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Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (con.in L. 27/02/2004) art. 1, comma 1, DCB Milano. (TASSA RISCOSSA)

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Studio Rolf.fr/Zecc Architecten • Snøhetta • Alessandro Mason • Derossi Associati • Nobuaki Furuya + NASCA • Lorenz and Kaz • Kazumi Kudo + Hiroshi Horiba/Coelacanth K&H Architects • Alessandro Mendini • OFX

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NEWSARTE/ART

ALESSANDRO ROMA: IL SOLE MI COSTRINSE AD ABBANDONARE IL GIARDINO Il giardino, magico archetipo di mitologie antiche e recenti, feconda palestra d’ispirazione e di seduzione, nel suo addomesticato intreccio di natura e artificio, di luci e ombre, di emozioni e colori, è da sempre quel ‘locus amoenus’, reale o ideale, adorato dagli artisti per la ricchezza dei motivi e delle suggestioni che esso è in grado di offrire. Alla sua esplorazione in chiave estetica e transdisciplinare è dedicata la mostra “Il sole mi costrinse ad abbandonare il giardino”, in cui il tema del paesaggio e del giardino viene affrontato e sviluppato dal giovane artista milanese Alessandro Roma, reduce dalla sua prima personale al Mart di Trento, in una sorta di percorso onirico in cui completezza e frammento dello spazio indagato - fisico? virtuale? poco importa - si fondono in una rapsodia di intermittenze e variazioni sul tema che fanno trasmigrare la narrazione da un medium all’altro. La mostra - la prima interamente dedicata a un artista italiano dalla Brand New Gallery di Milano - si articola infatti in un suggestivo avvicendarsi di grandi pitture, sospese fra figurazione e astrazione, plastici vasi-scultura in terracotta e vividi collages, componendo una visione simultanea che del giardino ci restituisce, potenziate, la fascinazione ancestrale, la reminiscenza colta e la sensuale energia. (F.M.)

ALESSANDRO ROMA: THE SUN FORCED ME TO LEAVE THE GARDEN The garden is a magical location that spins old and new myths; its is a fertile terrain for inspiration and seduction, with its domesticated weave of the natural and the manmade, light and shadows, emotions and colors, and has always been the ‘locus amoenus’, real or ideal, adored by the artists for the richness of the motifs and the suggestions they can offer. The esthetic and transdisciplinary exploration is the core of the exhibition “Il sole mi costrinse ad abbandonare il giardino” (The sun forced me to leave the garden). The issue of the landscape and the garden is examined and developed by the young Milanese artist Alessandro Roma. 10 His first personal exhibition terminated recently at Mart in Trento. It was a sort of oneiric pathway through which the completeness and the fragments of the space examined – physical? virtual? it doesn’t matter – are arranged in a rhapsody of intermittence and variations of a theme that transports narration from one expressive medium to another. The exhibition is the first one that has been

wholly dedicated to an Italian artist of Milan’s Brand New Gallery; it has been arranged as a suggestive event of great painting, suspended between figurative and abstract, plastic vase-sculptures in terracotta and bright collages, creating a simultaneous vision. Viewed from the garden, it potentiates and restores ancestral fascination, elegant reminiscence and sensual energy. (F.M.) Milano, Brand New Gallery, via Farini 32. Fino al 24 maggio/Until May 24th.

CLAES OLDENBURG: THE SIXTIES Eccentrico cultore di iperboli e paradossi, esemplare illustratore del variopinto immaginario che anima e pervade il mondo delle merci nell’era del consumismo di massa, Claes Oldenburg, svedese di nascita ma americano d’adozione, è forse uno degli artisti pop più prolifici e longevi tra quelli affermatisi agli albori del movimento, nella leggendaria New York dei tardi anni Cinquanta e dei primi anni Sessanta del secolo scorso. Al centro del suo lavoro è sempre stato il vasto repertorio di oggetti, utili e futili, che affollano la nostra distratta quotidianità sotto forma di prodotti di consumo e perciò resi ancor più desiderabili in quanto espressioni economiche, culturali e simboliche di una civiltà che già allora cominciava a manifestare i primi segni di inquietudine. Nessun altro artista ha saputo enfatizzare, con la sua stessa implicita ironia, le collisioni e i cortocircuiti tra opera d’arte e prodotto industriale, tra museo e grande magazzino. “Alla pittura che ha sonnecchiato così a lungo nelle sue cripte dorate, nelle sue bare di vetro - ha scritto Oldenburg -, si chiede ora di farsi una nuotata, le si offre una sigaretta, una bottiglia di birra, e, arruffandole i capelli, le si dà uno scossone, le si insegna a ridere, la si veste con gli abiti più disparati, la si invita a fare un giro in motocicletta, volando per le strade a 100 miglia all’ora”. A Claes Oldenburg, ai suoi anni Sessanta, alle sue sculture, ai suoi dipinti, alle sue installazioni, ai suoi disegni e progetti, ai suoi appunti inediti, ai suoi ricordi di allora, immortalati in foto e film d’archivio, è dedicata una delle più importanti mostre mai allestite finora intorno al suo lavoro: ‘Claes Oldenburg: The Sixties’, realizzata a cura di Achim Hochdörfer al MuMoK di Vienna. (F.M.)

Eccentric creator of hyperboles and paradox, an exemplary illustrator of the multi-faceted imagination that animates and infiltrates the merchandise in the era of mass consumerism, Claes Oldenburg, born in Sweden but American by adoption, is possibly one of the most prolific and long-life pop artists who appeared at the dawn of the movement. He was there, in legendary New York in the late 50s and early 60s of the last century. At the heart of his work, a wide range of useful and futile articles that crowd our distracted everyday lives; they are commonly known as consumer goods and are highly desirable because they are the economic, cultural and symbolic expression of a civilization that was already communicating and manifesting initial signs of restlessness. No other artist has been able to use implicit irony to emphasize the collisions and short circuits between the works of art and the industrial product, between the museum and the department store. Oldenburg wrote ‘Painting that has been sleeping in its gilded caskets, in its glass cabinets, and is now asked


Vienna, MuMoK, Museumsplatz 1. Fino al 28 maggio/Until May 28th.

È approdata in Italia la grande mostra dedicata al fenomeno creativo e trasversale del Postmodernismo con la quale si rinnova la collaborazione tra il Victoria & Albert Museum di Londra e il Mart di Rovereto, avviata con l’esposizione ‘Cold War’, dedicata all’arte, all’architettura e al design dal dopoguerra agli anni Sessanta. ‘Postmodernismo. Stile e Sovversione 1970 – 1990’ racconta l’esuberante ribellione da parte di architetti e designer, artisti e cineasti, musicisti e creatori di moda, stanchi di dover soggiacere all’ortodossia egemone del Modernismo, accusato di discriminare tra cultura ‘alta’ e ‘bassa’ e di propagandare canoni di bellezza e funzionalità estranei alla pulsante e variopinta diversità del mondo e dei suoi linguaggi. La mostra, che raccoglie oltre 200 oggetti ed è curata da Glenn Adamson e Jane Pavitt, è suddivisa in tre aree cronologiche: la prima, dedicata al dibattito architettonico sviluppatosi negli anni Settanta e culminante nella ‘Via Novissima’, presentata da Paolo Portoghesi alla Biennale di Venezia del 1980; la seconda, in cui viene documentata la proliferazione del fenomeno verificatasi negli anni Ottanta in altri ambiti creativi come il design, le arti visive, la musica e la moda; la terza e conclusiva, centrata sulla progressiva normalizzazione del movimento, la cui vivacità espressiva viene riconvertita ad uso commerciale. Tra i protagonisti di questa rivoluzione (mancata?): Ettore Sottsass, Alessandro Mendini, Philip Johnson, Aldo Rossi, Michele De Lucchi e Frank Gehry, certo, ma anche i grafici Peter Saville e Neville Brody, gli artisti Cindy Sherman, Jenny Holzer, Jeff Koons, performers come Klaus Nomi e Leigh Bovery, musicisti come David Byrne, Laurie Anderson o i Kraftwek, stilisti come Vivienne Westwood, coreografi come Mi-

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POSTMODERNISMO. STILE E SOVVERSIONE 1970-1990

chael Clark, cineasti come Derek Jarman. L’ultima avanguardia del Novecento ha rappresentato, per molti versi, un compendio delle avanguardie storiche nate all’inizio del secolo, e forse, proprio per questo, la sua spinta propulsiva si è esaurita in un arco di tempo relativamente breve, ma ha avuto, nondimeno, il merito di scardinare le certezze della modernità. (F.M.)

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to take a swim, have a cigarette, a bottle of beer, ruffle its hair, be given a wake-up call, be taught to laugh, to wear crazy garments, to go for a ride on a bicycle, to fly down the road at 100 mph”. This is one of the most important exhibitions dedicated to his work “Claes Oldenburg: The Sixties”, organized by Achim Hochdörfer at MuMoK in Vienna. The event examines the Sixties through his eyes, his sculptures, his paintings, his installations, his drawings and projects, his unpublished notes, his memories immortalized in photos and old film clips (F.M.)

POSTMODERNISM. STYLE AND SUBVERSION 1970-1990 The important exhibition dedicated to the famous transversal phenomenon of Postmodernism has reached Milan, Italy. It also revives the collaboration between the Victoria & Albert Museum of London and MART in Rovereto. The partnership began with the exhibition called ‘Cold War’, dedicated to art, architecture and design from the years after WWII to the Sixties. ‘Postmodernism. Style and Subversion 1970 – 1990’ tells the story of the exuberant rebellion by architects and designers, artists

and film-producers, musicians and fashion designers, tired of following the orthodox diktat of Modernism, that was accused of discriminating between ‘high’ and ‘low’ culture and of propagating the rules of beauty and functions that were foreign to the throbbing and multi-colored diversity of the world and its languages. The exhibition has grouped together more than 200 items and was organized by Glenn Adamson and Jane Pavitt. It is subdivided into three chronological areas: the first is dedicated to the architectonic debate that developed in the Seventies and culminated in the ‘Via Novissima’, presented by Paolo Portoghesi at the Venice Biennial in 1980. The second documents the proliferation of the phenomenon in the Eighties to other creative sectors, such as design, visual arts, music and fashion; the third and final section focuses on the progressive normalization of the movement, with its expressive energy converted into commercial vivacity. Among the protagonists of this (absent?) revolution: Ettore Sottsass, Alessandro Mendini, Philip Johnson, Aldo Rossi, Michele De Lucchi and Frank Gehry; and also the graphic designers Peter Saville and Neville Brody, the artists Cindy Sherman, Jenny Holzer, Jeff Koons, performer Klaus Nomi and Leigh Bovery, musicians such as David Byrne, Laurie Anderson and Kraftwek, fashion designers such as Vivienne Westwood, choreographers such as Michael Clark, film producers such as Derek Jarman. In many ways, the last period of 20th-century avantgarde was a compendium of the past with references from the beginning to the end of the century. And possibly for that reason, its drive dwindled in a relatively short space of time. However, it can be credited with eliminating the certainties of modernity. (F.M.) Rovereto (TN), MartRovereto, corso Bettini 43. Fino al 3 giugno/Until June 3rd 2012.

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NEWSMOSTRE/EXHIBITION

HANDS-ON URBANISM 1850-2012 Piccoli interventi e progetti che in realtà mettono in moto cambiamenti significativi. Questo quanto emerge nella mostra primaverile ‘Hands-On Urbanism 18502012. The Right to Green’ presso l’Architekturzentrum di Vienna: uno studio e una riflessione su come l’uomo si appropri del territorio all’interno dello spazio urbano. Dal periodo della modernizzazione le sfide e i cambiamenti affrontati nelle città e nei paesi sono stati davvero numerosi. Gli abitanti delle città, nei momenti di crisi, hanno trovato soluzioni di sviluppo urbano ‘dal basso verso l’alto’. Coltivazioni, orti, giardini auto-costruiti e auto-gestiti, tutto un mondo che si sviluppa grazie a coloro che si occupano dei terreni e dei giardini. Il curatore, Elke Krasny, dopo anni di ricerca in tutto il mondo, presenta in questa mostra casi-studio storici e contemporanei a Chicago, Leipzig, Vienna, Bremen, New York, Paris, Hong Kong, Istanbul, Porto Alegre, Havana e Quito. ‘Hands-On Urbanism’ illustra una storia urbana alternativa che pone domande e quesiti urgenti ad architetti e pianificatori sulla responsabilità del disegno e della crescita di una città. Come si comportano gli architetti di fronte a questo processo? Come reagiscono le autorità a questi sviluppi? Occorrono attenzione, nuove misure strutturali e nuove leggi urbanistiche che siano in grado di regolamentare lo sviluppo delle nostre città. (P.M.)

Small makeovers and projects can actually create important changes. This is what emerged from the Springtime exhibition ‘Hands-On Urbanism 18502012. The Right to Green’ hosted in the Architekturzentrum in Vienna: a study and reflection on how man conquers his territory in the cities. Since modernization appeared, people have faced countless challenges and changes in the cities and the countryside. In moments of crisis, city-dwellers have identified an urban development solution from down upwards. Parks, allotments and gardens that are self-built and self-managed – an entire world that expands thanks to the people who manage parks and gardens. Following years of research in every corner of the world, the exhibition curator, Elke Krasny, presents historical and contemporary home-studios in Chicago, Leipzig, Vienna, Bremen, New 12 York, Paris, Hong Kong, Istanbul, Porto Alegre, Havana and Quito. ‘Hands-On Urbanism’ illustrates an alternative history of living space. Urgent questions are being asked about the responsibility of architects and city-planners in the design and expansion of a city. How are the architects reacting to this process? What is the authorities’ attitude to these developments? They need to

pay attention, to apply new structural measurements and new urban-planning laws that can regulate the development of our cities. (P.M.) Architekturzentrum Wien - Old hall. Fino al 25 giugno 2012/Until June 25th 2012 In alto/Top: Schrebergarten (allotment garden) in Leipzig © Archiv Deutsches Kleingärtnermuseum in Leipzig e.V., Deutschland; a destra/right Settlement Rosenhügel in Vienna © Archiv der :ah!

Siedlung Rosenhügel. A sinistra/Left: Sarigöl, a Gecekondu in Istanbul © Ingrid Sabatier & Stephan Schwarz. Sotto/Below: Ma Shi Po Village, New Territories in Hong Kong © Shu-Mei Huang



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NEWSMOSTRE/EXHIBITION

MERANO ARTE Sarà aperta fino al 6 maggio 2012 presso Merano Arte, uno spazio per l’arte contemporanea situato nel centro di Merano, la mostra ‘Architetture recenti in Alto Adige 2006-2012’, curata da Flavio Albanese. Organizzata in collaborazione con la Fondazione Architettura Alto Adige e il Südtiroler Künstlerbund (Unione Artisti Altoatesini), la rassegna presenta 36 opere realizzate negli ultimi sei anni dalla più recente architettura altoatesina e ne cataloga altre 47, comprendendo così quasi tutti i tipi di intervento edilizio. I progetti sono stati selezionati da una giuria internazionale, composta da Flavio Albanese, architetto e direttore di Domus dal 2007 al 2010, Wolfgang Bachmann, Bettina Schlorhaufen, Annette Spiro e Vasa Perovic. Chiudendo idealmente il discorso iniziato con la precedente edizione del 2006 che copriva un arco cronologico tra il 2000 e il 2006, il percorso espositivo si snoda seguendo tre distinti argomenti: la Valorizzazione del contemporaneo, la Definizione di un nuovo ‘codice paesaggistico’ e i Progetti particolarmente innovativi e sperimentali e ‘opere prime’. ‘Architetture recenti in Alto Adige 2006 - 2012’ è concepita come un evento itinerante digitale per consentire a tutti gli interessati e alle istituzioni nazionali ed estere di adattarla alle locali esigenze di spazio. Concepita come una poetica narrazione per immagini, la mostra curata da Flavio Albanese gode del contributo di Onlab, lo studio grafico berlinese specializzato in comunicazione del territorio, ed è supportata dai commenti visivi del videomaker Giuseppe Tedeschi. (M.P.)

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The exhibition ‘New Architecture in South Tyrol 2006-2012’, curated by Flavio Albanese, will be on at Merano Arte, a contemporary art gallery located in Merano’s centre, until May 6, 2012. Organized in collaboration with Architekturstiftung Südtirol and Südtiroler Künstlerbund, it features 36 South Tyrolean architectural projects carried out over the last six years; 47 more works have been catalogued, thereby including almost all building types. The projects have been selected by an international jury, composed of Flavio Albanese (architect and editor of Domus from 2007 to 2010), Wolfgang Bachmann, Bettina Schlorhaufen, Annette Spiro and Vasa Perovic. Ideally completing the course started with the previous edition (2006), which covered the period between 2000 and 2006, the exhibition path deals with three different themes: enhancing contemporary architecture, defining a new concept of landscape, and particularly innovative and experimental projects and first works. The exhibition ‘New Ar-

chitecture in South Tyrol 2006 – 2012’ has been conceived as a digital touring event, to allow all those interested as well as national and foreign institutions to adjust it to satisfy local space requirements. Approached as a poetic narration through images, the exhibition curated by Flavio Albanese in collaboration with the Berlin-based graphic design studio, Onlab, which specializes in territorial communication, is supported by the visual comments of the videomaker, Giuseppe Tedeschi. (M.P.) Merano Arte, Portici 163, Merano. Fino al 6 maggio 2012/Until May 6th 2012



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NEWSLIBRI/BOOKS

INTRODUZIONE AL MODERNO Si comincia con Piranesi, Boullée e Ledoux, che l’autore del volume ‘Introduzione al Moderno’, Giorgio Bersano, pone giustamente alle origini dell’architettura moderna. È questo il primo capitolo, cui seguono La Rivoluzione industriale negli Stati Uniti, Aldilà dell’Art Nouveau, Le Avanguardie (Futurismo, Espressionismo, Costruttivismo…), I Maestri (Corbù, Mies, Gropius, Wright), Il Diffondersi della modernità (Schindler, Neutra, Asplund, Aalto e Terragni). La seconda parte del volume prende in esame La Leadership americana (tra gli altri, Saarinen), La Revisione del funzionalismo in Europa e America Latina (con attenzione a Jacobsen, Barragàn e Niemeyer), L’Architettura italiana fra neorealismo, neoliberty e modernità (da Quaroni a Valle via Albini), da Louis Kahn al Postmodern, La realtà giapponese (Tange, Isozaki, Ando, Ito e Sejima), La Tecnologia (Rogers, Foster, Piano), Modernità e tradizione nella penisola iberica (Moneo, Siza), L’Architettura contemporanea (Gregotti, Rossi, Sottsass), La Revisione della modernità in Germania e Svizzera (Ungers, Botta, Herzog et de Meuron), L’Architettura francese dopo Le Corbusier (Potzamparc, Perrault, Nouvel) e, infine, L’Architettura della decostruzione (Gehry, Koolhas, Eisenman, Holl). Giorgio Bersano, laureato al Politecnico di Milano, ha lavorato in diversi settori, come pianificatore territoriale, come responsabile dell’Osservatorio delle Politiche Culturali della Regione Lombardia e insegna presso la Naba/Nuova Accademia di Belle Arti di Milano e lo Ied/Istituto Europeo del Design. Collabora con riviste ed è autore di vari libri. Il tema del percorso del progetto contemporaneo in architettura è continuamente ripreso da autori vari: Giorgio Bersano si distingue per la sua volontà di fornire al lettore una versione sintetica di quanto è successo nell’era della modernità del progetto. Ne garantisce un riassunto omnicomprensivo e ne propone insieme una versione capace di estrapolare dal contesto i momenti significativi. Se trascura progettisti e opere minori lo fa per le inevitabili selezioni imposte dalla specificità dell’opera editoriale. I capitoli, che abbiamo già enumerato, sono veri e propri racconti, leggibili e godibili a ogni livello di cultura. Il volume si rivolge infatti a tutti i lettori interessati alle 16 vicende della moderna storia del progetto, dai professionisti agli insegnanti, fino agli studenti cui viene proposto uno strumento alternativo alla documentazione spesso approssimativa se non erronea, messa a disposizione dalla navigazione web. (P.R.)

because of the selection criteria specified by the publishers. The chapters can be described as stories, and consequently can be read and enjoyed at every cultural level. The volume targets all of the readers interested in the events surrounding modern design history, from professionals to teachers and students who are supplied with an alternative instrument to the often approximate – not to say inaccurate - documentation obtained from the web. (P.R.) Giorgio Bersano, Introduzione al Moderno, breve storia dell’architettura contemporanea, 1750-2000, Editrice Compositori.

It commences with Piranesi, Boullée and Ledoux, that the author, Giorgio Bersano, who wrote the book ‘Introduzione al Moderno’ (Introduction to the Modern) positions at the origins of modern architecture. This first chapter is followed by The Industrial Revolution in the USA, beyond Art Nouveau, The Avant-garde movements (Futurism, Expressionism, Constructivism…), The Maestros (Corbusier, Mies, Gropius, Wright), The Diffusion of Modernity (Schindler, Neutra, Asplund, Aalto and Terragni). The second part of the book examines The American Leadership (Saarinen among others), The Review of Functionalism in Europe and Latin America (with attention paid to Jacobsen, Barragàn and Niemeyer), Italian Architecture between neo-Realism, neo-Liberty and Modernity (from Quaroni to Valle, via Albini), from Louis Kahn to the Postmodern, The Japanese reality (Tange, Isozaki, Ando, Ito and Sejima), Technology (Rogers, Foster, Piano), Modernity and the Traditions of the Iberian Peninsula (Moneo, Siza), Contemporary architecture (Gregotti, Rossi, Sottsass), The Review of Modernity in Germany and Switzerland (Ungers, Botta, Herzog and de Meuron), French architecture after Le Corbusier (Potzamparc, Perrault, Nouvel) and finally, Architecture of Deconstruction (Gehry, Koolhas, Eisenman, Holl). Giorgio Bersano, a graduate from the Milan Polytech, has worked in a number of different sectors, as a territorial planner, in the Observatory of the Cultural Policies in the Lombardy Region, as a lecturer at NABA Milan (The New Academy of Fine Arts) and at IED (the European Design Institute). He collaborates with magazines and the authors of a variety of books. The common ground is a contemporary project in architecture examined by a number of different authors. Giorgio Bersano stands out for his dedication to providing the reader with a summary of what has taken place in the era of the modern design. The review is comprehensive and proposes an orientation that can extract the important milestones from the context. If he has ignored the lesser designers and projects, it is simply

OLTRE IL LIBRO. ALIGHIERO E BOETTI Ilpersonaggioel’operadiAlighieroBoetti, o come meglio volle farsi chiamare in tempi tardi e in omaggio al suo doppio, Alighiero e Boetti, si presta magnificamente all’intento degli autori di indagare l’evoluzione di un genere, la nascita di un nuovo concetto di libro dove il leggere e il guardare diventano parte della medesima esperienza estetica. Autori del volume ‘Alighiero e Boetti. Oltre il libro’ sono Giorgio Maffei e Maura Picciau, che ripercorrono l’ampio lavoro a stampa dell’artista, dai suoi libri, i manifesti, le cartoline, gli inviti, passando per la lunga collaborazione con il Manifesto. Boetti è stato insieme compositore e direttore delle sue opere, disegnatore e grafico. Sono nati così i suoi libri d’artista, volumi avvolti in copertine rigide di tela rossa, uniti nella caratteristica di essere veri e propri manufatti artigianali. Libri che raccontano storie di un osservatore svagato della propria epoca e delle

sue ossessioni di andare oltre la superficie per accedere a uno strato più profondo dell’essere e una conoscenza nuova, sintetica e intima della realtà sensibile. Nel libro d’artista, Boetti giunge a un’autentica astrazione della realtà, sondando l’insondabile e afferrando l’inafferrabile definizione di ciò che ci circonda. (P.R.)

The persona and the works of Alighiero Boetti, or Alighiero and Boetti, as he called himself at a later stage in tribute to his double, lend themselves perfectly to the authors’ examination of the evolution of a genre, the birth of a new concept of book where the activities of reading and observing become part of the same esthetic experience. The book ‘Alighiero e Boetti. Oltre il libro’ (Alighiero and Boetti. Beyond the books) was written by Giorgio Maffei and Maura Picciau. They review the enormous amount of printed material produced by the artist, his books, his manifestos, the postcards, the invitations, and his long collaboration with the Manifesto newspaper. Boetti was both inventor and director of his works, he was the designer and the graphic artist. This is how his artistic books came about, wonderful volumes bound in a hardback cover of red canvas, united by the fact that they are true artisan masterpieces. The books tell the stories belonging to an observer who is wandering through his times and describes his obsession for reaching beyond the surface to the deeper layers of the soul and a new, brief and intimate awareness of the sensitive reality. In the artistic book, Boetti achieves the authentic abstraction of reality, probing what cannot be probed and grabbing the untouchable definition of his surroundings. (P.R.) Giorgio Maffei e Maura Picciau, Oltre il libro Alighiero e Boetti. Corraini Edizioni.



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NEWSINCONTRI/MEETING

NOI, ARCHITETTI DI VARESE

CONVERSAZIONE SULLA MATERIA

Cinquant’anni dalla fondazione dell’Ordine degli architetti di Varese, quale migliore occasione per organizzare, durante tutto il 2012, una serie di eventi che hanno da un lato l’obiettivo di celebrare il mezzo secolo di vita dell’Ordine professionale e dall’altro, costituiscono un progetto di rilancio per il territorio. Un ricco calendario di appuntamenti che è stato battezzato ‘AmiAmo Varese? Dialoghi tra Architettura e Design’. I protagonisti sono figure di spicco del panorama dell’architettura, del design, dell’arte e della cultura in generale, dopo Mario Botta e Paolo Perulli, i Metrogramma e João Nunes, architetto paesaggista da Lisbona che si sono susseguiti nei mesi precedenti, il calendario prevede altri numerosi appuntamenti. Il 10 aprile Carme Pinós, architetto co-responsabile affronterà il tema della rinascita di Barcellona, poi gli studi C+S e MaP, entrambi di origine veneziana, dibatteranno sul delicato tema del restauro e riuso il 30 maggio, mentre il 27 giugno concluderà la prima sessione di incontri Marianne Burkhalter, architetto di chiara fama proveniente da Zurigo che dialogherà sul tema del social housing. Nel corso di quest’ultima serata interverrà anche Tommaso Bianchi, presidente del gruppo giovani di Ance (Associazione nazionale costruttori edili) Varese. (P.M.)

Un incontro tra architetti, designer e opinionisti per sondare le implicazioni che il rapporto con la materia ha con la storia, l’ambiente, la società; per studiare la possibilità di una nuova definizione della materia stessa che nasce dall’incontro con la luce, che documenta le evoluzioni stilistiche, il rapporto dialettico col mondo. L’evento, promosso da Oikos, si è tenuto il 5 marzo alla Triennale di Milano ed è stato un momento di confronto sui temi che negli anni hanno accompagnato il percorso dell’azienda, in particolare il rapporto tra colore, materia e sostenibilità. Ne hanno parlato Mario Abis, Giulio Cappellini, Rosita Missoni, Paola Navone coordinati da Monica Maggioni. (P.M.)

NOI, ARCHITECTS FROM VARESE Fifty years from the foundation of the Order of Architects in Varese - what better opportunity to organize a series of events to celebrate the half-century of the Professional Order and to create a program to relaunch the territory. The events will run for the whole of 2012 with a rich calendar of appointments. It has been called . “AmiAmo Varese? Dialoghi tra Architettura e Design”. (Love/Loving Varese. Dialogue between Architecture and Design”). The protagonists are important names in the world of architecture, design, art and culture in general; following Mario Botta and Paolo Perulli, the architects Metrogramma and João Nunes, a landscape architect from Lisbon who were involved in previous months, the calendar includes numerous interesting appointments. For example, on 10 April with Carme Pinós, an architect who is jointly responsi18 ble for the Renaissance of Barcelona; then the Studios C+S and MaP, both of Venetian origin, who will debate the delicate issue of restoration and re-use on May 30th. On June 27th , Marianne Burkhalter will close the first session of meetings. She is a famous architect from Zurich and will be examining the topic of social housing. Tommaso Bianchi, President of the young group of Ance (Italian Association

A QUESTION OF SUBSTANCE It was a meeting of architects, designers and critics to examine the implications of the relationship material has with history, the environment and society; the idea was to examine the possibility of formulating a new definition of material itself, as a substance that emerges from its encounter with light to document the style evolution, the dialectic relationship with the world. The event, promoted by Oikos, was held on March 5th in the Triennial in Milan. It was a moment for comparing the issues that over the years have accompanied the company’s development pathway, in particular the relationship between color, material and sustainability.The speakers were Mario Abis, Giulio Cappellini, Rosita Missoni, Paola Navone and coordinated by Monica Maggioni. (P.M.)

of Building Constructors) Varese will also take part in discussion on this final evening, (P.M.)



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NEWSCONCORSI/COMPETITIONS

UN CONCORSO PER EXPO MILANO 2015 Sono 89 i progetti pervenuti al Concorso internazionale di idee per la progettazione degli spazi pubblici e i luoghi di incontro. Entro aprile la proclamazione del vincitore. Si tratta di strutture per un totale di 67.000 mq di ristoranti, negozi, luoghi di servizio all’insegna dell’architettura sostenibile. Promosso da Expo Milano 2015, il Concorso Architetture di Servizio ha chiamato architetti e creativi di tutto il mondo a interpretare responsabilmente il tema centrale della manifestazione ‘Nutrire il Pianeta. Energia per la vita’, attraverso la progettazione degli spazi di aggregazione dedicati ai visitatori e ai partecipanti all’evento. Presentato da Giuseppe Sala, Amministratore Delegato di Expo 2015 S.p.A., il Concorso raccoglie idee e spunti progettuali per le aree che ospiteranno ristoranti, spazi commerciali, servizi per i visitatori e i partecipanti, da cui prenderà spunto la progettazione preliminare, esecutiva e definitiva. Il Concorso rappresenta uno dei primi, significativi atti pubblici di Expo Milano 2015, che si fa promotore di un nuovo modello di architettura, capace di immaginare modalità diverse e consapevoli di costruire lo spazio pubblico seguendo criteri di sostenibilità diffusa, incentrata sulla qualità degli spazi a servizio della vita quotidiana di chiunque li attraverserà, li abiterà e vi lavorerà. Oggetto del Concorso sono tre diverse tipologie di edifici, che raccolgono l’ampia offerta di servizi ai visitatori prevista dal masterplan di Expo Milano 2015, immaginato come un grande spazio comunitario, luogo d’incontro e scambio di saperi ed esperienze. Il Concorso riguarda: 14 edifici di grandi dimensioni o ‘stecche’, disposti perpendicolarmente al percorso centrale del sito, destinati a ristoranti, spazi commerciali, servizi ai visitatori, servizi ai partecipanti, sicurezza, logistica, magazzini e locali tecnici; 12 bar che insieme ai servizi igienici costituiscono le unità di servizio, uniformemente distribuite sul sito;

16 strutture di piccole dimensioni, di cui 10 chioschi per la ristorazione veloce collocati in prossimità del percorso perimetrale lungo il canale, e 6 Infopoint nelle aree verdi. I partecipanti presentano una strategia complessiva per tutte le Architetture di Servizio, arrivando ad approfondire la proposta ideativa per un edificio di grandi dimensioni e per lo spazio pubblico di sua pertinenza, per un edificio di medie dimensioni, e per un edificio di piccole dimensioni dedicato a un Infopoint.Tutti gli edifici sono strutture temporanee, destinate a essere utilizzate esclusivamente per il periodo di durata dell’evento (1 Maggio - 31 Ottobre 2015) per poi essere, alcune smantellate, altre invece riutilizzate o riciclate. Con questa iniziativa Expo Milano 2015 ha posto le basi per diventare un vero e proprio laboratorio per la sostenibilità, che chiama a raccolta creativi e progettisti di tutto il mondo. (C. P.)

A DESIGN COMPETITION FOR EXPO MILANO 2015 A total of 89 projects have been submitted for the International Competition for the design of public spaces and meeting places.The winner will be announced in April. The brief covers structures for a total of 67,000 sq.m. of restaurants, stores, utility service facilities – all designed under the banner of sustainable architecture. Promoted by Expo Milano 2015, the ‘Concorso Architetture di Servizio: principi di sostenibilità per un’architettura a tempo’ (The Competition for Public Services architecture: the principles of sustainability for durable design) summoned architects and creatives from around the world to responsibly interpret the core theme of the exhibition. ‘Nutrire il Pianeta. Energia per la vita’, (Feed the world, Energy for life) through the design of social spaces dedicated to the visitors and those taking part in the event. Presented by Giuseppe

Sala, Managing Director Expo 2015 S.p.A., the competition grouped the ideas and the design suggestions for areas that will host restaurants, commercial spaces, service facilities for the visitors and the delegates that will lead to the preliminary, executive and definitive plans.The competition is one of the first, important public actions of Expo Milano 2015 and is geared to promote a new model of architecture; the idea is to devise different methods for constructing public facilities following criteria of sustainability, centered on the quality of the service amenities for everyone who passes through, who live there or who work there.The competition was based on three different types of building that group the wide range of visitor facilities stipulated in the Masterplan for the Expo Milano 2015.The complex is envisaged as a large communal space, a place for meeting and exchanging information and experiences. The competition covered 14 large buildings positioned perpendicular the central axis of the site, destined to restaurants, shops, amenities for visitors and delegates, security, logistics, storehouses and technical rooms; twelve bars with washrooms form the service units and are dotted uniformly over the site.There are sixteen smaller units, 10 used for fast food supplies and positioned close to the outside pathway along the canal; the remaining six are Infopoints positioned in the gardens.The participants present a global strategy for all of the Service Architecture, examining in depth the design proposals for a large building and the surrounding public space, for a medium-sized building, a small building to be used as the Infopoint. All of the buildings are temporary structures, destined for exclusive use during the event (May 1st – October 31st 2015); they will then be disassembled, re-used or recycled. Through this initiative, Expo Milano 2015 laid-down the foundations to become a workshop for sustainability that calls on the imagination of creatives and designers from around the world. (C. P.)

SIMES: ILLUMINAZIONE ECOCOMPATIBILE

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Si è conclusa la raccolta delle candidature al ‘Progetto Luce Ecosostenibile’ indetto da Simes SpA, leader nell’illuminazione architetturale per esterni. Potenziando il proprio impegno nell’ambito dell’illuminazione ecocompatibile l’azienda ha infatti istituito l’iniziativa rivolta a progettisti e studenti italiani che hanno presentato i loro elaborati, caratterizzati da un piano di illuminazione costituito per almeno il 75% del totale degli apparecchi ingegnerizzati a LED SIMES. Progettisti italiani nonché studenti delle diverse facoltà italiane del settore, sono stati chiamati a partecipare a una delle tre categorie di

premiazione, per ognuna delle quali è stato selezionato un solo progetto vincitore. Per il miglior progetto LED SIMES realizzato nell’anno 2010, ove per progetto realizzato si fa riferimento all’avvenuta installazione di apparecchi di illuminazione LED SIMES: premio assegnato al team composto da Arch. Simone Testi, Arch. Enrico Mussini e P.I. Achille Mucci ed eseguito dalla R.B. impianti, per il progetto della nuova sede di Ceramiche Refin a Casalgrande. Per il miglior progetto commissionato LED SIMES, ovvero per il miglior progetto illuminotecnico in termini di realizzazione posteriore alla data di chiusura del concorso: premio assegnato alla Società Parsec e al progettista Leo Forte per il progetto della Barricaia delle Cantine Donna Olimpia a Bolgheri. Per lo studente iscritto a corsi di Laurea di I° livello (Laurea di base) e di II° livello (Laurea Magistrale) delle Facoltà di Architettura, Design (o Disegno Industriale) e Ingegneria degli Atenei italiani: premio assegnato all’Arch. Gabriele Mura per la tesi di laurea dal titolo ‘Via Domus Aurea. Roma’, uno studio di riqualificazione illuminotecnica del sito storico romano. (P.M.)


Simes Spa is a company that is attentive to innovation and the environment. It ran the competition ‘Progetto Luce sostenibile’ (A project for sustainable lighting) involving architects, designers and students. The competition was split into three categories, with a winner announced for each. The plans present illumination systems with at least 75% of the Led fittings by Simes. In Section 1 for the best project LED SIMES produced in 2010 referred to the completed installation using LED SIMES light fittings: the prize was won by the team of Arch. Simone Testi, Arch. Enrico Mussini and P.I. Achille Mucci and created by R.B. Impianti, with their project of the new Headquarters for the company Ceramiche Refin in Casalgrande. In Section 2 , the prize for the best contracted LED SIMES project, or rather the best illumination technology design with the completion dates after the competition closure, was presented to thwe company Società Parsec and the designers Leo Forte for the project for the cellars of Barricaia delle Cantine Donna Olimpia in Bolgheri. Section 3 included the projects by 1st and 2nd Level undergraduate students enrolled in a Faculty of Architecture, Design (or Industrial Design) or Engineering at an Italian University; the prize was won by Arch. Gabriele Mura for his thesis entitled ‘Via Domus Aurea. Roma’, that illustrated the plans for the illumination technology requalification for the historical site in Rome. (P.M.)

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Castelli, one of Italy’s historical design companies, has organized a competition across the country called ‘Designing New Ways of Working’. The idea is to stimulate the young creative minds to produce office furnishing solutions that have a high innovative content and illustrate the new ways of working under a nonconventional light. The primary objective of the competition is to identify new pieces of office furniture to launch to the market. The items must provide optimal support for the operative activities and be characterized by: innovative design, sustainability, ergonomics, integration and versatility. An international jury will select the best product concepts and announce three winners. They will be presented with a cash prize; the six highly-commended designs will be exhibited alongside the winners at the event for the presentation of the competition to be held in the historical Castelli showrooms in Piazza Castello, Milan. They will then travel to take part in a similar event In Rome. Paying special attention to the innovation content of the design, the product concepts must present furnishing solutions for the office that have been designed to satisfy new working styles, through unconventional solutions that can be used in the following environments: reception and welcome (seats for the waiting room, lounge seating, coffee tables, reception systems, visitor seating), meeting facilities (conference and meeting tables, seating for groups, conference seating, partition walls) and team working (operative and management seating, table and desk systems, screens and panels). The three winning designers will each be awarded a prize of 3000 each; the highly-commended projects will be given visibility at the presentation exhibitions for the competition and press releases. Representatives of Castelli will also examine the commercial potential of the item and its possible inclusion in the company’s product range, with a 6-month option for developing the prototype and the use of the product. The competition is open to professionals, societies and/or studios operating in the sectors of architecture, engineering and design; entries submitted by employees of Castelli Spa, by members of the jury and their relatives and by anyone involved in the organization of the competition will not be accepted. Projects must be submitted on or before May 21st; the competition results will be published on June 5th with the projects presented in the Castelli showrooms in Milan on June 27th. The product concepts must respect the fundamental requisites for admission to the competition; they must be designed to be in line with 21 the roots and the history of the Castelli brand; through their design, they must satisfy the demands that have emerged from the new working designs; they must be sustainable and produced with recycled and recyclable materials, and transmit a powerful message of creativity and innovation. For information: www. castellidesigncontest.it (P.M.) OF

SIMES: ECO-COMPATIBILE ILLUMINATION

DESIGNING NEW WAYS OF WORKING

Indetto sul territorio nazionale da Castelli, storica azienda del design italiano, il concorso Designing New Ways of Working, ha l’intento di indagare nella giovane creatività per individuare soluzioni d’arredo per l’ufficio che abbiano una forte carica di innovatività e che raccontino in modo non convenzionale i nuovi stili lavorativi. Obiettivo del concorso è trovare nuovi arredi per l’ufficio da immettere sul mercato che supportino in modo ottimale le attività lavorative e si caratterizzino per: design innovativo, sostenibilità, ergonomia, integrazione e flessibilità. Una giuria internazionale selezionerà i migliori concept di prodotto decretando tre vincitori, ai quali sarà corrisposto un premio in denaro, e 6 menzionati che saranno messi in mostra, insieme ai vincitori, nell’evento di presentazione dei risultati del concorso che sì terrà nello storico showroom Castelli in Piazza Castello a Milano e in seguito in quello di Roma. I concept di prodotto devono proporre, con una particolare attenzione al design, soluzioni d’arredo per ufficio progettati per soddisfare i nuovi stili lavorativi, attraverso soluzioni non convenzionali per lo svolgimento delle seguenti funzioni: welcoming (sedute d’attesa, sedute lounge, tavolini, sistemi reception, se-

dute visitatori), meeting (tavoli riunione e conferenze, sedute collettività, sedute conferenza, pareti divisorie) e team working (sedute operative e direzionali, sistemi di scrivanie e tavoli, schermi e pannelli) Ai primi tre classificati sarà assegnato un premio di 3000 euro, ai progetti menzionati sarà data visibilità attraverso le mostre di presentazione del concorso e l’attività di ufficio stampa. Castelli, inoltre, valuterà il potenziale di commercializzazione dell’oggetto e l’eventuale inserimento nelle proprie gamme di prodotto, riservandosi sei mesi di opzione per la prototipazione o l’utilizzo del progetto. La partecipazione è aperta ai professionisti, società e/o studi che svolgano attività nell’ambito dell’architettura, dell’ingegneria e del design, a esclusione dei dipendenti Castelli SpA, dei membri della giuria e dei loro parenti e di coloro che hanno collaborato alla realizzazione del concorso. Il 21 maggio è il termine ultimo per la ricezione dei progetti, il 5 giugno per pubblicazione dei progetti vincitori e infine il 27 giugno si terrà l’evento di presentazione dei risultati nello showroom Castelli di Milano. I concept di prodotto dovranno rispettare i requisiti fondamentali per l’ammissione al concorso, ovvero dovranno essere concepiti in modo che: siano in linea con le radici e la storia del marchio Castelli, rispondano con il loro design alle esigenze dei nuovi stili lavorativi, siano sostenibili e realizzati con materiali riciclati e riciclabili, trasmettano un forte messaggio di creatività e innovazione. Per informazioni www. castellidesigncontest.it (P.M.)


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NEWSDALLEAZIENDE/FROMTHECOMPANIES

IL PEZZO È PERFETTO “Lavoriamo molto lentamente, pezzo per pezzo, curandone i particolari in modo che ogni realizzazione non sia mai uguale all’altra, grazie a maestranze che possiamo ben definire ‘portatrici di sapere artigianale’ che tutto il mondo ci invidia”. Con queste poche parole potremmo definire un’azienda come Tagina. Dieci soci variamente impegnati in azienda, una serie di impianti industriali estesi su oltre 85.000 mq, 270 addetti, un fatturato di oltre 356 milioni di euro con una quota export del 60% e una interessante presenza in Cina, con punti vendita in franchising. Questi i numeri che ci aiutano a introdurre l’esperienza di una visita aziendale in Tagina, storica realtà che negli anni ha saputo coniugare l’alto artigianato e le moderne tecnologie nella realizzazione di proposte ceramiche per l’arredamento d’interni e per l’out door. Numeri ai quali bisogna aggiungere altri dati davvero significativi, che forse meglio di ogni altro possono far comprendere ‘l’essenza’ di questa realtà: ad esempio, quei 18 passaggi manuali per la decorazione di alcuni pezzi speciali, o un processo di stampa che richiede un’intera giornata, per finire con una settimana di lavoro per un singolo pezzo speciale. Ma niente come una visita al laboratorio interno può far capire come qui sia stata concretizzata quella ‘magica unione’ fra la tradizione e l’innovazione, fra le antiche tecniche ceramiche (quella a colaggio e del terzo fuoco) e la capacità d’innovazione progettuale (e l’ultimo esempio è sicuramente la collezione Wire). Un laboratorio dove, accanto al pennello del decoratore, si sente il rumore delle quattro presse ad alto tonnellaggio e delle torri tecnologiche che le alimentano (con sistemi di dosaggio in verticale per la miscelazione e granulazione di argille e la colorazione delle polveri a secco) e dove l’architetto e il designer, possono trovare corrispondenza d’intenti, grazie alla collaborazione con il team tecnico, in una sorta di ‘bottega artistica’ che affonda le sue origini nella cultura artigiana di Gualdo Tadino. Laboratorio che, non a caso, è uno dei luoghi più visitati e apprezzati dai clienti stranieri, che vedono nascere, passo dopo passo, le loro idee. E che hanno la non comune consapevolezza di poter avere, nella propria abitazione, un pezzo davvero perfetto. Wire è un ambizioso progetto nato dalla 22 collaborazione tra Simone Micheli e Tagina. Più che una collezione però, è meglio definire Wire come un ‘sistema ceramico’ in grado di generare strutture modulari, architetture continue e spazi fluidi. Progettato per applicazioni indoor e oudoor Wire è realizzato in gres porcellanato ed è disponibile in due spessori, 12 mm e 20 mm, che soddisfano tutte le esigenze del living contemporaneo: sia per interni

raffinati ed eleganti che per ambienti di grande espressività materica, è ideale per pavimentazioni sopraelevate e per applicazioni a secco su sabbia, ghiaia o erba. (C.M.)

