Italia Publishers 07/2021

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Italia Publishers - Anno XXXIII - n° 07/2021 - Prezzo euro 10,00 - Iscrizione al ROC n° 26062 del 23/11/2015 Poste Italiane SpA - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, LOM/MI

STRATEGIE

Nixka è la nuova impresa dei pionieri dell’inkjet industriale Made in France STRATEGIE

Per DS Smith, la fustellatura dei display è digitale grazie a Elitron Kombo TAV-R SPECIALE

La curiosa storia dello spazio colore XYZ, nato nel 1931 e ancora oggi insostituibile


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sommario 07

EDITORIALE

5 | Digitale: luci e ombre di una scelta ineluttabile

NEWS

6 | Novità dai player del mercato digitale

STRATEGIE

12 | Nixka è la nuova impresa dei pionieri

dell’inkjet industriale Made in France

26 | Per DS Smith, la fustellatura dei display diventa

digitale grazie a Elitron Kombo TAV-R 30 | Edizioni Simone riaggancia il treno

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dell’e-commerce con la produzione in-plant

SPECIALE 36 | La curiosa storia dello spazio colore XYZ,

nato nel 1931 e ancora oggi insostituibile

IDEE PER CRESCERE 42 | Nobilitare la stampa: infinite possibilità, alte

marginalità e qualche piccolo mal di testa 46 | Essere leader, garantendo continuità e

performance positive alla propria azienda

PUBBLIREDAZIONALE 22 | Il ciclo della sostenibiltà è l’impegno concreto

di Mondi per il futuro del pianeta

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Italia Publishers – Anno XXXIII – n° 07 2021 Registrazione: Tribunale di Milano n. 74 del 12/2/94 Iscrizione al ROC n° 26062 del 23/11/2015 Direttore editoriale Lorenzo Villa

Direttore responsabile Gabriele Lo Surdo

Collaboratori Alessandro Bosco Davide Medri Marco Olivotto

Copertina Sara Ciprandi

Pubblicità marketing@densitymedia.com Stampa Grafiche Antiga

Postalizzazione ET System

Prezzo: € 10,00. Arretrati: € 20,00. Abbonamento a otto numeri: € 70,00 (Italia) / € 140,00 (estero). Ufficio abbonamenti: abbonamenti@densitymedia.com.

Italia Publishers è una rivista che rispetta l’ambiente. Per produrla, utilizziamo energia proveniente da fonti rinnovabili e carte certificate FSC®. Per spedirla, utilizziamo film in materiale compostabile. Editore Denstiy srl, Via Thaon di Revel 21, 20159 Milano P.IVA 03454220124

EUROPEAN DIGITAL PRESS ASSOCIATION

drupa content contributor

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Member of IFABC International Federation of Audit Bureaux of Circulations

Testata sottoposta a certificazione di tiratura e diffusione media, in conformità al regolamento CSST, per il periodo 01/01/2020 – 31/12/2020. Certificato 2020-3058

Tiratura 4.619 copie

Diffusione 4.496 copie

editoriale di Lorenzo Villa // lorenzo@densitymedia.com

Digitale: luci e ombre di una scelta ineluttabile Alla faccia della Legge di Murphy, il 2021 è stato un anno piuttosto interessante per il nostro settore e per l’economia italiana. Dialogando con costruttori e rivenditori, il giudizio è unanime, seppur drogato dalle ricche agevolazioni fiscali. Complice la carenza di materie prime e le criticità lungo la supply chain, per i prossimi mesi la preoccupazione è semmai quella di riuscire a costruire e consegnare le attrezzature già in ordine. Anche sul fronte di carte, supporti, inchiostri e toner, la situazione non è più serena. A fronte di ordinativi robusti, e di un rialzo generalizzato dei prezzi, gli approvvigionamenti arrivano col contagocce, e mettono a rischio spedizioni e fatturati. In una situazione dai risvolti paradossali, tuttavia, la costante è una digitalizzazione frenetica e inarrestabile. Tra software di gestione del flusso di lavoro, applicativi gestionali, robot, sistemi di stampa e finitura analogici ispirati all’Industria 4.0, macchine da stampa, nobilitazione e fustellatura digitale, non c’è una sola area della stampa e del packaging che non stia ridisegnando i propri processi organizzativi e produttivi. Anche sul fronte commerciale, gli stampatori sono ormai avvezzi a modelli di webto-print e web-to-pack, sanno come gestire tempi di consegna fulminei, e come azzerare le scorte di magazzino. Sfogliando le prossime pagine, troverete storie di trasformazione digitale emblematiche, come quella di Nixka, nata dalle ceneri di Impika e candidata a convertire all’inkjet nuovi segmenti dell’imballaggio e della decorazione industriale. E quella di Edizioni Simone, che grazie alla stampa digitale ha rilanciato un business editoriale che sembrava destinato al declino. Eppure, anche in un momento di cauto ottimismo, c’è da domandarsi se questa ondata durerà, o si infrangerà, come già accaduto in passato dopo le ubriacature da PDF e da CtP. Fenomeni che da un lato hanno modernizzato il settore, ma al contempo lo hanno messo di fronte a scenari inediti e scelte dolorose. Se la digitalizzazione non è più un’opzione, il tema è piuttosto come affrontarla con la maturità necessaria perché si trasformi in un vantaggio collettivo e duraturo.


news Con FedLab, Fedrigoni elabora soluzioni per sostituire la plastica La progressiva eliminazione delle plastiche, a partire da quelle monouso, è ormai un tema sentito a livello globale, e una sfida che vede impegnati brand owner, produttori di materie prime, istituzioni e protagonisti della filiera. Anche Fedrigoni persegue questa missione, e a tale scopo ha costituito FedLab, un hub di innovazione che ha lo scopo di sviluppare prodotti in carta ad alte prestazioni adatti a sostituire la plastica nel campo del packaging. FedLab punta a sommare le competen-

ze presenti in azienda con quelle di altre imprese e startup, e ha già dato vita ad alcuni progetti e prodotti innovativi. Tra i più rilevanti: la newco costituita con Tecnoform per produrre vassoi per confezioni di lusso biodegradabili in cellulosa termoformata; il materiale a base carta Icelite CleanCut, utilizzabile per produrre bustine monodose di liquidi; e la carta Splendorgel High Barrier Technology, resistente all’acqua e completamente riciclabile. fedrigoni.com

‖ Alberto Bassanello di Durst al centro tra Apostolidis Yiannis (a sinistra) e Dave Cich (a destra) rispettivamente direttore vendite e CEO di Vanguard.

Vanguard sbarca in Italia per conquistare l'Europa con Durst

‖ Icelite CleanCut è il materiale a base carta, sviluppato da Fedrigoni in collaborazione con Easysnap, per realizzare confezioni monodose di liquidi apribili con una sola mano.

A un anno dall’accordo che ha condotto Vanguard nell’orbita di Durst, il costruttore americano avvia le operazioni industriali e commerciali in Europa. Da poche settimane, Vanguard Digital Printing Systems ha stabilito la sua sede europea a Bressanone, a pochi metri dal quartier generale di Durst, dove costruirà tutti i prodotti destinati al mercato europeo su una superficie di 5.000 m². Non è casuale che, per la sua prima uscita ufficiale, l’azienda abbia scelto Viscom Italia, e lo

stand di Durst, che nel nostro Paese curerà la commercializzazione delle stampanti flatbed UV a marchio Vanguard. La gamma, composta da numerosi modelli, formati e configurazioni, è accomunata dalla tecnologia di asciugatura LED e dalla possibilità di incrementare gradualmente il numero di teste di stampa (e quindi la produttività) limitando l’investimento iniziale. Tutti i modelli sono forniti con il software Durst Workflow. vanguarddigital.com

Dieci Fujifilm Jet Press 750S per la cinese Tomato Cloud Technology Sin dal lancio, nel 2019, Jet Press 750S, la macchina da stampa inkjet a foglio con inchiostri a base acqua di Fujifilm sembra aver fatto breccia nelle preferenze di stampatori, aziende cartotecniche e fotolaboratori di tutto il mondo. Di grande rilevanza è la notizia dell’ordine di 10 unità (che si aggiungono ad altre 4 già installate) siglato dallo stampatore cinese Tomato Cloud Technology. I sistemi Fujifilm, capaci di produrre fino a 5.400 fogli/ora (in versione HS), sono equipaggiati

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con le teste di stampa industriali SAMBA e gli inchiostri pigmentati VIVIDIA, entrambi sviluppati e prodotti da Fujifilm. Rispetto alla serie 720, lanciata nel 2011, Jet Press 750S può alimentare carta patinata e naturale fino 0.6 mm di spessore, ed è adatta alla produzione di packaging di altissima qualità. Il gruppo cinese, che controlla cinque stablimenti a elevato grado di automazione, punta su Jet Press per ampliare la gamma di prodotti e servizi premium. fujifilm.com

‖ Fujifilm e Tomato Cloud Technology celebrano la firma dell'ordine a China Print 2021.


news Da 75 anni Mark Andy non smette di innovare nella stampa di etichette È tale l’abitudine di pronunciarlo, che pochi si domandano da dove derivi il nome del celebre costruttore americano di macchine per la produzione di etichette. In occasione del suo 75° compleanno, Mark Andy celebra l’intuizione del suo fondatore, Mark Andrews, che nel 1946 ha realizzato la sua prima stampante per nastri in un’officina nel Missouri. A ricordarlo è il direttore vendite dell’azienda, Roy Webb: «Mark costruiva queste

semplici stampanti nel suo seminterrato, o nel garage, una alla volta. Appena ne vendeva una e aveva i soldi per comprare i materiali, ne costruiva un’altra». 75 anni dopo, Mark Andy impiega oltre 450 collaboratori e ha sedi negli Stati Uniti, in Canada, Polonia e Gran Bretagna, nonché rappresentanze in oltre 60 Paesi. Nel proprio quartier generale di quasi 10.000 m² a Chesterfield, Missouri, l’azienda realizza tutti i propri

prodotti, incluse le popolari unità della Performance Series, che hanno introdotto nuovi paradigmi di qualità e versatilità applicativa. Nell’ultimo decennio, inoltre, Mark Andy è stato tra i primi costruttori a presentare un sistema di stampa narrow web ibrido. La gamma digitale spazia oggi dal modello Digital Pro, basato su un motore di stampa a toner, fino alle più produttive Digital Series iQ, realizzata in collaborazione con

Domino, e Digital Series HD. «Siamo convinti che la crescita dei nostri clienti sia alla base della nostra crescita. Per questo, nei prossimi anni, lavoreremo duramente per offire loro il massimo supporto possibile», afferma PJ Desai, CEO di Mark Andy. markandy.com ‖ In basso: a sinistra, una delle prime macchine costruite da Mark Andrews; a destra, il quartier generale dell’azienda a Chesterfield, in Missouri.

Il nuovo riferimento per il grande formato La nuovissima gamma Acuity di Fujifilm Grazie a tecnologie innovative e all’avanguardia, Fujifilm ha aiutato migliaia di aziende a trasformare le attività di stampa di segnaletica ed espositori. Ma in un mondo caratterizzato dai continui cambiamenti, tre anni fa abbiamo deciso di ripartire da zero e di creare un nuovo riferimento per la stampa inkjet UV. Il risultato è una nuova gamma di stampanti Acuity progettata e sviluppata da Fujifilm che ridefinisce il rapporto prezzo/performance e trasforma il ROI di stampa. Questi modelli riscrivono il significato di versatilità e valore ridefinendo le aspettative in materia di facilità d’uso. Inoltre, essendo sviluppati da Fujifilm, utilizzano i migliori inchiostri UV sul mercato e garantiscono qualità e affidabilità straordinarie. La nuova gamma di stampanti Acuity progettata e sviluppata da Fujifilm. Per saperne di più: FujifilmAcuity.com/ItaliaPublishers

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news swissQprint alza (di nuovo) l'asticella con la sua Generation 4 Sin dalla sua nascita, swissQprint si è presentata al mercato come game changer, perseguendo l’obiettivo di reinventare la stampa flatbed con macchine dotate di funzionalità innovative, capaci di produrre texture tattili, e una qualità fuori dall’ordinario. Questo approccio ha permesso alle stampanti Oryx, Impala e Nyala di affermarsi, prima in Europa e poi nel mondo, come un punto di riferimento per gli stampatori più esigenti. Fedele alla sua missione, a lo scorso

ottobre il costruttore svizzero ha presentato la quarta generazione dei suoi sistemi flatbed, che ne ridefiniscono nuovamente gli standard qualitativi e produttivi. Grazie all’impiego di nuove teste di stampa, le stampanti swissQprint hanno ora una risoluzione massima di 1.350 dpi, vantano incrementi di velocità fino al 40% (su Oryx), e integrano l’esclusivo piano aspirante Tip Switch, che elimina le operazioni di mascheratura. swissqprint.com

‖ La quarta generazione di stampanti swissQprint cresce ancora in qualità e velocità.

