Uomini e Sport n.34

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PALLAVOLO

Uomini e Sport - numero 34 | Giugno 2021 | Pubblicazione periodica gratuita

trionfo di un dinamismo coinvolgente, per uno sport che cresce a dismisura in popolarità


EDITORIALE

Mentre mi accingo a scrivere per ri-

Un discorso a parte meritano gli sport invernali, e più in generale quelli

prendere il nostro tradizionale incon-

legati al mondo della neve, fortemente penalizzati dalla totale chiusura

tro virtuale attraverso le pagine di “Uo-

degli impianti sciistici.

mini e Sport”, mi rendo effettivamente

Tutto considerato, comunque, non mi lamento, ritenendo di poter valu-

conto che sono trascorsi ben sei mesi

tare la mia come una situazione ancora positiva.

dalla pubblicazione dell’ultimo nume-

Le prospettive?: sono sempre quelle che hanno caratterizzato la mia

ro della nostra rivista. Non riesco pro-

lunga storia di imprenditore nel commercio, nella quale una fiducia di

prio a crederci: è come se il tempo si

fondo mi ha sempre dato la forza di osare anche quando il futuro non

fosse cristallizzato in una bolla!

garantiva certezze. È significativa in questo senso la recente decisione

Sei mesi, mezzo anno... un lungo pe-

di voler aprire molto presto due nuovi punti vendita a Brescia, di cui

riodo così strano per tutti, con gior-

uno per df Sport Specialist e l’altro per Bicimania: saranno pronti per il

nate scandite da ritmi anomali, in una

prossimo autunno.

realtà contrassegnata da dati sconcertanti per l’entità numerica di con-

Nello stesso tempo stiamo rinnovando, ridisponendo e ristrutturando

tagi e decessi giornalieri.

alcuni punti vendita, per offrire ai clienti un ambiente di qualità.

Anche “Uomini e Sport”, è vissuto come tutti: sospeso. In attesa di po-

Il Covid del resto non è riuscito ad intaccare nemmeno la mia convin-

ter riprendere quei contatti e quelle relazioni umane che contraddistin-

zione di considerare irrinunciabile il rapporto di amicizia con coloro che

guono il nostro lavoro e la nostra redazione.

frequentano i nostri negozi e condividono con me la grande passione

Fortunatamente al momento sembra si possa sperare che il peggio sia or-

per lo sport.

mai alle nostre spalle e che, grazie all’impegno e alla competenza scientifi-

Lo conferma in certo modo lo stesso numero cospicuo di pagine di

ca di ammirevoli virologi, questa inaspettata virulenza possa considerarsi

questa edizione della rivista, ma anche l’iniziativa della realizzazione

debellata e che il piano vaccinale confermi i risultati auspicati.

di una rassegna di tutte le serate “A tu per tu” svolte dal 2005 al 2020,

Ci ritroviamo certamente con un lascito di dolorose e preoccupanti

riassunte in tre volumi, raccolti in un apposito cofanetto. Questo viene

conseguenze, e non per tutti uguali. Penso innanzitutto ai lutti che han-

offerto gratuitamente, fino ad esaurimento, a tutti coloro che lo vorran-

no lacerato inesorabilmente la vita di molte famiglie, ma non posso

no richiedere rivolgendosi presso i nostri punti vendita. La nostalgia

poi nemmeno ignorare l’impressionante numero di persone che hanno

per le nostre belle serate mi ha poi sollecitato a promuovere il ritorno

visto ridimensionare, anche completamente, la propria capacità di spe-

non appena ne sarà consentito lo svolgimento all’aperto. Spero proprio,

sa. Tanti i negozi e le attività che non riapriranno più, mentre per altri la

come presumo, di poterlo organizzare nel consueto evento di luglio, in

ripresa richiederà grandi impegni e sacrifici.

cui si festeggia l’anniversario di apertura di df Sport Specialist a Bevera

Con l’esperienza che ho maturato, mi piacerebbe trovarmi vicino a loro

di Sirtori: sarà un’altra delle serate che non si possono dimenticare.

per infondere un motivo di fiducia e di speranza, perché so che si può

Con questa speranza, rivolgo il mio vivo augurio di un reale ritorno alla

rinascere anche quando tutto sembra finito.

nuova normalità e il mio cordialissimo saluto.

Capisco la disperazione di tanti che sono stati penalizzati in funzione della categoria merceologica, caso tipico gli operatori del commercio dell’abbigliamento e delle calzature, o dei settori del turismo e delle ristorazioni, solo per citarne alcuni. Quanto alla mia azienda, devo riconoscere di essere stato colpito ma non con eccessiva severità. Anche se per lungo tempo ho incontrato un periodo di quasi totale chiusura, la vendita dell’outdoor e delle biciclette, soprattutto quelle a pedalata assistita, ha in parte compensato la flessione totale della domanda per gli sport di squadra e l’assenza di competizioni e manifestazioni sportive.


SOMMARIO GIUGNO 2021 - ANNO XII - N° 34

5 [Foto: Archivio Carlo Duchini]

[Foto: Archivio Museo dei Ghisallo]

[Foto: Maurizio AnatriniIl - Bisonte Firenze]

10 [Foto: Archivio Cazzanelli - Della Bordella - Ratti]

[Foto: Archivio Simone Moro]

37 40 Fondatore: Sergio Longoni Coordinamento della pubblicazione: Giuseppe Zamboni Redazione: Renato Frigerio Grafica: Margherita Moretti Hanno collaborato: Valentina d’Angella, Cristina Guarnaschelli, Sara Sottocornola Numero chiuso in redazione: 26/05/2021 Diffusione: 8.000 copie Distribuzione nei negozi df Sport Specialist

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[Foto: Archivio Mario Panzeri]

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[Foto: Archivio Gianni Rusconi]

[Foto: Archivio Garmin]

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42 “Uomini e Sport” è consultabile e scaricabile online sul sito www.df-sportspecialist.it Posta e risposta: Angolo dei lettori uominiesport@df-sportspecialist.it df Sport Specialist Redazione “Uomini e Sport” Via Figliodoni, 14 - 23891 Barzanò - LC

Editoriale

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Il punto di vista Stefano Viganò

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“Un nome”: da non dimenticare Fiorenzo Magni

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Accadeva nell’anno... 1933 - Le mie due vie al Corno del Nibbio

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Sport a tutto campo Parliamo di Pallavolo

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Alpinismo di ricerca e di primati I maestosi Ottomila

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Anche qui si trova df Sport Specialist

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Per conoscere i testimonial del Team df Sport Specialist

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I consigli degli esperti Pedule e Scarponi

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Alpinismo ai tempi di pandemia “Incroyable”: una via che mancava al Pilastro Rosso del Brouillard

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Cavalcata sulle Orobie Bergamasche Simone Moro

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Interviste ad alpinisti Teresina Airoldi

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Benigno Balatti

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Interviste inedite Armando Aste

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Tom Ballard

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Alla scoperta di vie nuove “la Leggenda di Charlie e il Dragone”

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“il regalo di Berna”

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Abbiamo letto per Voi

In copertina: puntualizzato il cuore del gioco nella tipica immagine che contrappone contemporaneamente il momento dell’attacco e della difesa.


IL PUNTO DI VISTA

Garmin Italia, il vertice dell’eccellenza

nell’innovazione tecnologica al servizio di ogni sport: nautica – aviazione – outdoor – automotive

Stefano Viganò - managing director Garmin Italia

intervista di Sara Sottocornola

Leader mondiale della navigazione satellitare, Garmin è un brand d’eccellenza noto a qualsiasi appassionato di sport. Il suo nome richiama valori legati a tecnologia, innovazione, affidabilità, e i suoi prodotti si distinguono in tutti i settori: automotive, aviazione, nautica, outdoor e sport. Oggi, mentre il marchio viene portato alla ribalta internazionale dai successi di Luna Rossa, abbiamo la possibilità di entrare in Garmin Italia e scoprire i segreti del suo successo con questa intervista a Stefano Viganò, managing director della società dal 2011. Classe 1964, grande appassionato di sport, ha maturato competenze importanti nel settore grazie a ruoli manageriali presso diverse realtà d’eccellenza, fino ad arrivare a guidare la sede italiana di Garmin, registrando ottimi risultati anche durante lo scorso, difficile, anno 2020, dominato da crisi e pandemia.

Parliamo della storia di Garmin, gruppo internazionale con diverse sedi nel mondo. Da quando esiste quella italiana? L’azienda madre è americana, con sede in Kansas. Presso Garmin, lavorano oltre 16.000 dipendenti in 65 uffici distribuiti in tutto il mondo. Sul territorio italiano è operativa dal 2007, quando è stato rilevato il distributore da cui è nata la Garmin Italia che io guido dal 2011. La filiale è organizzata come un’azienda vera e propria, tranne che per la produzione che avviene in altre località. Noi ci occupiamo, per il territorio italiano, di marketing, vendite, customer service, assistenza tecnica, amministrazione per tutte le attività di Garmin nei settori sport, outdoor, nautica, automotive. Tra questi, c’è un settore dominante? Direi che quello trainante è il mondo dello sport a 360° che chiamiamo “fitness”, ma che va dal running al triathlon attraverso molte discipline. Il mondo outdoor è la seconda parte più importante, e parliamo di trekking, ultra-

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trail e tutto ciò che sa un po’ di montagna. Poi c’è la nautica, che ci vede come azienda leader nel mondo e in Italia, e infine l’automotive. Avete fatto di recente un’acquisizione per rafforzarvi nel campo della security. Che significato ha per voi? Il mondo della sicurezza riguarda l’ambito sportivo, e non solo. È un aspetto molto importante per noi. Abbiamo implementato molti prodotti per la sicurezza, e di recente abbiamo addirittura acquisito un’azienda americana di sistemi di comunicazione satellitare, la GEOS Worldwide Ltd, per garantire tracciabilità e se-

gnali di SOS anche nelle zone più remote, o semplicemente nelle zone dove il telefono cellulare non ha copertura. Attraverso dispositivi che si basano su questa tecnologia possiamo mostrare la nostra posizione, comunicare con dei messaggi e in caso di incidente far arrivare i soccorsi, che è la cosa più importante, perché molto spesso anche sulle nostre montagne la copertura telefonica non c’è: non serve andare al Polo Nord per essere irrintracciabili. In caso di incidente vuol dire aver salva la vita, e più spesso risulta determinante per uscire da situazioni difficili.


L’avanguardia di Garmin si evidenzia nella moderna struttura della sede e negli articoli che lì vengono progettati e realizzati. [Foto: Archivio Garmin]

Il vostro è un settore altamente tecnologico nonostante si parli di sport. Quali sono secondo lei le innovazioni più importanti che avete lanciato? Difficile dirlo: noi lanciamo decine di prodotti all’anno come Garmin, e ognuno ha in sé innovazioni rispetto alle versioni precedenti. La tecnologia inReach, di cui parlavo prima, permette di comunicare col mondo esterno quando siamo in zone deserte o scoperte, ed è una delle innovazioni più utili per le persone. Il resto riguarda più che altro implementazioni dell’analisi delle metriche sportive, analisi dei dati fisiologici, monitoraggio della qualità del sonno, ossigenazione del sangue. La più forte, e che ha portato maggiori vantaggi all’utilizzatore finale, è questa tecnologia satellitare di comunicazione bidirezionale. Qual è il vantaggio competitivo che vi distingue? Sicuramente l’innovazione: i nostri consumatori hanno la certezza di avere il meglio che esiste sul mercato per quanto riguarda il loro strumento, e la relazione con il cliente. Abbiamo un servizio di customer care gestito direttamente da Garmin Italia e facilmente contattabile : siamo molto disponibili attraverso chat, email e telefonate. In caso di problematiche, il prodotto viene riparato e sostituito qui in Italia: quindi con tempi veramente veloci. Per noi la soddisfazione del cliente è prioritaria per far in modo che chi sceglie Garmin oggi resti fedele anche in futuro: hanno la sicurezza di essere seguiti. Oggi, sapere di avere un’azienda che ti segue in qualsiasi tipo di problematica, è oro colato. Viene in mente il vostro slogan “creato per durare”. Oggi niente sembra più creato per durare… Noi non siamo fatti di questa pasta: si susseguono modelli nuovi perché aggiungiamo tecnologia, ma non certo perché i precedenti sono obsoleti o da sostituire. In ogni caso per noi la soddisfazione del cliente è importante e anche il prodotto che ha qualche anno di vita, se ha delle problematiche, noi le risolviamo.

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Lockdown e pandemia vi hanno messo in difficoltà? Abbiamo sofferto durante il primo lockdown generalizzato di marzo e aprile 2020. Ma è stata come una pentola a pressione: più costringi le persone a casa, più hanno voglia di sport e di vita all’aria aperta. Dopo quei due mesi siamo tornati in carreggiata e abbiamo chiuso il 2020 con un forte incremento rispetto al 2019, quindi molto positivo. Ci può svelare qualche progetto futuro? Neanche sotto tortura! Posso dire che saranno molti, e a partire dallo scorso mese di marzo si vedono cose veramente interessanti, ma è così ogni anno. Date importanti da ricordare 24 marzo e fine giugno. Parliamo di Luna Rossa: tutti seguiamo le performance incredibili che sta regalando. Cosa significa per voi essere sponsor di queste realtà? Non facciamo mai queste operazioni solo per avere visibilità del marchio. Tutto quello che facciamo è perché c’è una parte tecnologica a disposizione degli atleti di qualsiasi sport di cui siamo sponsor. In particolare, per Luna Rossa siamo official supplier, e abbiamo fornito strumentazione e dispositivi per l’allenamento del team. Siamo orgogliosi, molto orgogliosi di quello che stanno ottenendo questi ragazzi. Attenzione all’ambiente e alle persone, sono temi sempre più attuali ma che purtroppo non sono ancora così diffusi. Voi invece ne fate una bandiera.

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Per noi l’importante è riuscire ad essere in linea con i tempi che stiamo vivendo, ecco perché investiamo su questi temi. Come Garmin riteniamo che la soddisfazione di qualsiasi lavoratore sia il mezzo per raggiungere risultati di eccellenza perché si percepisce all’esterno che le persone vivono il proprio lavoro con entusiasmo, passione e voglia di voler far la differenza. Questa è una caratteristica che accomuna tutte le sedi Garmin del mondo: il valore umano è un valore dal quale non prescindiamo. Abbiamo anche dati molto positivi sul ricambio di personale: chi entra in Garmin difficilmente la lascia. Lei lavora da oltre 10 anni in Garmin. Che legame ha con l’azienda e con i suoi prodotti? Non potrei mai fare questo lavoro se non avessi la passione per la tecnologia, ma soprattutto per lo sport praticato. Io pratico ciclismo, scialpinismo, nuoto, escursionismo, mi dedico a diversi sport e al mio polso, nella ta-

sca o sulla piega del manubrio c’è sempre uno strumento Garmin. I dipendenti sono i primi tester del prodotto. Li scoprono, li provano e li comunicano al mercato nella maniera più corretta. Purtroppo questa situazione pandemica ci ha bloccato sugli eventi, ma grazie alla nostra Garmin Academy, stiamo continuando a far formazione a rivenditori, forze di sicurezza, Esercito, Soccorso Alpino sull’uso della nostra tecnologia: crediamo che conoscere e testare e nostri prodotti sia fondamentale per il lavoro di queste persone. I vostri prodotti sono molto presenti nella catena df Sport Specialist. Conosce Sergio Longoni? È parte della mia vita perché, da quando sono nato, quando si dice Longoni si dice Sport. Ritengo sia una realtà italiana, non solo locale, della quale avere cura e rispetto, talmente presente dentro le menti delle persone che nessuno di noi può dimenticarla.


OGNI VOLTA “UN NOME”: DA NON DIMENTICARE

a cura di Renato Frigerio

Fiorenzo Magni, il Campione decisionista di Luciana Rota

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Il corso della storia si delinea soprattutto attraverso il ricordo delle persone e dei personaggi che ne hanno determinato una fase precisa nei vari ambiti della cultura, della scienza, della politica e del costume. In questo ultimo si possono includere anche i grandi campioni dello Sport, i cui nomi vengono ripresi anche a distanza pluridecennale dalla loro scomparsa e non sbiadiscono tanto facilmente dalla memoria di molti appassionati. Sotto questo aspetto non è certo del servizio dalla rubrica “Un nome da non dimenticare” di “Uomini e Sport” che necessita ad un

Carta d’identità - Fiorenzo Magni è nato il 7 dicembre 1920 a Vaiano Prato (Firenze). Passista veloce, discesista. Professionista dal 1941 al 1956, nella sua carriera ha collezionato 72 vittorie. Grazie al suo temperamento e alla sua eccezionale capacità di sacrificio, Magni, pur essendo “soffocato” da Bartali e Coppi, è riuscito a collezionare molte affermazioni prestigiose sia in Italia che all’estero. Dava il meglio di sé quando il tempo era inclemente. Proprio per queste sue attitudini, e per le sue tre vittorie in Belgio, è stato soprannominato “leone delle Fiandre”. Coraggioso fino alla spericolatezza nelle discese, Magni si è spesso infortunato (famosissima la frattura alla clavicola durate il Giro d’Italia del 1956, secondo dietro a Gaul). Già in evidenza a vent’anni, la sua carriera è stata interrotta dalla guerra e poi, per ragioni politiche, solo nel ’47 poté riprendere a correre con la grinta di sempre. Magni ha vinto 3 Giri d’Italia (1948, 1951, 1955) e 3 Giri delle Fiandre (1949, 1950, 1951). Inoltre, per tre volte, è stato anche campione d’Italia (1951, 1953, 1954). Tra le altre sue vittorie ha collezionato 7 tappe del Tour de France e 6 tappe del Giro d’Italia. Poi ha vinto: 3 volte il Giro del Piemonte (1942, 1953, 1956), una Tre Valli varesine (1947), 3 volte il Trofeo Baracchi (1949, 1950, 1951), un Giro del Veneto (1953), 2 volte il Giro di Romagna (1951 e 1955), il Giro di Toscana (1949 e 1954) e il Giro del Lazio (1951 e 1956), una Milano-Torino (1951), due Milano-Modena (1954 e 1955), la SassariCagliari (1953), la Roma-Napoli-Roma (1952 e 1953). Magni è stato commissario tecnico della Nazionale, presidente della Lega e della Associazione italiana corridori. È stato anche presidente dell’Associazione Atleti Azzurri d’Italia e presidente onorario del gruppo Opel Italia. Il Museo del Ghisallo è una creazione di Fiorenzo Magni che lo ha inaugurato con un importante contributo di Regione Lombardia nel 2006.

campione del ciclismo come Fiorenzo Magni per ritornare alla ribalta della notorietà. Solo che i suoi numerosi e importati successi, accreditati in una lunga e luminosa carriera, sono stati fin troppo oscurati dal fatto della contemporaneità sulla stessa scena di due astri, per i quali è stata appositamente coniata la definizione di campionissimi. Le superlative qualità di Gino Bartali e Fausto Coppi non potevano del resto che lasciare in ombra qualsiasi altro ciclista della loro stagione. Riteniamo che Fiorenzo Magni si meriti allora un ulteriore risalto, ed è per questo che la nostra rivista lo ha voluto ospitare come eccezionale protagonista di questa rubrica: e non solo per i suoi exploit come campione del ciclismo, ma anche per le sue rare qualità umane e per le sue pregevoli iniziative, come ci vengono appassionatamente esposte e donate dalla giornalista Luciana Rota, particolarmente competente nel settore del ciclismo e curatrice della comunicazione dei due Musei del Ciclismo del Ghisallo e dell’AcdB di Alessandria. Ma ricordiamo anche che Fiorenzo Magni, toscanaccio di nascita e di temperamento, con la sua decisione di trasferire il suo domicilio a Monticello Brianza, era diventato a tutti gli effetti brianzolo di adozione e di fatto.

Gino Sala lo chiamava il campione decisionista. “Magni – scriveva l’inviato de L’Unità – era stato comunque e sempre decisionista, uno che mira dritto allo scopo, qualità che lo ha distinto nelle vesti di pedalatore e che lo ha portato ad incarichi sempre più importanti, prima commissario tecnico degli azzurri, poi presidente dell’Associazione corridori ed infine presidente della Lega professionistica”. “Il leone è forza e volontà. Avendo corso, e vinto, contro gente più forte di me, è un soprannome che mi ha sempre fatto onore”, diceva così Fiorenzo Magni il Magnifico: soprattutto lo diceva sereno, leggero, quando capitavano quelle interviste belle e lui superava in souplesse un traguardo via l’altro. Ad ogni compleanno. Era leggero, lui omone di un ciclismo coriaceo, da vivere a tutta, buttandosi giù in discesa dove non si rischiava l’osso del collo, perché: vincere o morire: “io forte in discesa? Era una necessità: in salita andavo meno, dovevo recuperare”. Grande fra i grandi - Lo hanno chiamato il Terzo Uomo, perché ha saputo imporsi fra due

campioni come Fausto Coppi e Gino Bartali. Quei due. Andando al di là della definizione di “terzo”, che un vincente come era di carattere non poteva amare tanto, Fiorenzo Magni aveva stabilito un rapporto speciale proprio con quei due, soprattutto con Fausto Coppi per essere sinceri. Grande fra i grandi, ha sempre avuto un grande rispetto. Anche per quella rivalità. Non è che amasse tanto sentirsi chiamare “il terzo uomo”, pur ragionando con la serenità di un grande uomo, che sa come trattare le parole e i ricordi del passato. Fiorenzo Magni, lucidamente, sempre, momento dopo momento, cercava di eleggere il Ciclismo a campione supremo. Quanto a Coppi, a Bartali, ci voleva rispetto quasi religioso per parlarne seriamente, di quei due. E, piuttosto che parlare di se stesso al livello di quei due, si divertiva a condividere episodi, fra loro, come fossero aneddoti. Uno, Magni. Due, Coppi e Bartali. Tre: erano suoi quei tre successi. Tre, come i suoi tre Giri delle Fiandre. Tre, come i suoi Giri d’Italia. I suoi campionati italiani.

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I momenti più significativi di una carriera agonistica che ha segnato la storia del ciclismo: gli esordi come dilettante, le sue frequenti partecipazioni al Giro d’Italia come protagonista e le tre vittorie, Campionissimo e dominatore, sulle strade delle Fiandre lastricate di pavè, nelle tre foto in bianco e nero.

Non scherzava e non alleggeriva, invece, quando c’era da costruire. Concretamente. Come quando raccontava delle sponsorizzazioni, una sua invenzione. Era il 1953! Un’intuizione. Un’intelligenza. Un vedere oltre, andando sempre molto lontano. Non solo per il mondo delle due ruote. “Salvammo il ciclismo”, disse un giorno ad un giornalista che lo interrogava su quel successo. “E salvammo non solo il ciclismo”. Non trovo fuori posto inserire qui quello che di lui ha scritto Marco, figlio dell’indimenticabile “Patron” del Giro d’Italia, Vincenzo Torriani, come sua testimonianza intima. “L’amicizia che legò mio padre e mia madre con i coniugi Magni viene da lontano, quando non ero ancora nato. Mio padre chiamava spesso Fiorenzo di primo mattino, sapendo che si alzava molto presto, ma entrambi scherzavano su questa abitudine. Con Fiorenzo aveva condiviso numerose battaglie per garantire autonomia allo sport, attraverso i primi ‘abbinamenti pubblicitari’, quelle forme di apertura di tutto il settore ciclistico a ogni opportunità commerciale, di trattenimento e di comunicazione. Nacque la Fiera del Giro e spuntarono numerose iniziative che fecero del ciclismo un fenomeno di costume, di peculiare rilevanza sociale ed economica, in anticipo sui tempi. Fiorenzo staccò tutti inventando la famosa maglia Nivea, appoggiando in pieno ogni iniziativa finalizzata a costruire sinergie con quel mondo imprenditoriale ruotante intorno alle eccellenze italiane dell’epoca, sia in termini di risorse umane che materiali o immateriali. Si stimavano a vicenda per la puntualità, che è la prima forma di rispetto reciproco. Quante volte accompagnai mio padre, lo accompagnavo in auto nell’ufficio di via Cavallotti a Monza: e quante volte ci incontravamo a Monticello, dove negli ultimi anni dimorava. Ci trovavamo anche in vacanza, nell’albergo di Adamo Buselli a Forte dei Marmi, dove, in un’atmosfera molto familiare ci rifugiavamo, con le rispettive famiglie, in luglio. C’era persino la possibilità di ricevere, direttamente dalla costa francese le dirette del Tour, nella parrocchia di Vittoria Apuana, dove frate Luigi, un cappuccino appassionato di ciclismo, aveva attrezzato un televisore completo di tutti i dispositivi per decodificare il segnale più diretto. Organizzammo persino una gita familiare in Corsica, presso la casetta dove Remo Grigliè, l’allora ‘manager’ della ‘rosea’, invitava gli amici. Allora la sede del giornale era in piazza Cavour a Milano, vero centro nevralgico del mondo non solo sportivo italiano, ma anche editoriale. Ora mi viene una certa nostalgia di come Milano

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seppe competere con la concorrenza di Parigi nel fare quadrato con un mondo d’investitori che puntavano già oltre i mercati europei. Alle volte si andava con Fiorenzo a pranzare al ristorante Tirreno, gestito da Sauro Serafini, vicino alla Stazione Centrale, altro toscano milanesizzato come Montanelli. Con Indro Montanelli, come con Fiorenzo, entrambi originari delle stesse colline toscane, papà si confrontava spesso. Mi capitò di assistere a una sua visita nel piccolo ufficio dove lavorava e dove aveva concentrato, proprio come Fiorenzo, delle significative fotografie facenti parte di quel patrimonio affettivo a cui era legato. Papà mi diceva di Fiorenzo: ‘Vedi, ha trapiantato le sue radici in Brianza, ma è rimasto quel genio di toscano, sempre sul pezzo, sempre pronto a scattare per contribuire al successo di ogni attività’. Scherzava sull’etimologia dei loro nomi: in fondo Vincenzo non poteva che essere ispiratore di vittorie, come Fiorenzo non poteva che far fiorire, o rendere fertile, con la sua tenacia e fede, anche terreni inesplorati. Con Sergio Zavoli si sentivano spesso, come con Bruno Raschi, Candido Cannavò e Franco Rota. Da parte mia vorrei ricordare l’impegno di Fiorenzo nell’anno del Giubileo, quando collaborammo per organizzare una staffetta di ex campioni azzurri, nel raggiungere, a tappe, lungo la via Francigena o Romea, Piazza San Pietro, dove Papa Giovanni Paolo II ricevette dalle mani di Fiorenzo, molto commosso, la fiaccola votiva della Madonna del Ghisallo. Ricordo le sue parole che, mi confidò, testimoniano una grande fede e una raccomandazione molto paterna, particolare e accorata. Purtroppo Gino Bartali ci aveva assicurato il suo saluto al passaggio della fiaccolata dalla finestra della sua casa in Piazza Elia Dalla Costa, ma la sua ora scoccò pochi giorni prima. Anche in occasione della benedizione della stele marmorea da parte del suo successore, Benedetto XVI, ora esposta al Museo del Ciclismo, sul Ghisallo, Fiorenzo bisbigliò all’orecchio dell’attento Pontefice, quasi per anticipargli, con uno slancio, la battuta: ‘Sa, io devo dirle che sono un suo tifoso’. Papa Ratzinger sorrise e spalancò gli occhi per la sorpresa. Chi se non un Pontefice, costruttore di ponti, ha bisogno di gesti generosi da parte anche di tifosi, nel senso di persone disposte a spendere se stesse per raggiungere traguardi sempre più alti. E quale traguardo, altissimo, ha raggiunto

