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Preparare immagini per la stampa in quadricromia senza farsi troppo male (parte 2)

Preparare immagini per la stampa in quadricromia senza farsi troppo male (parte 2)

Trattiamo un argomento apparentemente fuori moda, ma che ha ancora una fondamentale importanza quando la destinazione finale di un lavoro è la stampa

di Marco Olivotto

La prima parte di questo articolo, pubblicata su Italia Publishers n. 4/2020, si chiudeva con il suggerimento di preparare le immagini RGB per la stampa tenendo conto di un output definito dalla caratterizzazione FOGRA51 e del relativo gamut. Questo ha perfettamente senso quando parliamo di stampa offset a foglio su carta patinata, ma ne ha anche se pensiamo a un generico output digitale non meglio definito. FOGRA51 rimane, per regola tacita, la caratterizzazione di riferimento in assenza di altre informazioni. Se invece conosciamo le condizioni di stampa effettive, possiamo simularle per avere un’idea di quale sarà la resa cromatica dello stampato.

Il problema di fondo è che a priori non sappiamo quali saranno le condizioni di stampa che i nostri esecutivi incontreranno, e a quel punto è richiesta un’ipotesi di lavoro ragionevole, che gli anglosassoni definirebbero “educated guess”: un’ipotesi “educata” nel senso di “ponderata, ragionata”, basata su congetture attendibili.

Figura 1

La funzione Prova colori

L’idea non è quella di convertire le immagini dallo spazio colore sorgente a quello di destinazione, ma quella di realizzare un’anteprima di stampa senza uscire dallo spazio colore sorgente. A questo scopo, dobbiamo innanzitutto definire le condizioni di output che ci interessano. Questo si può fare in Photoshop impostando una prova colore personale, per mezzo della finestra di dialogo Imposta prova ? Personale... disponibile nel menu Visualizza (figura 1). Nel nostro caso decidiamo che il target è quello definito dalla caratterizzazione FOGRA51, e selezioniamo pertanto il profilo colore PSO Coated v3. La finestra consente di impostare diverse opzioni. “Mantieni i valori numerici” è attivabile soltanto se gli spazi colore sorgente e destinazione sono omogenei e appartengono allo stesso metodo colore (nel nostro caso, se l’immagine originale è già CMYK). In generale, in ogni caso, dovrebbe rimanere disattivata. Possiamo scegliere l’intento di rendering, ampiamente discusso nella prima parte dell’articolo, e di norma la scelta cadrà tra Percettivo e Colorimetrico relativo. La casella di spunta Compensazione punto nero dovrebbe essere attivata, ma in alcuni casi si può decidere di fare altrimenti, sulla base dei risultati effettivi in stampa. Le ultime due opzioni permettono di simulare il colore della carta e dell’inchiostro nero. La prima implica automaticamente la seconda: se teniamo conto del punto di bianco della carta, teniamo conto anche delle caratteristiche effettive dell’inchiostro.

Una volta scelte le condizioni da simulare, eventualmente dopo avere visualizzato un’anteprima spuntando l’omonima casella, quando clicchiamo su OK la finestra si chiude e Photoshop passa automaticamente in modalità Prova colori. La stessa può essere attivata e disattivata per mezzo dell’omonimo comando, presente nel menu Visualizza ? Prova colori, che risponde all’abbreviazione da tastiera Command + Y (su Mac) o Control + Y (su PC). L’abbreviazione è un toggle: ovvero accende e spegne ripetutamente la prova, permettendo di simulare rapidamente il prima/dopo.

Un esempio pratico

Nella prima parte dell’articolo abbiamo esaminato la fotografia di una motocicletta i cui colori sono quasi fluorescenti, impossibili da riprodurre in CMYK. In casi così estremi, la scelta di un intento di rendering su un altro è una cura palliativa. Il miglioramento (se esiste) è così marginale da risultare pressoché irrilevante. Al post-produttore è quindi richiesto uno sforzo aggiuntivo per ottenere un risultato dignitoso in stampa. “Dignitoso” non significa necessariamente “buono”: dal momento che stiamo lavorando su un originale i cui colori cadono disperatamente fuori dal gamut dello spazio colore destinazione, non possiamo aspettarci una stampa cromaticamente accurata. La strategia è diversa: dal momento che la conversione secca dell’immagine produce una grave posterizzazione in aree cromatiche originariamente distinte, ovvero una riduzione drammatica del contrasto, cerchiamo di evitare almeno quel problema. In altri termini: ci rassegniamo a perdere per strada il colore, ma cerchiamo di salvare il salvabile.

Figura 2

A questo punto facciamo un esperimento, descritto qui di seguito. Fornirò alla redazione la figura 2, un dettaglio della motocicletta nella sua versione originale: uno scatto fotografico elaborato in Adobe RGB, senza alcun intervento sul colore. Parallelamente, fornirò una seconda versione, sempre in Adobe RGB, elaborata opportunamente secondo il procedimento che vado a delineare.

Abbiamo impostato PSO Coated v3 come spazio colore destinazione da simulare con la prova colori. Attivandola, si nota il grave appiattimento delle aree cromatiche nel viola e nel verde. La causa di tale appiattimento è l’eccessiva saturazione dei colori, che li rende proni alle “bastonate” inferte dalla conversione. La riduzione di gamut è così ampia che nessun intento di rendering è in grado di gestirla al verificare se questo migliora la situazione.