Xeikon VariOne crea valore variabilizzando i layout grafici

‖ Seguendo le formule contenute nelle guide Touch7, gli utilizzatori di stampanti Ricoh con toner Neon Pink e Neon Yellow possono creare colori speciali in modo prevedibile.

Xeikon amplia le opportunità creative e di business per gli utilizzatori dei suoi sistemi di stampa a bobina. VariOne è il nuovo software in grado di creare rapidamente progetti variabilizzati, basati su un’immagine o grafica vettoriale con motivi complessi. Disponibile come opzione all’interno della suite di applicativi del digital front-end X-800 (a partire dalla versione 7.00), VariOne si rivolge a tutti i protagonisti della filiera produttiva, in particolare designer, illustra-

tori, stampatori e converter. «VariOne consente di creare migliaia di immagini singole da un progetto di base», spiega Jeroen Van Bauwel, Direttore del Product Management di Xeikon. Oltre a grafiche d’impatto, VariOne consente di creare immagini, testi e codici nascosti per la tracciabilità, la sicurezza e l’anticontraffazione dei prodotti, sia nell’ambito della stampa commerciale che delle etichette e del packaging. xeikon.com

Ricoh supporta gli utilizzatori dei toner neon con le guide Touch7 L’introduzione di stampanti con quinta stazione colore ha aperto nuove opportunità applicative per gli stampatori digitali, e consentito loro di immettere sul mercato prodotti nobilitati a più elevata marginalità. Il recente lancio dei toner neon ha ulteriormente ampliato gli spazi creativi, sebbene non tutti gli operatori abbiano le competenze per ottenere i risultati desiderati. Per questo, in abbinamento alla sua macchina da stampa Ricoh Pro C7200X, Ricoh ha reso disponibili le guide

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Touch7 che consentono di riprodurre con precisione 1.520 colori impiegando i toner Neon Pink e Neon Yellow. La creazione del colore può avvenire secondo il principio di SCR (Source Colour Removal), in cui il colore originario viene rimosso da CMY e sostituito con il toner neon, oppure sovrapponendo un colore neon ai tre colori primari, per aumentare la saturazione del colore, ottenendo ad esempio rossi e violetti più saturi, o blu elettrici. ricoh.it

‖ VariOne è l’applicativo software di Xeikon che consente di creare immagini variabili, oltre che testi e codici per la tracciabilità e l’anticontraffazione.


news Agfa e Koenig & Bauer coprotagoniste del futuro digitale di Interprint La collaborazione si rivela sempre più un fattore cruciale per accelerare l’innovazione e introdurre nuovi prodotti e servizi nel campo delle soluzioni inkjet industriali. Lo dimostrano esperienze come quella di Interprint GmbH, azienda tedesca specializzata nella stampa e nobilitazione di superfici per arredi e pavimentazioni che simulano l’effetto del legno. Lo stampatore, che ha recentemente installato la sua terza linea

inkjet RotaJET di Koenig & Bauer, si avvale degli inchiostri inkjet a base acqua di Agfa per la stampa in bobina ad alta velocità di carta per la laminazione. Il primo ingrediente chiave dell’offerta digitale di Interprint è la tecnologia inkjet di Koenig & Bauer, con larghezza di bobina fino a 2.250 mm, in grado di operare su tre turni con velocità lineari di 135 m/min e risoluzioni fino a 1.200 dpi. Il secondo, di pari importanza, è

l’inchiostro pigmentato a base acqua di Agfa, caratterizzato da un gamut cromatico ampio e da limitato metamerismo, che ha consentito a Interprint di replicare e migliorare i risultati qualitativi della stampa rotocalco. «Siamo orgogliosi di poter garantire la massima flessibilità nel design con la stampa decorativa digitale», afferma Robert Bierfreund, amministratore delegato di Interprint GmbH. «La

collaborazione con Agfa e Koenig & Bauer ci ha consentito di realizzare un processo di stampa che ci permette di soddisfare le esigenze dei nostri clienti in termini di massima libertà nella scelta del design e altissima qualità di stampa». agfa.com koenig-bauer.com ‖ Interprint utilizza tre rotative inkjet RotaJET e gli inchiostri waterbased di Agfa per la decorazione industriale.

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Veloce ed ecologica: la nuova tecnologia di esposizione per risultati altamente precisi. Lastre process free ottenute senza l’impiego di acqua e prodotti chimici. La realizzazione delle lastre di stampa rappresenta una fase fondamentale della tecnica di stampa offset e comporta parallelamente un enorme dispendio in termini di tempo e costi, senza contare le gravi conseguenze ambientali causate dal relativo processo di sviluppo. Il passaggio alle lastre process free Sonora XTRA di Kodak, che non prevedono l’utilizzo di prodotti chimici né il consumo di acqua offrendo in cambio un maggior risparmio energetico, segna un’ulteriore tappa decisiva nell’impegno di ONLINEPRINTERS nei confronti della salvaguardia dell’ambiente. Presso lo stabilimento di Neustadt an der Aisch, la stampa offset è una delle principali tecnologie che l’azienda utilizza soprattutto per la realizzazione di prodotti in grandi tirature come manifesti, locandine, cataloghi, riviste o volantini. La lavorazione viene eseguita con la tecnica della stampa raggruppata, che permette di produrre i vari ordini evitando dispendi di risorse. L‘accorpamento di più commesse da produrre su carta dello stesso tipo e della stessa grammatura consente infatti un miglior sfruttamento delle lastre di stampa. “Con le lastre process free portiamo avanti un obiettivo che sta molto a

Immagine: KODAK MAGNUS Q800 è il sistema CTP da 8 pagine più veloce del mondo. Copyright: Kodak

cuore alla maggior parte dei nostri clienti: la tutela ambientale. Allo stesso tempo, siamo in grado di rispondere meglio alle richieste più urgenti. La tecnologia process free velocizza infatti la produzione delle lastre di stampa eliminando la tradizionale fase di sviluppo, inoltre la nuova tecnologia di esposizione lavora in maniera più rapida rispetto ai metodi convenzionali”, commenta Roland Keppler, CEO di ONLINEPRINTERS. Le lastre di stampa, realizzate in alluminio di alta qualità, vengono completamente riciclate dopo il loro utilizzo. Il sistema CTP (Computer To Plate) più veloce del mondo. Dopo accurati test partici, solo la nuova tecnologia di esposizione delle lastre implementata da Kodak è riuscita a convincere gli esperti di produzione di ONLINEPRINTERS. Il nuovo modello di KODAK MAGNUS Q800 è in grado di produrre una lastra esposta ogni 45 secondi, guadagnandosi così il titolo di sistema CTP da 8 pagine per lastre process free più veloce del mondo. Il sistema utilizza la tecnologia di esposizione KODAK SQUARESPOT

Grazie all’investimento nel sistema CTP KODAK MAGNUS Q800, la stampa offset di ONLINEPRINTERS diventerà un processo ancora più rapido, ecologico e a risparmio energetico.

e, che garantisce un’esposizione costante da lastra a lastra offrendo un livello eccellente di stabilità, precisione e affidabilità durante la stampa. Il dispositivo SPL (Single Pallet Loader) consente poi di caricare automaticamente le lastre prelevandole direttamente dal pallet fornito, riducendo così il tempo di lavorazione. Dopo aver introdotto con successo la nuova attrezzatura nello stabilimento tedesco, ONLINEPRINTERS progetta di inserire questo sistema anche nei siti produttivi delle proprie società affiliate in Regno Unito, Danimarca, Polonia e Spagna. Durante tutte le fasi di produzione, lo stampatore online è molto attento al rispetto dell’ambiente. Oltre all’efficiente processo di stampa raggruppata e all’alimentazione centralizzata dell’inchiostro che permette di ridurre i materiali da imballaggio, nella stampa offset vengono impiegati anche specifici coloranti privi di oli minerali con certificazione Cradle to Cradle.


strategie Profeti dell’industrial printing, creatori delle soluzioni inkjet di Xerox, Paul Morgavi e il suo team sono pronti a una nuova avventura imprenditoriale e tecnologica

Nixka è la nuova impresa dei pionieri dell’inkjet industriale Made in France di Lorenzo Villa

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ionieri, inventori e startup hanno segnato in modo indelebile la nascita e l’affermazione della stampa digitale. Gli ultimi 30 anni hanno visto l’imaging digitale irrompere nelle arti grafiche, un comparto industriale avanzato e fortemente meccanizzato, ma legato alla tradizione e a tecniche produttive ultrasecolari, come la serigrafia, la tipografia e la calcografia. Se ad accelerare

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la trasformazione digitale della stampa, negli anni Ottanta, sono la maturazione della tecnologia elettrofotografica e dell’inkjet, a declinarla in prodotti di successo sono un pugno di aziende innovative. Alcune di esse nascono in Israele e in Nord America, e per anni conservano la fisionomia di startup tecnologiche, fino a trovare una declinazione applicativa. Il vecchio continente, coi suoi distretti manifatturieri, è invece il luogo di nascita di piattaforme

di stampa digitale vocate a specifiche applicazioni finali, decorative o funzionali. Con la sua Impika, avviata quasi vent’anni fa, Paul Morgavi può dirsi uno degli interpreti di questa seconda corrente di pensiero. Oggi, con Nixka, l’eclettico imprenditore francese torna alla ribalta per supportare la trasformazione digitale della decorazione industriale. Lo abbiamo incontrato nella storica sede Impika a Aubagne, in Provenza, dove Nixka ha messo radici.

Una storia di innovazione Dopo la laurea in ingegneria elettronica, Morgavi si avvicina all’industria delle telecomunicazioni, e nel 1981 trova impiego come progettista di semiconduttori presso SGS Thomson. Nel 1988, l’amico Marc Lessus fonda Gemplus, azienda specializzata nella ‖ In alto, stampa a bobina e decorazione di packaging cilindrico, due applicazioni realizzabili con l’inkjet di Nixka.


strategie ‖ 1) Paul Morgavi, primo da destra, nel 1991, con il team di sviluppo inkjet di Kyocera. 2) I fondatori di Impika.

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realizzazione di carte telefoniche prepagate, e chiama Morgavi nel dipartimento di ricerca e sviluppo dedicato alla stampa. Qui, nel 1996, il giovane ingegnere inventa la prima stampante inkjet a colori per la decorazione di card plastiche, che vedrà la luce nel 2000. Fino al 2002, Morgavi coordina la ricerca e sviluppo della divisione stampa di Gemplus, che nel 2000 viene acquisita dalla società di private equity Texas Pacific Group, che ne ridefinisce attività e priorità. Le mura di Gemplus stanno ormai strette al team di 11 ingegneri capitanati da Morgavi, che lasciano l’azienda e fondano la loro startup, focalizzata sulla stampa inkjet. Impika nasce nel 2003, e persegue la mission di offrire soluzioni di stampa e decorazione digitale modulari a differenti comparti industriali. Un obiettivo ambizioso, specie in tempi in cui la tecnologia inkjet piezoelettrica è lungi dall’essere stabile, e impiegabile in applicazioni di alto volume. Forti dell’esperienza maturata e dei primi feedback positivi, i soci di Impika individuano i segmenti più promettenti, e trovano investitori interessati a finanziare il loro progetto.

owner che di integratori e costruttori di sistemi di stampa. Morgavi, che ricopre la carica di CEO e Presidente della società, continua nella sua attività di ricerca, redige white paper e deposita brevetti. Alle porte della startup bussano anche le multinazionali dell’imaging, tra cui Kodak, che nel 2006 commissiona a Impika lo sviluppo di una nuova generazione di sistemi Versamark. Il piano, tuttavia, non si limita ad essere gregari (o comprimari) di produttori blasonati. Nel 2005 Impika presenta la sua prima print bar single-pass per la sovrastampa digitale di etichette e imballaggi, e nel 2007, a Labelexpo, introduce la macchina da stampa inkjet narrow web iPress 600 da 75 m/min. L’anno

successivo, a drupa 2008, l’azienda svela i sistemi a bobina iPrint 150 da 154 m/min e iPress 600, con risoluzione di 600 dpi e larghezza di stampa di 474 mm. Fedele al suo motto “Your Inkjet Solutions”, e incoraggiata da un mercato affamato di soluzioni digitali, Impika continua ad alzare l’asticella della qualità e della produttività, ponendo le basi per sistemi a più elevate prestazioni, come iPrint 350 da 354 m/min, iPrint Extreme da 375 m/min, e iPress 2400, la prima unità a 1.200 dpi destinata a competere con l’offset. L’era Xerox, tra affermazione commerciale e riconoscimenti Il flirt con Xerox inizia nel 2010,

sotto la presidenza di Ursula Burns, con la firma di un accordo di distribuzione per i sistemi di stampa Impika nel mercato europeo. La partnership commerciale si rivela un successo per Xerox e sfocia, nel 2013, nell’acquisizione di Impika e nella designazione dell’azienda francese quale nuovo sito produttivo globale, centro dimostrativo e Inkjet Innovation Centre. Xerox concentra a Aubagne la costruzione di tutti i suoi modelli inkjet a foglio e a bobina, ampliando il sito produttivo fino a 9.500 m² e accrescendo il numero di addetti a 230 unità. Morgavi è nominato Chief Operating Officer Inkjet, alle dirette dipendenze di Jeff Jacobson, a quel tempo Presidente delle Graphic Communications Operations. Al tempo stesso, il manager francese è responsabile della ricerca e sviluppo globale dell’inkjet di Xerox. Forte delle soluzioni proprietarie sviluppate da Impika, nel 2015 Xerox presenta la sua prima unità roll to cut sheet Rialto 900, e nel 2016 avvia la collaborazione con Koenig & Bauer per la prima macchina da stampa digitale a foglio in formato B1, VariJET 106. Nello stesso anno, a drupa, Xerox presenta Brenva HD, macchina da stampa a foglio da 600 dpi e 197 ppm, e Trivor 2400, macchina da