EACH PIECE IS PERFECT “The work progresses very slowly, piece by piece, taking care with the fine details to ensure that each creation is unique. This is possible thanks to the skills of what we can defines as ‘carriers of artisan knowledge’ that the world envies”. These few words define a company such as Tagina. Ten partners working in the company, numerous industrial plant that cover 85,000 sq.m., 270 staff, a turnover in excess of 356 million Euro with exports accounting for 60% and an interesting presence in China with a number of franchised sales outlets. These are the numbers that help us describe the company tour to Tagina, a historical reality that over the years combined quality craftsmanship and modern technology to create ceramics for interiors and outdoors. Other important data exalt the ‘spirit ‘ of this reality. For example, there are 18 hand-procedures for the decoration of some special pieces, a molding technique that requires an entire day, a week’s work needed to produce one special piece. And while it is all very interesting, it pales in comparison to the hands-on experience acquired from a company tour. It illustrates the ‘magical union’ between tradition and innovation, between the ancient ceramic techniques (casting and triple-firing) and the ability for design innovation (and an excellent example of this is unquestionably the Wire collection). It is a laboratory where the pieces are embellished by the decorator’s brush and where the sound of the four presses and the technological towers that supply them is deafening. There are vertical dosing systems for clay mixing and granulation processes with the addition of dry powders to color the paste. The architects and the designers join forces with the technical team to create a sort of ‘artistic atelier’ that has roots in the artistic culture of Gualdo Tadino. By no coincidence, the factory

tour is very popular and is particularly attractive to foreign clients who observe the development of their ideas, step by step. They have the uncommon certainty that the pieces created for their home will be absolutely perfect. ‘Wire’ is an ambitious project that developed from collaboration between Simone Micheli and Tagina. Rather than a collection, it would be better to class it as a ‘system of ceramics’ that can generate modular structures, continual architecture and fluid spaces. Designed for indoor and outdoor applications, the articles of the Wire system are porcelain-finish gres, available in two thicknesses – 12 mm and 20 mm - to satisfy the infinite requirements of contemporary living. The products are ideal for elegant stylish interiors and the perfect addition for ambiences with enormous expressiveness. The products are ideal for raised floorings and dry-base applications on sand, gravel or grass. (C.M.)


Specialized in the production of marble- and quartz-based agglomerates, the company now presents a new range of ‘glitter’ products designed to embellish prestigious, top-end properties. The products contain quartz and glitter on a metallic background in shades of Gold, Silver & Pewter, Bronze & Iron. They are suitable for every type of application, in particular bathroom and kitchen tops, floors, wall-covers and show-room layouts. (P.M.)

FACCIATA SOLARE

in fasce orizzontali modella le curve che caratterizzano il progetto architettonico. Il rame, oltre a possedere la migliore conduttività termica, permette anche la libertà di progettazione architettonica grazie all’integrazione invisibile dei collettori, nascosti dietro la lastra. I pannelli in rame della Nordic Green PLUS, distribuiti in Italia da Alpewa Srl, presentano una superficie patinata verde, simile alla patina naturale che consente di dare alle facciate e ai tetti l’aspetto antichizzato naturale come se avessero davvero subito le naturali intemperie. (M.P.)

Realizzata su progetto di Tapio Antikainen-studio Arktes di Helsinki su committenza della città finlandese di Pori, la nuova piscina pubblica vanta l’applicazione di un impianto solare termico innovativo, completamente integrato in una facciata in rame prepatinato. Fortemente voluta come esempio urbano di tutela ambientale e di riduzione delle emissioni di biossido di carbonio, la facciata solare funziona in abbinamento ai collettori e ai pannelli fotovoltaici montati sul tetto. L’edificio prevede 80 metri quadrati di collettori in facciata e 200 metri quadrati di collettori sul tetto che lavorano insieme per fornire circa 120.000 kWh di riscaldamento. L’impianto solare è usato per aumentare di 4°C la temperatura dell’acqua che proviene dalla piscina più fredda e che, una volta preriscaldata, viene miscelata con quella proveniente dal circuito principale. L’acqua così composta passa poi attraverso i collettori sul tetto prima di confluire nell’impianto di circolazione interessato dal sistema di teleriscaldamento. In estate, quando la piscina pubblica è chiusa e viene usata solo una piscina all’aperto, il sistema solare termico combinato è sufficiente per mantenere a livelli normali la temperatura dell’acqua della piscina, senza riscaldamento integrativo. Il rame pre-patinato applicato su tutte le quattro facciate con pannelli

Designed by Helsinki-based Tapio Antikainen-studio Arktes and commissioned by the city of Pori, Finland, the new public swimming complex can boast a groundbreaking solar thermal system, fully built into a prepatinated copper façade. The solar façade, which is meant to function as an urban example of environmental protection and reduction of carbon dioxide emissions, works in conjunction with roof collectors, and this sustainability initiative is also supplemented by roof-mounted photovoltaics. Some 80 sq. m. of façade collectors, working in conjunction with 200 sq. m. of roof collectors, provide around 120,000 kWh of heat. The solar system is used to preheat 4 °C

water coming from the cold pool. This preheated water is mixed with a larger amount of water coming from the main circulation. The mixed water passes through the roof collectors, before joining circulation from the district heating system. In summertime, when the public swimming complex is closed, and an outdoor pool is used instead, the combined solar thermal system is enough to maintain the pool water temperatures at normal levels, without any additional heating. Prepatinated copper is used as the main material for all four façades, applied in horizontal bands of panels and elegantly handling the curves which are central to the design. As well as having the best ther-

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Specializzata nella produzione di agglomerati a base di marmo e quarzo, l’azienda presenta una nuova gamma di colori ‘glitter’, destinati a impreziosire gli ambienti di realtà prestigiose e di alto livello. La collezione, a base quarzo e glitter su sfondi metallici nelle tonalità Gold, Silver e Pewter, Bronze e Iron, è adatta per ogni tipo di applicazione, in particolare per top bagno e cucina, pavimenti, rivestimenti e allestimenti di negozi. (M.P.)

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A SOLAR FAÇADE

SANTAMARGHERITA

mal conductivity of all the commonly used façade and roofing materials, copper also enables architectural design freedom with the invisible integration of collectors behind the copper. The Nordic Green PLUS copper panels, distributed by Alpewa Srl in Italy, have a green patinated surface, similar to the natural patina that give façades and roofs a natural antiqued appearance, as if they have really been subjected to bad weather. (M.P.) 23


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MODI DI ESSERE

ATTITUDES

INFINITY STONE

Si chiama ‘Modi di Essere’ la nuova collezione di colori firmata da Baldini Vernici, azienda specializzata in prodotti vernicianti a basso impatto ambientale, da sempre dedita alla ricerca di nuovi materiali, finiture e additivi per il comfort sensoriale. L’obiettivo di creare ambienti di elevato valore estetico e visivo dove il colore soprattutto sulle pareti, gioca un ruolo determinante è ben rappresentato da questa nuova collezione che vuole essere infatti un suggerimento per la realizzazione o la modifica di un ambiente in sintonia con chi lo deve abitare. Modi di essere propone combinazioni cromatiche per cinque stili di vita diversi - Energia, Eleganza, Autenticità, Affinità e all’Aperto - adatti a creare atmosfere abitative ‘cucite su misura’. I colori della collezione sono selezionati dalle mazzette colori Baldini Vernici e più precisamente dall’Atlante del Colore che contiene 1188 tonalità realizzabili in ogni tipo di prodotto e dalla collezione Panorami che contiene 350 tinte specifiche per esterno. I rivenditore Baldini Vernici (www.baldinivernici.it) sono provvisti di Sistema Tintometrico Baldini Tecnicolor con il codice di riferimento della tinta scelta nel catalogo Modi di Essere. La tinta può essere realizzata in prodotti per il muro, per il ferro, per il legno. Baldini fa parte di Materis Paints Italia, leader nel settore delle vernici e delle pitture per l’edilizia. (M.P.)

‘Modi di Essere’ (attitudes) is the name of the new paint collection launched by Baldini Vernici, which specializes in painting products with a low environmental impact and has always been committed to developing new materials, finishes and additives for increased sensory comfort. Testimony to the goal they pursue – that is, creating aesthetically and visually appealing room settings where colours, especially those on walls, play a key role is provided by the new collection, which is meant to provide tips on how to make or change a room to suit those living in it. ‘Modi di Essere’ offers colour combinations for five different lifestyles – Energy, Elegance, Authenticity, Affinity and Outdoors –, designed to create customized living atmospheres. The colours of the collection can be selected from the Baldini Vernici colour books, notably from the Colour Atlas, which contains 1,188 shades

Dal 1961 il Gruppo Ceramiche Gardenia Orchidea realizza collezioni in ceramica Made in Italy. Oltre al marchio Gardenia Orchidea, che esplora diversi stili dell’home design, fanno capo al Gruppo dal 1997 Versace Home e, dal 2005, Garfloor, marchio all’avanguardia nella ricerca e nell’interpretazione del gres porcellanato. Nel 2008 hanno debuttato la linea di complementi d’arredo King G.O e la linea del marchio CrystalKer, una nuova tipologia ceramica da rivestimento e pavimento di 3 mm di spessore, dedicata al settore residenziale di fascia alta. Gardenia Orchidea ha inoltre brevettato, in esclusiva mondiale, un procedimento per l’inserimento di migliaia di cristalli Swarovski direttamente nella lastra ceramica. Nel 2009 è nato Infinity Stone che, con le sue grandi lastre da 120x120 cm, ha rivoluzionato i progetti degli spazi pubblici e commerciali. Nel 2010 l’azienda ha lanciato sul mercato Ecostone, il primo gres porcellanato ecologico e all’ultima edizione di Cersaie ha presentato le due nuove collezioni Pietra del Nord e Lirica per il marchio Gardenia Orchidea, Wood, quarta collezione della gamma Crystal Ker e Venere rivestimento che completa il progetto Versace Home. Tra gli ultimi progetti a cui ha partecipato l’azienda figura un’antica cappella medievale trasformata in B&B nel centro storico di Mechelen. Per la ristrutturazione, avvenuta nel 2010, l’architetto belga Lieven De Wachter ha utilizzato il grès porcellanato di colore grigio, con superficie naturale strutturata della linea Infinity Stone di Garfloor (formati 60x60 cm e 30x60 cm) che gli ha permesso di creare continuità con il materiale originario presente all’esterno. (M.P.)

available for each type of product, and from the Panorami collection, which contains 350 colours specifically designed for outdoor use. The Baldini Vernici dealers (www.baldinivernici.it) rely on Sistema Tintometrico Baldini Tecnicolor, with the reference code of the colour chosen in the catalogue “Modi di Essere”. The paints are available for wall, iron and wood products. Baldini is owned by the leading manufacturer of building paints, Materis Paints Italia. (M.P.)

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Since 1961 Gruppo Ceramiche Gardenia Orchidea has been developing Italianmade ceramic tile collections. As well as Gardenia Orchidea, which is involved in investigating different home design styles, the Group has also owned Versace Home since 1997 and Garfloor, which is at the forefront of research and interpretation of porcelain stoneware, since 2005. In 2008 they launched the range of furniture complements, King G.O, and the range of the CrystalKer brand, a new type of covering and flooring ceramic tiles 3 mm in thickness, designed for the high-end residential sector. In addition, Gardenia Orchidea has obtained a worldwide patent for a procedure for the insertion of thousands of Swarovski crystals into the ceramic tiles. In 2009, Infinity Stone, with its large slabs (120x120 cm), revolutionized projects for public and commercial places. In 2010 the company was the first to bring environmentally friendly stoneware porcelain (Ecostone) into the market. In addition, at the latest edition of the International Exhibition of Ceramic Tile and Bathroom Furnishings, CERSAIE, they displayed their two new collections, Pietra del Nord and Lirica, for the brand Gardenia Orchidea, Wood, the fourth collection of the Crystal Ker range, and the Venere covering tiles supplementing the Versace Home collection. The most recent projects the company took an active part in include a medieval chapel converted into a B&B in the historic centre of Mechelen. For the renovation jobs, which took place in 2010, the Belgian architect, Lieven De Wachter, used grey stoneware porcelain with a natural, structured surface of Garfloor’s Infinity Stone range (60x60 cm and 30x60 cm), which allowed him to establish continuity with the original exterior material. (M.P.)


In early February, Fondazione Promozione Acciaio opened the doors of Italy’s tallest steel building, Torre Diamante – that is, building n°. 3 of the Porta Nuova-Varesine complex. Imposing yet lightweight, the building rising over Milan’s roofs means a national record, with its 130 metres above ground level, 4 underground floors and 30 floors above ground level. Several institutions and firms were involved in the project (Fondazione Promozione Acciaio, ArcelorMittal, ARUP, Stahlbau Pichler, Kohn Pederson Fox Associates and Porta Nuova). The implemented building solutions – steel beams and columns, and metal floors – translated into quick building (one floor per week) and a limited impact on the surrounding environment. The building, designed according to state-of-the-art eco-compatibility and energy saving criteria, has already obtained Leed Gold certification, one of the highest standards acknowledged by the Green Building Council for environmentally sustainable buildings, in terms of both energy savings and consumption of all the resources involved in the building process. (Photos: © Lorenzo De Simone/ Fondazione Promozione Acciaio”. (M.P.)

Arrivano in Italia, in esclusiva da La Feltrinelli e Toys Centre, le proposte di LEGO per gli appassionati di architettura. I famosi mattoncini-giocattolo sono proposti in speciali edizioni LEGO Architecture per costruire le architetture più famose disegnate dall’americano Frank Lloyd Wright (1867-1959). Due diverse riproduzioni, entrambe progettate da Adam Reed Tucker, sono un ottimo passatempo per i bambini o un prezioso oggetto

da collezione per gli adulti. Si tratta del Solomon R. Guggenheim di New York, il famoso museo d’arte contemporaneo dalla celebre forma a spirale, e della Fallingwater House, abitazione simbolo dell’architettura organica costruita nei boschi della Pensylvania a cavallo di una cascata. In ogni confezione, insieme ai mattoncini e alla base della struttura, un libretto con le istruzioni e la storia dell’edificio. (F.T.)

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Ai primi di febbraio, la Fondazione Promozione Acciaio ha aperto le porte dell’edificio in acciaio più alto d’Italia, ovvero della Torre Diamante, edificio N. 3 del complesso Porta Nuova-Varesine. Imponente e insieme leggero, l’edificio che svetta sui tetti di Milano rappresenta con i suoi 130 metri fuori terra, 4 piani interrati e 30 piani fuori terra, un primato nazionale. Diversi i soggetti coinvolti (Fondazione Promozione Acciaio, ArcelorMittal, ARUP, Stahlbau Pichler, Kohn Pederson Fox Associates e Porta Nuova). Le soluzioni costruttive adottate, ovvero travi e colonne in acciaio e solai in lamiera grecata collaborante, hanno consentito una realizzazione rapida (un piano a settimana) e un impatto limitato sul contesto in cui è andato a inserirsi. L’edificio, progettato con criteri avanzati di ecocompatibilità e risparmio energetico, ha già ottenuto la certificazione Leed Gold, uno dei più alti livelli riconosciuti dal Green Building Council agli edifici ambientalmente sostenibili, sia dal punto di vista energetico che del consumo di tutte le risorse coinvolte nel processo di realizzazione. (Foto: © Lorenzo De Simone/ Fondazione Promozione Acciaio). (M.P.)

GIOCO DA RAGAZZI

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TORRE DIAMANTE

CHILD’S PLAY LEGO’s construction toys designed for lovers of architecture are now available in Italy, at La Feltrinelli’s and Toys Centre’s shops only. The well-known toy bricks are now supplied in LEGO Architecture special editions, which allow you to construct the best-known buildings designed by the American architect, Frank Lloyd Wright (1867-1959). Two different reproductions, both designed by Adam Reed Tucker, mean both an excellent hobby for

kids and a precious collector’s object for adults. They are New York’s Solomon R. Guggenheim Museum, the well-known contemporary art museum renowned for its spiral-like shape, and the Fallingwater House, a symbol of organic architecture built in the woods in Pennsylvania, over a waterfall. Each box contains the bricks and the base of the structure as well as a booklet with the instructions and the history of the building. (F.T.) 25




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REPORT

MATERIALI MATERIALS

IL SENSO DELLA MATERIA THE SENSE OF MATTER Txt: Monica Pietrasanta

Fare interagire la materia e il colore, non solo con la superficie degli edifici e degli oggetti, ma con la struttura, ovvero con l’anima stessa delle cose. È questo l’attuale motore della ricerca e della filosofia aziendale di Oikos-Paint, attiva nella produzione di colori e vernici senza solventi, idropitture e materiali decorativi ed ecologici per l’edilizia e la bioarchitettura dal 1984, oggi più che mai aperta a nuove sfide L’evoluzione dei materiali, delle sensibilità, la voglia di dare risposte adeguate alla creatività dei progettisti sta spingendo sempre più avanti la ricerca tecnica delle aziende. I laboratori lavorano per trovare soluzioni innovative alle problematiche che emergono nel momento in cui i progetti diventano cantieri. Eppure un’azienda a più alto contenuto innovativo come Oikos, che produce da tre decenni colore e materia per l’architettura, si è resa conto che a un certo punto l’idea di colore, di superficie da dipingere non bastava più, che bisognava interagire non solo con la superficie degli edifici e degli oggetti, ma con la struttura, con l’idea stessa delle cose. Essere parte del progetto architettonico fin dalla sua nascita. E allora si è deciso da una parte di tornare ai fondamenti della tradizione decorativa italiana e rielaborarla in chiave contemporanea. Dall’altra di procedere con la creazione di materiali ad altissimo contenuto tecnico in grado di rispondere alle più attuali richieste in tema di sostenibilità e resa. Dalla combinazione di questi due elementi sono nate, accanto a vernici e colori, le textures che incarnano il nuovo senso della materia. Però una ‘nuova materia’ merita un ‘nuovo linguaggio’: Oikos l’ha individuato creando non più solo cataloghi e nomi di prodotto, ma un modo nuovo di classificare gli effetti decorativi raggruppandoli in famiglie definite solo dal rapporto particolare che materia e colore intrattengono con la luce. Così nascono gli assorbimenti, che raccontano la materia in cui la luce entra, gioca con il colore, in essa si perde senza più riemergere. Le corrosioni, che vivono ogni volta in cui, come sulle superfici di metallo corroso, il gioco luminoso si fa sinistro. I riflessi, le vibrazioni, e poi le stratificazioni in cui, livello dopo livello, si scorge il processo di costruzione della nuova texture; le trame come frutto di antico telaio infine, le trasparenze, materia invisibile che fa vivere tutte le altre moltiplicandone le possibilità, gli usi, le funzioni.

Making matter and colour interact with the surfaces of buildings and objects as well as with the structures – that is, the essence – of things. This is the current driving force of the research and company philosophy of Oikos-Paint, which has been involved in the production of solvent-free paints, water paints and decorative, environmentally friendly materials for building and bioarchitecture ever since 1984, and is taking up new challenges, now more than ever before The evolution of materials, sensitivity, and the desire to cater to designers’ creativity are increasingly pushing companies’ technical research forward. Workshops are committed to finding innovative solutions to the problems that arise whenever projects become construction sites. Yet there came a moment when innovation-oriented Oikos, which has been manufacturing paints and materials for the building industry for three decades, realized that the idea of colours, of surfaces to paint, was no longer enough, that interacting with the surfaces of buildings and objects as well as with the structures and essence of things was a major priority; being part of an architectural project ever since its inception. Hence they decided to go back to the foundations of Italian decorative tradition and modernize it. On the other hand, they also had a mission to fulfil in creating hi-tech materials capable of answering the latest requirements in terms of both sustainability and performance. The combination of the two elements translated into both paints and textures which embody the sense of matter. However, ‘new matter’ deserves a ‘new language’: they at Oikos found 28 it though catalogues and product names, while developing a new way of classifying decorative effects, grouping them into families only defined by the special relationship matter and colour maintain with light. This results in absorptions, which tell about the matter that is penetrated by light, plays with colour, gets lost in it, without resurfacing; corrosions, which are experienced whenever – like on corroded metal surfaces – light play looks sinister; reflections, vibrations and stratification, where, level after level, you become aware of the building process of the new texture; textures as the product of an old loom; finally, transparency, invisible matter which enhances all the other materials, multiplying their potentialities, uses and functions.


ART DIRECTOR: ASZ architetti.it Product: Virtus | Lamp: 2x26W uorescent | Protection : IP65 | Material : DurCoralŽ

L A M AT E R I A S I FA L U C E LO PDWHULDOH SHU OœLOOXPLQD]LRQH GD HVWHUQR ' 8 ( 9 2 /7 ( 3 , 8 œ ' 8 5 2 ' ( / & ( 0 ( 1 7 2 DQWLYDQGDOLFR QRQ GHWHULRUDELOH UHVLVWHQWH DO JHOR H DJOL DJHQWL DWPRVIHULFL WUDWWDELOH FRQ TXDOVLDVL WLSR GL ILQLWXUD H SLWWXUD 2 0 0 6 0 P o z z o d ’A d d a ( M I ) , v i a M i l a n o , 1 7 - I t a l y | t e l 0 2 . 9 0 9 4 9 4 2 - 0 2 . 9 0 9 4 9 4 4 | f a x 0 2 . 9 0 9 4 0 0 6 | w w w. b u z z i - b u z z i . i t DurCoral

Ž : resistenza meccanica a compressione ≼

140 N/mm 2 ; Cemento Por tland 525: resistenza meccanica a compressione ≼ 52.5 N/mm 2


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UN MODERNO OUTLET NELLA VECCHIA FABBRICA Project: Frigerio Design Group (arch. E. Frigerio, M.Proietti Gaffi) Txt: Monica Pietrasanta Ph: courtesy Frigerio Design Group Gli spazi industriali dello storico stabilimento Rosenthal di Selb, in Germania, accolgono uno scenografico spazio di vendita con caffetteria-ristorante e museo sulla storia del marchio famoso per la manifattura della porcellana e del vetro in tutto il mondo Punto vendita e insieme museo e luogo di incontro dove tenere vivo lo spirito di una tradizione che da 125 anni ‘soffia’ sulle vele di uno dei marchi più prestigiosi al mondo per la manifattura della porcellana e del vetro per la tavola. È questa l’idea progettuale di Frigerio Design Group (arch. E. Frigerio, M.Proietti Gaffi) sottesa al nuovo show room/spaccio aziendale Rosenthal di Selb, Germania. Nato sulle ceneri dei vecchi reparti dello stabilimento storico, un complesso di edifici eterogenei costruiti nel tempo, l’outlet si sviluppa su due livelli, un piano terra di 1.300 mq e un primo piano di 2.200 mq, con gli spazi per la vendita e l’esposizione pensati come vuoti da allestire, flessibili e modificabili nel tempo per offrire alla clientela suggestioni sempre diverse. L’involucro, mantenuto così com’era, conserva la storia dell’industria con canali, tubi e impianti a vista. Sono rimasti intatti anche i due forni destinati alla cottura delle porcellane. Nuova protagonista degli spazi, prima dell’arredamento è la luce utilizzata al meglio nelle sue molteplici espressioni: diretta, indiretta, concentrata, scenografica per sottolineare l’architettura industriale degli spazi e insieme la bellezza dei prodotti di design in porcellana, vetro e metallo esposti. Ridimensionano gli ambienti dalle alte campate gli originali controsoffitti realizzati con pannelli ‘volanti’ connotati da una grafica che ripropone i pezzi più significativi della produzione. I pannelli, di ampie dimensioni, caratterizzano le singole aree e fungono al tempo stesso da schermi per la luce riflessa. Al primo piano, in zona baricentrica al posto dei vecchi macchinari, si trova la 30 caffetteria-ristorante Fabrik cafè, concepita come un grande open space. Qui, tra un groviglio di tubi e valvole, offrono una pausa relax tavoli e confortevoli sedute di design. Elemento caratterizzante è il bancone del bar, realizzato in cristallo con un’intercapedine riempita di cocci di porcellane Rosenthal, retro-illuminati. In corrispondenza della caffetteria si trova un’area espositiva con le testimonianze

storiche dell’azienda, da una serie di attrezzature utilizzate per la lavorazione della porcellana alle immagini del vecchio stabilimento e delle sue linee di produzione. All’interno dell’outlet, oltre ai marchi storici Rosenthal, Thomas e Hutschenreuther sono rappresentati anche quelli del gruppo Sambonet e Paderno. Tutti i prodotti sono allineati lungo espositori modulari con ripiani regolabili, su tavoli o ripiani o in scaffali metallici e pallet per le offerte speciali. Grazie alla modularità e alle due differenti altezze, gli espositori, personalizzati con finiture e colori differenti secondo i diversi marchi, consentono sempre una percezione complessiva degli ambienti. Il progetto del nuovo outlet rientra in un programma di sviluppo dell’azienda che si appresta ad affrontare le sfide di un mercato globale.


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In alto: viste degli interni, con spazio di vendita, caffetteria-ristorante e museo. Nella pagina a fianco: vista dell’edificio che sorge sulle ceneri dello stabilimento storico. Sotto: planimetria. Top: view of the interiors with the sales point, coffee-bar/restaurant and museum. On the opposite page: view of the building constructed on the demolished site of the old factory. Below: the layout plans.

A MODERN OUTLET IN AN OLD FACTORY The industrial spaces of the historical factory of Rosenthal on Selb, Germany, have been refurbished to produce a scenographic sales outlet with a restaurant-coffee bar and museum on the history of the world-famous brand of porcelain and glass A sales outlet and a museum, a meeting place to keep the spirit of 125 years of tradition that has been filling the sails of one of the most prestigious brands in the world of tableware in porcelain and glass. This was the design idea presented by Frigerio Design Group (arch. E. Frigerio, M.Proietti Gaffi), responsible for the new show room/outlet for the company Rosenthal in Selb, Germany. The facility emerged from the ashes of the old departments of the historical company, a complex of heterogeneous buildings built over years of development; the outlet is split over two floors – a ground floor of 1300 sq.m. and a first floor of 2200 sq.m.; the design includes sales and exhibition areas

that are versatile and can be arranged and re-arranged over time to offer the customers something new with every visit. The original shell was maintained and preserves the building’s history with the channels, pipes and plant systems left visible. The two kilns used for firing the porcelain were also salvaged. However, apart from the furnishings, the new protagonist in the space was light that was maximized in its multiple expressions: direct, indirect, concentrated, scenographic to underline the industrial architecture of the spaces and the beauty of the porcelain, glass and metal objects on display. The interiors are defined by the span of the original lowered ceilings, produced from panels embellished with graphic designs that depict the most significant pieces of the production. The large panels characterize the individual areas and also filter the reflected light. On the first floor, the Fabrik coffee bar/restaurant, designed as a large open space. Here, amdist the network of pipes and valves, visitors can enjoy a moment of relaxation at comfortable design tables and chairs. The bar counter is the characterizing element, in glass with a back-lit chamber filled with Rosenthal porcelain.

Close to the coffee-bar, an exhibition area diplaying the company’s historical pieces, with a series of tools used to process the porcelain and images of the old factory works with its production lines. Inside the outlet, in addition to the historical Rosenthal, Thomas and Hutschenreuther brands, there are also pieces from the Sambonet and Paderno groups. All of the products have been aligned in long modular display units with adjustable shelving, on tables or shelving, or on metal units and pallets for the special offers. Thanks to the modularity and the two different heights, the display cabinets – customized with finishes and colors that differ depending on the various brands, will modulate the general view of the ambiences. The design of the new outlet is part of a more complex devolopment project undertaken by the company to tackle 31 the challenges of the global market.


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ARCHISCULTURA Project: Rok Grdisa Txt: Francesca Tagliabue Ph: Peter Mihelic Progetto vincitore del concorso Trimo Urban Crash del 2007, l’insolita struttura rossa progettata dall’architetto Rok Grdisa è ora stata installata in maniera permanente all’interno del parco Tivoli a Lubiana, in Slovenia Inizialmente l’originale architettura, una sorta di padiglione aperto in metallo composto da cinque enormi barre di metallo affiancate e piegate in diversi modi, fu realizzata come elemento temporaneo all’interno dell’area verde. Ma dopo i due mesi di esposizione inizialmente previsti, l’amministrazione comunale ha deciso di trasformarla in un originale info-point, per segnalare eventi e mostre all’interno del parco. Il giardino Tivoli infatti ospita al suo interno due musei (Il Centro Internazionale di Arti Grafich e il Museo Nazionale di Storia Contemporanea), un Orto Botanico e diverse aree in cui si organizzano mostre temporanee. La ‘scultura urbana’, come ama definirla

ARCHISCULPTURE This project won the 2007 Trimo Urban Crash competition. The unusual red structure designed by architect Rok Grdisa is now a permanent fixture installed in the Tivoli Park in Ljubljana, Slovenia

32 Grdisa, occupa una superficie di 25 metri quadrati; sulle pareti inclinate sono stati installati grandi pannelli che forniscono tutte le informazioni sulle attività all’interno del parco. Ingegnoso.

Initially the original piece of architecture, a sort of open metal pavilion consisting of five enormous adjacent metal bars folded in different ways, was created as a temporary feature in the park. However, when it had been on display for just two months, the city administrators decided to transform it into an original info-point, to provide information on events and exhibitions hosted in the park. The Tivoli Park contains two museums (The International Center for Graphic Arts and the National Mueum of Contemporary History), a Botanical Garden and a number of different areas for temporary exhibitions. The ‘urban sculpture’, the definition given by Grdisa himself, occupies a surface area of 25 sq.m.; large panels applied to the sloping walls provide a wide range of information on the activities scheduled inside the park. Ingenious to say the least.


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In senso orario: pianta, vista frontale e vista assonometrica della scultura urbana. Nella pagina a fianco: due viste dell’archiscultura ambientata nel parco Tivoli.

Clockwise: frontal and axial views of the urban sculpture. On the opposite page: two views of the sculptural architecture created in the Tivoli park.

PRECISAZIONI/EXPLANATIONS

A proposito dell’articolo ‘Principi e architetti’, pubblicato sul numero 120 (gennaio-febbraio-marzo) di ‘OFARCH’ (pagg. 166-171), contrariamente a quanto indicato nell’elenco dei progettisti teniamo a chiarire le seguenti attribuzioni. La nuova sede di Unindustria Treviso si trasferisce all’interno dell’ampio complesso edilizio commissionato a Mario Botta dal Presidente di Fondazione Cassamarca, Dino de Poli. Il team di progettazione che si è occupato della nuova sede è costituito dallo studio dell’architetto Paolo

Bornello con la società di ingegneria Sintagma Sp srl e l’architetto Gianluca Penna.

In reference to the article ‘Principles and architects’ published in issue 120 of OFARCH (JanuaryFebruary-March) (pages 166-171), we would like to clarify the information given in the credits: the new headquarters of Unindustria Treviso has moved to the large building complex commissioned to Mario Botta by the President of the Cassamarca Foundation,

Dino de Poli. The design team responsible for the new headquarters included Studio of architect Paolo Bornello, the Engineering company Sintagma Sp srl and Architect Gianluca Penna.

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VETRATE SULLA CITTÀ Txt: Monica Pietrasanta Ph: courtesy Cortesi Design S.r.l. Nel centro di Milano, una nuova architettura residenziale giocata su 34 un volume completamente vetrato, prima cilindrico e poi ‘sfogliato’ a ventaglio che dialoga con il verde circostante Un’architettura contemporanea, dai volumi dinamici e dai colori vivaci, caratterizza il progetto dell’immobile milanese di Via S. Lucia firmato dallo Studio Cortesi Design. La sua complessità volume-

Project: Cortesi Design S.r.l. trica deriva innanzitutto dall’essere stato realizzato all’interno di un terreno compreso tra una serie di edifici esistenti (su via Beatrice D’Este, Piazza Mondadori, via S. Lucia) prima interamente occupato dai capannoni di una fabbrica da tempo dismessa. Lo studio Cortesi Design ha scelto di realizzare un edificio che, utilizzando le stesse volumetrie dei capannoni demoliti, si sviluppasse in altezza, lasciando libere intorno ampie aree a giardino. È nato così un volume solido,

colorato di rosso, contenente il corpo scale e l’ascensore, dal quale fuoriesce un secondo volume cilindrico completamente vetrato che si allarga e si apre come un ventaglio man mano che si sviluppa verso l’alto per concludersi con un corpo solido, sempre rosso e totalmente in aggetto. Il sistema di sfogliatura a ventaglio, a ogni piano, genera ampi terrazzi aperti sul giardino di pertinenza. “Due sono stati i riferimenti culturali - ci spiega l’architetto Angelo Cortesi - uno

relativo alla tradizione mitteleuropea, con i terminali arrotondati che si affacciano sulle piazze (soprattutto berlinesi), l’altro, tipico milanese, con il volume perforato dagli oblò e connotato dal dialogo con le vetrate filtrate dalle veneziane in legno”. Dal punto di vista planimetrico, l’accesso al nuovo edificio avviene da un ingresso ‘dedicato’ dal palazzo storico presente sulla Via S. Lucia. Dall’atrio, una scala e un ascensore conducono al piano ammezzato dove è



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shed warehouses, developing them in a vertical direction to leave ample room for gardens at ground level. The resulting red building appears solid and contains the stairwell and the elevator shaft; a second completely glass-fronted cylinder extends from it and opens like a fan to conclude at the summit with an overhanging solid red block. Thanks to this fan-like arrangement, large open patios overlook the garden below. ‘There were two cultural references – according to Angelo Cortesi – one was the Mitteleuropean traditions (particularly from Berlin) with the rounded terminal components that overlook the squares; the other is typically Milanese with the volume punched by portho-

les and marked by the dialogue with the windows filtered by the wooden Venetan blinds’. In terms of the layout plans, access to the new building occurs through a dedicated entrance belonging to the old building on Via S. Lucia. From the atrium, a stairwell and an elevator lead to an intermediate floor with its garden. From here, through a glass-paneled porch, visitors access the entrance floor of the new building; here another stairwell and elevator shaft system provide access to the various floors above. The apartments are small-medium in size and the natural light from the windows contributes to dilating the space. Special attention was paid to the development of the glass

facades. Each window was designed as a single unit, with a wooden frame fitted with a glass chamber, automated wooden Venetian blinds contained inside an outer tempered glass casing which can be opened when required. The grids installed on the outside façade to mark the different floors allow air to enter, thus creating a ventilated wall that encourage air circulation inside the building.

In alto: la pensilina vetrata attraverso la quale si accede al piano d’ingresso. A sinistra: vista dei terrazzi che si aprono sul giardino. In apertura: vista dall’alto dell’intero complesso. Nella pagina a fianco: i volumi che si restringono ma mano si sale in altezza. Top: the glass porch that leads to the entrance floor. Left: view of the patios that open onto the garden. Opening shot: aerial view of the entire complex. On the opposite page: a view of the volumes that contract as they extend upwards.



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WORK IN PROGRESS

A PELLE DI LEOPARDO: ONE AIRPORT SQUARE Txt: Elviro Di Meo Il progetto, formato da vari volumi che seguono un pattern irregolare, tanto da ricordare il mantello di un felino, è organizzato in modo da creare una piazza pubblica verso il lato nord est dell’area, concentrando la massa dell’edificio in direzione opposta Un luogo fisico rivolto alla collettività, alla pari di una grande piazza aperta all’aggregazione sociale e all’integrazione multiculturale, oltre che un sito individuato per la costruzione di un complesso di edifici dal più ampio mix funzionale, tra cui ristorazione, uffici, negozi e residenze private. Sono, questi, i tratti che sintetizzano il recente progetto, in fase di realizzazione, firmato da Mario Cucinella per la città di Accra, la capitale della Repubblica del Ghana. Come la pelle di un leopardo, fatto di macchie maculate, i volumi seguono un pattern irregolare, formato da singoli punti che richiamano 38 alla mente il manto del felino. Agli spazi liberi si susseguono zone coperte amalgamate, tuttavia, da una pavimentazione continua, in grado di unire tutti gli elementi compositivi in una sola immagine, tale da divenire il segno identitario dell’intero tessuto urbano. Il masterplan e lo stesso progetto architettonico sono stati commissionati dalla Società Actis & laurus development partners, con l’o-

Project: Mario Cucinella Architects, Mario Cucinella, David Hirsch, Hyun Seok Kim, Luca Bertacchi Structural & Constructional Design: Politecnico Ingegneria e Architettura, Modena Local Architect: Deweger Gruter Brown, Accra Drawings and sketches: courtesy Mario Cucinella Architects biettivo di poter disporre di un’area attrezzata di ventuno mila metri quadrati. Secondo la particolare topografia del sito, la One Airport Square - questo il nome del progetto - è organizzata in modo da creare uno slargo urbano libero, in direzione nord est del lotto, concentrando la massa dell’edificio principale sul lato opposto. Il complesso edilizio è sollevato su una sorta di podio, in cui sono collocati gran parte dei parcheggi sotterranei, a causa della differenza di quota delle strade di accesso. Le pessime condizioni del territorio circostante giustifica l’idea di Cucinella e del suo team progettuale, composto da David Hirsch, Hyun Seok Kim e Luca Bertacchi: disegnare uno spazio pubblico o semi-pubblico, che verrà utilizzato principalmente dai dipendenti e, potrà, potenzialmente, diventare una piazza commerciale. Il blocco edilizio – quello in fase avanzata di cantiere - contiene negozi al dettaglio, ristorante, selfservice che conferiscono valore aggiunto all’area, aumentandone la fruibilità du-

rante le ore del giorno e della notte. Le facciate principali del palazzo sono orientate verso nord e sud; i prospetti est e ovest, che sono i più problematici in termini di controllo solare, sono stati ridotti al minimo per non esporre i fruitori alle alte temperature del luogo. Temperature che sono rese sopportabili, per quanto possibile, dalle terrazze a sbalzo che proteggono tutte le facciate dalle radiazioni solari dirette. Non solo: l’uso della vegetazione permette di mitigare il microclima, così come l’efficienza della ventilazione naturale è aumentata dalla presenza di una corte interna all’edificio. Intanto, le caratteristiche strutturali del progetto acquisiscono, contestualmente, un valore simbolico espresso dalla forma. Una sorta di maglia in cemento armato contribuisce, infatti, a sostenere esternamente lo sbalzo delle terrazze sporgenti, creando sui fronti un segno decorativo – una cifra stilistica caratterizzante - che allude ai motivi tipici dell’Africa.

Dall’alto al basso: plastico che mostra la vista notturna e schizzo. Nella pagina a fianco, in alto: sezione bioclimatica dell’aeroporto. In centro, da sinistra a destra: entrata e vista dell’atrio. In basso: pianta primo piano. From top to bottom: plastic model of the nighttime view and sketches. On the opposite page, top: bioclimatic section of the airport. Center, from left to right: entrance and view of the atrium. Bottom: layout plans of the first floor.


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LIKE THE LEOPARD’S SPOTS: ONE AIRPORT SQUARE The project consists of a number of volumes arranged as an irregular pattern, like the spots of a leopard’s skin. The plans define a public square that faces towards the north-eastern elevation, with the main volume of the building concentrated on the opposite side A venue for the community, on par with

the tradition large square for social gatherings and multicultural integration; there is also a construction site for a group of buildings with a mixture of functions – catering, offices, shops and private residential units. These is a basic description of the project that is currently underway. It was designed by Mario Cucinella for the city of Accra, the capital of the Republic of Ghana. Like the spots on a leopard’s skin, the volumes have been positioned with an irregular pattern, with a series of constructions dotted over the site. The open spaces are followed by roofed

areas joined by a uniform flooring; it pours the ensemble into a single image and identifies the entire urban fabric. The masterplan and the architectonic design were commissioned by the company Actis & laurus development partners, with the objective of planning an area of 21,000 sq.m. In line with the contours of the site, project One airport square has been organized to create a large urban square, to the north east of the site, concentrating the bulk of the main building on the opposite side. The building complex is raised on a sort of platform containing the underground

parking lots, and arranged to accommodate the difference in height in the terrain compared to street level. The poor conditions of the surrounding territory justify the design ideas presented by Cucinella and his design team of David Hirsch, Hyun Seok Kim and Luca Bertacchi: for a public or semi-public space, that will be used largely by the staff and could potentially become a shopping square. Part of the building is an advanced stage of development and contains the retail shops, a self-service restaurant that gives added value to the area, increasing the usability of the structure throughout the day and night. The main facades of the building are north- and south-facing; the East and West elevations – traditionally more problematic in terms of sunlight control – have been reduced to a minimum to protect the visitors from the high temperatures in the African state. Shelter from the heat is provided by the porched patios that protect the facades from direct solar radiation. Not only: the use of vegetation mitigates the micro-climate; the same applies to the efficiency of the natural ventilation, increases thanks to the presence of an internal courtyard inside the building. 39 The structural features of the project acquire a symbolic value that is expressed through its shape. The complex is sort of gridwork of reinforced concrete that contributes to the external support of the porched patios, creating a sort of decorative pattern that characterizes the facades and alludes to the typical motifs of Africa.


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WORK IN PROGRESS

RICOMPOSIZIONE URBANA: IL CAMPUS UNIVERSITARIO DI AOSTA Txt: Elviro Di Meo Drawings: Mario Cucinella Architects Si inserisce in un’importante area nevralgica del territorio della città di Aosta, il Campus universitario progettato da Mario Cucinella, con l’intento di recuperare e riadattare l’ex caserma Testafochi. Un sito, questi, posto a cerniera tra il centro storico, delimitato dalle mura romane, e la zona di espansione del capoluogo – il quartiere Cogne – in direzione ovest. Nell’intervento di recupero dell’esistente, si innestano una pluralità di fattori che possono essere determinanti per l’integrazione fra università e la città, tali da imprimere uno sviluppo qualitativo alla configurazione di due parti di Aosta finora divise dalla barriera dei muri perimetrali della zona militare e di consentire, nello stesso tempo, la riqualificazione di quegli spazi; spazi che, trovandosi finora ai margini esterni, risultano ca40 ratterizzati da relativo degrado e scarsa vivibilità. Il Campus è concepito come un insediamento aperto, un luogo di conoscenza e di formazione della cultura in contatto costante con l’humus urbano. L’ex caserma sarà resa permeabile alla mobilità pedonale introducendo, in diretto collegamento con l’ex Piazza d’Armi, funzioni e servizi (aula magna, caffetteria, negozi) che saranno a dispo-

Project: Mario Cucinella Architects + Pession Studio Associato Teatrastudio, Studio Rosset e Associati sizione degli studenti e dei cittadini. Il ruolo della nuova architettura, il cui linguaggio è improntato alla leggerezza e alla trasparenza di forme e materiali unite a una rigorosa ricerca dell’efficienza energetica, sarà quello di caratterizzare gli spazi dotando la città di Aosta di un organismo ideato nel rispetto della memoria collettiva e di quelle preesistenze più significative che dovranno non solo essere conservate ma anche valorizzate, quali le palazzine Giordana e Beltricco. A livello macro, la proposta di Cucinella privilegia l’organizzazione per funzioni. Ogni edificio è, pertanto, segnato da una propria autonomia funzionale, con specifica destinazione d’uso, pensato per non generare sovrapposizione tra funzioni poco compatibili, garantendo la flessibilità degli edifici per eventuali ampliamenti futuri. L’intero complesso è stato dimensionato in stretta relazione con le esigenze manifestate dall’Università della Valle d’Aosta, a seguito dell’aumento delle iscrizioni e dei nuovi corsi di laurea.

In queste pagine: viste dei diversi rendering del progetto. Sopra, a sinistra: schizzo di planimetria. Nella pagina a fianco: schemi delle strategie energetiche studiate per il progetto. On these pages: the various renderings of the project. Above, left: the layout plans On the opposite page: definition of the energy strategies developed for the project.


URBAN REDEVELOPMENT: THE UNIVERSITY CAMPUS IN AOSTA The university campus designed by Mario Cucinella has been created at an important crossroad within the territorial boundaries of Aosta. The plans aim to recover and re-adapt the former Testafochi barracks. The site is located between the historical center, defined by the Roman walls, and the area of expansion of the city Aosta to the west,

in the Cogne district. In the reclaim of the existing building, a mixture of factors are essential to ensure integration of the university with the city. It actually impresses qualitative development of the interface between the two parts of Aosta, until now separated by the barrier of the walls of the military zone and simultaneously qualifies the spaces. The spaces were once on the outside and are marked by signs of deterioration and poor visibility. The Campus has been designed as an open settlement, a place of learning and culture in constant contact with the urban fabric.

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The former barracks will be permeable to pedestrian mobility; it connects directly with the former Piazza d’Armi with functions and services (the Great Hall, the coffee bar, the shop) which will be open to students and the inhabitants of the city. The language of the new architecture is spiced by lightness and the transparency of shapes and materials and combined with research into energy efficiency; it will characterize the spaces and equip the city of Aosta with an amenity designed in respect of the collective memory and the more important existing buildings which are preserved and enhanced – for example, the Giordana and Beltricco buildings. On a macro level, Cucinella’s proposal pays maximum attention to the organization of the functional aspects. Every building has been designed to be autonomous, with a specific destination of use, designed to avoid overlapping of functions that are incompatible, and ensuring flexibility of the buildings for any future extensions. The entire complex has been sized in tight relation with the demands of the University of the Valle d’Aosta in Northern Italy, following an increase in the enrolments and the new degree courses offered.

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ABITARE E LAVORARE LIVING AND PROFESSIONAL SPACES Avere un unico ambiente di riferimento per la vita privata e per quella professionale coincide spesso con aspettative e desideri di molti professionisti, architetti, artigiani e artisti che amano unificare i due aspetti della loro vita per ottenere una continuità tra i momenti produttivi e quelli privati. La scelta di unire lo spazio casa/lavoro nasce soprattutto in persone con una attitudine specifica, in grado di organizzare la propria attività indipendentemente da quanto accade nell’ambiente circostante; oppure 42 è motivata da motivi economici. Uno studio, un laboratorio o un atelier distanti dall’abitazione costerebbero molto di più in termini di trasporti, tempi di trasferimento e gestione rispetto un’unica unità immobiliare nella quale riunire le due funzioni. Nei casi in cui l’unificazione degli spazi corrisponde a una necessità, si evidenziano le scelte progettuali più geniali, guidate dal bisogno di risolvere i problemi che la promiscuità casa e lavoro genera quando gli spazi a disposizione sono esigui. Gli ambienti diventano trasformabili e le pareti che delimitano e non chiudono risultano le vere protagoniste dei progetti. La tecnologia aiuta molto: si sono ridotti gli spazi operativi e gli strumenti di lavoro meno voluminosi si possono spesso considerare più superfici che volumi. Franco Mirenzi


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A sinistra: la zona studio della C1 House a Tokyo di Gwenael Nicolas/Curiosity + Tomoyuki Ustumi/Milligram Studio. Sotto: i designer Catharina Lorenz e Steffen Kaz al lavoro nel loro studio. Nella pagina a fianco: la variegata parete con appunti nella camera dell’architetto Alessandro Mason. Left: the studio area of C1 House in Tokyo byGwenael Nicolas/Curiosity + Tomoyuki Ustumi /Milligram Studio. Below: the designers Catharina Lorenz and Steffen Kaz at work in their studio. On the opposite page: the multicolored wall covered in notes, in Alessandro Mason’s room.