Mantenendo attiva la prova colori, apriamo la regolazione Tonalità/saturazione e iniziamo a ridurre la saturazione con il secondo cursore (figura 3). Lo scopo è arrivare a un livello accettabile di perdita del colore, compensato però da un maggiore contrasto. La scelta di dove fermarci è, naturalmente, soggettiva. A mio modo di vedere, il valore -30 produce un compromesso accettabile, che naturalmente va valutato sempre con la prova colori attivata. Se la disattiviamo, vedremo l’immagine originale desaturata, ma non comprenderemo i benefici che otterremo in stampa. Giunti a questo risultato, salviamo l’immagine, che rimane in Adobe RGB senza nessuna conversione.

Figura 3

L’esperimento si riduce a una richiesta: che quest’ultima versione venga stampata come la precedente e appaia come figura 4. Non posso prevedere con precisione il risultato, ma mi aspetto che il confronto tra le figure 2 e 4 decreti la vittoria di quest’ultima in termini di contrasto. La cosa importante da sottolineare è che le due versioni sono diverse, e saranno diverse anche in stampa. La maggioranza degli osservatori giudicherebbe però la figura 2 (più satura) migliore a monitor e peggiore in stampa, ma la figura 4 migliore in stampa e peggiore a monitor.

Figura 4

Un paradosso apparente

Da qui si arriva a un paradosso apparente: talvolta è necessario peggiorare l’aspetto di un’immagine a schermo per permetterle di apparire meglio in stampa. Il nodo del flusso di lavoro di stampa basato su RGB è condensato in questo esempio: scegliamo di operare in RGB dall’inizio alla fine, delegando la conversione finale a chi stampa. Questo implica, naturalmente, la fornitura di un PDF che contenga tutti i file originali con il proprio profilo colore incorporato. L’obiettivo si raggiunge producendo un PDF conforme alle caratteristiche del sottoinsieme /X-3 o /X-4, a seconda di come vogliamo che siano gestite eventuali trasparenze (che vengono appiattite in /X-3 e rimangono “live” in /X-4).

Il vantaggio di questo approccio è evidente: nel caso che il documento venga stampato con condizioni di stampa migliori di quelle definite dallo spazio di destinazione prescelto per la prova, avremo delle sorprese in generale positive. In pratica, colori più vibranti, contrasto migliore e via dicendo. Nel caso peggiore, saremo riusciti a salvare il salvabile, che è ciò che ci prefiggevamo di fare in prima battuta.

Figura 5

L’importanza della visualizzazione

Un processo è in generale una catena di passi ben definiti da compiere uno dopo l’altro. La catena ha maggiore probabilità di spezzarsi in corrispondenza dell’anello più debole. Nel caso specifico della stampa, quando intendiamo mettere in atto la prova colori, il gamut coperto dal monitor è un anello cruciale. La figura 5 mostra il dettaglio di una fotografia aerea realizzata al Lingotto di Torino. In generale, il colore ciano è raro, ma in alcuni casi si manifesta in maniera prorompente. L’immagine è in Adobe RGB, e i colori che contiene sono stampabili nel contesto della stampa offset tradizionale. Il colore della cupola, però, cambia sensibilmente se convertiamo l’immagine da Adobe RGB a sRGB. A priori, non c’è motivo di effettuare materialmente una conversione simile, ma dobbiamo tenere conto della compensazione a monitor. Se lavoriamo su un display che non copre un gamut esteso, possiamo in genere assimilare il suo spazio colore a sRGB: non nel senso che il suo spazio colore sarà in senso stretto sRGB, ma nel senso che il gamut coperto sarà abbastanza simile a quello di sRGB. La compensazione a monitor è a tutti gli effetti una conversione, e quindi, implicitamente, stiamo lavorando in Adobe RGB visualizzando qualcosa di molto simile a sRGB. Il risultato è che molte delle sfumature di ciano presenti nell’immagine sono stampabili ma non visualizzabili a schermo nelle condizioni descritte. In generale, scoprire che ci sono colori stampabili non previsti è positivo, ma il punto è diverso: la nostra simulazione di output non è sufficientemente accurata a causa dei limiti del monitor. Al fine di ottenere la simulazione più fedele possibile, dovremmo utilizzare un monitor in grado di coprire al meglio lo spazio colore di output, e questo richiede un pannello ad ampio gamut. Il monitor va anche calibrato e profilato seguendo una parametrizzazione adatta alle condizioni finali di osservazione della stampa, e benché ci siano delle prescrizioni di massima in questo senso non ci sono standard incisi nella pietra da rispettare. L’idea è quindi semplice, alla base: si accetta una definizione più o meno realistica delle condizioni di output, e con un dispositivo ad ampio gamut si va a impostare un set di parametri che riproduca in maniera accurata le condizioni di visualizzazione della stampa. Tutto il processo rimane in RGB, o comunque nello spazio colore in cui ci troviamo a lavorare (CMYK rimane CMYK, e non escludiamo la presenza di immagini codificate in Lab). A monitor si possono effettuare simulazioni che permettono di intervenire sull’immagine originale in maniera ragionata. “Educated guess”, come si diceva all’inizio – non improvvisazione.

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