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Protagonisti di un mercato pronto a esplodere Gli anni successivi sono un susseguirsi di manifestazioni di interesse e progetti, sia da parte di brand

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strategie  3

‖ 3) Il primo concept di stampa inkjet single-pass presentato da Impika alla fiera Emballage, a Parigi, nell’autunno del 2004. 4) Il team di Impika ad IPEX 2010. 5) Paul Morgavi ad IPEX 2010 con la prima macchina roll-to-cut-sheet iPress 2400, capace di produrre fino a 6.000 fogli B2/ora a 1.200 dpi con inchiostri a base acqua.

stampa a bobina, basata sulla tecnologia d’inchiostro High Fusion, in grado di stampare su carte patinate offset senza pretrattamento. I motori di stampa realizzati da Impika conquistano numerosi riconoscimenti, tra cui gli EDP Awards per iPrint Compact nel 2013, per Rialto 900 nel 2016 e per Brenva HD nel 2017.  4

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La rilocazione di Xerox Nell’estate del 2019 Xerox è nel mezzo di una profonda riorganizzazione. Sotto la guida di John Visentin, l’azienda persegue l’uscita dalla joint venture Fuji Xerox e prepara un’offerta per acquisire HP. Pur senza rinnegare il valore della tecnologia sviluppata da Impika, Xerox decide di cessare le operazioni a Aubagne, e di concentrare negli Stati Uniti tutte le attività di ricerca, sviluppo e produzione delle macchine da stampa inkjet. «In quel momento in Xerox c’erano differenti visioni, obiettivi e priorità», racconta Morgavi. «Anche sul fronte tecnologico, l’azienda era impegnata su molteplici fronti tra intelligenza artificiale, Internet of Things e stampa 3D». Per il team di Impika si apre un autunno turbolento, che culmina nell’inesorabile trasloco di macchinari, laboratori, strumentazioni e software. Circa 150 dipendenti perdono il loro posto di lavoro. «Abbiamo discusso e cercato di chiudere le attività in modo favorevole per i dipendenti, incentivando ammortizzatori sociali, piani di reimpiego e avvio di startup», racconta Morgavi. «È stato doloroso, ma abbiamo cercato di restare uniti. Grazie al piano sociale, molti di noi hanno avviato una propria attività individuale». Il fondatore di Impika però è determinato a non disperdere



strategie  6

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‖ 6) Il sistema inkjet iPrint eXtreme da 375 m/min sullo stand Impika a drupa 2012. 7) L’unità iPrint Compact di Impika, in linea con le unità di finishing Hunkeler durante l’edizione 2012 di Hunkeler Innovationdays. 8) Xerox Rialto 900, basata sulla tecnologia inkjet di Impika, agli Hunkeler Innovationdays 2015.

il capitale umano e intellettuale costruito in tanti anni e, già nel 2020, costituisce una società di consulenza nel campo dell’inkjet. «Abbiamo iniziato a ricevere messaggi da numerosi ex clienti e partner, che ambivano a coinvolgerci per raggiungere nuovi livelli di qualità e prestazioni con l’inkjet», continua Morgavi. «In quel momento, abbiamo capito che sul mercato c’era una domanda consistente di nuove soluzioni». Gli ex soci e colleghi si riconnettono, dialogano, ed elaborano una strategia comune per tornare sul mercato, senza tuttavia porsi in contrasto con Xerox. Infine, l’idea di fare un remake di Impika risulta tanto semplice quanto ovvia. «Abbiamo chiesto e ottenuto di rimuovere costrizioni troppo rigide dai nostri contratti», spiega Morgavi. «Quanto fatto con Xerox è stato straordinario e irripetibile, ma ci serviva la libertà di affrontare nuove sfide». Squadra (e sede) vincenti non si cambiano

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Discontinuità tecnologica e continuità di competenze sono il mantra su cui Paul Morgavi, JeanMarc Pasturel, Julien Elie, Pierre Lagier, Raphael Kasprzyk, Philippe Barberio e Philippe Sarra Bournet fanno leva per dare corpo alla nuova avventura. I sette soci, capitanati da Morgavi, uniscono le forze e fondano Nixka nell’ottobre del 2020. La nuova società non solo accorpa professionisti di grande esperienza, ma esprime tutte le competenze necessarie per padroneggiare un argomento complesso, in un contesto di business internazionale, maturo ed esigente. Ai soci, impegnati in ruoli di vendite e marketing, elettronica e software, vendite, marketing, supply chain e com-


G4 Un passo avanti Qualità ridefinita Flatbed di 4^ Generazione Nuove teste di stampa La più alta risoluzione possibile Qualità straordinaria Inchiostri di ultima generazione Piano aspirato con Tip Switch Vacuum

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strategie ‖ 9) Le tecnologie inkjet di Impika sono le protagoniste assolute sullo stand Xerox a drupa 2016. 10) Ursula Burns, presidente di Xerox, celebra la vendita di due unità Trivor 2400 e una Rialtro 900 allo stampatore francese DocOne. 11) Il prototipo del motore di stampa single-pass di KBA VariJET 106, svelato in anteprima a drupa 2016.

merciale, si uniscono presto una dozzina di nuovi collaboratori. «Per sviluppare tecnologia inkjet servono un approccio collaborativo e il coinvolgimento di un team multidisciplinare», spiega Morgavi. «Partire in sette, anziché da soli, ci ha motivati e ha impresso un’enorme velocità alla startup». Nixka si scontra presto con problemi pratici, a partire dalla ricerca di spazi adatti per installare strumenti da laboratorio, e macchinari per test in scala. Su questo fronte, la brusca dipartita di Xerox si rivela provvidenziale. Appreso che la storica sede di Impika è ancora sfitta, Morgavi e soci presentano un’offerta per affittarne una parte, e a fine gennaio 2021 rientrano nei locali. «Occupare 9.500 m² senza neanche un ordine sarebbe stato insostenibile, ma abbiamo trovato un compromesso con la proprietà e abbiamo affittato 2.000 m2», racconta l’imprenditore. «Per sei mesi abbiamo messo ordine, ricostituito il laboratorio di R&D e ricucito contatti. A novembre 2020 abbiamo siglato il primo ordine». Oggi Nixka può gestire in autonomia progettazione, prototipazione, testing e assemblaggio delle attrezzature, mentre la carpenteria e il pre-assemblaggio di alcuni moduli sono affidati a fornitori esterni di prossimità. Solide basi tecniche e partnership consolidate, per supportare nuove idee La principale sfida di Nixka è stabilire una sostanziale discontinuità tecnologica con Impika e Xerox. Pur forte delle proprie competenze e di una lunga eredità culturale, il team di ricerca e sviluppo deve oggi familiarizzare con nuove generazioni di teste di stampa, nonché progettare, testare e stabi-

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RISOGRAPH ITALIA

“ Le avversità fanno sì che alcuni uomini si infrangano, E CHE ALTRI INFRANGANO DEI RECORD” William Arthur Ward

stabilisce un nuovo record di velocità nella stampa a colori inkjet a foglio Il pragmatismo che premia La storia ci racconta di un grado di soddisfazione altissimo tra i nostri clienti, non fatto di like, ma dai tangibili vantaggi riscontrati sul campo, quel campo che richiede: Risparmio sui costi operativi; grazie alla tecnologia proprietaria FORCEJETTM Altissime prestazioni; fino a 19.200 immagini A4/ora Affidabilità; minor fermo macchina possibile Alta capacità ingresso; doppio vassoio di alimentazione con sistema di separazione ad aria Alta capacità in raccolta; doppio sistema di impilazione indipendente On the fly; carico e scarico della carta senza interruzione processo Adobe PDF Print Engine IPDS connection over TCP/IP, AFP, PDF, PostScript (EPS,PS) level 3 R

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strategie ‖ 11) Il team di Xerox con Michel Hunkeler (secondo da sinistra) allo Xerox Inkjet Summit 2018, a Marsiglia. 12) Presentazione alla stampa delle soluzioni inkjet Xerox presso la sede di Impika, a latere dell’evento Xerox Inkjet Summit 2018.

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Paul Morgavi Co-fondatore e CEO di Nixka

“Per sviluppare tecnologia inkjet servono un approccio collaborativo, e un team multidisciplinare. Partire in sette ci ha motivati.”

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lizzare nuova elettronica, software e chimiche d’inchiostro a basso impatto ambientale. «In passato avevamo un legame forte con Panasonic, che abbiamo replicato con Konica Minolta, Kyocera e Fujifilm Dimatix», spiega Morgavi. «Questo conferma, una volta in più, che la nostra filosofia era giusta e che può essere facilmente adattata a nuove tecnologie e interlocutori». Nixka ha individuato il software come un’area di sviluppo cruciale per il successo dei suoi motori di stampa inkjet. L’azienda è impegnata nella realizzazione di firmware e soluzioni proprietarie di gestione del workflow, e ha messo a punto un ecosistema aperto all’integrazione con software e

digital front end di terze parti. «Inviare dati a motori di stampa da 300 m/min e 1.200 dpi, su larghezze di stampa di 500 o 700 mm, è tutt’altro che ovvio», spiega Morgavi. «Grazie al nostro software, integrato al 100% nel motore di stampa, e alle partnership con i produttori di DFE, oggi siamo in grado di supportare qualsiasi applicazione industriale a foglio e a bobina». Grazie alla collaborazione con produttori di sistemi di ispezione, Nixka può inoltre equipaggiare le sue attrezzature con tecnologie in grado di rilevare possibili difettosità di registro, ugelli mancanti, e fenomeni di incoerenza e instabilità cromatica. L’integrazione tra la tecnologia di ispezione e il motore

di stampa garantisce il mantenimento della qualità di stampa lungo la tiratura, eliminando la necessità di rilevazioni ottiche, densitometriche e spettrofotometriche da parte dell’operatore. «Sette anni fa, 600 dpi erano la risoluzione standard accettata nell’high-speed inkjet. Oggi il riferimento sono i 1.200 dpi, e una qualità ottica percepita paragonabile all’offset, o al tono continuo fotografico», sottolinea Morgavi. «Per conseguire una simile qualità, e mantenerla lungo produzioni intensive, è necessario realizzare una sorta di sistema a circuito chiuso, in cui tutte le variabili siano sotto controllo». Sin dagli anni pionieristici di Gemplus, i fondatori di Nixka sanno quanto l’inchiostro sia un ingrediente chiave in un sistema di stampa industriale. In quest’ambito, Impika può dirsi un apripista, prima con i coloranti a base acqua dispersi, poi coi pigmenti e con gli inchiostri ibridi. La crescente attenzione a sostenibilità e sicurezza, unita alla domanda esplosiva di soluzioni inkjet nel campo del packaging, si sta rivelando strategica per le attività della newco. In cima alle priorità del laboratorio inchiostri di Nixka c’è la creazione di un nuovo set di inchiostri a base acqua per il packaging flessibile, che includerà un inchiostro bianco coprente selettivo. Una proposizione di valore semplice e trasparente Ispirata dal motto “Together for a Smart Future”, Nixka è un laboratorio per sperimentazione e creazione di soluzioni inkjet aperte e semplici da integrare. Tra i suoi potenziali clienti, l’azienda annovera tutti i costruttori che perseguono la trasformazione digitale dei processi di stampa e decorazione. Anzitutto nel packaging e nella


strategie stampa commerciale, ma anche nell’editoria, nel mailing e nei comparti industriali in cui è necessario depositare chimiche funzionali minerali, vegetali o organiche. Il “metodo Nixka” inizia con l’analisi di mercato, la costruzione di business case e proof of concept, e il calcolo del ROI. Definito il concept, l’azienda supporta il cliente nello sviluppo e nella costruzione del motore di stampa e della macchina nel suo insieme, accompagnandolo nelle fasi di field test, promozione, assistenza, manutenzione, addestramento e affiancamento degli utenti finali. Per garantire un’assistenza tempestiva ed efficace, in ogni parte del mondo, Nixka ha messo a punto un sistema di assistenza remota, che sfrutta la realtà aumentata. Il costruttore ha anche avviato un programma di formazione per i tecnici dei partner, ed entro pochi mesi attiverà sistemi di manutenzione predittiva delle attrezzature. Un modello di sviluppo sostenibile e virtuoso A un anno dalla sua costituzione, Nixka ha completato la riorganiz-