Having a single reference area for the private life and professional activity often coincides with the expectations and desires of many professionals: many architects, artisans and artists typically combine the two aspects of their lives to create a sense of continuity between productive moments and private relaxation. The decision to connect the work/ home space is often specific to people with a specific orientation, in a position to organize the professional activities independent of the surroundings. Alternately, limited finances may dictate this

decision.A studio, a workshop or an atelier located at a distance from the home would be expensive in terms of transport means, commuting times and management commitment compared to the organization of a single property used for both functions. In the event the unification of the spaces is a necessity, more ingenious choices have emerged. These have been driven by the need to resolve the problems generated when the two personal universes are mixed in limited spaces. Rooms that are convertible and walls that define but do not enclose the

spaces are the true stars of the designs. Technology provides considerable assistance: in the modern world the operative space requirements are reduced and the professional equipment is much more compact favoring the design and development of these hybrid structures. Franco Mirenzi

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ARCHITETTURA ARCHITECTURE

RICICLO RECYCLING

HABITAT CONTAINER Txt: Luca Sampò Ph: courtesy Jan Körbes, Antonio Corcuera, Pablo Sarabia

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Badguest, casa-studio container, di Denis Oudendijk e Jan Körbes, Scheveningen (Olanda), 2009 (foto: © Jan Körbes). Nella pagina a fianco: Badguest, casa-studio container in costruzione, di Denis Oudendijk e Jan Körbes, Scheveningen (Olanda), 2009 (foto: © Jan Körbes). A destra: possibili schemi compositivi. Sotto: containers in attesa a Port Elizabeth, New Jersey. Badguest, the container home-studio, by Denis Oudendijk and Jan Körbes, Scheveningen (Holland), 2009 (photos: © Jan Körbes). On the opposite page: Badguest, the container home-studio by Denis Oudendijk and Jan Körbes, Scheveningen (Holland), 2009 (photos: © Jan Körbes). Right: possible arrangements. Below: containers waiting to be shipped in Port Elizabeth, New Jersey.

Spinti dal desiderio di trovare nuove soluzioni ai problemi riscontrati nell’ultimo decennio nel settore dell’edilizia residenziale, e dalla mutata consapevolezza del cliente-tipo nei confronti delle problematiche ambientali ed energetiche, molti studi si sono recentemente orientati verso il recupero/ri-utilizzo di materiali usati, fino a riciclare intere componenti o veri e propri elementi strutturali Dall’esperienza dello studio Phooey Architects che realizza ‘Remake - Remodel’ Children’s Activity Centre, un centro per bambini creato a partire da alcuni vecchi containers dismessi a Melbourne nel 2007, o dello studio Bohlin Cywinski Jackson che recupera copertoni di camion usati per isolare termicamente la parete nord del suo Visitor Activity Centre in Pennsylvania (2003-2006), si passa rapidamente a esperienze diffuse, a scala globale, fino a raggiungere gli studi di nascenti star-architects che portano questo tipo di esperimenti nella vita di tutti i giorni, nel cuore delle capitali europee, come i reFUNC, studio fondato dagli architetti Jan Körbes e Denis Oudendijk che si auto-definiscono: “ufficio per l’allungamento del ciclo economico di vita dei materiali usati”. I containers per il trasporto delle merci sul mare delineano i tratti della globalizzazione sin dagli anni Cinquanta e già verso la fine degli anni Settanta si iniziano a porre interrogativi sul loro smaltimento. Le leggi internazionali stabiliscono, infatti, che dopo dodici anni di vita i containers non possono più essere utilizzati per il trasporto delle merci. Cosa fare con milioni di containers abbandonati in ogni porto del mondo? Cosa fare con milioni di tonnellate di acciaio? Ma, soprattutto, cosa fare con i milioni di metri cubi di spazi vuoti che contengono? I containers sono solidi, autoportanti, economici e modulari, in breve: hanno molte delle caratteristiche ricercate dall’edilizia sostenibile e certo riprendono, per molti versi, alcune idee già anticipate da Walter Gropius con le case modulari progettate dal Bauhaus nel 1926, o da Le Corbusier, che per le sue Unités d’Habitation aveva pensato in origine proprio a una sistemazione tipo container: sulla struttura portante in cemento avrebbero dovuto essere disposte delle case prefabbricate, di dimensioni simili a quelle del container, poste in sede a mezzo di una gru. Per non dimenticare Jean Prouvé, che alla prefabbricazione e alla modularità ha dedicato le ricerche di una vita. Il container, finito il suo breve ciclo di vita nel settore dei trasporti dove è nato, diventa un oggetto ingombrante, difficile e costoso da smaltire, con una resistenza strutturale notevole e un fascino estetico non trascurabile. Inizia quindi nel settore del ri-ciclo l’avventura del container che si trasforma rapidamente in una nuova vague, nuova moda per artisti o eccentrici proprietari che intendono farsi costruire una casa su misura, à la page. Un atteggiamento pionieristico quello di reFUNC, il cui motto ‘fare senza un manuale’ la dice lunga sull’approccio, prevalentemente manuale/intuitivo, alla progettazione. Orientati verso il riciclo di tutti i materiali abbandonati, al punto di auto-definirsi ‘architetti della spazzatura’, Körbes e Oudendijk raccontano che l’ispirazione gli sia venuta


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proprio in Italia, a Roma, visitando un campo nomadi e osservando tutti i possibili modi di fare qualcosa di intelligente con oggetti che altri avevano dismesso. Nel 2009, a Rotterdam, la ‘capitale del container’, è la volta del progetto BadGast, un container da 10 piedi (3,57 mt.) riconvertito in residenza per artista. Per reFUNC però si tratta di una residenza ‘temporanea’, quasi non osassero attribuire carattere permanente alla loro opera: un ‘habitat minimo’ con spazio di lavoro. Il recupero dei containers può assumere molti volti: quello della sostenibilità, come per progettisti quali, appunto, reFUNC, ma anche la designer Kathy Tafel o i ricercatori australiani dell’Earth Science Australia e molti altri. Uno dei caratteri del recupero dei containers, come della costruzione sostenibile a partire da materiali riciclati in generale, è proprio la non-necessità di affidarsi a figure professionali specializzate – architetti e ingegneri a esempio – che non sono più necessarie, anzi, avrebbero detto personalità come Joseph Maria Olbrich o Adolf Loos, è proprio là dove non intervengono che nasce la vera architettura. L’Earth Science Australia realizza nel 2005 un centro di ricerca nella foresta pluviale del Far North Queensland riutilizzando due containers. L’intera operazione, compreso trasporto dei containers e tutti i materiali necessari alla realizzazione del progetto, è costata poco meno di 13.000 euro per ottenere due zone letto, di 30 metri quadri, 15 metri quadri di cucina, e un’area esterna coperta di 45 metri quadri. Il tutto ha resistito a due cicloni di categoria 5: Larry nel 2006 e Yasi nel 2011 (cfr. earthsci.org/education/fieldsk/container/container.html). Diverso il caso di Kathy

Driven by the desire to identify new solutions for the problems that have emerged in the residential building trade over the last ten years, and people’s increased awareness of issues regarding 45 environmental and energyconsumption, many projects have been oriented to the recovery and reuse of materials, to the point of recycling entire components or structural elements From the experimental studies of Studio Phooey Architects that produced “Remake Remodel” Children’s Activity Centre”


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built in Melbourne in 2007 using old abandoned ship’s containers, or by Studio Bohlin Cywinski Jackson that re-used lorry canopies to insulate the north elevation of its Visitor Activity Centre in Pennsylvania (2003-2006), it was just a short step to widespread experimentation on a global level, to reach the studios of the up-andcoming star-architects who transport this type of experimentation into our everyday lives, into the hearts of the European capitals; one example is reFUNC, founded by architects Jan Körbes and Denis Oudendijk who describe their studio as ‘an office for prolonging the economic lifespan of the materials used”. The containers used to transport merchandise on ships have epitomized globalization since the Fifties. By the end of the Seventies, questions were being asked about the best way to discard them. The international laws stipulate that the containers can only be used for sea transport for a period of 12 years. So what can be done with the millions of containers abandoned around the world? They account for millions of tons of steel and encapsulate millions of cu.m. of empty space.

Tafel, che ha realizzato una residenza estiva in California partendo da tre containers, con il solo aiuto di informazioni catturate qua e là su siti web specializzati (come: www.fabprefab.com, www.lot-ek.com, containerhomess.com) e un valido gruppo di amici: l’autocostruzione e le infinite possibilità progettuali cui si offre questo tipo di struttura stimolano la creatività e l’intraprendenza. La sostenibilità, però, è ormai anche un brand, un nuovo territorio di mercato da sfruttare a fondo prima che l’attenzione globale si rivolga ad altro. In questa direzione si orientano molti studi, ma anche molte imprese – in questo settore, si è detto, il progettista può anche essere una figura superflua –, come Habitat Container (www.habitatcontainer.com), società con sede a Buenos Aires, che propone la creazione di case ‘su misura’, partendo da schemi modulari, “per soddisfare ogni necessità”. Habitat Container impiega il container per molteplici scopi come: abitazioni, negozi, unità di emergenza (cliniche, temporary shelter) per associazioni internazionali, etc. Infiniski, Arquitectura i construcción sustenables, che opera principalmente in Chile/España & the World, realizza con i containers residenze di lusso. Il motto dello studio “No es por el cambio climático, es porque nunca he sido capaz de dejar restos de comida en mi plato”, la dice lunga, però, sul loro approccio – del tutto personale e alternativo – alla progettazione sostenibile. Per Infiniski l’obiettivo non è percorrere con intransigenza la strada della sostenibilità, ma trovare un giusto equilibrio tra “qualità, design, costo contenuto, durevolezza e flessibilità, ripensando l’architettura e la costruzione in funzione di una nuova nozione di lusso e benessere”. In alcuni casi Infiniski si avvale per la progettazione delle case-container della collaborazione dello studio di architettura James&Mau. La Manifesto House di Infiniski, realizzata a Curacaví in Chile nel 2009 in soli novanta giorni a un costo di 79.000 euro, ha una superficie di 160 metri quadri, più due terrazze da 15 metri quadri al secondo piano. “Il progetto è basato su un design che sfrutta la prefabbricazione e la modularità per raggiungere un metodo costruttivo rapido ed economico. Un sistema che permetterà in futuro di realizzare eventuali ampliamenti con grande semplicità, adattandosi al mutare dei bisogni del proprietario. La casa è articolata su due livelli sfruttando tre containers: il primo, tagliato in due, serve da struttura e supporto per gli altri due al secondo piano. Questa struttura, a forma di ponte, crea uno spazio extra tra i due containers, spazio isolato dalle vetrate poste alle due estremità. Sia l’esterno che l’interno della casa sono realizzati impiegando l’85% di materiali eco-friendly: cellulosa e sughero riciclati, alluminio riciclato, ferro e legno – proveniente da foreste controllate –, pitture ecologiche, etc... Grazie al disegno bioclimatico e all’istallazione di sistemi energetici alternativi la casa è autonoma al 70%”. Nel 2010 Infiniski realizza la Casa El Tiemblo ‘Rauliniski’, vicino Avila in Spagna, che definisce come rappresentativa

Pianta piano terra/Layout plans for the ground floor

Pianta primo piano/Layout plans for the first floor

Planimetria/Layout plans

46 In questa pagina: disegni della Manifesto House, disegnata da James & Mau per Infiniski, Curacaví (Chile) 2009. Nella pagina a fianco, in alto e al centro a sinistra: esterni della Manifesto House, James & Mau per Infiniski, Curacaví (Chile) 2009. Al centro a destra e in basso: interni della Manifesto House, James & Mau per Infiniski, Curacaví (Chile) 2009 (foto: © Antonio Corcuera).

On this page: drawings of the Manifesto House, designed by James & Mau for Infiniski, Curacaví (Chile) 2009. On the opposite page, top and center left: exteriors of the Manifesto House, James & Mau for Infiniski, Curacaví (Chile) 2009. At the center right and below: interiors of the Manifesto House, James & Mau for Infiniski, Curacaví (Chile) 2009 (photos: © Antonio Corcuera).

Sezione longitudinale/Longitudinal section


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dei loro concetti chiave: “modular, greener, cheaper, faster, better, cooler and flexible”. La casa (costruita in sei mesi per circa 140.000 euro) sviluppa 190 metri quadri con l’impiego di quattro containers su due piani. La planimetria a forma di ‘L’ favorisce la divisione delle aree principali – soggiorno, sala da pranzo, cucina, camera da letto principale, ufficio e bagno – da quelle dedicate agli ospiti – un bagno e due camere –; le due aree sono collegate da un disimpegno che garantisce la reciproca intimità. Quando non sono presenti ospiti l’ala dell’edificio a loro dedicata può essere ‘scollegata’, e in modalità unplugged riduce sensibilmente i consumi di elettricità e riscaldamento dell’edificio. Il settanta percento dei materiali è eco-friendly, non inquinante, e usa energie da fonti rinnovabili. Lo studio olandese HVDN Architecten, come nella migliore tradizione dei Paesi Bassi, trasferisce questo nuovo oggetto, il container, nel settore dell’abitazione di massa: qubic, costruito ad Amsterdam tra il 2003 e il 2005, è un 47 complesso residenziale di 715 unità abitative per studenti, 72 appartamenti e un ristorante. La costruzione di alloggi temporanei per studenti in un’area del vecchio porto di Amsterdam appare quasi suggestionata direttamente dal contesto, come sembrano suggerire alcune navi convertite in camere per studenti, atelier per artisti e svariati ristoranti e bar. Il complesso, però, è costato più di diciotto milioni di euro, scostandosi decisamente dalla ricerca di economia e semplicità legate al re-impiego dei containers. Habitat container è l’occasione per ripensare tutto: il nostro modo di concepire gli spazi di vita, il nostro rapporto con la costruzione, l’importanza dell’auto-costruzione, il rapporto tra edificio e città, il ruolo sociale dell’abitare, e molto altro. Un fenomeno, l’habitat container, che può assumere caratteri imprevedibili e, speriamo, dare nuovi spunti di riflessione e nuovo slancio al nostro modo di abitare.


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Containers are solid, self-supporting, cheap and modular. In other words, they possess many of the characteristics required by sustainable buildings; in many ways, they also refer to the ideas presented by Walter Gropius with the modular housing designed by Bauhaus in 1926, or by Le Corbusier; for his Unités d’Habitation he proposed an arrangement that was similar to a container: prefabricated housing units, similar in size to containers, that were crane-lifted onto a cement support. When the short transport lifespan of the containers has terminated, they are discarded – with disposal a difficult and expensive procedure. However, their structural resistance is considerable and their esthetic fascination cannot be ignored. They were the ideal addition to the re-cycling sector. The adventurous containers have been rapidly transformed into a new fashionable abode for artists and eccentric owners who wish to create a home ad hoc. Pioneers in this field were reFUNC: their motto ‘making something without a handbook’ – describes the predominantly manual/intuitive approach to design. Focused on recycling all abandoned materials, to the point of being described as ‘architects of garbage’, Körbes and Oudendijk explained that they were inspired when they visited a gypsy encampment in Rome, Italy and observed how this nomadic people intelligently reused and recycled all sorts of waste material. In Rotterdam (‘the container capital’) in 2009, BadGast converted a 10-foot (3.57 meters) container into a residential unit for artists. reFUNC considered it to be a temporary residence, almost as though they didn’t dare attribute any permanence to their work: they created a minimal home combined with a workspace. Reclaiming containers can have many benefits: it is sustainable, like the projects by reFUNC, others by designer Kathy Tafel or the Australian researchers of Earth Science Australia and many more. One of the features associated with reclaiming containers – for example, sustainable constructions using all types of recycled materials – was the fact that specialist professional figures were not necessary (for example, architects and engineers). And according to Joseph Maria Olbrich or Adolf Loos, true architecture emerges when the professionals are not involved. In 2005, Earth Science Australia produced a research center in the rain forests of Far North Queensland by re-using two containers. The entire operation, including the cost of the materials necessary for the completion of the project, cost than 13,000, and resulted in the creation of two bedrooms measuring 30 sq.m. each, 48 a kitchen measuring 15 sq.m and a roofed outside space of 45 sq.m.. This construction withstood two category-5 cyclones – ‘Larry’ in 2006 and ‘Yasi’ in 2011 (ref earthsci.org/education/fieldsk/container/ container.html). Kathy Tafel produced a summer residence in California using three containers. She built her home based on information downloaded from specialized sites on the Internet (such as www.fabprefab.com, www.lot-ek.

com, containerhomes.com) and the help of an enthusiastic group of friends: the advantages of this type of self-builds are the infinite design possibilities this type of structure can offer in terms of creativity and imagination. Sustainability is now also a brand, a new market territory that should be fully exploited before global attention shifts onto something else. This is the direction taken by many studios and companies and in this sector, the designer can also be a superfluous figure; take Habitat Container (www.habitatcontainer.com) for example. The company has its headquarters in Buenos Aires; it specializes in the creation of custom homes, starting from modular

area of 160 sq.m., in addition to two patios of 15 sq.m. each on the second floor. ‘The project is based on a design that exploits the techniques of prefabrication and modularity to produce a rapid and highly economic construction method. In the future, this system will consent problem-free extensions and allow the building to be adapted to the changing requirements of the proprietors. Three containers have been used to create a twostorey building: one container has been cut in two and acts as the structure and support for the other two on the second floor. This bridge-like structure, creates an extra space between the two containers, with glass panes inserted at the two

ting of the building. Seventy percent of the material used is eco-friendly, non-polluting and the building uses renewable energy sources. The Dutch studio HVDN Architecten, following the best traditions of The Netherlands, has transferred this new object, the container, into the area of apartment blocks or mass living: qubic was constructed in Amsterdam between 2003 and 2005. This residential complex contains 715 flats for students, 72 apartments and a restaurant. The construction of temporary student accommodation close to the old harbor of Amsterdam appears to have been dictated by the context – some ships have been converted into

designs to ‘satisfy every requirement’. Habitat Container uses the ship’s containers for a whole range of constructions: residential units, shops, emergency units (clinics, temporary shelters etc.) for international associations etc. Infiniski, Arquitectura i construcción sustenable, that operates largely in Chile/ Spain & the World, produces luxury residential units with containers. The studio’s motto is «No es por el cambio climático, es porque nunca he sido capaz de dejar restos de comida en mi plato», and this describes their personal and alternative approach to sustainable design. For Infiniski, the idea is not to doggedly follow the road of sustainability but to identify the right balance between ‘quality, design, cost-containment, durability and flexibility, reconsidering architecture and the construction as a function of the new ideas of luxury and wellness’. In some cases. Infinski joined forces with the architecture studio James & Mau for the design of the container-homes. The Manifesto House by Infiniski, created in Curacaví in Chile in 2009 in just 90 days at a cost of 79,000, has a surface

ends. Both the inside and the outside of the home have been completed using 85% eco-friendly materials – cellulose and recycled cork, recycled aluminum, iron and wood from controlled forests – environment-friendly paints etc… Thanks to the bioclimatic design and the installation of alternative energy systems, this home is 70% autonomous. In 2010, Infinski created the Casa El Tiemblo ‘Rauliniski’, close to Avila in Spain. It defines the company’s key concepts of: “modular, greener, cheaper, faster, better, cooler and flexible”. The house was constructed in just six months for a total cost of approximately 140,000 euro). It covers 190 sq.m. over two floors and was constructed using four containers. Its L-shape dictates the division into main areas – lounge, dining room, kitchen, master bedroom, office and bathroom that are separate from the guest quarters – a bathroom and two bedrooms; the two areas are connected by a landing that ensures mutual intimacy. When the guest wing is not occupied, this section can be disconnected or unplugged to save electricity consumption and hea-

student apartments, workshops for artists and a number of restaurants and bars. The complex was expensive, costing more than 18 million, a far cry from the drive for economy and simplicity associated with the re-use of containers. Habitat container provides the opportunity for re-examining everything from the basics: our way of conceiving living spaces, our relationship with the building, the importance of the self-build, the relationship between the building and the city, the social role of living and much more besides. This phenomenon – the habitat container – can occasionally be unpredictable and hopefully make us think about our life styles and how we can improve it.

Casa El Tiemblo ‘Rauliniski’, disegnata da James & Mau per Infiniski, El Tiemblo, Avila (Spain) 2010 (foto: © Pablo Sarabia). The house El Tiemblo ‘Rauliniski’, designed by James & Mau for Infiniski, El Tiemblo, Avila (Spain) 2010 (photos © Pablo Sarabia).


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In alto: interni e patio della Casa El Tiemblo ‘Rauliniski’, disegnata da James & Mau per Infiniski, El Tiemblo, Avila (Spain) 2010 (foto: © Pablo Sarabia). In basso: planimetria e vedute di ‘qubic’, di HVDN architecten, Amsterdam (Olanda) 2003-2005. Top: interiors and the patio of the House El Tiemblo “Rauliniski”, designed by James & Mau for Infiniski, El Tiemblo, Avila (Spain) 2010 (photos: © Pablo Sarabia). Bottom: layout plans and view of ‘qubic’, by HVDN architecten, Amsterdam (Holland) 2003-2005.

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CASA E LAVORO HOME AND WORK

Txt: Paolo Rinaldi Ph: Sara Pellegrini

CASA E OFFICINA: UNA PASSIONE PER LE MACCHINE AT HOME AND IN THE WORKSHOP: A PASSION FOR MACHINERY Siamo a Casacorba, in provincia di Treviso, nell’operoso nord-est, ricco di tradizioni, di fabbriche vecchie e nuove e di fabbrichette sorte dal nulla come funghi, ma anche di concrete realtà fondate nella storia locale e nelle vecchie abitudini del lavoro artigianale

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La camera da letto di Alessandro Mason. Appoggiato alla parete un piano di lamiera forata, accanto una lampada industriale e una macchina per circuiti pneumatici. Nella pagina a lato: una parete con foto, appunti e post-it, e un dettaglio dell’officina. Alessandro Mason’s bedroom. Resting against a wall, a piece of punched metal sheeting, beside an industrial lamp and a machine for pneumatic circuits. On the opposite page: a wall decorated with photos, notes and post-its, and a close-up of the workshop.

È il caso dell’officina meccanica sorta nel retro della casa, un tutt’uno, dove lavorava il padre di Alessandro Mason, un fabbro ora in pensione (“la mamma invece era sarta – ricorda Alessandro – confezionava abiti da sposa. Dal papà abbiamo ereditato l’amore per le macchine, dalla mamma una forte carica di poesia”). I due figli, Alessandro e Goga, come preferisce farsi chiamare Federica, la sorella di Alessandro, hanno raccolto l‘eredità paterna con entusiasmo e discrezione personale, accettando l’ambiente miracolosamente conservato dell’officina come un dono prezioso: un laboratorio che è diventato il cuore pulsante della casa e ha invaso con ferri, lamiere e quant’altro ogni spazio, sostituendosi a banali casalinghi, trasformando gli oggetti di uso comune in invenzioni d’arte applicata. L’amore appassionato per le macchine, apparentemente corrisposto dalle macchine stesse, si potrebbe dire, ha permesso una vera e propria invasione negli spazi domestici di artefatti in metallo: nella camera da letto, per esempio, dove il letto è appoggiato a una parete di lamiera forata e il mobile più importante è un macchina con circuiti pneumatici mentre l’abat-jour in camera della sorella è un faro per serigrafia. Nell’officina, dieci metri per otto, dal tetto di cemento, sono conservati i portoni in metallo forgiati dal padre, che si era costruito da solo casa e laboratorio, insieme con le cassette per le viti e i chiodi, bottiglie di plastica e post-it sulle pareti e dappertutto; macchine per tranciare il ferro, torni e ganci, in un ordine-disordine molto efficace. E utile sia per risolvere problemi urgenti (“Goga, mia sorella, aveva bisogno di un torchio per fare le sue incisioni – racconta Alessandro – e noi glielo abbiamo costruito in un pomeriggio); ma utile anche dal punto di vista della socialità conviviale, “perché noi, invece che in cucina, ceniamo abitualmente in officina, intorno a un grande tavolo, in mezzo alle macchine” – precisa Alessandro. La sorella Federica, invece, in arte Goga, (“Lei è la nostra anima poetica – dice Alessandro – tutto quello che lei fa o pensa è pura poesia”) disegna su tutto ciò che trova, registra e proietta immagini perfino sui tovaglioli, creando immagini effimere, destinate subito a scomparire. Durante gli studi in architettura Alessandro Mason ha seguito una ricerca personale nell’artigianato, che ancora oggi continua nel suo laboratorio. Alessandro realizza le sue prime macchine nel 2005, con movimenti pneumatici, elettrici e meccanici. Diverse esperienze legate all’arte lo portano a indagare il tema del meccanismo e del movimento in chiave poetica. Sono macchine di grandi dimensioni, sculture in metallo, vere e proprie opere di land art: si muovono azionate dall’acqua o dal vento, producendo suoni. Alessandro sogna di riuscire


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We are in Casacorba, in the province of Treviso, in the industrious North-east of Italy. The area is rich in tradition, with old and new factories and workshops that have mushroomed from nowhere. However, there are also the consolidated realities founded on local history and the habits of age-old crafts This is the case of the mechanical workshop that sits behind the home, a single unit where Alessandro Mason’s father used to work. Mr. Mason (Senior) is a retired metalworker. ‘My mother was a dressmaker who made wedding gowns. My father taught us to love machinery; my mother instilled a strong sense of poetry’. The two children, Alessandro and Goga (his pet name for his sister Federica), enthusiastically and discretely inherited their father’s legacy, accepting the precious gift of the miraculously wellpreserved ambiences of the workshop: it became the throbbing heart of the home and entered the domestic environment with tools, metal sheeting and a whole

range of instruments; these replace the common household utensils with the articles transformed into pieces of applied art. Their passion for machinery has led to the metal artefacts invading the domestic environment: in the bedroom for example, where the bed rests against a wall in punched metal and where the most important piece of furniture is a machine with pneumatic circuits; the night-light in his sister’s room is a spotlight used in silk-screening. The workshop measures 10 x 8 m and has a cement roof; its metal doors have been preserved. Like the house and the workshop, they were produced by Alessandro’s father. The place is full of drawers for screws and nails, plastic bottles and post-its stuck to every imaginable surface; there are machines for cutting 51 iron, lathes and hooks, all arranged in an extremely interesting order-disorder. It is useful for resolving urgent problems. Alessandro explained: ‘My sister, Goga, needed a torch for her etchings and we made one for her in just one afternoon’. However, the workshop is also a talking point ‘because instead of eating in a kitchen, we usually dine in the workshop,


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around a huge table surrounded by pieces of machinery’. Alessandro’s sister Federica, aka Goga, ‘is our poetic soul – everything she does or thinks is pure poetry. She draws on anything she finds, she records and even projects images onto tablecloths, creating ephemeral patterns that are destined to disappear.’ During his architecture studies, Alessandro Mason carried out a personal research into crafts and this is still ongoing in the workshop. Alessandro produced his first machines in 2005, with pneumatic, electrical and mechanical movements. A number of art-based experiences led Alessandro to examine the issue of mechanisms and movement in a poetic light. The metal machines are large, almost sculptural pieces of land art; they are driven by water or wind; they produce sound. Alessandro dreams of being able to build a machine as big as an industrial crane. To do this, he will call on the help of his friends who occasionally work in the workshop with him and sleep in the mobile homes parked in the adjacent courtyard. Alessandro commented: ‘Water is an unpredictable energy source; it changes, it is beautiful but it can also cause devastation. I have designed machines that accept the fragile side of nature; they adapt to the individual cases, they move with grace and clarity, they vibrate with energy, they heat up with water that in turn admires and exalts its shapes. To be successful in this undertaking, they have to take death into account, something they can never escape. These are ephemeral machines that try to become part of nature, to dialogue with it, not mixing with it but presenting its soul without a mask’. So his is unbridled passion, as Aldo Cibic wrote: “Alessandro is the proud son of a metalworker and continues the creative and poetic work of his father in the Treviso countryside, designing and constructing major and minor works that are fuelled by water”.” His ideas reach far to the horizons – to land art; the sounds are dreams, a mixture of industrial noise and a well-tempered harpsichord music. The models are the envy of John Hejduk, the drawings on old maps, such as those of Carol Rama, between visionary and land registry” writes Beppe Finessi. Finally, there is the Gisto project (his father’s name) in which the workshop is used as an alternative space for sound and light entertainment shows (one was created with an electrical soldering machine while a musician created sound with metal objects); it is used as a workshop, a laboratory, theater shows… As Alessandro explained: ‘It is a study based on reality but it is also a safety valve’. Dall’alto, in senso orario: un appunto scritto con il gesso e un paio di metalli con calamita sulla parete metallica;Alessandro Mason con gli occhiali da saldatore; bottiglie di plastica per conservare viti e chiodi. Nella pagina a lato, dall’alto in senso orario: un’elaborazione grafica digitale su incisione realizzata grazie a dei macchinari costruiti in officina, opera di Federica Goga Mason, sotto ‘lampada per momenti importanti’ con diffusore in acciaio inossidabile bombato a mano e infine un leggio per poesie d’amore per leggere all’aperto con pesi per tenere ferme le pagine in caso di vento.

a costruire una macchina grande come una gru da cantiere. Per farlo, conta anche sull’aiuto di amici che lavorano con lui occasionalmente in officina e dormono in camper sistemati nel cortile. “L’acqua è energia imprevedibile e mutevole, bellezza e devastazione, vita e morte – asserisce Alessandro – Ho progettato macchine che accettano le fragilità della natura, accettano il caso, si muovono con grazia e chiarezza,vibrano, si surriscaldano attraverso l’acqua, apprezzano ed esaltano le sue forme. Per riuscire in quest’impresa devono fare i conti anche con la morte, esse infatti non la eludono mai. Sono macchine effimere che provano ad appartenere alla natura, che dialogano con essa, non mescolandosi con essa ma presentandosi senza maschere”. Insomma, una passione senza confini, la sua, come ha scritto Aldo Cibic di lui: “Orgogliosamente figlio di un fabbro continua in modo creativo e poetico il lavoro di suo padre nella campagna trevigiana, inventandosi e costruendo con le sue mani opere grandi e piccole che funzionano con l’acqua”. “Le sue idee hanno grandi orizzonti, quelli della land art, i suoni sono sogni, tra musica industriale e un clavicembalo ben temperato. I modelli da far invidia a John Hejduk, i disegni su vecchie carte come quelli di Carol Rama, tra visionarietà e catasto” scrive Beppe Finessi. Infine, c’è il progetto Gisto (è il nome del padre), che consiste nell’usare l’officina come spazio alternativo per spettacoli di suoni e luci (ne è stato fatto uno con la saldatrice elettrica mentre un musicista ricavava suoni da oggetti di metallo), per workshop e laboratori, spettacoli teatrali… “Uno studio sulla realtà – afferma Alessandro – ma anche una valvola di sfogo”.

From top, clockwise: a note written with chalk and a couple of pieces of metal attached by magnets to the metal wall. Alessandro Mason with his metal-worker’s goggles; plastic bottles used to store screws and nails. On the opposite page, from top clockwise: a digital graphic design on an incision created using machinery built in the workshop, by Federica Goga Mason; below, a lamp for important occasions, with a hand-shaped stainless steel diffuser, and finally, a reading stand for reading romantic poetry outdoors, complete with weights to hold the pages on


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CASA E LAVORO HOME AND WORK


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OPEN SPACE

Txt: Elviro Di Meo Ph: Alessio Guarino

La casa studio di una stilista di moda, realizzata con gli elementi della tradizione architettonica del luogo, caratterizzata da un design essenziale e da un rigoroso controllo delle geometrie e dei volumi, è la perfetta importazione del loft americano

Project: Nobuaki Furuya + NASCA

Se la forma, al di là della componente estetica, è la rappresentazione del concetto che sottende tutta la filosofia progettuale, allora l’architettura è tanto più vera quanto più è in grado di esternare il contenuto intrinseco del progetto stesso; quando, cioè, riesce a trasformare in materia la ‘nuvola’ iniziale che avvolge lo schizzo primigenio, esprimendone segni e significati, lontano da pastiche stilistici e per nulla avulso dal contesto, di cui il nuovo manufatto entra a far parte. Nella casa Ohan, realizzata a Inage-ku, una delle sei municipalità della città di Chiba, l’architetto Nobuaki Furuya, fondatore dello studio NASCA e professore all’Università di Waseda, introduce il modello del loft americano, adattato alla tipica cultura giapponese. Uno spazio completamente aperto, eppure così introverso, tanto da concludersi nel giardino antistante che diventa l’elemento integrante del progetto, vista la relazione instaurata, è il luogo in cui convivono l’atelier di una stilista di moda e la relativa cellula abitativa. Le funzioni di studio, lavoro, accoglienza, ristoro e privacy si consumano all’interno di un ambiente di oltre ottanta metri quadrati, dove sono le differenze materiche e cromatiche a caratterizzare le varie aree funzionali, segnate da un rigoroso controllo dei volumi e delle geometrie e da un’essenzialità quasi spartana. Legno, vetro, pietra naturale, e i rivestimenti in cemento, composti da pannelli montati in loco, nelle sfumature del grigio, e volutamente spogli di qualsiasi rifinitura che formano sia nel piano di copertura e sia in verticale l’involucro architettonico, concorrono a definire la texture degli interni. Non meno importante il compito affidato alla luce naturale. Luce che filtra dall’alto, attraverso le ‘bocche’ circolari; delle quali una si affaccia sull’ingresso, da cui si accede allo studio e al grande soggiorno, una sul lavabo della stanza da bagno, e la terza in corrispondenza tra quest’ultima e il living; proprio nel punto dove si apre la porta in legno, laccata bianca, incassata nella muratura dello stesso colore, chiamata a svolgere un ruolo di demarcazione tra la sala e il resto dell’abitazione. Una superficie muraria dalla linea concava che separa lo spazio multifunzionale, interamente illuminato dalla parete in vetro aperta sul verde attrezzato – come vuole la tradizione nipponica -, che poi confluisce e si elabora, appena lasciato l’uscio di casa, nel tratto convesso che funge da perimetro del giardino. E se la fluidità del muro divide il quadrato leggermente allungato della planimetria, oltre a ‘drammatizzarne’ la geometria perfetta, è la cucina, avvolta nella sua gabbia, che cela la camera da letto, sulla cui parete di fondo si eleva a tutt’altezza l’armadio in legno, dallo stesso living, dove trova posto il divano, appoggiato alla parete, la scrivania e le eleganti poltrone in vimini. A terra, le grandi lastre di pietra autoctona, opportunamente squadrate, formano un pavimento omogeneo e costante; che, alla pari di un enorme tappeto, rafforzano l’unità sintattica dell’insieme compositivo. In questa pagina, in alto a sinistra: l’ingresso dell’abitazione sottolineato dai gradini in pietra naturale. A destra: la grande parete in vetro, aperta sul giardino progettato in perfetto stile orientale, che illumina – (immagine in apertura di servizio) - il living multifunzionale con l’angolo studio.

On this page, top left: the entrance to the home exalted by the steps in natural stone. Right: the large glass wall, open on the garden inspired by the Oriental styles. The window (see the opening shot) illuminates the multifunctional living room with the study corner in the foreground.

Drawings: courtesy Nobuaki Furuya + NASCA

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The studio-home of a fashion designer is the epitome of the American loft. It has been created with elements of the local architectonic tradition, characterized by basic design and severe control of the shapes and the volumes Apart from the esthetic component, when the shape is the expression of the concept for the entire design philosophy, the architecture is more realistic if it can exalt the intrinsic content of the project itself; when this manages to transform into matter the initial ‘cloud’ that wraps around the primitive sketches, it expresses signs and meanings lying light years from the messy styles that clashed with the context surrounding the new build. The Ohan building, constructed in Inage-ku, one of the six municipalities in the city of Chiba, was designed by Nobuaki Furuya, founder of studio NASCA and Professor at the University of Waseda; he introduces the idea of the American-style loft, adapted to suit the typical Japanese culture. The space is completely open, yet introverted, and terminates in the garden in front of the building; it becomes an integral part of the project, given the relationship forged; here there is the co-habitation of a fashion workshop and a home. The functions of study, work, welcome, catering and privacy are contained within more than 80 sq.m., where the material and chromatic differences characterize the various functional areas, branded by a severe control of the volumes and the shapes and the

Planimetria/Plan layout

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On this page: the bathroom, the atelier and the entrance to the home positioned The concave line separates and connects the two areas of the home. On the opposite page: the door that leads from the atelier to the living room.

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bathroom, and the third in correspondence to the bathroom and the living room, where the wooden door opens; it is dipped in white, recessed in the walls of the same color, and defines the separation between the lounge and the rest of the home. A concave brick wall separates the multifunctional space, internally illuminated by the glass wall that opens onto the garden – styled according to typical Japanese traditions – and this continues into the convex part that acts as the perimeter of the garden. The smooth lines of the wall sub-divides the slightly elongated rectangular space, in addition to softening the perfect lines of the geometry; the kitchen camouflages the bedroom behind a floor-to-ceiling wooden wardrobe; in the living room, a sofa rests against a wall and is joined by the desk and the elegant wicker armchairs. Large squared slabs of local stone form a uniform continuous flooring and like a large rug emphasizes the syntactic unity of the ensemble.

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In questa pagina: la stanza da bagno, l’atelier e l’ingresso dell’abitazione collocati all’interno dell’area racchiusa da una superficie muraria illuminata da ‘bocche’ circolari aperte nel soffitto. La linea concava separa e, nello stesso tempo, mette in relazione i due spazi della casa. Nella pagina accanto: la porta che dall’atelier conduce nel soggiorno.

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CASA E LAVORO HOME AND WORK

Txt: Elviro Di Meo Drawings and images: courtesy Atelier Yuko Shibata Ph: Ryohei Hamada

Project: Yoko Shibata

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In questa e nella pagina accanto: la camera da pranzo che, a seconda delle esigenze, si trasforma in una comoda sala riunioni, grazie alla ‘sliding door’ che consente l’accesso alla piccola biblioteca. On this and the opposite page: the dining room depending on the requirements, it can be transformed into a comfortable meeting room, thanks to the sliding doors that provide access to the tiny library.

SWITCH: DUE ANIME, STESSO PROGETTO SWITCH: TWO SOULS, ONE PROJECT Tokyo, quartiere Setagaya. Per Yoko Shibata: “Quando l’ufficio di una persona è separato dalla casa, ci sarà sempre una porta a unirli. Per me, l’apertura della porta è simbolica. É come un interruttore con il quale cambiamo le modalità da ‘lavoro’ a ‘casa’” Pareti scorrevoli, pannelli sovrapposti, ambienti a scomparsa. C’è un’identità precisa, sebbene il dualismo delle aree funzionale, nel progetto di ristrutturazione chiamato ‘Switch’: la casa-studio realizzata dal giovane architetto Yuko Shibata e ubicata nel popolato quartiere di Setagaya, uno dei più grandi agglomerati della metropoli giapponese. In una struttura di poco più di ottanta metri quadrati si ritrovano i segni e le caratteristiche della Tokyo contemporanea, dove la carenza fisica degli alloggi, di fronte al continuo fabbisogno abitativo, e il ritmo frenetico della quotidianità urbana obbligano a scelte contenute; decisamente orientate all’utilizzo parsimonioso dello spazio costruito. La cellula, così com’è stata ridisegnata, si trasforma, dunque, secondo le esigenze e le ore della giornata, in un dinamico luogo di lavoro. Il tutto è impostato in un ambiente fluido, che non compromette nessuna delle attività per le quali è stato ideato, senza, di fatto, rinunciare alla privacy necessaria che ufficio e abitazione richiedono. È soprattutto l’intervento di riconfigurazione dello spazio e di riqualificazione degli interni, affidato al design degli arredi, a fornire alla casa, in precedenza limitata al solo uso residenziale, la capacità di adattarsi alle mutate richieste del proprietario, assumendo una versatilità tale da poter cambiare veste. “Inizialmente il committente – spiega Shibata – voleva modificare la planimetria, così da separare nettamente il living dalla sezione studio e dalla sala riunioni. Il che sarebbe stato impossibile, vista la struttura originale e il modo con cui era stata costruita. Ci siamo trovati di fronte, infatti, a una costruzione a telaio in cemento armato, in cui quasi tutti i muri avevano una funzione portante. Intervenire su uno di questi avrebbe comportato seri problemi statici”. Da qui, l’attenzione del progettista si è spostata verso una soluzione meno radicale e sicuramente non invasiva. “L’aggiunta di due librerie, ciascuna con una porta, ci ha permesso, infatti, di creare uno spazio che riesce a essere, di volta in volta, casa o ufficio, o viceversa; lasciando, così, invariato l’impianto planimetrico”. Il primo scaffale è stato aggiunto alla sala riunioni. Spostando la porta, montata su un telaio in acciaio, rivestita in legno sul lato rivolto verso l’area pranzo e in cartongesso dipinto sul prospetto che guarda sulla libreria, e facendola scorrere su un binario, si divide in due lo spazio dedicato ai meeting. In questo modo, si viene a creare una piccola biblioteca. Non solo, il pannello contiene anche un’apertura che consente di oltrepassare il tavolo da pranzo, in modo che questi possa essere condiviso con la biblioteca o con la sala riunioni. Stessa soluzione introdotta nella camera da letto, dove è stata inserita la seconda delle librerie disegnate. L’apertura


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Tokyo, Setagaya district, for Yoko Shibata: “When a person’s office shares the home, there will always be a door joining them. Personally, I feel that opening a door is symbolic. It is like a switch that transforms the ‘workplace’ into a ‘home’”

di quest’ultima ad angolo retto nasconde l’area notte e determina un passaggio che permette di avvicinarsi allo scaffale dall’ufficio – vista la relazione istaurata tra i due ambienti -, senza passare per la stanza da letto. Quando il pannello/libreria è aperto, infine, si crea una partizione tra la camera e lo studio; il che riesce a modificare lo spazio rendendolo simile a una biblioteca. “Penso – aggiunge l’architetto – che, in genere, ogni qualvolta l’ufficio di una persona sia diviso dalla casa, ci sarà sempre una specie di porta a unirli. Per me, l’apertura di questa ha assunto un valore simbolico: come un interruttore, per l’appunto switch – (da cui deriva il nome del progetto) -, con il quale cambiamo le modalità da ‘lavoro’ a ‘casa’. E restando in tema di similitudini, aggiunge: “In questo caso, laddove la sede dell’ufficio e la superficie abitabile condividono lo stesso spazio, è stato per me importane includere un elemento che richiamasse alla mente il concetto di ‘interruttore’ e trasformasse l’ambiente. In entrambi gli spazi, l’interruttore ha preso la forma di una grande porta”.

Sliding walls, overlapping panels, ambiences that disappear. There is a precise identity, with the dual purpose of the functional areas, in the restructuring project called ‘Switch’: the home-studio created by the young architect Yuko Shibata in the densely populated district of Setagaya, one of the largest quarters of the Japanese city. The structure of just over 80 sq.m. shows all the signs and 61 characteristics of contemporary Tokyo, a city where the severe lack of housing to satisfy the increasing demand, and the chaotic pace of everyday city life oblige the construction of smaller units and a parsimonious use of space. The cell has been redesigned and can be transformed into a dynamic workplace on the basis of the requirements and


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the time of day. The ambience flows well and does not jeopardize any of the planned activities or the degree of privacy necessary for the office or the home. This spatial rearrangement and requalification of the interior design allows the previously residential unit to adapt to the changing needs of the proprietor. It assumes an extremely high degree of versatility. Shibata explained: ‘Initially the client wished to change the plan layout and separate the living quarters from the studio and meeting room facilities. This was an impossible task because of the original structure and the way it was constructed. We were dealing with a framework in reinforced concrete with every wall having weight-bearing qualities. Any intervention would have resulted in serious stability problems’. Consequently, the architect’s attention shifted to a less radical solution that was undeniably non-invasive. ‘The addition of two bookcases, each with a door, allowed us to create a space that could be transformed, when required, into a home or an office, without modifying the layout plans’. The first bookcase was added to the meeting room. We moved the door – on a steel frame and a wood-panel on the side 62 that faces the dining area, painted plasterboard on the side facing the bookcase; it now slides on tracks to split the meeting area in two. In this way, we created a small library. But that’s not all. The panel also contains an opening close to the dining table that allows this to be used in the library or the meeting room. The same solution has been used in the bedroom where

the second bookcase has been installed. The right-angled opening of this door hides the sleeping quarters and creates a corridor that provides access to the shelving in the office – given the relationship created between the two areas – without having to cross through the bedroom. When the panel/bookcase is open, it creates a partition between the bedroom and the studio; this modifies the space and creates something similar to a library. The architect explained: ‘In my opinion, every time an office is shared by the home, there will always be some sort of door that will join them. I feel that the door has a symbolic value: like a switch (the name given to the project), it changes the ‘work’ mode to the ‘home’. In cases like these, where the office and the home share the same space, I felt it was important to include an element that symbolized this transformation. And in both spaces, the ‘switch’ was a large door.’

In questa pagina, in alto a sinistra: un’immagine della cucina retrostante alla libreria. A destra, la planimetria con l’individuazione delle aree funzionali: in grigio sono indicati gli ambienti adibiti a ufficio, in bianco gli spazi riservati all’abitazione. Al centro e in basso: schemi di progetto dell’area pranzo e della camera da letto, separate entrambe dalla sliding door. Quest’ultima – (immagini nella pagina accanto) - divide, infatti, la zona notte dalla working room. Quando il pannello/libreria è aperto si crea una partizione tra il letto e lo studio; il che riesce a modificare lo spazio rendendolo simile a una biblioteca.

On this page, top left: a shot of the kitchen behind the bookcase. Right, the layout plans with identification of the functional areas; gray indicates the offices, and white indicates the living quarters. Center and bottom: project plans for the dining area and the bedroom, both separates by a sliding door. The doors (shown on the opposite page) separates the sleeping quarters from the working room. When the panel/ bookcases is open, it creates a partition between the bedroom and the studio, and modifies the space into something resembling a library.