Fiorenzo, come ricordò Alfredo Martini, sul pulpito del Duomo di Monza, proprio nel giorno delle sue esequie. Un faro altissimo, per tutti, tifosi e non tifosi, un punto di riferimento che ci manca tanto, cara Luciana, con cui riflettere e con cui scommettere sul futuro. Con tuo padre parlava di Fausto Coppi e di quell’immenso vuoto che lasciò. Scherzosamente aveva il vezzo di aumentare la sua età, diceva di avere cent’anni, già venti anni prima di compierli. È arrivato sempre molto prima, ovunque, anticipando gli altri, a qualsiasi appuntamento. Come sempre.” L’attaccamento alla maglia azzurra, per Magni era una preghiera che non ammetteva bestemmie quando anche – sportivamente parlando – sarebbero state lecite. E questo accadde almeno una volta nella sua vita di grande campione delle due ruote. La maglia azzurra era per Magni un comandamento. Che lo salvò da una delusione cocente: il ritiro dal Tour del 1950 quando vestiva la “maglia gialla”. Per non sentirlo bruciare quel Tour, Magni ripeteva interrogato sulla vicenda: “Ribellarmi? No, non potevo. Ero in maglia Nazionale”. Chiuso l’argomento. “Fra le semi divinità di quel tempo, era diverso da tutti per taglio e misura: amava sempre abitare sopra e sotto il rigo, aveva vizi austeri e personali, vizi da eroe”, così lo descriveva in due righe (e centinaia di brividi) Bruno Raschi. Fiorenzo Magni. Per noi è diventato Magnifico. Se lo ami, lo divori con lo stesso pane che ha cucinato lui ogni giorno, in una vita, quasi un secolo di vita, di ciclismo. Se lo ami – al netto di Fausto Coppi e/o Gino Bartali – ti sazierà la forza dei suoi racconti, l’esempio, la cronologia incalzante di una vita intensa fatta apposta per servire: pane e ciclismo, ciclismo e pane. Amore per il sacrificio che viene servito con il pane. E tanta fatica come companatico. Grinta, determinazione, caparbietà: questo è Fiorenzo Magni, il Magnifico. Come lo racconta una mostra, la prima mostra dedicata a lui nel suo Centenario. Dove? Nel suo Museo, quello che ha fondato nel 2006, lassù al Ghisallo di Magreglio. Un Museo unico al mondo perché non è dedicato solo ad un campione ma a tutti


i ciclisti. Se ami Fiorenzo Magni, grande fra i grandi, alla fine questa mostra che tratteggia con dovizia di particolari 100 anni di storie legate al ciclismo, all’Italia, all’uomo che sa vincere su tutti i terreni, uscirai sazio da questa mostra che durerà anche nel 2021. Fiorenzo Magni il Magnifico ti ricambierà stringendo ancora più forte quel tubolare fra i denti, quello del San Luca al Giro d’Italia. Il “leone delle Fiandre”, prima di diventare grande fra i grandi, e farsi spazio, ti racconterà di un bambino testardo, dotato, intelligente, uno capace di mettersi subito in gioco per portare a casa la pagnotta. Appunto. Fiorenzo ti racconterà in immagini e testimonianze d’autori, quanto ha vinto: tantissimo, tutti successi concentrati in pochi anni, gomitando – è proprio il caso di dirlo – fra due immensi come Coppi e Bartali. Il suo pane era e resterà per sempre quell’amore puro per il ciclismo, una farina non tanto fine fine, fatta di teoria e “solo” sentimenti: piuttosto un impasto concentrato di amore concreto, costruttivo, reale. Tutto d’un pezzo. Come il suo Museo, capace di resistere alle difficoltà dei tempi, persino alla pandemia. Se ami Fiorenzo Magni ami anche il Museo del

Ciclismo Madonna del Ghisallo di Magreglio, in provincia di Como, una sua opera d’arte che si affaccia sulle montagne, le Grigne, e che si culla dei rintocchi delle campane della Chiesetta dove dorme indisturbata da sempre la Madonnina che protegge tutti i ciclisti del mondo. (NdR = Per una esaustiva informazione sui due Musei gemellati, il Museo Madonna del Ghisallo e l’AcdB Museo di Alessandria, rimandiamo alla possibilità di leggere quanto riportato rispettivamente sui seguenti siti: www.museodelghisallo.it – www.acdbmuseo.it). Quel Museo del Ghisallo, che adesso dedica una mostra “magnifica” al suo fondatore Fiorenzo Magni, è della sua carriera un grande successo: vale forse più di una tripletta, come quei tre Giri delle Fiandre, che gli valsero il titolo (e il ruggito) di “leone delle Fiandre”. Magni puntava sempre al primo posto, o quanto meno a – correre per il successo, se poi non viene, non doversi rimproverare nulla, anche con una clavicola rotta da portare legata ad un tubolare sul manubrio, dritta (o storta) al traguardo–. In questa mostra, che si intitola appunto Magnifico, ideata e curata da Carola Gentilini, direttrice del Museo del Ghisallo, c’è soprattutto il Magnifico. Eroico e leonino, intuitivo e

propositivo, irresistibile e irriducibile, magnetico e magnanimo: Fiorenzo il Magnifico. È la sintesi di una mostra fotogiornalistica con diversi contributi anche video che racconta la carriera incredibile di Fiorenzo Magni, Atleta, Campione e Uomo del ciclismo. La mostra allestita a Magreglio, in Valassina, è stata voluta dalla Fondazione Museo del Ciclismo Madonna del Ghisallo, presieduta da Antonio Molteni, come impegno e omaggio da parte di tutti i componenti del CDA e di tutti gli amici di Fiorenzo Magni. Questa mostra racconta il Magnifico, come lo vediamo noi. Il suo popolo. Per Sergio Zavoli è “il più epico personaggio del ciclismo”. E dello Sport. Usava definirlo “inconsumabile”: ed è così ancora oggi per chi lo ha consumato di amicizia, di rispetto, di amore.

Tutte le foto a corredo sono state recuperate dall’ARCHIVIO DIGITALE Museo del Ghisallo_AcdB. Museo digitale https://virtualtour.linelab.net/virtuals/magni/

Passo del Ghisallo nella sua espressione per la passione ciclistica: il Santuario della Beata Vergine del Ghisallo e il luminoso salone del Museo del Ciclismo.

Uomini&Sport | Giugno 2021 | 7


ACCADEVA NELL’ANNO...

1933

a cura di Renato Frigerio

L’articolo che viene ripreso in questo numero di “Uomini e Sport” a fronte della rubrica “Accadeva nell’anno…”, avrebbe potuto essere inserito altrettanto opportunamente nell’analoga rubrica “Ogni volta un nome da non dimenticare”. Del resto la scelta tra le due rubriche è risultata abbastanza imbarazzante, in quanto in un caso e nell’altro si era costretti ad oscurare in alternativa l’aspetto che evidenziava un nome storico dell’alpinismo lecchese, Antonio Piloni, oppure quello della difficile apertura di due vie al Corno del Nibbio. Invitiamo allora il lettore a non tralasciare di prendere in considerazione anche il secondo aspetto e di dedicare all’articolo un’attenzione particolare, perché in esso ci sembra possa essere in certo modo individuata l’introduzione ed il primo capitolo della grande storia dell’alpinismo lecchese. Non penso poi che questa affermazione possa essere messa in discussione, perché se è pur vero che anche prima dell’apertura delle suddette vie e certamente anche molto prima dell’anno in cui qui si fa riferimento, l’alpinismo lecchese si era già distinto grazie ai tanti appassionati che si erano spinti su montagne e pareti di non facile accesso, è altrettanto vero che la storia dell’uomo, in ogni caso, diventa autentica solo quando viene rivelata attraverso il racconto che ne costituirà per sempre la memoria. In questo senso riteniamo che proprio nei fatti rievocati dall’articolo, che fu pubblicato per la prima volta sul notiziario del C.A.I. di Lecco nel quarto trimestre del 1967, si possa trovare il punto di partenza di quella storia che aveva preso l’avvio una quarantina d’anni prima. Antonio Piloni, nella foto di gruppo scattata da Dino Piazza, sulla vetta del Cervino nel 1965, raggiunta per commemorare il Centenario della sua conquista. Alla sua sinistra di seguito: GianBattista Castagna, Bruno Lombardini, Carlo Duchini e Dino Maroni.

LE MIE DUE VIE AL CORNO DEL NIBBIO di Antonio Piloni Prima di rievocare uno dei miei ricordi alpinistici, voglio raccontare un aneddoto, non privo di significato, risalente all’anno 1927. Con l’amico Pino Ponzini mi trovavo all’attacco della Cresta Segantini, quando incontrammo l’allora presidente del C.A.I. Lecco: signor Annibale Ravasi, il quale mi conosceva di vista perché abitava poco distante da casa mia. Avevo con me una corda di 15 metri, spessore millimetri 8, credo, che mio padre usava per tirare su in solaio la legna da accatastare per l’inverno. Il Ravasi ci parlò del C.A.I. e ci diede in consegna una corda di 30 metri di grosso spessore (diametro), dell’epoca Cermenati tanto per intenderci, che ci servì subito la domenica successiva all’incontro. Eravamo in tre, si era aggiunto l’Omèt, cioè l’amico Mario Spreafico, e assieme effettueremo la traversata dei tre Magnaghi. Intanto il Ravasi ci aveva fatto soci del C.A.I.: la tessera costava 16 Lire e noi la pagammo a rate, a 2 Lire per volta. Ci piaceva tanto la montagna, e non c’era angolo di Grigna e del Resegone che non fosse caduto sotto la nostra curiosità. Ogni guglia o torrione era stato vinto e aveva almeno la sua brava via normale. Allora uno si formava indubbiamente per passione, per istinto personale e per naturali doti di coraggio e di intelligenza. Non avevamo alcuna pretesa di tecnica, sprovvisti di cognizioni in materia: ma avevamo solo un vero istinto di salire sulle rocce lisce e sulle pareti verticali. Ma passiamo ai fatti storici: nel 1933 il grande Emilio Comici viene chiamato a Lecco per tenere un corso di perfezionamento alpinistico e illustrare la nuova tecnica. Infatti noi eravamo completamente digiuni di quanto era avvenuto fuori dalla Grigna. Vagamente si era sentito parlare di gradi, della scala di Willo Welzenbach, mentre da noi la classifica si limitava a confrontare il facile con il difficile: si diceva, per esempio, che la normale dell’Angelina era più facile di quella del Sigaro. Nell’alpinismo era avvenuta a nostra insaputa una grande evoluzione. Chiodi e moschettoni di nuovo tipo, doppie corde, traversate a pendolo, passamani con cordino, scala di Welzenbach, sono gli strumenti tecnici di

8 | Giugno 2021 | Uomini&Sport


LE PARETI DELLA GRIGNETTA CHE FANNO SOGNARE questa scuola. Gli alpinisti della grande Scuola di Monaco, sorretti da una volontà ferrea e da una determinazione fanatica, realizzavano imprese nettamente superiori a quelle compiute fino a quel momento. E ai tedeschi si aggiungevano con pari merito, almeno sulle Dolomiti, i fratelli Giovanni e Alvise Andrich, Angelo e Giuseppe Dimai, Ettore Castiglioni, Emilio Comici, Luigi Micheluzzi, Domenico Rudatis, Attilio Tissi, Renzo Videsott, Giambattista Vinatzer, Tita Piaz. Al triestino Emilio Comici si deve in particolare un approfondito studio sulla tecnica, lo sviluppo della progressione in artificiale, la prima idea di un’organica esposizione della didattica arrampicatoria. Ecco perché Comici, il capostipite dei sestogradisti italiani e grande maestro dell’arrampicata artificiale, fu chiamato a Lecco. Vidi per la prima volta Comici al Corno del Nibbio: anzi si era saputo che con Mary Varale ed il nostro Mario Dell’Oro, alias Boga, l’ “angelo delle crode” voleva tracciare una via sulla parete Est, lungo un tracciato solcato da diedri. Ai piedi della parete c’eravamo dati appuntamento quasi tutti noi giovani arrampicatori d’allora, (mi ricordo che mancava Riccardo Cassin) e quando la Mary desistette, Comici invitò noi sottostanti a fornire il terzo uomo di cordata per quell’ascensione. Gli amici mi esortarono, anzi mi spinsero a prendere quel posto. Pino Comi mi prestò le sue scarpe di roccia e i suoi pantaloni: io in quel momento portavo scarponi chiodati e calzoni lunghi. Mentre ero impegnato a raggiungere Comici, notai che questi mi osservava e appena gli giunsi vicino, mi disse: “arrampichi bene, ma usi troppo la forza. Ora dovrai imparare l’impiego della corda a forbice” (cioè corda doppia). E fu così che ebbi la ventura di arrampicare con Comici, aprendo una via elegante e classica. Comici, lo rivedo ancora col “passamano” sul traverso, procedere con sicurezza e con stile compito, proprio dei raffinati. Appena ritornato a Lecco corsi in cerca dell’amico Cassin. Ero raggiante e parlai in termini entusiastici della nuova esperienza, della doppia corda e dei suoi vantaggi rispetto all’uso di una corda sola. Proposi a Cassin di tentare una nuova via, sempre al Nibbio, prima che… qualcuno ce la soffiasse. Sulla fessura e diedro settentrionale della parete Est ci aveva già messo gli occhi anche l’alpinista Erminio Dones. Cassin si dichiarò d’accordo. A tre giorni di distanza dall’apertura della Comici, di buon mattino mi porto al Nibbio con Cassin. Si unisce a noi Augusto Corti, comune amico. In quattro ore, usando il sistema delle due corde, superiamo la via. Per dare un’idea delle difficoltà vi dirò che dove c’è la fessura strapiombante appena dopo l’attacco, e dove solitamente mettono la staffa, allora c’era un cespuglio: ne uscimmo senza… la staffa, a quei tempi attrezzo sconosciuto, arrangiandoci alla meglio con un cordino strozzato. Comunque per superare questo tratto, che si dimostrò il più arduo della via piantammo 4 o 5 chiodi. Nell’ultimo tratto ora evitato dai ripetitori si incontrarono altre difficoltà sostenute, che potemmo superare facendo anche piramide umana. A tre giorni di distanza avevo aperto due nuove vie al Corno del Nibbio settentrionale, parete Estnordest. La Comici, primo sesto grado della Grigna, una via classica che richiede tutt’oggi una arrampicata libera estremamente esposta, e la Cassin, una “via” artificiale, più di forza che di tecnica. Mentre noi eravamo in parete, Comici con il cannocchiale ci aveva osservato stando al rifugio Porta. Quando arrivammo in vetta il grande Maestro, che era salito dal sentiero, era su ad aspettarci: con vero piacere gradimmo il brindisi da lui offertoci ed i suoi sinceri complimenti. Erano apprezzamenti che venivano da un Maestro inimitabile, una figura di portata leggendaria nella storia dell’alpinismo di ogni tempo. Superato il primo esame, l’alpinismo lecchese, sostenendo poi lungo tutto l’arco alpino la tesi di laurea, si impose ai livelli sommi dell’alpinismo. Nulla sarebbe più errato che rievocare con espressioni retoriche la storia dell’alpinismo lecchese da quei giorni in poi. È sufficiente aprire il grande libro della storia dell’alpinismo e scorrerlo, senza nulla aggiungere, per avere le dimensioni della… “Scuola di Lecco”.

I lati Est e Nord della Torre Costanza, la struttura più importante della Grignetta.

Il versante Ovest della Piramide Casati, la Civetta e del Torrione Palma, visti dal sentiero della Direttissima.

Il Sigaro Dones e il versante orientale dei Torrioni Magnaghi.

Alla pagina precedente: suggestivo richiamo della parete Est del Corno settentrionale del Nibbio, dove si sono cimentate figure storiche dell’alpinismo dando il loro nome alle celebri vie Comici e Cassin.

Le foto a colori ci sono state proposte e offerte gentilmente da Mauro Lanfranchi.

Uomini&Sport | Giugno 2021 | 9


SPORT A TUTTO CAMPO

PALLAVOLO: L’ABILITÀ DI RIUSCIRE A COLPIRE CON FORZA E PRECISIONE IL SUO CARATTERISTICO PALLONE Rimanendo sempre nell’ambito dello “Sport a tutto campo”, come avevamo denominato questa rubrica, ci vediamo ora orientati a modificarne in parte l’impostazione, spostandoci da quella che nel sottotitolo specificava la particolarità di delinearne un “Confronto tra generazioni”. È stato certamente interessante osservare come, con il passare degli anni, particolarmente per alcune delle discipline prese in considerazione, era intercorso un evidente sviluppo, dovuto sia al progressivo miglioramento tecnico di attrezzature, di abbigliamento e di alimentazione, sia anche all’evoluzione culturale, che non poteva non incidere anche sulle prestazioni degli atleti. Inevitabilmente abbiamo preso in esame anche discipline sportive che, almeno nella forma della competizione, si sono imposte talmente di recente da non rendere più significativa, in quanto marginale, la distanza generazionale. Hanno nel frattempo preso sempre più piede attività sportive che man mano sono diventate appannaggio in ambito femminile, dove i risultati sono presto diventati tanto sorprendenti da infiammare la folla delle tifoserie non meno di quanto succede negli sport del mondo maschile. La nostra rivista non poteva evitare di buttarsi con convinzione su questo diverso aspetto, passando dal “Confronto tra generazioni” al “Confronto tra i generi”, nella certezza di trovare anche in questo schema gli stessi spunti di notevole interesse, che costituiscono comunque un semplice complemento dello scopo primario di illustrare ogni volta una particolare disciplina sportiva.

di Renato Frigerio Le interviste a cura di Sara Sottocornola Se apriamo il nuovo corso di questa rubrica con la Pallavolo è anche perché questo sport, per la semplicità delle sue regole che lo rendono snello, subito comprensibile e privo di pause noiose, e pure per la marginalità dei falli a danno dell’avversario, ha assunto la grande popolarità sia per chi segue in vario modo le partite, sia per chi lo pratica ludicamente, come lo si può constatare frequentando tutte le nostre spiagge nel periodo estivo. Ovviamente la normativa ufficiale risulta un po’ più complessa di come viene percepita da chi lo pratica per gioco e da coloro che lo vedono con un interesse che si limita al tifo e al divertimento sugli schermi televisivi. Ed è particolarmente per loro che ci preme offrire più precise informazioni, che renderanno più gradevole e soddisfacente sia praticandolo che guardandolo. La pallavolo (chiamata anche volley, abbreviazione dall’inglese volleyball) è uno Sport di squadra, che si svolge tra due schieramenti formati ognuno da sei giocatori. Lo scopo del gioco è realizzare punti facendo in modo che la palla, colpita con le mani, tocchi terra nel campo avversario – fase di attacco – e impedire contemporaneamente che la squadra avversaria possa fare altrettanto – fase di difesa. Il campo, che può trovarsi al coperto o all’esterno, deve avere una superficie piana e uniforme, tale da non presentare pericoli per i giocatori. Solo per le competizioni mondiali e ufficiali le

10 | Giugno 2021 | Uomini&Sport

Un richiamo al nostro volley al tempo della storia romana nella preziosa raffigurazione del palazzo urbano imperiale, nei resti situati vicino a Piazza Armerina, in Sicilia.

superfici devono essere in legno o in un materiale sintetico. Il terreno di gioco è di forma rettangolare, lungo 18 metri e largo 9, diviso in due settori da una rete posta perpendicolarmente al suolo e di altezza nella sua parte superiore di 2,43 metri per le gare maschili, e 2,24 metri per quelle femminili. La rete di estende per 9-10 metri in lunghezza e 1 metro in altezza. Il terreno di gioco è suddiviso in 12 posizioni – 6 per campo -, che partono dalla zona di battuta – zona 1 – e proseguono progressivamente in direzione antioraria fino alla “zona 6”. La zona libera deve misurare almeno

3 metri dalle linee di fondo e laterali, mentre lo spazio di gioco deve misurare almeno 7 metri oltre la superficie di gioco: misure che per le competizioni ufficiali e mondiali aumentano ad almeno 5 metri dalle linee laterali, almeno 6,5 metri dalle linee di fondo e almeno 12,5 metri oltre la superficie di gioco. Le partite si disputano al meglio dei 5 set, ognuno dei quali viene assegnato alla squadra che raggiunge per prima 25 punti, con almeno 2 punti di differenza rispetto alla squadra avversaria. Il quinto set (denominato tie break) termina invece al raggiungimento di 15 punti,


A fianco: sono le prime comparse in Europa di una nuova disciplina sportiva, che prende il nome di pallavolo: soldati dell’Esercito americano in Germania, nel 1944, in una fase di relax.

Esultanza degli atleti e degli spettatori nella partita vittoriosa tra Italia-Slovenia ai Mondiali del settembre 2018, presso il Nelson Mandela Forum di Firenze.

purché con distacco sempre di 2 punti. Ogni azione inizia con il servizio (o battuta) effettuato dal giocatore difensore destro della squadra che ne ha ottenuto il diritto assegnato mediante sorteggio. Il sorteggio viene attuato anche per il primo servizio del quinto set, mentre per gli altri set il diritto al primo servizio appartiene alla squadra che non lo aveva avuto nel precedente set. Nel corso della gara il diritto al servizio appartiene alla squadra che ha ottenuto il punto. Per il servizio, o battuta, si intende il colpo che mette in gioco la palla e che deve essere effettuato entro 8 secondi dal fischio di autorizzazione dell’arbitro, colpendo, con una sola mano o con il braccio, la palla che è stata lasciata o lanciata in aria. Il giocatore che deve effettuare il servizio è il difensore destro: se viene effettuato da un altro, va ripristinato l’ordine corretto, mentre la squadra avversaria guadagna un punto e il diritto a servire. Al momento del servizio il giocatore si deve trovare completamente nella zona di servizio, cioè la porzione di zona libera dietro il proprio campo, delimitata lateralmente dai prolungamenti immaginari delle linee laterali. Il giocatore a servizio non può commettere fallo di posizione e può quindi servire da qualunque punto della zona di servizio, indipendentemente dalla posizione dei suoi compagni. L’azione continua finché la palla non tocca il campo o viene inviata fuori da esso. La squadra che vince un’azione di gioco conquista un punto e il diritto a servire. Per ogni azione di gioco, la squadra ha a disposizione tre tocchi (escludendo l’eventuale tocco di muro) per inviare la palla nel campo avversario, facendola passare

Uomini&Sport | Giugno 2021 | 11


Una fase di gioco, scattata nel 1959, nel padiglione B del Palazzo dello Sport, unico campo coperto della città di Modena.

all’interno dello spazio di passaggio. Dopo aver effettuato un muro, un giocatore può colpire nuovamente la palla senza incorrere nel fallo di doppio tocco ed effettuando il primo tocco di squadra. La palla non può essere fermata o trattenuta, mentre può essere colpita con qualunque parte del corpo. Costituisce invece fallo il contatto e il successivo accompagnamento della palla o il contatto continuo e ripetuto con il corpo. Nel caso in cui la palla tocchi la rete e ritorni indietro, può essere rigiocata nel limite dei tocchi rimasti a disposizione. È vietato toccare qualsiasi parte della rete. La posizione dei giocatori all’inizio di ogni set determina l’ordine di rotazione, che deve essere mantenuta per tutta la durata del set: le posizioni sono numerate da 1 a 6, partendo dal difensore destro, in senso antiorario: in questo modo si avranno tre giocatori in prima linea (attacco) e tre giocatori in seconda linea (difesa). Al momento del colpo di servizio i giocatori di entrambe le squadre devono trovarsi all’interno del campo e al proprio posto, per non incorrere nel fallo di posizione, che comporta la perdita dell’azione e l’assegnazione di un punto alla squadra avversaria. Il giocatore a servizio è esonerato dall’ordine di rotazione. Dopo il servizio i giocatori possono muoversi liberamente. Quando la squadra che non ha servito conquista il punto, e quindi anche il servizio, deve ruotare in senso orario. Passando a conoscere le caratteristiche tipiche dei giocatori, sembra perfino superfluo che questi atleti devono possedere una statura elevata, elemento fondamentale poi per alcune posizioni, come ad esempio lo schiacciatore. È importante inoltre poter contare su una buona struttura muscolare, che deve essere forte ma allo stesso tempo leggera, per garantire la velocità necessaria per spostarsi ed essere

12 | Giugno 2021 | Uomini&Sport

sempre efficace in campo. Servono poi una buona prontezza di riflessi e un ottimo affiatamento con i compagni di squadra. Quanto ai ruoli, i giocatori si possono definire sinteticamente precisando così il loro compito: 1. palleggiatore: è il giocatore che smista i palloni per gli attacchi dei suoi compagni. Viene selezionato per spiccate capacità nel palleggio e nella regia del gioco: solitamente è lui che chiama gli schemi dell’attacco. 2. centrale: è un giocatore preferibilmente molto alto, che si occupa delle schiacciate e del muro. Raramente in difesa, attacca palle molto veloci, che mettono in difficoltà le difese

avversarie. Quando deve passare in seconda linea, a causa della rotazione, quasi sempre viene invertito con il libero per rimediare alla sua scarsità in difesa. 3. martello o banda: è il giocatore più duttile, che può applicarsi a quasi tutte le situazioni, andando a muro, schiacciando, difendendo e ricevendo. Si tratta dei due laterali che attaccano ai lati del campo se sono in prima linea, oppure al centro se sono in seconda linea. 4. libero: è un giocatore specializzato nei fondamentali di difesa e ricezione: non segue le normali regole relative alle sostituzioni, ma può rimpiazzare illimitatamente qualunque giocatore che si trovi in seconda linea, in particolare il centrale quando passa in seconda linea. Non batte e non attacca, se non in casi eccezionali: ben riconoscibile, perché indossa una maglia diversa dagli altri giocatori. 5. opposto: è molto simile alla banda o martello, ma spesso non riceve. È solitamente molto forte in attacco, dove si concentra in modo principale, risultando uno degli attaccanti più efficaci, dopo il centrale. Nella pallavolo si chiamano “fondamentali” le azioni specifiche e basilari che un giocatore deve saper compiere. Sono cinque, e precisamente: il palleggio, il bagher (cioè la respinta del pallone con la parte interna delle braccia unite), il servizio o battuta, l’attacco e il muro (cioè l’azione dei giocatori nei pressi della rete, finalizzata a respingere l’attacco avversario superando con le mani il bordo superiore della rete). L’attività agonistica in Italia, a livello di graduale importanza e per le differenti fasce di età:

La pallavolo nel Lecchese Fino al 1997 le Società del territorio lecchese erano affiliate e svolgevano attività con il Comitato provinciale di Como della Federazione italiana pallavolo. Nel 1995, anno in cui nacque la Provincia di Lecco, si svolse una prima riunione delle Società lecchesi presso la vecchia sede del CONI di via Carlo Cattaneo a Lecco, con il presidente regionale Adriano Pucci Mossotti e il presidente di Como, Stefano Girola, per la nascita del Comitato provinciale di Lecco della FIPAV. Il 20 giugno 1997 si svolsero le prime elezioni che hanno portato alla nascita del Comitato provinciale di Lecco, composto dal presidente Luciano Lavecchia, già commissario di Lecco nell’ambito del Comitato provinciale di Como, Arturo Festini, Carlo Isacchi, Virginio Panzeri e Samuele Biffi, i primi due prematuramente scomparsi nel 2020. Il primo Comitato è rimasto in carica fino al 24 febbraio 2001, al termine del quadriennio olimpico 2000; la sede del nuovo Comitato era in via Col di Lana, mentre le riunioni delle Società si tenevano nella sede del CONI in via Carlo Cattaneo. Pian piano il Comitato è cresciuto in numeri e qualità: si sono affiliate Società nuove e di conseguenza i Campionati hanno avuto molte più squadre. Anche gli arbitri sono cresciuti di numero, permettendo di coprire più partite. Il neo Comitato ha iniziato a fare formazione e a qualificare allenatori, dirigenti e atleti, e ha messo in campo varie iniziative. Il 25 febbraio 2001 venne eletto come nuovo presidente Gabriele Biella, che rimase in carica fino al 22 novembre 2003, quando presentò le sue dimissioni. Il 23 novembre 2003 fu eletto Ezio Sala, che rimase in carica fino al 5 febbraio 2005. Il 6 febbraio 2005 fu eletto Angelo Todeschini, riconfermato alle elezioni del 2009 e del 2013. Poi nel 2017 la creazione del nuovo Comitato territoriale Milano-Monza-Lecco pose fine al Comitato di Lecco.


i Campionati di pallavolo sono divisi in tre tipologie nazionali, regionali e territoriali. I Campionati nazionali sono la Serie A1, A2, A3 e B maschile; A1, A2, B1 e B2 femminile. I regionali sono la C e D, mentre i territoriali sono le Divisioni (1^, 2^ e 3^). L’attività giovanile è organizzata in Campionati per limiti di età, ad esempio S3 (ex Minivolley), Under 12, Under 13, Under 14, Under 16, Under 18. Dopo l’interruzione della scorsa stagione a causa della pandemia Covid-19 con la conseguente impossibilità di proseguire l’attività agonistica, la FIPAV ha modificato le categorie giovanili per

dar modo alle Società di mantenere inalterate le rose dello loro squadre: Under 19, Under 17, Under 15, Under 14, Under 13, Under 12. I club locali fanno capo alla competenza di tre specifici Comitati. Comitato territoriale: segue l’attività in ambito provinciale e territoriale, ad esempio i Campionati di 1^, 2^ e 3^ Divisione. Comitato regionale: segue l’attività in ambito regionale, ad esempio i Campionati di Serie C e Serie D. Comitato centrale: segue l’attività in ambito nazionale, ad esempio i Campionati di A1, A2, A3 e B maschile; A1, A2, B1 e B2 femminile.

La squadra del CSI Milano già formata a partire dagli anni ’50.