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zazione del team e il kick-off dei primi due progetti, rispettivamente nel campo della stampa tessile e del packaging. Oggi l’attenzione è concentrata sul completamento del centro dimostrativo, l’assunzione di nuovi collaboratori, e l’avvio della produzione in serie delle prime attrezzature. «Per ammortizzare il nostro sviluppo dovremo realizzare più progetti in parallelo, e vendere molte attrezzature», conclude Morga-

vi. «Per centrare questo obiettivo abbiamo concepito un’architettura single-pass modulare che è al 70% universale, e solo per il 30% richiede uno sviluppo dedicato». Per promuoversi, l’azienda francese sfrutta una rete consolidata di relazioni e partner, che include produttori di teste di stampa e di inchiostri. Grazie a un’architettura single-pass modulare, e ad un tempo di sviluppo stimato in 12-18 mesi dall’idea alla macchi-

‖ 14) La sede di Nixka a Aubagne, luogo di nascita di Impika e poi centro di R&D e produzione dell’inkjet di Xerox.

na funzionante, Nixka si candida a diventare il nuovo polo europeo di sviluppo dell’inkjet industriale, e a diventare pioniere nella trasformazione dell’industria della stampa in chiave digitale ed ecologica. E il cuore dello stabilimento di Aubagne è pronto a tornare a pulsare.

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pubbliredazionale La possibilità di creare carta di alta qualità da un prodotto di scarto è cruciale per la tutela delle foreste. Tuttavia la carta non può essere riciclata indefinitamente

Il ciclo della sostenibiltà è l’impegno concreto di Mondi per il futuro del pianeta a cura di Mondi Uncoated Fine Paper

A

ll’incirca 400 chilometri a nord-est di Vienna, oltre il confine con la Slovacchia, si trova l’incantevole campagna di Liptov. Dolci colline e castelli secolari conferiscono in qualche modo a Liptov un’atmosfera medievale. Un’impressione amplificata dalle ampie aree ricoperte da una folta e fitta foresta. Tuttavia, la similitudine con l’era medievale finisce qui, poiché queste foreste sono il

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primo anello di una catena della moderna produzione cartacea. Prima di addentrarci in questo argomento, però, facciamo un passo indietro per esaminare quale sia la situazione ai giorni nostri. È l’anno 2019, e gli ultimi mesi hanno messo in luce una tematica che continuerà a catalizzare la nostra attenzione negli anni a venire: la crisi climatica. Alluvioni, siccità e altri fenomeni metereologici sono avvisaglie di ciò che succederà se non ci sarà

subito un ripensamento globale rispetto all’attuale consumo di energia. Questo è un dato di fatto, comunicato con urgenza dalla grande maggioranza di scienziati del clima. Potrebbe sembrare uno scenario apocalittico, ma se agiamo ora, ciò non accadrà. Possiamo fare la nostra parte per mitigare l’impatto di un surriscaldamento climatico. Nel caso di Mondi, questo si traduce non solo nel nostro impegno per la sostenibilità e la riduzione dell’impronta

di CO2, ma anche nell’impegno a produrre Nautilus, il nostro marchio di carta riciclata. Il ciclo della sostenibilità Le fibre della carta durano da quattro ai sei cicli di vita. La capacità di creare carta di alta qualità da un prodotto di scarto è una gran cosa. È ciò che dovremmo fare tutti: trarre il massimo dalle risorse che abbiamo. Tuttavia, c’è sempre un “ma”. La carta non


pubbliredazionale

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8 72% riciclata1

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Dalle foreste alla carta

Dalla carta alla carta

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Foreste certificate FSC™ o PEFC™

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Sbiancamento

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Uso e consumo

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Scortecciatura e frammentazione del legno

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Produzione della carta

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Raccolta differenziata

11 Preparazione della polpa disinchiostrata e riciclata

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Preparazione e cottura della polpa

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Carta

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Smistamento della carta di scarto

12 Produzione della carta

Tasso di riciclo della carta in Europa (CEPI 2018) Numero di volte in cui una fibra in media può essere riciclata (Bureau of International Recycling, 2019)

può essere riciclata per sempre. Ad un certo punto, la fibra sarà troppo corta, e generalmente quel punto si raggiunge dopo quattro o sei cicli vitali. Ciò significa che, anche con la più accurata raccolta post consumo di carta da riciclo, si arriverà ad esaurire la materia prima. Ma torniamo alle dolci colline e fitte foreste della regione di Liptov. Qui Mondi produce molti dei suoi marchi di carta, all’interno di uno stabilimento che definiamo “integrato”. Tutta la polpa utilizza-

ta viene ricavata dalle foreste della regione, cresciute in modo sostenibile. Il legno certificato FSC o PEFC proviene dalle foreste per creare le cosiddette fibre pure o vergini. Queste fibre vengono poi trasformate in normale carta da stampa professionale o da ufficio. Come mostra lo schema, questa è la prima parte di un ciclo che termina sempre con la produzione di carta riciclata. Talvolta denominata economia circolare, ci piace l’immagine di un ciclo di sostenibilità.

numero di stabilimenti in tutta Europa, che fanno uso esclusivo di polpa proveniente da foreste a gestione sostenibile, gestite direttamente da Mondi oppure acquistate sul mercato mondiale. Entrambi i nostri approcci − da foresta a carta, o da carta a carta − sfruttano al massimo le nostre risorse. Questo ci consente non solo di produrre Nautilus con gli standard che i clienti si aspettano dalla carta prodotta da fibre vergini, ma garantisce anche una catena di fornitura ininterrotta. Oggi, domani e il giorno dopo. In breve, il nostro ciclo di sostenibilità garantisce che Nautilus sia fatta per durare. Proprio come le fitte foreste della regione di Liptov. NAUTILUS®

13 Carta riciclata

Senza fibre vergini, probabilmente saremmo a corto di carta riciclata. Quale modo migliore di assicurare un costante rifornimento di materiale per carta riciclata se non una carta prodotta da fibre vergini in modo sostenibile? A differenza dei tradizionali produttori di carta riciclata, Mondi è nella posizione privilegiata di poter coprire tutti gli aspetti del ciclo di sostenibilità. Oltre allo stabilimento nella regione di Liptov, Mondi gestisce un certo

Non è mai stato più semplice scegliere una carta ecologica. La gamma NAUTILUS® offre non soltanto un vasto assortimento di carte riciclate, in un’ampia gamma di grammature e formati, ma anche la massima qualità in ogni foglio. La famiglia di prodotti NAUTILUS® include carte riciclate di alta qualità, che ti aiutano ad avere cura dell’ambiente, rafforzando la tua immagine di azienda sostenibile. NAUTILUS® ti offre un portfolio di carte riciclate con elevato punto di bianco, per una stampa senza problemi. Per ulteriori informazioni, visitare il sito mymondi.net/nautilus.

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GECKO La gamma di prodotti GECKO è dedicata al rivestimento e alla decorazione murale. Quasi tutti i materiali di questa serie possono essere applicati a parete con la classica colla per carta da parati.

SUNLIGHT La serie di prodotti SUNLIGHT per applicazioni Frontlit è totalmente PVC-free ed è disponibile in vari spessori e design, anche con retro grigio (GB), per un effetto coprente.

BUTTERFLY La linea BUTTERFLY viene invece utilizzata per applicazioni bifacciali ed è disponibile in due diverse varianti. Butterfly 360 soft e Butterfly Weldable (direttamente saldabile).

SPIDERWEB SPIDERWEB è la linea di reti Mesh totalmente PVC-free ed è disponibile in due versioni. Entrambi i prodotti possono essere utilizzati sia all’interno che all’esterno, ad esempio per la copertura di edifici e strutture architettoniche.

MOONLIGHT La serie di prodotti MOONLIGHT è dedicata alle applicazioni retroilluminate (Backlit), è totalmente PVC-free ed è disponibile in tre spessori e design.

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strategie Dopo averlo adottato con successo in tre siti produttivi europei, il colosso europeo dell’ondulato installa il sistema di taglio automatizzato anche presso la sede danese

Per DS Smith, la fustellatura dei display diventa digitale grazie a Elitron Kombo TAV-R di Lorenzo Villa

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l packaging non smette di crescere e si riconferma uno dei segmenti più globalizzati, dinamici e promettenti della nostra industria. Il comparto dell’ondulato, tuttavia, sperimenta come altri la compressione di tempi di consegna, tirature e marginalità, e una crescente richiesta di personalizzazione. Questo impone a scatolifici indipendenti e grandi gruppi reazioni rapide e l’adozione di processi produttivi e tecnologie

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innovativi per realizzare prototipi, campionature e produzioni. Per DS Smith, dal 1940 uno dei principali gruppi mondiali dell’ondulato, la tecnologia digitale è cruciale per affrontare le sfide del futuro. Un brand internazionale con un forte radicamento locale Con oltre 30.000 dipendenti in 34 Paesi, DS Smith può contare su 196 unità produttive disposte capillarmente sul territorio,

alcune più trasversali e altre verticalizzate su prodotti specifici. Il gruppo è costituito dalle aree di business Packaging, Recycling, e Paper. In Danimarca, DS Smith opera con un team di 670 dipendenti, dislocati tra la sede centrale di Grenaa e 4 unità produttive e commerciali. Con un layout snello e capillare, DS Smith Denmark garantisce ai suoi clienti un efficace servizio di prossimità. Ai canali tradizionali, l’azienda affianca un e-commerce di imballaggi e

accessori. Lo stabilimento di Vejle, nel cuore del Paese scandinavo, è dedicato alla produzione a ciclo completo di display e materiali per il punto vendita, dalla progettazione alla prestampa, fino alla stampa, fustellatura e incollatura. Qui, a giugno 2021, DS Smith ha introdotto una linea di fustellatura digitale Elitron Kombo TAV-R. ‖ In alto, la linea di taglio Kombo TAV-R installata presso lo stabilimento di Vejle di DS Smith Denmark.


strategie  1

‖ 1) Il reparto di progettazione degli espositori con Esko ArtiosCAD. 2) Il cruscotto di controllo della linea di taglio Elitron Kombo TAV-R.

Un parco di tecnologie al top per una clientela variegata ed esigente I clienti di DS Smith Denmark operano in molteplici settori, dall’alimentare alle bevande, dalle attrezzature elettriche ai materiali da costruzione. Una committenza eterogenea, che impone al converter di realizzare le tipologie di scatole e display più disparate. Per eseguire le lavorazioni, a Vejle sono presenti due macchine da stampa offset Koenig & Bauer da 1.620x1.200 mm, macchine da stampa flexo HD, linee di laminazione, platine e fustelle semi-rotative, e alcune piega-incolla. Per le commesse con tempi di consegna più rapidi, e a più alto grado di personalizzazione, l’azienda si avvale anche delle unità di stampa digitale installate presso le sedi di DS Smith in Svezia e Finlandia, e di alcuni terzisti di prossimità. «Le esigenze dei clienti mutano rapidamente, e la domanda di personalizzazione e lavorazioni just-in-time non è mai stata così forte», spiega Karsten Nielsen, Senior Process Engineer di DS Smith Packaging Denmark. «Le nuove priorità sono time-tomarket e costi concorrenziali, ma anche sostenibilità e riciclabilità».

Per aderire alle richieste più stringenti dei clienti, DS Smith Denmark persegue la costante riduzione delle sue emissioni di CO₂ e possiede la certificazione FSC. La società ha poi conseguito le certificazioni ISO 50001 per la gestione energetica e ISO 9001:2015 per la gestione della qualità. Sul fronte della sicurezza alimentare, segue gli schemi di certificazione ISO 22000 e FSCC 22000. Nel 2010, per realizzare più efficacemente prototipi e preserie di espositori, DS Smith Denmark ha creato, presso il sito Vejle, un reparto di progettazione e produzione digitale, equipaggiato con postazioni software Esko ArtiosCAD e sistemi di taglio e cordonatura digitale.