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NEW CONCEPT

La facciata completamente nera della casa si distingue dalle più tradizionali finiture a mattoni rossi delle case vicine. Interessante la scelta di chiudere le finestre originali e creare delle nuove aperture senza cornici, dalle quali si intravedono gli ambienti interni: lo studio al piano terra, la cucina e la zona living. The black facade is completely different to the traditional red brick finish of the nearby houses. The architects made an interesting choice to black-out the original doors and windows and create new openings without frames; these allow views of the interiors: the studio on the ground floor, the kitchen and the lounge.

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Txt Francesca Tagliabue Ph: Frans Hanswijk

FUSIONE ARMONICA HARMONIOUS FUSION

Project: Studio Rolf.fr/Zecc Architecten

Nei Paesi Bassi, un recupero architettonico si trasforma in opera d’arte totale Case alte e strette dai tetti a spiovente, costruite una appoggiata all’altra a definire le vie di una città. Nel tempo i muri portanti si sono inclinati, le architravi hanno ceduto sotto il peso dei mattoni, ma queste piccole imperfezioni contribuiscono a creare il fascino delle vecchie strade delle città olandesi. A Rotterdam, un sobborgo occupato un tempo da fabbriche e opifici sta subendo un lento processo di riconversione; tra qualche anno un intero quartiere abbandonato sarà trasformato in signorile zona residenziale e le strade torneranno a nuova vita. L’amministrazione municipale di Rotterdam ha infatti deciso di vendere a privati alcune ‘metier house’ abbandonate da trent’anni, affinché queste particolari architetture vengano ristrutturate e abitate da un unico nucleo familiare. È all’interno di questo progetto che si inserisce il magistrale recupero di una casa costruita cent’anni fa, realizzato dallo Studio Rolf.fr in collaborazione con Zecc Architecten. Si tratta della Black Pearl House, una palazzina di quattro piani che si distingue da quelle vicine perché dipinta completamente di nero. La facciata principale riassume in sé tutte le principali caratteristiche dell’originale abitazione: una compenetrazione tra antico e moderno che crea un’allure surrealista, fatta di repentini cambi di prospettiva e illusioni ottiche vicine all’assurdo. Delle aperture originali è stato mantenuto solo l’ingombro, dipingendo con infissi, porte e vetri di nero. Per garantire un’adeguata illuminazione gli architetti hanno realizzato nuove finestre quadrate, inserite a cavallo tra il muro di mattoni e i vecchi scuri.


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In the Netherlands, reclaiming architecture is transformed into a work of total art Tall narrow houses with pitched roofs, with party walls that define the streets across the city. Over time the weightbearing walls have sloped, the architraves have buckled under the weight of the bricks, yet these small imperfections contribute to the fascination of the old streets in the Dutch city. A suburb of Rotterdam, an area previously occupied by factories buildings and warehouses is undergoing radical change; in a few years’ time, this derelict district will have been transformed into a delightful residential area and the roads will have been brought back to life. The Rotterdam city council has decided to sell some ‘metier houses’ to private investors. These buildings were abandoned thirty years ago and will soon be refurbished and occupied by family units. Within the scope of this project, the recovery of a building constructed one hundred years ago. The makeover was completed by Studio Rolf.fr in collaboration with Zecc Architecten.

Piante di tutti i livelli/ Layout of all floors

I progettisti definiscono la Black Pearl uno ‘spettacolo architettonico’; e lo show continua oltre l’ingresso. I muri perimetrali sono stati mantenuti a creare una ‘scatola’, mentre tutte le strutture interne (soffitti, solai, pareti divisorie) sono state abbattute per creare un unico spazio aperto alto undici metri, lungo dieci e largo cinque, dove le stanze sono collegate da scale che si rincorrono come in un disegno di Escher. La superficie totale di 170 metri quadrati è stata organizzata in maniera razionale: al piano terra si trova uno studio e, all’esterno, un cortile privato con piante di bamboo. Salendo, si incontrano la cucina, il soggiorno, le camere da letto e i bagni. Il tetto è stato trasformato in un giardino pensile, una piccola oasi verde privata con tanto di vasca Jacuzzi. Persino negli ambienti privati sono stati mantenuti alcuni retaggi del passato; e così, addentrandosi nelle diverse stanze, ci si imbatte in ringhiere di ferro battuto e pareti scrostate di mattoni rossi. Per gli arredi (alcuni realizzati su misura) e le finiture sono stati scelti solo cinque colori: nero, bianco e tre diverse tonalità di grigio. Un progetto totale, un’opera da mostrare e una casa confortevole in cui vivere ogni giorno. Sotto: una vista degli ambienti interni. Il bianco dei pavimenti e dei muri contrasta con gli arredi, tutti in tonalità che vanno dal nero profondo al grigio più chiaro. Nella pagina accanto, in senso orario, la zona studio a livello della strada, il cortile interno e il bancone della cucina.

Below: a view of the interiors. The white of the floors and the walls contrasts with the furnishings in shades from absolute black to pale gray. On the opposite page, clockwise, the studio on the ground floor, the interior courtyard and the kitchen counter. Sezione longitudinale/ Longitudinal section

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The Black Pearl House has four floors and contrasts with its neighbours because of its completely black facade. The main facing contains all of the original features of the previous building; a mixture of old and modern creating a surreal allure, with continuous changes of prospective and optical illusions that are close to the absurd. Only the shape of the original windows remains as the frames, doors and glass panes have been painted black. To provide adequate illumination, the architects have created new square-shaped windows inserted between the brick walls and the old blackened panes. The designers have described the Black Pearl as an ‘architectonic spectacle’; and the show continues on the inside. The outside walls have been maintained Sezione trasversale/Transversal section


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to create a box, while all of the internal structures (ceilings, floors and partition walls) have been demolished to create a large open-space 11 meters high, 10 meters long and 5 meters wide. The rooms are connected by stairwells that create an image similar to something designed by Escher. The total floorspace of 170 sq.m. has been organized in a completely rational manner; the studio has been created on the ground floor and outside, there is a private courtyard planted with bamboo. On the next floor, the kitchen, the lounge, the bedrooms

and the bathroom. The roof has been transformed into a garden, a small private oasis complete with Jacuzzi. The private quarters also contain some of the period features; inside the rooms, 67 there are wrought iron railings and visible brick walls. For the furnishings (some of them custom made) and the finishes, the architects used just five colors: black, white and three different shades of gray. A work of total design, something to be placed on show and a comfortable house to be lived in and enjoyed every day.


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CASA E LAVORO HOME AND WORK

Txt: Paolo Rinaldi Ph: Stefano Mariga

ABITARE E LAVORARE DAL SESTO AL SETTIMO PIANO LIVING AND WORKING ON THE SIXTH AND SEVENTH FLOORS Ne apprezzano la vicinanza e al tempo stesso la separazione. Si tratta della casa studio milanese di Catharina Lorenz e Steffen Kaz, due designer che hanno saputo trovare il giusto equilibrio tra spazio lavorativo e ambiente casalingo, alternandosi tra sesto e settimo piano

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Un angolo della zona living. Di recupero la poltroncina e le sedie, che provengono dalla mensa del Royal College of Art di Londra. Nella pagina a lato, sopra: sempre nella zona living, un tavolino di recupero, la lampada Parentesi e, a parete, un disegno di Bruno Munari. Sotto: la parete attrezzata a libreria. La rocking chair è assemblata con due pezzi diversi di recupero. A corner of the living room. The armchair and the seats were reclaimed from the snack bar in London’s Royal College of Art. On the opposite page, above: again in the living room, a reclaimed table, the lamp Parentesi and on the wall, a drawing by Bruno Munari. Below: a wall that has been fitted-out as a bookcase. The rocking chair has been assembled with two different reclaimed pieces.

Entrando in casa, subito c’è un corridoio, a sinistra la camera da letto con un mobile a scaffali a capo del letto; la stanza è esigua ma attrezzata in modo da avere la luce naturale di fronte, una volta a letto; in un angolo un vecchio mobile della nonna di Catharina (la padrona di casa, la designer Catharina Lorenz, sposata con il designer Steffen Kaz). “La nonna – racconta – abitava in una zona ora in territorio polacco: il mobile ha viaggiato prima a Monaco di Baviera e poi a Milano, quando mi sono trasferita qui, mentre il letto e la libreria li abbiamo disegnati noi”. Una parete del corridoio è stata sacrificata per creare un armadio con porte a chiusura scorrevoli. La cucina è molto composita: piastrelle in ceramica preesistenti, dipinte di colori diversi, di nero su una parete, di azzurro su quella opposta, mobili di recupero, molti pensili e scaffali a vista, anche sopra il vano della porta d’ingresso. “Più che altro qui abbiamo fatto un gran lavoro di pulizia; la signora che vi abitava amava molto i fili elettrici alle pareti, per esempio. E non amava la luce naturale. Gli ambienti erano veramente buii”. Alle piastrelle sono incollati numeri e lettere in tedesco per il gioco e l’istruzione del piccolo di casa Leon, che frequenta già la prima elementare, mentre la sorellina minore frequenta ancora l’asilo. Si chiama Stella. In tutto l’appartamento i pavimenti sono vecchi, di mattonelle decorate. Catharina è arrivata a Milano da Londra nel 1995 e ha lavorato nello studio Sottsass prima di aprire un suo studio. Steffen, oggi suo marito, è arrivato a Milano più tardi, nel 1998, iniziando a lavorare nello studio di James Irvine, che aveva una commessa per un lavoro a Hannover e Mannheim e cercava quindi un designer di lingua tedesca. “Ma è stato così che ho conosciuto Catharina – racconta Steffen – perché James collaborava anche con lo studio Sottsass. Dopo esserci conosciuti, Catharina e io, abbiamo aperto uno studio insieme”. Quali sono i vostri progetti? “Noi disegniamo soprattutto mobili e in particolare sedie e tavoli. L’azienda più conosciuta con la quale collaboriamo è De Padova; poi, per un’azienda dell’Alto Adige, Rosin. E anche per l’azienda di Matteo De Ponti e Laura Macagno Colè italian design label e un’altra in Germania, la Zeitraum”. “Qui abitiamo, al settimo piano – raccontano – e sotto di noi, al sesto, abbiamo lo studio e quindi passiamo da un appartamento all’altro. È fantastico avere due luoghi così vicini, che si possono isolare: chiudi una porta e sei altrove, ma sempre in uno spazio tuo. Avere casa e studio insieme, invece, significa svegliarsi e mettersi alla scrivania senza rimedio. Poi bisogna tener presente che noi abbiamo due bambini, che vogliono uno spazio casalingo ma anche partecipare alla nostra vita lavorativa. A Leon piace disegnare. Per portarli a scuola e riprenderli, ci alterniamo al mattino


Crossing the threshold, there is a corridor; to the left, the bedroom with a shelving unit at the bedhead. The room is compact but furnished with natural light in front of the bed. In one of the corners, there is a piece of furniture that belonged to Catharina’s grandmother. Designer Catharina Lorenz owns the house with her husband designer Steffen Kaz. “My grandmother – she explained – lived in an area that now belongs to Poland: this piece of furniture travelled to Munich and then to Milan when I moved here. We designed the bed and the bookcase. Part of the corridor was sacrificed to create a slide-robe. The kitchen is compact: we left the existing ceramic tiles painted in different colors – black on one wall, pale blue on the opposite wall; there are reclaimed pieces, open shelving units that extend above the entrance doorway. ‘We basically did a major clean-up job; the lady who lived her had electrical wires exposed on the wall for example. She did not like natural light. The rooms were really dark’. German numbers and letters have been applied to the wall as a learning game for their son Leon who

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is attending first-year in primary school. His sister Stella is still attending day-care. Throughout the apartment, the flooring consists of old decorated tiles. Catharina arrived in Milan from London in 1995 and worked in Studio Sottsass prior to opening her own studio. Her husband Steffen came to Milan at a later date in 1998 and began working with Studio James Irvine. This studio had been awarded a contract for a project in Hannover and Mannheim and therefore needed a German mother-tongue designer. Steffen explained ‘Catharina and I met because James was also working with Studio Sottsass. When we met, we decided to open a studio together’. Tell me something about your designs? ‘Our designs are largely for pieces of furniture, tables and chairs in particular. We work with the well-known company, De Padova; we design for Rosin, a company based in Alto Adige/South Tyrol, for Matteo De Ponti and Laura Macagno Colè italian design label and another company in Germany - Zeitraum”. “We live here on the seventh floor and our studio is below on the sixth floor. It is great to have the two places so close together yet separate: close the door and you step into another world that still belongs to you. Having the home and the studio together demands extreme discipline. Our two children need to have a home and also be a part of our professional life. Leon loves to draw. We alternate with the morning and afternoon school runs’. Two days every

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The advantages are the proximity and the separation of the two domains. The Milanese homestudio property of two designers, Catharina Lorenz e Steffen Kaz enjoys the equilibrium bewteen the workplace and the domestic environment that are split over the sixth and seventh floors

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In alto: la cucina. Qui sopra: Catharina e Steffen nello studio, nei rispettivi spazi di lavoro. Nella pagina a lato: i post-it con le lettere dell’alfabeto, applicati sulle piastrelle in cucina, e i due designer, insieme, a un tavolo di lavoro.

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Top: the kitchen. Above: Catharina and Steffen in the studio, at their workstations. On the opposite page: post-its decorated with the letters of the alphabet applied to the kitchen tiles, and the two designers together at one of the work benches.

e al pomeriggio”. Due giorni a settimana Steffen si sposta a Bolzano dove insegna all’Università. Nella camera dei bambini, con un post-it attaccato allo stipite della porta, stanza di Leon, c’è scritto, ci sono un armadio-letto con soppalco e un lettino per la bambina. In giro, giocattoli e libri. Non vedo in casa la tv. “Non abbiano la televisione – tengono a precisare – e anche i bambini non ne sentono la mancanza”. Ci sono invece, nel soggiorno molti libri e cd musicali. “Il tavolo di legno è di recupero e l’ha rimesso in ordine Catharina. Le sedie sono quelle della mensa del Royal College of Art di Londra, dove io ho studiato – dice Steffen – le buttavano quando hanno deciso di comprarne di nuove. Sono di design inglese, Rodney&Kingsmen, del 1972. La lampada sul tavolo è di Barber Osgerby per Flos, l’altra, da terra, è la Parentesi “ma non più con la sua lampadina originale – lamenta Steffen – ahimé, i bambini…”. Il quadro è di Bruno Munari, trovato veramente per caso, in una bottega che chiudeva mentre la rocking chair è di recupero, un ibrido di due pezzi diversi combinati fra loro. Ci spostiamo nello studio, a un piano inferiore, dove, mentre la parete di sinistra è occupata dalle librerie con libri e molte riviste di architettura e design, a destra si apre un spazio riunione con servizi, poi in sequenza il laboratorio attrezzato per lavorazioni diverse e le due stanze affrontate adibite a ufficio. Nella parete dello spazio riunione figura un grande atlante del mondo, in legno intagliato. “L’ha fatto mio padre – ricorda Catharina – che aveva una fabbrica di legname e questo era nell’ingresso. Il tavolo Utis è su nostro disegno per De Padova mentre le sedie sono prototipi e anche la sedia per Colè è in fase di ri-design: abbiamo aggiunto una gamba, in origine erano solo tre”. Nelle due stanze, dove lavorano nell’una Steffen e nell’altra Catharina, altri prototipi per il Salone del Mobile “per l’azienda Rosin, per la quale curiamo anche l’immagine grafica e i cataloghi” e lampade industriali, mobili contenitori per i disegni dei progetti e macchine per cucire il cuoio e i tessuti. L’atmosfera è rilassata, le luci diffuse, i gesti pacati… buon lavoro.


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In alto: la saletta per riunioni. A parete, il mondo intagliato nel legno da padre di Steffen, proviene dalla fabbrica che aveva in Germania. Qui sopra: il laboratorio e, accanto, un mobile per la conservazione dei disegni. Top: the meeting room. On the wall, inlaid wood depicting the world, a piece created by Steffen’s father. It originated in a factory he owned in Germany. Above: the workshop and to the side, a piece of furniture for storing the drawings.

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week, Steffen travels to Bolzen where he lectures at the university. A post-it on the door to the children’s bedroom indicates ‘Leon’s room’. The room has been furnished with a closet-bed unit with a platform and a bed for Stella. There are books and toys everywhere. There is no TV – ‘We don’t have one – the designers explain – and the children don’t miss it’.

There is any number of books and music CDs. ‘We salvaged the wooden table and Catharina brought it back to life. The chairs originated from the snack-bar of the Royal College of Art in London, where I studied – explained Steffen. The Royal College was throwing them away and replacing them with new ones. The design is English by Rodney&Kingsmen,

in 1972. The table lamp was designed by Barber Osgerby for Flos; the standard lamp is by Parentesi “but not all of it is original now because of the children’s exuberance…’ The painting is by Bruno Munari and we found it by pure chance in a closing-down sale. The rocking chair is a piece that was created from parts of two different units.

In the studio on the floor below, the left wall of the entrance corridor has been furnished with bookcases heavy with architecture and design books and journals; on the right, a meeting room and washroom, the workshop equipped for a range of activities and two rooms used as offices. One wall of the meeting room has been decorated with a large


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wooden map. ‘My father made this – explained Catharina – he had a timber company and this had been installed in the entrance lobby. We designed the Utis table for De Padova; the chairs are prototypes and the chair for Colè is also being re-styled: originally there were three legs. We added a fourth’. Steffen works in one room and Catharina works in another; the rooms contain additional prototypes for the Furniture Salon for the company, Rosin. We are also responsible for the graphic images and the catalogues’ and industrial lamps, storage containers and machines for stitching hide and fabrics. The general atmosphere is relaxed, with soft lighting, smooth gestures… ideal for creativity.

In alto: un dettaglio della libreria nello studio. Sopra, a sinistra: Steffen e Catharina mostrano un loro progetto; a destra, una sdraio e una sedia. Accanto, a sinistra: modellini di aeroplani. Top: a close-up of the bookcase in the studio. Above, left: Steffen and Catharina present their project; right, a lounger and a seat. Left, opposite: airplane models.

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ARCHITETTURA ARCHITECTURE

Txt: Roberto Cascone Ph: Eleonora Di Marino

CASA E LAVORO HOME AND WORK

IL PUBBLICO NEL PRIVATO PUBLIC FACILITIES IN PRIVATE QUARTERS Attività domestica ed espositiva intrecciate in una home gallery, novità assoluta della Sardegna

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È indubbio che il post moderno abbia segnato la contemporaneità con ecclettismo e multifunzionalità, delle cose e dei luoghi. Argomenti che in arte hanno radici profonde, basta pensare ai ready made di Duchamp, la cui funzione e lettura cambia a seconda del contesto, ovvero dell’intenzione d’uso. Nulla di strano, dunque, che la propria abitazione possa diventare, a seconda delle esigenze, spazio espositivo, archivio, museo, magazzino. Nel caso GiuseppeFrau Gallery, spazio no profit fondato nel 2009 da Pino Giampà, con la collaborazione di Barbara Martusciello, la posta nel villaggio minerario Normann di Gonnesa (CI), la propria dimora ha addirittura una dimensione neosituazionista di identità totale tra vita privata e vita pubblica. La casa, un appartamento composto da ingresso, bagno, cucina, due camere e salone con annesso sgabuzzino, posto al piano rialzato di una palazzina, infatti non è solo lo stumento attraverso il quale il gallerista espone il lavoro degli artisti, li ospita, li rifocilla; è una sorta di creatura mutante, quasi un work in progress. A seconda delle necessità, la casa viene modificata attraverso piccole opere murarie, aperture di passaggi, verniciature, installazione di luci, come un cantiere in cui si lavora alla continua ricerca di spazio. Assumendo una funzione relazionale e culturale, la home gallery ha persino un ruolo di supplenza dell’attività pubblica


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A domestic environment combined with a home gallery is something completely new in Sardinia There is no doubt that the post-modern movement marked contemporary living with eclecticism and multi-functional designs applied to items and locations. These issues are deeply-rooted in art; just think of the ready-made items by Duchamp, the function and interpretation of which changed depending on the context or the intended use. There is nothing strange, therefore, about the fact that a home can change depending on the requirements and be transformed into an exhibition space, an archive, a museum, a storeroom. The Giuseppe Frau Gallery (GFG) is a non-proďŹ t enterprise founded in 2009 by Pino GiampĂ , in collaboration with Barbara Martusciello; the location is the mining village Normann in Gonnesa (CI). The home was used to create a new In alto: esterno della GFG nel Villaggio Minerario Normann. In basso: installazione di Emanuela Murtas ed Eleonora Di Marino sulle performance fatte a Milano con cassaintegrati ex Rockwool, luglio 2011. Nella pagina precedente: ingresso della GFG. Top: outside of GFG in the Normann Mining Village. Bottom: installation by Emanuela Murtas and Eleonora Di Marino on performances in Milan with redundant former employees of the company Rockwool, July 2011. Opposite: GFG’s hall.

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locale, (siamo nella provincia più povera d’Italia). Posta su una collina da cui si gode una vista immensa, immersa nel microclima sub tropicale della verde Sardegna del Sud-Ovest, proprio nel cuore di un suggestivo ex villaggio minerario, la GFG è così diventata l’ideale incubatrice delle attese, dei sogni e delle speranze di giovani artisti sardi. La funzione di incontro e aggregazione che segue ogni vernissage è favorita solo anche dalle condizioni ambientali dunque, tant’è che il gazebo inscritto nel cuore del boschetto adiacente alla casa, persino con un po’ di pioggia, è il luogo idele per cene e infiniti dopo mostra. Qui artisti noti a livello internazionale come Christian Frosi, Diego Perrone e Giuseppe Stampone hanno incontrato i loro colleghi sardi, alcuni dei quali, Eleonora Di Marino, Emaunela Murtas, Riccardo Oi e Davide Porcedda, tutti nati dopo il 1988, sono sbarcati a Milano. Quasi fossero un collettivo, essi sostengono la galleria e cooperano al progetto di integrazione tra abitazione e attività

the artists, he houses them, nourishes them and refreshes them; it is a sort of mutating creature, almost a work in progress. Depending on the require76 ments, the house can be modified with minor masonry changes, doorways can be opened in the walls, the walls can be painted, lights can be installed, like a building site in which the work is all geared to increasing the space. By taking on the role of interface and cultural promotion, the home gallery also supports the local public activities (it should be remembered that this is

professionale, vita e lavoro, sempre con un occhio teso, attraverso la ricerca artistica, al territorio in cui sono nati e cresciuti, e dove la Giuseppe Frau Gallery, collaborando con altre associazioni e le istituzioni locali, ma senza mai utilizzare denaro pubblico, sta diventando un punto di autorevole proposta e confronto anche con le istanze politiche, sociali ed economiche non solo locali. Per informazioni www. giuseppefraugallery.com

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dimension of total identity between the private quarters and public amenities. The home is an apartment consisting of a entrance hallway, a bathroom, a kitchen, two bedrooms and a lounge with an adjoining closet; it is situated on the first floor of a small block and is not just the instrument with which the gallery-owner exhibits the work of

Dal basso in senso orario: Riccardo Oi, Myland (2011); sullo sfondo Davide Porcedda, Operazione Nebida.Masua (2011-2012). Il vecchio spaccio della miniera. Cena per il workshop di Luca Trevisani. Dal basso in senso orario: Veronica Gambula, Luigi Bove, Alberto Spada, Pino Giampà.

From the bottom, clockwise: Riccardo Oi, Myland (2011); in the background Davide Porcedda, Operazione Nebida.Masua (2011-2012). The old shop at the mine. Dinner for the workshop by Luca Trevisani. From bottom, clockwise: Veronica Gambula, Luigi Bove, Alberto Spada, Pino Giampà.


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the poorest province in Italy). Positioned on a hill providing a spectacular view, basking in the sub-Tropical microclimate of the lush South-West portion of Sardinia, right in the heart of the suggestive former mining village, GFG has become the ideal melting pot for the expectations, the dreams and the hopes of young Sardinian artists. Meeting and aggregation events that follow every vernissage is also encouraged by the environmental conditions; there is a gazebo in the heart of the woodland adjacent to the

house. And even when the rain falls, it is the ideal place for convivial dinners and never-ending soirées. Internationallyrenowned artists such as Christian Frosi, Diego Perrone and Giuseppe Stampone are given the opportunity of meeting the Sardinian colleagues - Eleonora Di Marino, Emaunela Murtas, Riccardo Oi and Davide Porcedda, with the common features being that they were all born after 1988 and they all moved to Milan. It could almost be described as a collective operation; they support the gallery and cooperate with the project

of integration between the home and the professional activity, life and work, with an eye firmly fixed on the territory expressed through artistic research. This is the land where they were born and where they grew up; it is where the Giuseppe Frau Gallery, in collaboration with other associations and the local institutions, without every using public funds, has become a reference point for the presentation and the comparison in political, social and economic circles in Sardinia and further afield. www. giuseppefraugallery.com

In senso orario: camera da letto Emanuela Equilibrio Precario, veduta dell’installazione. 2x1, particolare dell’installazione di Emanuela Murtas, Eleonora Di Marino, Riccardo Oi, Davide Porcedda e Valentina Desogus (2011). Clockwise: bedroom Emanuela Equilibrio Precario, view of the installation. 2x1, closeup of the installation by Emanuela Murtas, Eleonora Di Marino, Riccardo Oi, Davide Porcedda eandValentina Desogus (2011).

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ARCHITETTURA ARCHITECTURE

Txt: Giorgio Bersano

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CASA E LAVORO HOME AND WORK

ARCHITETTURE MINIME COMPACT ARCHITECTURE Simile agli Stati Uniti per la quantità di abitazioni unifamiliari, il Giappone vanta un patrimonio immobiliare di poco inferiore ai 50 milioni di unità di cui una buona metà composta da residenze singole. Non solo nelle zone agricole o nelle località turistiche, ma anche e soprattutto nelle aree industriali o nei territori metropolitani. Proprio nelle aree urbane questa consolidata tradizione ha permesso l’originale incontro fra accelerata modificazione del sociale, formule avanzate del progetto, particolarità della struttura urbana. L’affermarsi di una categoria di individui fra i 30 e i 40 anni poco inclini al matrimonio e orientati all’instabile vita di coppia o alla condizione di single; la crescente abitudine di abbinare spazi privati con superfici attrezzate per il lavoro; la singolare dimensione di lotti minimi derivanti dalla tradizione medioevale di tassare la proprietà a partire dalla estensione del fronte su strada; sono condizioni che hanno permesso una infinita serie di soluzioni fondamentalmente diverse anche se simili nei caratteri generali. Si tratta di edifici dalle ridotte dimensioni, per le limitate superfici dei lotti di appartenenza, che presentano singolari conformazioni coerenti con la volontà della committenza di ritrovare una propria specifica identità e l’esigenza di sfruttare il più possibile i vincoli dei regolamenti. Sono architetture spesso dal carattere introverso, per la necessità di isolarsi dal contesto edilizio all’intorno, all’interno ispirate a formule di integrazione spaziale capaci di mescolare i modelli della tradizione locale con i disinvolti nomadismi della esistenza post-moderna. La particolarità della committenza e la elevata domanda hanno favorito la sperimentazione di celebri architetti giapponesi come Tadao Ando, Shigeru Bahn, Kazuyo Sejima, Toyo Ito, a più riprese autori di abitazioni di piccole dimensioni. Ma accanto alle opere di famose archistar, il territorio giapponese presenta una infinita serie di proposte di residenze minime elaborate da


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giovani progettisti alla ricerca di una propria notorietà. Diverse nei materiali, nella forma, nelle soluzioni, le proposte delle nuove generazioni rivelano una metodologia di progetto che risente della vocazione al provvisorio introdotta dalle condizioni sismiche del territorio e dalla instabilità della struttura sociale. Soprattutto estrapola alla scala edilizia le procedure del design dell’oggetto industriale, esprimendo un ludico orientamento lontano da ogni adulta assunzione di responsabilità. Lo dimostrano i tre edifici, illustrati nelle pagine che seguono, capaci di esemplificare gli orientamenti e l’originalità delle proposte elaborate da alcuni dei rappresentanti della nuova generazione di architetti giapponesi.

Japan is a country on par with USA for the number of single-family dwellings. It has a real estate portfolio of just below 50 million units with approximately half of these detached homes. These are located in the farming communities, the tourist areas, the industrial zones and in the cities. In the cities, this consolidated tradition has allowed an original connection between the rapid modification of the social aspects, advanced formulas of the projects and the unusual features of the urban structure. We are witnessing the consolidation of a category of individuals aged between 30 and 40 years, not oriented to marriage, committed to unstable cohabitation or single living; there is a growing trend of combining the home and workplaces; the dimensions of minimum sites derives from the Medieval tradition of taxing properties on the basis of its street-side extension: these conditions consented an infinite series of fundamentally different solutions that have similar general features. The buildings are compact to limit the surfaces of the properties; the homes have unique arrangements reflecting the client’s desire to express his/her identity and exploit the building restrictions to a maximum. The architecture often has an introverted personality because of the need to be isolated from the surrounding urbanized context; on the inside, they are inspired by formulas of spatial integration that can mix the models of local tradition with the casual nomadic lifestyles of the post-modern existence. The special traits of the customers and the high demand for properties have encouraged experimentation by famous Japanese architects such as Tadao Ando, Shigeru Bahn, Kazuyo Sejims, Toyo Ito, who frequently design compact homes. However, alongside the projects by the famous leading lights of architecture, Japan contains an infinity of compact residential units processed by young designers who are striving to make their mark. The projects by the new generation of designers differ in terms of materials used, shapes, and solutions and they reveal a project know-how clearly influenced by the transitory nature of the buildings because of the seismic conditions of the country and the instability of the social structure. In particular, it extrapolates the design procedures used to create an industrial article to full-size building scale; they express a ludic orientation that is light years from the adult responsibility. The three buildings described in this article clearly illustrate this thought-train. They exemplify the orientations and the original nature of the proposals processed by some representatives of a new generation of Japanese architects.

HALL HOUSE I Otsu–Shiga, Japan

Kentaro Takeguchi, Asako Yamamoto/ALPHAVILLE

In alto: il fronte della Hall House 1, a Otsu-Shiga in Giappone, con il dislivello della sezione stradale. Top: the front of Hall House 1, in Otsu-Shiga, Japan, on a different level to the street.

Ph: Kei Sugino

Alphaville è un piccolo studio di Kyoto a cui si devono piccoli edifici residenziali, chiese dalle limitate proporzioni, qualche bar o ristorante. Fondato nel 1998 da Kentaro Takeguchi che ha studiato in Giappone e a Londra; insieme ad Asako Yamamoto, allievo della Facoltà di Architettura de la Villette di Parigi, Alphaville è una struttura professionale dotata di una relativa notorietà per la pubblicazione di qualche opera su riviste giapponesi o internazionali. Fra architetture non realizzate, edifici costruiti, studi di prototipi residenziali tesi a esplorare le potenzialità degli spazi minimi, alcuni degli interventi appaiono effettivamente rappresentativi di un originale modo di fare architettura. Fra questi la PH Gallery di Osaka, che abbina ambienti residenziali e spazi per una galleria d’arte racchiusi in un compatto volume in cemento; la W-Window House a Tokyo che sviluppa in verticale il ridotto ingombro del piano terra; la Roof on the Hill House a Takarazuka, dove una scomposta copertura è abbinata alla complessa articolazione dell’interno; la Hall House II a Kyoto che ripropone nel calcestruzzo il tradizionale impianto a parallelepipedo e il tetto a due falde delle abitazioni d’Occidente. La Hall House 1 a Otsu–Shiga di Alphaville è una delle realizzazioni più significative per le ridotte dimensioni, il compatto volume, le irregolari articolazioni della copertura, le complesse soluzioni dell’interno. Progettata per una coppia senza figli che desiderava il garage, uno spazio per il biliardo, la zona pranzo-cucina cui aggiungere la camera da letto con bagno annesso, l’edificio consiste in un unico ampio vano delimitato dalle mutevoli inclinazioni del tetto introdotte per la differenza di circa 1,5 m. del livello della strada fra un estremo e l’altro del lotto. Le anguste dimensioni del terreno hanno imposto le complesse disposizioni dello spazio e l’insolito andamento della copertura. Permettendo comunque di sfruttare il dislivello fra il primo e il secondo piano attraverso l’inserimento di una terrazza da cui fare penetrare la luce che inonda la costruzione. Il biliardo è stato collocato al piano terra, separato da alcuni gradini dalla zona pranzo-cucina, collocata su di un mezzanino dal quale ha inizio la scala che porta alla camera da letto aperta sull’ambiente complessivo. Più che una casa, il risultato della operazione è una attrezzatura per il tempo libero, ispirata a logiche del provvisorio, lontane da ogni senso di intimità, di protezione affettiva, di appartenenza consolidata. Quasi un punto di appoggio per una coppia poco interessata alla stabilità della famiglia e invece attenta alle tonalità ludiche del quotidiano, sottolineate 79 dagli ampi spazi assegnati all’automobile e al biliardo. Un contesto del resto coerente con la filosofia dei progettisti: “Vivere significa muoversi. In architettura il movimento implica lo spostamento da un ambiente all’altro. L’ambiente è lo spazio legato alla sua funzione. Le persone percepiscono lo spazio nel momento in cui si muovono. Il nostro intento è dunque quello di rendere stimolante la relazione dello spostamento”. A partire da tali convinzioni lo spazio interno è stato sottoposto a processi di frammentazione e condensazione, alla ricerca di una moltiplicazione degli episodi visivi destinata a dilatare le modeste proporzioni dell’edificio in una sequenza di micro-avvenimenti dello spazio. Un approccio felice già sperimentato negli interni di altre opere degli Alphaville, come House Twisted a Tokyo; New Kyoto Town House a Kyoto; la già citata Roof on the Hill a Takarazuka; i cui ambienti sono stati allestiti mediante processi di scomposizione e ricomposizione dello spazio alla ricerca di effetti orientati a dilatare gli angusti limiti della superficie a disposizione.


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Alphaville is a small studio in Kyoto specialized in the design of small residential units, compact churches and some bars and restaurants. It was founded in 1998 by Kentaro Takeguchi who studied in Japan and in London; Asako Yamamoto, a student at the Faculty of Architecture, Villette di Parigi is also a vital part. Studio Alphaville is a professional design structure; it enjoys a certain amount of popularity thanks to the publication of some articles in Japanese and international design magazines on architecture that did not materialized, constructed buildings,

studies for residential prototypes that present a new way of creating architecture. Among these, the PH Gallery of Osaka, that combines residential ambiences and an art gallery in a compact cement volume; the W-Window House in Tokyo that vertically-develops the compact ground floor; the Roof on the Hill House in Takarazuka, where a disjointed roof is combined with a complex interior design; the Hall House II in Kyoto, a cement version of the traditional building shape and the pitched roof of western homes. The Hall House 1 in Otsu–Shiga by

In questa pagina, dall’alto al basso: il fronte laterale della Hall House 1 con l’ingresso all’edificio e il portico del garage con l’accesso al soggiorno. Nella pagina accanto: veduta dell’interno con la balconata della camera da letto affacciata sul soggiorno; sotto, il divano del soggiorno inserito nei gradini che lo dividono dalla cucina.

On this page, from top to bottom: the side elevation of Hall House 1 showing the entrance to the building and the garage porch with access to the living room. On the opposite page: a view of the interiors with the bedroom balcony overlooking the living room; below, the lounge sofa positioned on the steps that separate the lounge from the kitchen.


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Alphaville is one of the most important projects because of its small size, the compact volume, the irregular shape of the roof, the complex interior arrangement. Designed for a couple with no children but requiring a garage, a billiard room, a kitchen-diner, en-suite bedroom, the home has been designed as one large room; the sloping site defined the shape that was defined by the pitch of the roof with a height difference of approximately 1.5 m between one end and the other of the site. The limited dimensions of the site, resulting from the union of two small portions at an angle of 20° dictated the complex arrangement of the space and the unusual shape of the roof. The design exploits the difference in level between the first and the second floor through the insertion of a terrazzo that 82 allows light to flood into the building. The billiard room has been positioned on the ground floor and is separated from the kitchen-diner by a couple of steps that lead to the mezzanine with stairs that provides access to the bedroom that overlooks the entire arrangement. Rather than a house, the result of the operation is a piece of equipment for

free-time inspired by the logic of the provisional and light years from any sense of intimacy, emotional protection or consolidated belonging. It is almost a stopover point for a couple with little interest in the stability of the family yet focused on the interesting shades of everyday life, emphasized by the large space for the car and the billiard table. The context is coherent with the designers’ philosophy: “To live is the activity of moving. The moving in the architecture means going to room to room. The room is the space with the function. People feel space when he or she moves. So we try to make that relation of moving stimulating”. Using this as a starting point, the interior space will be subjected to processes of fragmentation and condensation, in a quest for multiplication of the visual episodes destined to dilate the modest proportions of the building in a sequence of spatial micro-events. This is a joyful approach that has already been experimented in the interiors of other projects by the designers of Alphaville, such as House Twisted in Tokyo; New Kyoto Town House in Kyoto; the aforementioned Roof on the Hill in Takarazuka; the rooms have been

created through a process of spatial fracturing and assembly to achieve effects that dilate the greatly restricted surfaces available.

Sopra: il mezzanino con la cucina e la scala di accesso al piano superiore; sotto, la camera da letto e il bagno affacciati sulla terrazza. Above: the mezzanine with the kitchen and the access stairwell to the upper floor; above, the bedroom and the bathroom overlooking the patio.


Ph: Curiosity

Proprio come la ‘Petite Maison’, realizzata da Le Corbusier per i propri genitori sulle rive del lago Lemano nel 1923, la C1 House di Tokyo è stata progettata prima dell’effettiva acquisizione del terreno da destinare alla costruzione. Si è così verificato un ribaltamento delle metodologie di progetto, in genere ispirate a un dialogo serrato fra intervento e sito, rovesciate a favore di una preminenza dell’idea originaria nei confronti del contesto di collocazione. Altre analogie avvicinano le due opere: la pianta rettangolare, il ricorso a materiali avanzati, l’attenzione alla circolazione degli utenti nello spazio interno. A questi vanno aggiunti il volume scatolare, il tetto piano, l’adesione all’incalzare di una modernità che trasforma spazi e soluzioni della residenza, il ricorso a una estetica totalizzante che unifica interno ed esterno secondo un approccio spesso utilizzato dagli architetti del moderno per la definizione di opera dal carattere globale. La C1 House nasce dalla collaborazione di due giovani progettisti, Nicolas Gwenael e Tomoyuki Utsumi titolari rispettivamente degli studi Curiosity e Milligram. Se il secondo è di origine giapponese, Gwenael è nato in Francia e si è trasferito in Giappone nel 1991 dopo avere studiato a Parigi e a Londra. Il risultato della C1 House, di cui Nicolas Gwenael è l’effettivo committente, risulta comunque diverso dalle formule della ‘Petite Maison’ (progetto) di le Corbusier: per la diversa collocazione geografica, la distanza temporale, l’appar-

Just like the ‘Petite Maison’ that Le Corbusier designed for his parents on the banks of Lake Lemano in 1923, the C1 House in Tokyo was designed before the land for the project had been purchased. This completely upset the traditional design methods, generally inspired by the frantic dialogue between the project design and the building site; this was overturned in favor of the preeminent original idea in reference to the surrounding context. There are other similarities between the two projects: the

tenenza a contesti socio-culturali differenti. Se la casa di Charles Edouard Jeanneret è aperta alla superficie del lago e si ispira alla civiltà delle macchine ricopiando la spartana essenzialità degli edifici industriali, la C1 appartiene al denso tessuto della conurbazione di Tokyo dal quale si isola grazie alla introduzione di una impenetrabile pellicola trasparente. Riflettendo all’esterno le ombre di una vita familiare che articola tempo libero e lavoro in un unico spazio, la C1 House appare senza dubbio aggiornata nella propria definizione formale e si rivela coerente con le contemporanee tendenze del progetto giapponese o europeo, attento a occultare la matericità dell’edificio sotto una omogenea pellicola opalescente. Ne deriva una raffinata smaterializzazione della immagine, che risente della allargata estetizzazione di una post-modernità attenta alla enfatizzazione della forma, risolta attraverso il contrasto fra asettico rigore dell’involucro e calligrafico disegno di silhouette in movimento lungo la sgranata luminescenza delle pareti. Del resto l’obiettivo dei progettisti era allestire una architettura capace di trasferire nelle tre dimensioni dello spazio il mutevole effetto degli schermi digitali. “Il progetto non è definito dalla parete e dal pavimento, ma dal movimento del fruitore nello spazio, definito da una serie di scene. Come il fruitore apparirà e scomparirà di pavimento in pavimento per creare un movimento senza soluzione di continuità”. Costruita come un parallelepipedo che si sviluppa su tre piani, circondato da un percorso, la C1 House ripropone la logica ascensionale introdotta da Le Corbusier nella Ville Savoie del 1931 “Dans cette maison-ci, il s’agit d’une veritable promenade architecturale, offrant des aspects constamment inattendus, par fois etonnants”. Modello che gli autori trasferiscono entro i paradigmi della sur-modernità ricorrendo alla essenzialità riduttiva della tradizione del Giappone, la cui raffinata estetica contraddistingue minimali interni disegnati in ogni dettaglio alla ricerca di una esasperata coerenza della forma affidata a complessi giochi di luce che moltiplicano gli effetti della percezione. Ne deriva un oggetto incerto fra il design e il packaging alla grande scala, fino a predisporre una instabile proposta autonoma rispetto al contesto, costruita come potenziale prodotto erratico capace di migrare con indifferenza nei diversi anfratti della metropoli giapponese.

Sopra, a sinistra: l’esterno della C1 House a Tokyo con la rampa di accesso all’abitazione; di fianco, dettaglio della rampa e della balconata che avvolge l’edificio.

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Gwenael Nicolas/Curiosity + Tomoyuki Ustumi /Milligram Studio

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C1 HOUSE Tokyo, Japan

Above, left: the outside of C1 House in Tokyo with the access ramp to the home; to the side, close-up of the ramp and the balcony that surrounds the building.

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rectangular layout, the use of advanced materials, the attention to the people flow inside the building. Then there is the box-like shape, the flat roof, the orientation to modernity that transformed the spaces and the solutions of the residential amenity, the use of a common esthetic theme that unites the inside and the outside according to an approach frequently used by modern architects for the definition of a project with global appeal. The C1 House developed from the collaboration of two young designers, Nicolas Gwenael and Tomoyuki Utsumi, respectively from studios Curiosity and Milligram. Utsumi is of Japanese origin and Gwenael was born in France but moved to Japan in 1991 once his studies in Paris and London had been completed. For the design of C1 House, Nicolas Gwenael is actually the client and the project is extremely different to the

‘Petite Maison’ designed by Le Corbusier: partly for the geographical position, time span that separates the two projects, the different socio-cultural contexts. If the home of Charles Edouard Jeanneret interfaces with the lake and is inspired by the industrial civilization, copying the Spartan décor of factory buildings, C1 House belongs to the dense weave of Tokyo’s urbanization and is detaches from it thanks to an impenetrable transparent film. Thinking about the outside and the traces of family life with leisure- and work time in the same space, the C1 House undoubtedly appears to have updated its formal definition and appears to be coherent with the contemporary Japanese and European design trends; it also camouflages the material qualities of the building beneath a uniform translucent film. What results is an elegant dematerialization of the

image that is affected by the expanded esthetic dimension of post-modern orientation. The shape is exalted and defined by the contrast between the sterile lines of the shell and the calligraphic design of silhouettes that move along the grainy luminosity of the walls. However, the designers’ objectives were to create a piece of architecture that could transfer the changing digital screens into the three spatial dimensions. “The design is not defined by the wall and floor but by the movement of the user within the space, defined by a series of scenes. How the user will appear and disappear from floor to floor to realise the seamless movement”. Constructed as a box-like structure that is split into three floors and surrounded by a pathway, the C1 House reiterates the elevating logic introduced by le Corbusier in the Ville Savoie in 1931 “Dans cette maison-ci, il s’agit

d’une veritable promenade architecturale, offrant des aspects constamment inattendus, par fois etonnants”. (In that house, he created an architectural pathway, constantly offering unexpected aspects that would always astonish the observers). The designers transferred this model to the paradigms of the sur-modernity by resorting to the simple lines of Japanese traditions; the elegant esthetics mark the minimalist interiors with every detail of the exacerbated coherence of shapes assigned to the complex lighting effects that multiply the perception. What results is an undefined object on a large scale that lies somewhere between the design and the packaging, to create an independent proposal that is unstable with respect to the context. It can be described as a potentially erratic product that can move indifferently in the various districts of the Japanese metropolis.

Sopra a sinistra: particolare della balconata e vista dell’interno; di fianco, spaccati dell’edificio. Sotto: vista dello spazio dedicato alle attività lavorative e assonometria della costruzione.

Above left: close-up of the balcony and view of the interiors; to the side, shot of the building. Below: view of the space dedicated to the working activities and the arrangement of the building.

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In alto: interno del soggiorno; sotto a sinistra, il soggiorno con il camino; a destra, lo spazio adibito a cucina; di fianco, particolare della cucina con la soluzione a isola. Nella pagina successiva: la rampa di accesso e i locali del piano terra adibiti a ufficio.

Top: the lounge; below left, the lounge with the fireplace; right, the kitchen area; to the side, a close-up of the kitchen showing the island. On the opposite page: the access ramp and the rooms on the ground floor used as offices.