Uno sguardo storico Già nell’antichità esistevano giochi con la palla che possono essere considerati predecessori della pallavolo. In antichi giochi greci e romani, ad esempio, venivano eseguiti esercizi con la palla a scopo di divertimento e svago, come il follis. In Germania fu introdotto nel 1893 un gioco chiamato Faustball, ma il merito dell’invenzione della pallavolo in forma moderna, nata ufficialmente il 1895, va riconosciuto a William Morgan, istruttore di educazione fisica presso un college delle YMCA di Holyoke, nel Massachusetts (Stati Uniti). Il 9 febbraio 1895 Morgan radunò alcuni insegnanti del college di Springfield per la dimostrazione di un nuovo sport, da lui chiamato Mintonette. Con l’aiuto di due squadre composte da 5 membri, tra cui il sindaco e il comandante dei vigili del fuoco di Holyoke, avvenne il battesimo di un nuovo gioco sportivo con caratteristiche profondamente diverse dagli altri sport di moda in quel tempo. Una caratteristica particolare era quella di non prevedere il contatto fisico tra i partecipanti, per cui la destrezza, la prontezza dei riflessi la capacità di concentrazione e l’agilità prendevano il posto della forza, qualità fino ad allora primaria nelle attività sportive. Fu però Alfred F. Halstead, il 10 marzo del 1896, a cambiare il nome di Mintonette, un po’ troppo femminile, in volleyball (letteralmente palla al volo). Egli riuscì a imporre questo sport nei college delle YMCA dislocati in tutti gli Stati Uniti. Due anni dopo, la pallavolo si praticava anche nella maggior parte dell’America meridionale (Brasile, Argentina, Uruguay). Nel 1898 la pallavolo giunse a Manila, nelle Filippine, grazie ad un insegnante di educazione fisica statunitense; proprio ai filippini viene attribuita l’invenzione della “schiacciata”. In Cina e in Giappone ottenne un successo strabiliante. In Europa arrivò durante la prima guerra mondiale, importata dalle truppe degli Stati Uniti. Anche in Italia arrivò con le forze armate

americane. A Porto Corsini, vicino a Marina di Ravenna, i soldati dell’esercito statunitense della locale base idrovolanti praticavano regolarmente tale sport. Per un lungo periodo è stata giocata in due modi differenti, all’occidentale e all’orientale, con la cosiddetta “regola dei tre tocchi” ovvero l’obbligo di toccare tre volte la palla prima di mandarla dall’altra parte della rete. Nel 1938 venne introdotta una fondamentale tecnica che rivoluzionò il modo di giocare: il “muro”. Furono soprattutto i paesi dell’Est, la Cecoslovacchia in primis, che lo utilizzarono con sistematicità. Nel 1947 i rappresentati di 15 Federazioni si ritrovarono a Parigi, dal 18 al 20 aprile, e crearono la Federation Internationale de Volley Ball (FIVB). Venne eletto il primo presidente della FIVB: il francese Paul Libaud, che governerà la pallavolo mondiale fino al 1984. Ancora oggi la pallavolo ha grande seguito, soprattutto nei paesi dell’estremo Oriente (Giappone, Cina, Corea del Sud), nei paesi dell’est Europa e dell’Europa meridionale, e in Brasile. Questi paesi possono anche vantare i migliori risultati internazionali sia a livello di club sia a livello di squadre nazionali. Paesi come il Brasile, l’Italia, gli Stati Uniti d’America, la Russia e Cuba, hanno le proprie nazionali ai primi posti del ranking sia maschile sia femminile. Altri paesi possono vantare una squadra nazionale (maschile o femminile), ai vertici del ranking (Giappone e Cina nel femminile, Argentina nel maschile). Molti altri restano comunque ai margini e, tranne in rari casi, i paesi a contendersi gli allori dei tornei più importanti sono sempre gli stessi. Dopo aver fatto la sua comparsa nel 1918, la pallavolo in Italia fu praticata nell’anteguerra soprattutto in ambito militare, il cui primo Campionato venne vinto nel 1923 dalla Guardia di Finanza di Roma. Dal primo gennaio 1929 la Federazione Italiana Palla a Volo

(FIPV) fu disciplinata nell’ambito dell’Opera Nazionale Dopolavoro (il primo titolo, assegnato nel 1930, fu vinto dalla Azogeno di Vado Ligure). Nel dopoguerra, sciolta l’OND, la nuova Federazione Italiana Pallavolo si costituì a Bologna il 31 marzo 1946. Un anno dopo, il 17 agosto 1947, l’organismo entrò a far parte come “aderente” al CONI, e nello stesso 1947 fu tra i membri fondatori della Federazione Internazionale (FIVB). Nel 1948, a Roma, la neo Federazione organizzò sui campi del Foro Italico il primo Campionato Europeo. La FIPAV divenne membro effettivo del CONI nel 1957. Riconosciuti dalla Federazione, operano la Lega Nazionale Pallavolo (fondata a Bologna l’11 marzo 1973) dalla quale, il 20 settembre 1987 ad Abano Terme, è nata la Lega Pallavolo Serie A femminile. La pallavolo italiana maschile è salita prepotentemente alla ribalta alla fine degli anni settanta. In occasione dei Campionati del Mondo di Roma del 1978, quando gli azzurri conquistarono la medaglia d’argento dietro l’Unione Sovietica. Questo è stato il primo grande successo in campo seniores. In seguito, sempre in campo maschile, è stata conquistata la medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Los Angeles del 1984. Con la conduzione tecnica di Julio Velasco la squadra italiana ha vinto quattordici medaglie d’oro, di cui due ai Campionati del Mondo, tre ai Campionati Europei, sei World League e la medaglia d’argento ai Giochi Olimpici di Atlanta nel 1996. Nel 1997, con l’arrivo del tecnico Bebeto, la Nazionale azzurra ha vinto la settima World League e conquistato la medaglia di bronzo agli Europei. Dal 1980 anche i Club italiani hanno dominato la scena internazionale, vincendo tutti i tornei più importanti. I numeri della FIPAV di oggi sono di 4.542 Società, 367.591 tesserati, di cui più del 60% donne, 5.876 arbitri, 20.191 allenatori, circa 3 milioni di praticanti.

Siamo vivamente grati a Samuele Biffi per la sua competente e apprezzata collaborazione.

Uomini&Sport | Giugno 2021 | 13


Classe 1999, è una degli astri nascenti della pallavolo italiana, occupando nel gioco il ruolo di opposto. Cresciuta nella Polisportiva Olginate, dove è stata notata da talent scout di grandi società, ha spiccato il volo verso Roma a 15 anni per giocare con il VolleyRo. È poi passata a Club Italia e San Casciano Firenze. Tra i suoi più grandi successi, la medaglia d’argento ai Mondiali 2018 in Giappone con la Nazionale azzurra. Positiva, determinata e molto legata alla sua famiglia, Sylvia racconta in questa intervista come la pallavolo le abbia insegnato il valore del gioco di squadra, di come sia complicato e strano affrontare il silenzio degli stadi imposto dal Covid e del suo sogno più grande: le Olimpiadi.

Sylvia, come hai incontrato la pallavolo? Ho iniziato a giocare a 6-7 anni, inizialmente a basket. I miei genitori tenevano molto allo Sport, volevano che fossimo sempre in forma, e così mi hanno iscritto anche a pallavolo. Ho iniziato quindi un po’ per caso. Poi ho scelto di continuare con la pallavolo perché mi piaceva di più. Anche tua sorella Linda gioca a livello professionistico e in Nazionale. Siete una famiglia di sportivi? Direi di sì, mia mamma da giovane faceva salto in lungo. Mio papà giocava solo a calcio all’oratorio, ma tutti amiamo lo Sport. Come sei passata dal gioco al professionismo? Da piccola giocavo per divertimento e per stare con le mie amiche. Mi hanno notato, e mi hanno proposto l’agonismo. Inizialmente non sapevo in cosa mi stessi andando a “invischiare”. Col passare degli anni ho capito che era quello che volevo dalla vita e ho proseguito su questa strada. È successo più o meno quando avevo 13-14 anni. Avresti mai pensato di arrivare in A1? Era un sogno che avevo e ci speravo tanto. Ho lavorato per questo, anche se all’inizio non me lo sarei mai immaginata. Lo definirei un sogno realizzato.

14 | Giugno 2021 | Uomini&Sport

[Foto: Maurizio AnatriniIl - Bisonte Firenze]

Sylvia Nwakalor

Hai dovuto fare sacrifici? Hai avuto momenti di difficoltà? Sì, quando avevo 14 anni e mi sono trasferita a Roma per giocare nel VolleyRo, il primo anno è stato molto difficile perché ero senza la mia famiglia, e soprattutto dovevo conciliare sport e scuola. Sono sempre stata perfezionista, volevo andare benissimo a scuola ma, allenandomi ogni giorno, era difficile conciliare. Studiavo fino all’una di notte. Mi ricordo che chiamavo i miei genitori piangendo disperata, poi col tempo ho capito che era quello che volevo fare, e i sacrifici facevano parte del gioco. Mi ha aiutato molto il fatto di vivere con le mie compagne di squadra: sentivo di non essere sola e, siccome eravamo tutte nella stessa situazione, ci aiutavamo a vicenda. Studi ancora? Sì, faccio l’università San Raffaele a Roma e studio scienze dell’alimentazione. L’ho scelta perché mi piace molto mangiare e mi interessa conoscere gli alimenti e le caratteristiche del cibo. Inoltre ho pensato che potrebbe essere collegata allo Sport per un futuro lavoro come nutrizionista. Sono molto felice di aver conciliato l’utile a ciò che mi piace. Sei un opposto: è un ruolo che hai scelto tu? Inizialmente giocavo da banda, facevo il ricevitore, però poi col tempo mi sono ritrovata di più nel ruolo di opposto, perché mi piace tantissimo attaccare, ed è questo il lavoro dell’opposto. Sono molto contenta del mio ruolo. Cosa ti piace quando sei in campo? Sicuramente il fatto di essere un tutt’uno con la squadra e giocare per un unico obiettivo. Nei momenti di difficoltà siamo davvero unite e lavoriamo tutte insieme per uscirne: ecco, quelli sono i momenti che più amo: la pallavolo è uno Sport di squadra e ti fa sentire unita alle compagne. Un’atleta può fare anche la partita della vita, ma se poi le compagne non lavorano insieme, c’è poco da fare, il risultato non arriva. La competizione interna non rovina mai questo clima? Può darsi che capiti, però la competizione di solito viene percepita in modo diverso: io ad esempio la vivo sempre in modo positivo. Voglio cercare di fare meglio non per superare qualcuno, ma per me stessa: e la competizione mi sprona a fare di più. Però separo molto quello che succede in palestra e quello che avviene fuori. Ad esempio, se sono in competizione con una compagna per il posto in campo, fuori è tutto normalissimo, non si rovina il rapporto.


[Foto: Roberto Del Bo - Vero Volley Monza]

Filippo Lanza

L’emozione più bella della tua carriera sportiva? Forse il primo anno al VolleyRo, quando abbiamo vinto lo scudetto under 16. Eravamo una squadra totalmente nuova, tutte al primo anno fuori casa, ed era un po’ una scommessa quella che hanno fatto su di noi: nessuno sapeva se saremmo riuscite. Ce l’abbiamo fatta, e lì si è vista la squadra: non avevamo esperienza, ma abbiamo ottenuto un grande risultato perché abbiamo lavorato insieme. La Nazionale cosa significa per te? Sicuramente è un sogno realizzato, è stato sempre un onore essere convocata. Mi dà la possibilità di allenarmi e giocare con grandissime giocatrici. E mi sprona: quando si indossa la maglia della Nazionale bisogna onorarla. Com’è giocare senza pubblico, ora che le restrizioni Covid lo impongono? Adesso ci ho fatto un po’ l’abitudine, ma inizialmente era troppo strano. Io sono una giocatrice cui piacciono il tifo, il casino, perché mi caricano. Inizialmente mi sembrava un silenzio… “amichevole”, diciamo che mancava l’agonismo che ti dà qualcosa in più. All’inizio è stato importante creare l’atmosfera tra noi, con le compagne. Adesso ci ho fatto un po’ l’abitudine, ma c’è molta differenza tra giocare con o senza pubblico. Guardando le foto di un anno fa, con gli spalti pieni, fa tanto effetto. E farà effetto quando si tornerà a giocare col pubblico. Il Covid sta mettendo in difficoltà tutto lo Sport, anche a livello dei bambini: pensi che ne uscirà danneggiato? Lo Sport è importante. Quando ero piccola mi ha aiutato molto ad aprirmi, perché ero timida e riservata. Il fatto che ora sia difficile per le persone fare Sport, penso potrebbe essere una grande perdita a livello di relazioni oltre che di forma fisica. L’insegnamento più grande che ti ha dato la pallavolo? Il fatto che non tutto si riesce a fare da soli. Sono molto perfezionista, voglio sempre riuscire da sola e fare il meglio possibile, però ho imparato che è importante saper accettare aiuto anche dagli altri. La pallavolo come Sport di squadra mi ha aiutato anche nella vita di tutti i giorni: devi essere pronta ad aiutare gli altri quando hanno bisogno. Hai un sogno nel cassetto? Sì, l’Olimpiade. Speriamo bene, c’è ancora strada da fare.

Veronese, classe 1991, schiacciatore, gioca in serie A1 nel Vero Volley Monza. La sua carriera inizia a 14 anni con il Trentino volley, e in pochi anni scala le classifiche con Club Italia e poi Perugia. Un inizio forse difficile, come quello di molti giocatori professionisti, lontano dalla famiglia nell’età dell’adolescenza. Ma le soddisfazioni compensano presto i sacrifici fatti: sbarca in A1 nel 2011, in un paio di anni guadagna maglia da titolare e maglia della Nazionale. Ha partecipato a Giochi del Mediterraneo, Coppa Italia, Campionati Europei, Coppa del mondo e Olimpiadi, raccogliendo medaglie e successi, fino a tagliare il traguardo sognato da ogni sportivo: con la Nazionale ha vinto l’argento alle Olimpiadi di Rio de Janeiro nel 2016. Oggi, dopo un recente e sofferto cambio di squadra, Lanza pensa ad un nuovo obiettivo: le Olimpiadi di Tokyo.

Come ti sei avvicinato al volley: per caso o per una precisa volontà? Mi sono avvicinato al volley tramite mio padre che era allenatore di una squadra di paese e con lui ho giocato la mia prima stagione in Under 14. Come sei diventato professionista? Hai ricevuto proposte per il tuo talento o era un tuo obiettivo? A l’età di 14 anni mi sono trasferito a Trento nelle giovanili, e con questa scelta ho avuto modo di poter vedere tutti i giorni la serie A che si allenava. Grazie a questo è nata in me una grande forza di volontà per arrivare al massimo livello.

Uomini&Sport | Giugno 2021 | 15


Qual è l’emozione più bella che hai vissuto nella tua carriera? Per trovare l’emozione più bella (fino ad oggi) ritorno con la mente al villaggio olimpico di Rio dove ho potuto vivere il sogno di ogni sportivo. Ricordo il mio primo giorno quando ho varcato la soglia dei controlli di quella che pensavo fosse una meta impossibile da raggiungere, e ho provato molta gratificazione per tutte le fatiche e i sacrifici fatti fino a quel giorno. A cominciare dalla cerimonia di apertura dei Giochi fino alla premiazione con la medaglia d’argento ho potuto vivere un’esperienza fantastica e ricca di emozioni. Quanto agonismo c’è ai tuoi livelli? Ami o soffri questo aspetto dello Sport? Io penso che lo Sport racchiuda una serie di competenze di confronto con l’avversario: l’agonismo rende tutto ciò più stimolante e ti dà la possibilità di migliorare sempre te stesso. La scelta della carriera sportiva comporta rinunce e sacrifici: ne hai dovuti fare? Se sì quali? Tornando indietro rifaresti questa scelta? Come in tutte le cose, se si vuole ottenere tanto bisogna essere disposti al sacrificio. Lo Sport nel mio caso mi ha messo davanti alle difficoltà in un’età molto giovane. I primi tre anni a Trento sono stati per me i più complicati dal punto di vista delle relazioni con i miei coetanei. Non mi pento del percorso fatto, ma a posteriori ritengo che quella fascia di età sia molto più complicata da gestire e che vada trattata diversamente. Sicuramente anche la lontananza dalla famiglia ha influito molto. Quali sono le tue mosse più temute in campo? Qual è il tuo carattere come giocatore? Corrisponde al tuo carattere fuori dal campo? Il focus centrale delle mie mosse è basato nel miglioramento della prestazione dei miei compagni. Sono un giocatore che pensa molto alla squadra, mi piace tenere il gruppo unito e concentrato sull’obiettivo. Fuori dal campo mi sento un ragazzo molto semplice, da “vicino della porta accanto”.

16 | Giugno 2021 | Uomini&Sport

Cosa miglioreresti della tua tecnica? C’è sempre qualcosa da migliorare, sia tecnicamente che mentalmente. Cerco sempre di dare il massimo ogni giorno, senza pensare al passato ma al presente Il torneo a cui ti è piaciuto di più partecipare? Nell’estate del 2015 ho avuto modo di conquistare con l’Italia la qualificazione Olimpica di Rio. Il torneo prevedeva 13 gare in 15 giorni, dove solamente le prime 2 si qualificavano per le Olimpiadi. Si concluse con la nostra qualificazione al secondo posto, ottenuta nella gara finale contro la Polonia. Hai di recente cambiato squadra. Com’è entrare in una nuova squadra a campionato iniziato? Non è mai facile entrare in una squadra nuova e già formata, i ragazzi mi hanno dato una grandissima mano accogliendomi subito a braccia aperte. Anche il cambio di vita privata non è stato semplice, ma grazie alla mia ragazza ci siamo ambientati con ottimismo e buoni propositi. Quanto conta il rapporto con i compagni? Il rapporto con i compagni è sicuramente un’ottima base di partenza in un team. Il più delle volte è circoscritto al lavoro in palestra, ma grazie alla pallavolo molto spesso i rapporti “ da campo” si trascinano nella vita privata, e questo è sicuramente un valore aggiunto. Qual è l’insegnamento più grande che ti ha dato la pallavolo? Personalmente la pallavolo mi ha insegnato prima di tutto la disciplina e il rispetto delle persone che collaboravano insieme a me. La cooperazione e i rapporti che si creano durante l’anno sono esperienze di vita che, al di fuori dello Sport, rappresentano valori che ognuno di noi è fiero di avere. Conclusa la carriera sportiva, come vedi il tuo futuro? A questa domanda rispondo sempre un po’ incerto, perché come all’inizio non sapevo di arrivare in serie A, ad oggi non so cosa mi aspetta nel futuro. Di sicuro farò tesoro delle esperienze passate per crearmi un nuovo percorso da affrontare con la stessa tenacia. Il momento più difficile della tua carriera. Sicuramente il momento peggiore per un’atleta è quando scopre che la società non lo vuole più e non crede più in lui. Purtroppo ho vissuto quest’esperienza da poco con Perugia, e sinceramente non lo auguro a nessuno. Non tanto per l’ambiente, come i compagni o i tifosi, che sono stati fantastici e mi hanno sempre supportato: e più che altro è per come la società ha deciso di comportarsi nei miei confronti. Con chi o contro chi sogni di giocare? Mi sarebbe piaciuto molto giocare insieme a Lorenzo Bernardi, Andrea Giani, Samuele Papi: ritengo che rappresentino lo Sport come atleti e come agonisti. Qual è il tuo sogno per il futuro?  Il mio prossimo sogno è quello di vincere le Olimpiadi a Tokyo.


Determinata, appassionata e ambiziosa, dimostra chiaramente tutte queste doti proprio nel ruolo dove gioca di schiacciatrice. Così come in campo, mostra il suo carattere unico in questa intervista. Classe 1995, cresciuta nella Polisportiva Olginate, dove è stata notata da grandi società, ha spiccato il volo a soli 16 anni verso Villa Cortese/ Orago, Foppapedretti Bergamo e poi Conegliano. È presto diventata colonna della Nazionale azzurra, con cui ha conquistato l’argento ai Mondiali 2018 in Giappone. Nata a Palermo da genitori ivoriani, Sylla racconta la sua passione per il volley con parole semplici, ma che non lasciano adito a dubbi: “ho sacrificato amicizie e mi sono goduta poco la famiglia per il volley. Ma la scelta è stata semplice, era il mio sogno”.

Come sei diventata una delle più forti giocatrici di volley in Italia? Mi ci sono avvicinata per puro caso con mia cugina, poi è stato un susseguirsi di situazioni anche fortuite, che mi hanno portata a diventare una professionista. È stata una scelta facile o difficile? Per questo Sport credo di aver fatto molti sacrifici durante l’adolescenza: avevo ritmi completamente diversi dai miei coetanei e una visione differente della vita, sapevo già cosa volevo fare ... Ho sacrificato amicizie e mi sono goduta poco la famiglia. Ma la scelta è stata semplice, era il mio sogno e il mio obiettivo. Qual è la tua più grande soddisfazione oggi? Non saprei definirla. So che ho fatto tanta strada, ma non mi basta. E quale il sogno nel cassetto? Non ve lo dico, finché non si avvera. Sei cresciuta a Palermo e poi a Valgreghentino: a che luogo sei più legata? Sono nata a Palermo e subito dopo mi sono trasferita in provincia di Lecco: ho girato tanto, sono legata a tutta Italia. Ovviamente Palermo è parte di me, ma anche Valgreghentino. La tua famiglia è sempre presente nelle tue interviste. Quanto conta per te e che valori ti ha trasmesso? Ci mancherebbe che non ne facessero parte: sono il mio primo sostegno. Nel bene o nel male la famiglia ti sostiene sempre. Valori? Tanti! Il più importante? Sicuramente l’umiltà. Qual è l’emozione più bella che hai vissuto nella tua carriera? E il momento più duro? La più bella, anzi le più belle sono le varie vittorie. Forse il Mondiale è la più grande, anche se si è concluso con una sconfitta. Il momento più duro è stata sicuramente la perdita di mia madre. Qual è la cosa che preferisci quando sei in campo? Vincere! A livello tecnico cosa ti riesce meglio? Mi piace attaccare, ma non so se sia la cosa che mi riesce meglio. Cosa miglioreresti della tua tecnica? Visto che credo che ci sia sempre da migliorare, ti direi tutto... Ovviamente la battuta e la ricezione sarebbero le prime cose sulle quali investire. Il tuo carattere si rispecchia nel gioco? Molto: tutto quello che metto in campo, sono io. Com’è vestire la maglia della Nazionale? Un’emozione unica: è un orgoglio poter rappresentare l’Italia e gli italiani nelle varie competizioni internazionali. Come ti trovi nella tua attuale squadra? Da Dio! Altrimenti avrei cambiato dopo il primo anno, e invece sono ancora qua.

[Foto: M. Gregolin / Imoco Volley]

Miriam Sylla

Uomini&Sport | Giugno 2021 | 17


Riccardo Sbertoli Milanese doc, palleggiatore, apparenza tranquilla che nasconde una tenacia incredibile, Riccardo Sbertoli è uno dei migliori talenti del Powervolley Milano e della Nazionale. Fresco di vittoria alla Challenge Cup 2020/2021 con il suo club, ha già all’attivo una medaglia d’oro ai XVIII Giochi del Mediterraneo del 2016, anno della sua prima convocazione in Nazionale maggiore. E ora pensa in grande: “Il mio sogno nel cassetto? Andare alle Olimpiadi”. E Tokyo ormai è alle porte.

Come hai iniziato a giocare a volley? E come è arrivata l’occasione di giocare da professionista? Ho iniziato a giocare perchè mio padre giocava a pallavolo e sono cresciuto guardando le sue partite sugli spalti con mia mamma. La passione era di famiglia, possiamo dire. Dopo cinque anni a Segrate, dove ho fatto la serie B2 e B1, è arrivata la chiamata da Milano, e per me è stato un sogno iniziare a giocare in serie A nella città dove sono nato e cresciuto. Era il 2015 quando ho avuto l’occasione di iniziare a giocare in Superlega. Hai dovuto fare sacrifici per questo Sport? Sì, molti sacrifici perchè, da quando ho 17 anni, la mia vita sociale è ridotta ai minimi termini. Non ho molto tempo per vedere gli amici o svagarmi in altri modi che non sia lo Sport: però lo faccio volentieri, perchè ho scelto io questa vita, e non ho rimpianti. Sei molto legato a Milano: è lì che vedi il tuo futuro? Sono molto legato a Milano perchè è la società che mi ha fatto crescere e mi ha dato l’opportunità di giocare in Superlega. Devo dire che sono molto legato alla città in generale. Il mio futuro prossimo lo vedo a Milano: più avanti non lo so, potrebbero succedere tante cose, ma sicuramente qui mi trovo molto bene e sono felice. Sei molto giovane e molto richiesto: come vivi il mercato? In realtà finora non c’è quasi mai stata contesa su di me. In ogni caso l’ho vissuta bene, perchè il mercato lo vivo come un momento di occasione e scelta per il futuro. Valutando le varie proposte arrivate finora, Milano è sempre stata la scelta migliore per me. Hai sacrificato gli studi per lo Sport o convivono? No, non li ho sacrificati, sto andando avanti a studiare Economia. Forse ho sacrificato il rendimento negli studi per lo Sport: sono un annetto indietro rispetto ai miei amici che si stanno laureando ora, ma di sicuro non li ho abbandonati.

18 | Giugno 2021 | Uomini&Sport

Foto: Alessandro Pizzi

È stato difficile ambientarsi? C’è molto agonismo? Dopo cinque anni a Bergamo, che consideravo oramai casa, cambiare non è stato per niente facile, anzi. Ho versato parecchie lacrime, ma poi le mie compagne hanno trovato il modo di tirarmi su e farmi sentire parte di una nuova famiglia. Per quanto riguarda l’agonismo credo che sia la parte più “dolce” del giocare in una squadra come Conegliano: si alza l’asticella e tutti spingono per raggiungere gli obiettivi che hanno. Qual è l’insegnamento più grande che ti ha dato la pallavolo? Con la rabbia non vai da nessuna parte. Conclusa la carriera sportiva come vedi il tuo futuro? Bella domanda, che mi ha afflitta per buona parte del primo lockdown. La risposta sudata e tanto elaborata è: non lo so. Con chi o contro chi sogni di giocare? A dire il vero le cose che sogno sono ad esempio le seconde occasioni delle finali perse... Una seconda chance per ognuna di loro non sarebbe male.

Come ha vissuto la tua famiglia la tua scelta di fare l’atleta? Bene, mi hanno sempre appoggiato, mi hanno consigliato loro di non mollare gli studi, ma io nemmeno lo volevo. Hanno sempre sostenuto le mie scelte, capendo che lo Sport è la mia priorità in questo momento della mia vita. Qual è l’emozione più bella che hai vissuto nella tua carriera? E il momento più duro? Il momento più duro sicuramente è stato quando mi sono dovuto operare al ginocchio a 16 anni. Ero molto giovane, ho dovuto saltare un europeo giovanile, e c’erano delle possibilità che non riuscissi a rientrare bene come prima: quindi è stato un momento abbastanza brutto. Di bei momenti ne ho due: la prima convocazione in Nazionale maggiore e la vittoria della Challenge Cup quest’anno con Milano. Speriamo che quest’estate ci sia l’emozione più grande. Qual è la cosa che preferisci quando sei in campo? Fare un bel punto di squadra e ritrovarsi tutti a centrocampo. Com’è giocare oggi ai tempi del Covid, senza pubblico? Brutto. Siamo certamente fortunati a poter continuare a giocare, ma è stato stravolto tutto il concetto di spettacolo e show all’interno dei palazzetti. Comunque è pesante giocare senza pubblico, perchè gli spettacoli sportivi senza pubblico sono un’altra cosa.


Pensi che questa emergenza sanitaria stia rubando qualcosa allo Sport? Sta rubando qualcosa in tutti i campi: anche nella vita normale porta via un po’ di serenità, e questo si riflette nello Sport. Anche se possiamo giocare come professionisti, continuare a porte chiuse facendo tamponi... toglie tempo serenità e risorse agli atleti e anche alle società. Il tuo carattere si rispecchia nel gioco? Penso di sì. Sono abbastanza razionale, e penso che sia un buon profilo per il mio ruolo in campo. Cerco di mettere me stesso nel gioco ed essere sempre la stessa persona sia in campo che fuori: penso possa fare soltanto bene. C’è qualcosa che vorresti migliorare della tua tecnica? Molte cose ma non saprei dire quali in particolare. Ho 22 anni sono ancora giovane: nel mio ruolo si raggiunge la maturità intorno ai 27-28: ci sono ancora un bel po’ di anni in cui lavorare. Hai un mentore o un giocatore che per te rappresenta un punto di riferimento? No, ci sono tanti giocatori che mi piacciono, magari del mio ruolo, ma non uno in particolare. Cerco di studiare le migliori caratteristiche dei vari giocatori, magari tecniche o tattiche, rubando ciò che serve per migliorarmi. Come ti trovi nella tua attuale squadra? C’è agonismo anche al suo interno? Sì, in allenamento tutti vogliono vincere e c’è molta tensione: è uno dei motivi per cui si riesce a tenere sempre un livello di allenamento molto alto. È molto importante avere un clima il più simile possibile alle sensazioni della partita. Qual è l’insegnamento più grande che ti ha dato la pallavolo? Lavorare sodo per raggiungere un obiettivo e mettere tutto me stesso in quello che faccio. Questo mi ha aiutato anche fuori, nella vita: per obiettivi non sportivi ragiono da sportivo, e questo mi aiuta ad essere più tenace e concentrato su ciò che voglio raggiungere.