Il ruolo cruciale di stampa e finishing digitale Per soddisfare la domanda di piccoli quantitativi di espositori, nel corso dell’ultimo decennio l’azienda ha acquisito varie unità di taglio digitale. Allo stesso tempo, ha efficientato le linee di fustellatura analogica, e velocizzato la produzione interna delle fustelle, abbattendo il tempo di realizzazione a 48-72 ore. Un risultato lusinghiero, ma ancora insufficiente. «Abbiamo scalato il più possibile la produzione digitale, ed efficientato la produzione analogica, ma la fustellatura restava un collo di bottiglia da sciogliere», spiega Nielsen. «Per questo abbiamo deciso di introdurre una tecno-

logia di taglio digitale più veloce, automatizzata e affidabile». A fine 2020, il team di DS Smith Denmark ha redatto un progetto dettagliato, completo di business case, obiettivi di risparmio, e una descrizione minuziosa delle lavorazioni da eseguire. L’azienda ha analizzato l’offerta dei principali fornitori, e portato i propri obiettivi ai tavoli tecnici con altre filiali del gruppo, dove periodicamente vengono condivise sfide e best practice. È qui che è emerso il potenziale del sistema Kombo TAV di Elitron, già impiegato con successo presso numerose altre sedi DS Smith. «Abbiamo testato tutto quello che c’era sul mercato, visitato fiere e letto riviste», spiega Nielsen. «Ma la testimonianza dei nostri colleghi è stata decisiva. In fondo, loro avevano già commesso gli errori e sperimentato i possibili benefici di più sistemi di stampa e taglio». La scelta di Kombo TAV-R Dopo alcune dimostrazioni, e una visita presso il quartier generale di Elitron, DS Smith Denmark ha avviato un’analisi approfondita di Kombo TAV-R in configurazione R3, dotata di nastri acetal belt per l’alimentazione e la movimentazione dei pallet a monte e a valle della macchina. Per verificare l’effettivo beneficio economico e il modello di ammortamento, DS Smith ha effettua-

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strategie  3

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‖ 3) e 4) Espositori e isole promozionali realizzati da DS Smith. 5) Il piano di lavoro di Kombo TAV-R con due teste di taglio e cordonatura.

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Karsten Nielsen Senior Process Engineer, DS Smith Denmark

“Abbiamo scalato la produzione digitale, ed efficientato la produzione analogica, ma la fustellatura restava un collo di bottiglia.”

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to anche un’analisi dei consumi di lame da taglio tradizionali su centinaia di tracciati fustella, e ha sottoposto Kombo TAV-R a cicli intensivi di lavorazione. «Una delle nostre preoccupazioni era la forza e la qualità della cordonatura. Così abbiamo fatto innumerevoli test, riproducendo molte lavorazioni diverse», sottolinea Nielsen. «Infine, abbiamo sottoposto i risultati ai nostri clienti, che hanno comprovato e accettato la qualità del taglio digitale». Dopo aver formalizzato l’acquisto, DS Smith Denmark ha inviato i propri operatori presso Elitron per la formazione. Poi, dopo l’installazione, i tecnici Elitron si sono trattenuti in azienda per un’ulteriore settimana di affiancamento.

I benefici dell’automazione Grazie al suo formato di lavoro 3.200x2.200 mm, alla tecnologia di carico AiroPanel, e al sistema di telecamere Seeker System, Kombo TAV-R consente di posizionare automaticamente sul piano di taglio più fogli, rilevarne i marchi di registro, ed effettuare la fustellatura con la massima precisione, senza intervento umano. Al termine della lavorazione, l’intera plancia fustellata, senza tacche di tenuta, viene impilata sul bancale, ed è pronta per la sfridatura. Per agevolare controllo di qualità e consegne just-in-time, Kombo TAV-R può rilasciare batch parziali o singoli fogli tagliati, senza interrompere la lavorazione. Sebbene

Kombo TAV-R R3 sia predisposta per operare in stabilimenti totalmente automatizzati, DS Smith Denmark la impiega come unità di taglio stand-alone. Nel medio termine, tuttavia, l’azienda punta a seguire l’esempio di altri siti del gruppo, dove Kombo-TAV è interconnessa con macchine di stampa, converting e ondulatori. A sei mesi dall’installazione, il sistema Elitron lavora su un turno, con un solo operatore, ma entro la fine del 2021 l’attrezzatura sarà impiegata per lavorazioni 24/7. «Più lavoriamo con Kombo TAV-R, più ne constatiamo la sorprendente affidabilità», continua Nielsen. «Al punto che stiamo già pianificando lo spostamento di lavorazioni di fustellatura analogica in digitale, alternando turni con operatore e turni senza presidio». Pronti alle sfide del futuro L’obiettivo di DS Smith Denmark è saturare la capacità di Kombo TAV-R entro la metà del 2022, per poi valutare l’installazione di una seconda unità. Per assecondare la domanda di basse tirature, l’azienda sta inoltre considerando l’introduzione di una stampante digitale con carico e scarico automatico dei fogli di ondulato.


TM

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strategie Il singolare editore napoletano sfrutta le tecnologie e le competenze di Xerox, MC System e Forgraf per creare dal nulla un reparto completo di stampa e finishing

Edizioni Simone riaggancia il treno dell’e-commerce con la produzione in-plant di Lorenzo Villa

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egna di una sceneggiatura di Eduardo De Filippo, la storia di Edizioni Simone si stacca nettamente da quella di molti editori e tipografi “convenzionali”. Le vicende aziendali si legano a filo doppio a quelle accademiche e personali del suo fondatore, Federico del Giudice, che nei primi anni Sessanta è un brillante studente di Diritto all’Università di Napoli. Del Giudice si accorge presto che i

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suoi appunti, organizzati secondo un metodo schematico non codificato, offrono a lui e ai compagni un vantaggio quasi sleale nel superare anche gli esami più ostici. Del Giudice inizia a vendere copie dei suoi elaborati, conquista notorietà nell’ateneo, e infine realizza che il suo metodo può davvero rendere assimilabile anche il testo più corposo e complesso. Allestisce così una produzione seriale di dispense, prima nel garage e poi nella sua abitazione di Posillipo, arruolando

compagni di corso, amici e collaboratori che scrivono, schematizzano e rilegano dispense. Nel 1968 gli affari vanno tanto bene da spingere il giovane professore a creare un’azienda, che più tardi avrebbe chiamato Edizioni Simone. Un nome iconico, e un tributo alla nonna che, vedendolo ritagliare e stendere sul letto le pagine dei suoi lavori, lo paragona alla proverbiale figura di “Don Simone che stampa e compone”, emblema di quell’arte dell’arrangiarsi che è insita nello

spirito partenopeo. Per produrre i suoi volumi, inizialmente del Giudice usa il ciclostile di una parrocchia. Poi, con i primi guadagni, ne acquista uno tutto suo. In pochi anni, l’attività editoriale si estende a tutte le materie giuridiche e all’economia, e la squadra cresce fino a superare i 120 collaboratori. A fine anni Novanta, gli spazi ‖ In alto, l’unità Xerox Nuvera 288 impiegata per la stampa in bianco e nero delle pagine interne dei libri.


strategie ‖ 1) Il centro stampa di Edizioni Simone si estende su 180 m². 2) Operazioni di verifica del file prima della stampa.

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domestici non bastano più, e l’azienda acquista una sede operativa a Pozzuoli. Qui, a dicembre 2020, Edizioni Simone ha creato il suo primo centro stampa aziendale. L’azienda, che impiega 84 persone e ha un fatturato di 15 milioni di euro (2020) è tuttora controllata da del Giudice e dalla sua famiglia. Un modello di business unico La strategia editoriale di Edizioni Simone è tuttora fondata sul metodo inventato dal fondatore, e sull’impiego prevalente di redattori interni. Sin dall’inizio, anche i collaboratori esterni sono chiamati ad apprendere lo “Schema Simone”, e ad allinearvisi. «Chiunque usciva dall’università

e voleva lavorare, poteva venire a Posillipo e scrivere un articolo, un capitolo», racconta Luca Misso, CEO di Edizioni Simone. «Molti avvocati e professionisti laureati in quegli anni se lo ricordano, anche se oggi è tutto cambiato». Al crescere dei volumi di stampa, nei primi anni Settanta, ciclostile e rilegature artigianali lasciano spazio alle tipografie esterne. Dalle dispense, Edizioni Simone inizia a editare veri e propri libri “alternativi” ai testi universitari, riscritti secondo la metodologia schematica di Del Giudice, che favorisce l’apprendimento rapido. «Osservando una pagina, si possono apprendere argomenti che un testo tradizionale tratta in 100 pagine», sottolinea Misso. «Sebbe-

ne sia diventato professore a sua volta, del Giudice ha di fatto sottratto vendite a molti docenti e autori. È sempre stato un anti-sistema per definizione, innamorato dell’efficienza e della praticità». Un decennio di crisi e resilienza L’inizio del terzo millennio coincide con il crollo della domanda di volumi, aggravato dal lungo blocco di concorsi e assunzioni nella pubblica amministrazione. Per Edizioni Simone è un declino lento, che in un decennio decima i fatturati. Neppure il tentativo di aprirsi a nuovi generi, l’introduzione di titoli in formato e-book e l’avvio dell’e-commerce frenano la picchiata, che tocca il picco più basso nel

2015. Nonostante la forza lavoro sia ormai sovradimensionata, l’azienda decide di non licenziare, e ricorre ad ammortizzatori sociali, contratti di solidarietà e part-time per non disperdere un nocciolo di competenze costruito con fatica in quasi cinquant’anni. Alla ripartenza dei concorsi pubblici, nel 2016, il team di Edizioni Simone è pronto così a sfornare la quantità di titoli richiesta, utilizzando il proprio peculiare metodo. I fatturati tornano a crescere, e con essi gli odinativi di copie alle tipografie. Ma il mercato è cambiato inesorabilmente, e l’azienda necessita di un nuovo modello organizzativo. Ad avviare il nuovo corso è l’ingresso in azienda di Luca Misso, genero di del Giudice ed esperto di gestione finanziaria e di crisi aziendali. Nel 2013 l’imprenditore lo ingaggia come suo consulente personale, e l’anno successivo gli affida il ruolo di amministratore. «Sono venuto per mettere ordine nei conti, ma poi mi sono innamorato della filosofia di questa azienda, che è un caso di studio straordinario, e ha una struttura e una gerarchia irreperibili nel Sud Italia», spiega Misso. «Sebbene qui regni uno spirito da grande famiglia, mio suocero ha responsabilizzato i suoi dirigenti, conferito deleghe, e promosso la creazione e la diffusione di competenze». Da produttori di contenuti a tipografi digitali Il catalogo spazia dai testi per esami universitari all’editoria scolastica, e include manuali per abilitazioni professionali, concorsi di avvocatura e magistratura, libri di management e cultura d’impresa. Alcuni titoli registrano vendite record, e sono aggiornati e ristampati frequentemente, mentre altri restano di nicchia. La proliferazione dei concorsi pubblici, con tempistiche repentine e imprevedibili, impone a Edizioni Simone una revisione dei processi di produzione e commercializzazione.

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strategie  3

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‖ 3) e 4) Il taglio trilaterale e la brossuratrice Horizon sono la spina dorsale del reparto di finitura di Edizioni Simone. 5) Esempi di volumi editati e stampati dall’azienda.

«Un tempo inviavamo in stampa grandi quantità di libri e li vendevamo nei mesi successivi, con un rischio di obsolescenza minimo», continua Misso. «Ma con la vendita online, il mercato è diventato schizofrenico. Molti si documentano per settimane su quali testi impiegare, e poi vogliono il prodotto all’istante. Ritardare anche di un giorno la pubblicazione, o andare sold-out, significa perdere soldi e quote di mercato». Se alcuni titoli in bassa tiratura sono antieconomici da ristampare, ed è necessario attendere una nuova edizione per tornare sul mercato, altri titoli alimentano ordini ripetitivi sull’e-commerce aziendale e su Amazon. Una condizione che, nel 2017, spinge l’editore ad ordinare piccole tirature digitali ai suoi fornitori. Seppur migliorativo, il modello è inadatto ai tempi risicati dell’e-commerce. Così, ad aprile 2020, complici le difficoltà di approvvigionamento causate dalla pandemia, Edizioni Simone decide di impiantare un centro stampa interno per le sue produzioni just-in-time. Verso la produzione a ciclo completo

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Più ancora dell’impegno finanziario, il management è preoccupato per la carenza di spazi, e per l’inesperienza del proprio personale. «Non avevamo pregresse competenze di stampa, e ci serviva un esperto che ci suggerisse quali sistemi di finitura adottare», racconta Misso. «Il nostro obiettivo era un impianto completo, di facile utilizzo, e pronto a entrare in produzione in poche settimane». Dopo aver dialogato con vari fornitori, Edizioni Simone decide di affidare la gestione del progetto a Polyedra, con il coinvolgimento di MC System per le tecnologie di stampa e Forgraf per i sistemi di finitura. A dicembre 2020, in 200 m² ricavati da un magazzino



strategie  6

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‖ 6) Grazie ai kit Biancodigitale, Xerox Versant 180 Multiverse può stampare anche bianco, colori fluorescenti e metallizzati. 7) Le stampe su carta transfer con toner fluo vengono trasferite su t-shirt con una pressa termica. 8) Le t-shirt stampate.

