Viaggiatori della Notte per Violino, 1983 (MUSICA)

El Nino Nero è l’imitatore di colore, con parrucca bionda, di Nino d’Angelo (YOUTUBE ECC.). Nino l’Angelo è un altro imitatore di Nino d’Angelo. Si esibirà ad Apricena, Foggia, il 7 agosto, ore 21 (EVENTO)


A proposito di piccoli paesi e paesi fantasma Craco, provincia di Potenza, paese diventato fantasma in seguito a una frana, che si è mangiata una parte dello sperone di roccia su cui l’antico borgo era appoggiato (TOUR; TROVI QUALCOSA ANCHE SUL NOSTRO SITO)

Il crollo, di Chinua Achebe (LIBRO, FUORI

Altro paese abbandonato in frana lenta e continua: Buonanotte, prima Malanotte, in provincia di Chieti (TOUR) In Valtellina c’è un borgo diventato fantasma, perché raggiungibile solo attraverso 2 286 gradini. Si chiama Savogno (TOUR)

CATALOGO, CERCALO IN BIBLIOTECA)

Il sogno americano-dolomitico. Nel comune di Gosaldo (BL) c’è un villaggio di minatori di fine '800 divenuto negli anni '50 popolare meta turistica. Distrutto da un'alluvione nel 1966, oggi inghiottito dalla natura

Atlante delle isole remote. Cinquanta isole dove non sono mai stata e mai andrò, di Schalansky Judith (LIBRO)

(TOUR)

Il vento fa il suo giro, di Giorgio Diritti, basato su una storia realmente accaduta a Ostano (Cuneo), paesello di 85 abitanti (FILM) Tutti i terrestri, in fondo, vivono in un piccolo “paesello” sperduto nell’universo (RIFLESSIONI) Canzoni della Cupa, è il nuovo album doppio di Vinicio Capossela. Senza i paesini dell’Iripina (suo padre è originario di Calitri) questo album non avrebbe mai visto la luce (MUSICA) “La luna e i calanchi”, Festival della Paesologia, dal 20-25 agosto, ad Aliano, il paese di Carlo Levi. L’organizzatore è Franco Arminio (CITATO A PAG.54) (EVENTO)

Atlante delle Micronazioni, di Graziano Graziani, Quodlibet, 2015 (LIBRO)

— Lo stato più piccolo della terra è il Vaticano. — La regione più piccola d’Italia è la Valle d’Aosta. — La provincia più piccola d’Italia è quella di Trieste. — Il comune più piccolo d’Italia è Atrani (Salerno). — Il comune meno abitato è Pedesina (Sondrio), 36 abitanti. — La casa più piccola del mondo è “Diogene”, progetto di Renzo Piano, 6 metri quadri. Ma le notizie sono discordanti: ad esempio c’è la “Quay House”, a Conway, Galles, che misura 3,05 X 1,8, costruita nel XVI secolo; è stata abitata per 400 anni. (INFO)


Sagre, fiere e trallalà

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Hello Casoncello La mia idea di paradiso: mangiare del foie gras al suono delle trombe degli angeli. Sidney Smith

sagra (ant. sacra) s.f – sinonimi: consacrazione, celebrazione, festa, kermesse contrari: nessuno Hello Casoncello è una guida ragionata alle sagre paesane, dai monti ai laghi orobici, per una fuga gastronomica a pochi passi da casa o per una voglia improvvisa di trippe, cinghiali e altri alimenti quasi-dietetici.