Conclusa la carriera sportiva come vedi il tuo futuro? Non ne ho idea, non ci ho mai pensato, non saprei se vorrei rimanere nel mondo del volley o staccarmi. Per ora, penso alle Olimpiadi.

Uomini&Sport | Giugno 2021 | 19


Il versante Nord dell’Annapurna [Foto: Archivio Mario Panzeri]

ALPINISMO DI RICERCA E DI PRIMATI

I maestosi quattordici Ottomila e le tappe di una duplice rincorsa vittoriosa LA CONQUISTA DEI 14 OLTRE 8.000 Anno Data Da quando gli alpinisti di tutto il mondo si sono resi conto delle loro potenzialità e della possibilità di spingersi sempre più in alto fino a raggiungere la cima di ogni

1950 3 giugno

Cima

Altezza

Annapurna 8091m

Durata (giorni)

Tentativo

18

1

1953 29 maggio

Everest 8848m

47

12

accanimento nella ricerca e nella conquista

1954 31 luglio

Nanga Parbat 8125m

42

8

Hermann Buhl

K2 8611m

70

6

Lino Lacedelli Achille Compagnoni

degli obiettivi più ambiti e maggiormente 1954 19 ottobre

Cho Oyu 8201m

31

2

loro quanto di più sorprendente e desiderabile

Pasang Dawa Lama 1955 15 maggio

Makalu 8463m

47

2

l’immensa catena dell’Himalaya si prolunga quattordici montagne che si innalzano fino a superare la quota di 8000 metri. La loro conquista rappresentava un valore e un motivo di orgoglio che premiava ogni sforzo e ogni rischio, per cui si spiegava l’immediata e affannosa rincorsa che ha riempito pagine con resoconti di successi

nel 1950, con la salita sull’Annapurna e si

1955 25 maggio

Kanchenjonga 8586m

47

7

George Baud Joe Brown

1956 9 maggio

Manaslu 8163m

50

4

Toshio Imanischi Gyaltsen Norbu

1956 18 maggio

Lhotse 8516m

45

2

Fritz Luchsinger Ernst Reiss

1956 7 luglio

Gasherbrum II 8035m

46

1

Sepp Larch Hans Willenpart Fritz Moravec

1957 9 giugno

Broad Peak 8047m

28

2

Hermann Buhl Marcus Schmuck

conclude soltanto dopo settantuno anni di

Kurt Diemberger

impegnativi e spesso cruenti tentativi, con la prima invernale sul K2, avvenuta proprio

Jean Couzy Lionel Terray

clamorosi e di dolorosi drammi. La storia delle imprese vittoriose si apre

Herbert Ticky Sepp Jochler

si potesse immaginare: un luogo unico al

nel Karakorum, e qui si concentrano le uniche

Edmund Percival Hillary Tensing Norkay

montagna, abbiamo assistito ad un autentico

mondo, nel cuore dell’Asia centrale, dove

Maurice Herzog Louis Lachenal

1953 3 luglio

appaganti. Si è aperto soprattutto davanti a

Alpinisti

Fritz Wintersteller

all’inizio di questo 2021.

1958 5 luglio

Per una storia di grandiose conquiste, che

1960 13 maggio

Gasherbrum I 8068m o Hidden Peak

36

Dhaulagiri 8167m

52

3

Peter Schoening Andrew Kauffman

8

Kurt Diemberger

appunto ora giunge a conclusione, più che

Albin Schelbert

interessante sembra perfino doveroso

Nawang Dorjee

riguardo a coloro che l’hanno scritta, riproporne i capitoli con un elenco completo

1964 2 maggio

Shisha Pangma 8013m o Gosainthan

47

1

Hsiu King Tchang Kiun-Yen

che precisa l’anno di svolgimento di ognuna

Wang Fou-Tcheou

delle quattordici imprese e i nominativi dei

Tchen San

rispettivi protagonisti, nella duplice versione

Wow Tsong-Yo

della prima assoluta e della prima invernale.

Tcheng Tieu-Liang Sodnam Doje Migmar Trashi Doje Yonten

20 | Giugno 2021 | Uomini&Sport


I quattro 8000 del Karakorum e i dieci 8000 dell’Himalaya

Il versante Sud del K2 [Foto: Archivio Carlo Besana]

Fonte: I quattordici “8000” Antologia di Mario Fantin, Zanichelli - Bologna

I PRIMI SALITORI DEI 14 OLTRE OTTOMILA IN INVERNALE Nazionalità

Francia

Anno Data 1980 17 febbraio

Cima

Altezza

Everest 8848m

Paese

Alpinisti

Nazionalità

Nepal Tibet

Kryzystof Wielicki

Polonia

Leszek Cichy

Polonia

Maciej Berbeka

Polonia

Ryszard Gajewski

Polonia

Jerzy Kukuczka

Polonia

Andrej Czok

Polonia

Maciej Berbeka

Polonia

Maciej Pawlikowski

Polonia

Jerzy Kukuczka

Polonia

Krzystof Wielicki

Polonia

Jerzy Kukuczka

Polonia

Artur Hajzer

Polonia

Krzystof Wielicki

Polonia

Francia Nuova Zelanda

1984 12 gennaio

Manaslu 8163m

Nepal

1985 21 gennaio

Dhaulagiri 8167m

Nepal

Nepal Austria Italia Italia

1985 12 febbraio

Cho Oyu 8201m

Nepal Tibet

Austria Austria

1986 11 gennaio

Kanchenjunga 8586m

India Nepal

Nepal Francia

1987 3 febbraio

Annapurna 8091m

Nepal

Francia Inghilterra

1988 31 dicembre

Inghilterra

2005 14 gennaio

Giappone Nepal

2009 9 febbraio

Lhotse 8516m Shisha Pangma 8013m o Gosainthan Makalu 8463m

Nepal Tibet Tibet Nepal Tibet

Svizzera Svizzera

2011 2 febbraio

Gasherbrum II 8035m

Pakistan Cina

Austria Austria Austria

2012 9 marzo

Austria Austria

2013 5 marzo

Gasherbrum I 8068m o Hidden Peak

Pakistan Cina

Broad Peak 8047m

Pakistan Cina

Austria Austria

Simone Moro

Italia

Piotr Morawski

Polonia

Simone Moro

Italia

Denis Urubko

Kazakistan

Simone Moro

Italia

Denis Urubko

Kazakistan

Cory Richards

USA

Adam Bielicki

Polonia

Janusz Golab

Polonia

Macjej Berbeka

Polonia

Tomasz Kowalski

Polonia

Artur Malek

Polonia

Simone Moro

Italia

USA

Alex Txikon

Spagna

Austria

Muhammad Ali Sapdara

Pakistan

USA

Svizzera

2016 26 febbraio

Nanga Parbat 8125m

Pakistan

Mingma Gyalie

Nepal

Nepal

Kili Pemba

Nepal

Cina

Dawa Tenjin

Nepal

Cina

Nirmal Purja

Nepal

Cina

Mingma David

Nepal

Cina

Mingma Tenzi

Nepal

Cina

Gelje Sherpa

Nepal

Cina

2021 16 gennaio

K2 8611m

Pakistan Cina

Tibet

Pem Chiiri

Nepal

Dawa Temba

Nepal

Tibet

Sona Sherpa

Nepal

Tibet Tibet Uomini&Sport | Giugno 2021 | 21


ANCHE QUI SI TROVA DF SPORT SPECIALIST

a cura di Cristina Guarnaschelli

Menzione speciale a Sergio Longoni nell’ambito del Premio Rosa Camuna 2020 La Rosa Camuna, simbolo che rappresenta il territorio lombardo e logo ufficiale di Regione Lombardia, è anche un Premio, conferito annualmente il 29 maggio, in occasione della Festa della Lombardia, proclamata per ricordare lo svolgimento della battaglia di Legnano (29 maggio 1176) quando le truppe della Lega Lombarda sconfissero l’esercito imperiale di Federico Barbarossa, ponendo così fine al tentativo di egemonizzare i comuni dell’Italia settentrionale da parte dell’imperatore tedesco. Il Premio Rosa Camuna riconosce pubblicamente «l’impegno, l’operosità, la creatività e l’ingegno di coloro che si siano particolarmente distinti nel contribuire allo sviluppo economico, sociale, culturale e sportivo della Lombardia (...) è conferito ogni anno, tenendo conto della rappresentanza dei territori, fino ad un massimo di 5 persone fisiche, imprese, enti, associazioni, fondazioni e realtà residenti, con sede o operanti in Lombardia» Dal 2016 è stata introdotta la facoltà del Presidente della Regione Lombardia e dell’ufficio di Presidenza del Consiglio Regionale di segnalare candidati, non assegnatari del Premio Rosa Camuna, che per riconosciuti meriti possono essere insigniti di una “Menzione Speciale”. Tra le 10 menzioni speciali previste quest’anno, spicca anche il nome di Sergio Longoni, presidente df Sport Specialist e Bicimania, che con la sua lunga attività imprenditoriale ha dimostrato negli anni il forte impegno per lo sviluppo del commercio e il sostegno allo sport sul territorio lombardo. L’edizione 2020, che coincide con l’anniversario dei 50 anni di Regione Lombardia, ha premiato i protagonisti della storia e dell’eccellenza del territorio. La menzione per Sergio Longoni recita:

“Dalla sua passione per lo sport è nata la DF SPORT SPECIALIST, un’azienda di riferimento per tutti coloro che, da professionisti o da amatori, si impegnano nelle attività sportive e ricreative. Sostenendo gare e associazioni sportive e benefiche contribuisce a divulgare i valori più veri dello sport sano ed educativo.” E chi ha avuto modo di incontrarlo, non può che riconoscerlo in questa definizione. “La nostra passione è fare sport. La nostra fortuna è fare dello sport il nostro lavoro” è il suo motto. Per lui lavorare è un questione scolpita nel DNA. Un uomo d’altri tempi. Un imprenditore, che si dedica al proprio lavoro e alla gestione della propria azienda con la stessa cura e la stessa attenzione paterna, con cui oggi i genitori seguono i figli nei compiti e nella crescita. Un imprenditore che ha saputo costruire, con lo stesso clima familiare, un’impresa di oltre 400 dipendenti. Il suo successo è frutto di un mix di dote innata, esperienza da ragazzo in attività commerciali e tanta, tantissima volontà, voglia di fare e passione. La sua avventura imprenditoriale inizia a Barzanò, siamo negli anni cinquanta con il negozio di calzature dei suoi genitori Ambrogio e Bruna. Da lì è partita la storia dell’imprenditore che tutti oggi noi conosciamo, e che ha saputo abbinare la sua passione per lo sport al lavoro. E nel suo ufficio, un regno costellato dalle foto dei cinque nipoti, custodisce appese alle pareti ogni singola targa di ringraziamento ricevuta, ogni pergamena di riconoscenza ottenuta. Le associazioni che ha sostenuto, quelle che ha aiutato, quelle che lo hanno eletto socio o presidente onorario per ricambiare il bene ricevuto. Ne ha tante, davvero tante. Ma le ricorda tutte e le mostra con commozione e orgoglio. Sono le sue monete più preziose, non hanno valore commerciale ma sono ricche di quello che nessuno potrà mai comprare: il valore umano. Sergio Longoni ha sempre messo in primo piano il suo grande impegno nel sostegno a manifestazioni sportive e benefiche del territorio lombardo, con l’obiettivo di diffondere i sani valori dello sport e la valenza educativa. L’agire concreto, il saper fare e la solidarietà sono valori distintivi che rispecchiano il carattere e la volontà di Sergio Longoni, oggi più che mai in questo difficile periodo che stiamo vivendo.

22 | Giugno 2021 | Uomini&Sport


SCOMPARE UNA FIGURA CHE HA AVUTO UN RUOLO IMPORTANTE NELLA STORIA DELLE AZIENDE DI LONGONI. Il saluto di Sergio Longoni va a Paolo Rusconi che ci ha lasciato il 18 Marzo 2021

Sei arrivato a Barzanò poco più che ragazzo, a metà anni ‘80. Allora avevamo ancora il solo negozio di Barzanò e ci preparavamo a vivere gli anni dello sviluppo commerciale. Ti sei distinto subito, la tua dedizione al lavoro, il senso del dovere. Ti sei reso subito simpatico con tutti i tuoi colleghi, entusiasta ed energico. Non è stato difficile prenderti ad esempio, sia dai colleghi più giovani ma anche da chi lavorava già con Noi. Nel reparto calzature hai creato in breve tempo un gruppo unito e consolidato, con cui era facile intendersi e bello collaborare. Nel corso degli anni queste qualità e capacità ti hanno sempre contraddistinto portandoti ad essere riconosciuto in tutto il mondo imprenditoriale sportivo, come una delle maggiori personalità tra i buyer del nostro settore. Hai sempre messo nel tuo lavoro una grande profondità: non ti limitavi a selezionare o vendere un prodotto, ma volevi conoscerlo e farlo Tuo prima di proporlo alla nostra clientela. Doti professionali unite a una grande qualità umana. Siamo rimasti fianco a fianco per 37 anni: abbiamo visto crescere insieme la Longoni Sport e non hai avuto nessun tentennamento a lasciarla e seguirmi, quando la mia strada ha preso un’altra direzione, dando vita alla Sport Specialist. Quando ho scritto che sei un pezzo di cuore e un pezzo di vita, non è stata una frase di circostanza. Al di là del legame professionale ci ha unito un profondo affetto, la stima reciproca e l’amicizia. Abbiamo avuto conferma in questi difficilissimi giorni che tutto ciò che SEI si percepiva anche all’esterno, tra i fornitori e il mondo sportivo. Tutti ti hanno dedicato parole di grande trasporto emotivo e affettivo, increduli per quanto è successo. Per noi non sarà possibile dimenticarti, ma siamo sicuri che sarà lo stesso per tutti quelli che ti hanno conosciuto e hanno lavorato con Te. Mancherai… Ma sarai sempre con Noi..

Ciao Oscar... Incapaci di accettare, siamo ancora increduli per quanto è accaduto. Hai perso la vita facendo qualcosa che amavi profondamente: salire una montagna, il Gran Zebrù. Una slavina ti ha portato con sé. Con te, Oscar, abbiamo perso un uomo incredibile, un collaboratore serio, estremamente capace, una persona piena di gioia di vivere che sapeva creare affiatamento, armonia e diffondeva allegria. Mancherai moltissimo non solo ai tuoi colleghi di Orio al Serio con i quali da anni condividevi lavoro, passioni e svago ma anche a tutti i clienti che a Orio venivano per farsi consigliare da Te; mancherai ai colleghi della sede e degli altri punti vendita con cui eri sempre pronto a condividere consigli e spiegazioni telefoniche. Ci resteranno i ricordi della tua energia, dell’entusiasmo che ci hai donato in questi anni passati con Noi e sono tutte immagini meravigliosamente felici. Ci stringiamo con tutto l’amore di cui siamo capaci intorno a tua moglie Chiara, ai tuoi splendidi bimbi Alessandro e Francesco e ai tuoi genitori, chiamati in queste ore alla prova più difficile e ingiusta... Non ti dimenticheremo Oscar, sarai per sempre nei nostri cuori. Con affetto, Sergio Longoni Oscar Cavagnis, mancato il 19 maggio 2021

Uomini&Sport | Giugno 2021 | 23


Sergio Longoni si unisce al ricordo dell’amico Mario Scaccabarozzi, Presidente e Fondatore del Coro Brianza, scomparso lo scorso novembre “Grazie Mario, ti ricorderemo ogni volta che canteremo, ti ringrazieremo ogni volta che col tuo coro porteremo tra la gente l’amore e la gioia che solo il tuo amato canto sa dare!” Con queste parole, postate su Facebook, il Coro Brianza ha salutato il suo Presidente e Fondatore, Mario Scaccabarozzi. Parole che chi lo ha conosciuto, non può che condividere e ripetere. Amico di lunga data di Sergio Longoni, dalla loro conoscenza aveva preso vita il progetto della rassegna dei Cori della Brianza, una collaborazione a fini benefici tra df Sport Specialist e il Coro Brianza che aveva portato sul palco del Centro Giovanile PAOLO VI di Barzanò, tantissimi gruppi e nel 2017, anche Antonella Ruggiero, per anni voce dei Matia Bazar. Incantava con la gentilezza, la cortese educazione, le buone maniere, e la passione per il canto, che lo ha accompagnato per tutta la vita.

Mario Scaccabarozzi con Sergio Longoni

24 | Giugno 2021 | Uomini&Sport

Alla fine degli anni ‘60 fondò, con un piccolo gruppo di amici accomunati dalla passione per il canto di montagna, il Coro Brianza, del quale era presidente da oltre quarant’anni. Sotto la sua presidenza e con la direzione del Maestro Fabio Triulzi (Maestro preparatore della Polifonica Ambrosiana di Milano), il Coro Brianza è diventato una delle compagini più rappresentative in Italia, tanto da esibirsi venerdì 1 maggio 2015 alla Cerimonia Inaugurale di EXPO 2015, eseguendo il “Canto degli Italiani” nella armonizzazione del Maestro Stefano Barzan, davanti al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Quello con Expo non fu un appuntamento isolato. L’emozione vissuta in un contesto così grandioso, fu doppiata il 31 ottobre 2015, quando il Coro Brianza si esibì davanti a tantissime autorità, anche alla cerimonia di chiusura dell’Expo di Milano. Il 21 Marzo 2018, nell’anno del 50° anniversario dalla sua fondazione, il Coro Brianza ha avuto l’onore di cantare ed essere salutato cordialmente dal Santo Padre Papa Francesco. Vantando una varietà di repertorio che spazia dal canto alpino al canto religioso, dal canto d’autore ai Gospels, il Coro Brianza ha raggiunto importanti consensi anche nelle platee internazionali. Nell’anno 2008, in Repubblica Ceca, alla manifestazione “In Praga Cantat”, ha ottenuto il premio per la migliore interpretazione dei brani eseguiti; nel 2010 ha partecipato al XII Festival Corale Internazionale di Canto Popolare “L’Europa e i suoi Canti” a Barcellona (Spagna) ottenendo la medaglia d’oro di categoria. Nel giugno 2017 è stato in tournèe in Giappone, a Tokyo ed a Noda, dove si è esibito riscuotendo grande ammirazione. Nel 2020, l’ultimo sotto la direzione di Mario Scaccabarozzi, il Coro Brianza ha partecipato al programma di Telelombardia “Tutti in Coro”. L’edizione è stata interrotta, a fine gennaio, a causa delle misure di contenimento della diffusione del Coronavirus. Come ricordano gli amici “Il Coro Brianza era la sua seconda casa, era felice ogni volta che apriva la porta della sede e noi lo eravamo con Lui, sempre pronto con una battuta, sempre primo ad aiutare, ad organizzare, a vivere intensamente ogni momento corale.” Si è spento domenica 1 novembre 2020. Aveva 82 anni.


Franco Gionco e Volkswagen Tiguan conducono df Sport Specialist in viaggio nella fiaba del Lagorai La Catena del Lagorai, nel Trentino orientale, si allunga dalla Val di Cembra alla magnifica comunità di Fiemme. È una parata ininterrotta di selvaggia bellezza. Soprattutto nelle giornate invernali, quando queste vette taciturne e solitarie, con i loro versanti nord in ombra, acquistano una ulteriore, affascinante aura di mistero. Sono forse le montagne meno antropizzate delle Alpi, sicuramente sono luoghi in cui la magia diventa una percezione reale e, nello stesso tempo, la realtà della montagna - così forte, così imponente, così sensuale - trascende nella magia. Un tesoro, naturalistico e umano, ancora sconosciuto ai più. Settanta chilometri, tanti ne ha percorsi Franco Gionco, nostro testimonial, a bordo della Volkswagen Tiguan brandizzata df Sport Specialist, risalendo le Valli di Cembra e di Fiemme: un viaggio nel tempo, nel cuore generoso e misterioso del Lagorai.

Luigi Bignami porta in TV il nostro brand df Mountain! Per le sue riprese e comparse televisive, Luigi Bignami sceglie, da tre anni, di vestire df Mountain, il nostro brand dedicato al mondo dell’outdoor in vendita esclusiva nei nostri negozi e online. Geologo, divulgatore scientifico e autore televisivo, Luigi Bignami è anche esperto di aeronautica, astronomia e scienze della Terra. In televisione ha condotto i programmi “Natura Avventura”, “Galapagos” e “Cinque continenti” e numerosi documentari su “Focus TV”. È stato redattore scientifico per i telegiornali delle reti Mediaset e ha collaborato con la trasmissione di divulgazione scientifica “La macchina del tempo”, con “Geo&Geo” e con Alberto Angela nel suo programma serale “Ulisse”. Bignami vanta anche la realizzazione di vari progetti con Rai Educational come “Una Giornata Spaziale”, “Stregati dalla Luna”, “Il Giorno della Cometa. Grazie Luigi per aver scelto df Mountain!

Uomini&Sport | Giugno 2021 | 25


La Coppa Italia di Snowboardcross, circuito FIS, fa tappa a Colere in Val di Scalve | 17 e 18 gennaio La due giorni di gare, targata Scalve Boarder Team, ha visto, domenica 17 gennaio, la vittoria di Raffaella Brutto e Niccolò Colturi. La pista di Colere in Val di Scalve è stata teatro del doppio successo azzurro che ha aperto le porte alla convocazione in nazionale per Niccolò Colturi. Giovane talento del club di casa, Niccolò Colturi ha vinto, anticipando i russi Andrey Anisimov e Danii Dilman. Organizzato dallo Scalve Boarder Team, l’evento è stato supportato da df Sport Specialist che ha “vestito” l’evento anche nella zona di partenza con l’arco di gara. Complimenti a Cesare Pisoni, allenatore della squadra nazionale di boardercross, amico e testimonial di lunga data di df Sport Specialist. A lui e ai suoi atleti i nostri complimenti per la stagione ricca di successi.

26 | Giugno 2021 | Uomini&Sport


Duathlon Sprint di BARZANÒ & MONTICELLO BRIANZA Grande spettacolo e pieno rispetto delle normative antiCovid-19, domenica 28 febbraio, al Duathlon Sprint di BARZANÒ & MONTICELLO BRIANZA con 350 atleti finisher. Attenta regia del Team Spartacus Triathlonlecco che ha potuto contare sulla preziosa supervisione dei Giudici Fitri, oltre alla collaborazione di ben 110 volontari, l’appoggio delle Amministrazioni Comunali di Barzanò e Monticello Brianza e la sponsorizzazione di df Sport Specialist. La preannunciata temutissima PAIN’S HILL è stata affrontata per ben 4 volte dai concorrenti e si è dimostrata la vera “primadonna” dell’evento che ha visto vincitori la coppia, anche nella vita, di Priarone Giorgia e Barnaby Gregory entrambi del 707 Triathlon Team. Mentre la gara femminile è stata dominata da Priarone, imprendibile su tutte e tre le frazioni, in campo maschile la lotta è stata avvincente con Barnaby, il più veloce sulla 1^frazione di 5 km percorsa in 15’02”; Fontana fa registrare il best time sui 20km di ciclismo guadagnando 30″ sul leader e Strada con 7’18” è il più rapido nell’ultima frazione run di 2,5km. Barnaby amministra saggiamente il suo vantaggio e vince con buon margine sui due giovanissimi del Raschiani Triathlon Team Strada e Angrillì. L’ampio consenso raccolto da parte di atleti e tecnici fa ben sperare per il futuro della manifestazione che potrebbe diventare una classica d’inizio o fine stagione per l’intero mondo del duathlon. PODIO FEMMINILE 1° Priarone Giorgia (707 Team)1:03:57 2° Mercatelli Asia (Raschiani Team)1:05:35 3° Cavalli Chiara (Cus Parma)1:06:29 4° Menditto Marta (Sia Frecce Bianche)1:07:03 5° Cibin Monica (Valdigne Team)1:08:51 PODIO MASCHILE 1° Barnaby Gregory (707 Team)54:28 2° Strada Nicolo’ (Raschiani Team)54’51 3° Ingrilli’ Davide (Raschiani Team)54:53 4° Fontana Matteo (Raschiani Team)55:25 5° Chitti Dario (Cus Parma)55:40

Il test della nuova scarpa “Velocissima” di Dolomite, al Parco del Curone Il parco regionale di Montevecchia e della Valle del Curone, area naturale protetta della Lombardia, ha fatto da scenario alla mattinata di test della nuova scarpa “Velocissima” di Dolomite. Due sessioni, sabato 15 maggio , con ritrovo al negozio di Bevera di Sirtori per una passeggiata nel parco accompagnati da una guida. Un’occasione che ha visto la partecipazione di un nutrito gruppo di appassionati che ha colto l’opportunità di testare le qualità tecniche della nuova Velocissima: una scarpa “approach” agile e con grip, ideale per l’avvicinamento tecnico alle pareti d’arrampicata. Caratteristiche principali: • Made in Italy • Ideali per l’avvicinamento e le scalate • Tomaia antiabrasione in Perspair® • Altamente traspirante • Suola Vibram® • Presa ottimale su terreni umidi e asciutti • Puntale preciso e avvolgente • Allacciatura avvolgente La nuova scarpa è in vendita nei punti vendita di Bevera di Sirtori, Milano e Orio al Serio. Vieni a scoprirla!

In foto, il team Dolomite.

Uomini&Sport | Giugno 2021 | 27


89° Cinque Mulini Nemmeno la pandemia ha interrotto la magia della Cinque Mulini. La corsa campestre che non si è fermata nemmeno in tempo di guerra, si è svolta domenica 28 marzo a San Vittore Olona, e ha visto arrivare al traguardo tre atleti in tre secondi per la gara maschile, vinta da Nibret Melak in 28’57”. L’atleta etiope è filato via liscio con la sua leggera falcata bruciando gli avversari, il keniano Leonard Kipkemoi Bett, vincitore dell’edizione dello scorso anno e secondo al traguardo in 28’58”, e l’etiope Muktar Edris, terzo in 28’59”. Fra gli azzurri, assenti dal podio dal 2005, il migliore è stato Yohanes Chiappinelli, settimo a livello assoluto. Per quanto riguarda la gara femminile, la vittoria è andata all’etiope Tsehay Gemechu sulla favorita Beatrice Chebet. Allungo vincente dell’etiope nel testa a testa finale all’uscita dal Mulino. Terza piazza per Sheila Chelangat del Kenia. Rebecca Lonedo è la prima atleta di casa a tagliare il traguardo al 9° posto. Per la categoria Juniores, la vittoria della gara maschile è andata a Konjoneh Maggi, che ha preceduto sul traguardo Elia Mattio e Nicola Cristofori. Per le Juniores femminili, si è invece imposta Katja Pattis su Ilaria Bruno e Chiara Belfico. Tra le atlete in gara anche la nostra testimional Elisa Pastorelli con il pettorale 28. L’albavillese è stata 8° tra le Promesse (6.200 i metri da percorrere), nella gara vinta dalla keniana Beatrice Chebet (18’56”). La portacolori dell’Atletica Lecco, 5° tra le italiane, è stata 21° nella classifica femminile assoluta. Anche quest’anno df Sport Specialist è a fianco di questa prestigiosa manifestazione sportiva in qualità di sponsor Ufficiale della gara Senior donne e della “Cinque Mulini OffSite”, la nuova gara “digitale” che si è disputata sulla distanza di 6.200 metri.

Foto: Assefocale

L’atleta e Testimonal df Sport Specialist, Elisa Pastorelli

News dal Team BMX Bicimania Garlate Il Team BMX Bicimania Garlate non si è mai fermato con l’attività nel 2021: è ripresa la stagione di competizioni, il numero dei tesserati è aumentato e c’è in programma di ampliare l’impianto attuale per rendere ancor più funzionale la didattica. Lunedì 3 maggio la squadra ha ricevuto una splendida sorpresa: la visita del Presidente FCI Cordiano Dagnoni. Il Presidente ha voluto stare subito in pista con i ragazzi e seguire alcune fasi dell’allenamento in corso facendo domande e battute con i riders. Successivamente si è trattenuto con i dirigenti del Team BMX Bicimania Andrea Radaelli e Gianluca Bonanomi parlando del presente e dei progetti futuri. Nel weekend 8 e 9 maggio sulla pista Olimpica di Verona si è disputata la 1° e 2° prova di Coppa del Mondo BMX 2021. Insieme a tutti i big Elite mondiali della disciplina (160 iscritti per l’evento a Verona) ha debuttato anche Marco Radaelli (junior 2° anno) l’atleta del Team BMX Bicimania Garlate che per l’occasione è stato convocato con la Nazionale Italiana del CT Lupi Tommaso. Per tutto il Team BMX Bicimania Garlate è motivo di orgoglio e soddisfazione, per Marco è stato il battesimo nella categoria regina, un impegno affrontato con maturità esprimendo tutto il suo attuale potenziale.

28 | Giugno 2021 | Uomini&Sport

I ragazzi con Cordiano Dagnoni (Presidente FCI) e Andrea Radaelli (presidente del Team Bicimania Garlate)

Gara di Coppa del Mondo con Marco Radaelli - numero 5 e con maglia azzurra.