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Pronti a nuove sfide

Luca Misso CEO di Edizioni Simone

“Siamo riusciti a produrre e vendere titoli che altrimenti non sarebbero mai andati in stampa, e non avremmo esternalizzato in ogni caso.”

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dismesso, entrano una macchina da stampa Xerox Versant 180 e una Versant 180 Multiverse by Biancodigitale, un’unità monocromatica Xerox Nuvera 288 e una Xerox Primelink B9110, coadiuvate da una brossuratrice Horizon BQ270V, un’unità di taglio trilaterale Horizon HT-300, una taglierina Grafcut 73 e una cucitrice Smyth DX-70. Dopo un training serrato ai tre operatori, precedentemente impiegati nella logistica, il reparto entra in azione. «Fino a un anno fa non avevamo mai stampato un foglio. Per questo MC System e Polyedra ci hanno accompagnati passo dopo passo, offrendoci consulenze tecniche e mettendoci a disposizione le competenze di alcuni tipografi»,

evidenzia Misso. «Se abbiamo sbagliato qualcosa, sono le previsioni sui volumi di stampa, che stanno crescendo oltre le aspettative». A dieci mesi dall’installazione, il sito produttivo opera su un turno completo e ha già totalizzato oltre 45.000 volumi rilegati, di foliazione compresa tra 400 e 600 pagine, per un quantitativo complessivo di oltre 20 milioni di pagine. «Quando i nostri fornitori hanno saputo che stavamo investendo in macchinari, hanno temuto di perdere lavoro. In realtà non abbiamo sottratto loro neppure un ordine», racconta Misso. «Piuttosto, siamo riusciti a produrre e vendere titoli che altrimenti non sarebbero mai andati in stampa, e non avremmo esternalizzato in ogni caso».

Grazie alla piena integrazione tra redazioni e reparto di impaginazione, Edizioni Simone governa il proprio flusso di output dall’approvazione del testo al file pronto per la stampa. I file PDF, un tempo inviati esclusivamente alle tipografie, sono pronti per l’imposition e il preflight sui server EFI Fiery, e per la stampa sulle macchine Xerox. Per realizzare i libri, in formati che spaziano dal 100x150 al 210x300 mm, il centro stampa impiega carta in formato SRA3 da 65 a 300 g/m², per lo più naturale. Con i kit Biancodigitale, utilizzabili sulla Versant 180 Multiverse, gli operatori possono sostituire i toner CMYK con i tre primari fluorescenti, per realizzare t-shirt e gadget per i clienti dell’e-commerce. Grazie al kit di nobilitazione con oro, argento, bianco e clear, poi, l’azienda realizza libri in edizione limitata, e sta mettendo a punto prodotti editoriali ad alta leggibilità. Sfruttando l’interconnessione tra i macchinari di stampa e finitura, il centro stampa di Edizioni Simone aderisce alle linee guida dell’Industria 4.0.



speciale Quando osserviamo un’immagine su un monitor non pensiamo al tortuoso percorso che ha portato alla definizione degli spazi colore RGB.

La curiosa storia dello spazio colore XYZ, nato nel 1931 e ancora oggi insostituibile di Marco Olivotto

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artiamo da una considerazione ben nota: abbiamo la necessità di adottare una procedura quantitativa in grado di garantire la riproduzione accurata del colore su un dispositivo. Stiamo parlando, naturalmente, della gestione del colore. Nell’articolo precedente (pubblicato su Italia Publishers n. 4/2021), però, abbiamo visto che il nostro sistema visivo talvolta si beffa dei nostri sforzi e

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produce percezioni diverse partendo da stimoli identici. In parole meno accurate: due “colori uguali” possono apparire radicalmente diversi, a seconda delle condizioni in cui li visualizziamo. La figura 1, già vista a suo tempo, è una prova di come il contrasto simultaneo faccia apparire differenti due stimoli identici: il colore delle due stelle ha la stessa formula CMYK. Gli sfondi danno però alle stelle un aspetto totalmente diverso (anche per un dal-

tonico, se venisse il dubbio). Un colorimetro, peraltro, ci direbbe che le due stelle sono uguali. Il paradosso si risolve accettando il fatto che una macchina non è in grado di “pensare il colore” come un essere umano. O, viceversa, che il meccanismo della nostra visione è troppo complesso per sottostare alle regole che la matematica impone. È quindi curioso che quando parliamo di RGB ci riferiamo a uno spazio colore nato da misure di tipo percettivo.

Dopo la formazione classica, la laurea in fisica e vent’anni di produzione musicale, nel 2007 Marco Olivotto scopre le opere di Dan Margulis, padre della correzione del colore in Photoshop, e diventa suo allievo. Da sempre dedito all’insegnamento in diversi ambiti presso strutture private e pubbliche, dal 2011 dedica i propri sforzi alla diffusione delle tecniche della correzione del colore in Photoshop. Da allora organizza campus, workshop, attività formative on-demand in ambito fotografico e grafico, è speaker di FESPA, collabora con realtà didattiche di livello nazionale ed è autore di ben 25 videocorsi e seminari sulla correzione del colore. Dal 2015 è collaboratore fisso di Italia Publishers.


speciale  1

Da dove viene RGB? Il primo spazio colore che si fregiò della sigla “RGB” si chiamava CIE 1931 RGB. Il nome suggerisce due cose: che ci fosse lo zampino di CIE (Commission Internationale de l’Éclairage), un ente fondato nel 1913 allo scopo di definire degli standard nel campo dell’illuminazione, e che la sua creazione risalga al 1931. CIE 1931 RGB è uno spazio colore molto esteso, non rappresentabile interamente su un dispositivo reale. La sua derivazione si basa sull’insieme di dati sperimentali raccolti da due studiosi inglesi, W. D. Wright e J. Guild, nel corso degli anni Venti del XX secolo. I loro esperimenti non avevano lo scopo di dimostrare la possibilità di produrre i colori tramite la mescolanza di primari, perché all’epoca questa possibilità era ben nota. Il fine degli esperimenti non era neppure pratico, perché un secolo fa non esistevano dispositivi RGB come televisori a colori, monitor o fotocamere digitali. Lo scopo era generare dati utili a costruire un sistema formale e quantitativo per caratterizzare i colori. I due studiosi avevano l’ambizio-

ne di decomporre la luce bianca in componenti monocromatiche, e dimostrare che queste potessero essere generate mescolando in quantità opportune i tre colori primari rosso, verde e blu. Il fine ultimo era arrivare a definire una sorgente di luce bianca utilizzando soltanto tre numeri. Da un punto di vista strettamente pratico l’esperimento fallì, ma il suo fallimento aprì la strada a una teoria che ci aiuta a comprendere meglio il colore e i limiti della nostra tecnologia. L’esperimento di Wright-Guild Il fatto che i due nomi degli studiosi vengano affiancati quando si parla del loro fondamentale esperimento di “color matching” (corrispondenza cromatica), fa pensare che essi abbiano lavorato insieme. Gli esperimenti furono invece due, del tutto indipendenti. Wright pubblicò i suoi risultati a cavallo tra il 1929 e il 1930, Guild nel 1932. Guild incorporò nei suoi dati quelli già pubblicati dal collega, anche se fu necessario trasformarli perché le metodologie di misura adottate erano leggermente diverse. Entrambi gli scienziati fecero però

misure analoghe, con un sistema molto raffinato. Partiamo dalla considerazione che l’unico modo per stabilire se un essere umano percepisca il colore di due campioni come identico è chiederglielo. L’unica alternativa quantitativa implicherebbe la misura di valori elettrici prelevati dall’interno del cervello, e questo non è possibile. Anche se lo fosse, interpretare i dati potrebbe essere estremamente complesso. Il fatto che per effettuare una misura si debba interrogare un osservatore conduce a una serie di difficoltà, la prima delle quali è legata alla soggettività della risposta. Siamo sicuri che un individuo X percepisca la coincidenza cromatica di due campioni allo stesso modo di un individuo Y? A priori, no. In casi come questo, l’unica strada percorribile è realizzare diverse misure e calcolarne la media. In sostanza, utilizzare la statistica: maggiore è il numero degli individui coinvolti nell’esperimento, più i risultati saranno attendibili. Wright e Guild utilizzarono solo diciassette soggetti in totale per definire quello che oggi chiamiamo “osservatore standard”: un indi-

viduo ideale, la cui percezione del colore è la media delle percezioni di individui diversi. Pochi, a dire il vero. Sulla carta, il compito degli osservatori era semplice: gli veniva richiesto di regolare le intensità di tre illuminanti di colore rosso, verde e blu tramite delle manopole, in modo che la luce prodotta dalla loro mescolanza apparisse uguale a quella emessa da un campione monocromatico di riferimento. Il campione di riferimento era uno stimolo ottenuto isolando le lunghezze d’onda di un piccolo segmento dello spettro visibile. Sappiamo dall’articolo precedente che il nostro occhio è sensibile alle lunghezze d’onda comprese tra 400 e 700 nm circa. I due scienziati isolarono piccole porzioni dello spettro: Wright coprì l’intervallo a passi di 10 nm; Guild fu più preciso ed esaminò l’intervallo comperso tra 380 e 700 nm a passi di 5 nm. Schematicamente, l’esperimento è riportato nelle figure 2 e 3 di pagina 38. La figura 2 mostra uno stimolo monocromatico isolato dallo spettro visibile e una mescolanza di primari che non lo riproducono. La figura 3, invece,

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speciale di ipotizzare l’utilizzo di primari (rosso, verde e blu) immaginari, che cadano fuori dallo spettro visibile: ovvero, in termini intuitivi, primari che non siano colori. Questo, naturalmente, è privo di senso.

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Da RGB a XYZ

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una mescolanza di primari che lo riproducono. Annotando la posizione delle tre manopole, e quindi il peso relativo delle tre componenti, Wright e Guild compilarono delle tabelle dalle quali derivarono le formule necessarie a definire i colori spettrali proposti agli osservatori. Un fastidioso segno meno Nel corso degli esperimenti, ci fu una sorpresa: non era possibile, per la maggior parte dei colori proposti, trovare una corrispondenza soddisfacente. Wright e Guild aggirarono il problema con un astuto escamotage, che consisté nell’aggiungere alla luce spettrale di riferimento una componente rossa, verde o blu. In questo modo diventava possi-

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bile ottenere la corrispondenza desiderata, ma questo generava un problema. Nell’esperimento, la corrispondenza cromatica veniva espressa da formule di questo tipo: C ≡ αR + βG + γB Simbolicamente, C è il colore tratto dallo spettro con il quale si cerca la corrispondenza, mentre α, β e γ sono i coefficienti tricromatici che indicano le percentuali di luce rossa, verde e blu necessarie a riprodurre il colore dato. Per praticità, i coefficienti tricromatici venivano scelti in modo che la loro somma desse come risultato 1: α + β + γ = 1. A titolo di esempio, un valore pari a 0 del coefficiente α significava “luce rossa spenta”. Un valore pari a 1

significava “luce rossa alla massima intensità possibile”. In questo modo, i coefficienti tricromatici diventano valori percentuali. Il problema è che si riesce a far quadrare le formule soltanto se gli è permesso di assumere valori negativi. Questo è un controsenso: un valore di α pari a -0,3 (ad esempio) non ha significato reale, perché non possiamo immaginare una “luce rossa negativa”. Al di sotto dello 0, che corrisponde alla luce spenta, non può esserci nulla. La ricaduta pratica dell’impossibilità di far corrispondere una mescolanza di colori primari reali a un colore spettrale è cruciale: ne consegue che non è possibile costruire un monitor in grado di riprodurre tutti i colori visibili a un essere umano medio, a meno

Lo spazio colore CIE 1931 RGB venne definito formalmente dal Comitato per la colorimetria a un meeting che si svolse in Gran Bretagna, per l’appunto nel 1931. Lo spazio è molto simile a quello definito dagli esperimenti di Wright e Guild, con pochi aggiustamenti puramente tecnici. Dal punto di vista matematico, i valori negativi di R, G e B non sono un problema: lo diventano soltanto quando si cerca di traslare le formule nel mondo reale per realizzare un dispositivo in grado di riprodurre i colori. Da questo punto di vista, la CIE avrebbe potuto dire: “Abbiamo creato uno spazio colore teorico che copre completamente lo spettro visibile, e dal momento che i coefficienti negativi non sono un problema per le formule, utilizzeremo questo spazio come riferimento astratto per identificare i colori.” In realtà, si spinsero più in là. Crearono uno spazio colore derivato che chiamarono CIE 1931 XYZ. I motivi furono essenzialmente pratici. Dobbiamo considerare che all’epoca i computer non esistevano, e i calcoli si svolgevano a mano. Maneggiare soltanto numeri positivi avrebbe ridotto in maniera drastica gli inevitabili errori di computazione. Inoltre, era noto da tempo che il grosso dell’informazione relativa alla luminanza di uno stimolo, in sostanza la sua intensità luminosa, dipende dalla componente G del tristimolo, ovvero il verde. La CIE pensò che sarebbe stato assai utile costruire uno spazio colore di riferimento che avesse proprio questa caratteristica: solo una componente avrebbe potuto influire sulla luminanza. Il nuovo spazio colore, XYZ, si può derivare da RGB con trasformazioni mate-


