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Idee per crescere - Medri

Cos’è e come si mette in pratica il coaching? Quali vantaggi può portare?

Il successo di un gruppo di lavoro dipende anche dalla capacità del manager di credere nei propri collaboratori e investire energie nella loro crescita professionale

di Davide Medri

Il termine coaching è frequentemente adottato in modo improprio per descrivere attività molto differenti tra loro. Il primo obiettivo di questo articolo è fare chiarezza a riguardo.

Se eroghiamo formazione di carattere tecnico o comportamentale, stiamo parlando di training.

Se ci occupiamo della crescita di una persona, fornendole in modo prescrittivo sia indicazioni tecniche e comportamentali, sia regole generali di vita, stiamo facendo mentoring (v. box 1)

Se forniamo a una persona un supporto psicologico volto a superare specifici momenti di crisi o di cambiamento, stiamo facendo counseling.

Invece, quando parliamo di coaching, ci riferiamo a un’attività volta a favorire la crescita professionale del collaboratore e a supportarlo nel raggiungimento dei suoi obiettivi. L’obiettivo del coach non è solo quello di ottenere performance migliori nel breve periodo, ma creare professionisti migliori. L’attenzione è quindi focalizzata sulla persona, sia con riguardo alle sue competenze, sia alla sua motivazione.

Principi fondamentali del coaching ed esempi pratici della loro applicazione

Credere nel potenziale di crescita del collaboratore. La prima cosa che deve fare un manager è verificare la propria disposizione d’animo nei confronti del suo collaboratore. Il coaching può essere efficace solo se siete sinceramente convinti che la persona possa migliorare significativamente la sua performance, e non abbia già raggiunto i suoi limiti. Prendetevi quindi il vostro tempo: osservate la persona, i suoi comportamenti, i suoi risultati, la sua motivazione. Successivamente, osservate il vostro atteggiamento nei suoi confronti. Verificate se avete abbastanza fiducia in lei, e mettete da parte qualsiasi pregiudizio di qualsiasi genere – originato dalla sua nazionalità, dal suo sesso, dal suo modo di vestire, etc. – che possa in qualche modo condizionare il vostro giudizio su di lei. La positività è un elemento fondamentale nella pratica del coaching.

Coinvolgere il collaboratore. La maggior parte dei manager utilizza abitualmente uno stile di leadership direttivo. Ciò non significa necessariamente che siano autoritari ma, come spiega l’etimologia del termine “dirigere”, che tendono a stabilire una direzione. Quindi la modalità di comunicazione è “da me a te”. Anche con tutte le buone intenzioni il manager spesso pensa – in virtù della sua esperienza, della sua posizione, della sua anzianità – di dover impartire al collaboratore le giuste istruzioni, di fornire i migliori suggerimenti e i correttivi adeguati a migliorare. Di conseguenza, si limita a fare affermazioni senza far parlare l’altro. Il coaching parte da un presupposto differente. Sostiene che il collaboratore deve assumere un ruolo attivo nel suo percorso di crescita, e debba quindi poter avere voce in capitolo. Di conseguenza dovrà descrivere i fatti dal suo punto di vista, analizzare le difficoltà, esprimere le sue opinioni, formulare le sue proposte. Seguendo questo approccio si innesca un processo di autoconsapevolezza che rende il collaboratore maggiormente cosciente della sua situazione e delle sue potenzialità. Spesso abbiamo sentito collaboratori dire “nessuno ha mai chiesto il mio parere”. Da non trascurare quindi il forte effetto motivazionale derivante da questo coinvolgimento diretto.

Utilizzare le domande. Per ottenere il coinvolgimento del collaboratore si devono utilizzare le domande. Si tratta di un comportamento verbale sottovalutato e sottoutilizzato in ogni contesto della vita aziendale. Nella vendita, nella gestione delle obiezioni e dei reclami, nella gestione della comunicazione conflittuale, e ancor di più nella gestione dei collaboratori. Ovviamente devono essere poste osservando una sequenza logica che diriga il dialogo verso gli obiettivi prefissati. Ecco una sequenza tipica.

• Domanda di carattere generale: “Come sta andando la tua attività in questo periodo?”;

• Domanda specifica: “Come ti trovi in particolare rispetto all’attività xyz?”;

• Domanda di approfondimento: “Cosa succede esattamente in quell’occasione? Quante volte si verifica?”;

• Domanda sulle difficoltà: “Quali ostacoli incontri di preciso durante il suo svolgimento?”;

• Domanda sulla soluzione: “Come pensi che potresti svolgerla più efficacemente?”;

• Domanda sul supporto: “Cosa pensi che ti potrebbe servire per migliorare? Come pensi che potrei aiutarti?”

Il comportamento contestuale alla formulazione delle domande è l’ascolto attivo. Sia per valorizzare le affermazioni del collaboratore, sia per proseguire nella sequenza delle domande in modo coerente (v. box 2)

Concordare un piano d’azione e responsabilizzare il collaboratore. Molte volte abbiamo assistito a una fase di analisi svolta correttamente, seguita dalla raccomandazione “Bene, adesso che hai capito, mi raccomando, sei sicuramente in grado di fare meglio!”, oppure anche “Dai, ce la puoi fare, abbiamo bisogno di te per raggiungere i nostri obiettivi!”. Al che, la persona continua a chiedersi “Come?”. Diventa quindi fondamentale condividere la sequenza di azioni che si ritiene opportuno intraprendere per ottenere la crescita ipotizzata, individuando chiaramente obiettivi e KPI (v. box 3).