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Ph: Yohei Sasakura

Fondata nel 2009 da due giovani architetti di Osaka laureatisi nello stesso anno presso l’Università di Kansai, Tofu Architects è una realtà professionale che al suo attivo conta alcune abitazioni minime, qualche arredamento, un paio di oggetti di disegno industriale. Delle diverse realizzazioni H House è senza dubbio la più convincente, tanto che l’intervento può essere considerato ‘opera prima’ perchè dotato di una consistenza e di una dignità di linguaggio che lo distanzia notevolmente dalle precedenti e più elementari proposte. Collocata all’interno del denso tessuto urbano adiacente alla strada commerciale che collega la stazione con il castello di Hikone, H House si integra all’urbanizzazione che la circonda mediante un volume dalla sobria figuratività che con il contesto istituisce un apporto di continuità. In effetti la H House è risolta mediante un regolare volume caratterizzato da alcuni semplici elementi aggiuntivi: il tetto a due falde asimmetriche che ricopre l’edificio, la scala esterna che distribuisce gli appartamenti del primo e del secondo piano, il corpo aggettante dei locali di servizio che affiancano il bar al piano terra. Coerentemente con le richieste della committenza che intendeva sfruttare le possibilità insediative del lotto per realizzare un caffè e due alloggi, il primo destinato ai genitori del proprietario e quello più in alto utilizzato dal figlio del committente, gli architetti di Osaka hanno razionalmente distribuito le funzioni secondo modelli consolidati. Collocando al piano terra il bar, per consentirne l’accesso diretto dal livello della strada, poi disponendo gli alloggi negli spazi sopra il locale.

Founded in 2009 by two young Osakabased architects, and graduating in the same year from the University of Kansai, Tofu Architects is a professional reality that has designed some compact homes, pieces of furniture, a couple of articles of industrial design. Of their projects, H House is unquestionably the most convincing, given that the operation can be considered to be a ‘first project’ because its consistency and language dignity distances it quite considerably from the previous and more elementary proposals. Positioned inside the dense urban weave adjacent to the commercial avenue that connects the station with the castle of Hikone, H House integrates with the surrounding city through a volume of figurative simplicity that creates a dimension of continuity with the context. With H House the problem is resolved by a uniform volume characterized by some simple additional volumes: the roof with its asymmetrical pitched roof above the building, the external stairwell that leads to the apartments on the first and second floors, the protruding structure of the service rooms adjacent to the bar on the ground floor. Coherent with the requests of the client who had the intention of exploiting the building possibilities of the site to create a coffee-bar and two dwellings, one for the owner’s parents and other to be used by the client’s son, the architects in Osaka rationally distributed the functional areas according to consolidated models. They created the bar on the ground floor to allow walk-in access from the street and designed the homes on the floors above. To increase the surface area of the building, the access stairwell for the upper floors was moved to the outside. Thanks to its dimensions, this will create an instrument that, in conjunction with the two landings that lead to the apartments, can be used as a play area for children or a outdoor patio decorated with flowers in planters. To ensure the precise integration between the building and the surroundings, the new volume was designed so that the level of the floors and the surfaces of the landings coincided with the progression of the metal structure that forms the portico at street level. This element prevents the clear vision of the H House from the street it overlooks; it has transformed the side elevation into the main faça-

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Ogawa Fumiya, Higashino Tomonobu/Tofu Architects

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H HOUSE Ikone, Japan

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Il fronte principale della H House, a Ikone in Giappone, con la rampa di accesso agli appartamenti del primo e del secondo piano. The main facade of H House, in Ikone, Japan, with the access ramp to the apartments on the first and second floors.


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de. Even the presence of the stairwell highlights the residential function of the upper parts of the H House, with the residential purpose enhanced by the door at the center of an elevation on the first floor with limited openings. A different treatment was given to the rear elevation, interrupted by a fairly large number of windows; these overlook a tiny garden created in the limited space behind the bar. The street-side façade is partially hidden by the metal girders of the portico and on the second floor contains the door at street level that provides access to the bar. Well-established in the urban context and interfacing with it, H House restyles the brutal vocation

Per aumentare la superficie calpestabile della costruzione, la scala di accesso ai piani superiori è stata spostata all’esterno in modo da predisporre, grazie anche alle sue dimensioni, una attrezzatura che insieme ai due pianerottoli di accesso agli appartamenti diventasse spazio per il gioco dei bambini o la coltivazione delle piante in vaso. Allo scopo di garantire una precisa integrazione fra edificio ed elementi all’intorno, il nuovo volume è stato studiato in maniera che il livello dei piani e la superficie dei pianerottoli coincidesse con l’andamento della struttura in metallo che lungo l’asse stradale svolge funzione di porticato. La presenza di questo elemento, che impedisce la corretta visione di H House dall’asse di scorrimento sul quale si affaccia, ha trasformato il prospetto sul fianco in fronte principale. Anche per la presenza della scala, che sottolinea la funzione residenziale della parte alta della H House, i cui ruoli abitativi sono evidenziati dalla porta del 1° piano disposta al centro di un prospetto dalle limitate aperture. Trattamento diverso è stato invece riservato al fronte posteriore, attraversato da un più consistente numero di finestre, affacciato sul minuscolo giardino ricavato nel limitato spazio sul retro del bar. La facciata su strada, seminascosta dalle travature metalliche del porticato, ripropone al secondo piano l’apertura che lungo il marciapiede consente l’accesso al locale commerciale. Ben radicata nel contesto edificato con il quale istituisce un proficuo dialogo, H House rielabora le vocazioni brutaliste della architettura anglosassone dell’immediato dopoguerra, soprattutto esplicitate nelle opere di Alison e Peter Smithson. Degli Smithson l’edificio ripete l’uso di materiali economici e la razionalità del costruire, evidenziando logiche di brutali accostamenti di materiali o di proletarie esecuzione dei dettagli utilizzando un approccio che si ripete nell’essenziale design degli interni, dove superfici intonacate e pavimenti in legno si accoppiano a rustici rivestimenti in pannelli di legno grezzo.

of the AngloSaxon architecture in the immediate post-war years. It is particularly evident in the works of Alison and Peter Smithson. The buildings designed by the Smithsons involved the repeated use of economical materials and rational building techniques, highlighting Sopra a sinistra: il fronte su strada della H House inserito nel preesistente porticato lungo la strada. A destra in alto: l’ingresso del caffè; sotto, l’interno del locale. Nella pagina accanto: in alto a sinistra, il corpo rivestito in metallo dei locali di servizio annessi al caffè; di fianco, la sezione dell’edificio; al centro, tre vedute degli interni dell’appartamento al secondo piano; in basso, dettaglio del soppalco al secondo piano.

Above left: a streetside view of H House inserted in the existing portico along the road. Top right: the entrance to the coffeebar; below, the interiors. On the opposite page, top left, the metal-coated utility rooms adjacent to the coffee bar; to the side, a section of the building; at the center, three views of the interiors of the secondfloor apartment; bottom, close-up of the balcony on the second floor.

logics of ugly combinations of materials or the uncluttered construction details through an approach that is reiterated in the basic design of the interiors, where the painted surfaces and the wooden flooring are joined by rustic cladding of unfinished wooden panels.


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INTERNI INTERIORS

Txt: Paola Molteni Ph: Dedalo Derossi

Project: Derossi Associati (Pietro Derossi, Paolo Derossi, Davide Derossi with Anna Licata and Andrea Bogani)

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L’ABITAZIONE COME PARAGRAFO DELLA CITTÀ THE HOME IS LIKE A PARAGRAPH IN THE STORY OF THE CITY Dialogare con il contesto urbano, creando sequenze di case che raccontano la loro storia. Si tratta in questo caso della storia di un edificio residenziale a carattere sociale, nei pressi di Vercelli L’arte dell’architettura ha il compito di dare attenzione alle numerose esigenze abitative che emergono all’interno di una città, studiando criteri e schemi tipologici idonei. Lo studio Derossi Associati, che ha sede a Torino e opera nel campo dell’urbanistica, dell’architettura e del design, si è occupato della progettazione di un edificio residenziale a carattere sociale, ponendo attenzione non solo all’architettura minuta, quella che entra nelle case e sta a fianco degli utenti che usano gli spazi, ma anche alla città e alle strade. “Le città sono fatte di case dove abita la gente. Le case sono sulle strade, hanno altezze diverse, facciate diverse. Creano sequenze che ci raccontano le loro storie mentre passeggiamo. La strada è per noi come un testo a cui le case danno vita e senso, ogni casa è un paragrafo del grande libro che costituisce la città” queste le parole dell’architetto. Il lavoro di Pietro Derossi, professore ordinario di Progettazione architettonica al Politecnico di Milano e dal 1995 associato a Paolo e Davide Derossi, ha sempre mostrato grande responsabilità etica dell’estetica, ogni lavoro mette in discussione esperienze e convinzioni acquisite per relazionarsi al luogo e al tempo in cui l’opera deve essere collocata. Questo modo di operare e di studiare il contesto ha permesso a Derossi di utilizzare sempre una grande varietà di linguaggi: ogni opera si presenta come un nuovo racconto con una sua propria interpretazione. Siamo a Bertagnetta nel comune di Vercelli, l’edificio residenziale a cui lo studio di architettura torinese si è dedicato è costituito da 21 alloggi per un totale di 1633 mq dei quali 100 mq sono dedicati a serre solari. La forma è quella regolare della ‘stecca’ con due blocchi scale simmetrici; particolarità del progetto è rappresentata dai balconi. Sul fronte strada sono dislocate ‘serre solari’ che offrono un apporto energetico permettendo una buona ventilazione


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In apertura: vista del fronte strada dove sono dislocate le ‘serre solari’ (foto: Anna Licata). Sotto: la planimetria generale. Nella pagina a fianco, a sinistra: vista della facciata sul retro che presenta, in posizione assiale, il locale tecnico sormontato dal camino di esalazione. Opening shot: view of the streetside façade showing the ‘suntraps’ (photo: Anna Licata). Below: the general layout plans. On the opposite page, left: a view of the façade to the rear; note the axial position of the technical utility room topped by the chimney.

via A. Donna

via Senatore Bertola

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via G. De Maria


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degli alloggi d’estate e un accumulo di calore d’inverno. I balconi sul retro, dalla forma triangolare, ospitano strutture metalliche leggere predisposte per stendere i panni e un armadietto a uso deposito. L’assialità del prospetto è enfatizzata dalla posizione centrale del locale tecnico posto in sommità e sormontato da un camino di esalazione. L’impostazione simmetrica è rotta dalle finestre laterali che seguono le differenti logiche distributive interne, con un ulteriore ‘tradimento’ per via della scala di servizio esterna aggrappata all’edificio. Grande attenzione anche all’aspetto energetico, l’edificio ha una struttura ordinaria in cemento armato, solai tradizionali in latero-cemento e tamponamenti esterni in muratura con un ‘cappotto’ isolante di 12 cm di spessore per garantire una elevata prestazione secondo quanto è disposto dalla normativa vigente in materia di risparmio energetico. Ciascuna veranda ha porte vetrate laterali e finestre verso la strada dotate di zanzariere. Uno spazio è dedicato anche al verde con la sistemazione del prato e la piantumazioni di alberature ad alto fusto.

Pianta piano primo/Layout plans of the first floor

Prospetto sud-est/South-east elevation

Prospetto sud-ovest/South-west elevation

Prospetto nord-ovest/North-west elevation

Prospetto nord-est/North-east elevation

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A sinistra: vista prospettica del retro, dove si vede anche la scala ‘aggrappata’ alla facciata. Sotto: vista sui balconcini con gli armadietti metallici. Left: general view of the rear showing the stairwell clinging to the wall. Below: view of the balconies with the metal storage units.

Interfacing with the urban context, creating rows of houses that narrate their story. This tale describes the history of a socialhousing building, near Vercelli in northern Italy Architecture has the duty to pay attention to multiple living requirements that emerge in a city and it does this by studying the suitable criteria and designs. Turin-based Studio Derossi Associati is specialized in urbanplanning, architecture and design; it was contracted with the design of a building for social-housing. The brief requested attention paid not only to the finer details inside the individual homes for the people who live in the

homes but they also had to take the city and the streets into consideration. ‘Collections of homes where people live lead to the formation of cities. The homes are located on streets, they have different heights, different facades. They combine in sequences to tell us their story as we stroll by. In our opinion, the street is like a book defined by the houses; each house is a paragraph in this volume we call the city’: these the architect’s own words. The work was designed by Pietro Derossi, a lecturer in Architectonic Design at the Milan Polytech and since 1995, a member of an associated studio with Paolo and Davide Derossi. He has always shown great ethical responsibility for esthetics, each

project examines the experiences and acquired beliefs to form connections to the location and the timing of the project. The way he has studied the context and designed his project in harmony with the surroundings has allowed Derossi to exploit a wide variety of languages; each project is presented as a new story with its own interpretation. This case study is located in Bertagnetta in the northern Italian city of Vercelli. The Turin-based architecture studio designed a building containing 21 residential units for a total of 1633 sq.m. (with 100 sq.m. dedicated to suntraps). The uniform shape is emphasized by two symmetrical stairwells and the regular interrup-

tions of the balconies. Streetside, there are two suntraps that supply energy to cool the building in summer and heating it in winter. The triangular balconies to the rear are fitted with light metal structure for drying clothes and a storage cupboard. The axis of the façade is emphasized by the central position of the technical utility room on the roof topped by a 93 extractor chimney. The symmetrical arrangement is fractured by the side windows that follow the different interior distribution logics, with a further ‘betrayal’ injected by the external stairwell that clings to the side of the building. Maximum attention has also been paid to energy. The building has a basic structure in reinforced concrete,


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traditional floors in cement-brick and external brick walls protected by a 12 cm layer of insulation to comply with current energy-saving norms. Each veranda has French doors and 94 windows overlooking the street. They are complete with mosquito nets. Outside, the site has been embellished by a garden with a lawn and tall trees.

In alto: viste del prospetto su strada e dettaglio del balconcino con la serra. Qui a sinistra: vista della copertura. Nella pagina a fianco: dettaglio delle verande con porte vetrate e finestre dotate di zanzariera. Top: view of the streetside facade and close-up of the balconies with the suntraps. Left: view of the roof. On the opposite page: close-up of the veranda with the French doors and the windows fitted with mosquito nets.


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ARTE IN CITTÀ ART IN THE CITY

Txt: Paolo Rinaldi Ph: © Amit Geron. Courtesy Tel Aviv Museum of Art

Project: Preston Scott Cohen Inc., Cambridge, Massachusetts Project Team: Preston Scott Cohen, project architect, Amit Nemlich, Israeli architect; Tobias Nolte, Bohsung Kong, project assistants

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La nuova ala del Tel Aviv Museum, intitolata ai mecenati Herta and Paul Amir, ha una facciata composta da 465 pannelli prefabbricati di forma diversa, in cemento armato: una combinazione di forme e materiali che non ha precedenti nella città e stabilisce un nuovo punto fermo nella progettazione di edifici pubblici. The new wing of the Tel Aviv Museum, dedicated to its patrons, Herta and Paul Amir; the facade consists of 465 prefabricated reinforced concrete panels in an array of shapes: this shape/material combination is original in the city, creating a reference point for the design of public buildings.

TEL AVIV MUSEUM OF ART. SINTESI DI GEOMETRIE RADICALI A SYNTHESIS OF RADICAL SHAPES La compresenza di due paradigmi architettonici apparentemente inconciliabili caratterizza il nuovo edificio progettato da Preston Scott Cohen Architects: neutralità e spettacolarità architettonica convivono organicamente. L’edificio è composto da una serie di piani indipendenti, dai sistemi strutturali in acciaio, impilati l’uno sull’altro, collegati da episodi geometrici che risolvono la circolazione verticale. Le singole gallerie a pianta rettangolare sono organizzate attorno a un grande atrio illuminato da un ampio lucernario Il nuovo edificio, chiamato Herta and Paul Amir dal nome dei mecenati che ne hanno fatto dono alla città, fin dal suo intento, stabilisce con chiarezza un dialogo con le strutture preesistenti del Tel Aviv Museum of Art, con le tradizioni ben radicate della cultura architettonica israeliana, dalla molteplicità dello stile di Mendelsohn alla fissità del Bauhaus agli echi suggestivi della Città Bianca, il centro storico cittadino. Le parabole bianco luccicante della facciata sono composte da 465 pannelli prefabbricati di forma diversa, in cemento armato: una combinazione di forme e materiali che non ha precedenti nella città e stabilisce un nuovo punto fermo nella progettazione di edifici pubblici. Nell’interno, un disegno spiraliforme si avvolge intorno a un atrio, chiamato ‘lighfall’, cascata di luce, dalle superfici che attraversano la struttura in curva. Ci sono cinque livelli per l’edificio, livelli che si avvolgono appunto in torsione per ospitare grandi gallerie rettangolari all’interno del compatto sito irregolare. Le scale e le rampe che compongono la circolazione verticale collegano anche gli angoli più disparati delle gallerie, consentendo alla luce naturale di rifrangersi nei recessi più profondi dell’edificio. La nuova ala raddoppia lo spazio espositivo del Tel Aviv Museum of Art, altri cinquanta mila metri quadrati di nuove gallerie, oltre a diecimila metri quadrati per la sua biblioteca. Un nuovo auditorium di settemila metri quadrati consente l’istituzione di un fitto programma di proiezioni di film, spettacoli musicali, letture, conferenze e dibattiti, che rendono il Tel Aviv Museum of Art un centro indispensabile di attività per la comunità artistica e culturale della città. “Sono estremamente orgoglioso per aver avuto l’opportunità di lavorare con il Tel Aviv Museum of Art per la costruzione della nuova ala museale – ha dichiarato Preston Scott Cohen. Il programma del Museo ha lanciato la sfida di fornire più piani di grandi gallerie rettangolari all’interno di una sito triangolare, stretto, idiosincratico. La soluzione che abbiamo proposto è stata quella di far ‘quadrare il triangolo’, costruendo i livelli su assi diversi, che si discostano




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Le grandi gallerie rettangolari sono inserite all’interno del compatto sito irregolare e sono illuminate anche dalla luce naturale che proviene dal lucernario e si rifrange nei recessi più profondi dell’edificio.

The large rectangular galleries have been created on the compact and irregular-shaped site; they are also illuminated by natural light that floods down from the skylight above, refracting into the deepest recesses of the building.

Preston Scott Cohen stated “I am extremely proud of having had the opportunity to work with the Tel Aviv Museum of Art in the construction of the new museum wing. The Museum’s plans threw down the challenge to provide several large rectangular galleries inside a narrow, idiosyncratic triangular site. We decided to ‘squareup’ the triangle, constructing the floors along different axes; they are staggered and then unified by the lightfall. This

design decision allowed us to combine two apparently incompatible paradigms in a museum of contemporary art: the museum of white neutral boxes that provide an excellent and highly-versatile space for the exhibition of the works, and the museum of entertainment, that will impact the visitors and stimulate an exciting social experience. In this way, radical and conventional shapes are combined to produce an innovative and interesting museum experience”.


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IL TEMPIO DEL LIBRO THE TEMPLE OF THE BOOK

Txt: Annamaria Maffina Ph: Satoshi Asakawa

KANAZAWA UMIMIRAI LIBRARY. NUOVI ORIZZONTI LETTERARI NEW LITERARY HORIZONS

Project: Kazumi Kudo + Hiroshi Horiba/Coelacanth K&H Architects

Un effetto luce ‘punteggiato’ crea un’atmosfera soffusa e rilassata, adatta alla lettura e alla concentrazione. Siamo all’interno della Kanazawa Umimirai Library, nella prefettura di Ishikawa, in Giappone Un involucro di calcestruzzo forato che dall’esterno sembra un luogo asettico e noioso. Nient’affatto: nulla è come sembra o come appare, si tratta infatti della sede della nuova Kanazawa Umimirai Library. Ci vorrebbero tante vite, una di queste dovrebbe essere dedita alla lettura, esperienza che assume diversi significati per ogni lettore saltuario o abituale che sia. Un momento di divertimento, di assoluto relax, di conoscenza o semplicemente di curiosità, tutti questi aspetti – e molti altri – dovrebbero essere incorniciati in un luogo che si forgi a ‘Tempio del Libro’. Proprio questo hanno cercato di fare, traducendo l’idea in pratica, gli architetti Kazumi Kudo e Hiroshi Horiba, titolari dello studio di Tokyo Coelacanth K&H Architects, nella progettazione della Kanazawa Umimirai Library. In un’epoca in cui le biblioteche sono strutturate e ‘dipinte’, in base a usuali e vecchi schemi, come freddi archivi di libri e scaffali, questo progetto è radicalmente pensato per l’interconnessione culturale e sociale tra persone e, perché no, tra fascicoli di epoche e luoghi differenti. Un luogo pensato affinchè l’utente possa sostare e


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sedersi tranquillamente per dedicarsi alla lettura. Insomma non una biblioteca take away. Di conseguenza come spazio non più dedito unicamente e irreversibilmente alla catalogazione e alla consultazione di libri, potremmo ritenere la Kanazawa Umimirai Library il prototipo di biblioteca del ventunesimo secolo, un modello di sviluppo accessibile e auspicabile, per quanto riguarda la ‘politica’ architettonica, organizzativa e culturale, grazie anche a sale comuni e ampi tavoli. Una biblioteca composta da un’unica sala lettura minimale, ampia e silenziosa con luce soffusa; uno spazio ampio 45 m x 45 m, alto circa 12 m e sostenuto da 25 pilastri. Questa zona open space, comprende tavoli adibiti alla lettura, sia posizionati al centro della sala stessa, sia lungo alcune pareti e grandi scaffali ordinati in sequenza, ricolmi di libri. Insomma è qui che tutto avviene, la ricerca e la lettura, ma anche la curiosità di girare e avventurarsi in questo paradiso alla scoperta di volumi nuovi e mai visti, spinti dall’ordine e dalla linearità strutturale e organizzativa dell’intero edificio. La struttura è completata da un sistema di ultima generazione di riscaldamento e raffreddamento a pavimento radiante e da aperture sul tetto che creano condizioni climatiche ideali sia nei mesi estivi sia invernali.

Sopra: vista notturna della Umimirai Library di Kanazawa in Giappone, caratterizzata da una facciata forata da moltissimi oblò, illuminati. In alto: inserimento planimetrico. Nella pagina a fianco: la biblioteca vista durante il giorno nel suo involucro, simile a una pelle avvolgente e puntellata da circa 6.000 piccole aperture circolari, ampie 200, 250 e 300 mm, che permettono alla luce di illuminare l’interno. Above: nocturnal view of the Umimirai Library, in Kanazawa, Japan. The unusual facade is punched by numerous illuminated circular openings. Top: the layout plans. On the opposite page: the library viewed during the daytime with its outer coating similar to a protective skin; it is punched by approximately 6000 small circular openings, of diameter 200, 250 and 300mm, that allow the natural light to illuminate the interiors.

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In the Kanazawa Umimirai Library, in the Japanese prefecture of Ishikawa, the lighting system creates the ideal illumination for reading and for concentration From the outside, this concrete shell appears to be somewhere sterile and boring. Nothing could be further from the truth: the building is not what it seems; behind the anonymous façade, the new headquarters of the Kanazawa Umimirai Library, in Japan are dynamic and inviting. If we could enjoy several lives, one of them should be dedicated to reading, an experience that has a different meaning for each person, irrespective of whether a devourer of books or an occasional browser. Reading can be a moment of enjoyment, absolute relaxation, it can be for knowledge or purely to satisfy curiosity, and all of these aspects, and more, should be framed and contained inside a place created specifically as a Temple dedicated to Books. This is the direction taken by architects Kazumi Kudo and Hiroshi Horiba, from the Tokyo-based design studio, Coelacanth K&H Architects. In the project for the Kanazawa Umimirai Library, they attempted to put this idea into practice. In an era in which libraries are structured and arranged according to the old traditional schemes of sterile rows of books and endless shelving, the plans for the Kanazawa Umimirai Library have a radical orientation to cultural and social interconnection between people, and why not, literature from different periods and places. This amenity has been designed to invite visitors to spend time there, to sit down and read in peace and quiet, not the usual ‘take-away’ or lending library. As a result, it is not specifically and irreversibly dedicated to cataloging and consultation of books, and consequently, the Kanazawa Umimirai Library can be described as the prototype of the

Prospetto della facciata est/View of the East elevation

Tutta la superficie della facciata in calcestruzzo è simile a una pelle che avvolge l’edificio ed è puntellata da circa 6.000 piccole aperture sferiche, ampie 200, 250 e 300 mm, che permettono alla luce naturale di illuminare l’interno. Questo aspetto della facciata è ambivalente, ha una doppia ripercussione sia per l’ambiente interno sia per quello esterno. I fori permettono alla luce di penetrare, donando un’illuminazione naturale e soffusa ai lettori e dall’esterno attirano e invitano i passanti incuriositi. Creare spazi e strutture innovative, per estetica, tecnologie e valori architettonici che si discostino da quelli più usuali e rivisitati, non significa solo progettare ‘cose’ interessanti, ma progettare per un fine che trascenda il classico concetto del ‘bello’ in termini di estetica filosofica. La Umimirai Library fornisce un esempio per un nuovo approccio alla progettazione delle biblioteche, che, indubbiamente, è collegato alla nascita o alla valorizzazione di un nuovo senso del valore pubblico.

Prospetto della facciata sud/View of the South elevation

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Prospetto della facciata ovest/View of the West elevation

Prospetto della facciata nord/View of the North elevation


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underfloor heating and cooling system; skylights that contribute to creating optimal environmental conditions in the summer and in winter. The facade is concrete and wraps around the building like a skin; there are approximately 6000 small round windows (of diameter 200, 250 and 300 mm) that allow natural light to illuminate the interiors. The arrangement of the facade has two-fold importance with repercussions on both the interior and exterior environments. The windows allow soft natural light to penetrate the building yet from the outside, curious passers-by outside will be drawn to visit. Creating innovative spaces and structures in terms of esthetics, technology and architectonic value, something original that steps away from the usual design orientations, does not necessarily mean creating ‘something interesting’. It means breaking down barriers to transcend Pianta del terzo piano/Layout plans for the third floor

Pianta del secondo piano/Layout plans for the second floor

Pianta del primo piano/Layout plans for the first floor

21st century library, a model of accessible development and organizational innovation in terms of architectonic policy and a contribution to cultural education, thanks to the common rooms and the large consulting tables. The library has a single minimalist reading room that is large and silent; the lighting is soft throughout this space measuring 45m x 45m, 12 meters high and supported by 25 pillars. This open space contains the reading or consulting tables positioned in the center of the hall or against the walls, and large tidy sequences of shelving heavy with books. The structure is ideal for research and reading; however, visitors will also be curious to wander around this unique cultural paradise in the hopes of discovering new volumes, encouraged in their search by the order and the structural and organizational linearity of the entire building. The structure has been completed by the latest generation of radiant

the classical concept of ‘beautiful’ in terms of philosophical beauty; and in this case, the Kanazawa Umimirai Library is a wonderful example of this new approach to library design, undeniably bound to the renaissance or the awareness of a new sense of civic value.

105 Sopra: una parte della biblioteca senza libri, caratterizzata da uno stile sobrio, lineare e minimale nei colori tenui; da qui si raggiunge, attraverso le scale, il piano superiore. Above: a portion of the library with no books; the elegant, linear, and minimal style in soft colors is delightful; a stairwell connects this floor with the floor above.


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In alto e nella pagina a ďŹ anco: diverse vedute dell’interno, dei grandi scaffali ricolmi di libri, della zone con i tavoli adibiti alla sosta e alla lettura e di alcuni elementi strutturali quali i pilastri e i piccoli oblò sui muri che permettono alla luce naturale di penetrare soffusamente.

Top and on the opposite page: several views of the interiors, the large bookcases heavy with books, areas furnished with tables for relaxing and reading, and some of the structural elements such as the pillars and the small round openings in the wall that allow natural light to gently illuminate the interiors.


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MULTIFUNZIONITÀ MULTIFUNCTIONALITY


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TRASPARENZE DINAMICHE DYNAMIC TRANSPARENCY Txt: Monica Pietrasanta Ph: Filippo Simonetti

Project: Giampiero Camponovo Studio Camponovo Architetti & Associati Nuovo elemento di richiamo del tessuto urbano in zona Paradiso a Lugano, Palazzo Mantegazza accoglie al suo interno spazi amministrativi, commerciali e residenze private di lusso, garantendo con le sue facciate in vetro strutturale la massima permeabilità con il lago e le colline circostanti Fortemente voluto dal Cumune di Lugano e dagli imprenditori Sergio e Geo Mantegazza e vincitore di un Concorso internazionale a inviti, il progetto di Palazzo Mantegazza porta la firma dell’architetto Giampiero Camponovo, Studio Camponovo Architetti & Associati. Realizzato in posizione strategica, in pieno centro, a soli 15 metri dal lago e 300 metri dall’accesso autostradale, il nuovo edificio si sviluppa su undici piani fuori terra e cinque interrati per un tale di 35 metri di altezza e 3.108 mq di superficie. A destinazione mista, il nuovo volume integra perfettamente attività commerciali e culturali con un’esclusiva offerta residenziale.

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Una scenografica immagine della facciata Sud, rivestita con lamelle di acciaio ‘morbido’. A spectacular view of the front south, covered with ‘soft’ steel blades.


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A new impressive building in the urban fabric of the Paradiso area in Lugano, Palazzo Mantegazza accommodates administrative and commercial spaces as well as luxury private residences, relying on structural glass fronts to perfectly harmonize with both the lake and the surrounding hills Commissioned by the City Council of Lugano and entrepreneurs Sergio and Geo Mantegazza, and winner of an international guest contest, the project for Palazzo Mantegazza was drawn up by architect Giampiero Camponovo, of Studio Camponovo Architetti & Associati. Strategically located in the heart of the city, no more than 15 metres from the lake and 300 metres from the entrance to the motorway, the new building comprises eleven floors above ground level and five floors below ground level, rising 35 metres in height and covering an area of 3,108 square metres. The new, multi-purpose volume perfectly matches commercial and 110 cultural activities with exclusive residential accommodation. In the basement, a spectacular public entrance hall gives access to a restaurant and a multi-media room designed for events and shows, over an area of approximately 500 square metres, equipped with state-of-the-art technology (Internet, telecommunication systems, videoconferences etc.). The first three floors (1,600 square metres) house

Al piano interrato una scenografica hall d’ingresso pubblica dà accesso a un ristorante e a una sala multimediale per eventi e manifestazioni di circa 500 mq attrezzata con moderne tecnologie (internet, telecomunicazioni, video conferenze). I primi tre piani (1.600 mq) accolgono gli spazi commerciali, una piscina con vista lago, spazio fitness e centro benessere e gli uffici amministrativi. Ai livelli superiori sono state realizzate residenze di lusso. In particolare, al decimo e all’undicesimo piano si trovano tre prestigiose ‘ville’ sviluppate in duplex con roof-garden di pertinenza e due attici con vista lago privilegiata. Quattro piani interrati di posteggi e infrastrutture tecniche completano l’edificio. Espressione dell’architettura contemporanea, il palazzo di cristallo fonde insieme nel suo progetto tecnologia, leggerezza formale, luminosità e trasparenza a favore della massima osmosi con il paesaggio circostante grazie alla sua ‘pelle trasparente’. Elemento caratteristico dell’involucro sono infatti le pareti in vetro e acciaio, entrambe frutto di un’attenta ricerca tecnologica ed estetica. Il vetro strutturale con sistema di montaggio ‘glas fin’ e micro-lamelle solari incorporate connota l’intero prospetto Est fronte lago. Su questa stessa facciata quattro ‘costole’ architettoniche verticali movimentano come ‘vele’ la superficie accogliendo le terrazze private. Dinamico e articolato, l’edificio sottolinea inoltre con un corpo aggettante, sempre in vetro, il passaggio tra i primi tre livelli a destinazione commerciale e i piani superiori che accolgono le abitazioni private. Alleggerisce ulteriormente il volume l’arretramento degli ultimi tre piani rispetto la facciata frontelago. Il prospetto Sud dell’edificio, verso la collina, è invece interamente rivestito di lamelle in acciaio morbido, appositamente selezionate per la loro capacità di riflettere e dialogare con i colori dell’ambiente circostante grazie a un trattamento speciale messo


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Views of the main front overlooking the lake. Four vertical architectural ‘ribs’ function as ‘sails’ on the surface, accommodating the private terraces of the flats on the top floors. Located no more than 15 metres from the lake, the building comprises eleven floors above ground level and five floors below ground level, rising 35 metres in height.

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Alcune immagini della facciata principale fronte-lago. Quattro ‘costole’ architettoniche verticali movimentano come ‘vele’ la superficie, accogliendo le terrazze private delle abitazioni situate ai piani superiori. Realizzato a soli 15 metri dal lago, l’edificio si sviluppa su undici piani fuori terra e cinque interrati, per un tale di 35 metri di altezza.

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commercial facilities, a swimming pool overlooking the lake, a fitness and wellness centre, and administrative offices. The upper floors accommodate luxury flats. In particular, the tenth and eleventh floors are occupied by three prestigious duplexes with roof gardens and two lofts with stunning views of the lake. The building also includes four underground floors with parking spaces and technical facilities. A symbol of contemporary architecture, the glass building is a unique blend of technology, formal lightness, brightness and transparency, with a view to perfectly harmonizing with the surrounding landscape, based on its ‘see-through skin’. Its shell is composed of glass and steel walls, which are the fruit of accurate technological and aesthetic research. Structural glass with the glas fin assembly system and built-in tiny solar blades has an impact on the entire east front overlooking the lake. On the same front, four vertical architectural ‘ribs’ function as ‘sails’ on the surface, accommodating private terraces. In addition, the dynamic, well-structured building heightens – through a projecting body which is also made of glass – the passage between the first three levels for commercial use and the upper floors housing the private flats. The volume is further lightened by the top three floors which are set back from the front overlooking the lake. Whereas the south front of the building facing the hill is entirely covered with soft steel blades, specially selected for their ability to reflect and, interact with, the colours of the surrounding environment, on the basis of special treatment, as developed by the Thyssen Group. Created with the emphasis on the preservation of the environment, the flat roof was also designed to accommodate a garden, in accordance with the distribution of the surrounding hills. The impressive rounded glass wall of the public hall between via Paradiso and via Cattori is actually the hallmark of the building. The large glass hall, which is literally flooded with natural light, accommodates a small interior square on three levels. Space is enhanced by the spectacular spiral walkways with glass and steel rails. Conceived as real on air walkways, they look as if they intertwine, suspended between the ground and the sky, and provide interior connections, together with the panoramic lifts. The entrance hall reserved for residents occupies two levels; it is enhanced by green parts alternating with waterworks and an entire wall frescoed with a mural by the artist David Tremlett. The air-conditioning and ventilation systems in the neighbouring green area were also transformed into two original sculptures, with a view to further refining the background. Three staircase/lift units 112 allow for interior vertical connection and lead to the roof gardens, reserved for the duplexes and lofts. Rationally used energy and first-rate materials and technology, based on high, environmentally friendly heat insulation and soundproofing factors mean the foundation of the architectural principles of this building. The partition walls between the flats produce major sound deadening effects (57 dB).

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Planimetria piano terra/Plan of the ground floor

Planimetria piano tipo/Plan of a standard floor

a punto dalla Thyssen Group. Nel massimo rispetto dell’ambiente, anche il tetto a terrazza è interamente arredato a giardino seguendo l’orografia della zona collinare circostante. La scenografica vetrata arrotondata che caratterizza la hall pubblica tra via Paradiso e via Cattori, identifica di fatto il palazzo. Il grande atrio vetrato, e quindi letteralmente invaso dalla luce naturale, è connotato da una piazzetta interna disposta su tre livelli. Movimentano lo spazio le scenografiche passerelle ad andamento elicoidale con i parapetti in vetro e acciaio. Concepite come veri e propri camminamenti ‘on air’ sembrano intrecciarsi tra loro sospesi tra terra e cielo e garantiscono i collegamenti interni insieme agli ascensori panoramici. L’atrio d’entrata riservato ai residenti è disposto su due livelli e connotato dalla studiata alternanza di elementi verdi e giochi d’acqua oltre che da un’intera parete affrescata con un murales dell’artista David Tremlett. Gli impianti di climatizzazione e aerazione posizionati nell’area verde limitrofa sono stati anch’essi trasformati in due originali sculture a favore di un contesto estremamente raffinato. Tre gruppi scale/ascensori garantiscono il collegamento verticale interno e conducono ai roof-garden, riservati alle ville e agli attici. Un uso razionale dell’energia e la scelta di materiali e tecnologie di alto livello, con elevati fattori isolanti (termici e acustici) e rispettosi dell’ambiente, sono alla base dei principi architettonici di questo edificio. Le pareti divisorie tra i vari appartamenti presentano un elevato abbattimento acustico pari



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115 Il grande atrio vetrato, connotato da una piazzetta interna disposta su tre livelli. Delle scenografiche passerelle ad andamento elicoidale con i parapetti in vetro e acciaio e gli ascensori panoramici garantiscono i collegamenti interni. Nella pagina a fianco: alcuni dettagli dell’ingresso pubblico, dell’ingresso privato e delle aree comuni di palazzo Mantegazza.

The large glass hall accommodates a small interior square on three levels. Interior connections are provided through spectacular spiral walkways with glass and steel rails and panoramic lifts. Opposite: details of the public and private halls and of the shared areas of Palazzo Mantegazza.


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VISIONI VISIONS

Txt: Cristina Molteni Ph: Ketil Jacobsen - diephotodesigner.de

NEL PANORAMA INCONTAMINATO AN IDYLLIC UNCONTAMINATED SETTING

Project: Snøhetta Oslo AS

Una landa incontaminata nel paesaggio dei monti norvegesi; un rifugio per l’uomo, minimale e perfetto, da cui osservare il parco diventandone un silenzioso ma unico protagonista Siamo nel Nord Europa, riserva di paesaggi incontaminati e terre ancora inabitate dall’uomo, a perdita d’occhio; la Norvegia in particolare ospita circa 4,8 milioni di abitanti su una superficie di 385.155 chilometri quadrati, quindi, come è noto, una bassissima densità di popolazione: in media circa 15 abitanti/kmq, con alcuni picchi nelle poche città sulla costa e nell’area più meridionale del paese, mentre più a nord, avvicinandosi al circolo polare artico la terra è quasi disabitata. Lasciando la costa dei più noti fiordi e recandosi nel paesaggio montagnoso verso l’interno del territorio, nella Norvegia centrale, a nord di Bergen e circa all’altezza della cittadina di Alesund, si accede al Dovrefjell National Park, a circa 1250 metri di altezza, da cui si osserva il massiccio montagnoso denominato Snøhetta. Il luogo spettacolare che si vede nelle immagini di queste pagine, Hjerkinn, nel Dovre, è situato ai margini del Do-


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vrefjell National Park, in un luogo accessibile e frequentato da scuole e gruppi di visitatori per la sua storia e la natura selvaggia. Proprio qui la Fondazione norvegese dedita alla salvaguardia della renna selvatica, la Norwegian Wild Reindeer Foundation, ha voluto la costruzione di un padiglione per ospitare i visitatori, per l’osservazione del paesaggio e l’informazione su di esso, e ne ha affidato il disegno agli architetti Snøhetta (scopriamo così che il nome di questo studio di architettura deriva proprio da questo famoso monte della Norvegia). L’altopiano di Dovrefjell ospita oltre alla renne selvatiche, alcune specie animali e vegetali da proteggere, come il bue muschiato, maestoso animale già quasi estinto e poi reintrodotto in queste zone, la volpe artica e una varietà di specie botaniche endemiche; sulla sua terra così inospitale per l’uomo, freddissima e aspra, sono rimasti poi i segni di viaggiatori, di attività militari e di antiche tradizioni di caccia. Per tal motivo questa terra è molto conosciuta in Norvegia, e anche leggende, miti, poesie e musiche celebrano la robusta essenza del Dovre. Il padiglione che ne è nato è un piccolo oggetto di architettura, che colpisce immediatamente per la purezza del volume esterno, fuso con l’invitante forma organica, calda, dell’interno. Qualcosa di veramente particolare accade in quei soli 75 mq di superficie occupata, nel mezzo del paesaggio smisurato, in questo luogo di ritrovo, osservatorio privilegiato e caldo della natura e degli animali. Un’idea architettonica che è valsa allo studio di Oslo il premio come migliore World Display Building of the Year al WAF (World Architectural Festival) di Barcellona, nel novembre 2011. Il contrasto è tra il rigido involucro esterno e il cuore interno sinuoso e ‘morbido’, tra l’acciaio non trattato del rivestimento della scatola e la parete trasparente interamente vetrata verso la natura, e l’ampia seduta in legno riscaldata dalla luce calda del camino; la forma della struttura in legno è stata pensata come fosse una roccia o un iceberg erosi

Il padiglione nel Dovrefjell National Parkcon con la seduta esterna in legno, come scavata dall’acqua e dal vento. The pavilion of the Dovrefjell National Parkcon with wooden seating outside, apparently weathered by water and wind.

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Vista interna del padiglione, con la seduta, l’ampia parete completamente trasparente e il camino. View of the inside of the pavilion, with seating, a large completely transparent wall and the fireplace.

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dalla forza del vento e dell’acqua che scorre, e il camino, liberamente posizionato diventa quasi parte integrante di essa. La parete ‘scavata’ in legno si proietta poi all’esterno, dal lato opposto del padiglione rispetto alla parete vetrata, e diventa una seduta all’aperto, da cui osservare la natura senza confini, quando il sole ne riscalda le forme. Dal punto di vista progettuale è stata posta particolare attenzione alla qualità e alla durabilità dei materiali, in considerazione naturalmente delle rigide condizioni atmosferiche, soprattutto invernali, a cui sono sottoposti. Gli stessi materiali richiamano comunque la tradizione locale, senza perdere l’apporto delle nuove tecnologie, come quella con cui è stata realizzata la doppia parete in legno basata su una modellazione 3D, con macchina a controllo numerico. Nella tundra norvegese, macchiata di neve per buona parte dell’anno, il padiglione disegnato da Snøhetta rappresenta un contributo felice, un approdo senza fronzoli rispettoso della maestosa natura che lo circonda, a disposizione di un popolo che ama molto immergersi totalmente nella sua purezza.


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An idyllic uncontaminated setting amidst the Norwegian mountains: the perfect minimal shelter for man who observes the park and becomes the silent protagonist In the north of Europe, there are uncontaminated landscapes and settings as far as the eye can see. These are uninhabited lands of immeasurable beauty. Norway, for example, has just 4.8 million inhabitants on a surface area of 385,155 sq.km, consequently an extremely low population density of just 15 people per sq.km. The density increases slightly in the cities along the rugged coastline and in the more southern regions of the country. However, further north, closer to the arctic circle, the land is almost uninhabited. Leaving the world famous coastline and its fjords behind and heading towards the more mountainous terrain, in central Norway, north of Bergen and close to the town of Alesund, the Dovrefjell National Park, at an altitude of approximately 1250 m is a magniďŹ cent reserve where visitors can visit the mountain range called Snøhetta. The breathtaking beauty of this location oozes from the pictures of Hjerkinn, in Dovre. This is located on the edges of the Dovrefjell National Park, in a place that is accessible and frequented by schools and groups of visitors. It attracts for its history and its wild nature.

Pianta del progetto/Layout plans for the project

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Suggestiva immagine dall’esterno.

A suggestive image of the exteriors.


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It is here that the Norwegian Wild Reindeer Foundation decided to build a visitor center for the observation of the landscape and to provide detailed information on the park and the surroundings. The plans were designed by the architects of Studio Snøhetta (named after the famous Norwegian mountain) The Dovrefjell highlands are home to the wild reindeer, a number of protected animal and plant species, such as the musk cattle, a majestic animal risking extinction that has been reintroduced into this area, the arctic fox and a wide variety of endemic plants. This land is barren, cold and inhospitable. There are signs of past travelers, military

action and ancient hunting traditions. For this reason, the land is extremely well-known across Norway. Even the country’s legends, myths, poetry and music celebrate the strengths of Dovre. The building created is a tiny gem of architecture; the exterior purity of its volumes draw the eyes to its invitingly warm organic interiors. Something unique is taking place in just 75 sq.m. of this privileged welcoming observatory of nature and animal life. The plans for this building were awarded the best World Display Building of the Year Award at WAF (World Architectural Festival) in Barcelona, in November 2011. The contrast between the rigid external

shell and the soft, sinuous interior heart, the untreated steel of the coating and the clear glass wall that joins with nature and the large wooden seating positioned close to the warmth of the fireplace. The shape of the wooden structure was designed like a rock or an iceberg, weathered by wind and water; the curved fireplace is almost a part of it. The ‘carved’ wooden part is projected to the outside, from the opposite part of the building with respect to the glass wall; it is also used as open-air seating, providing a wonderful observatory on the infinite views when the surroundings are warmed by the sun. In design terms, special attention was

paid to the quality and the durability of the materials, chosen in consideration of the rigid atmospheric conditions that are particularly severe in winter. These materials were inspired by the local traditions, but have been projected into the 21st-century with the addition of new technology – for example, the double wall in wood produced using CNC 3-D modelling machinery. The Norwegian tundra is covered in snow for most of the year, and this building designed by Snøhetta can be described as a joyful contribution, a simple respectful addition to the spectacular natural surroundings, for a people that loves and appreciates its purity.

Interno del padiglione: qui i ragazzi delle scuole osservano e ammirano il paesaggio. Nella pagina a fianco, in basso: un’immagine al calar del sole.

Inside the building: here the schoolchildren observe and admire the landscape. On the opposite page, below: a view at sunset.