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speciale  4

matiche tutto sommato semplici, ma con un prezzo: i primari X, Y e Z non sono colori reali. Il primario Y è assimilabile al verde, e veicola tutte le informazioni relative alla luminanza. I primari X e Z vengono spesso definiti in maniera criptica come “quasi rosso” e “quasi blu”. La parola “quasi” va intesa nel senso letterale latino: “quasi rosso” significa “come se fosse di colore rosso”. Quel “come se” è poco scientifico, ma la definizione a monte è solida. I primari X e Z sono solo costrutti matematici con una caratteristica paradossale: sono privi di luminanza, perché la luminanza  5

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“vive” tutta nella componente Y. Hanno una cromaticità, ma sono colori “bui”, al punto che giacciono su una linea dal nome evocativo quanto misterioso: “alicne”. In greco, il termine corrispondente è álychnos, che significa “senza luce”. A maggior ragione, X e Z non possono essere colori reali. A cosa serve tutto ciò? La teoria regge così bene che, senza che noi ce ne accorgiamo, ogni volta che convertiamo un documento da uno spazio colore a un altro (ad esempio, da sRGB ad Adobe RGB) la conver-

sione non avviene direttamente: servono due passaggi. Il primo porta dallo spazio colore di partenza a XYZ; il secondo da XYZ allo spazio colore di destinazione (figura 4). XYZ, definito a tavolino nel 1931, è il PCS più comune nella gestione del colore: è un Profile Connection Space, ovvero uno spazio colore astratto che serve per tradurre le informazioni da uno spazio colore a un altro. Non vedremo mai un documento codificato in XYZ, ma questo spazio colore è insostituibile quando dobbiamo lavorare con spazi RGB reali come quelli che incontriamo ogni giorno.  6

Da anni, Adobe utilizza XYZ nei propri software di conversione delle immagini RAW a RGB (o altri spazi colore meno comuni): perché XYZ è ben definito, copre tutto il visibile (e quindi non si rischia di avere colori che esistono in natura ma non sono codificabili numericamente) ed è il miglior ponte che siamo riusciti a costruire per veicolare le nostre immagini nel mondo reale, rappresentandole su un monitor. Infine, da XYZ deriva uno spazio colore che conosciamo bene, perlomeno in forma grafica: il suo nome è xyY. Le due coordinate xy (minuscole) definiscono la cromaticità. Il famoso diagramma a ferro di cavallo che racchiude tutti i colori visibili all’occhio umano (figura 5) non è altro che una rappresentazione grafica di xy. Si usa lo stesso diagramma per rapportare l’estensione di uno spazio colore (sRGB, in figura) al gamut visibile. Sul bordo, lo spettro della luce bianca con le sue lunghezze d’onda, che Wright e Guild utilizzarono per il loro esperimento e che nessun dispositivo RGB reale potrà mai coprire interamente (figura 6).


Fidarsi è bene. Certificato è meglio. La stampa specializzata è il mezzo più sicuro per raggiungere target selezionati di operatori e professionisti di settore. Quando pianificate il vostro investimento pubblicitario, scegliete riviste certificate CSST. Dati certi su tiratura e diffusione, autenticati con metodologia internazionale, vi daranno la garanzia di aver investito il vostro denaro nel modo migliore, affidandovi a editori che lavorano all’insegna della trasparenza.

Member of IFABC International Federation of Audit Bureaux of Circulations


idee per crescere Grazie alle tecnologie digitali, oggi bastano investimenti contenuti per realizzare prodotti stampati e nobilitati, ma per avere successo occorre una strategia precisa

Nobilitare la stampa: infinite possibilità, alte marginalità e qualche piccolo mal di testa di Alessandro Bosco

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ietro alla parola “nobilitare” c’è un esteso mondo di soluzioni tecniche per impreziosire stampati che si desidera impreziosire o che hanno bisogno di essere notati. La nobilitazione ha come primario scopo quello di rendere “unico” e maggiormente attraente un prodotto stampato. Virtualmente, è possibile nobilitare qualsiasi prodotto stampato.

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In particolare, sono compatibili con questo processo gli stampati realizzati con macchine offset o con macchine digitali, sia a toner che inkjet. Ma, all’atto pratico, cosa si intende per nobilitare? Mettiamoci d’accordo. Nobilitare vuol dire eseguire sul prodotto già stampato delle lavorazioni supplementari, con macchine analogiche o digitali, capaci di creare effetti particolari e conferire così mag-

gior valore al prodotto. Gli effetti in questione possono solleticare vari sensi. Le nobilitazioni più comuni, comunque, arricchiscono lo stampato dal punto di vista visivo e tattile. A seconda del tipo di nobilitazione che si desidera applicare, occorre utilizzare specifici macchinari, talvolta molto diversi tra loro. Una volta apprese le varie tecniche di nobilitazione, e acquisita la tecnologia necessaria per metter-

Affiatati nella vita e nell’azienda di famiglia, la palermitana Bosco Forniture Grafiche, i fratelli Bosco vantano competenze complementari. Con il suo brand “Consulenza Plotter” e un decennio di esperienza nel settore, Alessandro supporta ogni anno decine di aziende grafiche nella scelta della stampante più idonea per applicazioni e necessità specifiche. A sua volta Daniele, con all’attivo oltre 14 anni di stampa digitale e di supporto telefonico a clienti di ogni tipo e dimensione, ha scelto di specializzarsi nella consulenza su materiali di consumo ed espositori pubblicitari. Dal 2016, complici la loro contagiosa positività e voglia di comunicare, contribuiscono ad arricchire la “diversity” dei contenuti di Italia Publishers.


idee per crescere

le in pratica, lo stampatore potrà posizionare i propri prodotti in una fascia più alta del mercato, aumentare i propri margini di guadagno e accrescere la soddisfazione della propria clientela, offrendole una gamma pressoché illimitata di soluzioni creative per differenziarsi. La nobilitazione come strumento di vendita Nobilitare non è solo una questione estetica. Al di là della maggior bellezza che questi processi posso donare al prodotto finito, nella maggior parte dei casi l’obiettivo della nobilitazione è mettere in evidenza un prodotto, lasciando un segno nella memoria di chi lo guarda o lo prende in mano. In un mercato competitivo come quello attuale, sovraffollato di prodotti di ogni genere, è diventato indispensabile che i prodotti abbiano un imballaggio o etichetta ben riconoscibili a scaffale, che colpisca il potenziale acquirente e lo invogli all’acquisto. In questo senso, uno dei prodotti nobilitati che tutti conosciamo e che gioca un ruolo essenziale

nella percezione del prodotto da parte del consumatore è l’etichetta vinicola. Chi non ha mai comprato una bottiglia di vino, anche del tutto sconosciuto, solo perché era rimasto colpito da una bellissima etichetta? Io sono il primo. Questa dinamica si può applicare a tantissimi prodotti. Con un giusto mix di creatività e soluzioni tecnologiche, si può elevare la capacità attrattiva di qualsiasi articolo destinato alla vendita, incontrando le grazie del produttore e del suo ufficio marketing. In ogni caso, le nobilitazioni non sono efficaci solo per i prodotti esposti in un supermercato. Esse danno anche eccellenti risultati se applicate su stampati come inviti, biglietti da visita, brochure e altri materiali di marketing. Per esempio, un invito di matrimonio può essere personalizzato con fustellatura, rilievi, verniciature lucide o opache, foil metallizzati e chi più ne ha più ne metta! La rivoluzione digitale Come detto, per nobilitare uno stampato occorre disporre di macchinari specifici. Se è vero che fino a una quindicina di anni

fa questi macchinari erano praticamente solo analogici, la buona notizia è che oggi le tecnologie digitali di nobilitazione sono mature e performanti. Ne consegue che la nobilitazione non è più un privilegio delle grandi marche, che hanno bisogno di quantitativi elevati e dispongono di budget cospicui. Oggi, anche una marca nascente o un produttore artigianale possono impreziosire i propri prodotti e catturare l’attenzione dei consumatori sugli scaffali dei punti vendita di ogni tipo e dimensione. È il digitale ad aver reso possibile tutto questo: piccole tirature di astucci o etichette possono essere stampate e nobilitate a costi accessibili per qualsiasi cliente. Infinite possibilità La gamma di nobilitazioni applicabili a uno stampato è vastissima, specialmente quando più tecniche vengono combinate tra loro. L’utilizzo di plastificazioni con differenti finiture (lucida, opaca, soft touch ecc..) abbellisce e rende particolari piccole tirature di biglietti da visita, copertine e

stampanti su carta in generale. Con una plastificatrice a bobina è anche possibile applicare foil metallici, utilizzabili sia come base per una successiva stampa, sia come nobilitazione selettiva post-stampa. Con le macchine da stampa digitale UV da banco si possono gestire lucidature selettive per prototipi e piccole produzioni. Nel campo delle etichette, spopolano le stampanti digitali a bobina inkjet o a toner. Alcune di esse possono essere configurate con moduli di linea per fustellatura, stampa flexo o serigrafica, e foil a caldo. In alternativa, esistono soluzioni fuori linea che offrono le stesse possibilità. Nonostante il notevole sviluppo delle tecnologie digitali, la serigrafia è a tutt’oggi la tecnica che permette di realizzare il più alto numero di nobilitazioni. Con i dovuti passaggi, essa premette di creare effetti estremamente ricercati, applicando inchiostri profumati, scrivibili, grattabili, perlescenti, termocromici, etc. Nobilitare in autonomia Prima di iniziare a offrire stam-

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foto: Konica Minolta / MGI

idee per crescere

pati nobilitati occorre fare delle attente valutazioni. Naturalmente, il primo aspetto su cui riflettere è quello inerente quantità, tipologia e dimensioni dei prodotti che si intende nobilitare. Una cosa è nobilitare qualche centinaio di fogli SRA3 al mese, tutt’altra cosa è nobilitare centinaia di metri di etichette in bobina a settimana. Non esiste una macchina che vada bene per tutti i tipi di lavorazione, né una che permetta di applicare tutte le nobilitazioni esistenti. Occorre darsi dei limiti riguardo le finiture che si desidera proporre, e occorre farlo tenendo conto di quali lavorazioni possono incontrare maggiormente le necessità o il gusto dei propri clienti. Vediamo un esempio pratico. Nell’ambito delle etichette, data la crescente domanda di piccole e medie quantità, molti stampatori stanno valutando l’acquisto di sistemi di stampa a bobina, inkjet o a toner, ma quando si parla della finitura iniziano i mal di pancia! Infatti, i sistemi di fustellatura e applicazione di foil in linea costano tanto quanto il motore di stampa (o quasi). In questa circostanza, la domanda da porsi è “a quanto posso vendere una piccola