Alcuni esempi di coaching

Il coaching può essere applicato a vari livelli e in differenti situazioni. Ecco tre esempi.

Analisi veloce della singola performance. A seguito di una osservazione di un comportamento svolto in maniera non ottimale, si coinvolge il collaboratore subito dopo, quando la memoria è fresca. (v. box 4)

Delega. La delega è un processo complesso, che non va confuso con l’assegnazione temporanea di un compito perché in quel momento non si ha il tempo per svolgerlo. Riguarda invece l’assegnazione di una specifica mansione in modo permanente. All’interno di questo processo, si inserisce il coaching, che si sostituisce al classico approccio incentrato sulla correzione dell’errore.

Crescita professionale e programmi di medio/lungo periodo. Qui il coaching vede la sua tipica area di applicazione, e si concretizza principalmente nel colloquio di feedback, del quale forniamo di seguito la struttura, e alcuni accorgimenti comportamentali da osservare.

Il colloquio di feedback

Il colloquio di feeaback richiede preparazione. Bisogna riservargli un tempo adeguato; inoltre deve essere pianificato in anticipo, e non trattato come “Hai qualche minuto per fare due chiacchiere?”.

La disposizione d’animo del manager/coach è molto importante. Se si affronta l’incontro caricati da uno stato di tensione anche proveniente da altre questioni l’esito dello stesso può risentirne negativamente.

Anche la location è importante per dare il giusto rilievo all’incontro. È auspicabile scegliere un luogo dove si possa parlare tranquillamente, senza interruzioni o interferenze di telefonate, notifiche, e-mail.

Il colloquio deve aprirsi in modo cordiale. Solo in un secondo momento si dovrà chiarire che l’obiettivo è l’analisi della situazione attuale, finalizzata alla crescita professionale della persona. È buona norma sottolineare inizialmente un aspetto positivo della persona e/o della sua performance. Questo riconoscimento normalmente predispone l’interlocutore all’ascolto.

A prescindere dai contenuti, sono rilevanti il tono di voce, le espressioni facciali, la postura, le reciproche posizioni. Per esempio, stare di fianco alla persona è meglio che starle di fronte, specialmente se ci sono dati o documenti da commentare insieme.

Il colloquio vero e proprio dovrebbe aver inizio con la sequenza di domande che abbiamo esposto in precedenza. E terminare con la definizione del piano d’azione (obiettivi e KPI).

È molto importante che la discussione si svolga osservando alcuni principi fondamentali:

• L’analisi deve basarsi su fatti oggettivi, possibilmente quantificabili, e non su impressioni, pregiudizi, valutazioni soggettive.

• Le critiche devono essere dirette ai fatti oggetto di discussione, e mai alla persona.

Il colloquio di feedback si conclude con l’accordo sul percorso di crescita da seguire e la programmazione degli incontri di follow-up volti a fare il punto sui miglioramenti della persona.

Quando parliamo di coaching, quindi, non ci riferiamo a un generico atteggiamento partecipativo e d’incoraggiamento, ma ad un processo articolato, che si regge su principi solidi e deve essere applicato con sistematicità, nel corso di mesi, e talvolta anni.

Se applicato correttamente, il coaching fornisce risultati sorprendenti: si possono ottenere sostanziali cambiamenti non solo nella performance ma anche nell’atteggiamento dei collaboratori, ripagando ampiamente dell’impegno profuso.

Box 1. Mentore, chi era costui?

Nella mitologia greca Mentore era un amico e consigliere di Ulisse, che si prese cura della crescita e dell’istruzione del figlio Telemaco mentre l’eroe era impegnato nella guerra di Troia. Sempre secondo la mitologia, dietro a Mentore si celava Atena, dea della saggezza.

Box 2. Ascoltare attivamente

L’ascolto attivo è una pratica molto utile in qualsiasi attività di relazione. Essa non prevede solo che si presti particolare attenzione a ciò che l’interlocutore dice, ma anche che si fornisca evidenza della propria attenzione, sia con il linguaggio del corpo (contatto visivo, cenni di assenso) che con precisi comportamenti verbali (richieste di chiarimento, verifica della comprensione, riassunto di quanto detto).

Box 3. Obiettivi SMART e KPI

La più diffusa teoria sulla corretta definizione degli obiettivi ci dice che un obiettivo dovrebbe essere SMART, ovvero Specifico (ben descritto in ogni sua caratteristica), Misurabile, Raggiungibile (Achievable, in inglese), Realistico, Temporizzato.

I KPI (Key Performance Indicators) misurano l’efficacia delle azioni intraprese da un’azienda o da una persona per raggiungere un determinato obiettivo. Esempio: a un venditore viene richiesto di incrementare il suo fatturato del 10% nei prossimi due mesi. Alcuni dei KPI da tenere sotto controllo potrebbero essere: il numero visite che effettua presso clienti, il rapporto tra le trattative che apre e quelle che vince, e il numero di record che inserisce o aggiorna nel CRM.

Box 4. Il feedback “a panino”

La tecnica del feedback “a panino” (feedback sandwich, in inglese) si applica nel seguente modo. Subito dopo aver osservato la prestazione di un collaboratore (es. il suo tentativo di vendere qualcosa a un cliente): a) commenta positivamente la situazione appena verificatasi, sottolineando i comportamenti positivi che hai osservato; b) condividi quali comportamenti ritieni debbano essere migliorati; c) termina la conversazione fissando un obiettivo di miglioramento.

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