Sulle piste di Colere, giovedì 1 e venerdì 2 aprile, le gare di snowboard cross valevoli per la Coppa del Mondo di para snowboard Torna in Italia dopo cinque anni e arriva a Colere, in val di Scalve, la Coppa del Mondo di para snowboard. Un appuntamento iridato che rende onore alle montagne bergamasche, decise nel presentare la propria candidatura all’International Paralympic Committee all’indomani della prova disputata a Phya in Finlandia a metà febbraio. È Mirko Moro che chiude nel migliore dei modi la due giorni di Coppa del Mondo a Colere. Sulle nevi di casa, Mirko Moro ha conquistato il terzo posto nello snowboard cross di categoria upper limb, portando a casa il primo podio in carriera. Amarezza, invece, per Jacopo Luchini, che sfiora la vittoria nella classifica generale di Coppa del Mondo. Dopo la piazza d’onore ottenuta nella prima giornata di gare, il toscano è caduto mentre si trovava in seconda posizione: un imprevisto che ha visto andare in frantumi i sogni di vincere la Coppa del Mondo, conquistata invece dal britannico James Barnes-Miller, secondo al traguardo dietro al vincitore di giornata, il francese Maxime Montaggioni. Grazie ai suoi quattro alfieri, l’Italia chiude sul podio anche nella classifica per nazioni, con 7030 punti, somma dei risultati maschili e femminili di tutte le categorie. Primo posto per l’Olanda (8550), secondo per gli Stati Uniti (7730). Anche in questa occasione df Sport Specialist è stato sponsor della manifestazione.

foto: Alesiska Foto

Df Sport Specialist sponsor della VUT 2021 Df Sport Specialist è tra i main sponsors della quarta edizione della VUT “Valmalenco UltraDistance Trail”: 90 chilometri con 6.000 metri di dislivello positivo. La gara monumento, dopo un anno di pausa causa pandemia, torna venerdì 16 e sabato 17 luglio. E si fa in tre.

Con gare di altissimo livello: la 100 miglia del Bernina potrà accogliere massimo 60 atleti, che salgono a 200 per la 90 chilometri. La 35 chilometri vedrà al via massimo 300 iscritti e sarà Trofeo df Sport Specialist.

Franco Collè all’arrivo della VUT 2019

Uomini&Sport | Giugno 2021 | 29


THE NORTH FACE: “POWERED BY VECTIV™” LOCAL RUNNING AMBASSADOR PROJECT – ITALIA Nell’ambito delle iniziative volte a promuovere la nuova Collezione footwear VECTIVTM presentata nella PE2021, THE NORTH FACE ITALIA ha messo a punto un programma di local social ambassador e test prodotto, in collaborazione con df Sport Specialist. Tra i requisiti per aderire al programma, essere appassionati di trail running e di montagna, utilizzare con continuità i social per condividere e essere interessati a testare le ultime novità di prodotto. Luca Rota e Sara Pirovano sono stati i selezionati come ambassador per df Sport Specialist / The North Face. All’attività con gli ambassador, si è affiancato un test tour nei negozi di Milano, Lissone, Gerenzano, Bevera di Sirtori, Desenzano per i clienti e il personale di vendita del reparto running. Ecco le impressioni dei responsabili running dei punti vendita: “Dopo l’utilizzo sui sentieri vicino a casa, la scarpa mi è sembrata molto ammortizzata con una buona tenuta sui vari terreni. L’effetto rocce non mi ha convinto molto anche perché chi come me ha una pronazione tende a pronare ancora di più. Concludo dicendo che la scarpa è di buona qualità. Grazie per avermi dato la possibilità di testare il prodotto”. Ferruccio Anghileri - Responsabile vendite scarpe trail, Lissone “Calzata adatta a piedi a pianta medio larga. Ottimo ammortizzamento che la rende adatta a lunghi allenamenti sulle medie e lunghe distanze. Adatta anche a lunghe camminate anche in ambiente urbano. Buona la spinta e

il grip in salita su terreni non troppo tecnici (sterrato, erba e fango). Buona la frenata e la stabilità in discesa. La forma della suola garantisce un’ottima rullata permettendo di distribuire il peso uniformemente su tutto l’arco plantare, senza affaticare troppo il tallone. Traspirazione buona. Consigliata per piedi normali e pronatori, per runners medio pesanti. Poco adatta a runners con il piede piatto visto l’arco plantare estremamente pronunciato.” Alessandro Meola - Responsabile vendite scarpe trail e Andrea Frantini Responsabile vendite scarpe running, Milano. “Scarpe molto confortevoli: un dettaglio assolutamente interessante che ho molto apprezzato è che è molto ammortizzata e in fase di appoggio aiuta tanto la rullata, grazie all’intersuola con un buon rocker. Ho testato la Vectiv Infinite: piacevole la tomaia in kevlar che dà molta sicurezza per la resistenza agli urti.” Massimo Trevaini - Direttore Orio al Serio.

SHOE TEST EXPERIENCE ADIDAS Nel pieno della stagione del running, ripartono, nel rispetto delle norme sanitarie, anche i test prodotto. Df Sport Specialist è partner di alcune tappe del tour Shoe Test Experience di Adidas che prevede la presenza di un VAN dedicato alla prova degli ultimi modelli di scarpe da running: Ultraboost 21, Solar Boost, Solar Glide sia uomo sia donna, Adizero Boston e Supernova (solo uomo). Sei pronto a scegliere la tua nuova scarpa? I coach Adidas sono a tua disposizione per farti scoprire la nuova collezione e indicarti il modello più adatto a te e al tuo stile di corsa. Cerca il VAN Adidas, le prossime tappe, in collaborazione con df Sport Specialist, sono: - sabato 5 giugno: Bevera di Sirtori, negozio df Sport Specialist - domenica 6 giugno: Milano, Parco Nord Sul sito df-sportspecialist.it, trovi i dettagli dei singoli appuntamenti: prenota il tuo test! Ai partecipanti verrà regalato un gadget e uno sconto utilizzabile su tutta la linea running adidas in vendita nei negozi df Sport Specialist. Non perdere questa occasione!

30 | Giugno 2021 | Uomini&Sport

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KTM PROTEK ELETTRO SYSTEM tra agonismo, escursionismo e corsi Il 2021 della mountain bike, nonostante le limitazioni della pandemia, presenta un calendario agonistico, sia nazionale che internazionale con gare di prestigio. KTM PROTEK ELETTROSYSTEM ha confermato gli atleti, inserendo la promessa valdostana, già due volte Campionessa Italiana Junior, Nicole Pesse. Vestono i colori arancio-neri i due Campioni Italiani Under 23, Marika Tovo e Juri Zanotti e con loro Giada Specia, Marta Zanga, Mirko Tabacchi, Alessio Agostinelli, Domenico Valerio, Mattia Beretta, Andreas Vittone, Michael Pecis, Matteo Bianchini e Simone Colombo. Le prime gare hanno messo in risalto il valore dei bikers KTM PROTEK ELETTROSYSTEM, conquistando 3 primi posti e 6 podi, positive le due gare di Coppa del Mondo in cui si sono messe in evidenza sia Marika Tovo, sia Giada Specia che hanno conquistato in entrambe le prove la Top Ten tra le Under 23, così come Juri Zanotti che ha centrato la Top Ten nella prova di Nové Město na Moravě (Repubblica Ceca). Ora inizia il periodo preolimpico con gare di maggior peso ed il Campionato Italiano che si terrà in Val di Lana, Biella, 10-11 luglio. Di pari passo con l’attività agonistica sono ricominciate le escursioni che i soci organizzano settimanalmente. Folta partecipazione a queste pedalate per i sentieri e le valli della Brianza, con puntate nei territori limitrofi del lecchese e del comasco. Sono ripresi i corsi, per le Ladies, più di 30 le partecipanti e per gli MTBoys, con circa 40 iscritti, che si tengono nel Parketto Bike di Monticello Brianza, dove è stato realizzato un percorso, libero accesso a tutti, con alcuni ostacoli artificiali. Purtroppo anche quest’anno non sarà possibile organizzare la Pedala coi Lupi, sarà riproposta con nuove idee nel 2022. “Le nostre attività hanno ripreso nel migliore dei modi, sia per la parte agonistica che per quella più legata all’escursionismo ed ai corsi.- Dichiara Fabrizio Pirovano - Questo grazie anche a chi ci sostiene e crede nel progetto che portiamo avanti da oltre 30 anni” [Foto: Emanuele Barbaro]

Pavan Free Bike chiamati a confermare la linea vincente delle ultime stagioni

Paola Bonacina al Gran Prix d’Inverno

Nonostante tutte le limitazioni dovute al Covid-19 e le poche gare in calendario, dire che il 2021 di Pavan Free Bike sia un anno segnato dal segno “+” potrebbe essere perfino riduttivo. In un contesto così difficile, però, raccontare la positiva stagione rosso-bianco significa ripercorrere una lunga cavalcata di 31 anni fatta di successi ottenuti sulle strade di tutta l’Italia. Le 18 vittorie conquistate nei primi mesi dell’anno non sono solo questione di matematica, ma affare di passione e di voglia di emergere, di sacrificio e di ricerca di obiettivi sempre migliori. Il sodalizio brianzolo ha ritrovato per questa nuova stagione nuovo entusiasmo con il potenziamento del suo settore giovanile e un incremento di tesserati delle categorie amatoriali, con l’arrivo in squadra di cinque nuovi atleti, tra cui il sei volte Campione Italiano, Claudio Zanoletti. Le tre maglie conquistate al Gran Prix d’Inverno, da Alberto Riva, Claudio Zanoletti e Paola Bonacina, i tre titoli di campione regionale ottenuti a Niardo ad inizio maggio dagli stessi atleti, rappresentano solo alcune delle perle più preziose della collana griffata 2021, un’altra stagione fatta di vittorie, di imprese da podio (7 secondi posti, 18 i terzi) nelle dieci gare disputate. Questo e molto altro ancora è stato finora il 2021 di Pavan Free Bike: ognuno dei 21 ragazzi della squadra e dalle tre ragazze ha dato il proprio contributo a scrivere pagine che rimarranno nella storia del team che dal 2018, grazie a Bicimania e df Sport Specialist, vanta la partnership tecnica con il marchio di biciclette della Repubblica Ceca, Superior Bikes. Nel 2019 la squadra si è distinta anche a livello internazionale con la conquista del titolo europeo cross country con Karin Tosato e due medaglie d’argento ai Mondiali Masters in Canada. ”Con una rosa di atleti come questa, non possiamo che essere ambiziosi, molte sono le aspettative che abbiamo e siamo certi i ragazzi non deluderanno” – spiega il presidente Antonio Pavan – “Quest’anno puntiamo a cinque maglie tricolori, ma tra gli obiettivi stagionali ci sono sicuramente anche i Campionati Mondiali e Europei. Non sarà una passeggiata, la squadra è cresciuta in qualità e nei numeri e siamo pronti per raggiungere risultati di altissimo livello”. [Foto: Pavan Free Bike]

Pavan Gran Prix d’Inverno 2021 Uomini&Sport | Giugno 2021 | 31


PER CONOSCERE I TESTIMONIAL DEL TEAM DF SPORT SPECIALIST

a cura di Cristina Guarnaschelli

IL TEAM SI ARRICCHISCE DI TRE NUOVE ATLETE

DF Sport Specialist presenta “Storie di Sport”. L’emozione che diventa storia, il nuovo format di interviste che ci accompagna alla scoperta di grandi sportivi

STORIE DI SPORT

Giovedì 25 marzo - Lo Sport è fatto di emozione, sacrificio, valori e passione. Abbiamo chiesto ai nostri testimonial e ad altri grandi campioni di raccontarsi in un’intervista composta da dieci domande. Ognuno di loro ci ha svelato gli aneddoti più divertenti e le vittorie più importanti della loro carriera, ma non solo: tutti gli atleti ci hanno confidato i propri successi e insuccessi, le loro più grandi paure e debolezze, ma anche i propri sogni realizzati e ancora da realizzare in una video-intervista esclusiva e unica. Storie di Sport è la raccolta di racconti e immagini dal sapore sportivo che a cadenza settimanale viene pubblicata sul nostro sito e sui nostri canali social. Nasce dal forte desiderio di regalare un appuntamento imperdibile tra i nostri appassionati di Sport e i grandi atleti ospiti nei nostri studi. Tra gli sportivi ci sono importanti nomi dello Sport italiano ed internazionale di tutte le discipline, dal running all’alpinismo, passando per il triathlon, lo sci, lo snowboard, il trail running e non solo. Tra le interviste, ampio spazio è stato dato anche ai giovani, le nuove promesse dello sport, che ci svelano i motivi che li hanno spinti fin qui e i segreti della loro disciplina. A rompere il ghiaccio il 25 marzo è stato Daniel Antonioli, specialista del Winter Triathlon (corsa, mountain bike e sci di fondo), disciplina che pratica sin da ragazzo, Sci Alpinismo e Skyrunning. A seguire, nelle settimane successive, sono andate in onda le interviste a Cesare Pisoni, Monica Casiraghi, Elena Fustella, Matteo Della Bordella, Mario Poletti, Maria Righetti, Beatrice Colli, Daniela Gilardi, Stefano Carnati. L’appuntamento, è quindi, sul sito www.df-sportspecialist.it e sui canali www.facebook.com/dfsportspecialist/ e Instagram @dfsportspecialist.

32 | Giugno 2021 | Uomini&Sport


ELENA FUSTELLA domina i Campionati italiani Master Indoor e i Campionati italiani di Corsa su Strada Master Due importantissimi titoli per Elena Fustella ai Campionati italiani al Palaindoor di Ancona, svoltisi dal 18 al 21 marzo, che l’hanno vista conquistare la medaglia d’oro in entrambe le gare a cui era iscritta, i 1500 e i 3000 metri SF60. Subito nella giornata inaugurale, Elena completa in 5’33’’13 la distanza più breve, staccando di quasi 50’’ la seconda classificata e portandosi così, a soli 1”27 dal primato italiano. La campionessa ha commentato questo importante risultato sulle sue pagine social: “Oggi ai Campionati Italiani Indoor di Ancona ho riprovato una sensazione che da tempo non provavo o se solo mi si avvicinava, la rifiutavo, la voglia di soffrire fino in fondo.” Si tratta infatti del suo 44° titolo vinto in carriera, tutti nella categoria Master, a cui si aggiungono anche numerose medaglie internazionali sia individuali che di squadra. Ma non finisce qui: la mattina seguente, Elena Fustella replica quanto fatto il giorno prima. Dopo 15 giri e metà gara in solitaria, il cronometro batte il tempo 11’39”12, non lontano ancora dal primato italiano, che resiste per meno di 6”. La campionessa, quindi, domina le sue avversarie anche nei 3000 metri, portandosi a casa un altro primo posto. Anche in questa occasione è il 45° titolo, da condividere con le sue compagne di squadra e la sua allenatrice, Maria Righetti, che tifavano per lei da casa. In merito scrive: “15 giri da sola non sono stati facili, ma sapevo che a casa i ragazzi della mia squadra mi stavano seguendo e tifavano per me: non volevo deluderli. Sentivo il loro calore, le loro incitazioni, perché noi siamo un gruppo, una famiglia.” Domenica 23 maggio Elena Fustella ha vinto ancora. Suo il titolo Italiano 10km su strada, prima classificata in 42’15’’ a Paratico (BS) ai Campionati italiani individuali e di società master di corsa su strada.

CESARE PISONI vince il MOSE Monte Ocre Snow Event

Cesare Pisoni, si è aggiudicato, domenica 11 aprile a L’Aquila in Abruzzo, il MOSE Monte Ocre Snow Event, la gara di sci e snowboard alpinismo. Pisoni, già dominatore delle edizioni del 2012 e 2017, ha saputo imporre fin dall’inizio, un ritmo altissimo, che ha mantenuto su tutto il dislivello di 865 metri di questa decima edizione. Ha chiuso in 53’55” quarto assoluto e primo della sua categoria!

Uomini&Sport | Giugno 2021 | 33


MARIA RIGHETTI vince la seconda tappa della Milano&Monza Run Free È un sole caldo ad accogliere i runner milanesi alla seconda tappa di Milano&Monza Run Free che si è svolta domenica 25 aprile al Monte Stella, la “montagnetta di San Siro”. Nel rispetto delle normative sanitarie vigenti e del protocollo FIDAL, alle 9.30 due ‘onde’ di partenza, la prima riservata agli uomini e dopo cinque minuti quella riservata alla gara femminile. 10km la distanza da percorrere su due giri, tutti in modalità ‘trail’ con un tracciato che ha presentato dislivello su sentieri e ghiaia, non poco impegnativi per i concorrenti. Nella gara femminile netta supremazia di Maria Righetti, che vince con un più che valido 37’52”. Maria era stata terza la domenica precedente, 18 aprile, nella prima tappa di Milano&Monza Run Free al Parco di Monza. Il 9 maggio Maria è seconda al Parco Forlanini, alla tappa successiva della Milano &Monza Run Free. [Foto: Phototoday]

BEATRICE COLLI new entry nel Team Atleti df Sport Specialist Df Sport Specialist è fortemente radicata al territorio della Brianza, luogo d’origine della lunga attività imprenditoriale di Sergio Longoni, presidente dell’azienda. Oggi, questo legame è più forte che mai: ricorda l’importanza di riconoscere le proprie radici, del valore di sostenere e affiancare chi insegue un sogno e una passione per lo sport. E così è sempre stato per df Sport Specialist: scoprire nuovi talenti e accompagnarli sin dai loro primi passi sportivi. Fedele a questa filosofia di vicinanza, df Sport Specialist ama “affidare” il proprio brand ad atleti che incarnano e raccontano storie di sport nate “sotto casa”. La new entry nel Team di atleti df Sport Specialist 2021, che incarna pienamente questo spirito, è Beatrice Colli, classe 2004, giovane promessa dell’arrampicata sportiva. Nonostante la giovane età, Beatrice è determinata, ha le idee chiare sul suo presente e futuro nello sport. È partita arrampicando sui muretti intorno a casa, per passare poi alla palestra del suo paese, Colico, ed entrare a far parte del gruppo dei Ragni di Lecco e della squadra nazionale giovanile di arrampicata, allenata da Fabio Palma. Un percorso intenso e rapido che conferma le sue grandi doti atletiche. Il talento non le manca e l’ambizione pure: Beatrice ha obiettivi sportivi chiari e ben delineati – come ci ha raccontato durante l’intervista a Storie di Sport online da giovedì 13 maggio su df-sportspecialist.it. Nel 2019 ha vinto la Coppa Europa Speed categoria Youth B (Under 16), vicecampionessa italiana assoluta Speed e nazionale giovanile lead e Boulder. In falesia ha salito due 8b. Il 3 maggio 2021 è diventata vice campionessa europea specialità Speed nella categoria Youth A, Under18. Nell’impianto di Pern, in Russia, ha siglato il miglior tempo di qualifica in 8″27 (suo personale). Poi la finale persa per un pugno di centesimi contro la russa Alina Ivanenko. Benvenuta Beatrice!

ILARIA BIANCHI, dalla Cross del Campaccio ai Campionati Italiani 10km su strada Si è aperto un altro anno di podi per Ilaria Bianchi, atleta specializzata in mezzofondo, fondo e corsa in montagna. Prima classificata a San Giorgio su Legnano (MI), alla gara master 4km in 14’49’’ alla cross del Campaccio, edizione numero 64. La corsa campestre, in genere sempre in calendario al 6 gennaio, è stata rinviata quest’anno, causa Covid19, al 20 marzo. Prima classificata nella categoria SF35 alla Milano&Monza Run Free, nella tappa al Parco di Monza il 18 aprile. Domenica 23 maggio, Ilaria si è classificata terza, nella categoria SF35, ai Campionati Italiani 10km su strada a Paratico (BS) in 38’29’’. [Foto: Campionati Italiani 10 km su strada a Paratico]

34 | Giugno 2021 | Uomini&Sport


LUCA SCHIERA nuovo presidente dei Ragni di Lecco Nel corso dell’assemblea ordinaria dei soci dello scorso sabato 8 maggio, i Ragni hanno votato per il rinnovo della presidenza del gruppo e del consiglio direttivo. Il testimone è passato dunque dal presidente uscente Matteo Della Bordella, giunto alla naturale conclusione del suo mandato triennale, all’erbese Luca Schiera, testimonial df Sport Specialist, uno dei più forti alpinisti del gruppo, che, nei tre anni passati, ha già ricoperto la carica di consigliere. Questo il suo commento dopo l’elezione: “Ho conosciuto i Ragni sin dai primi momenti in cui ho cominciato a frequentare l’ambiente della montagna, perché i Maglioni Rossi hanno fatto la storia delle nostre montagne e non solo. Nel mio percorso di scalatore ho avuto la fortuna di incontrare e legarmi con alcuni di loro, che mi hanno aiutato a crescere e hanno poi voluto che anch’io entrassi a far parte del sodalizio. Grazie al loro stimolo e supporto ho potuto realizzare cose che altrimenti non avrei mai neppure potuto immaginare. Per questo voglio restituire qualcosa al Gruppo, impegnandomi nel ruolo di presidente. Sono certo che, assieme ai membri del consiglio direttivo, continueremo a portare avanti le attività con lo slancio degli ultimi anni a diffondere la cultura alpinistica, seguendo l’ottima strada già tracciata da chi mi ha preceduto”. Il nuovo presidente sarà affiancato da consiglieri di grande esperienza come Carlo Aldé, Luca Passini, Simone Pedeferri, Dimitri Anghileri e il past president Matteo Della Bordella. New entry del direttivo è invece il comasco Paolo Marazzi.

I fratelli BONACINA sul podio del Campionato Italiano Triathlon Cross Country e del Campionato Italiano Acquathlon Nella pittoresca cornice di Sestri Levante (GE), sabato 15 maggio, è stato Michele il primo dei fratelli Bonacina a gustare la soddisfazione del podio, vincendo il titolo Italiano Assoluto di Triathlon Cross Country. Ha completato 1km a nuoto, 20km in mountain bike e 5km di corsa con il tempo totale di 1h43’57”, conquistando il 2° posto Assoluto (1° il francese Maxim Chane fuori classifica) che gli vale sia come Titolo Italiano Assoluto, sia di categoria S2. Domenica 16 maggio, è il turno di Carlotta che concorre nel Campionato Italiano di Acquathlon. La gara consiste in 1000m a nuoto e 5km di corsa. Nuota la prima frazione con il 4° tempo parziale e nella successiva, sui 5km, ferma il cronometro su 34’32” totali, tempo le che vale la medaglia d’argento. È seconda Assoluta e seconda di categoria S1.

DANIEL ANTONIOLI vince la Esino SkyRace Domenica 23 maggio, il nostro testimonial Daniel Antonioli, si è imposto all’ottava edizione della Esino SkyRace, la gara ad anello con partenza e arrivo a Esino Lario. Daniel ha tagliato il traguardo a braccia alzate al termine di una gara ricca di difficoltà tecniche, sullo stesso tracciato degli anni passati: 27km e 2000m di dislivello positivo. 2h41’00” il suo tempo: “Sono contentissimo, percorso davvero bello e ben segnalato, complimenti agli organizzatori – ha detto all’arrivo -. È stata dura perché, soprattutto sulla prima salita, con questi giovani ho dovuto sudarla. Ho preso un po’ di vantaggio su un tratto tecnico ma ho avuto Del Pero sempre vicino e ho dato tutto fino all’arrivo”.

Uomini&Sport | Giugno 2021 | 35


I CONSIGLI DEGLI ESPERTI a cura di Luca Brivio, responsabile reparto montagna / calzature, df Sport Specialist di Lissone

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KAYLAND / CROSS MOUNTAIN GTX

SALEWA / ALP TRAINER 2 MID GTX

Scarpone di concezione “Cross Over” tra l’alpinismo tecnico e il backpacking. Il modello Cross Mountain Gtx è il nuovo concetto di comfort e prestazione in montagna, sviluppata per offrire il massimo della sicurezza sul terreno misto montano e percorsi tecnici anche rocciosi. Grazie alla predisposizione dell’utilizzo del rampone semiautomatico è perfetto anche su neve e ghiaccio, il giusto compromesso tra leggerezza e tecnicità, adatta a chi con una sola calzatura, vuole affrontare al meglio l’esperienza alpinistica e di trekking. La tomaia è in crosta e tessuto ultra tecnico, antitaglio. Sistema protettivo “ankle lock technology” per proteggere la caviglia e tenerla sempre in sede, la membrana Goretex Performace Comfort garantisce impermeabilità e massima traspirabilità. L’intersuola, in microporosa, ammortizzante e durevole con battistrada Vibram Mulaz Evo, lo rende altamente grippante sia in salita sia in discesa. Per ultimo, il prezzo, molto competitivo, in confronto ad altri marchi di maggior grido.

È uno scarponcino leggero, agile e comodo. Concepito per avere un comfort immediato e una vestibilità precisa, che supporta e avvolge il piede. Il sistema 3F System, garantisce un solido supporto della caviglia e di stabilità laterale, costruito con robusta tomaia di pelle scamosciata, d’alta qualità e tessuto elastico, combinata con una membrana traspirante e impermeabile in Goretex. Garantisce una protezione affidabile sui diversi tipi di terreno e anche in condizioni di tempo variabile. Presenta un fascione di gomma, per una maggiore protezione dalle rocce. La suola in Vibram Alpine Hiking offre ottima aderenza e trazione sui vari terreni di montagna. Grazie alla Climbing Zone e allacciatura da arrampicata è adatta per avere una maggiore precisione sui sentieri tecnici tipo ferrate o arrampicate. È consigliabile a chi vuole uno scarponcino leggero ma tecnico, con un utilizzo che si adatta alle varie attività stagionali.

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MONTURA / YARU TECNO GTX

DF MOUNTAIN / COSMIC

Calzatura leggera chiamata anche “da approach”. Modello concepito e studiato per esaltare il comfort generale della camminata. La tomaia di taglio mid è in pelle scamosciata idrorepellente, e presenta un bordo protettivo antiabrasione “Pu Protech”. La calzatura, inoltre, è dotata di una membrana Goretex che rende la scarpa impermeabile e offre un microclima ottimale in ogni stagione. Il sistema di allacciatura (dual zone) veloce e diviso in due parti, permette un’ottima personalizzazione della chiusura, avvolgendo il piede comodamente, per una precisione ottimale in scalata o su terreni tecnici. L’intersuola anatomica in “Eva co iniettata” abbinata a una parte strutturale antitorsione, esalta il comfort generale, dando ottima stabilità e ammortizzazione nella camminata. La suola “Montura Signal” con mescola Megagrip di Vibram offre un’aderenza senza pari, sia sul bagnato, sia sull’asciutto. Ha una buona durabilità e un equilibrio ottimale tra stabilità e flessibilità, per un perfetto adattamento su tutti i terreni. Una scarpa da escursionismo a 360°, dagli avvicinamenti a parete alle vie ferrate, si adatta perfettamente a qualsiasi tipo di sentiero anche innevato.

La scarpa rispecchia in pieno la filosofia dei prodotti DF, la quale vuole proporre ai propri clienti un prodotto di qualità a prezzo contenuto. La ricerca di materiali sempre più innovativi abbinati ad un look tecnico e aggressivo, fanno della Cosmic la calzatura adatta a qualsiasi tipo di utilizzo: dal uso quotidiano, di lavoro o tempo libero, ma soprattutto adatta ad affrontare le varie tipologie di sentieri, anche tecnici e impegnativi delle nostre amate montagne, come “Grigne” e “Resegone “. Ottimo è il comfort di calzata, costruita con una tomaia in sintetico ed inserti in pelle scamosciata, accoppiata a una membrana impermeabile waterproof. Il tutto viene montato su una intersuola in eva, con supporto antitorsione, per una maggiore stabilità e ammortizzazione. Il sistema di allacciatura permette un’ottima regolazione di calzata, tra collo e avampiede. La suola con mescola Vibram tassellata offre massima aderenza e trazione. Consigliabile ad un vasto pubblico di utilizzatori, per la sua capacità di soddisfare qualsiasi tipo di esigenza.

36 | Giugno 2021 | Uomini&Sport


ALPINISMO AL TEMPO DI PANDEMIA

“Incroyable”: una via che mancava al Pilastro Rosso del Brouillard Testo di Matteo Della Bordella Foto: Archivio Cazzanelli - Della Bordella - Ratti

Da un arrampicatore di primo rango, qual è Matteo Della Bordella da tempo al top dell’alpinismo italiano, ci aspettiamo sempre di vederlo alle prese con qualche problema irrisolto su una delle tante pareti che esulano dal nostro continente. Non sbagliamo a pensarla così, se è lui stesso a confermarcelo nell’articolo che ci ha fatto pervenire in anteprima. Qui troviamo che alla fine ha dovuto fare di necessità virtù, in quanto i viaggi intercontinentali, in questi ormai troppi mesi che impongono precauzioni senza limiti, sono diventati un irraggiungibile miraggio. Ma per un tipo come lui che non può vivere senza arrampicare, e che comunque è un campione anche nell’ambito della fantasia e dell’iniziativa, ritornare nel “giardino che ha dietro casa”, chiamato “Monte Bianco”, non poteva essere un sofferto ripiego. Il suo intuito geniale gli consente di individuare, tra le due prestigiose vie esistenti sul Pilastro Rosso del Brouillard, una nuova linea impegnativa e talmente entusiasmante da fargli quasi dimenticare le montagne che lo stanno aspettando lontano, tanto lontano da “casa”.