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Prospetto nord con la vista dell’interno/North elevation with a view of the interiors

Prospetto nord, facciata in vetro/North elevation, glass facade

Prospetto sud/South elevation

Sezione trasversale sulla copertura, con vista della facciata esterna Cross-section of the roof with a view of the external façade

Sezione trasversale sull’allestimento interno/Transveral section of the interior arrangement

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RECUPERO RECOVERY



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Preserving the void, with its textures and its memory: this is the goal pursued through the project for the Harbour Brain Building, which captures the atmosphere of the Venetian Arsenal (Arsenale di Venezia), as synonymous with large areas, rich with a long, precious history

Following the implementation of the MOSE (Modulo Sperimentale Elettromeccanico, Experimental Electromechanical Module), the well-known defence system intended to protect the lagoon of Venice from high tides, it became necessary to find the place where to locate the maritime traffic control station of Venice’s harbour mouths; commissioned by the Water Authority in Venice (through its agent, Consorzio Venezia), they selected a small 19th-century pavilion in the Very New Arsenal (Arsenale Novissimo), in the northern area of the Venetian Arsenal. The HBB is a sort of ‘brain’ designed to manage the lagoon traffic; hence a building mainly designed to accommodate the computer terminals that will control the seaport traffic when opening or closing the harbours/ canals as well as, obviously enough, by relevant operators. Carrying out the plan commissioned by Thetis, responsible for the general management of the project, architects Carlo Cappai and Maria Alessandra Segantini reinterpreted the historic nature of a place which used to be temporarily occupied by big and small size ships which had to be built, repaired, or just dismantled. The renovation jobs for this pavilion, designed in 2009 and completed recently, involved maintaining the original volume of the building and adding a small side extension which also plays a technological and landmark role. The historic parts have been kept, to epitomize the succession of stratifications, whereas the new parts fuse as a one more layer of memory; other jobs carried out by C+S were based on this design assumption, with a view to emphasizing the ‘melting’ ability of the project, rather than contrasting with the landscape or the existing environment. The project was mainly aimed at pulling down superfetations and interior partitions, thereby emptying the space to work on. A key choice was also made: concentrating all the installations and technological systems in the basement, thereby allowing the structures on the ground floor to express their essence: the original walls were treated with a special type of plaster, capable of capturing light in the many irregularities of 124 the bricks, and the wooden trusses, with hollow terracotta tiles, are still exposed. The rectangular space now accommodates an outstanding piece, a ‘hulk’, as defined by the designers, covered with corten steel, which crosses the void throughout its height and contains systems and services; rusty steel sheets exceeding 6 metres in height accommodate the toilet. The same material was

dalla restante sala; e inoltre la copertura della porzione di edificio aggiunta, che gioca anch’essa con le luci e con le ombre, riprendendo una tradizione assai tipica dell’architettura veneziana, fatta di materia e di riflessi, che rimbalzano tra i canali e le superfici. La copertura in vetro fornisce così un importante elemento architettonico ma è primariamente un elemento tecnologico in quanto costituita di celle fotovoltaiche: 24 moduli che producono energia con un picco massimo di circa 4,8 kWp (Kilowatt-picco), ma nello stesso tempo fungono anche da brise-soleil, perché spezzettano la luce in varie ombre e offrono un suggestivo effetto riflesso sulla massa opaca delle murature storiche. Questo progetto quindi, pur nelle sue limitate dimensioni, rappresenta un prototipo di ricerca verso l’ecosostenibilità applicata al restauro: oltre al fotovoltaico infatti, si è per la prima volta utilizzato un sistema a sonde geotermiche che, come è facile intuire, necessita di particolari studi in un territorio come quello del centro storico veneziano. Il produttore dell’impianto ha optato per l’installazione di una strumentazione aggiuntiva in grado di monitorare i carichi energetici e acquisire con ciò dati utili per la progettazione di sistemi analoghi e per la taratura dei codici di calcolo usualmente impiegati nel dimensionamento degli impianti. Il piano terra è raffrescato con un impianto centralizzato ad aria con pompe di calore acqua/acqua abbinate a sonde geotermiche; la sala server invece, situata al piano interrato, in considerazione della delicate condizioni climatiche legate al corretto funzionamento delle macchine, usufruisce di un sistema di climatizzazione dedicata che le garantisce 22°C e 45% di umidità. Le canalizzazioni passano in ogni caso nell’intercapedine creata dal pavimento galleggiante, rivestito poi in parquet dal tono neutro e luminoso. Quando tutto sarà completato e a regime, il sistema impiantistico dell’HBB sarà collegato con l’impianto di cogenerazione centralizzato per la produzione di energia termica ed elettrica, abbinato a un sistema di teleriscaldamento/raffrescamento basato su un anello di acqua e pompe di calore che recupererà l’energia geotermica della laguna di Venezia.

Vista interna dagli uffici con i divisori vetrati verso la muratura in mattoni. Sotto: prospettiva interna.

Interior view from the offices with the glass partitions towards the brick walls. Below: a general view of the interiors.


In questa pagina: immagini dello spazio vuoto della Tesa arsenalizia. Il ‘relitto’ che ospita gli impianti tecnologici. Il disegno è un esploso delle strutture On this page: views of the empty space of the Tesa arsenalizia, the ‘ruin’ that houses the technological plant. The drawing is an ‘explosive’ representation of the structures.

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between the canals and the surfaces. Hence the glass covering provides a major architectural element, although it is especially a technological element, because it is made up of photovoltaic cells: 24 modules producing energy, with a peak of approximately 4.8 kWp (kilowatts-peak), while functioning as brise-soleils, because they break up light into several shades and produce a charming effect reflected on the opaque historic walls. Despite its small size, this project means a research prototype designed to promote eco-sustainability as applied to renovation jobs: as well as photovoltaic cells, for the first time they have also used a geothermal probe system which, obviously enough, requires special studies in the old Venetian town centre. The builder of the system opted for the installation of additional instruments capable of monitoring energy loads, thereby acquiring data useful for designing similar systems and calibrating the calculation codes that are normally used to dimension systems. The ground floor is cooled with a central air system with water/water heat pumps matched with geothermal probes; whereas the server room, which

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used to line the staircase that leads to the basement. The remaining new parts stand out as transparent and lightweight: the new glass walls are fitted with extremely thin frames, no more than 6 cm in width; they separate the hall and the meeting room from the rest. Furthermore, the covering of the added portion of the building, which also plays with light and shade, is reminiscent of a tradition typical of Venetian architecture, based on materials and reflections bouncing

is located in the basement, due to the climatic conditions required to properly run the machines, benefits from a dedicated air-conditioning system which provides 22 degree temperature and 45% humidity. However, the canalization passes into the hollow space created by the floating floor, covered with parquet flooring in a neutral, bright shade. When it is completed and runs regularly, the installation system of the HBB will be connected to the central cogeneration system for producing thermal and electrical energy, combined with a 125 remote heating/cooling system based on a water ring and heat pumps designed to recover geothermal energy from the Venetian lagoon.


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Txt: Carlo Paganelli

EXPO

LIÉGE 1930 $/$)#%3)-! 05.4!4! s PART XII

In questa pagina, da sinistra a destra: un poster fatto in occasione dell’Esposizione Universale del 1930, il Padiglione dell’Italia progettato da Giuseppe Pagano Pogatschnig e da Gino Levi-Montalcini e un altro poster affiancato da una medaglia. On this page, from left to right: a poster created for the Universal Exhibition of 1930, the Italy Pavilion designed by Giuseppe Pagano Pogatschnig and by Gino Levi-Montalcini and another poster joined by a medal.

Una delle ragioni che ha suggerito la realizzazione dell’evento è la politica e trae origine da un antefatto storico che ha pesato non poco sul sentimento nazionalistico del popolo belga. In seguito al Congresso di Vienna (1814-1815), Belgio e Olanda divengono il Regno Unito delle Provincie d’Olanda, con a capo il re olandese Guglielmo I Orange-Nassau. I belgi mal sopportano l’unione con l’Olanda: il re attua una politica di accentramento amministrativo attraverso incarichi di rilievo destinati soprattutto agli olandesi. Inoltre, la politica di dipendenza economica dall’Inghilterra, promossa dal governo, frena la crescita economica delle industrie belghe. Nel 1930, per celebrare il centenario dell’indipendenza, il Belgio organizza due grandi esposizioni, da realizzare a Liège e ad Anvers. Quella di Anvers, l’Exposition Internationale Coloniale, Maritime et d’Art Flamand, è dedicata ai settori marittimo e coloniale, quella di Liège punta sulla grande industria e ai progressi delle scienze, con la finalità di mostrare le innovazioni avvenute successivamente al 1830, quando il Belgio ottiene l’indipendenza. Essendo le due esposizioni focalizzate su alcune tematiche, non sono considerate esposizioni universali, ma eventi di carattere internazionale. La definizione ufficiale della manifestazione di Liège è Exposition Internationale de la Grande Industrie, Sciences et Applications, Art Wallon Ancien (aperta dal 3 maggio al 1 novembre). L’anniversario del centenario dell’indipendenza non è la sola ragione della manifestazione: dopo l’Esposizione Universale del 1905, il governo si impegna a terminare i lavori destinati alla protezione della città dalle frequenti e disastrose inondazioni del fiume Mosa. In realtà la promessa non viene mantenuta, a causa dello scoppio della Prima Guerra Mondiale. Per rendere più attrattivo l’evento, vengono realizzate una grande mostra dedicata all’arte nel territorio della Waloneye attraverso una retrospettiva di opere precedenti al 1830, una mostra sull’agricoltura e un’area destinata ad accogliere varie attrazioni di carattere spettacolare. L’Esposizione è allocata in due siti: il Parc de la Boverie, dove si è già svolta l’Esposizione Universale del 1905, e in un campo destinato a parate e manovre militari, situato a nord della città, divenuto poi la zona residenziale di Droixhe. Nonostante la presenza di 6 milioni di visitatori, l’Esposizione non è considerata un evento di grande successo, poiché se ne prevedevano circa 12 milioni. Il parziale fallimento dell’iniziativa si spiega in due ragioni: gli inizi di una forte crisi economica e il limitato interesse del pubblico nei confronti dell’industria. L’Esposizione si conclude con un leggero passivo a carico degli azionisti della società organizzatrice. L’evento internazionale, contrariamente a quello realizzato nel 1905, non ha donato alla città importanti opere architettoniche. Tuttavia, qualcosa è stata fatta per migliorare alcune zone urbane gravate da particolari criticità attuando il miglioramento della rete stradale; la variazione del corso del fiume Mosa; gli inizi dello scavo del Canal Albert; l’edificazione del ponte di Coronmeuse e la ricostruzione dei ponti distrutti durante la Prima Guerra Mondiale. Gino Levi-Montalcini (Milano, 21 aprile 1902, Torino, 29 novembre 1974). Nel 1925 si laurea in architettura nella sua città e vive intensamente i fermenti culturali della Torino del tempo e svolge un ruolo di primaria importanza nel dibattito e nella realizzazione delle prime opere di architettura razionalista in Italia. Dal 1927 al 1931 collabora con Giuseppe Pagano Pogatschnig, con cui realizza alcuni padiglioni destinati all’Esposizione del Decennale della Vittoria a Torino (1928), il Palazzo per uffici del Gruppo Gualino (1928-29) e, nel 1930, il Padiglione italiano all’Esposizione Internazionale di Liège (1930).

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Giuseppe Pagano Pogatschnig (Parenzo- Porec, Croazia, 1896, Mauthausen, 1945). Architetto e urbanista di rilievo del Razionalismo in Italia. Alcune sue realizzazioni: sistemazione di Via Roma, a Torino; Casa a struttura d’acciaio alla V Triennale di Milano (1933); Città Universitaria a Roma; Padiglione aggiunto alla VI Triennale di Milano; Piano regolatore ‘Milano verde’ (1938); Padiglione Italiano all’Esposizione internazionale di Liège (1930); Università Bocconi di Milano (1938- 41); Istituto di Fisica dell’Università degli studi di Roma “La Sapienza” (1934).


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One of the reasons behind this event was political and originated from a historical fact that was an enormous influence on the nationalistic sentiments of the Belgian population. Following the Congress of Vienna (1814-1815), Belgium and Holland became the United Kingdom of the Provinces of Holland. It was ruled by the Dutch King William I of the House of Orange-Nassau. However, the Belgian people were not happy with this union: the king approved the policies of administrative centralization with Dutch citizens allocated mostly to Dutch citizens. Moreover, with the economic independence from England, promoted by the government, there was a slowing-down of the economic growth that affected the Belgian industries. In 1930, to celebrate the centenary of independence, Belgium organized two major exhibitions, one in Liège and the other Antwerp. The exhibition in Antwerp, ‘l’Exposition Internationale Coloniale, Maritime et d’Art Flamand’ was dedicated to maritime and colonial life: the exhibition in Liège focused on industry and the progress of science with the objective of showcasing the innovations that had appeared on the market after 1830, when Belgium was declared an independent state. As these two exhibitions were themed, they could not be classed as Universal exhibitions but as events of an international nature. The official title of the exhibition in Liège was the ‘Exposition Internationale de la Grande Industrie, Sciences et Applications, Art Wallon Ancien’ (between May 3rd and November 1st). The

anniversary marking the centenary of Independence was not the only reason for the event: following the Universal Exhibition in 1905, the government was committed to terminating the works finalized to protecting the city from the frequent disastrous flooding from the River Meuse In actual fact, the government did not keep its promises because of the outbreak of the First World War. To make the event more attractive, a major exhibition of art was organized in the Walloon territory. It was a retrospective event of works of art produced prior to 1830, an exhibition on agriculture and an area that contained all of the attractions of a spectacular nature. The exhibition was organized in two locations: in Parc de la Boverie, that had hosted the Esposizione Universale in 1905, and in a field used for military parades, to the north of the city, and eventually converted into the residential area of Droixhe. And despite 6 million visitors, this Exhibition was not considered to be particularly successful, as 12 million people had been expected. The partial failure of the event was explained by the start of a serious economic crisis and the limited interest the public had in things of an industrial nature. The final balance sheet for the exhibition showed a slight loss for the shareholders of the organizing company. Compared to the event in 1905, this international exhibition did not leave the city with an important architectonic legacy. Nevertheless, there were improvements to some critical areas of the city with improvements to the road system: the course of River Meuse was

changed; the excavation of the Canal Albert commenced; building began on the Coronmeuse Bridge in addition to the reconstruction of the bridges destroyed during the First World War. Gino Levi-Montalcini (Milan, 21 April 1902, Turin, 29 November 1974). He graduated in architecture in Milan in 1925 and absorbed the intense cultural energy of Turin at that time. He had a leading role in the debates and construction of Italy’s first pieces of rationalist architecture. Between 1927 and 1931, he worked with Giuseppe Pagano Pogatschnig, and created some pavilions for the Exhibition to commemorate the Tenyear anniversary of the Victory in Turin (1928), the Office building for the Gualino Group (1928-29) and in 1930, the Italy Pavilion at the International Expo in Liège (1930). Giuseppe Pagano Pogatschnig (Parenzo- Porec, Croatia, 1896, Mauthausen, 1945). He was an important architect and urban planner in the rationalist movement in Italy: the reconstruction of Turin’s Via Roma; Home and steel structure at the 5th Triennial in Milan (1933); University Campus in Rome; an addition pavilion for the VI Triennial in Milan; ‘Greenery for Milan’ urban planning (1938); Italy Pavilion at the International Exhibition in Liège (1930), The Bocconi University in Milan (1938-41); The Institute of Physics at the ‘La Sapienza’ University in Rome (1934).

In alto, a sinistra: disegno del Padiglione della Polonia. Sotto, da sinistra a destra: il Palazzo dei Trasporti e la planimetria generale dell’intero evento. Top, left: plans of the Poland Pavilion. Below, from left to right: the Transport Building and the general layout of the entire event.

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DESIGN

I MAESTRI THE MAESTROS

ALESSANDRO MENDINI, UNA POLICROMA GENIALITÀ ALESSANDRO MENDINI, A MULTI-COLORED GENIUS Txt: Francesco Massoni

Nel panorama creativo e progettuale degli ultimi quarant’anni, Alessandro Mendini ha indubbiamente svolto un ruolo di primo piano, influenzando, con le sue opere e con la sua lucida analisi dei fenomeni emergenti, il dibattito su architettura e design nell’era postindustriale. Lo abbiamo incontrato nel suo Atelier milanese Disegnatore, pittore, progettista, architetto, sperimentatore, teorico e fautore della trasversalità dei linguaggi creativi, catalizzatore di energie espressive, esploratore d’arti e mestieri, avanguardista estetico e irriducibile utopista, direttore delle riviste Casabella, Modo e Domus, Alessandro Mendini è dotato di una straordinaria sensibilità formale, cromatica e compositiva, che ha saputo mettere al servizio delle compagnie internazionali con le quali ha collaborato o collabora, tra queste Alessi, Bisazza, Philips, Cartier, Swatch, Hermès e Venini, oltre a varie aziende dell’Estremo Oriente, cui presta la sua opera di consulente per l’immagine e il design. Tra le innumerevoli mostre, cui ha preso parte a vario titolo, ci piace ricordare ‘Quali cose siamo?’, da lui stesso curata per il Triennale Design Museum di Milano, migliore mostra di design del 2010 secondo il New York Times. Membro onorario della Bezalel Academy of Arts and Design di Gerusalemme, professore onorario alla Guangzhou Academy of Fine Arts, in Cina, insignito di due premi Compasso d’oro ADI, Chevalier des Arts et des Lettres della Repubblica Francese, ha ricevuto l’onoreficenza dell’Architectural League di New York e la Laurea Honoris Causa al Politecnico di Milano. Nel 1989 ha aperto, assieme al fratello Francesco, l’Atelier Mendini a Milano, progettando le Fabbriche Alessi a Omegna, la nuova piscina olimpionica a Trieste, alcune stazioni della metropolitana e il restauro della Villa Comunale, a Napoli, il Byblos Art Hotel-Villa Amistà, a Verona, i nuovi uffici di Trend Group, a Vicenza, una torre a Hiroshima, in Giappone, il Museo di Groningen, in Olanda, un quartiere a Lugano, in Svizzera, il palazzo per gli uffici Madsack ad Hannover e un edificio commerciale a Lörrach, in Germania, il Museo della Ceramica, la nuova sede della Triennale di Milano e un complesso fieristico a Incheon in Corea. Lo abbiamo incontrato nel suo Atelier milanese e con lui abbiamo ripercorso alcune tappe significative della sua lunga vicenda creativa e professionale. Quando era bambino, che cosa sognava di fare ‘da grande’? Il cartoonist, perché mi piaceva il senso della dinamica di cui è dotata una strip: quattro o cinque quadratini all’interno dei quali immaginavo un scena e sviluppavo una sequenza che aveva per protagonista un personaggio di mia invenzione. Il miraggio era il Mickey Mouse di Walt Disney. In generale mi piaceva molto disegnare, riprodurre architetture e monumenti. Dopo Disney, mi appassionai anche al lavoro di Saul Steinberg e di altri umoristi paradossali… Cosa le è rimasto di queste passioni giovanili? Senz’altro il gusto dello schizzare, ma anche il tentativo di introdurre negli oggetti una sorta di gioco legato all’ironia. E i suoi genitori che cosa si auguravano che lei facesse? Per loro sarei dovuto diventare un ingegnere civile, perché mio nonno era un costruttore. Pertanto mi iscrissi alla facoltà di ingegneria, al Politecnico di Milano.

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Ingegnere mancato? Dopo qualche esame, mi accorsi che, non distante dalla facoltà di ingegneria, c’era quella di architettura. Così, dopo aver convinto i miei genitori, scelsi di studiare da architetto. Tra i miei compagni d’università c’erano Aldo Rossi, Guido Canella, Joe Colombo, Silvano Tintori. Mentre il preside era nientemeno che Piero Portaluppi. E, di tanto in tanto, nei corridoi, capitava di incontrare anche Gio Ponti. Ricordo un esame di caratteri stilistici dato con Ernesto Nathan Rogers - giudicato, forse, troppo ‘innovativo’ per meritare la cattedra di composizione architettonica - in occasione del quale realizzai una tesi sul Goetheanum di Rudolf Steiner. Una passione che mi proveniva dalla lettura di un libro di Gillo Dorfles e che mi portò ad approfondire il tema dell’espressionismo architettonico, con particolare attenzione verso Eric Mendelsohn e Antoni Gaudí. Tanto che assieme a Mario Brunati, con il quale ai tempi dell’università

Alessandro Mendini indossa l’Abito del Designer, progetto realizzato nel 2003 con la collaborazione di Kean Etro (foto: Carlo Lavatori). Alessandro Mendini wears the Designer Garment, designed in 2003 with the collaboration of Kean Etro (photo: Carlo Lavatori).


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Over the last forty years, Alessandro Mendini has unquestionably been in a shining light in the universe of design and creativity, with his works and his clear analysis of the emerging trends, the debate on architecture and design in the post-industrial era. We met the ingenious creative in his Milanese atelier Artist, painter, designer, architect, experimenter, theorist and founder of transversal creative languages, a catalyst of expressive energies, an explorer of arts and crafts, an avant-garde esthetist and an incorrigible utopic, editor of the magazines Casabella, Modo and Domus, Alessandro Mendini is gifted with enormous formal, chromatic and compositional sensitivity. Over the years, his genius has benefited numerous international companies such as Alessi, Bisazza, Philips, Cartier, Swatch, Hermès and Venini. He has also consulted in image and design for a number of companies in the Far East. Among the countless exhibitions he has been involved in, we would like to remind readers of ‘Quali cose siamo?’ (What are we?), an event he organized in Milan’s Design Museum Triennial - the best design exhibition of 2010 according to the New York Times. He is an honorary member of the Bezalel Academy of Arts and Design in Jerusalem, Honorary Professor of the Guangzhou Academy of Fine Arts, in China; he has won two Compasso d’oro ADI prizes, Chevalier des Arts et des Lettres from the French Republic; he has been acclaimed by the Architectural League of New York and he was awarded an Honorary Degree from the Milan Polytech. With his brother Francesco, he opened the Atelier Mendini in Milan in 1989; they designed the Alessi factory buildings in Omegna, the Olympic swimming pool in Trieste, a

number of subway stations in Naples and also restored its City Hall; they designed the Byblos Art Hotel-Villa Amistà, in Verona, the new offices of Trend Group, in Vicenza, a tower block in Hiroshima, Japan, the Groningen Museum in Holland, a quarter in Lugano, Switzerland, the Madsack Office Building in Hannover and a commercial building in Lörrach, both in Germany, The Museum for Ceramics, the new headquarter for the Triennial in Milan and an exhibition ground in Incheon in Korea. We met with this ingenious creative in his Milanese Atelier and examined some of the most important milestones of his illustrious design and professional career. When you were young, what did you want to be when you grew up? A cartoonist – I love the dynamic sensations expressed by the comic strips. I would envisage four or five little squares to depict a scene and I would develop a sequence of events involving a character that I had invented. The ultimate for me was Mickey Mouse by Walt Disney. Generally-speaking, I loved to draw and sketch architecture and monuments. Next afterDisney, I was obsessed with the works by Saul Steinberg and other controversial humorists… And what has remained of that childhood passion? Well, I still enjoy sketching. And I still love introducing some sort of game aspect associated with irony into the articles I design. What career path would your parents have liked you to have followed? They felt that I should have trained to become a civil engineer because my grandfather was a building constructor.

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condividevo un piccolo studio in via San Maurilio, organizzai una serie di mostre dedicate proprio al Goetheanum e a Gaudí, ma anche ai disegni di trincea di Mendelsohn e agli architetti americani, quest’ultima curata da Paolo Portoghesi. Tra una cosa e l’altra, mi sono laureato piuttosto tardi, a trent’anni, forse per compiacere mia madre. Dunque, secondo l’opinione corrente, meriterei l’appellativo di ‘sfigato’… Ma pur sempre architetto… Non so se volevo fare l’architetto per davvero. Non ho mai avuto le idee chiare nella mia vita. Specialmente a quell’epoca, in cui amavo molto scrivere e coltivavo il piacere, anche artigianale, di partecipare alla ‘fabbricazione’ di giornali. Infatti, fui chiamato a redigere il bollettino del Collegio degli architetti. Poi, mentre lavoravo con Mario Oliveri, mio fratello Francesco, Paolo Viola e Mario Susini, nello studio Nizzoli Associati, fui invitato a curare l’archivio di Casabella, quando Rogers se ne era già andato e il direttore era Gian Antonio Bernasconi. In sostanza valutavo e predisponevo i progetti da pubblicare, assieme al grafico che era A.G. Fronzoni, uno che la pensava in maniera diametralmente opposta alla mia, eppure un grande amico. Probabilmente, dimostrai di avere delle qualità, tanto da essere nominato prima caporedattore e, in seguito, direttore. Nei primi anni Settanta, quando ero alla guida di Casabella, scoprii, grazie a Ettore Sottsass, i ‘radical’ di Superstudio e Archizoom approdati in Montedison: Andrea Branzi, Paolo Deganello, Massimo Morozzi… In quegli stessi anni ho conosciuto anche Gaetano Pesce, Riccardo Dalisi, Hans Hollein, Coop Himmelb(l)au… Mentre Gianni Pettena ci faceva le sue corrispondenze dagli Stati Uniti, intervistando Buckminster Fuller. Qualche tempo dopo, Alessandro Guerriero chiese a me, a Sottsass, a Franco Raggi, a Paola Navone e ad altri di disegnare dei mobili che presentò a Milano durante il Salone del 1978, dando vita alle collezioni dello Studio Alchimia. Un autentico miracolo linguistico e coloristico nato sulle spoglie del fenomeno ‘radical’ e sviluppatosi in quel fervido clima creativo che diede origine anche al movimento dell’Arte povera, così chiamata dal critico d’arte Germano Celant, che allora scriveva proprio per Casabella, e poi alla Transavanguardia, cui mi aveva introdotto un altro critico militante, Achille Bonito Oliva. Erano gli anni in cui Michele De Lucchi ci faceva scoprire le casette povere ma colorate di Santo Domingo, Sottsass faceva schizzi delle latterie di Lambrate, a Milano, mentre io, attingendo alla mia primitiva fede espressionista, progettavo oggetti d’uso spirituale… Credo che il merito teorico di Alchimia sia stato quello di lavorare sulla marginalità, quando imperava un consumismo che ritenevamo di dover contrastare. Si trattava, inoltre, di un movimento liberatorio sotto il profilo segnico che rinunciava all’eleganza del ‘bel design’ e si proponeva con un’immagine d’avanguardia aggressiva, mutuata dal futurismo e dal cubismo. All’inizio, infatti, fu un’esperienza molto osteggiata.

Dall’alto: la ‘Sedia lassù’, disegno, 1975; pagine della rivista ‘Ollo’, 1987; la ‘Poltrona di paglia’ realizzata durante una performance nell’ambito del Seminario Cavart, Cava di Monselice (PD), 1975. Nella pagina a fianco, dall’alto: la copertina della rivista ‘Ollo’, 1987; i cavatappi ‘Anna G.’ e ‘Alessandro M.’, Alessi, 2003; il piatto ‘Max’, Corsi Design, 2008.

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From top: the ‘Sedia lassù’ chair, designed in 1975; pagies from the journal ‘Ollo’, 1987; the ‘Poltrona di paglia’ (straw armchair) produced during a performance of the Cavart Seminar, Cava di Monselice (PD), 1975. On the opposite page, from top: the cover page of the journal ‘Ollo’, 1987; the corkscrews ‘Anna G.’ and ‘Alessandro M.’, Alessi, 2003; the plate ‘Max’ , Corsi Design, 2008.

C’era una critica implicita alla civiltà industriale? Sì, ma non alla maniera del primo movimento radicale, che parlava di lavoro fatto con le mani e di recupero dei mestieri medievali. In realtà, ci sono stati anche rapporti con le industrie. Si pensi agli esperimenti sui tessuti svolti dal Centro Design Montefibre, premiato con un Compasso d’Oro. Io stesso, quando lasciai la direzione di Casabella e fondai la rivista Modo, ho cominciato a lavorare con Alessi. C’è stata, dunque, da parte di questa controcultura, una vera e propria infiltrazione nell’industria. Poi è nato Memphis e possiamo dire che la ‘rivoluzione’ si è compiuta, anche se Sottsass ne ha sconfessato gli sviluppi. Tra gli imprenditori a noi più vicini, ricordo Aurelio Zanotta ed Ernesto Gismondi. Ma devo dire che non avevamo santi in paradiso né tessere di partito, eravamo tutti più o meno anarchici. Erano gli anni in cui il filosofo Gianni Vattimo teorizzava il ‘pensiero debole’, ne ha subito il fascino? Ho avuto alcuni contatti con Vattimo, in occasione di convegni cui abbiamo preso parte entrambi, ma non ha mai scritto per me. E tuttavia ho una grande considerazione per i suoi libri. Anche se per lui il design iniziava e finiva con Vico Magistretti. Un altro intellettuale importante per quegli anni è stato Omar Calabrese con il suo saggio ‘L’età neobarocca’. E poi, c’era il critico d’arte Pierre Restany, che fu mandato in avanscoperta dalle sorelle Mazzocchi per sondare la mia disponibilità a dirigere Domus. Dalle pagine di Modo e di Domus, lei consacrò l’avvento del postmodernismo… Dedicai una copertina di Domus ad Aldo Rossi, ma anche ad altri architetti, allora emergenti se non relativamente sconosciuti in Italia, come Frank Gehry o Zaha Hadid.


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Spesso in quegli anni si tendeva a pensare a lei, ad Aldo Rossi e a Paolo Portoghesi come agli artefici del postmodernismo. Una semplificazione? Certo, ciascuno di noi a modo suo ha concorso all’affermazione del fenomeno, ma non abbiamo molto in comune. Non nego di essere affascinato dall’opera di Aldo Rossi e ne condivido la passione per Sironi e per la pittura metafisica. Da un lato c’era lui, dall’altro Paolo Portoghesi, più romano e barocco. Mentre io mi sento più legato a Depero e al suo concetto di design. Detto questo, credo che l’humus sottostante fosse quello indicato da François Lyotard nel libro la ‘Condizione postmoderna’, in cui la modernità veniva identificata con l’univocità del progresso tecnologico mentre la postmodernità significava libertà di percorrere strade diverse. Nel mio caso, posso dire di aver imboccato una direzione risolutamente umanistica. Ma ciò è avvenuto prima di quel ventennio in cui i curatori della mostra ‘Postmodernism: Style and Subversion 1970–1990’, svoltasi al Victoria & Albert Museum, hanno circoscritto, forse troppo scolasticamente, il fenomeno. Eppure la mostra - approdata ora al Mart di Rovereto - si apre con una sua opera, la sedia ‘Lassù’ del 1974, e si chiude con un’altra sua opera, ‘L’abito del designer’, realizzato nel 2003 in collaborazione con Kean Etro… Sì, uno smoking sul quale sono applicati tutti i loghi delle industrie per le quali ho lavorato. Ce ne sono solo due esemplari, uno ce l’ha Kean Etro, e l’altro io. L’ho indossato una sola volta, per un ritratto fotografico, ma lo custodisco con piacere. Tornando alla mostra, credo che tradisca un approccio tipicamente anglosassone. Quello latino è molto più problematico. E forse è stato dato poco spazio a una figura fondamentale del postmodernismo: l’architetto Charles Jencks. Archiviato il postmodernismo che cosa è successo dopo? Poi è giunta l’era delle archistar. Credo che rappresentino bene il nostro tempo, caratterizzato da uno spiccato agnosticismo etico-politico in cui la forza di un’architettura è data tutta dall’essere una fantastica scultura. Si tratta perlopiù di forme di speculazione legate alla nuova economia, in cui il pensiero architettonico appare sganciato da motivazioni sociali o territoriali e incoraggiato dalla smania di costruire. Espressioni di grande e virtuosistica bravura, niente di più. Qualche nostalgia per il sobrio pragmatismo della scuola milanese? No, perché non appartengo alla scuola milanese. Mi sento fuori da ogni scuola, ho immaginato per conto mio un’attitudine che sovrappone arte, design e architettura sulla base di una grande curiosità verso i linguaggi. Un’attitudine e una curiosità che forse celano un’incapacità di impegnarmi direttamente nel sociale. Ma queste sono cose che non riguardano la mia sfera professionale. Recentemente è stata riproposta la sua iconica ‘Poltrona di Proust’ in una nuova versione in plastica rotazionale, che ne pensa? La prima in assoluto, quella esposta a Londra nella mostra sul postmodernismo, è di proprietà di Guido Antonello, un grande collezionista milanese, che possiede anche altri pezzi di Alchimia e Memphis. Di esemplari puntinati a mano ce ne saranno in tutto il mondo non più di centocinquanta. Ora aprirò un sito appositamente dedicato ad essa. Ne ho fatto anche delle miniature in porcellana e in ceramica celadon. Bertozzi e Casoni ne hanno realizzato un esemplare in ceramica, ma in scala 1 a 1. Ne sono state fatte sette in bronzo. Per me la Poltrona di Proust rappresenta una palestra di lavoro. È un manifesto? Se vogliamo interpretarla così… Può essere intesa come un manifesto di energia, di pulviscolarità, dove la qualità del piccolo si trasforma in qualità del grande e viceversa. Dove un’energia sociale e culturale si riflette in un manufatto. È un’esperienza aperta. Eugenio Perazza di Magis mi ha proposto di farne una versione in plastica rotazionale, ad un prezzo evidentemente molto più accessibile rispetto agli esemplari precedenti, anzi popolare, e ho accettato. Ora esce anche nella versione policroma, puntinata… Da François Lyotard a Serge Latouche, autore del libro ‘La decrescita serena’, è possibile tracciare una sorta di sviluppo del pensiero culturale ed economico, e parallelamente, anche di quello progettuale? Sono in atto tanti fermenti, anche molto capillari, nel mondo del design. In taluni casi piuttosto innovativi, ma non radicalmente, non strutturalmente. Quello che, attualmente, considero più nocivo è l’eccesso di styling: un lavoro formale, spesso solipsistico e autoreferenziale, che genera oggetti privi di senso etico e sociale. Mentre la tecnologia, dal canto suo, è in grado di offrire nuovi e performanti materiali sintetici che, incolpevolmente, assecondano con la loro plasmabilità questa innovazione formale. Ma, sul versante economico, non vedo cambiamenti in grado di ispirare un design radicalmente nuovo, e, magari, di liberare le industrie dall’ansia costante di dovere incrementare il loro fatturato. Sotto questo profilo, ritiene che le fabbriche del design italiano, come ama definirle Alberto Alessi, siano ancora dotate di quelle prerogative che ne hanno consentito l’affermazione? In generale, credo che il sismografo più sensibile alle trasformazioni che riguardano il mondo creativo, ma non solo, sia l’arte, poi forse la moda, e solo in seguito l’architettura e il design. Se le fabbriche del design italiano hanno avuto mai un ruolo di punta, ciò si è verificato nelle loro fasi di ricerca estetica, in cui gli industriali hanno dato libertà d’espressione ai designer-artisti. È per questo, forse, che quando all’estero si parla del nostro design lo si chiama ‘stile italiano’, un fenomeno che non ha niente a che fare con il design come viene generalmente inteso nel resto del mondo. Credo che rappresentiamo una nicchia, quantomai autorevole se pensiamo al valore che ha espresso e continua ad esprimere nel contesto del made in Italy. Del resto, quando c’è un tipo di progetto che antepone l’antropologia al prodotto inteso come strumento, in quel momento c’è del valore, anche nel caso di un oggetto kitsch. Una storia che ha le sue origini nel nostro Rinascimento, nella bottega del Verrocchio, della quale possiamo trovare i riflessi ancor oggi in alcune botteghe d’artigianato progettuale. Ancora a proposito di Alessi, lei ha ‘osato’ rivisitare un’icona del nostro design: la ‘Moka Express’ ideata e fabbricata nel 1933 da Alfonso Bialetti… Era un vecchio sogno di Alberto Alessi, che desiderava rendere omaggio al nonno materno, realizzando una nuova moka in alluminio. L’abbiamo studiata a lungo, per garantire la qualità ideale e la corretta temperatura di un buon

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caffè, un lavoro assai complesso. Abbiamo adottato lo spessore e un filtro simile a quello della moka Bialetti, ma la silhouette doveva essere diversa da quella diamantata e intuitivamente déco del geniale Alfonso Bialetti. Perciò ho usato le mie attitudini, evocando una gentilezza un po’ femminea, per ottenere delle funzionalità precise e rigorose. E, a quanto pare, funziona! Tanto che me ne sono comprata una tutta per me… Il proverbiale rito del caffé all’italiana può essere di buon auspicio per favorire il recupero di una dimensione più umana e artigianale nella progettazione e nella produzione di oggetti? C’è un design ad elevato coefficiente antropologico, più artigianale e sensibile alla sfera domestica, che appartiene per tradizione al Vecchio continente, e c’è quello tecnologico, adatto ai prodotti ‘virtuali’ di largo consumo, che si realizza in prevalenza nei paesi dell’Estremo Oriente. All’interno della prima categoria, svolge un ruolo crescente l’autoproduzione, cui è dedicata l’associazione ‘Misiad - Milanosiautoproducedesign’, da me fondata assieme a Camillo Agnoletto, Laura Agnoletto e Cesare Castelli. Per il momento abbiamo iniziato a censire le eccellenze operanti in questo ambito creativo e produttivo. E i frutti di questo censimento sono esposti in una apposita mostra-laboratorio, ‘Autoproduzione a Milano’, da me curata e allestita, con la partnership del Comune di Milano-Assessorato alla Cultura, alla Fabbrica del Vapore in concomitanza con il Salone Internazionale del Mobile.

For that reason, I actually enrolled in the Faculty of Engineering, at the Milan Polytech. And what happened to that budding engineer? After I had taken a few exams, I realized that the faculty of architecture was not far from the faculty of engineering. And once I had convinced my parents of my change of direction, I decided to study architecture. My fellow students included Aldo Rossi, Guido Canella, Joe Colombo, Silvano Tintori. The faculty president was none other than Piero Portaluppi. Occasionally, I would meet Gio Ponti in the corridors. I remember an exam on style features with Ernesto Nathan Rogers – who was considered by many to be excessively innovative to deserve the position of lecturer in architectonic planning; I wrote my dissertation on Goetheanum by Rudolf Steiner. It was a passion that started when 132 I read a book by Gillo Dorfles that drove me to obtain more information on the theme of architectonic expressionism, with special attention given to Eric Mendelsohn and Antoni Gaudí. At that time I shared a small studio in Via Maurilio with Mario Brunati. We were so entranced by this subject that we organized a series of exhibitions, supervised by Paolo Portoghesi, dedicated to Goetheanum and Gaudí; the

trench drawings by Mendelsohn and the American architects were also included. Between one thing and another, I graduated quite late when I was thirty years old, and that was only to keep my mother happy. Nevertheless, in modern terms, I would be considered to be jinxed… You still qualified as an architect though… I am not sure if I really wanted to be an architect. I was never really sure what I wanted to do with my life. Particularly at that time, when I really enjoyed writing and I was cultivating the delightful pleasure, in an artisan manner, of contributing to the creation of newspapers. I was actually called to direct the newsletter from the Order of Architects. Then when I was working with Mario Oliveri, my brother Francesco, Paolo Viola and Mario Susini, in Studio Nizzoli Associati, I was invited to look after the archives of Casabella; Rogers had already left the company and the director at that time was Gian Antonio Bernasconi. In my job I had to evaluate and program the projects to be published. I worked with the graphic designer A.G. Fronzoni, who had ideas that were the complete opposite to mine, yet he was a very close friend despite the differences in opinion. I probably showed that I had the right

Dall’alto: la copertina del numero speciale ‘Moda’ della rivista ‘Domus’, 1981; la copertina del numero 1 della rivista ‘Modo’, con illustrazione ‘The Machine’ (1972) di Tinger Tateishi, 1977; il tavolo Macaone, Zanotta Edizioni, 1984; la ‘Poltrona di Proust’, 1978. From top: the cover of the special edition ‘Moda’ of the journal ‘Domus’, 1981; the front cover of the first edition of the journal ‘Modo’, with the illustration ‘The Machine’ (1972) by Tinger Tateishi, 1977; the table Macaone, Zanotta Edizioni, 1984; Proust’s armchair’, 1978.

qualities for the job as I was eventually appointed as chief editor, and director at a later stage. In the early Seventies, when I was in charge of Casabella, thanks to Ettore Sottsass, I discovered the ‘radicals’ of Superstudio and Archizoom involved in Montedison: Andrea Branzi, Paolo Deganello, Massimo Morozzi. At about that time, I also met Gaetano Pesce, Riccardo Dalisi, Hans Hollein, Coop Himmelb(l)au. And Gianni Pettena who was in contact with us from the United States of America, interviewing Buckminster Fuller. Some time later, Alessandro Guerriero asked me, Sottsass, Franco Raggi, Paola Navone and some others to design pieces of furniture that he presented in the furniture salon of 1978 in Milan, giving rise to the collections of Studio Alchimia. It was an authentic linguistic and chromatic miracle that emerged from the phenomenon of the radical movement; it developed during that period of enormous creativity and this gave rise to the movement of Arte Povera, given the name by the art critic Germano Celant, who at that time was writing for Casabella, and then for Transavanguardia. He introduced me to another militant critic, Achille Bonito Oliva. In those years Michele de Lucchi presented the poor brightly-colored houses in San Domingo and Sottsass sketched the milk factory in the Lambrate district of Milan; I was


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making my initial approach to Expressionism. I designed articles with a spiritual function… In my opinion, Alchimia’s theoretical acclaim was that it worked on the edges, when consumerism was ruling and we felt that we had to contrast its expansion. It was also a liberating movement as it stepped away from the elegance of ‘beautiful designs’ and was presented with an aggressive avant-garde image modified by futurism and by cubism. And it should be said that at the outset, we were subjected to a considerable amount of hostility. Was there criticism from the industrial universe? Yes, but it was not the same as the criticism for the first radical movement, that referred to work done by hand and a return to the Medieval trades. In reality we were also in contact with the industries. One example was the group of experiments on fabrics by the Montefibre Design Center, that won the Compasso d’Oro. When I left the management of Casabella and founded the magazine Modo, I began working with Alessi. This contra-culture led to considerable infiltration of the industrial world. Then Memphis was founded and at this point the ‘revolution’ had been completed even though Sottsass denied the developments. Of the entrepreneurs who were close to us, I remember Aurelio Zanotta and Ernesto Gismondi. However, I have to say that we didn’t have any guardian angels or political party supports, we were all more or less anarchists. Dall’alto: la sede della Triennale di Milano a Incheon, Corea (2009); il Centro Natatorio ‘Bruno Bianchi’ a Trieste, 2004; edificio Bovisa Tech ‘Tara Gialla’, parte di un complesso destinato a spazi commerciali, uffici, residence, abitazioni, Quartiere Bovisa, Milano, 2010 (foto: R. Gennari Feslikenian)

Top: the headquarters of the Milan Triennial in Incheon, Korea (2009); the swimming facility ‘Bruno Bianchi’ in Trieste, 2004; the building Bovisa Tech ‘Tara Gialla’, part of a complex destined to commercial, office, residential and living quarters, the Bovisa quarter, Milan, 2010 (photos: R. Gennari Feslikenian).

Those were the years during which the philosopher Gianni Vattimo presented the ‘weak thoughts’, did it affect you? I had a certain amount of contact with Vattimo, during conferences that we

both attended, but he never wrote for me. Nevertheless I appreciated his books, even though he felt that design began and ended with Vico Magistretti. Another important intellectual at that time was Omar Calabrese with his book ‘The NeoBaroque era’. And of course, the art critic Pierre Restany who was sent by the Mazzocchi sisters to sound-out my availability to manage Domus. Through the pages of Modo and Domus, you consecrated the advent of Postmodernism… I dedicated a front cover of Domus to Aldo Rossi, but also to other architects, who were emerging at that time or who were relatively unknown in Italy, such as Frank Gehry or Zaha Hadid. There was a general tendency to think about yourself, Aldo Rossi and Paolo Portoghesi as the protagonists of Postmodernism. Is that a simplification? Yes, of course. Each one of us, in our own way, made a contribution to the consolidation of this phenomenon. However, we have very little in common. I cannot deny that I was fascinated by Aldo Rossi’s work and I shared the passion for Sironi and for metaphysical painting. He was on the one side and Paolo Portoghesi, more Roman and Baroque, was on the other. Personally I feel closer to Depero and his design concept. Having said this, I believe that the 133 fertile undergrowth was clearly indicated by François Lyotard in the book ‘The Postmodern condition’, in which modernity was identified by technological progress whereas Postmodernity meant having the freedom to take different pathways. However, this occurred prior to the twenty years in which the curators of the exhibition ‘Postmodernism: Style and Subversion


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1970–1990’, hosted in London’s Victoria & Albert Museum, circumscribed the phenomenon, and possibly did so in an excessively scholastic manner. However, the exhibition – now hosted in MART of Rovereto – opens with one of your designs, the seat ‘Lassù’ from 1974, and it terminates with another piece you designed, ‘The designer’s suit’ produced in 2003 with Kean Etro… Yes, it is a dinner suit with the logos of the industries I worked with in the past. Just two copies of the suit exist, I have one of them and Kean Etro has the other. I wore the suits just once, for a photographic portrait. I am delighted to keep it. Getting back to the exhibition, I feel that it has been designed with a typically AngloSaxon approach. The latino one would have proved to be much more problematic. And I might be wrong but I feel that not enough attention has been paid to a fundamental figure of Postmodernism: the architect Charles Jencks. Once Postmodernism was filed away, what happened next? The ‘archistars’ appeared. I feel that they are a good reflection of our times, characterized by marked ethical-political agnosticism in which the strength of a piece of architecture depends on it being a fantastic sculpture. It depends largely

on speculation associated with the new economy, in which the architectonic idea appears to be detached from social or territorial motivations and encouraged by the eagerness to build. Expressions of great virtuous ability, nothing more. Have you any nostalgia for the severe pragmatism of the Milanese 134 school of thought? No, because I do not belong to the Milanese school. I consider myself to be outside of every school. I consider my approach to be one that superimposes art, design and architecture and based on my enormous curiosity for the various languages. The combination of approach and curiosity possibly hide my incapacity to commit directly to social aspects. However,

these are factors that are not associated with my professional sphere. Recently, your iconic ‘Proust Armchair’ was re-presented in a new version made from rotational plastic. How do you feel about that? The very first one of the chairs, displayed in London at the exhibition on Postmodernism, belongs to Guido Antonello, a serious collector from Milan. He also owns a number of other pieces from Alchimia and Memphis. There are no more than 150 of these hand-finished chairs in the world. And I will shortly be opening a site dedicated to it. I have also made miniature versions of the chair in porcelain and in celadon ceramic. Bertozzi and Casoni produced a version in ceramic on a 1:1 scale. Seven have been made in bronze. I consider the Proust Armchair to be part of the learning curve. Is it a flagship or manifesto piece? It depends on how it is interpretated… It can be considered to be an expression of energy, of dynamic creativity, where the quality of something small is transformed into the quality of something large and vice versa. It is where social and cultural energy is reflected in an article. It is an experience with open boundaries. Eugenio Perazza of Magis suggested that we produce a version in rotational plastic, for sale at a price that would be much more

accessible than the original pieces, for the general public, and I accepted. Now we are producing a multicolored version. From François Lyotard to Serge Latouche, author of the book ‘La decrescita serena’ - is it possible to trace a sort of parallel development of the cultural and economic thoughts, and the design? A lot is happening in the world of design. And in some cases they are fairly innovative but do not involve radical or structural change. Personally, I feel that the excessive styling is more damaging: it is a formal procedure, frequently powerful and self-referential, that generates articles lacking any ethical or social meaning. However, technology for its part can

offer new functional synthetic materials and their plastic characteristics encourage this formal innovation. However, in economic terms, there are no changes that can inspire a radically new design, and possibly free the industries from the permanent anxiety of having to increase their turnover. Consequently, do you believe that the factories of Italian design, as described by Alberto Alessi, still have the wherewithal to guarantee consolidation and market success? Generally-speaking, I believe that the most sensitive detector of the transformation in the creative world is art, and possibly fashion; these are then followed by architecture and design. If the factories of Italian Design have ever been leaders, it was thanks to their esthetic research, in which the industrials gave freedom of expression to the designers-artists. And this is possibly why Italian design abroad is referred to as Italian style, a phenomenon that has nothing to do with the global meaning of the word ‘design’. I believe that we represent a niche, an extremely important sector when we consider the value expressed by the definition ‘Made in Italy’. On the other hand, there is a type of product that considers anthropology ahead of the product-instrument; at this point, there is value, even in the case of the tacky article. Our design history has

roots in the Italian Renaissance period, in the workshops of Verrocchio, and we can still find traces of this in some of the design workshops. Going back to Alessi, you ‘dared’ revamp an icon of Italian design, the ‘Moka Express’ coffee percolator invented and manufactured in 1933 by Alfonso Bialetti… Alberto Alessi had a long-standing dream to produce a new moka in aluminium as a tribute to his maternal grandfather. We studied the project for a long time to ensure that the quality would be optimal and the delicious coffee produced was at the correct temperature – it was a very complex procedure. The metal thickness and the filter we used were similar to the

Bialetti moka; however, the silhouette had to be different to the diamond-shaped, intuitively art-deco style of the moka designed by the genius of Alfonso Bialetti. Consequently, I extracted ideas from my own routine habits, and managed to evoke an almost feminine softness to achieve a piece with precisely-defined function. And from all accounts, it works! And I even bought one for myself… Do you think that the Italian ‘coffee ritual’ could be a good omen to recover a more human and artisan dimension in the design and production of articles? There is a form of design with a high anthropological content; the articles are more customized and more sensitive to the domestic environment, and part of the Old Continent traditions; and there is technological design, suitable for mass market - ‘virtual’ products that are produced predominantly in Far Eastern countries. In the former group, there is a increasingly important role of self-production. To support this Camillo Agnoletto, Laura Agnoletto, Cesare Castelli and myself founded the association ‘Misiad - Milanosiautoproducedesign’, (Milan produces its own design). At the moment we began evaluating the excellent realities that are active in this creative and production sector. The results of this census are on display in a special exhibition-

workshop, ‘Autoproduzione a Milano’, (Self-production in Milan), an event that I organized with the partnership ‘City Council of Milan – Culture Department, at the Fabbrica del Vapore (Steam Factory) in parallel with the Milan International Furniture Salon.