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quantità di etichette nobilitate?”. Lo stesso ragionamento vale per i sistemi che permettono di applicare vernice UV. Per ripagarsi una stampante che fa lucidatura e rilievo, occorre prevederne un utilizzo massiccio o, quanto meno, essere attivi in una nicchia di mercato in cui i clienti sono disposti a pagare bene per avere una simile lavorazione. Idee chiare e committenza specifica sono indispensabili per fare l’investimento giusto. Il dilemma commerciale a cui prestare attenzione Spesso mi capita di parlare con aziende che hanno “voglia” di proporre prodotti più curati e nobilitati ad hoc a clienti che stanno crescendo e vogliono differenziarsi. Il problema commerciale che mi viene posto è: “ci chiedono stampati sempre più elaborati, ma vogliono pagare sempre uguale!”. A tutti piacciono le cose “belle”, ma non tutti le vogliono pagare il giusto. È evidente che vendere prodotti nobilitati deve portare ad un maggiore utile a fronte di un investimento di denaro e tempo di progettazione. Avere la giusta clientela, che abbia

la possibilità e la volontà di spendere qualcosa in più per raggiungere un obiettivo, è un fattore chiave, di cui tenere conto prima di fare qualsiasi investimento o di ipotizzare un ampliamento della propria offerta di prodotti. Una panoramica sulle attrezzature per nobilitare Una volta deciso target, mercato e tipologia di finitura parte l’analisi della giusta attrezzatura. Sulle piccole quantità, tipiche della stamperia artigianale, un plotter UV di piccolo formato e una plastificatrice a bobina da banco possono essere un buon punto di partenza per personalizzare piccole quantità di prodotti. La stampante UV, configurata con inchiostro bianco e gloss, permette la stampa su tantissimi supporti differenti con la possibilità di realizzare sia il prototipo che la piccola produzione che ne può conseguire. Rimanendo in ambito plotter sono sempre più diffusi i plotter UV a bobina (sia in versione solo stampa sia in versione stampa e taglio) che sono in grado di applicare bianco e vernice lucida per realizzare piccole quanti-

tà di etichette. Per l’applicazione selettiva di foil, su piccole tirature stampate con tecnologia a toner, è possibile usare la plastificatrice a caldo da banco in combinazione con specifici foil. Il processo è molto semplice e il risultato è di grande impatto. Per le medie tirature, sia in formato SRA3 che B2 e B1, esistono macchine digitali completamente automatiche dedicate. Il loro funzionamento assomiglia a quello di una stampante: si carica nel mettifoglio il materiale stampato da nobilitare, si apre il file con le informazioni sulla nobilitazione che si desidera ottenere e si avvia la lavorazione. Queste macchine arrivano a velocità di produzione che superano i 1.500 SRA3/ora e possono applicare sia vernice (piana o a spessore) che foil. Per quanto riguarda la fustellatura, un plotter da taglio può essere il compagno ideale per muovere i primi passi nella produzione di packaging e piccoli espositori. Come iniziare Per iniziare a proporre prodotti nobilitati, l’arma strategica è sicuramente rivolgersi a un service che possa effettuare tutte le nobilitazioni del caso su supporti che avrai stampato tu internamente. Oppure, un’alternativa altrettanto valida è acquistare il prodotto finito da un partner. Così potrai iniziare a sondare la ricettività della tua clientela rispetto al prodotto nobilitato, senza fare investimenti. A prescindere da tutto, ti consiglio di fare attenzione a valutare quanto è competitivo il settore in cui ti vuoi introdurre, e se c’è effettivamente la mancanza di un produttore. In settori come quello delle etichette, la competizione è molto alta. Senza una idea differenziante di rilievo, sarai costretto a fare battaglie commerciali al centesimo di euro. Scovare la giusta di nicchia di mercato con un cliente che dà valore alla nobilitazione è fondamentale per riuscire a proporre e vendere con soddisfazione.


Foto Marco Ligabue e Matteo Girola, 2017 © FAI

Abbazia di San Fruttuoso, Camogli (GE), restaurata dal FAI e aperta al pubblico nel 1988

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idee per crescere Problematiche gestionali crescenti impongono a manager e imprenditori di acquisire nuove competenze per esercitare efficacemente la loro leadership

Essere leader, garantendo continuità e performance positive alla propria azienda di Davide Medri

L

a figura del leader nasce molto prima delle aziende. La troviamo nelle istituzioni, negli eserciti, negli sport di squadra. Il suo ruolo è fondamentale: assicurare all’organizzazione che conduce il raggiungimento degli obiettivi per cui è stata creata. In certi casi l’obiettivo può essere la vittoria o la supremazia, in altri la pura sopravvivenza. Qui ci occuperemo ovviamente

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del mondo aziendale. E la prima considerazione da fare è che – a differenza delle varie aree funzionali (amministrazione, vendite, logistica, etc.), nelle quali il miglioramento della performance avviene a seguito di un affinamento delle tecniche – con la leadership, il discorso è più complesso, perché richiede molta più flessibilità e adattabilità al contesto da parte del manager. In questo articolo, indicheremo le aree che un capo deve presi-

diare e le modalità per gestirle in modo efficace. Prima di iniziare, una precisazione d’obbligo. Quando parliamo di leader, non ci riferiamo a quei personaggi visionari e carismatici che sono tradizionalmente associati a questa figura, partendo da Giulio Cesare e arrivando a Steve Jobs. L’oggetto della nostra trattazione ha a che fare con manager e imprenditori di piccole e medie imprese, che gestiscono le loro organizzazioni

Davide Medri è attualmente senior advisor in BIP (Business Integration Partners), con un percorso professionale misto tra marketing, vendite e formazione, sia all’interno di aziende multinazionali che nella libera professione. Tra le esperienze, dieci anni trascorsi nel mondo delle Arti Grafiche e del Digital Printing in HP Indigo e Xerox. Le competenze di Davide coprono due ambiti chiave: quello commerciale (vendite, negoziazione, account management, sales management) e quello della comunicazione interpersonale “allargata” (stili di comunicazione interpersonale, public speaking, coaching, gestione riunioni). In parallelo una passione per la fotografia, praticata e insegnata.


idee per crescere

nella quotidianità. Scendendo quindi nel pratico, andiamo a vedere dove un manager in azienda deve assolutamente svolgere la sua funzione. Assicurare il funzionamento della “macchina” Questa è la funzione più tradizionalmente legata a questo ruolo. Da una parte, sono indispensabili conoscenze tecniche: l’oggetto delle mansioni dei propri collaboratori e i tempi di esecuzione, le loro interazioni, i collegamenti con le altre funzioni; dall’altra, occorrono capacità decisionali e organizzative: il manager dovrà quindi gestire al meglio le sue risorse; prevedere assunzioni e avvicendamenti, delegare compiti in funzione delle abilità e delle attitudini dei singoli, assegnare correttamente obiettivi e KPI, monitorare i risultati, ma anche scendere in dettagli strettamente operativi, come concordare orari e turni di lavoro, e gestire criticità momentanee. A tutto questo si aggiunge un concetto relativamente nuovo, che sta assumendo una impor-

tanza crescente nelle organizzazioni dove viene richiesta maggiore flessibilità e lavoro “agile”: è importante che il leader non cerchi di presidiare ogni problematica, ma faccia in modo di assicurare una leadership su ogni processo. Ci saranno quindi progetti e situazioni che gestisce in prima persona, altri che sono assegnati per competenza, esperienza, motivazione ai suoi collaboratori, che anche temporaneamente ne assumono la gestione. Può trattarsi ad esempio della ricerca di una soluzione tecnica, della conduzione di un gruppo di lavoro su un tema specifico, della relazione con un cliente, secondo il principio della “leadership orizzontale”. Fornire un “perché” Nel suo bestseller “Why”, Simon Sinek spiega chiaramente come a qualsiasi livello la motivazione delle persone ad agire dipende dal fatto che sia stato fornito loro un buon motivo. Molte volte durante i nostri corsi sentiamo espressioni di rammarico da parte di lavoratori a vari livelli,

La responsabilità sociale dell’azienda (CSR) Questo tema ha assunto una grande rilevanza negli ultimi anni. L’integrazione dell’azienda nel territorio in cui è presente, il rispetto per l’ambiente, che ricevono solo ordini e disposizioni, senza che sia loro spiegato il motivo e il razionale dietro alle decisioni prese. Una componente importante del ruolo di un leader risiede proprio in questo ambito, e si divide in due momenti distinti. Da una parte, trasferire correttamente e integralmente la cosiddetta “carta dei valori”, cioè i principi base sui quali è fondata l’azienda e la sua missione nello stare sul mercato. Per esempio, l’ecosostenibilità, l’orientamento al cliente, l’innovazione, il rispetto della diversità, ecc. Dall’altra, se si tratta di un imprenditore, spiegare e fornire adeguate motivazioni per le scelte aziendali; se si tratta di un manager, trasferire correttamente i messaggi aziendali che ha ricevuto dalla direzione generale o dalla proprietà. Talvolta questo

la tutela delle maestranze sono elementi sempre più importanti per il successo di mercato, per il giudizio degli investitori, per attrarre risorse qualificate. compito può risultare difficoltoso. Il manager può anche non trovarsi pienamente d’accordo con certe scelte o strategie aziendali. Ma è suo dovere restare nel ruolo, ed evitare di deresponsabilizzarsi con espressioni rivolte ai suoi collaboratori del tipo “io non sono d’accordo ma dobbiamo farlo”, che generano inevitabilmente un effetto demotivante sulle persone. Ottimizzare il rapporto a due Un manager non è solo a capo di una organizzazione, ma è anche capo dei singoli individui. Ci preme sottolineare che la convinzione che esista uno stile di leadership adeguato per tutti è sbagliata. Ormai da anni il concetto di leadership situazionale ha mostrato la sua indubbia

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idee per crescere

Il colloquio di feedback Gestito periodicamente, è un confronto individuale con il collaboratore. Attraverso una sequenza serie di domande mirate, si analizza la sua situazione professionale, si efficacia, e richiede al manager come competenza la flessibilità comportamentale. Ci piace ricordare qua l’approccio tradizionale creato da Blanchard, che si basa sulla classificazione dei collaboratori secondo due variabili: la loro competenza ed esperienza professionale, e il livello di motivazione. Da questa suddivisione derivano quattro casistiche, che devono essere gestite in modo differente. 1) Collaboratore competente e motivato: quello che vorremmo avere tutti, al quale possiamo delegare compiti anche complessi, che necessita di poco controllo e che viene gratificato soprattutto dal riconoscimento dei risultati acquisiti 2) Collaboratore poco competente ma motivato. Richiede particolare attenzione per supportare il suo processo di crescita. Data la sua motivazione la strategia migliore

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verificano le aree critiche e si concorda un piano d’azione volto a conseguire degli obiettivi di miglioramento. È cruciale per la crescita e lo sviluppo delle risorse umane. sta nell’adottare il coaching, coinvolgendo il collaboratore, condividendo e concordando piani di sviluppo e obiettivi. Lo stile direttivo può risultare inefficace. 3) Collaboratore competente ma poco motivato. Tipicamente persone esperte nel loro lavoro ma anche un po’ “sedute” a causa della ripetitività dei compiti e della probabile anzianità anagrafica. Si rende necessaria una rimotivazione, che può avvenire sia con una maggiore varietà dei compiti assegnati, o anche affidandogli la formazione di un collaboratore junior (“la tua è la miglior guida possibile per farlo imparare...”). In particolare, questa pratica può creare un circolo virtuoso che giova ad entrambi. 4) Collaboratore poco competente e poco motivato. In questa posizione troviamo spesso

risorse giovani probabilmente in cerca di una diversa collocazione, poco convinte e magari anche inadeguatamente inquadrate e retribuite. Qua (purtroppo) funziona più probabilmente uno stile direttivo, fatto di regole e disposizioni, e imperniato su un sistema di premio/sanzione. Va detto che ogni manager ha un suo stile naturale di conduzione delle persone, e la sua abilità sta quindi nella capacità di uscire dalla propria area di conforto, per adottare via via l’approccio più adeguato alla persona e al momento. Condurre un team e non un gruppo di persone. Il team è qualcosa di differente rispetto alla somma dei singoli individui. E la sua performance può essere molto differente dalla somma delle singole performance individuali. Per chiamarsi “team” le persone che lo costituiscono devono condividere un obiettivo comune da raggiungere, e avere fiducia reciproca. Questo si traduce in una costante collaborazione, vicendevole supporto e rapporti interperso-

nali positivi. Ci sono delle pratiche efficaci per fare in modo che questo avvenga: chiarezza e trasparenza della comunicazione interna verso tutti i componenti, non solo con fredde e-mail; equità; incentivo alla condivisione della conoscenza fra colleghi con riunioni e affiancamenti; ma anche pratiche orientate alla relazione, e normalmente poco adottate: celebrare i risultati positivi congratulandosi pubblicamente con i collaboratori, e creare momenti conviviali (pranzi, cene, aperitivi…) dove non si parla di lavoro ma si trascorre tempo assieme. Queste occasioni servono per creare coesione, e non vanno trascurate. In conclusione, desideriamo fornire alcune raccomandazioni che riteniamo molto importanti. Per essere efficaci come leader non basta “il grado sulla divisa”. L’autorità si può assumere in un giorno, a seguito di una nomina. L’autorevolezza invece richiede tempo, competenza, e soprattutto la capacità di essere d’esempio per i propri collaboratori. Spesso le persone scelgono di restare in azienda o anche di “gettare il cuore oltre l’ostacolo” proprio grazie alla conduzione del loro capo e alla fiducia che ripongono in lui/lei. La gestione del tempo e delle priorità è essenziale per non lasciare scoperta nessuna delle aree sopra elencate. Di solito si privilegia solo la prima, senza allocare in agenda un tempo adeguato a gestire le risorse, come ad esempio un incontro di feedback con i collaboratori, o una riunione motivazionale. Da ultimo, la via della professionalità non ha un punto di arrivo. Restare arroccati sulla propria preparazione senza mantenersi informati sugli scenari complessivi e sui trend di mercato, senza acquisire nuove competenze, può essere molto pericoloso in questo periodo di cambiamenti repentini. Più un manager è attrezzato meglio saprà affrontare ogni tipo di evenienza. L’epoca della sola gestione efficiente dello status quo, per ora, è terminata.


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