20 giugno 2020. Gli scarponi sprofondano nella neve scaldata dal sole, arranco con fatica sul ripido pendio verso i bivacchi Marco Crippa, 3837m, e Giuseppe Lampugnani, 3852m, al Pic Eccles. Siamo soli, e c’è un sacco di neve fresca in giro: le fronti sudate, la gamba si appesantisce, mentre ci alterniamo a battere traccia. Il Pilastro Rosso del Brouillard sembra sorriderci: prima ci guarda dall’alto in basso, poi lo vediamo bene di fronte a noi, in tutta la sua maestosità e il suo splendore. Sembra chiamarmi a sé… sembra che quella roccia perfetta sia stata creata apposta per essere scalata! Mentre giochiamo a zig-zag tra i crepacci, non tanto visibili a causa dell’abbondante neve, penso a quanto mi sia mancata la montagna in soli tre mesi. Dopo il viaggio in Patagonia, infatti, questa è la prima vera e propria uscita in ambiente alpino. Mi viene in mente più volte quell’ultima potente frase di Marco Anghileri che scrisse, a poche centinaia di metri di distanza da dove mi trovo adesso, “sono nel posto più bello del mondo”. La prospettiva di passare un’estate a scalare su queste montagne non mi dispiace affatto: ho tante idee che mi frullano in testa da anni, e forse è arrivato il momento giusto per realizzarle. Per un attimo dimentico la fatica, lo zaino sembra leggero e la fantasia mi porta ad immaginarmi già sul granito del Pilastro Rosso, sui diedri delle Grandes Jorasses e in altri angoli sperduti di questo fantastico giardino che ho dietro casa, chiamato “Monte Bianco”. Nel primo pomeriggio raggiungiamo la base del Pilastro; siamo io e Gabriele Boglino, un amico di Ivrea alla sua prima volta in questa zona del massiccio. Abbiamo deciso di dormire in tenda, su un promontorio al riparo da eventuali scariche, a un centinaio di metri dalla parete. Certo, portarsi su tutta la roba è stata una faticaccia, ma essere lì in quel momento è bellissimo e ripaga di tutti gli sforzi. Il giorno seguente ripetiamo la “direttissima Gabarrou – Long”, capolavoro di intuizione ed estetica e grande classica, che non avevo ancora salito (ndr, aperta in due giorni, il 28 e 29 luglio 1984, da Patrick Gabarrou e Alexis Long).

Ripetere questa via è stato per me un tassello fondamentale: la mia fantasia aveva già immaginato la linea di roccia vergine che mi sarebbe piaciuto aprire sul Pilastro Rosso, tuttavia mi occorreva conoscere esattamente dove passassero le due vie al suo fianco (“Anneaux magiques”, che avevo già ripetuto, e la “Gabarrou – Long”), prima di essere certo vi fosse lo spazio e la logicità per aprire un nuovo itinerario, senza che risultasse un pout-pourrì di vie esistenti. Inoltre, questa ripetizione sarebbe stata il perfetto allenamento e acclimatamento, in vista di progetti futuri più impegnativi su queste montagne.

Uomini&Sport | Giugno 2021 | 37


Il Team al completo dopo la salita in libera: da sinistra di seguito, Matteo della Bordella, François Cazzanelli, Francesco Ratti, Isaie Maquignaz.

29 giugno 2020. “Time is now”. È tutto pronto per provare a trasformare la mia idea in qualcosa di reale. In settimana ho telefonato ad alcuni dei miei abituali compagni di avventura, ma purtroppo li ho sentiti tutti già impegnati con il loro lavoro o con altri progetti. Ancora una volta, una difficoltà si trasforma invece in un’opportunità…quella di creare una nuova cordata! D’altronde, come sostiene l’alpinista americano Mike Libecki, “Why ration our passion?”: perché razionare le proprie passioni? È così bello e stimolante fare esperienze nuove e conoscere persone e stili diversi dal proprio, che non ci penso due volte nel proporre la mia idea a François Cazzanelli e Francesco Ratti. Sebbene con François e Francesco avessi scalato solo in falesia, sentivo che questa era l’occasione giusta per vivere un’avventura insieme in montagna, e sono felice che i due accettino immediatamente il mio invito. Con François e Francesco cambiano le modalità di approccio: questa volta pernottiamo al rifugio Monzino, 2560m, dall’amico Mauro Opezzo, e partiamo nella notte in direzione del Pilastro. Complici il maggiore allenamento e la neve ben indurita dal gelo, il tempo di avvicinamento viene dimezzato rispetto alla volta prima. Arriviamo sotto il Pilastro poco prima che venga illuminato dal sole, e la sorte vuole che tocchi a François aprire le danze sulla tecnica placca iniziale. Il primo tiro è già molto tecnico e difficile da leggere. Fin da subito, la linea che avevo immaginato si rivela passaggio dopo passaggio sotto i nostri polpastrelli, mentre ci alterniamo al comando della cordata. Arrivati sotto l’evidente muro rosso, dove la parete si raddrizza, i ragazzi mi lasciano l’onore di condurre quella lunghezza (la quinta), attorno alla quale nella mia testa ruotava la via ed io, sulle ali dell’entusiasmo, faccio del mio meglio per arrampicare in libera al massimo delle mie possibilità. Cerco di piazzare gli spit in modo parsimonioso, solamente dove necessario, per collegare i sistemi di fessura. Verso la fine del tiro le prese si fanno davvero minuscole, quasi invisibili agli occhi: la possibilità di passare o non passare si gioca su tacchette di pochi millimetri, difficili da vedere, ma che ben si incarnano tra unghie e polpastrelli. I piedi qui giocano un ruolo fondamentale, sempre “spalmati” su questa roccia. È grazie a un insieme di tanti piccoli dettagli, che si allineano nel modo giusto, che riesco a trovare la chiave per salire e mettere uno spit di sosta. Quando ormai il Pilastro è andato in ombra da qualche ora, Francesco mi raggiunge e prosegue per il tiro successivo: uno spettacolare diedro con arrampicata tecnica protetta da micro nut e qualche spit, una linea della parete talmente logica e su roccia così bella, da far sembrare strano il fatto che non fosse ancora stata salita. Alle 19 questa prima intensa giornata di scalata volge al termine e facciamo ritorno alla base del quinto tiro, dove una perfetta piazzola, che nel frattempo François aveva ripulito dalla neve, ci permette di bivaccare, tutti e tre sdraiati abbastanza comodamente.

38 | Giugno 2021 | Uomini&Sport

Matteo Della Bordella in apertura sul tiro chiave, 8a (7b obbl.), della nuova via. Sono 290m di percorso sostenuto ed estremamente difficile, tracciato sul versante Sud al Pilastro Rosso del Brouillard.

1 luglio 2020. Risaliamo le corde fino al tiro aperto da Francesco e concludiamo la via con gli ultimi due tiri, sempre su roccia fantastica e con arrampicata molto varia, fino in cima alla prima punta del Pilastro Rosso, dove termina anche la via “Anneaux magiques” (ndr, aperta da Daniel Anker e Michel Piola, nel 1989). La decisione di terminare la via in quel punto e non proseguire fino in cima al Monte Bianco, era stata fin da subito la scelta più naturale e condivisa da tutti noi. L’idea, infatti, era quella di creare una via di arrampicata di alta qualità e di alta difficoltà, su una delle pareti più importanti e belle del massiccio, ed era pertanto logico terminare la nuova via lì, piuttosto che andare avanti unendosi alle vie già esistenti (soluzione che comunque resta aperta ad ogni ripetitore). Quindi, proprio per il carattere e lo stile con cui la via era stata aperta e concepita, e nonostante la fase di apertura si fosse ormai conclusa, mancava ancora la nostra salita in libera di tutta la via. 8 luglio 2020. Torniamo per provare a chiudere il nostro cerchio. Insieme a noi tre, si aggiunge Isaie Maquignaz (anche lui, come François e Francesco, Guida del Cervino), il quale ci permette di formare due cordate indipendenti: una vera fortuna per me che volevo concentrarmi sulla quinta lunghezza, senza far perdere troppo tempo in sosta a François e Francesco, mentre cerco di decifrare e collegare tra di loro i movimenti. Conosco il tiro per averlo aperto, e forse proprio per questo motivo la sezione finale mi intimorisce non poco: inoltre ci troviamo a 4000m di quota ed inevitabilmente, dopo diversi movimenti di sforzi intensi, il fiato e la fatica ti richiamano subito all’ordine. Dopo una ricognizione, effettuo il primo vero tentativo, ma quando arrivo al passaggio chiave, qualcosa non va…provo a stringere con tutta la forza che ho quelle tacchette, invece che tirarle con delicatezza e, mi ritrovo appeso alla corda un po’ di metri più in basso. Il giro successivo il risultato è esattamente lo stesso, mentre il terzo ed ultimo tentativo, dopo un buon riposo, è quello buono: scalo molto più rilassato e fluido, e le mie dita restano incollate alle prese fino alla sosta. La difficoltà di questo tiro sono convinto sia di un 8a solido. Intanto Francesco e François liberano i bellissimi tiri sopra ed


François Cazzanelli, sale in libera il primo tiro, una placca di 7a, stile anni ’80. La via è stata aperta in due giorni. Un’altra giornata è stata dedicata per la prima libera.

anche se sono solo le 3 di pomeriggio, noi siamo più che soddisfatti: è stato un bellissimo lavoro di squadra e ognuno ha liberato i tiri che ha aperto! Non nascondo che mi piacerebbe salire ancora fino in cima, ma per una volta metto da parte il mio ego, e gioisco serenamente per il successo della squadra. Durante la discesa si parla e si scherza sui possibili nomi da dare a questa via…Ci sembra così tanto incredibile vivere un’avventura così bella insieme in questo posto magico, che chiamiamo la via “Incroyable”, parola che mi risuonava in testa costantemente e per me quasi una beffa, dato che mi ero ripromesso che non le avrei dato un nome francese…da anni infatti sostengo con convinzione, che le più belle vie e pareti del massiccio del Monte Bianco le abbiamo noi sul lato italiano e che a Chamonix sono più bravi di noi solo nel marketing! Durante l’estate la via viene ripetuta da ben tre cordate: la prima è quella di Federica Mingolla e Leonardo Gheza. Federica effettuerà la prima e finora unica salita in libera completa della via, a dimostrazione del suo talento e delle sue grandi capacità. Successivamente sarà il turno del giovane fuoriclasse francese del GHM Leo Billon, in cordata con due compagni, e quindi sul finale di stagione dell’amico inglese Calum Muskett con un compagno. Fa sicuramente piacere ricevere tanta attenzione verso la nostra via da parte di alcuni dei più forti giovani emergenti nel panorama alpinistico internazionale….magari tra 20 anni anche la nostra “Incroyable” si potrà chiamare una via classica…chissà! 10 febbraio 2021. Oggi, seduto al calduccio, davanti ad un caffè, ripenso al Pilastro Rosso ed alla nostra via. Sul Pilastro Rosso del Brouillard hanno lasciato la loro firma alpinisti come Bonatti e Oggioni, Piola, Gabarrou, Manera e fa un po’ impressione accostare i loro nomi ai nostri. L’alpinismo è qualcosa che cambia in continuazione, che si evolve e che non è mai fermo, che si tramanda dai più anziani ai più giovani e che ciascuno di noi declina secondo il proprio stile e la propria cultura personale. “Why ration our passion?” Mai, come su quelle montagne, ci siamo sentiti più vivi.

Dal Pilastro Rosso, quota 4069m, la vista domina sull’impressionante ghiacciaio del Broulillard.

Uomini&Sport | Giugno 2021 | 39


IL RICHIAMO DELLE MONTAGNE DI CASA

Il ritorno sulla traversata delle Orobie Bergamasche. Un confronto con le sensazioni di vent’anni prima Testo e foto di Simone Moro

Può sembrare strano che un alpinista del valore e della fama mondiale quale Simone Moro, venga qui preso da un ricordo nostalgico dettato non da una delle sue avventure e conquiste invernali nel cuore delle vette himalayane, ma da quella che appare una semplice ascensione a tappe su montagne spesso anonime e di modesta quota: la traversata delle Orobie. Si fa comunque troppo in fretta a definire semplice traversata quella che invece si traduce in un impegno di tutto riguardo, di dedicare ben undici ininterrotte giornate per passare sulla cresta da una cima all’altra di oltre cento delle montagne che si elevano lungo la linea spartiacque che divide la provincia di Bergamo da quelle di Brescia, Sondrio e Lecco. La relazione della traversata Simone Moro ce l’aveva già offerta, dopo che nel settembre del 2000 ne aveva realizzato la prima esecuzione assoluta in compagnia di Mario Curnis. Dall’articolo dettagliato di allora “Una ovvia traversata”, offerto come interessante proposta rivolta a possibili ripetitori, Simone Moro si sarebbe forse aspettato qualcosa di più rispetto alle sole due ripetizioni integrali che ne sono seguite di recente: ma indubbiamente le montagne Orobiche da allora hanno beneficiato di una più accentuata frequentazione. Comunque in questo articolo, in cui ci riferisce della nuova traversata compiuta, nel settembre 2020, assieme ad Alessandro Gherardi, Simone Moro ci offre interessanti spunti che spronano a prendere in considerazione le Orobie come meta da apprezzare per “l’incredibile potenziale” che sono in grado di offrire, sotto molteplici aspetti.

Tornare al passato fa spesso bene per vivere il presente, riacquistare consapevolezze, percepire cosa è cambiato e come questo è avvenuto. Ritornare sulle proprie tracce serve anche a capire come sia il proprio passo oggi, se è diventato più sicuro ed esperto o più debole e incerto, se le paure di una volta sono scomparse o se ne sono sopraggiunte altre. Rivivere l’esperienza di effettuare la traversata delle Orobie bergamasche sul filo di cresta è stato esattamente questo: la volontà di riassaporare a pieni polmoni la bellezza delle montagne di casa in una grande scorpacciata, regalandomi quasi due settimane di salite e discese in ambiente selvaggio e per alcuni tratti raramente visitato e percorso. Anche se non dovrebbero esserci dubbi, questa cavalcata voleva anche confermare che le mie montagne, che a volte mostro dal cielo con la mia attività di pilota e imprenditore elicotteristico, le so ancora percorrere tutte a piedi e in un modo non proprio così banale. Insomma penso di poter dire di amare e vivere le Orobie in tutte le sue forme, da Alpinista, Guida Alpina e pilota, ed avere un punto di osservazione che non è a senso unico, ma che sa cogliere gli aspetti, i limiti ed i vantaggi di amare e osservare la montagna non per forza in un modo solo. In questi vent’anni solo due volte la traversata è stata ripetuta, entrambe ad opera di bergamaschi. Una nel 2018 da parte di Luca Bonacina e Zeno Lugoboni, che hanno poi voluto continuare il loro viaggio ripercorrendo i confini terrestri e del Sebino della provincia di Bergamo, ed una seconda volta da Daniele Assolari, due mesi prima che io e Alessandro Gherardi partissimo per questo nostro viaggio in cresta.

40 | Giugno 2021 | Uomini&Sport

Dal rifugio Curò al rifugio Coca, vediamo l’uscita della Nord del Pizzo Coca, per affrontare la salita verso la vetta, che rappresenta la più alta cima delle Orobie.


Simone Moro e Alessandro Gherardi sulla vetta del Monte Aga, situato nell’area del rifugio Longo, in direzione Corno Stella, verso Foppolo. Nell’insieme: Pizzo Cavrin, Pizzo Gro, Pizzo del Salto, Pizzo dell’Omo, Pizzo del Diavolo di Tenda, come si scoprono nel tragitto dal rifugio Brunone al rifugio Longo.

Traversata dal Porola verso il Pizzo Redorta, nel tragitto dal rifugio Coca al rifugio Brunone.

Mi ha reso felice sapere che, dopo diciotto anni di silenzio, da quando io e Mario Curnis nel settembre 2000 compimmo la prima assoluta di questa traversata, altri giovani avessero deciso, pianificato il progetto e fossero partiti con successo in questa mini spedizione. I commenti di entrambi sono stati entusiastici, affascinati e ammirati dalla bellezza e dalla severità di queste cime e creste che fungono da spartiacque tra la provincia di Bergamo e quelle di Brescia, Sondrio e Lecco. Ogni anno sono decine di migliaia gli escursionisti che visitano e percorrono i sentieri, i rifugi e le malghe delle montagne lombarde, e in particolare quelle Orobiche. Ci sono sempre più turisti provenienti da altre province e regioni italiane e, a parte quest’anno tragico, anche da nazionalità diverse. Le Orobie sono a tutti gli effetti diventate sempre più popolari e conosciute, per mille motivi e iniziative promosse negli anni, ma lo sono ancora troppo poco per il potenziale incredibile che hanno. “Competere” con altre famose località turistiche montane non è l’obiettivo ne la priorità, ma diventare un po’ più consapevoli di cosa abbiamo, dove viviamo e cosa potremmo fare è un esercizio cui non dovremmo sottrarci. Invece di fare la lista di ciò che manca, innegabilmente molto se pensiamo alla viabilità, ai servizi, alla capacità ricettiva e molte altre cose, dovremmo concentrarci su quello che abbiamo. Dovremmo liberarci dall’orobica arte di remare uno contro l’altro, di arroccarci nelle nostre fondamentaliste e inamovibili convinzioni, praticare l’esercizio di capire i cambiamenti dell’uomo e della gente, e non solo quelli climatici: e accettare sempre l’arte del punto di incontro, della mediazione. Le Orobie sono per tutti e di tutti, non solo dei bergamaschi e dei cugini delle province confinanti, ma sono e sanno rimanere un mondo selvaggio, anche se frequentato nei modi più diversi. C’è chi arrampica, chi vola, scivola sugli sci, cammina, va a funghi, in kayak, in grotta, per rifugi e malghe, a cavallo, a far foto e in mille altri modi. Queste forme di frequentazione non sono un auspicio, sono realtà consolidate, da decenni e un equilibrio di fatto c’è da sempre. Ho visto molti animali, mentre percorrevo le creste delle Orobie e nessuno si è mai spaventato, con nessun rumore, umano o meccanico. Lo dico perché l’ho visto e non teorizzato. Ho capito insomma ancora una volta che a distanza di 20 anni non si sono sciolti solo i ghiacciai ma, in alcuni casi, anche la volontà di fare squadra anziché dividerci in tante opposte squadre.

In doppia dalla “Fetta di polenta”, sempre passando dal rifugio Coca al rifugio Brunone.

Uomini&Sport | Giugno 2021 | 41


INTERVISTE AD ALPINISTI

Teresina Airoldi,

una donna perdutamente e istintivamente innamorata della montagna, ci consente di incontrare un aspetto ignorato dell’alpinismo “proletario” del secondo dopoguerra a cura di Valentina d’Angella

Nata nel 1938 in Brianza, Teresa Airoldi è stata ed è una donna di montagna. Perché all’alta quota “Teresina”, come la chiamano gli amici, ha dedicato moltissimo tempo della sua vita, in compagnia di conoscenti e del marito Giuseppe Crippa. Tutto cominciò negli anni ’60 dalle Grigne, ma ben presto la sua curiosità e la grande passione per la scalata la portarono in Dolomiti e sulle Alpi Centrali e Occidentali. Nel 1963 con Beppe e Sandro Bertagnoli, insieme a Giancarlo Monti, salì la parete Nordest della Cima Tosa lungo la via dei Fratelli Detassis (seconda salita assoluta), mentre nel 1970 con Luigi Bosisio, Mario Burini, Giuliano Fabbrica, Giuseppe Fumagalli, Romano Perego, Gianni Rusconi e Giorgio Tessari compì la prima ripetizione della Via del Fratello al Pizzo Badile. Nel 2018 è stata nominata socio onorario del CAI, diventando così la quarta donna nella storia del Club Alpino Italiano a essere insignita del prestigioso riconoscimento.

Come è iniziata la tua storia con la montagna? È cominciata sessant’anni fa, facendo un favore a un’amica: voleva partecipare a una gita organizzata dal CAI Giussano in quanto interessata a un ragazzo, e non voleva presentarsi da sola. Si andava ai Resinelli, c’era un po’ di neve: ricordo ancora come ero vestita, con dei mocassini con la para e un maglione bianco. E mi sono innamorata della montagna. Poi, verso giugno, ho partecipato a una seconda gita, durante la quale conobbi un ragazzo che mi portò a fare la cresta Segantini. È stato bellissimo, mi sembrava di volare, una cosa incredibile! Con lui ho ripetuto la Cassin al Medale e poi un giorno mi ha portata al rifugio SEM ai Resinelli: c’erano tutti questi alpinisti che io vedevo come degli dei, e lì ho trovato il mio mondo. Quindi hai cominciato dalle Grigne? Andavo in Grigna al sabato pomeriggio, dopo il turno lavorativo del mattino. Ma raggiungere i Resinelli non era mica semplice! Partivo da casa all’1, facevo 2 km a piedi da Giussano a Carugo, poi prendevo il treno fino a Erba, quindi il pullman per Lecco. Qui con un altro pullman arrivavo a Laorca e infine a piedi fino ai Resinelli, che ormai era sera. Poi, una volta lì, non è che trovassi subito con chi arrampicare: a testa bassa, pian piano sono entrata nel giro. Fortunatamente sono sempre stata un vulcano, non ho mai avuto problemi a socializzare. Durante il primo anno, una volta in Grigna ho incontrato un ragazzo che mi ha invitata a salire il Sigaro: dopo aver fatto altre due o tre vie, mi ha chiesto di andare con lui a ripetere la Via delle Guide al Crozzon di Brenta. Doveva andarci con un amico che però all’ultimo non aveva più potuto. È stata quella la prima via che ho fatto. Siamo

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usciti fuori alle 4 del pomeriggio: sulla discesa ci siamo un po’ persi e abbiamo bivaccato, e quello fu il mio primo bivacco. Che tipo di alpinismo è stato il tuo? Io ho fatto un alpinismo di tappa buchi. Bisogna tener presente che all’epoca non c’era tanto tempo da dedicare alla montagna e non c’erano neanche le previsioni meteo. Gli uomini facevano le cordate fra di loro e si accordavano per un programma delle salite dell’annata, con lo scopo di arrivare a fare le vie dure tra luglio e agosto. Succedeva però che qualcuno all’ultimo non potesse andare, e allora chiamavano me. Ovviamente non esisteva che una donna andasse da prima, era sott’inteso che salivo da seconda, ma comunque dovevo sempre dimostrare di essere brava e non dovevo assolutamente mai dare un problema, altrimenti mi avrebbero tagliata fuori. C’erano donne che arrampicavano, ma poche e ancora meno che potessero fare la via del Fratello. Prima di portarmi a fare qualche salita impegnativa mi mettevano alla prova in Grigna. Credo di essere stata la prima alpinista proletaria: senza soldi, senza tempo e senza compagno di cordata. Però mi sono trovata ad arrampicare con tanti nomi noti di quegli anni. Mi avevano preso in simpatia, ma avevano anche tutti grande rispetto per me. Come prendeva la tua famiglia il tuo andare in montagna con gli uomini? Che lotta! Venivo vista, di cattivo occhio anche esclusivamente a percorrere da sola la via Garibaldi che portava a Carugo dove prendevo il treno, soprattutto perché io là giravo in pantaloni, un vestiario adatto ad andare in montagna. In compenso, una cosa che non mi sono

mai spiegata, era che mi adoravano le mogli dei miei compagni di cordata. Mi aspettavo che subentrasse un po’ di gelosia, e invece per niente. E il Pizzo Badile? La prima volta vado nel 1969 con quello che sarebbe diventato mio marito, Giuseppe Crippa, a fare la Nordest: per i tempi era una salita importante! Nel 1970 mio marito era in spedizione in Alaska e io ero a casa. Una domenica mi trovo in Grigna ad arrampicare con Gianni Rusconi e altri ragazzi: mi fanno fare un sacco di salite, su e giù, una dietro l’altra, ma senza spiegarmi il perchè. Poi dopo qualche giorno alla sera mi telefona Gianni e mi dice che il giorno dopo veniva a prendermi per andare a fare la via del Fratello, un’arrampicata di 900m, sulla sinistra della via Cassin. È stata una scalata molto molto bella (ndr, prima ripetizione, l’11 e 12 luglio, quattro mesi dopo l’apertura della via, che presenta difficoltà fino a V+/A2). Infine nel 2002, a 64 anni, io e mio marito siamo tornati sulla Nordest: è stata una grande soddisfazione. Non ti spaventava quando arrivavano proposte di vie ardite? No, perché conoscevo i miei limiti. Se sapevo che non era una salita alla mia portata dicevo di no, e rifiutavo in quanto se non ero sicura di farcela: non rischiavo di farmi tirare su. Per esempio, dopo aver fatto la Via delle Guide, il mio compagno di cordata mi ha invitata a scalare il Grand Capucin, ma ho declinato perché non avevo mai usato le staffe e non me la sentivo di andare a provarle su un terreno così difficile. Ti sarebbe piaciuto fare la Guida Alpina? Beh, io ti parlo degli anni ’60: la prima Guida Alpina donna in Italia è stata Renata Rossi, nel 1981. In generale però non avrei sacrificato la


Teresina Airoldi sul 13° tiro della via del Fratello al Pilastro E-N-E del Pizzo Badile, che fu aperta nel marzo 1970 da Antonio e Gianni Rusconi, in memoria del fratello Carlo: prima assoluta d’inverno.

mia libertà, sono un’istintiva. Mi andava di organizzare dei corsi con il CAI del paese, e l’ho fatto per 7 o 8 anni. Ci ho dedicato molto tempo, ma non è stato tempo perso. Lo facevo anche insieme a mio marito con cui abbiamo accompagnato molte coppie, molti giovani, con l’idea di insegnare a capire i propri limiti. Trasmettere la cultura dell’andare in montagna non è facile, ma dà grande soddisfazione. Nel 1969 hai partecipato a una tavola rotonda sull’alpinismo femminile: le donne oggi hanno la strada facile? Era il primo anno che accettavano le donne al Film Festival di Trento. Mi telefonò Piero Nava di Bergamo, che allora arrampicava con Vasco Taldo di Sesto San Giovanni: mi conosceva molto bene e aveva grande stima di me, per questo desiderava proporre la mia partecipazione. Alla tavola rotonda, cui era presente anche Reinhold Messner, parlò Yvette Vaucher e dichiarò che la professione di Guida Alpina non era certo per le donne. Erano i tempi dell’alpinismo eroico, faticoso, di forza: ma tu pensa dove siamo arrivati adesso! Questo episodio dà

Teresina Airoldi e Gianni Rusconi insieme per l’assegnazione dei premi per meriti alpinistici al 19° FilmFestival di Trento nel settembre 1970.

l’idea dell’ambiente in cui ci muovevamo allora. Poi certo io ero diversa dalle altre. Prendi Mary Varale, negli anni ’30, di cui io ho grande stima: lei abitava a Milano, andava con la Guida, tutto un altro mondo...e c’erano altre come lei che andavano in montagna e venivano da famiglie e ceti diversi dal mio (ndr, si tratta di Anna Maria Gennuso, conosciuta come la “ragazza dal giubbetto rosso”, moglie del giornalista sportivo e scrittore Vittorio Varale). Io invece arrivavo proprio dal popolo. Ma non mi ha pesato, perché ho stretto delle belle amicizie. Non mi è stato regalato niente, ma dalla vita ho avuto molto e ancora oggi ho bellissimi rapporti. Le donne di oggi sono così belle e brave, è tutto diverso: hanno il tempo di allenarsi, i mezzi, i materiali, sono più libere. Ed è giusto che sia così.

Bivacco sulla cengia, sotto gli strapiombi, a metà parete della via del Fratello: Teresina Airoldi in primo piano e alla sua sinistra di seguito, Luigi “Bis” Bosisio, Romano Perego e Giorgio Tessari.

Di ritorno dalla via del Fratello, presso il rifugio Gianetti, nell’ordine da sinistra: Gianni Rusconi, Teresina Airoldi, Giuliano Fabbrica e Giorgio Tessari.

Il ricordo nell’occasione, a Trieste, in cui le fu riconosciuto il titolo di “Socio Onorario del CAI Nazionale”.

Tutte le foto ci sono state concesse grazie alla disponibilità di Gianni Rusconi.