In alto, da sinistra: rendering della Suite Mendini al Byblos Art Hotel - Villa Amistà, Corrubbio di Negarine (VR), 2005; il Groninger Museum, Groningen, Olanda, 1994. Top, from left: rendering of the Mendini Suite at the Byblos Art Hotel - Villa Amistà, Corrubbio di Negarine (VR), 2005; the Groninger Museum, Groningen, Holland, 1994.


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Dall’alto: vaso Rousseau, Corsi Design, 2007; posate ‘Asta barocca,’,Alessi, 2010; due scorci della stazione Università della metropolitana di Napoli (progetto degli interni di Karim Rashid), 2010 (foto: Iwan Baan, courtesy Metropolitana di Napoli); ‘La Punta’, disegno del padiglione espositivo per la Seoul Design Fair, 2010; mobile dorato della collezione ‘Tre Mobili Veneziani’, Carlo Poggio Design - Zerodisegno, 2008. From top: the vase Rousseau, Corsi Design, 2007; the tableware ‘Asta barocca’, Alessi, 2010; two shots of the University subway station in Naples (interior design, Karim Rashid), 2010 (photos: Iwan Baan, courtesy Metropolitana di Napoli); ‘La Punta’, design of the exhibition pavilion for the Seoul Design Fair, 2010; gilded furniture of the collection ‘Tre Mobili Veneziani’, Carlo Poggio Design - Zerodisegno, 2008.

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Txt: Paola Molteni

Design: Paolo Rizzatto

ECOCOMPATTA Riduzione è l’idea base del progetto. Il modulo di Veneta Cucina si presenta ridotto al minimo per quanto riguarda le dimensioni, ma completo in quanto componenti funzionali ‘Less is more’ potrebbe essere il motto di questa cucina dalle dimensioni di 310x80x200 cm dove tutto, dimensioni, costi, difficoltà di montaggio e di allacciamento, risulta ridotto. Il modulo quando è chiuso si presenta come una credenza, un parallelepipedo staccato dal muro, quasi sospeso nello spazio con al centro un’apertura schermata da una tapparella che si apre sul piano di lavoro. Il piano è una cellula polifunzionale monoblocco attrezzata. Attorno si organizzano alcuni elettrodomestici, un sistema di raccolta differenziata dei rifiuti e una serie di contenitori. Questo blocco è pensato e dimensionato per una cucina tradizionale di una casa, per l’angolo cottura di un monolocale, per il cucinino di un residence, per la suite di un albergo, ma anche per la cucina dell’ufficio, insomma per tutti i casi in cui bisogna fare i conti con spazi molto ridotti. Disponibile in due colori, bianco e nero, è realizzata in laminato antibatterico con ante laccate in medium density.

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Maximum reduction is the basic idea of the project. The unit presented by Veneta Cucina is extremely compact in terms of its size, but complete in terms of functional components ‘Less is more’ could well be the motto applied to this kitchen. It measures just 310x80x200 cm and everything about it has been reduced to a minimum – size, cost, assembly requirements and utility connections. When not in use, the unit looks just like a kitchen dresser, a geometrically-shaped block detached from the wall as though suspended in space; at the center there is an opening with a blind that opens to reveal the worktop; this is a well-equipped polyfunctional monoblock. The electrical appliances, the system of differentiated waste collection and a series of storage containers are all included. The unit has been designed and sized as a traditional kitchen in the home, for a studio apartment, for a holiday flat, for a hotel suite and can even be installed in the office – in other words, it is ideal for limited spaces. Available in two colors – black and white – it is produced in anti-bacterial laminate with lacquerdipped MDF doors.

A destra: il modello della Ecompatta nera dove si vedono le ante sottoposte a un procedimento di incisione per fare assumere l’aspetto esclusivo che le caratterizza. Sotto: schema assonometrico funzionale. Nella pagina a fianco, dall’alto al basso: la versione in bianco e le misure della cucina in modalità ‘aperta’ o ‘chiusa’. Right: Ecocompatta in black showing the doors subjected to a special incision procedure to produce their exclusive appearance. Below: the functional cross-section. On the opposite page, from top to bottom: Ecocompatta in white and the measurements of the kitchen when ‘open’ and ‘closed’.

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SPUN

Design: Thomas Heatherwick Giocosa, divertente e funzionale. Spun è la seduta roteante prodotta da Magis a forma di trottola adatta all’interno e all’esterno Trottola o sedia? Tutte e due. Spun nasce dalla creatività del designer inglese Thomas Heatherwick. Realizzata in polietilene con stampaggio rotazionale è ottenuta da un profilo singolo ruotato di 360°, sfrutta il sapiente bilanciamento di forza centripeta e centrifuga per assicurare la stabilità di seduta, giocando con i differenti diametri della base e della cavità centrale dell’elemento. Il risultato è una seduta comoda e chi la occupa oscilla con una libertà di movimenti che si traduce in un’azione antistress. Adatta anche all’outdoor è disponibile in diversi colori: rosso, viola, viola scuro, giallo.

Playful, fun and functional, Spun is a swivel chair produced by Magis; it is shaped like a spinning-top and can be used indoors and outdoors Spinning-top or chair? Well, both in actual fact. Spun was invented by the creative mind of British designer Thomas Heatherwick. It is produced from a single piece of polyethylene, shaped by a 360° rotational molding technique. The design skilfully exploits the equilibrium of the centripetal and centrifugal forces to guarantee the stability of the chair. It plays with the difference diameters of the base and the central cavity of the element. The result is a comfortable chair that allows the person sitting to swing with a freedom of movement that translates into an anti-stress activity. It can also be used outdoors and is available in the colors: red, mauve, deep purple and yellow.

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Nuova Oxidal presenta un innovativo supporto a quattro bracci per sostenere le lastre in vetro senza richiedere alcuna foratura o tacca

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Design: Cesare Monti

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TENSYON Un ragno metallico con dimensioni ridotte, ma con forza incredibile. Il supporto può essere utilizzato sia in posizione verticale per la realizzazione di facciate, che in posizione orizzontale per coperture e pensiline, duttile e adatto a qualsiasi tipo di vetro: monolitico, stratificato, vetrocamera e per vetri con integrazione di pannelli fotovoltaici. Ogni supporto è in grado di sostenere carichi dell’ordine di 200 kg per punto con deformazioni minime e un elevato fattore di sicurezza. Il sistema Tensyon è realizzato in acciaio inox 316 con linee pulite ed eleganti. Venendo meno la necessità di foratura vi è anche una riduzione di costi. Il sistema consente alte performance tecnologiche anche per la possibilità di abbinamento ad una struttura portante realizzata con tiranti: il tirante passa tra supporto e vetro riducendo al minimo l’ingombro della struttura (circa 5-10 cm).

Nuova Oxidal presents a new four-way support for sheets of glass with no need for drilling or clamps A small metal cobweb that is incredibly strong. The support can be used vertically to create facings or horizontally for roofs or porches. It is ductile and suitable for any type of glass: monolithic, stratified, glass chamber and for panes with integrated photovoltaic panels. Each unit can support loads of approximately 200 kg per contact point with minimal deformation and a high safety factor. The Tensyon system is produced in 316 stainless steel and has clean elegant lines. As drilling is no longer required, costs are also reduced. The system consents high technological performances thanks also to the possibility of adding a weight-bearing system of cables; the cable passes between the support and the glass, reducing to a minimum the volume occupied by the structure (approximately 5-10 cm).

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INTERNATIONAL MAGAZINE OF OFFICES AND DESIGN


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ARCHITETTURA ARCHITECTURE

INTERNI INTERIORS

Txt: Annamaria Maffina Ph: Werner Huthmacher, Volker Bueltmann Drawings: courtesy kadawittfeldarchitektur

Project: kadawittfeldarchitektur Interior design: Kinzo

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ADIDAS LACES. ISPIRAZIONE SPORTIVA SPORTING INSPIRATION Adidas, il brand colosso a livello internazionale nel mondo dello sport, ha ampliato l’Adidas World of Sports Campus di Herzogenaurach in Germania, con il nuovo Adidas Laces, un centro di ricerca e sviluppo della multinazionale a tre strisce E chi dice che lo sport – con annessi e connessi – non debba essere bello oltre che funzionale alla pratica sportiva? In Germania, Adidas Laces è un progetto di architettura che mixa sport, ricerca e design. Il centro, che ospita circa 1.700 impiegati, è stato ultimato di recente, dopo aver vinto il concorso indetto nel 2007, dallo studio kadawittfeldarchitektur in collaborazione, per quanto concerne gli interni, con Kinzo, un giovane studio berlinese. Partiamo subito dal nome. ‘Adidas Laces’ deriva direttamente dalla struttura dell’edificio, formato da una serie di passerelle e corridoi in vetro che si snodano intorno a un atrio centrale interno, che ricordano proprio i ‘lacci’ (laces) delle scarpe. Oltre all’imponente scenografia architettonica di questo reticolo intrecciato, questi ‘lacci’ consentono di accedere a tutte le aeree dell’edificio in modo efficiente e autonomo, senza dover attraversare inutilmente reparti e spazi, allungando la strada e perdendo tempo. Quindi non solo bello da vedere ma anche funzionale, per quanto riguarda l’organizzazione e il movimento all’interno degli ambienti. I corpi principali dell’edificio possono essere suddivisi in quattro macro-aree: la zona per gli uffici, detto Office Module; le aree per ‘usi e situazioni speciali’ al piano terra, detto Service Module; l’area di workshop, laboratori e aree di ricerca tra cui la Sala del test (Test Hall), detto Innovation Valley; i magazzini, l’area tecnica e altri locali ausiliari. Questa partizione e ottimizzazione dei locali, in base a utilizzo e funzioni specifiche, offre ai dipendenti ambienti in grado di stimolare la creatività, la comunicazione tra reparti e – parlando in gergo sportivo – la possibilità di fare il gioco di squadra in termini lavorativi. Per quanto riguarda l’interior design il team berlinese Kinzo, sempre in collaborazione con lo studio di architettura tedesco e il brand Adidas, ha creato grandi ambienti che contengono molti prodotti e postazioni, trasportando, così, questo concetto di comunicazione e interazione alla base della struttura architettonica precedentemente descritta, negli arredi, attraverso sistemi funzionali e modulari. In un’unica parola, e come i giovani progettisti lo hanno definito, questo modulo prende il nome di Workout, che esprime il concetto di gioco ‘di squadra’, tra persone, ambienti e idee. Il sistema Workout è composto da 46 elementi che possono essere combinati in diverse soluzioni, per creare zone di lavoro ad hoc o suddividere gli spazi a seconda delle necessità. ‘Team Player’ è il nome di uno dei moduli che serve come griglia, come schema base, per la disposizione degli arredi, delle scaffalature, delle scrivanie e degli ambienti. A questo si possono aggiungere altri componenti così da poter realizzare i più differenti ambienti di lavoro a seconda delle esigenze. Il risultato è un ufficio studiato per mantenere e garantire la comodità e l’usufruibilità di ogni spazio, arredo e oggetto.


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Below: the large interior atrium that extends into the ‘laces’ or corridors and the walkways that join the offices with their panoramic view over the large central space. Bottom: the outside of one of the offices viewed from another sector. On the opposite page: the outside of the building referred to as ‘Adidas Laces’; the facade reflects the surroundings thanks to the large, extensive windows.

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Sotto: l’ampio atrio interno nel quale si diramano i ‘lacci’, i collegamenti e le passerelle pedonali che uniscono gli uffici, i quali si affacciano, con una veduta panoramica sul grande spazio centrale. In basso: uno degli uffici visto esternamente da un altro settore. Nella pagina a fianco: l’esterno dell’edificio denominato ‘Adidas Laces’, caratterizzato da una facciata riflettente grazie alle molteplici e ampie vetrate.

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Adidas, the colossal international brand of sportswear and equipment, has expanded the Adidas World of Sports Campus in Herzogenaurach, Germany, with the new Adidas Laces, a center of research and development for this multinational company And who says that practicing sport – and everything associated with it – cannot be beautiful as well as functional? In Germany, Adidas Laces is an architecture project that mixes sport, research and design. The R&D center employs 1700 staff and was recently completed by Studio kadawittfeldarchitektur, the enterprise that won the competition run in 2007. The interiors were designed by Kinzo, a young Berlin-based studio. Let’s take a look at the company’s name. ‘Adidas Laces’ derives directly from the structure of the building with its walkways and glass corridors that wind their way around the central internal atrium. There is a clear reference to shoe laces – hence the name.

In addition to the impressive architectonic appearance of this network, the ‘laces’ provide efficient and autonomous access to all areas of the building with no time-consuming passages through other departments or divisions. So the arrangement is not just beautiful but also highly functional, in terms of the organization of the space and movement inside the building. The main blocks of the building can be split into four macro-areas: the office block or Module; the areas for special ‘uses and situations’ on the ground floor – the Service Module; the area containing the workshop, the laboratories and the research facilities, including the Test Hall, called Innovation Valley; the warehouses, technical facilities and other utility rooms. This division and optimization of the rooms, based on the specific uses and functions, provides staff with an environment that stimulates creativity, communication between departments and – borrowing from sporting language – the possibility of team work and brainstorming.

Regarding the interior design, the Berlin-based studio Kinzo, in collaboration with the German architects and the representatives of Adidas, created spacious rooms that house large numbers of products and workstations; in this way the foundation concept of communication and interaction is carried through to the furnishings, thanks to the functional and modular systems used. The young designers described this model and form of organization as a Workout, expressing the sporting concept of teamwork between people, environments and ideas. The Workout system consists of 46 elements that can be combined to create a number of different solutions, to create ad hoc operational areas or to subdivide the space depending on the requirements. ‘Team Player’ is the name of one of the modules that acts as a grid, a basic unit in the creation of furnishings, shelving, desks and ambiences. This can be joined by other elements and components to create any number of operative facilities, to suit the changing


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needs. What results is an office that has been studied to maintain and guarantee comfort and usability of every space, piece of furniture and accessory. The exterior of the Adidas Laces building has been created with no design exaggeration; the only compromise is the striped façade, an alternation of white stripes with the black rows of windows, a reference to the company’s logo. This external façade is simultaneously reflecting and transparent; in actual fact, viewed from different angles and under variable light conditions, it is possible to observe the reflections of the surrounding landscape or the pedestrian walkways inside.

147 In alto: postazioni ed elementi d’arredo. A destra: un’area adibita a meeting room, con un tavolo e delle sedute per ospitare più persone (foto: Volker Bueltmann).

Pianta del complesso/Layout plans of the complex

Top: workstations and the furnishing elements. Right: an area used as a meeting room, furnished with a table and chairs to accommodate a group of people (photo: Volker Bueltmann).


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ARCHITETTURA ARCHITECTURE

INTERNI INTERIORS


UFFICI MACQUARIE: LONDRA SI TINGE DI ROSSO THE MACQUARIE OFFICE BLOCK: LONDON IS TINGED WITH RED

Txt: Annamaria Maffina

Dopo Sidney, Londra è stata la città prescelta dal gruppo Macquarie. L’istituto bancario australiano, forte della precedente collaborazione con il team di West Hollywood Clive Wilkinson Architects, che aveva progettato gli uffici della sede di Sidney ‘One Shelley Street’, ha rinnovato questo sodalizio professionale affidando loro un progetto unitario per una nuova sede londinese

Project: Clive Wilkinson Architects (Clive Wilkinson John Meachem Sam Farhang Ruben Smudde Richard Jordan)

Macquarie Group, uno staff di 1.800 persone, occupa 20,207 metri quadrati, di sei - dei venti - piani di un edificio situato in Ropemaker Place, a Londra. Con questo nuovo progetto, Macquarie ha adottato un approccio trasparente materico/fisico relativo alla struttura, cosa che metaforicamente vuole simboleggiare la trasparenza dei servizi professionali che la banca offre ai clienti. La parola chiave del nuovo edificio è connettività: infatti i progettisti hanno elaborato un piano che faciliti, all’interno di una struttura a sei piani, la comunicazione tra persone e reparti. All’entrata il dipendente e il cliente sono immersi in un’ampia area - l’atrio -, una ‘zona franca’, uno spazio di accoglienza e di smistamento, dal quale poi si prevede la diramazione, a seconda dei bisogni e dei servizi, ai vari spazi adibiti a sale riunioni e uffici. Nell’ingresso è stato usato, ma come d’altra parte nell’intero edificio, in modo creativo ma altrettanto sapiente, il colore e l’illuminazione, che conferiscono all’ambiente un’atmosfera luminosa, fresca e dinamica. Si cancella così l’idea usuale che il business della finanza e delle banche, e quindi anche le strutture che ne sono sede, siano, solo e sempre, noiose, cupe e lineari ma possano diventare anche divertenti. Dall’atrio è possibile accedere agli altri uffici e aree tramite una lunga rampa di scale, che è da considerare la vera protagonista dello spazio, poiché garantisce la connessione e la continuità spaziale e professionale all’interno della sede. A sottolineare ancor di più la loro importanza, sia funzionale sia strutturale, le scale sono state dipinte di un acceso color rosso e illuminate da luci LED, lungo tutto il loro percorso. Dal piano terra tramite le scale o l’ascensore, i clienti vengono introdotti al Level 11 ‘Guest Relations area’, l’area di accoglienza e servizio, dal quale poi vengono ‘diramati’, a seconda del bisogno, negli uffici e nelle sale private per un meeting o una riunione, oppure possono gustare un caffè al Level 1 business lounge, o un pranzo formale nella sala da pranzo, un ricevimento nell’area ‘L11 conference rooms’, o un tè nell’area ‘L8 cafe’; se non prendere una boccata d’aria sulla terrazza con giardino. L’interior design e le varie soluzioni grafiche sono state curate dallo studio di Los Angeles Egg Office, che ha optato

Executive Architect: Pringle Brandon Architects (Chris Brandon Melvin Starling Richard Finnemore) Base Building Architect: ARUP Associates Ph: Riddle-Stagg Photographers

Sopra: vista di una delle sale adibite ai meeting, caratterizzata da un’ampia vetrata che permette sia a chi è all’interno sia a chi è all’esterno un’ampia visuale dello spazio circostante. Nella pagina a fianco: una delle tante ‘celle’ adibite per gli uffici. Above: view of one of the meeting rooms, characterized by a large window that give people inside and outside the building a wide view of the surrounding space. On the opposite page: one of the many units used as offices.

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Following Sydney, London was the next city chosen by the Macquarie Group. The Australian banking and financial services group, fired by its previous collaboration with the team of West Hollywood Clive Wilkinson Architects, responsible for the design of the Sydney Headquarters, ‘One Shelley Street’, has renewed this professional relationship with a contract for the new London headquarters, as the staff are segmented across the City in a variety of divisions The Macquarie Group employs 1800 people and the headquarters in London occupy 20,207 sq.m. over six of the twenty floors of a building located 150 on Ropemaker Place. With this new project, Macquarie has adopted a transparent textured/ physical approach to the structure that metaphorically aims to symbolize the transparency that leads to the security and the clarity reflected in the professional services that the bank offers its customers. Connectivity is the keyword for the

per uno stile che mixa la formalità, tipica di un brand che offre servizi finanziari, e soluzioni fresche e colorate. Ad esempio le zone dedicate ai meeting e all’accoglienza clienti sono più seriose e hanno un tono più classico, ma sempre mantenendo un ‘aspetto’ pop e invitante, mentre le aree comuni e d’incontro sono molto colorate e dinamiche. La progettazione dei nuovi uffici ha previsto anche l’utilizzo di diverse soluzioni sostenibili secondo gli standard di risparmio energetico, come significative diminuzioni del consumo di energia, netta riduzione di emissioni, ma soprattutto il fatto che l’edificio sia dotato di una rampa di scale in grado di raggiungere ogni area significa un minor utilizzo dell’ascensore - circa 75% in meno - e quindi anche risparmio di energia. La sede Macquarie colpisce per la sua organizzazione spaziale e l’adattabilità degli ambienti alle necessità degli impiegati, come se l’ufficio non fosse solo un luogo di lavoro, magari stressante, ma anche un ambiente da percepire positivamente, poiché i dipendenti diventano il nucleo intorno a cui gravita il brand e il suo servizio.

Sopra: panoramica del piano terra con una zona adibita all’incontro e ai momenti di pausa. Nella pagina a fianco, in alto: vista della struttura con la rampa di scale che risulta protagonista dello spazio, e che dirama dipendenti e clienti in ogni punto dell’edificio. Sotto: un dettaglio di una delle zone relax con tavoli e sedute, presenti in ogni piano. A destra: una delle meeting room, le zone di aggregazione e discussione.

Above: a general view of the ground floor with an area for relaxation and breaks, in a well-stocked catering zone furnished with tables and shelving. On the opposite page, top: a view of the building with the steps that take center-stage in the space and manages the flow of staff and clients to every part of the building. Below: one of the meeting rooms, the aggregation and negotiation areas.


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building: in actual fact, the designers have drafted plans that facilitate the communication between people and departments inside the six-floor structure. At the entrance, the members of staff and the clients cross the large atrium, a space used as the reception and for distribution of people flow to the various facilities and services, the meeting rooms and the offices. In the entrance lobby and throughout the building light and color have been used skilfully to give the ambience a luminous, fresh and dynamic atmosphere, banishing the usual idea that the worlds of finance and banking (and consequently their headquarters) are boring, dark and linear and showing the world that they can also be ‘fun’. The atrium leads to the other offices and areas by means of a long stairwell, considered to be the true protagonist of the space. It guarantees the connection and the spatial and

professional continuity throughout the headquarters. Its functional and structural importance is exalted by the bright red color of the stairs, illuminated by LED lights. From the ground floor by stairs or elevator, the clients reach ‘Level 11 Guest Relations area’; this is a welcome area used to direct the visitors to the offices or the private meeting rooms; they can opt for a cup of coffee in the Level 1 business lounge, or a formal lunch in the dining hall, a buffet in the ’area L11 conference rooms’, or a cup of tea in the ‘L8 cafe’; or take a breath of fresh air on the terrace garden. The interior design and the various graphic solutions have been supervised by the Los Angeles-based studio, Egg Office. The designers opted for 151 a style that would mix the formality typical of this financial services company’s branding with fresh, brightlycolored solutions. For example, the meeting and reception areas are more serious and have been decorated in a more classical style; however, they still maintain a young, more inviting twist. The common areas and the reception


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are brightly colored and dynamic. The design of the new offices also includes a number of sustainable solutions to satisfy standards of energy saving, for example, there will be a considerable reduction in energy consumption, a marked drop in the emissions but most importantly, the fact that the building is fitted with a stairwell that provides access to every area; this will lead to a drop of approximately 75% in the use of the elevator that will be converted

into energy saving. The Headquarters of Macquarie makes its mark for the spatial organization and the adaptability of the ambiences to the staff requirements; it is as though the office was not just a workplace (with all the associated stress) but also an environment that should be perceived positively. In the final analysis, the staff are the core nucleus at the center of the brand and the services it provides.

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Sopra: l’atmosfera calma, ordinata e dai colori tenui di un’area ristoro, dove i dipendenti possono sostare in tranquillità, pranzare e conversare. A lato: un dettaglio della zona adibita a cucina, caratterizzata da piani e scaffalature bianche.

Above: the calm, neat atmosphere of the refreshment zone has been decorated in pale colors. The staff can relax, eat and chat. To the side: a close-up of the kitchen with its tops and white shelving.


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ARCHITETTURA ARCHITECTURE

INTERNI INTERIORS

Txt:Elviro Di Meo Ph: Santi Caleca Drawings and images: courtesy Iosa Ghini Associati

Project: Iosa Ghini Associati

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In questa e nella pagina accanto: alcuni spazi del nuovo centro IBM. Il progetto nasce dalla volontà di creare un’atmosfera calda e accogliente che unisca i vari ambienti in un solo grande ‘continuum’ architettonico. On this and the opposite oage: some areas of the new IBM center. The project emerged from a desire to create somewhere with a warm ambience that blends the interiors into a large single architectonic ‘continuum’.

IL SOFTWARE EXECUTIVE BRIEFING CENTER. MATERIA IN MOVIMENTO MOVING MATTER L’intero progetto rielabora in modo innovativo e affascinante le famose ‘strisce’ del logo IBM, generando forme artificiali con un forte richiamo alla natura Un confronto costante tra la rielaborazione iconografica dello spazio e la personale cifra stilistica del progettista, tra l’innovazione tecnologica e la percezione visiva, tra la forma e l’essenza: c’è un rapporto osmotico che vive e si consuma all’interno del rinnovato IBM Software Executive Briefing Center di Roma. L’intero progetto nasce dalla reinterpretazione, in modo innovativo e affascinante, delle famose ‘righe’ del logo, divenendo, queste ultime, il filo conduttore che amalgama gli ambienti. Le linee, articolate in movimento continuo, generano forme artificiali con un forte richiamo alla natura. Si assiste, quindi, a un dialogo incessante tra la vena del legno e la linea tecnologica, che vede la sua applicazione sia nel piano, sia nella copertura. Le varie aree funzionali sono, infatti, legate tra loro da movimenti fluidi attraverso strisce a pavimento e gole a soffitto che si adattano, in maniera organica, alla continuità spaziale, mediante luci opache e trasparenti. Massimo Iosa Ghini e il suo studio creano un’atmosfera calda e accogliente in grado di unire i vari spazi, distribuiti su un unico livello di mille e cinquecento metri quadrati, in un solo grande ‘continuum’, in cui predominano gli originali arredi, dal design esclusivo, ideato per le peculiarità del luogo. Così come peculiare è il progetto di illuminazione, che associa al sistema Led, come la striscia luminosa che scorre a terra e le velette retroilluminate dei controsoffitti, le lampade a sospensione, i faretti, appositamente incassati e nascosti, e il sistema Barrisol a soffitto. Il Software Executive Briefing Program della IBM è stato progettato per offrire eventi gestiti professionalmente, così da massimizzare il valore del tempo che i clienti trascorrono con IBM. Qualunque ‘briefing’, ovunque si svolga, include, di fatto, presentazioni e dimostrazioni per avvicinare la clientela alla conduzione delle manifestazioni cui partecipa. Qui le tecnologie d’avanguardia in campo audiovisivo sono state accuratamente selezionate per fornire ai visitatori un ambiente confortevole e un’esperienza ad alto valore aggiunto. “Ascoltando come le nuove tecnologie IBM possano essere d’aiuto nell’affrontare e nel risolvere le problematiche tecniche e di business – commenta l’architetto -, ho cercato di configurare un luogo concepito come una nuova agorà, capace di favorire e stimolare un confronto virtuoso anche all’interno di una dimensione comunicativa che si allontana dai parametri tradizionali, per rendere protagonisti scenari virtuali di interfaccia”. Le scelte progettuali sono state fortemente condizionate dalla struttura dell’edificio preesistente, dove l’altezza del piano e il passo strutturale delle colonne hanno rappresentato


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A sinistra: schizzo del desk informativo. Left: a sketch of the information desk.

This entire project takes an innovative and fascinating approach to the famous IBM stripes, generating artificial shapes with a strong reference to nature

un ostacolo, sebbene superato, nell’organizzare la matrice progettuale, tesa a impostare un contenitore aperto; una sorta di open space, libero da qualsiasi barriera visiva che ne impedisse la completa percezione, oltre che la fruizione. Il nuovo spazio è stato realizzato nello stesso edificio che ospita il laboratorio internazionale di sviluppo della IBM Software Group, mettendo a disposizione tutti gli strumenti per esplorare le innovative soluzioni del celebre marchio. Negli ultimi anni, il Centro, anche prima del restyling, ha ulteriormente ampliato la sua offerta, coprendo un set più vasto dei brand software e accentuando la sua vocazione.

A constant comparison between iconographic re-elaboration of the space and the architect’s personal style, between technological innovation and visual perception, between shape and substance: this is the osmotic relationship that thrives and develops inside the renewed IBM Software Executive Briefing Center in Rome. The entire project is based on the 155 innovative and highly-fascinating reinterpretation of the company’s famous striped logo; these lines become the common denominator that amalgamates the ambiences. The lines are arranged in continuous movement, generating artificial shapes with a powerful reference to nature. There is ongoing dialogue between veining in wood and the technological lines that have been


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applied to the flat surfaces and to the roof. The various functional areas are joined together by flowing movements, with stripes on the flooring and cuts on the ceiling that adapt organically to the spatial continuity, through opaque and transparent windows. Massimo Iosa Ghini and his studio created a warm welcoming atmosphere that unites the various ambiences, spread over a single floor of 1500 sq.m.; the plans form a single ‘continuum’, with focus on the original furnishings and the exclusive design, created specifically for the peculiar features of the location. The illumination technology system is also origin. It associates Led strips on the floor and the backlit lowered-ceiling panels, a series of suspension lamps and spotlights that have been recessed and hidden, and a Barrisol system has been installed in the ceiling. The IBM Software Executive Briefing Program has been designed for professionally-managed events, to optimize the time the clients spend with IBM. The briefings include presentations and demonstrations to bring the clients closer to the substance 156 of the event. Here the avant-garde audio-visual technology has been carefully selected to provide visitors with a comfortable ambience and an overall experience spiced with exceptional added value. “When I listened to how the new IBM technology can help us tackle and resolve the technical problems associated with business – commented the architect – I attempted to create a

place that was a semi-circular agora, somewhere that would encourage and stimulate the virtuous comparison with the communication dimension; I wanted to design something that would distance itself from the traditional parameters, to promote virtual scenarios of interface as the protagonists”. The design choices were powerfully conditioned by the structure of the existing building; the floor-to-ceiling height and the columns formed a design barrier for the organization of the plans. We managed to overcome the problem and created an open space, free from any visual barrier that would obstruct or interfere with the complete overall perception of the facility and limit the usability factor. This

In alto: caratteristica peculiare dell’intervento di Massimo Iosa Ghini è stato il progetto di illuminazione. Progetto che associa al sistema Led, come la striscia luminosa che scorre a terra e le velette retroilluminate dei controsoffitti, le lampade a sospensione, i faretti, appositamente incassati e nascosti, e il sistema Barrisol a soffitto. Top: a peculiar feature of Massimo Iosa Ghini’s plans was the illumination project; it combines Led systems, that run along the ground and in the backlit panels in the lowered ceiling, recessed spotlights and the Barrisol system in the ceiling.

Planimetria, con l’indicazione delle varie aree funzionali Layout plans with the indication of the various functional areas


new facility was created inside the same building that houses the international development workshop of the IBM Software Group, and provides all the necessary tools for the exploration of the innovative solutions of the famous brand. Even before the restyling, over the years this Center has expanded its products with a much greater range of branded software and accentuating its innovative vocation.

Altre immagini degli spazi interni. Quasi tutti gli arredi sono stati disegnati da Iosa Ghini, tra cui le poltroncine dell’area meeting prodotte da Moroso. More shots of the interiors. Almost all of the furnishings have been designed by Iosa Ghini, including the armchairs in the meeting area that were produced by Moroso.

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Txt: Paola Molteni Ph: courtesy Castelli spa

TRADUTTORI CULTURALI CULTURAL TRANSLATORS Nuova vita per lo storico marchio del design italiano Castelli. L’ingegnere Giorgio Dino, in qualità di Presidente del Consiglio di Amministrazione, ci racconta la storia di un’azienda che ha radici profonde e si proietta nel futuro cercando la provocazione e la creatività di giovani talenti attraverso il nuovo contest “Designing new ways ok working” Quali sono i nuovi obbiettivi e i nuovi programmi a cui mira la Castelli? Questa nuova avventura parte con radici solide che assorbono humus da ben 135 anni di storia, esattamente dal 1877. La Castelli nasce come bottega artigianale di ebanisteria bolognese e via via si sviluppa fino agli anni ‘60, ‘70 e ’80, con tre Compassi d’Oro e numerosi riconoscimenti. Se si guardano le radici del passato si comprende dove vogliamo andare oggi. Un’azienda con una forte e intima relazione con il mondo del design e dell’architettura dalla quale sono scaturiti una serie di prodotti di grande successo. Questa continua contaminazione di idee è quello che bisogna ricreare ed è alla base del Made in Italy. Sul piano del prodotto, abbiamo un catalogo molto ampio e la nostra ambizione è quella di voler fare tutto, ma bisogna razionalizzare. Andiamo dall’interior design alle pareti, dagli operativi, alle sedute, fino ad arredi per la collettività. Almeno il 50% delle università in Italia ha prodotti della Castelli: siamo stati l’azienda a inventare banco e sedia ribaltabile. Tutto questo grande patrimonio lo vogliamo arricchire con le sensibilità moderne e con la nostra conoscenza del mondo dell’ufficio. Dieci anni nel gruppo Haworth hanno cementato quelle radici che già erano esistenti. Abbiamo acquisito una visione internazionale e abbiamo avuto la possibilità di lavorare per grandissimi clienti, seguendo l’evoluzione dell’ufficio in vari paesi. L’ambizione è quella di riuscire a conciliare l’approccio al design della storica Castelli, conservando l’esperienza internazionale con l’obbiettivo di creare una serie di nuovi prodotti più italiani, più Made in Italy.

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In alto: la sede Microsoft a Peschiera Borromeo (Mi). Sotto: dettaglio della seduta Penelope. Nella pagina a fianco, a sinistra: l’ingegnere Giorgio Dino, Presidente del Consiglio di Amministrazione. A destra, dall’alto in basso: la seduta Plia e la DSC 106. Top: the Headquarters of Microsoft in Peschiera Borromeo (Mi). Below, close-up of the chair, Penelope. On the opposite page, left: Engineer Giorgio Dini, President of the Board of Directors. Right, from top to bottom, the seat Plia and the DSC 106.

Come immagina l’ufficio in futuro? Avete qualche asso nella manica? Bisognerebbe avere una sfera di cristallo. Oggi il mondo del lavoro intellettuale, non solo quello dell’ufficio, sta vivendo una trasformazione molto forte e nessuno sa esattamente come si lavorerà domani. Sappiamo che esistono dei ‘filoni’, sappiamo che la tecnologia è così pervasiva che ci permette di lavorare dappertutto. Si lavora su un divano con il proprio laptop, si lavora alla fermata del bus con l’ipad, in aeroporto. Questo ormai è lavoro d’ufficio. Certamente vedo l’ufficio sempre più come luogo d’incontro e sempre meno come scrivania individuale. Tutto questo si rifletterà nel progetto degli uffici e anche nei prodotti. Come cambierà il nostro approccio in termini progettuali? Se avessi questa risposta saremmo 20 anni in anticipo su tutti i nostri concorrenti. Dobbiamo continuare a investigare, a fare ricerca, a parlare con i grandi clienti. Per esempio l’Headquarters della Microsoft a Peschiera Borromeo che abbiamo appena completato rappresenta un buon esempio del nuovo modo di lavorare, con molti spazi conviviali, grande attenzione all’acustica, tante scrivanie condivise: c’è rotazione e possibilità di sharing dei posti di lavoro. Questo modo di lavorare funziona bene per il tipo di cultura che esprime Microsoft. Ma una singola azienda non è in grado di interpretare pienamente come il modo di lavorare cambierà. Noi siamo dei traduttori culturali, noi traduciamo i bisogni del cliente. Dobbiamo avere la fortuna di poter contare su una committenza evoluta e su bravi professionisti che ci aiutano nell’organizzazione degli spazi. È difficile oggi scorgere in questo cambiamento continuo un unico modo di lavorare nel futuro. Sicuramente occorre un committente pronto e un traduttore culturale.


Su cosa puntate per innovare il lavoro in ufficio? Puntiamo a offrire un ventaglio di proposte non convenzionali. La linea LTB offre la possibilità di lavorare in modo rilassato, attraverso un sistema di sofà e di sedute con vari supporti anche per appoggiare il laptop. La nostra ricerca consiste nel capire quali aeree all’interno di un’azienda cambiano e con quali prodotti si possono soddisfare queste esigenze. Innovazione, attenzione a individuare i cambiamenti: sono questi gli aspetti su cui puntiamo. Ecco perché è importante un rapporto diretto con il mondo del design che sappia interpretare le esigenze future prima di noi. Come valorizzerete i prodotti storici, se avete intenzione di valorizzarli? Ci sono ben due prodotti (Plia e Vertebra) che entrano a far parte della collezione del MOMA a New York e meriterebbero più attenzione di quella che gli abbiamo dato in passato. L’intenzione è quella di costruire una collezione puntando su questi prodotti, con una distribuzione un po’ più attenta e più allargata. Certamente dobbiamo rivalorizzare i pezzi storici della collezione, abbiamo già iniziato con LC che è una bellissima linea degli anni ‘70 ed è stata riprodotta integralmente qualche anno fa. Continueremo con questa ricerca di traduzione delle nostre radici di design, ma con tecnologie e materiali attuali. Bisogna fare attenzione a non rovinare il prodotto ritraducendolo, ma sicuramente il tema della collezione è affascinante e contiamo di lavorarci. Puntiamo anche molto sul custom, sul prodotto dedicato e personalizzato per il cliente: questo è un tratto distintivo del marchio che vogliamo continuare a mantenere. Come operate in termini di progettazione? C’è differenza nella progettazione estera rispetto a quella italiana? Ahimè, si. Noi da sempre abbiamo mantenuto un nucleo di progettazione forte a Bologna, progettazione e ingegnerizzazione del prodotto e layout di spazi. Il cliente che si rivolge a noi ha la certezza di avere una struttura interna specializzata nella progettazione di ufficio. Preferiamo però sempre dialogare con i professionisti esterni che normalmente sono interpellati dalla committenza. Per quanto riguarda il confronto tra Italia ed estero il divario è profondo. A dire il vero non c’è un unico approccio, ci sono caratteristiche culturali differenti. Una grande differenza è percepibile con il mondo anglosassone, dove esiste una competenza organizzativa più matura. In Italia con Assufficio stiamo portando avanti da tanti anni una campagna di sensibilizzazione del mercato. Ma quello che notiamo è che nel mondo anglosassone c’è maggior maturità nel capire che il ‘mondo ufficio’ è un mondo dove si deve investire per avere dei ritorni di produttività e per trattenere talenti e risorse umane. Abbiamo sponsorizzato nelle scuole di Design il corso di Office Design proprio perché desideriamo creare nuove generazioni di persone esperte del mondo dell’ufficio. Gli Stati Uniti, il Nord Europa con Scandinavia e Olanda sono sicuramente i paesi più maturi da questo punto di vista, il sud Europa ancora stenta. La Germania ha una sua modalità organizzativa tipica: per esempio è molto attenta all’acustica. Due parole sul nuovo concorso bandito ‘Designing new ways of working’ Questo concorso è una specie di ‘kick-off’: è un modo di comunicare al mercato la voglia di ritornare ad avere un rapporto organico con i professionisti e con i giovani designer. Il modo di lavorare cambierà e chi meglio dei giovani, chi meglio dei professionisti che lavorano su svariati progetti possono essere fonti di ispirazione, di creatività e di provocazione? Contiamo su una partecipazione ampia e molto diversificata: a questo concorso può partecipare il professionista o il giovane designer alle prime armi che esprimerà la sua creatività magari sbagliando, ma permettendoci di aprire i nostri neuroni, facendoci vedere le cose da un altro punto di vista. Per questa ragione abbiamo chiamato il concorso ‘Disegnare nuovi modi di lavorare’ perché ci aspettiamo non la solita scrivania, ci aspettiamo provocazione e sperimentazione. Infine nel momento in cui l’azienda riprende il proprio marchio originale quale migliore occasione di legare il nome della Castelli alle radici più profonde del design?

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New life has been injected into the historical Italian design brand brand, Castelli. Engineer Giorgio Dino, President of the Board of Directors, tells us the story behind this company that roots deep in design history, a reality that reaches to the future to identify the provocative ideas and the creativity of the new design talents through a competition “Designing new ways of working” How would you describe the new objectives and the new programs Castelli is aiming for? This new adventure begins on solid footing that amalgamates 135 years of history – the company was founded in 1877. Castelli was originally founded as a cabinet-maker’s workshop in Bologna and gradually developed over the years. It reached the apex of its success in the 60s, 70s, and 80s when it was awarded three Compassi d’Oro and numerous other prizes. If we take a look back at the origins of this company, it is clear where we are heading now. This is a company with a powerful and intimate relationship with the world of design and architecture and this resulted in a series of extremely successful products. This constant contamination of ideas is precisely what we need to recreate and renew, and what is the essential ingredient of Made in Italy. In terms of the product, we have an extremely vast catalogue and our ambition is to do absolutely everything; however we need to rationalize. We are involved in everything from interior design to the walls, to the operative stations, seating and furnishings for collective facilities. Castelli products can be found in at least 50% of Italian universities: we actually invented the tip-up desk and seat. We want to enrich this enormous legacy with a dash of modern sensitivity and our know-how of the office world. Ten years as part of the Haworth group consolidated the roots that existed already. We have acquired international vision and we had the possibility of working with some extremely important clients, following the evolution of the office in a number of countries. Our ambition is to be able to combine this approach with the historical Castelli designs, preserving the international experience with the objective of creating a series of products with a greater Italian flavor, with greater Made in Italy style.

How do you imagine the office of the future? Have you any aces up your sleeve? I would need to have a crystal ball. In today’s world, intellectual work, and not 159 just office work, is undergoing incredible transformation and no-one has a clear idea of how they will be working in tomorrow’s world. We are aware that there are threads of thought developing; we know that technology is so virtual that we can work almost anywhere. We can work on the sofa with our laptop, we can work at the bus stop with an Ipad, in the airport. Despite these changes, the office


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will still be a place for meeting people but will no longer be a place with an individual desk or workstation. All of this will reflect in the office design and also in the products. So how will our approach change in design terms? If I had the answer to that question, we would be 20 years ahead of our competitors. We have to continue investigating, researching, brain-storming with the major clients. For example, the Headquarters of Microsoft in Peschiera Borromeo near Milan, that we completed recently is a good example of a new way of working. The spaces are delightful, enormous attention has been paid to the acoustics; there are lots of shared desks: there is staff rotation and the possibility of sharing the work stations. This type of operational arrangement is ideal for the type of culture expressed by Microsoft. However, one company cannot fully interpret how the working environment will change. We are simply cultural translators of the client’s needs We need to be lucky enough to be able to rely on forward-thinking clients and excellent professionals who assist us in the organization of the space. In this environment of ongoing change, it is not easy to identify a uniform way of working in the future. One thing is certain however – a client that is ready for change and a cultural translator will be the essential ingredients. What changes are you contemplating for the innovation of the office space? We aim to offer a range of unconventional proposals. The LTB line offers the possibility of working in a relaxed way, with a system of sofas and seating with a variety of support elements even for a laptop computer. Our research has to identify the areas in a company that are changing and what products can be developed to satisfy these new requirements. Innovation, careful identification of the changes: these are the areas we are focusing on at the moment. And this is why it is essential to have a direct relationship with the design world that can interpret the future requirements before we can.