Luglio Dove

Quale

Cosa mangiare

28

Casazza

Festa dello Sport

Lumache

29—31

Pontegiurino

Sagra del Pesce

Pesce fritto e grigliato

29—31

Parre

Sagra del Capù

Involtini di verza con ripieno di magro

30

Adrara San Martino

Degustadrera

Trekking notturno con Formai de Mut


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Agosto Dove

Quale

Cosa mangiare

1—10

Castro

Sagra di San Lorenzo

Lasagne di pesce, brasato

5—7

San Giovanni Bianco

Cornalta in festa

Piovra con patate, cervo, grigliate

5—15

Somendenna

Festa di Foiade

Foiade, ritagli di pasta con diversi sughi

6—7

Mezzoldo

Mezzoldo in Cantina

Cantine aperte, formaggi e salumi, torte salate

12

Ama di Aviatico

Serata del casoncello

Casoncelli e tagliata bresciana

12

Santa Brigida

Sagra della Taragna

Polenta taragna

12

Rovetta

Sagra dei Bertù

Bertù, raviolo ripieno di cotechino

14

San Giovanni Bianco

San Gallo in festa

Pesce

15

Ponte Nossa

Raviolata di Ferragosto

Ravioli e anguria

15—16

Riva di Solto

Sagra di San Rocco

Lumini sul lago, cena di pesce

17

Adrara San Martino

Degustadrera

Trekking notturno con pasta in salmì

19

Piazzola di Vilminore

Festa dei Capù

Involtini di verza con ripieno di magro

20

Piazza Brembana

Gnoccata di San Bernardo

Gnocchi

19—21

Parre

Sagra degli scarpinòcc

Ravioli alati con ripieno di magro

26—28

Leffe

Monte Croce in festa

Grigliate

Settembre Dove

Quale

Cosa mangiare

3

Riva di Solto

Spiedo al porto

Spiedo bresciano

11—13

Stabello

Festa della taragna

Polenta, capriolo, spiedini


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How to per tu a cura di Sara Nissoli

Come costruire una camera oscura

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Gentile Redazione di CTRL, mi chiamo Marie Claire come il giornale, anche se sono italiana. Il mese scorso sfogliando Instagram mi è venuta una forma di reflusso gastroesofageo diagnosticato a dovere e che ora sto curando con un’adeguata dieta. Pare sia stato scatenato da una sorta di invidia nei confronti di altri Instagrammer e delle loro vite, dei loro cibi, delle loro mete turistiche, dei loro tatuaggi e dei loro partner. Io però non voglio rinunciare a fare

foto e voglio farlo nel modo più distante possibile dal mondo dei social. Possiedo una vecchia, ma ancora perfettamente funzionante, macchina analogica di quando mio padre era hipster prima che esistessero gli hipster e ho pensato di sviluppare da sola le mie fotografie, magari in una camera oscura. Mi dareste una mano? Vi leggo sempre. Marie Claire


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Dolcissima Marie Claire, capiamo perfettamente quanto ci racconti! Prima dei nostri consigli, una semplice premessa: Instagram è il mondo di come vorremmo fosse il mondo, pertanto tutto quello che vedi è palesemente fittizio. Non pensare di avere una vita di merda solo perché il tuo gatto è un banale europeo. Pensa per esempio se avessi avuto uno Scottish Fold, ora per stare in Italia dovrebbe avere il passaporto. In ogni caso: vuoi una camera oscura? L’avrai in cinque semplici passaggi.

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Cerca nella tua casa una stanza che possa essere completamente buia. Se hai un monolocale son cazzi, ma pensa che comunque c’è sempre gente che sta peggio di te. C’è una piccola finestra? Un lucernario? Semplicemente copri tutte le fonti di luci con dello spesso cartoncino nero.

2

Assicurati di avere tutte le forniture necessarie: un ingranditore, tre bacinelle, tre paia di pinze, un cavalletto, uno sviluppatore concentrato con bagno di interruzione e fissante, carta fotografica, timer, una luce rossa, serbatoi di pellicola, carta di sviluppo e qualcuno che possa insegnarti a usarle. All’inizio ti sembrerà di essere nel seminterrato di Breaking Bad.

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Crea un’ala “bagnata” e una “asciutta” della stanza, per evitare erroracci durante il tuo lavoro.

4

Il bancone, ti serve un bancone. Grande o piccolo che sia assicurati che tutta la tua strumentazione sia ben disposta (anche nei tuoi confronti).

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Allinea sul bancone le bacinelle in modo corretto: la prima per la soluzione di sviluppo, la seconda per la soluzione di interruzione, la terza per quella fissante. Se possibile aggiungine una quarta con dell’acqua corrente. Bene, cara. La tua camera oscura è pronta. Non vedi l’ora di iniziare eh? Ah ah, brutta battuta. Ti teniamo d’occhio e ovviamente aspettiamo qualche tua foto. Ah, prima di avviare il tutto magari un’instagrammata falla, c’è sempre qualcuno pronto a schiattare d’invidia. Buona guarigione per la gastrite! La Redazione


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Leone Belotti, Dario Cattaneo, Chiara Generali, Melissa Ghidini, Gionata Giardina, Davide Gritti, Alessandro Monaci, Giorgio Moratti, Oro, Mirco Roncoroni.

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Hanno scritto e collaborato

Matteo Postini matteo@ctrlmagazine.it

Direttore

Nicola Feninno nicola@ctrlmagazine.it

Linda Alborghetti, Marco Bellini, Gros Grossetti, Valerio Millefoglie, FulviaMonguzzi,FrancescoMuzzopappa, Sara Nissoli, Michele Perletti, Mattia Rubino, Matteo Sacchi, *talia, Tenente Tritiğ, Stefano Togni.

Progetto Grafico Studio temp

Reg. Tribunale Bergamo N° 2/08, 24/01/08


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