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Benigno Balatti, da una passione intensa e genuina, nasce per lui la frenesia di arrampicare senza sosta. E se le superbe vette della Patagonia rappresentano un richiamo irresistibile, anche ogni altra montagna rimane sempre una fonte mai completamente assaporata a cura di Valentina d’Angella

Nato a Mandello del Lario il 6 settembre del 1954, Benigno Balatti inizia ad andare in montagna da bambino, insieme ai genitori. Avevano una casetta ai Resinelli, e così le Grigne sono le sue prime montagne. Nel 1972 entra a far parte del Gruppo alpinistico dei Corvi di Mandello: dapprima scala su roccia, poi dagli anni ’80 scopre il ghiaccio e una nuova grande passione. Instancabile apritore di vie nuove, ha all’attivo anche diverse spedizioni in Sudamerica, di cui una in Bolivia (prima salita allo Yacuma Aguya, 6005m, nella Cordillera Real), una in Perù (ripetizione della via Ferrari all’Alpamayo, 5947m, nella Cordillera Blanca) e sette in Patagonia, dove nel 1990 compie la prima salita della difficile parete Sud del Cerro Don Bosco (2420m). È stato nel Soccorso Alpino dal 1973 al 1990, mentre dal 1989 è Accademico del CAI.

Hai salito moltissimi itinerari nella tua lunga carriera di alpinista, ma se c’è una cifra che ti caratterizza è l’apertura di vie nuove. Quante ne hai aperte in totale? Sono 70 vie nuove: 26 su roccia e 44 su ghiaccio e misto, nell’arco alpino e qualcuna anche Oltreoceano, in Patagonia, Bolivia, Perù. Cosa c’è di bello nell’aprire una via nuova? Mi piace la scoperta. Non sapendo bene quello che hai davanti, è sempre una sorpresa. Mi piace l’ambiente, sia qui, sulle mie Grigne, sia altrove, ancora meglio in Patagonia, che è un posto in cui mi sento a mio agio con la mente. In generale mi fa sentire libero e appagato. Qual è la tua montagna? La prima montagna è quella di casa, la Grigna. Qui da Mandello ho sempre avuto davanti il Sasso Cavallo, che è stato quindi il primo colosso che ho scalato per tante vie. La mia seconda montagna è stata il Monte Disgrazia, dove ho aperto 22 vie, più una variante. Come mai il Disgrazia? La prima volta sono stato lì a dodici anni sul ghiacciaio del Ventina insieme a mio cognato. Io ho due cognati: quello famoso è Giuseppe “Det” Alippi, e l’altro è Mario Lafranconi, con cui ho cominciato ad andare le prime volte. È lui che mi ha trasmesso le prime nozioni basilari dell’andare in montagna. Mi ha portato in Valmalenco e mi ha fatto provare i ramponi all’inizio del ghiacciaio, era il 1966. Quasi quasi avevo paura di camminare con i ramponi, per-

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ché non mi sembrava giusto potermi muovere così facilmente sul ghiacciaio. E da lì è nata la mia passione. A 15 anni ho fatto la “Corda Molla” al Disgrazia con Det, e quella volta ricordo di aver avuto paura dei crepacci, perché allora ce n’erano molti sul ghiacciaio. E poi verso i 19 anni ho iniziato a masticare di più l’alta quota, con il Pizzo Palù, nel gruppo del Bernina, per esempio, e mi sono trovato a mio agio. La roccia mi piace sempre, il granito molto di più del calcare, però le vie di ghiaccio o di misto sono la mia passione. E il Sasso Cavallo? A 18 anni ho salito la via Cassin, a 19 la via Oppio, a 20 una via nuova con Det e altri amici, e poi ci sono tornato tantissime volte. Qualche numero per dare l’idea: la Oppio l’ho fatta 43 volte e la Cassin 37. Come all’inizio si andava in Medale a ripetere certe vie per allenamento, così ho cominciato a fare lo stesso al Sasso Cavallo, sul Sasso di Seng e sul Sasso dei Carbonari, prima d’estate e poi d’inverno. Vivendoci praticamente sotto lo vedi sempre e hai sott’occhio le condizioni: ed essendo allenato alla lunghezza e alla velocità, facevo le vie in giornata anche d’inverno. Alla fine l’ho salito più di cento volte, anche per vie nuove. È la mia palestra. A parte le montagne di cui abbiamo già parlato, quale altro posto conosci meglio? Il Pizzo Badile, sia a Nord sia a Sud: l’ho salito 21 volte, di cui 17 sono arrivato in vetta, la prima volta a 15 anni.

Hai fatto anche spedizioni all’estero, soprattutto in Sudamerica. Quella che ricordi come la più bella? Quella del 1989/90 in Patagonia, la prima volta che ci sono stato, quando abbiamo salito la parete Sud del Cerro Don Bosco. È stato impegnativo e complicato ma in otto giorni abbiamo portato a casa la salita. Il nostro era il tredicesimo tentativo, prima di noi aveva tentato anche Casimiro Ferrari che ce l’aveva infatti indicata. È stata un’esperienza diversa da tutte le altre. Per prima cosa la Patagonia è un posto magico: se ti piace la solitudine e l’ambiente, se ci vai una volta poi ci ritorni sicuramente. Io ci sono stato otto volte. Questa via mi ha fatto capire tante cose: va bene essere forte su ghiaccio e su roccia, su vie e pareti verticali, ma questo vuol dire fino a un certo punto. Laggiù conosci te stesso. Quando sei solo, o con poche persone, non è sempre facile. Avvicinamenti lunghi, mangiare poco, patire il freddo: tutte cose che fanno parte dell’alpinismo vero, che io ho conosciuto lì. L’alpinismo è allora uno specchio che ti mette di fronte a te stesso? Sì, perché ti fa conoscere il tuo carattere, ti mette davanti alla tua capacità di gestire certe situazioni. Dai il meglio di te. È una condizione che poi si ripercuote nella vita in tante altre cose. Io per esempio sono un tipo preciso: prima di fare qualsiasi cosa mi preparo, sto molto attento a portarmi tutto il materiale necessario


Un difficile passaggio sulla via Bucolandia in Grigna settentrionale.

ma anche a documentarmi sulla salita, magari faccio fotografie in anticipo. Quindi come approccio alla montagna, non ti piace lasciar nulla al caso… Sicuramente. In ogni stagione la montagna si presenta diversamente, dunque devi saperla leggere e per farlo serve andarle molto vicino per capire le insidie o quello che conviene, magari facendo foto o osservando con il binocolo. Certo, quando sono in giro non guardo solo la montagna, mi piace in generale la natura, come mi piace andare a far castagne, funghi, vivere tutto quello che l’ambiente offre. E l’Himalaya non ti ha mai affascinato? Sì, ma nel 1978 ho avuto un incidente fuori percorso al Monte Bianco: sono rimasto in parete sei giorni sulla via dei Polacchi al Mont Maudit, eravamo in tre. E lì ho avuto dei seri congelamenti fino al secondo grado ai piedi. Mi avevano detto che non potevo più stare al freddo e da allora ho dovuto accettare la situazione. Ho superato psicologicamente questa cosa, ma in Himalaya dove ci sono le alte quote, ho dovuto lasciare stare. Oggi ti leghi ad alpinisti giovani: ti piace scalare con loro? Ho sempre vissuto in mezzo ai giovani, ma ho sempre portato molte persone ad arrampicare, dai 7 ai 75 anni, soprattutto d’estate. A me piace trasmettere quello che ho immagazzinato, ed è bello vedere il neofita che dà il massimo, giovane o vecchio che sia.

Secondo te oggi i giovani alpinisti guardano alla montagna in maniera diversa dalla tua generazione? Mi sembra che della cultura ai giovani interessi poco, sono molto più orientati alla tecnica. Lo facevo anch’io quando ero giovane, ma allora era diverso perché la gavetta me l’hanno fatta fare a partire dagli scarponi pesanti o dalle scarpe da ginnastica, e dunque dovevi imparare con quello che avevi. Non c’erano i mezzi, ma la fantasia galoppava. Oggi c’è tutto, ognuno ha la macchina, i giovani hanno tempo libero, mentre noi avevamo solo qualche giorno di ferie. Hanno un alpinismo piuttosto “facilotto”. Poi certo ci sono quelli veramente preparati, ma il 70% avrebbe bisogno di essere inquadrato anche nelle cose semplici, perché capita che vadano a fare una salita perché si esaltano per un video visto su YouTube, e se qualcosa va storto, ecco che succede il patatrac. Quali sono oggi i terreni ancora da esplorare sulle montagne della Lombardia? Ho sempre pensato che ogni generazione abbia una sua visione. Con la mia esperienza, anche qui in Grigna io vedo degli itinerari nuovi, ma quello che serve è la fantasia e la voglia di andare a ricercare posti un po’ isolati e nascosti. Oggi sono pochi quelli che ne hanno voglia. Ma ogni generazione deve ricercare qualcosa di nuovo, che può essere anche nel modo in cui si salgono vie classiche o già esistenti.

In progressione sulla via Cavallo Pazzo, dedicata ad Antonello Cardinale, nell’imponente parete Sud del Sasso Cavallo, in Grigna settentrionale.

Si cimenta sul Monte Bianco con “Goulotte Modica”, via di ghiaccio, sul dorso Nord occidentale al Mont Blanc du Tacul.

Tutte le foto sono di proprietà di Benigno Balatti.

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INTERVISTE INEDITE

Armando Aste,

prima uomo in senso autentico e poi alpinista: ma per lui i due termini non si sono mai prescissi a cura di Valentina d’Angella

[Foto: Valentina d’Angella]

Dalla Patagonia alle Alpi, qual è la spedizione che ricorda con più grande affetto? La spedizione che ricordo con più piacere è stata la prima, quella alle Torri del Paine, perché le considero le più belle montagne del mondo. Ci sono stato con la spedizione monzese nell’estate australe del 1962/63. Io ne ho fatte sette di spedizioni, ma quella che ricordo con maggior piacere è proprio quella. L’alpinismo anche patagonico, è cambiato molto da allora a oggi: come valuta il cambiamento? Tutto sta nell’evoluzione dei tempi, e ognuno è figlio del suo tempo. Io ero un figlio dell’epoca degli anni ’50 e ’60, e perciò oggi qualcosa è cambiato senza alcun dubbio. Si è data preponderanza al fattore tecnico e scientifico nel miglioramento, invece noi andavamo con i mezzi di allora. Io andavo in Brenta in bicicletta le prime volte, ed era già una fortuna avere la bicicletta! Comunque Mazzotti ha detto che ci sono tante forme di alpinismo quanti sono gli alpinisti, ed è così. Ognuno ha le sue motivazioni che dipendono da fattori etici, culturali e anche pratici.

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Armando Aste nacque a Reviano di Isera, in provincia di Trento, il 6 gennaio 1926. Papà contadino e mamma operaia, era il primo di sei figli e per questo iniziò a lavorare a 15 anni, per aiutare i genitori. Con la famiglia viveva ai piedi del Monte Biaena, dove imparò ad arrampicare da autodidatta. La passione per la roccia, subito evidente, sul finire degli anni ’40 gli fece scoprire le Dolomiti: in particolare fu la scalata al Campanile Basso, nel Brenta, a dargli il là. Era il 1949: dopo di allora per più di vent’anni collezionò ripetizioni importanti e prime ascensioni di altissima difficoltà sui “Monti Pallidi”, che furono indiscutibilmente il suo terreno di gioco. Non mancarono però straordinarie salite anche altrove, come la prima Italiana alla parete Nord dell’Eiger, realizzata con Franco Solina, Pierlorenzo Acquistapace, e con la cordata di Andrea Mellano, Romano Perego e Gildo Airoldi. Pochi mesi dopo partecipò alla spedizione del CAI Monza alle Torri del Paine, nella Patagonia Cilena: il gruppo compì la prima ripetizione della “Via degli Inglesi” (Chris Bonington e Donald Whillans) alla Torre Centrale e la prima assoluta della Torre Sud, una via dedicata alla memoria di Andrea Oggioni. In questa intervista, che viene pubblicata solo ora in esclusiva e, che è stata raccolta al Trento Film Festival nel 2015, due anni prima della morte sopraggiunta a Rovereto l’1 settembre del 2017, Aste guarda indietro al suo passato di alpinista con sentimento e lucidità, ma senza nostalgia, forte di un’incrollabile fede, che lo ha accompagnato per tutta la vita. “Io sono un credente e sono un alpinista – scrisse di sé nel libro Pilastri del cielo –. Io sono orgoglioso della mia fede che considero l’unica vera ricchezza che possiedo. Sento di essere un cercatore di infinito.”

Lei e la sua generazione siete stati protagonisti della stagione classica del VI grado. Cosa ha pensato quando si è iniziato a parlare del VII grado? Che è una cosa naturale, perché in ogni campo dell’attività umana si realizza il progresso: si parte dal più alto gradino raggiunto dalla generazione precedente, e da lì si cerca di andare ancora più avanti. Non c’è da meravigliarsi: è per questo che non si possono fare le comparazioni, ogni cosa va inquadrata nel suo tempo. Tra le tante scalate che ha compiuto in Dolomiti, ce ne racconta una? Ne ho fatte tante, sono state tutte belle… è come chiedere a un pittore qual è il suo quadro più bello: risponderebbe che in quel momento è stato quello lì. Nel mio alpinismo ho sempre cercato di mettere al primo posto la bellezza, che è sempre stata anche la motivazione che muoveva: non la difficoltà o la celebrità. Qualcuno ha detto che la bellezza salverà il mondo, ed è proprio così: che ne siamo consapevoli o no, tutti abbiamo bisogno di bellezza.

Da sinistra: il giornalista Carlo Gobbo e lo scalatore e sciatore di discese estreme Mauro “Bubu” Bole, con Armano Aste, testimonial del Meeting della Montagna di Lecco, nel maggio 2001. [Foto: Archivio La Provincia di Lecco]


Armando Aste, l’alpinista trentino, protagonista sulle Dolomiti negli anni Sessanta, nelle foto tratte dal libro “Pilastri del cielo”, Edizioni Nordpress, 2020, Archivio: Giovanni Capra.

Armando Aste con i compagni di cordata che hanno effettuato la prima salita italiana sulla Nord dell’Eiger, durata 7 giorni e 6 notti, dall’11 al 18 agosto 1962. Qui all’arrivo della stazione di Eigergletscher, da sinistra: Andrea Mellano, PierLorenzo Acquistapace, Gildo Airoldi, Armando Aste, Franco Solina e Romano Perego. [Foto: Archivio Ragni della Grignetta – www.ragnilecco.com]

Qual è la sua montagna del cuore, quella di casa? La Marmolada, chiamata la “Regina delle Dolomiti” (ndr. con i suoi 3343m di Punta Penia, è la più alta quota dolomitica). Dalla Forcella della Marmolada alla Punta Serauta è la più vasta parete delle Alpi, sono circa quattro chilometri di estensione. Qual è stata la volta che in montagna ha avuto più paura? In montagna si ha sempre un po’ di paura, perché il coraggio non è altro che la forza di superare la paura, e se non si prova il sentimento della paura, non si può neanche essere coraggiosi. L’ultima volta che è andato in montagna? Sono passati tanti anni. Ho smesso di andare in montagna prima del 2000. Ho ripetuto il Campanile Basso di Brenta a cinquant’anni dalla prima volta che lo avevo fatto, e poi sono andato a fare il Campanile di Val Montanaia, soprattutto per l’interesse storico di quella guglia, non perché sia una grande salita. C’è una montagna, una via che non ha mai scalato e che avrebbe voluto scalare? Il Cerro Torre, per esempio. Una volta sono andato lì con degli amici, ma non mi sembrava bello essere magari trascinato in parete. Così ho rinunciato, perché volevo farlo da me.

Avrei voluto tornare dopo, perché pensavo che avrei avuto ancora la possibilità di scalarlo. Poi, a un certo punto, si è ammalato mio fratello, che è stato colpito dalla meningite, e l’ho assistito per ventitré anni, e da quel momento ho piantato lì di arrampicare. Ha qualche rimpianto nella sua vita da alpinista? Rimpianti ce ne sono sempre, bisognerebbe avere dieci vite per fare quello che si desidererebbe fare: ma è saggio fare quello che si può, non quello che si vuole. Il compagno di cordata con cui si è trovato meglio? I miei compagni sono stati tutti dei bravissimi ragazzi, prima di essere compagni di cordata erano degli amici. Ma quello che la provvidenza mi ha messo vicino in un momento particolare delle mie capacità è stato Franco Solina di Brescia. Se potesse esprimere un desiderio, e in questo momento potesse trovarsi in cima a una montagna, dove sarebbe? La montagna ideale, come la gioia e la bellezza, non si possono prendere o toccare, perché appartengono alla sfera dello spirito. La montagna ideale è rappresentata dall’incontro con Dio che ci aspetta dall’altra parte: la montagna del cielo.

Ai piedi della Parete Rossa della Roda di Vaèl.

Anno 1960: in prima solitaria sulla via Buhl alla Roda di Vaèl, nel Gruppo del Catinaccio.

Febbraio 1963: in apertura sull’imponente e slanciata Torre Sud, nel Massiccio del Paine.

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[Foto: Archivio Ballard]

Tom Ballard, in vetta all’Eiger ancora prima di venire al mondo, è rimasto nel solco della madre anche nell’ora dell’addio: vittime entrambi di una struggente tragedia in montagna a cura di Valentina d’Angella

Nell’inverno 2014/2015 il nome di Thomas John Ballard, conosciuto come Tom, capeggiava sulle prime pagine di tutte le testate alpinistiche internazionali. All’epoca 26enne, il figlio della famosa Alison Hargreaves - prima donna a scalare l’Everest in solitaria e icona dell’alpinismo femminile britannico degli anni ’90, morta nel 1995 durante la discesa dalla vetta del K2 - aveva infatti centrato un grandioso obiettivo: compiere in una sola stagione, l’inverno, la salita delle sei classiche pareti Nord delle Alpi, quindi Cima Grande di Lavaredo, Pizzo Badile, Cervino, Grandes Jorasses, Petit Dru e Eiger. L’impresa fu poi raccontata nel film “Tom” presentato al Festival di Trento nel 2015. In quella occasione l’alpinista britannico rilasciò questa intervista, che per una serie di vicissitudini, è rimasta finora nel cassetto inedita. Tante cose sono successe da allora: l’ultima è stata la morte di Ballard, avvenuta il 25 febbraio del 2019 in un tentativo di scalata invernale del Nanga Parbat insieme a Daniele Nardi. Una tragedia che ha riempito di lacrime gli occhi di molti, che ha lasciato un dolore inconsolabile nel petto di chi, anche in Italia, aveva avuto la fortuna di essergli amico. A distanza di tempo, lo ritroviamo tra queste righe, in uno dei momenti più felici della sua carriera: giovane, entusiasta, pieno di sogni e aspettative per il futuro.

Tom come è nato il tuo progetto “Starlight and Storms”, ovvero la salita delle sei grandi pareti Nord delle Alpi in un solo inverno e in solitaria? L’intero progetto “Starlight and Storms” prende origine dal libro omonimo di Gaston Rébuffat, libro che scrisse per descrivere la sua idea di salire tutte le sei pareti Nord delle Alpi. Fu in effetti lui il primo a farlo: siamo negli anni ’50, Rébuffat era un Guida Alpina quindi scalava con i clienti, e aveva una grande passione per l’alpinismo. Dopo di lui la salita delle sei Nord è diventata un’impresa, una collezione. Nel 1993 mia madre è stata la prima persona a completarle tutte in solitaria e in una sola stagione, un’estate. Questa impresa mi ha sempre interessato, poi a un certo punto mi sono chiesto: perché non farle tutte d’inverno? Pensavo che nessuno lo avesse mai fatto, e del resto è molto difficile salirle tutte e sei in una sola stagione, in un solo inverno. Però le montagne negli ultimi decenni sono molto cambiate: per esempio se l’Eiger prima era molto difficile pensare di scalarlo in inverno, ora non è niente di strano, visto che il meteo e la montagna non sono più quelli di una volta. Oppure prendiamo il Cervino: d’estate è spesso in pessime condizioni, tanto che ha più senso salirlo d’inverno. Così nella tarda primavera di un anno fa [2014, ndr] ho deciso che avrei provato a farle in solitaria e in inverno. Sono stato fortunato, con il meteo e perché non c’era troppa neve: è andata bene. Sei sulle tracce di tua madre? In un certo senso suppongo di sì, ma non pro-

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grammaticamente. Non ho fatto le sei pareti Nord perché le aveva scalate lei. Certo, so che questa è una bella storia da raccontare: una madre e poi il figlio…è qualcosa di inusuale. Ma penso sia stato come conquistare un’altra punta di una corona, perché le sei pareti Nord sono un classico dell’alpinismo, e se vuoi fare l’alpinista sono qualcosa con cui devi confrontarti. Mia madre ha compiuto l’impresa e poi si è dedicata ad altro: ed è quello che farò anch’io adesso, andare avanti e dedicarmi ad altro. La figura di tua madre è stata determinante per te nella scelta di fare l’alpinista? Non penso, credo sia stato più rilevante il modo in cui sono cresciuto, fin dall’estate del 1993. Io, mia sorella e mio padre eravamo con mia madre, quindi ero stato in tutti quei posti già prima dell’inverno appena passato. Probabilmente l’alpinismo è qualcosa che mi è entrato dentro inconsapevolmente, e così la voglia di tornare e fare qualcosa di molto simile. Convivi serenamente con la sua storia? Sì, è parte della mia vita. So che spesso i media, soprattutto quelli britannici, parlando di me si focalizzano molto sulla storia di mia madre: ma mi sta bene, non mi fa sentire sminuito. In Gran Bretagna, soprattutto, lei è stata una grandissima icona per le donne, so che in molti l’amavano e che vedevano in lei un esempio positivo contrapposto a mio padre, esempio negativo, e tutte quelle storie lì. Ma fa tutto parte della mia vita: è successo che io abbia scelto di seguire il suo stesso cammino, e oggi sono sulla sua strada.

Tornando a “Starlight and Storm”, qual è stata la salita più dura? Di sicuro la prima, alla Cima Grande di Lavaredo. È completamente diversa dalle altre: devi usare le mani nude per arrampicare sulla roccia, e la roccia era molto fredda. Avevo mani e piedi intirizziti, ho commesso alcuni errori di tecnica in alcuni passaggi, che mi hanno fatto impiegare molto tempo e ho finito che era già buio. E poi ero troppo stanco e non trovavo la via di discesa, non mi ricordavo da dove scendere, perché rispetto all’estate è diverso. Allora ho dormito su uno strapiombo: è stata una lunga e fredda notte, e la mattina dopo sono andato in cima e sceso. Ma anche il Pizzo Badile è stato molto interessante. Guardando al progetto, prima di cominciarlo, ho sempre pensato che il Badile sarebbe stata la salita chiave: se facevo quella, il resto probabilmente potevo affrontarlo con più agio. Il Pizzo Badile è sempre stata la salita principale, con poche ripetizioni invernali. Siccome sulla Cima Grande ero stato leggero, anzi troppo leggero, sul Badile sono salito con più equipaggiamento: ma così ero troppo pesante, e quindi sono stato più lento. Se fossi salito più leggero, sarei andato in cima in un giorno, invece ho dovuto bivaccare a 2/3 della parete, su una piccola cengia. Ma ho dormito bene, era tutto estremamente tranquillo, non era particolarmente freddo. Il giorno dopo sono salito in vetta, dove sono arrivato all’ora di pranzo, e poi sono sceso dall’altro lato. In tutte le sei salite ho usato le corde per il 20% dei metri che ho percorso: non è tanto.


Tre aspetti di profondo significato esistenziale di un personaggio che non si può non rimpiangere. [Foto: Archivio Ballard]

E cosa mi dici dell’Eiger? È una montagna simbolo nella tua vita, l’hai salita la prima volta quando eri ancora in pancia di tua mamma... Forse è la mia montagna preferita. L’ho salita quando non ero ancora nato e certamente questa è una cosa unica. Ci sono tornato tante volte: nel 2009 sono andato per scalarla d’inverno, ma c’era troppa neve. Sono tornato l’estate dopo per finire la via, poi ancora un paio di volte lo scorso anno. Conosco bene l’ambiente e la montagna, ma non avevo mai salito la via Heckmair (ndr, chiuderà i conti con l’Eiger, inizio dicembre 2016, in cordata con il polacco Marcin “Yeti” Tomaszewski quando, con 7 giorni e 6 bivacchi, apre “Titanic” una nuova via: 1800m, con difficoltà di A3, M5, 6b). Le ultime 3 salite delle 6 invernali le ho compiute in due settimane: il tempo stringeva e dovevo sbrigarmi. Fortunatamente il meteo era buono. Non ho avuto tempo per riposarmi tra i Dru e l’Eiger. Il giorno prima dell’Eiger ho dormito e basta, e quando mi sono svegliato, la mattina in cui dovevo attaccare la salita, non volevo proprio andare. Ma poi mi sono detto: le condizioni sono buone, il meteo è buono, mentre per i prossimi giorni è incerto: questo è il giorno giusto. Non è stata proprio un’esperienza che mi sono goduto, ma comunque è andata bene. Per quel che riguarda il futuro, ti piacerebbe tentare il K2? Forse sì, non lo so ancora. Perché il K2? Perché è la seconda montagna più alta al mondo.

E perché non la prima? Perché l’Everest è troppo turistico ora. E gli altri Ottomila? All’inizio ho pensato di scalarli tutti, ma ora sono più interessato a un alpinismo più tecnico, anche se certo potrei cambiare idea. Non lo so, le cose cambiano man mano che vai avanti e fai esperienza.

Le montagne del Karakorum, nella valle del Charakusa, che facevano parte dei suoi sogni: Tom osserva l’inviolato pilastro alto 1000m, a sinistra, chiamato Alison Peak, in ricordo della madre. Qui, nel 2017, apre una via nuova, denominata “Welcome to the jungle”. [Foto: Archivio Ballard/Pederiva]

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ALLA SCOPERTA DI NUOVE VIE

a cura di Renato Frigerio

Val Masino, Alpi Retiche, Gruppo del Castello Pizzo Torrone occidentale, 3351m, bastionata Est

“LA LEGGENDA DI CHARLIE E IL DRAGONE” Tommaso Lamantia e Manuele Panzeri

Relazione e foto di Tommaso Lamantia

Per concludere in bellezza una grande avventura iniziata l’estate del 2020, mi sembra giusto accettare un violento temporale, con annessa grandinata, appena poggiato i piedi a terra in Val di Zocca, dalla parte opposta alla nostra nuova linea sul Pizzo Torrone occidentale. Ma torniamo indietro a fine luglio dell’anno prima, più precisamente il 30 luglio 2019: ad attaccare con mille incertezze una nuova linea in Val Torrone, siamo io e Manuele Panzeri. Per me è la prima volta che salgo fino al bivacco ManziPirrotta, 2538m, e con stupore mi rendo conto di essere circondato da roccia e da pareti severe ad ogni direzione. Lui invece la valle la frequenta da 30 anni e la conosce bene, avendo già aperto diverse vie nuove. La linea che ha adocchiato il “Panza” si trova verso Ovest in direzione Val di Zocca e più precisamente sulla bastionata Est del Pizzo Torrone occidentale: una delle cime più elevate della valle, che con i suoi 3351m domina entrambe le Valli (Torrone e Zocca). La parete dove decidiamo di aprire, più precisamente si trova tra il “muro del Torrone” e i “Pilastri siamesi”, e la direttiva è data da una rampa ascendente verso sinistra fino alla cengia, poi da un diedro/camino che punta a destra. Il primo giorno, dopo aver salito la facile placconata di roccia lisciata dai ghiacciai alla base della bastionata Est, ci dirigiamo verso il punto con minori difficoltà della parete, e cominciamo a disegnare la nostra linea. Nella prima giornata riusciamo ad aprire qualche tiro, sempre con difficoltà tecniche non troppo elevate, fino ad una cengia, dove la parete si verticalizza e da dove decidiamo di scendere, attrezzando bene le soste per le calate. A metà agosto ritorniamo, decisi a finire la via e, dopo una cena e una notte favolosa al bivacco, il 16 agosto riscaliamo più velocemente i tiri che avevamo aperto due settimane prima, e ci troviamo alla cengia a metà parete! A questo punto la scalata riprende a ritmo più lento dell’apertura e, lottando tra fessure, placche e strapiombi, dopo una giornata intensa, ci troviamo la sera nel punto più alto raggiunto (scopriremo poi che all’uscita mancavano solo 45m). Le lunghezze si susseguono sempre abbastanza impegnative, e dopo un tiro con una

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sezione in artificiale che sale Manuele, mi trovo a cercare nel tiro seguente una soluzione per superare una fessura off with. Da sotto questo tiro che sembra su placca appoggiata, invece risulta leggermente strapiombante e si dimostra impegnativo. Dopo una lunga lotta, mi trovo distante dall’ultima protezione, oltretutto con un friend posizionato tutto aperto e in posizione del tutto precaria, con i piedi spalmati su piccoli cristallini e con in mano nulla a preparare una sosta! Esperienza mistica: infatti per posizionare il primo spit in quella posizione credo di averci impiegato circa 40 minuti, imprecando, senza ormai più energie e senza una goccia di

saliva in bocca! Dopo tutte le imprecazioni, la sosta è pronta e, dopo aver bevuto tutto ciò che mi rimaneva, decidiamo di calarci. Torniamo al bivacco stanchi, soddisfatti e convinti che ci manchino un paio di lunghezze e che con un’altra giornata saremo fuori. Purtroppo nel 2019 io e il “Panza” non riusciamo a far combaciare i nostri impegni, così il tempo passa e, troviamo gli unici due giorni quest’anno. Lunedì 20 luglio 2020 il tempo è bellissimo, ma già martedì pomeriggio il meteo sembra preannunciare possibili temporali pomeridiani. Siamo fiduciosi di riuscire a scendere nel pomeriggio, così al mattino del 21 luglio partiamo


Le svettanti pareti del versante meridionale in alta Val Torrone.