How do you enhance the historical products, if that is in your plans? Two of our products (Plia e Vertebra) will be included in MOMA, New York; they deserve more attention that we have given them in the past. We would like to build a collection based on these products, with a more attentive and broadbased distribution. Unquestionably, we have to re-examine the historical pieces of the collection; we have already started with LC - a wonderful line dating from 160 the 70s and that was already faithfully reproduced a few years ago. We will continue in our attempts to translate our design roots, though this time we will be using modern technology and materials. We need to be careful not to ruin the product with the restyling; however, the subject of this collection is highly fascinating and we intend working on it. We also place a lot of store on custom

projects, on the dedicated and personalized product designed specifically for a client: this is a distinctive trait of our brand that we would like to maintain. How do you operate in terms of design? Are there any marked differences between international design methods and the Italian procedures? Yes, unfortunately. We have always maintained a strong design nucleus in Bologna – design and engineerization of the product and space layout. Clients who contact us are confident that they have an internal structure that is specialized in office design. We always prefer to interface with external professionals who are normally contracted by the clients. However, there is a huge chasm between Italy and the international realities. No single approach exists; there are major cultural differences. A huge diversity can be perceived if we compare Italy to the Anglo-Saxon world that has more mature organizational competence. In Italy, through the trade association Assufficio, we are attempting to sensitize the market. We are aware that in the AngloSaxon world there is greater maturity with regards the ‘office world’. It’s a world in which we must invest to ensure productivity and economic returns and to hold onto our talents and our human resources. In Design schools, we have sponsored the course of Office Design simply because we want to create new generations of designers with expertise in the office world. United States of America, Northern Europe (Scandinavia and Holland) are unquestionably the more developed countries from this point of view; the countries of Southern Europe are lagging behind. Germany has its own typical organizational formats: for example, the Germans pay a lot of attention to acoustics. To finish, I would to know a bit more about the new competition ‘Designing new ways of working’ This competition can be described as a sort of ‘kick-off’: it is a way of communicating to the market our desire to return to an organic relationship with the professionals and with the young designers. The working method will change, and the younger generations or the professionals who are working in this field will be the sources of inspiration, creativity and provocation. We are expecting applications from a large number of designers with diversified outlook. The competition is open to professional designers or new talents who will express their creativity; they might make mistakes but their will touch a nerve and allow us to view things from a different angle. For this reason, we have called the competition ‘Designing new ways of working’, simply because we do not expect to see designs for the traditional desk; we want to see something provocative and experimental. Finally, at this time when the company is returning to its original brand, what better opportunity to link the Castelli name to the deeper roots of design?

Dall’alto in basso: il direzionale Mumbai, il logo del nuovo contest ‘Designing new ways of working’ e la seduta Vertebra. Nella pagina a fianco, dall’alto al basso: la parete Esedra 3 e DSC Axis 4000 in Santa Lucia, Bologna.

Top to bottom: Mumbai, the logo of the new competition ‘Designing new ways of working’ and the chair Vertebra. On the opposite page, from to bottom: the wall unit Esedra 3 and DSC Axis 4000 in Santa Lucia, Bologna.


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ARCHITETTURA ARCHITECTURE

PUNTO DI CONFINE BOUNDARY PLACE

Txt: © Bradley Wheeler/CoolNewProjects.com Ph: Paul Crosby & Frank Ooms

Project: Julie Snow Architects Inc.

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U.S. LAND PORT OF ENTRY WARROAD, MINNESOTA Un semplice edificio governativo nel Minnesota settentrionale riscuote successo per la sua purezza modernista L’elegante e fresca architettura nelle foreste pianeggianti dell’estremo limite settentrionale degli Stati Uniti richiama i maestosi dintorni dai fitti boschi. Qui lo Stato del Minnesota è a stretto contatto con il Canada, consentendo a decine di migliaia di veicoli commerciali e privati di passare ogni anno tra gli Stati Uniti e il paese confinante. Il progetto dello U.S. Land Port of Entry del governo statunitense è stato commissionato a Julie Snow Architects, Inc. L’edificio premiato è collocato nel villaggio di Warroad, a ovest della Muskeg Bay, nella contea di Lake of the Woods. Il semplice ed efficiente progetto che si estende su una superficie di 3726 metri quadrati si fonde con i dintorni, grazie al discreto volume che coglie l’armonia dell’irregolare paesaggio del nord. La purezza del profilo è il risultato delle linee senza pretese che tagliano il cielo con tratti audaci e sicuri, mentre gli aggetti estendono lo spazio dall’interno verso l’esterno e mettono in rilievo i punti d’entrata principali nonché le zone dedicate alla circolazione dei veicoli. Lungo l’intero arco della giornata, lo spostamento di posizione del sole e delle ombre accentua le fessure e gli intagli ritagliati dall’insieme come l’opera di un scultore il cui rispetto per il mezzo viene riflettuto nelle accurate incisioni. La caratteristica sensibilità dello studio risulta analogamente evidente nell’interessante gamma di materiali strutturali scelti per i rivestimenti esterni in cedro raccolto in modo sostenibile. Il cedro locale viene accostato in tinte satinate sia trasparenti che nere. La natura chiara e accogliente del legno è riservata alle zone di ispezione dei veicoli e agli interni della struttura. Per contro, l’involucro esterno nero riesce a mimetizzare l’edificio nella distesa di foresta e valorizza il fascino dei campi di cedro più naturali e chiari. Il motivo nero contrapposto a un paesaggio spesso ricoperto da un manto di candida neve ha un impatto visivo notevole e accentua il simbolismo iconografico della composizione come avamposto in una regione selvaggia. Arrivando alla stazione, l’invitante calore dei materiali e la ricchezza dell’architettura hanno il medesimo effetto di un succo di mele caldo in una ventosa giornata invernale. Il livello di successo del progetto di qualsiasi studio è fondamentalmente decretato dal committente. In questo caso, Robert Theel, AIA, architetto capo della Regione dei Grandi Laghi, Amministrazione dei Servizi Generali degli Stati Uniti, rivela che Julie Snow Architects ha svolto un ruolo fondamentale nella fase progettuale integrata. Sottolinea che lo studio con sede a Minneapolis “si è ostinatamente spinto al limite durante la fase progettuale e ha messo alla prova numerose ipotesi relative alle strutture di confine settentrionale”. Il successo dell’edificio si sta traducendo in ulteriori progetti commissionati dal governo statunitense. Attualmente in costruzione è il Van Buren Land Port of Entry nel Maine, di dimensioni analoghe, la cui ultimazione è prevista per l’autunno del 2013. Analogamente agli altri progetti realizzati dal team, questo nuovo complesso è caratterizzato da una notevole sensibilità per i dintorni e da uno spiccato senso del luogo. Il progetto di Warroad è di grande effetto sia da un punto di vista architettonico, con la sua semplice logica geometrica e purezza di spirito sia per l’interesse che ha suscitato. La fluidità della forma e l’utilizzo intelligente dei materiali gli consentono di emergere agevolmente dal resto della ‘foresta’. Per ulteriori informazioni visitare il sito JulieSnowArchitects.com


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Sopra: l’orizzontalità della facciata nord abbraccia il paesaggio e si integra perfettamente con i dintorni pianeggianti. Sotto: tettoia adibita alle ispezioni primarie, rivolta verso est.

Above: the horizontally of the north facade hugs the landscape and integrates well with the at environs. Below: primary inspection canopy looking east.


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Mappa del sito e mappa del paesaggio 1. Edificio commerciale 2. Area di attesa commerciale 3. Tettoia adibita alle ispezioni primarie 4. Area uffici principale 5. Area adibita alle ispezioni secondarie 6. Tettoia adibita alle ispezioni secondarie 7. Parcheggio pubblico 8. Parcheggio riservato ai dipendenti 9. Tettoia adibita alle ispezioni dei veicoli in uscita 10. Filari antivento di larici locali 11. Betulle di fiume e bioswale 12. Graminacee di prateria locali 13. Ardesia estratta da cave locali

Site Plan & Landscape Plan 1. Commercial building 2. Commercial queuing 3. Primary inspections canopy 4. Main office area 5. Secondary inspection area 6. Secondary inspection canopy 7. Public parking 8. Employee parking 9. Outbound inspection canopy 10. Native tamarak wind rows 11. River birch and bioswale 12. Native prairie grasses 13. Locally sourced slate

Sopra: a sinistra, tettoia adibita alle ispezioni primarie; a destra, tettoia adibita alle ispezioni secondarie e ingresso principale. Nella pagina successiva: area uffici (in alto) ingresso pubblico (in basso).

Above: primary inspections (left) and secondary canopy and main entrance (right). Next page: office work area (top) public lobby (bottom).

Esempi di flusso di traffico che mostrano l’andamento delle ispezioni dei veicoli commerciali e privati.

Traffic patterns showing the flow of commercial and private vehicle inspections.


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A simple government building in northern Minnesota wins praise for its Modernist purity Much like its deeply wooded and majestic surroundings, elegant and crisp architecture can be found on the forested flatlands of the northernmost boundary of the United States. Here the State of Minnesota shakes hands with Canada, allowing tens of thousands of commercial and private vehicles to pass yearly between the United States and its neighbor. The United States Government commission is the U.S. Land Port of Entry by Julie Snow Architects, Inc.. The award-winning building is in the hamlet of Warroad and is due west of the Muskeg Bay on Lake of the Woods. The simple and efficient rectilinear 3726 square meter (40,108 square foot) project blends with the environs,

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thanks to the unassuming massing that captures the harmony of the rugged north. The form’s honest profile is composed of unpretentious lines that cut the sky with bold and confident strokes while overhangs extend space from the interior to the exterior and emphasize key points of entry as well as vehicular zones. Throughout the day, the shifting sun and shadows accentuate slots and notches cut out of the whole like the work of a master woodcarver whose respect for the medium is reflected in his careful incisions. The studio’s typical sensitivity is similarly evident in the structure’s attractive material palette of sustainably harvested cedar siding. Indigenous cedar is juxtaposed in both clear and black satin stain. The clear and welcoming nature of the wood is reserved for the vehicular inspection areas and interior of the facility. The black

exterior ‘shell’ conversely succeeds at camouflaging the edifice against the expanse of forest and enhances the charm of the more natural, lighter fields of cedar. The black motif against a landscape that is often covered in a blanket of white snow, is visually strong and further adds to the composition’s iconographic symbolism as an outpost in the wilderness. When one arrives at the station, the inviting material warmth and richness of the architecture goes down easily, much like hot apple cider on a blustery winter day. The degree of achievement of any office’s performance is ultimately adjudicated by the client. In this case, Robert Theel, AIA, Chief Architect of the Great Lakes Region, U.S. General Services Administration, comments that the Julie Snow Architects were crucial to the integrated design phase. He points out that the

Minneapolis-based firm “was persistent in pushing the envelope during the design process and challenged many assumptions about northern border facilities.” The success of the building is propagating additional commissions from the U.S. Government. Currently under construction is the Van Buren Land Port of Entry in Maine. It is of a similar size and is scheduled to complete in the fall of 2013. As is prevalent of the équipe’s work, this new complex is also characterized by its robust sensibility to its environs and responsive sense of place. The Warroad project is impressive both from an architectural perspective with its straightforward geometric logic and purity of spirit and from the interest it has created. Its effortless shape and intelligent use of materials make it stand out easily from the rest of the ‘forest’. See more at JulieSnowArchitects.com


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In alto: area di ispezione commerciale. Al centro, a sinistra: prospetto nord (foto: Frank Ooms). Al centro, a destra: area uffici (foto: Frank Ooms). In basso: area adibita alle ispezioni primarie (foto: Frank Ooms) Nella pagina precedente: poligono di tiro.

Top: commercial inspection area. Middle left: north elevation (photo: Frank Ooms). Middle right: office work area (photo: Frank Ooms). Bottom: primary inspection area (photo: Frank Ooms). Previous page: firing range.


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ARCHITETTURA ARCHITECTURE

TRASPARENZE GLASS WALLS

Txt: Cristina Molteni Ph: courtesy TomásLlavador Arquitectos e Ingenieros

WALHALLA DATA CENTER

Project: Josè María Tomás Llavador

È stato inaugurato a Valencia, in Spagna, il più avanzato ‘cervellone’ d’Europa. Un Centro Dati di altissimo livello, costruito, in soli sei mesi, anche con particolare attenzione ai consumi e alla sostenibilità ambientale

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In queste pagine: viste esterne dell’edificio. Nella pagina a destra: interno dell’area di accesso adibita a uffici. On these pages: external view of the building. Page on the right: inside the office block.

È stato chiamato Walhalla il nuovo grande Centro Dati costruito nella regione di Valencia dall’azienda Tissat, leader di mercato nella gestione di servizi tecnologici. Edificato in soli sei mesi, oggi il centro è considerato il più avanzato d’Europa, garantendo un livello di sicurezza e privacy dei dati informatici gestiti dalle sue macchine pari a quello dei centri che servono l’FBI, la CIA e il Governo degli Stati Uniti, comprovato dall’americano TIER IV Certificate. L’edificio si trova all’interno del Parco Scentifico dell’Università Jaume I di Castellón, Valencia, occupa una superficie di 2657 mq ed è stato progettato dall’architetto Josè María Tomás Llavador, valenciano; il progetto è stato recentemente selezionato come il Best Medium Data Center dal Datacenter Dynamic Award di Londra. La sostenibilità ambientale dell’edificio è rappresentata da un risparmio del 41% nei consumi elettrici e del 12% nell’emissione di anidride carbonica, dati che si trasformeranno rispettivamente nel 65% e 51% quando la seconda fase dei lavori sarà completata con l’introduzione di una batteria a idrogeno. Non poco se si pensa che in questa grande ‘scatola’ sono contenuti 7200 computer che lavorano simultaneamente, e 36400 macchine virtuali; significa che per ogni Kw fornito, solo lo 0,11 è utilizzato per il raffreddamento delle unità, mentre rispetto a un progetto tradizionale, si rappresenta un risparmio pari a quello del consumo annuo di 360 abitazioni e delle emissioni di anidride carbonica di 1023 auto l’anno. L’edificio è suddiviso in due volumi principali: nella sala RACK, sono immagazzinati tutti i dati che Tissat salvaguarda e gestisce per i suoi clienti. Ovviamente si tratta di una operazione delicata e complessa, ragion per cui lo spazio progettato deve possedere un elevatissimo grado di sicurezza, sia fisica, contro qualsiasi tipo di intrusione o problematica proveniente dall’esterno, che elettronica, per la protezione totale delle macchine. Per questo l’edificio non poteva che essere un contenitore chiuso, in cui alloggiano sofisticati sistemi impiantistici, che si apre però in quelle zone progettate per gli uffici e le hall di accesso; in queste aree il design trova la trasparenza, cercando di permettere la vista verso fuori senza però consentire di essere visti, nel rispetto di una corretta privacy. La facciata possiede quindi una doppia pelle, la prima di vetro e la seconda di zinco perforato, che permette appunto alla vista di guardare l’esterno e alla luce naturale di fluire all’interno. Materiali, disegno e impiantistica si fondono a creare un edificio moderno, semplice, con un’immagine sufficientemente tecnologica.


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The most advanced data center in Europe was recently inaugurated in Valencia, Spain. Of the very highest standard, it was constructed in just six months with special attention paid to energy consumption and environmental sustainability The new gigantic Data Center is called Walhalla; it has been constructed in the area of Valencia, Spain, by the company Tissat, the market leader for technological services management. Operational in just six months, it considered to be the most advanced center of its kind in Europe, guaranteeing a level of security and conďŹ dentiality of the data processed by its computers on par with the centers used by the FBI, the CIA and the US Government authorities; it has been approved by the American TIER IV CertiďŹ cate. The building is located inside the Scien-

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Particolare della facciata frangisole, nell’area ‘aperta’ dell’edificio. Nella pagina a fianco: il cuore dell’edificio, la sala Rack. In basso: scala interno di collegamento.

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Close-up of the sunscreen facade, in the ‘open’ area of the building. On the opposite page: the heart of the building, the Rack hall. Bottom: internal connecting stairwell.


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tific Park of the Università Jaume I di Castellón, Valencia. It occupies a surface area of 2657 sq.m. and was designed by Valencian Architect Josè María Tomás Llavador. At London’s Datacenter Dynamic Award ceremony, the project was recently acclaimed as the Best Medium Data Center. The building’s environmental sustainability has been confirmed by a saving of 41% in electricity consumption and a reduction of 12% in CO2 emissions; these figures will respectively be 65% and 51% when the second phase of the project has been completed and a hydrogen battery has been installed. The saving is considerable in view of the fact that this huge box contains 7200 computers operating simultaneously, in addition to 36400 virtual machines. This means that for every kW of power supplied, only 0.11 kW is used to cool the units. Compared to a traditional project, the energy-saving is equivalent to the annual consumption of 360 homes and the reduction in CO2 emissions equivalent to the output of 1023 cars per year. The building has been split into two main volumes: the RACK hall stores all of the data that Tissat protects and manages for its clients. Naturally, this is a delicate and complex operation, a reason why the space designed must have

an extremely high level of security – physical security barriers to prevent any unauthorized intrusion or problem from the outside, and electronic to provide total protection for the operations of the machines. For this reason, the building could not be anything but a closed box to house the sophisticated plant systems. The areas containing the machines opens onto the areas allocated to the offices and the access halls; there is transparency and people inside can look outside without being observed, in full respect of the appropriate degree of 171 privacy. The façade has a double skin: the first is glass and the second is punched zinc sheeting; this arrangement allows vision to the outside world yet natural light can flow inside. Materials, design and plant have been blended to create a building that is modern, simple and with an image that is sufficiently technological.


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NEW STYLE

Txt: Francesca Tagliabue Ph: Ewout Huibers

TOP PERFORMANCE

Project: Sid Lee Architecture

Spirito industriale, colori accesi e ironia fuori dagli schemi: ecco la nuova sede olandese di Red Bull È forse l’energy drink più famoso del mondo: parliamo della Red Bull, la bevanda dall’iconico toro rosso che “ti mette le ali!”. La società ha sedi ovunque, ultima (ma solo in ordine di tempo) quella olandese. Gli uffici Red Bull dei Paesi Bassi si trovano ad Amsterdam, nella zona nord dei docklands. Gli headquarters occupano una porzione di ben 1000 metri quadrati della NDSM, una vecchia fabbrica in cui fino agli anni Ottanta si costruivano navi. La grande architettura, considerata monumento nazionale, è stata recuperata completamente anche grazie a ingenti investimenti pubblici; al suo interno si trovano spazi pubblici per i cittadini, come un grande skate park e un ristorante. Il progetto della sede Red Bull è stato firmato dal team Sid Lee Architecture, uno studio con base a Montreal ma con sede satellite ad Amsterdam. “Per realizzare lo spazio - racconta Jean Pelland, uno dei soci dello studio Sid Lee - ci siamo ispirati alla filosofia Red Bull, separando gli ambienti in due zone diverse, come si trattasse di due diversi lati della mente umana: ragione contro intuizione, arte contro industria, buio contro luce. Credo che il segreto del successo di questo progetto sia stata la trovata di combinare lo stile asciutto e minimalista dell’architettura industriale insieme a quello colorato e ironico del cliente”. Lo spazio quadrato è stato diviso alla perfezione per ospitare le diverse aree: uffici, sale riunioni, la mensa e le aree di collegamento. Nella zona


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I nuovi uffici di Red Bull ad Amsterdam occupano gli spazi di vecchi hangar in cui si costruivano navi. L’architettura, nella zona dei docklands, ha mantenuto il suo aspetto all’esterno. Gli interni invece, completamente rimaneggiati, mostrano uno spazio a doppia altezza scandito da pareti in legno che non formano mai angoli retti. The offices of Red Bull in Amsterdam have been created in an old hangar formerly used by the shipyard industry. The building is located in the docklands and the original façade has been preserved. The interiors however have been completely refurbished with a double height space interrupted by wooden walls that never form a straight line.

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An industrial spirit, bright colors and an unexpected touch of irony: this is the Dutch headquarters of Red Bull

“Red Bull ti mette le ali” recita il claim dell’azienda. E così, sagome di velivoli decorano uno degli uffici, mentre l’originale scrivania è in realtà un pezzo di un piccolo aereo.

“Red Bull gives you wings” is the company’s slogan. And for this reason, silhouettes of aircraft decorate the walls of one of the offices, while the highly unusual desk has been created from components of a small aircraft.

Possibly the most famous energy drink in the world, Red Bull, the iconic beverage ‘gives you wings’! The company has headquarters in every country and the latest is in Amsterdam, Holland. They are located in the northern zone of the docklands, cover 1000 sq.m. of NDSM, a former shipbuilding company until the 1980s. This large piece of architecture, considered to be a national monument, has been completed refurbished thanks to considerable public funding. Inside there are facilities for the general public – including a skate park and a restaurant. The headquarters of Red Bull were designed by the team of Sid Lee Architecture, a Montrealbased company with a subsidiary office in Amsterdam. ‘In our designs we were inspired by the Red Bull philosophy; the available space was split into two separate zones, as thought they were the two halves of the human brain: reason vs. intuition, art vs. industry, light vs. darkness. I believe that the success of this project lies with the combination of the clean, minimalist style of industrial design and the colored, ironic personality of the client’. The square site contains a number of different amenities – offices, meeting rooms, the canteen and the corridors

and halls. On the north portion, to exploit the impressive height of the building, the architects added an irregular wooden structure. The diamond shape has been repeated in the original metal suspension lamps. The furnishings are a mixture of historical pieces and custom accessories, such as the unusual desk created from airplane parts. A touch of humor has been added to the staff washrooms – the mosaics depict rock’n’roll angels and flying bulls.

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ABACO 1

HOCKEY Dal design essenziale e un diametro di soli 18 cm, Hockey è un apparecchio professionale per esterni tra i meno ingombranti presenti sul mercato. Questa caratteristica lo rende particolarmente indicato sia per l’illuminazione pubblica di percorsi e aree di passaggio che per l’utilizzo in contesti residenziali. L’uso delle sorgenti LED combinate con uno speciale schermo a microprismi integrato nell’apparecchio assicura una sorprendente omogeneità nella distribuzione della luce.Tra i plus più significativi del prodotto, un consumo energetico ridotto a soli 14W e flessibilità di installazione sia a parete, sia a plafone, facilità di montaggio e una straordinaria durata di vita che riduce al minimo la manutenzione.

With an essential design and a diameter of just 18 cm, Hockey is a professional device for exteriors, one of the smallest on the market. This feature makes it particularly suited to public lighting along paths and passageways as well as for use in residential settings. The use of LED sources combined with a special microprism screen integrated into the device offers a surprisingly uniform distribution of the light. The most significant benefits of this product include its energy consumption, reduced to just 14W, and its sophisticated flexibility allowing it to be installed both on walls and ceilings, easy assembly and extraordinary durability, which reduces maintenance to a minimum. www.targetti.it

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BORGOS La struttura in legno massello di teak che caratterizza la collezione Borgos lavorata secondo gli antichi principi dell’ebanisteria, rimanda a nostalgie coloniali di viaggi in remoti e romantici lodge. Tuttavia ‘Borgos’ non prescinde dall’utilizzo delle tecnologie più contemporanee, come i cuscini in ‘Quick Dry Foam’ o i tessuti drenanti. Pur essendo volutamente architettonico nella sua costruzione e fortemente radicato al suolo per la sua connotazione lignea, la sagoma leggermente arrotondata a seguire un profilo ovale, richiama un nido ed enfatizza il senso di accoglienza. Design Terry Dwan.

The solid teak wood frame of the Borgos collection, crafted according to the age-old principles of the cabinet maker, reminiscent of the colonial nostalgia of travels to remote and romantic lodges. Yet ‘Borgos’ remains in touch with the most contemporary technologies, like the ‘Quick Dry Foam’ cushions and the draining fabrics. Although deliberately architectural in its construction and deep rooted to the ground with its solid wood connotation, the slightly rounded shape and the oval profile are reminiscent of a nest, emphasising the sense of welcoming. Design by Terry Dwan. www.driade.com

DRIADE

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HEXAGON Hexagon è un sistema composto da due moduli che, affiancati l’uno all’altro, danno la possibilità di creare infinite composizioni per ogni esigenza. Utilizzabile come ripiano o come seduta, sia per l’interno che per l’esterno. Ancora una volta Horm e Steven Holl sperimentano nuovi materiali: la pietra leccese, il legno okumè e il metallo verniciato bianco o nero.

The Hexagon system is composed of two modules which can be placed side by side to create countless arrangements tailored to meet individual requirements. For use as either a shelf or a seat, both indoors and outdoors. Horm and Steven Holl have, again, tested new materials: Lecce stone, okume wood and white or black painted metal. www.horm.it

Uno sguardo alla produzione recente di arredi per interni ed esterni.

Taking a look at the latest indoor and outdoor furnishings.

A cura di/edited by Giulia Gianfranchi

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TWIN Grazie alla collaborazione con lo studio di design Archirivolto, Brunner propone una seduta in polipropilene, irrobustita con fibra di vetro e resistente a qualsiasi carico. Molto robusta Twin è tuttavia sottile e leggera, specialmente nella variante con la struttura a rete, resistente alle intemperie e utilizzabile anche per gli interni. Twin si adatta perfettamente a svariati ambiti, dall’ambiente privato agli spazi pubblici come ristoranti, nella versione impilabile soddisfa le caratteristiche di ergonomia e igiene richieste dagli ambienti ospedalieri.

Through the collaboration with the design studio Archirivolto, Brunner presents a polypropylene chair strengthened with fibre glass that can withstand any load. Despite its strength,Twin is thin and lightweight, particularly in the variant with the mesh structure, which resists all bad weather conditions and can also be used indoors. Twin adapts perfectly to any environment, from private settings to public spaces, such as restaurants, and in the stackable version also complies with the ergonomic and hygiene demands of hospital environments. www.brunner.it

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With its clean, linear design, the head is made from a single die-cast aluminium mould, the body is moulded from extruded aluminium, the lighting element is in heatand knock-resistant polycarbonate. The inspection hatch is flush to the pole and positioned at the base, facilitating wiring and access to the power unit. Powered by warm white Accent Leds, Stelo is also available with metal halide light source. Comprising just two parts, it is easy to transport and assemble. The ideal solution for public lighting: town centres, car parks, green areas and footpaths. www.simes.it

SIMES

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J.J. - B&B ITALIA Alla luce del successo ottenuto fin dal suo apparire, la gamma di poltrone J.J. si arricchisce con un’inedita versione che prevede un nuovo materassino in tessuto con disegno romboidale in rilievo. Proposto in sette colori, che spaziano dai toni neutri a quelli più accesi, si abbina ai nastri in polipropilene nei tre nuovi colori tortora, nero e arancio. La possibilità di scegliere tra una versione da conversazione con schienale basso e una versione relax con schienale alto e poggiatesta (entrambe proposte con struttura in frassino termotrattato o acciaio cromato lucido) e la molteplicità degli abbinamenti cromatici rendono le poltrone J.J. estremamente flessibili in termini di utilizzo. Design Antonio Citterio.

In the light of the success achieved since first launched, the range of armchairs, J.J., has been supplemented with a new version enhanced by a fabric cushion with a relief rhomboidal pattern. Supplied in seven colours, ranging from neutral to vivid shades, it matches the polypropylene bands in the three new colours – dove grey, black and orange –. Since you can choose between a love seat with low backrest and an easy chair with high backrest and headrest (both with heat treated ash or bright chrome-plated steel frames) and have a variety of colour combinations available, the J.J. armchairs are synonymous with remarkable flexibility of use. Design Antonio Citterio. www.bebitalia.it

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1 OUTDOOR LIGHT Fra le aziende italiane leader nella produzione e nella lavorazione del marmo, Up Group ha saputo negli anni plasmare una materia antica come il marmo nelle forme affascinanti e tornite di oggetti, complementi d’arredo, tavoli, bagni, fontane e panchine da giardino. Disegnate da Michele De Lucchi, questa serie di lampade da esterno dalle forme giocose e importanti, sono realizzate in marmo bianco statuario.

One of the leading Italian marble production and processing companies. Over the years, Up Group has cleverly worked an ancient material like marble to create charming forms and lathed objects, furnishing complements, tables, baths, fountains and garden benches. Designed by Michele De Lucchi, this range of outdoor lamps with large, playful forms are made from white statuary marble. www.upgroup.it

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BIRBA Marco Maran disegna per Parri la morbidissima collezione di imbottiti dalla veste informale e dall’anima eclettica. Una grossa zip in plastica spessa 1 cm corre lungo tutto il perimetro e ne delimita il sopra e il sotto, il fronte e il retro. Intorno alla zip si sviluppa un’imbottitura a tutto tondo, soffice, morbida, tanta. Migliaia di sfere di polistirene espanso riempiono un vivace vestito di tessuto colorato da cui l’impertinente cerniera afferma la sua personalità con colori a contrasto. Birba è poltrona, pouf, divanetto a due posti, chaise longue, lettino e poltrona per bambini. Una collezione versatile e grintosa pensata sia per ambienti domestici che per spazi outdoor, a seconda del rivestimento scelto.

ARCH

STELO LED Caratterizzato da un design lineare e pulito, ha la testa realizzata in un unico stampo di alluminio pressofuso, il corpo stampato in alluminio estruso, diffusore in policarbonato resistente a sbalzi termici e urti. La porta di ispezione, perfettamente complanare al profilo del palo, e posta pressoché alla base del palo stesso, facilita il cablaggio del prodotto nonché l’accesso al gruppo di alimentazione. Alimentato ad Accent Led bianco caldo, Stelo è disponibile anche con sorgenti a ioduri metallici. Composto da due sole parti, è di facile trasporto e assemblaggio. Soluzione ideale per l’illuminazione di contesti pubblici: centri urbani, parcheggi, aree verdi e pedonali.

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Marco Maran has designed a super-soft collection of padded items for Parri with an informal style and an eclectic soul. A large 1 cm thick plastic zip runs along the edge to separate top and bottom, front and back. Around the zip, a full, soft and exuberant padding. Thousands of expanded polystyrene spheres fill a brightly coloured fabric cover, whose impertinent zip underlies its personality with contrasting colours. Birba is a chair, pouf, two-seater sofa, chaise longue, lounger and children’s chair. A punchy, versatile collection designed for home interiors as well as outdoor settings, according to the chosen covers. www.parridesign.it

UP GROUP

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DOGMA 66 Dogma 66 identifica una famiglia di apparecchi realmente innovativi, studiati e realizzati in collaborazione con enti di ricerca pubblici e privati. Il risparmio energetico è assicurato dall’uso della tecnologia LED, nonché dall’ottimizzazione delle efficienze ottiche ed elettriche. Gli apparecchi sono progettati per un ciclo di vita superiore a 50.000 ore in assenza di manutenzione, grazie anche all’elevata dissipazione termica (brevettata) che mantiene la temperatura di giunzione del LED entro valori di sicurezza. Un rivoluzionario sistema ottico permette l’emissione di un flusso luminoso piramidale, a intensità programmabile e direzionabile in modo molto preciso. IBT Lighting adotta strategie ambientali per la progettazione secondo i metodi Life Cycle Asessment e Design for Disassembling and Recycling.

Dogma 66 is the name of a family of truly innovative devices, designed and produced in collaboration with public and private research bodies. Energy savings are assured by the use of LED technologies, as well as the optimisation of optical and electrical efficiency. The devices are designed for a maintenance-free life cycle of more than 50,000 hours, thanks to the (patented) high thermal dissipation which keeps the LED junction temperature within safety limits. A revolutionary optical system emits a pyramidal luminous flux with programmable intensity and high-precision orientation. IBT Lighting adopts environmental strategies in its designs, following the Life Cycle Assessment and Design for Disassembling and Recycling methods. www.ibtlighting.it

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LINE 2.0 Non panchina classica, ma ‘panca da appoggio’. Una variazione progettuale e concettuale, in linea con l’idea contemporanea che non prevede una netta separazione tra gli stati di sosta e di movimento, resa possibile grazie a un piano orizzontale, posto a 65 cm da terra, che consente di appoggiarsi comodamente e riduce gli sforzi muscolari nel momento in cui si recupera la posizione eretta. La profondità ridotta a 15 cm facilita l’inserimento della panca nei contesti urbani più compressi. Design Jari Franceschetto.

Not a classic bench, but a ‘resting bench’. A conceptual, design variation, in harmony with the contemporary idea that eliminates the clear distinction between the state of moving and standing still, made possible by the horizontal surface 65 cm off the ground which offers a comfortable resting position and reduces muscular stress when standing up. The 15 cm depth allows the bench to be incorporated into even the tightest urban spaces. Design Jari Franceschetto. www.cmaf.it

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PALUS Sistema d’arredo urbano caratterizzato dalla modularità e dalla componibilità delle parti. Elemento base del progetto è un palo in fusione d’alluminio con sezione a ‘Z’, che nella versione standard funziona come dissuasore. Apposite intaccature lungo il palo permettono l’inserimento di numerosi componenti aggiuntivi: una coppia di profili curvi lo trasforma in porta-bici, un elemento cilindrico in cestino, quattro tubolari orizzontali, a giunzione di due pali, danno vita ad una transenna. L’aggancio al terreno è fornito da quattro viti a vista inserite nella fusione, che si innestano in un sistema di fissaggio a scomparsa. Design Antonio Citterio con Toan Nguyen.

A fully modular street furnishing system. The base element of the project is a ‘Z’-section cast aluminium pole, which in the standard version also acts as a bollard. Special housings along the pole can be used to insert various additional components: a pair of curved profiles make a bike rack, a cylindrical element is a bin, four horizontal pipes joined between two poles create a cordon. The pole is fixed to the ground by a plate or anchoring system, fitted with four screws incorporated in the cast, which fits onto a flush-mounted fixing system. Design Antonio Citterio con Toan Nguyen www.metalco.it

METALCO IBT LIGHTING

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WAVER Primo prodotto nato dalla collaborazione tra Vitra e il designer Konstantin Grcic, la poltrona Waver elabora in una nuova estetica i materiali e i principi di progettazione degli sport all’aria aperta. Ispirata all’attrezzatura leggera e ultraresistente impiegata in sport come il windsurf e il parapendio, Waver interpreta l’idea di una seduta non convenzionale e nello stesso tempo molto accogliente, che dona una inedita sensazione di libertà. Il sedile è spazioso e offre un comodo sostegno per il corpo; fissato con due cinghie elastiche al telaio e abbinato al cuscino poggiatesta, offre tutto il piacevole e avvolgente comfort di una poltrona imbottita. Dotata di base girevole a quattro razze, Waver è un arredo dallo spirito nomade e dinamico: grazie alla fodera impermeabile è utilizzabile anche nel giardino o sulla terrazza.

The first product born from the collaboration between Vitra and the designer Konstantin Grcic, the Waver chair blends the materials and design principles of outdoor sports with a new aesthetic flavour. Inspired by the lightweight, ultra-resistant equipment used in sports such as windsurfing and paragliding, Waver interprets the idea of an unconventional yet very welcoming chair, which offers a unique sense of freedom. The spacious seat offers comfortable support for the body; fixed to the frame with two elastic belts and matching the headrest, it offers all the comfort and embrace of a padded chair. With a four-spoked swivel base, Waver has a dynamic and nomadic spirit: its waterproof cover allows it to be used in the garden or on the terrace. www.vitra.com

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Domitalia, specialist in the production of chairs, tables and indoor and outdoor complements, supplies models with a clean, rational design which respond to the new demands of modern living. Echo-l e Torque chairs stand out for their balance which derives from the union of different materials: an original harmony which creates uniqueness and a strong personality. Arter & Citton Design. www.domitalia.it

DOMITALIA

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Collection of brightly coloured, elegant hand-decorated blown glass spheres with brushed nickel and chromium mounts. The many attractive decorations allow these lamps to be used in a wide range of public and private interior furnishing styles. www.ivvlighting.it

Poliform’s new items being showcased at Salone 2012 include the textile bed, Minerva, with a frame with removable covers, and polyester fibre lining. The headboard, whose is enhanced by a peculiar working pattern on the front, with honeycomb drapery. Design Carlo Colombo. www.poliform.it

BIO SPHERA Collezione di coloratissime ed elegantissime sfere in vetro soffiato e decorato a mano con montature in nichel spazzolato e cromo. I suggestivi e numerosi decori permettono di poter utilizzare queste lampade nelle più svariate situazioni di arredo, sia pubblico che privato.

MINERVA Tra le novità Poliform al Salone 2012, Minerva, un letto tessile con turca rivestita, sfoderabile, con prerivestimento in fibra di poliestere. La testata presenta una particolare lavorazione sulla facciata creata con drappeggio a nido d’ape. Design Carlo Colombo.

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POLIFORM

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HIP HOP Modularità è la parola d’ordine di Hip Hop, il nuovo divano che Calia Italia presenta per la collezione Urbana. Il divano da monolite immutabile diventa un elemento di arredo personalizzabile e riconfigurabile. Grazie al sistema costruttivo, sedute, chiase-longue, pouff sono comodamente intercambiabili, composte e ricomposte all’infinito adattandosi agli spazi. Personalizzabili anche nella scelta del rivestimento e delle combinazioni: pelle, tessuto, microfibra; disponibili in un’ampia offerta cromatica.

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ECHO–L Domitalia, azienda specializzata nella produzione di sedie, tavoli e complementi per l’indoor e l’outdoor, propone modelli dal design pulito e razionale che rispondono alle nuove esigenze dell’abitare moderno. Le sedute Echo-l e Torque sorprendono per l’equilibrio che deriva dell’unione di diversi materiali: originale sintesi che conferisce unicità e forte personalità. Arter & Citton Design.

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Modularity is the buzzword of Hip Hop, the new sofa presented by Calia Italia for the Urbana collection. The solid monolithic sofa becomes a customisable, reconfigurable furnishing element. With its construction system, seats, chaise-longues and poufs are easily interchangeable, composed and recomposed in an infinite adaptation to the space. Available in a choice of covers and combinations: leather, fabric, microfibre, in a wide range of colours. www.caliaitalia.com

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NUVOLA Da tratto delicato di Ilaria Marelli nasce Nuvola. Base e testata richiamano una nuvola di piuma imbrigliata, suggestiva eterea e impalpabile che ci accoglie e ci culla.

Ilaria Marelli’s delicate hand has created Nuvola. The base and head are reminiscent of a cloud of shored up feathers, ethereally attractive and impalpable, to embrace and coddle us. www.orizzontiitalia.it

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CARTESIO Design puro, dalle linee assolute e scremato da eccessiva decorazione, il nuovo tavolo tondo rappresenta un nuovo archetipo: è il tavolo, nato dall’unione di due forme geometriche, cerchio e triangolo, che creano il piano e le tre gambe. Protagonisti assoluti sono l’abilità progettuale, propria di Enzo Berti, e il pregio del materiale impiegato, il legno, disponibile nelle essenze di noce o larice. La qualità della lavorazione di quest’ultimo è garantita dalla comprovata esperienza del lavoro artigianale tipica dell’azienda produttrice, che da sempre ripone la massima cura nella realizzazione di finiture e di materiali, ed è, inoltre, esaltata dalla progettualità costruttiva del disegno.

Pure design, with absolute lines cleaned of all excessive decoration, the new round table represents an archetype: it is the table, born from the union of two geometrical forms, circle and triangle, which create the top and the legs. The absolute stars of this piece are the design skills of Enzo Berti, and the precious material used, wood, either walnut or larch. The quality production is guaranteed by the proven experience of the typical artisanal skill of the manufacturer, who has always paid the utmost attention to its finishes and materials, underlined even further by the constructive design. www.madeinlando.it

ORIZZONTI

SCILLA Romantica e adatta a tutti gli ambienti, è una poltrona che unisce eleganza e comfort. La struttura è in massello, multistrati e agglomerato in legno. Il molleggio di seduta e dello schienale è disposto da cinghie elastiche. L’imbottitura è in poliuretano espanso indeformabile a densità differenziata senza C.F.C. ricoperta da fiocchi (Rollofil) 100% poliestere con fodera removibile in puro cotone. Visivamente morbida e leggera, il design di Scilla sembra modellato come un impasto. Design Enrico Cesana

Romantic and suited to any setting, this armchair combines elegance and comfort. It has a solid plywood and aggregate frame. The seat and back is sprung with elastic belts. The padding is in non-deforming CFC-free polyurethane foam with differentiated density covered in 100% polyester microspheres (Rollofil) with pure cotton removable cover. Visibly soft and lightweight, Scilla’s design seems almost shaped like dough. Design Enrico Cesana. www.busnelli.it

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BIRDIE Bracci mobili di dimensioni diverse, leggeri come rami che si stagliano nello spazio, è lo scenografico chandelier contemporaneo disegnato da Ludovica+Roberto Palomba e proposto da Foscarini: naturale evoluzione di Birdie, la lampada che, fedele al suo nome in inglese ‘uccellino’ - dispiega le ali e trova nuova espressione nell’aria. Rivisitando l’idea del tradizionale lampadario ed esaltandone al massimo la funzione decorativa, Birdie sospensione si compone di uno, tre, sei o nove bracci mobili, di lunghezza variabile, che permettono di avvicinare o allontanare il diffusore all’asta per la massima personalizzazione.

Mobile arms of different sizes, as light as branches that reach out into space. This is the scene-stealing contemporary chandelier designed by Ludovica+Roberto Palomba for Foscarini: the natural evolution of Birdie, the lamp which, true to its name, unfolds its wings and finds new expression in the air. Returning to the idea of a traditional light, enhancing the decorative function as far as possible, Birdie ceiling lamp is composed of one, three, six or nine mobile arms of variable length, moving the light head closer to or farther from the rod to ensure maximum customisation. www.foscarini.com

BUSNELLI

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31 Bow, in an effective marriage of design and engineering, as the name itself suggests, stands out for its unmistakeable bow shape. Floor lamp with support and lamp in 100% aluminium; anchored to the wall at one point, it becomes an extremely dynamic and versatile light corner. Its large size also makes it an attractive furnishing element, the synthesis of both floor and ceiling lights. Design V. Cometti e V12 Design. www.fdvgroup.com

AURELIANO TOSO (gruppo FDV)

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SVEVA Letto matrimoniale di ispirazione nordica, caratterizzato da un’alta testata dotata di 27 raggi in legno tornito incastonati nella cornice-struttura tonda. Apparentemente semplice, ma ricco di dettagli raffinati, è realizzato in massello di frassino tinto wengé o in massiccio di noce canaletto e prevede piano di riposo a doghe regolabili. Della stessa serie, sempre realizzati in massello di frassino tinto wengé o in noce canaletto, fanno parte i complementi coordinabili al letto: comodino con cassetto e specchio da terra. Design Odoardo Fioravanti.

Double bed with nordic inspirations, with a tall headboard with 27 lathed wood spokes fitted into the round frame structure. Apparently simple, but rich in sophisticated details, it is made from wengé coloured solid ash or solid Canaletto walnut, with adjustable wooden slats. In the same range, again in wengé coloured solid ash or Canaletto walnut, the coordinated complements: beside cabinet with drawer and full length mirror. Design Odoardo Fioravanti. www.flou.it

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MERCEDES - BENZ STYLE Debutta in anteprima mondiale in occasione della settimana del Mobile di Milano, con un evento Fuorisalone, la nuova linea di complementi di arredo a marchio Mercedes-Benz Style. La collezione, prodotta e distribuita a livello mondiale da Formitalia Luxury Group, vuole trasferire nell’uso domestico le percezioni di ricerca e qualità materica insite nei prodotti sviluppati nell’ambito dell’automotive. Gli stilemi prendono ispirazione nelle forme e nei materiali riconoscibili e consolidati nella memoria storica del brand, sviluppandosi in linee dinamiche e incisive alla ricerca

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di un ambiente raffinato e accogliente. Tavolo pranzo con struttura portante in fusione d’alluminio verniciata, piano sagomato in cristallo trasparente o fumè.

Debuting in a world preview at the Milan furniture week, at a Fuori Salone event, the new range of furnishing complements signed by Mercedes-Benz Style. The collection, produced and distributed worldwide by the Formitalia Luxury Group, aims to transfer the perception of research and the intrinsic material quality of the products developed in the automotive sector to everyday domestic use. The stylistic elements take their inspiration from the forms and materials that are recognisable and consolidated in the brand’s historical memory, developed into dynamic and incisive ranges seeking sophisticated and welcoming surroundings. Dining table with painted cast aluminium frame, shaped transparent or smoked crystal top. www.formitalia.it

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OJ Prima lampada del pluri-premiato designer danese Ole Jensen. Disponibile nella versione da terra, da tavolo e da muro, nasce dall’idea che ‘per creare qualcosa di semplice è necessario focalizzare l’attenzione sui dettagli’. Dall’ispirazione giocosa, l’irriverenza verso le regole del design convenzionale emerge da molteplici dettagli, tra questi la scelta di non nascondere i cavi, ma di integrarli nell’estetica dell’apparecchio sia nella versione da terra che in quella da muro.

The first lamp created by the multi-award winning Danish designer Ole Jensen. Available in floor, table and wall-mounted versions, it comes from the idea that ‘to create something simple we need to focus attention on the details’. With a playful inspiration, irreverence to the rules of conventional design emerges from many details, including the choice not to hide the cables but rather to incorporate them in the appearance of the device for both the floor and wall-mounted versions. www.louispoulsen.com

LOUIS POULSEN

FORMITALIA LUXURY GROUP

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BOW Bow, in un’unione efficace di progettualità e ingegneria, come il nome stesso suggerisce, si caratterizza per l’inconfondibile forma ad arco. Lampada da terra con montatura e diffusore interamente realizzati in alluminio; se ancorata alla parete in un punto, diviene un angolo luce estremamente dinamico e versatile. Le dimensioni importanti, inoltre, ne fanno un piacevolissimo elemento d’arredo, sintesi delle tipologie da terra e da sospensione. Design: V. Cometti e V12 Design.

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ATARO HYBRID

www.waldmann.com


Design Michele De Lucchi, Sezgin Aksu Caimi Brevetti S.p.A. • 20834 Nova Milanese • MB • Italy • T +39 0362/49101 • F +39 0362/491060 info@caimi.com • www.caimi.com


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