Da sinistra: Tommaso, Manuele e Stefania al bivacco Manzi, sul fianco occidentale dello sperone roccioso che, staccatosi dal prolungamento della Punta Ferrario, separa ora la parte mediana della Val Torrone in due bacini.

molto presto e dopo essere arrivati nel punto dell’ultima sosta, scaliamo i 45m finali dell’ultimo tiro, attrezzandolo anche in modo un po’ più generoso rispetto ai tiri sotto e, con nostra sorpresa ci rendiamo conto di essere in cima alla bastionata! Finalmente possiamo rilassarci un po’ sull’aerea cresta, con una vista magnifica, a Est verso la Val Torrone e a Ovest verso la Val di Zocca. Preparata l’ultima sosta di calata, per permettere comunque una discesa in doppia della via (alcune doppie sono un po’ impegnative), dalla cresta attraversiamo l’anfiteatro roccioso in direzione dell’avancorpo del Pizzo Torrone e con passi di III arriviamo alle soste di calata di una via a spit “Guronsan” (ndr, aperta da Giovanni Ongaro e Gianluca Maspes, nel 1997). Durante le calate in doppia il meteo

minaccia con tuoni e lampi e, appena arrivati a terra sui resti delle valanghe scese dopo l’inverno, si scatena l’inferno. Non è piacevole prendere una grandinata in montagna, ma ormai per noi le difficoltà sono finite: con la rassegnazione di chi non ha posti per ripararsi e la felicità di aver concluso un grande progetto, ci dirigiamo verso il rifugio Allievi-Bonacossa, 2385m, dove Armando ci offre per festeggiare un ottima bottiglia di “Inferno” della Valtellina, come a sottolineare le ultime sensazioni vissute!! “La Leggenda di Charlie e il Dragone” nasce da un’idea di dedicare una via nuova a due grandi amici, due alpinisti e volontari del Soccorso Alpino scomparsi sulla Grignetta nel febbraio 2018 sotto una valanga, Giovanni Giarletta per gli amici “Charlie” e Ezio Artusi che per tutti era “il Drago”. La via è stata salita in libera dove possibile, con alcune sezioni in artificiale, cercando di utilizzare il più possibile protezioni veloci e chiodi: ma sono presenti alcuni spit lungo i tiri e almeno uno in ogni sosta (escludendo la sosta numero 2 che si trova su un grosso spuntone). Tutti gli spit sono stati messi con piantaspit a mano. I gradi sono stati dati durante l’apertura: confidiamo di tornare a ripeterla per confermarli o modificarli e per goderci la scalata. Per una ripetizione, prevedere normale dotazione alpinistica e una serie di friend fino al 5. Avvicinamento: dal parcheggio del Gatto Rosso, contrada Cà dei Rogni, 1049m, si prosegue lungo il tratturo di fondovalle accanto al torrente, lasciando a destra le baite di Panscer, 1061m, e andando ad attraversare l’agglomerato di baite di Cascina Piana, 1092m, da qui - oltrepassato a sinistra il bivio per il rifugio Allievi-Bonacossa in Val di Zocca, via di ritorno - la comoda salita

Da sinistra: Lamantia e Panzeri all’attacco della via.

si accentua lievemente fino alla località Rasega, 1148m. La pista termina e si prosegue lungo un evidente sentiero che sale nel bosco avvicinandosi al torrente che scende dalla Val Torrone; senza attraversare il ponte (bivio per la Val Cameraccio) se ne risale ripidamente la costa fino al piede di una liscia parete rocciosa: da questo punto si risale il fondo di una stretta valletta su tracce spesso rovinate da slavine e piene torrentizie. Nei pressi di grossi massi (in un antro: Casera Torrone, 1996m) si sbuca sui pascoli alti della Val Torrone e gradualmente ci si sposta al centro dell’anfiteatro, fin nei pressi dei pochi ruderi del rifugio Ferrario, distrutto da una valanga nel 1935. A questo punto il bivacco è già visibile e conviene risalire la valle dove è più comodo (segnali scarsi e di vecchia data) fino ad incontrare la marcata traccia del Sentiero Roma. Seguendola verso destra, si raggiunge in breve la selletta detritica ove si trova ancorato il bivacco Manzi-Pirrotta. Dal bivacco traversare su detriti (traccia) puntando all’evidente parete Sudest della montagna posta nel centro del circo della Val Torrone (tra il Picco Luigi Amedeo e la Punta Ferrario). Aggirate le pendici meridionali e oltrepassato il punto più basso per poi salire verso la direzione del Pizzo Torrone occidentale, risalire le placconate basali lisciate dal ghiacciaio e puntare alla cengia dove a sinistra si trova l’attacco della via. Spit con cordino giallo.

Lamantia e Panzeri ringraziano df Sport Specialist, Salomon, Suunto, Bluelce e Alba Optics per il supporto gentilmente offerto.

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Val Ferret, Alpi Graie, Gruppo del Monte Bianco Grandes Jorasses, versante Sud, Pilastro Ghiglione, 3900m

“IL REGALO DI BERNA”

Matteo Della Bordella, Luca Schiera e Giacomo Mauri

Relazione e foto di Matteo Della Bordella

Avvicinamento: dal rifugio Gabriele Boccalatte e Mario Piolti, 2803m, alle Grandes Jorasses, si scende brevemente, per poi risalire il ghiacciaio fino a portarsi sotto l’attacco delle vie de La Tour de Jorasses (fino a qui 1,30/2 a seconda delle condizioni). Percorso salita: quindi si prosegue diritti verso l’alto, superando la crepaccia terminale, tenendosi a sinistra delle roccette. Si risale un lungo pendio nevoso a 50 gradi per 300 metri fino all’attacco dei primi contrafforti del Pilastro Ghiglione (da 2,30 a 4 ore dal rifugio Boccalatte a seconda delle condizioni della neve e dell’andatura). Si aggira sulla destra il primo risalto roccioso, facendo sosta vicino alla via BoninoBracey. Relazione tecnica per tiro: L1: risalire lo spigolo sinistro del primo gendarme del Pilastro, 60 metri, 6a. L2: proseguire seguendo il filo dello spigolo, fino in cima al gendarme, 60 metri, V+. L3: continuare lungo il facile filo di cresta (III), fino ad un breve risalto che si supera direttamente (V+), sostare sul lato destro, dell’evidente scudo che compone la prima parte del Pilastro, 60 metri. L4: proseguire dritti per placca, verticale ma ben lavorata, dopo 30 metri deviare leggermente a sinistra, superando un breve bombè ben appigliato, 40 metri, 6b. L5: partire in traversata a sinistra, aggirando una spigoletto con un paio di passi atletici (V), poi per si prosegue su tratto facile (III+), 50 metri. L6: salire il Pilastro direttamente, per una lunghezza appoggiata e ben appigliata, 60 metri, IV. L7: proseguire nel centro del Pilastro, che si fa un po’ più verticale (ma sempre appoggiato), su roccia ben lavorata, che offre una stupenda arrampicata tecnica. 60 metri, 6a. L8: superare direttamente la parte finale del Pilastro, che ora si fa perfettamente verticale, grazie ad una lunghezza un po’ più atletica delle precedenti, ma su roccia sempre ben appigliata. Sostare proprio al culmine del Pilastro. 50 metri, 6b. L9: proseguire lungo il filo di cresta, prima in orizzontale, poi verticalmente a raggiungere la vetta del Pilastro vera e propria, 60 metri, IV.

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Ampia veduta del versante Sud delle Grandes Jorasses, dove in posizione centrale spicca il Pilastro Ghiglione.


Sopra: ecco Luca Schiera sbucare sulla cima del Pilastro Ghiglione. Sullo sfondo l’incantevole ambiente fiabesco della Val Ferret innevata. Sotto: qui Luca Schiera apre il bellissimo quarto tiro della via: 6b, su roccia molto lavorata.

La via, in stile trad, termina in cima al Pilastro Ghigione. Da qui, traversando brevemente in discesa, si raggiunge il plateau glaciale, sotto la Punta Walker e quindi ci si ricongiunge alla via normale alle Grandes Jorasses. Percorso discesa: seguire a ritroso la via normale delle Grandes Jorasses, fino al rifugio Boccalatte Piolti. Attrezzatura: non è presente nessun tipo di materiale sulla via, eccezione fatta per due soste di calata, appartenenti alla via BoninoBracey, del 2019, posizionate leggermente a lato dell’itinerario. Si consiglia di portare due serie complete di friends fino al nr. 2, oltre alla dotazione alpinistica necessaria per l’avvicinamento e il rientro. Ndr. La via è stata dedicata a Matteo Bernasconi, travolto da una valanga, nel maggio 2020, al Pizzo del Diavolo, sulle Alpi Orobie valtellinesi, recuperato nel canale della Malgina.

Uomini&Sport | Giugno 2021 | 53


ABBIAMO LETTO PER VOI

a cura di Renato Frigerio

“TOM BALLARD – IL FIGLIO DELLA MONTAGNA” di Marco Berti

268 pagine – copertina a colori con risvolti – formato cm. 21,5x14 – Euro 12,90 – Solferino Libri – Edito da RCS Mediagroup SpA – Prefazione di Reinhold Messner

È del tutto scontato che l’orientamento nella scelta della lettura viene particolarmente determinato dall’interesse che ognuno ha verso un proprio settore di riferimento. Va da sé che non faccia eccezione nemmeno un libro che esce con argomento specifico che riguarda l’alpinismo. Si potrebbe aspettare in tal caso che non potrà essere ampia la platea di appassionati che ne sono rimasti in attesa. Pensiamo per questo che il recente volume di Marco Berti, con il suo titolo “Tom Ballard, il figlio della montagna”, possa trarre in inganno chi di alpinismo non ne vuole proprio sapere. Questo è un libro che può soddisfare anche coloro che di alpinismo sono del tutto a digiuno e rimangono indifferenti ad ogni sollecitazione. Qui alpinismo e montagna assumono un ruolo di secondo piano rispetto alla figura del protagonista, accattivante sotto ogni aspetto. La sua biografia, che fa un salto dal periodo intenso della fanciullezza, ai pochi anni vissuti in giovane età, viene presentata magistralmente da una narrazione fluida e appassionata, che riesce a coinvolgere emotivamente nelle vicende gioiose, ma soprattutto tristi e dolorose, che hanno segnato gli anni infantili dell’alpinista britannico. Il racconto avvince senza respiro, nonostante risulti impegnativo nel seguire le sconcertanti analisi dell’animo umano, filo conduttore delle situazioni che ruotano attorno a Tom Ballard. Figlio della montagna, Tom lo è stato ancora prima di venire alla luce, quando la sua giovane mamma, già alpinista di rango, che lo portava in grembo da cinque mesi, aveva raggiunto la vetta dell’Eiger, scalando la terribile parete Nord. Un segno del destino per lui, che avrebbe ben presto stupito tutti per la sua sete di inventare tante prime incredibili ascensioni e che sarebbe diventato un astro mondiale dell’alpinismo, se la montagna non gli avesse richiesto, come aveva già fatto con sua madre, il pegno della vita, poco più che trentenne. I tratti umani di un ragazzo che non ha mai avuto pretese, tanto meno quelle ambiziose di clamorosi riconoscimenti, colpiscono ancora più profondamente quando si seguono poi le tragiche giornate che hanno preceduto e concluso la fine della sua esistenza. Il volume viene impreziosito, e in certo modo completato, dall’intervento di tre autorevoli personaggi – Reinhold Messner, Alessandro Filippini, Alex Txikon -, che chiariscono le qualità umane e alpinistiche di Tom e ripropongono drammaticamente le fasi della sua disperata ricerca sullo Sperone Mummery del Nanga Parbat sul finire del febbraio 2019.

“IL RICHIAMO DELLA GRIGNA” di Giorgio Spreafico

336 pagine – copertina in b/n con risvolti – 48 fotografie in b/n – formato cm 21x15 – Prezzo: Euro 16,00 – Teka Edizioni

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Nella sua lunga ed apprezzata professione come scrittore e giornalista, Giorgio Spreafico si è distinto per l’appassionato interesse e competenza in tutto ciò che riguarda il mondo della montagna. Non ha comunque mai nascosto la preferenza, diciamo pure l’amore intenso che riserva per le montagne e i grandi alpinisti della sua città. L’attrattiva e il fascino delle sue montagne li ha intravisti anzi anche personalmente negli alpinisti di fama mondiale, ai quali è bastato un semplice invito per accorrere a Lecco, dove sono stati accolti in saloni sempre gremiti di appassionati desiderosi di vederli e ascoltarli. Per lui pure un privilegio e una rara fortuna, perché è certo difficile poter incontrare un tanto cospicuo numero di celeberrimi alpinisti, lungo l’arco di quattro decenni. Tanti sono stati i protagonisti dell’alpinismo mondiale che sono intervenuti a Lecco dai primi anni ottanta fino ai nostri giorni: e lui tutti li ha accostati per conoscerne le più intense imprese, ma anche per approfondire gli aspetti più sensibili e umani della loro personalità. È così che ne ha ricavato un volume unico nel suo genere, perché ci fa incontrare tutte insieme “Cinquanta stelle della scena alpinistica mondiale che si raccontano ai piedi della più amata montagna lombarda”, regalandoci la straordinaria occasione di conoscere pressoché tutti gli arrampicatori stranieri che hanno scritto la storia dell’alpinismo di questi ultimi quarant’anni.


“IL RICHIAMO DELL’IGNOTO – OLTRE QUARANT’ANNI DI RICERCA E SCOPERTA ALPINISTICA” di Maurizio Giordani

252 pagine – copertina con risvolti – fotografie a colori – formato cm 22x24 – Euro 30,00 – Collana “I Rampicanti” – Edizioni Versante Sud

Se si prova almeno un briciolo di interesse per l’alpinismo, si avrà certamente avuto modo di imbattersi più di una volta nel nome di Maurizio Giordani, e magari di conoscerlo come merita, attratti da qualcuno dei suoi numerosi libri. L’alpinismo gli deve molto anche per aver arricchito non poco il bagaglio della letteratura alpinistica, dove si è distinto per genialità e qualità, del resto in linea con la sua attività che si è estesa con entusiasmanti conquiste su pareti di ogni difficoltà nelle montagne di tutti i continenti. Ancora una volta sorprendente e coinvolgente ci prende questo suo ultimo volume “Il richiamo dell’ignoto”, in cui, con un’impostazione innovativa e subito accattivante, ci permette di compiere a ritroso con lui tutte le tappe dove è giunta finora la sua lunga ed esaltante carriera. Il libro è scritto e illustrato come siamo già stati abituati e ritrovarlo, nello stile di una persona che nulla nasconde di quanto di più profondo sta alla base della sua ricerca verso ascensioni e scalate che non abbiano nessuna parvenza di ciò che è già stato conosciuto e attuato: il vero ignoto che attira, anche se incute timore. Lo si può percepire anche dalla maestosità di tante fotografie, tutte da contemplare, ma che non sono semplicemente una documentazione degli scenari stupendi dove ha lasciato memorabili tracce del suo personalissimo stile di alpinismo. Ci viene proposta una storia piena di emozioni e davvero originale, anche per il fatto che inizia da dove l’autore è giunto fin qui e si conclude fino alla posizione di partenza, lontana ormai di quarant’anni. A questo punto lo fa con uno sguardo che si rivolge dall’alto, forte di un’esperienza che consente profonde riflessioni e pienezza di sentimenti, tra soddisfazioni e rimpianti, nella consapevolezza del tempo che ci sfugge, o, come meglio si esprime lui “della grande clessidra che, attimo dopo attimo, perde granelli di sabbia”.

“OLTRE IL LIMITE – LA DEDIZIONE COME VERO TALENTO ATTRAVERSO L’ESPERIENZA DI DODICI ATLETI” Michele Boscacci, Marco De Gasperi, Eleonora Delnevo, Stefano Ghisolfi, Kilian Jornet Burgada, Tamara Lunger, Gesar Simon Messner, Simone Moro, Mario Poletti, Silvia Rampazzo, Jim Reynolds, Maurizio “Manolo” Zanolla di Eros Grazioli

144 pagine – copertina a colori con risvolti – fotografie a colori – formato cm. 22x19 – Euro 28,00 – Collana “Performa” – Edizioni Versante Sud

L’autore, forte di una preparazione e di una esperienza non comune nell’ambito dell’allenamento sportivo in genere, se pur con una spiccata tendenza verso gli sport praticati in montagna, affronta un tema che si presta ad offrire interpretazioni contrastanti. Per avvalorare la validità della sua concezione, in base alla quale non deve essere indispensabile essere dotati di un talento naturale per conseguire una posizione di eccellenza in ogni settore delle attività umane, la rinforza con l’apporto che proviene da coloro che si trovano attualmente ai vertici di alcuni sport che vengono praticati in montagna. Ha predisposto pertanto una serie di domande, che ha poi proposto individualmente a forma di intervista a dodici tra i più famosi atleti del momento. Le loro risposte, che già costituiscono un elemento interessante di piacevole lettura, vengono da lui riprese in un confronto analitico, da cui rileva una concordanza di vedute, che forma una specie di minimo comune denominatore. È un libro che riuscirà a coinvolgere il lettore, che si vedrà costretto lui pure a riflettere per darsi una risposta personale. E in questo senso non si potrà non condividere quanto Emilio Previtali asserisce nella sua bella prefazione: “Questo libro ha esattamente questo scopo: fare di noi delle persone che si mettono in gioco e che gioiscono dei propri obiettivi raggiunti, grandi o piccoli che siano, quando succede che se ne raggiunga almeno uno”.

Uomini&Sport | Giugno 2021 | 55


“DIO ABITA ALL’ULTIMO PIANO. LO SKYRUNNING SECONDO MARCO DE GASPERI” di Roberta Orsenigo. A cura di Gabriele Romagnoli.

144 pagine – copertina a colori con risvolti – foto a colori – formato cm 23x15 – Euro 16,90 – Redazione Gribaudo

Il volume che esce con i testi di Roberta Orsenigo e a cura di Gabriele Romagnoli appare con una veste caratteristica e invitante, che gli conferisce la speciale attrattiva, che non verrà certo delusa dal contenuto. Il racconto, pure alquanto succinto, scorre in modo brillante per farci conoscere perfettamente, nella sua vita, nel suo singolare carattere e nelle sue doti atletiche, un personaggio che ha dominato per un lungo periodo il mondo affascinante della corsa in montagna. Ma per Marco De Gasperi non fu un traguardo definitivo quello di primeggiare in questa disciplina quasi senza rivali se, oltre ad altri trofei, si era accreditato per ben sei volte il titolo di campione mondiale. Il suo sguardo si rivolgeva più in alto, sulle vette più prestigiose riservate al dominio degli alpinisti: ma la differenza tra chi si mette in gioco sulle pareti verticali e lui poteva venire risolta soltanto dalla velocità con cui la vetta veniva raggiunta. Comincia allora per lui la nuova storia che ha dell’incredibile per gli impressionanti exploit che si guadagna come skyrunner, vero fenomeno nella rincorsa verso la vetta e nelle discese da brivido che fanno parte del gioco. Il racconto diventa sempre più emozionante, e lo si può soprattutto valutare da come viene accuratamente descritta la sua impresa che il 16 luglio 2015 gli ha consentito di infrangere il record di salita e discesa della via italiana del Monte Bianco. Il volume termina nella forma di un vademecum dal valore eccezionale per l’intervento dello stesso De Gasperi, che a fronte della sua ineguagliabile esperienza, offre un prezioso contributo per chi vuol comprendere o magari avviarsi verso la pratica dello skyrunning, indicando come ci si deve preparare, allenare e sufficientemente equipaggiare.

“DOL DEI TRE SIGNORI – DORSALE OROBICA LECCHESE” di Sara Invernizzi, Ruggero Meles e Luca Rota

192 pagine – copertina a colori con risvolti – foto e mappe a colori – formato cm. 21x14 – Prezzo: Euro 14,00 – abbinata carta escursionistica scala 1:40.000 – Collana “I Cammini di Orobie” – a cura di Moma Edizioni

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L’attenzione valida e meritoria che “Orobie” rivolge, già a partire dal 1990, alla bellezza e all’importanza turistica della Dorsale Orobica Lecchese ha avuto una concreta visibilità sia attraverso i vari resoconti riportati sulla propria rivista, sia con il preciso rilancio che la stessa rivista mensile ne ha fatto nel 2017, promuovendo l’organizzazione di un trekking organizzativo. Molto di più è quello che appare adesso con la proposta di un allettante volume che esce nella collana “I Cammini di Orobie”, a cura di tre autori competenti e appassionati, Sara Invernizzi, Ruggero Meles e Luca Rota. “DOL dei Tre Signori”, abbinando il generico acronimo ad una montagna tanto prestigiosa per il suo richiamo escursionistico, ricco di spunti naturalistici e di valore storico, costituisce una guida ambiziosa e innovativa per percorrere in cinque o sei tappe una camminata estremamente gratificante, sorretti appunto passo dopo passo dalle indicazioni e da splendide immagini. Invitati alla sua consultazione, il cammino risulterà più confortevole e sicuro, ed inoltre non potranno mai sfuggire i numerosi particolari costituiti dagli aspetti naturalistici, ambientali e culturali. Mentre viene consigliato il percorso con partenza da Bergamo verso Morbegno o Colico, con l’intento di dirigersi da una zona fortemente antropizzata verso spazi più naturali, nello stesso tempo la guida indica chiaramente come raggiungere gli itinerari da diversi accessi. Il volume ha in dotazione anche una dettagliata e utilissima Carta Escursionistica della DOL.


TUTTE LE SERATE “A TU PER TU CON I GRANDI DELLO SPORT” RACCOLTE IN UNO SPECIALE COFANETTO CONTENENTE TRE VOLUMI L’iniziativa è partita da df Sport Specialist per offrire un ricordo concreto agli appassionati che hanno seguito le serate dal 2005 al 2020 Un patrimonio aziendale davvero prezioso, valorizzato e raccontato tutto d’un fiato in un opera in tre volumi, che ripercorre la storia delle serate “A tu per tu con i grandi dello Sport”, ideate da df Sport Specialist. Valorizzare il passato è il primo passo per guardare con fiducia al futuro, con l’ottimismo e la speranza di riprendere presto ad incontrare i grandi dello Sport. Le serate sono nate nel 2005, da un’idea di Sergio Longoni, amante della Montagna e dello Sport. A lungo Longoni aveva coltivato l’idea di creare un incontro tra appassionati, un momento conviviale nel tipico clima d’amicizia che si respira nei suoi negozi. Ad inaugurare il ciclo fu il grande Walter Bonatti, con una serata rimasta impressa nella memoria dei partecipanti. Da quel primo evento ne sono stati organizzati oltre duecento, uno più emozionante dell’altro, fino all’ultimo con Manolo nel 2020: tutti i grandi dello Sport, attuali o del passato, sono saliti sul palco dei negozi df Sport Specialist, a partire da Bevera di Sirtori, a due passi da Lecco e dalle sue montagne. Diventate un fiore all’occhiello dell’azienda, le serate hanno dato spazio al racconto dell’affascinante mondo della montagna attraverso i suoi protagonisti, ma non solo: da grande sportivo, Sergio Longoni ha invitato anche campioni di ciclismo, running, nuoto, esploratori dei territori più impervi e lontani. Atleti di casa e ospiti internazionali: le testimonianze, i racconti delle esperienze sportive, anche estreme, hanno creato momenti di forte emozione e coinvolgimento per il pubblico, suscitando attesa e curiosità per l’evento successivo. “È con orgoglio che presento la raccolta completa di tutte le serate – racconta Sergio Longoni–. È stato un lavoro complesso, un vero e proprio viaggio nel passato che ci ha permesso di rivivere con immenso piacere tutti i momenti più belli ed emozionanti, vissuti insieme al nostro pubblico e a tutti i più grandi alpinisti ed atleti che sono stati ospiti nei punti vendita. La raccolta – continua Longoni – è anche un omaggio ai protagonisti ospiti delle serate che sono rimasti vittime di eventi imprevedibili durante le proprie avventure. A loro dedichiamo un affettuoso pensiero, in ricordo delle emozioni che ci hanno fatto vivere durante gli appuntamenti agli stessi dedicati.” Il sogno nel cassetto di Sergio Longoni si è realizzato: le serate sono diventate una realtà per gli appassionati del mondo outdoor. Oggi, invece, il sogno è ripartire: ritrovare momenti di serenità e leggerezza, non appena la situazione sanitaria lo consentirà. “Il programma è già pronto – afferma Sergio Longoni – ci aspettano alpinisti ed atleti che non vedono l’ora di raccontare le ultime imprese. La nostra voglia di ripartire e di avervi graditi ospiti è più che mai viva. Nell’attesa di questo momento, ci fa piacere accompagnarvi in un viaggio nel passato. Questa raccolta è dedicata a tutte le persone che hanno reso possibile la creazione di questi eventi singolari e speciali: ai protagonisti, al pubblico, allo staff, tutti insieme uniti dalla passione per lo Sport, che ci regala energia e ci fa sognare.”

La raccolta è disponibile gratuitamente su richiesta, fino ad esaurimento scorte, inviando una email a zamboni.g@df-sportspecialist.it, indicando il negozio df Sport Specialist preferito per il ritiro della copia. 18 luglio 2014 - ospite Reinhold Messner

6 luglio 2016 - ospite Simone Moro

11 ottobre 2017 - ospite Alex Honnold


RIPRENDIAMO GLI APPUNTAMENTI CON LE NOSTRE SERATE

I NEGOZI DF SPORT SPECIALIST:

Mentre stiamo constatando con sollievo il graduale regredire della diffusione pandemica nel nostro paese, riscontriamo il conseguente allentamento delle norme di Legge, che consentono ora l’effettuazione di spettacoli all’aperto, anche se numericamente contingentati. Nella certezza che la medesima situazione sia ormai indirizzata verso un accentuato consolidamento, guardiamo con fiducia alla possibilità di riprendere al più presto almeno una delle nostre serate “A tu per tu”, che ci sono mancate da troppi mesi e grazie alle quali ci eravamo abituati ad incontrarci ininterrottamente a partire dal lontano 2005. Purtroppo l’incertezza, determinata da una situazione che non lasciava margini di previsioni circa la tempistica di riapertura, ha interferito anche con la nostra possibilità di programmare i tempi per impegnare gli eventuali protagonisti. Al punto in cui ora ci troviamo, abbiamo però deciso di rompere gli indugi, per cui df Sport Specialist può annunciare che il prossimo mese di luglio effettueremo la nostra prima serata del 2021, con ritrovo negli spazi all’aperto a Bevera di Sirtori. Conformemente alla nostra tradizione, tipica per il “luglio in festa”, celebreremo il ricordo dell’anniversario di apertura di questo nostro negozio. Non siamo in grado al momento di indicare la data, ma nemmeno intendiamo anticipare nulla sul programma, proprio per accentuarne l’interesse e la curiosità. Non mancheranno certamente i mezzi tecnici per fornire tempestiva ed esauriente informativa: già questa comunque è una notizia bella e buona.

CREMONA Centro Commerciale Cremona Po Via Castelleone, 108 Tel. 0372-458252

BELLINZAGO LOMBARDO (MI) Centro Commerciale La Corte Lombarda Strada Padana Superiore, 154 Tel. 02-95384192

DESENZANO DEL GARDA (BS) Centro Commerciale Le Vele Via Marconi, angolo Via Bezzecca Tel. 030-9911845 GRANCIA / LUGANO (Svizzera) Parco Commerciale Grancia Via Cantonale, Grancia Tel. 0041-919944030 LISSONE (MB) Multisala UCI Cinema Via Madre Teresa / SS36 - Uscita Seregno SUD Tel. 039-2454390 MAPELLO (BG) Centro Commerciale Il Continente Via Strada Regia, 4 Tel. 035-908393 MEDA (MB) Outlet by DF Sport Specialist Via Indipendenza, 97 Tel. 0362-344954 MILANO Via Palmanova, 65 (Ampio parcheggio - ingresso da Via Cesana, 4) MM2 UDINE/CIMIANO Tel. 02-28970877 OLGIATE OLONA (VA) Via Sant’Anna, 16 a fianco di Esselunga e Brico Tel. 0331-679966

30 luglio 2020, ospite “Manolo” Maurizio Zanolla

ORIO AL SERIO (BG) Via Portico 14/16 in prossimità del Centro Commerciale Orio Center Tel. 035-530729 PIACENZA Centro Commerciale Galleria Porta San Lazzaro Via Emilia Parmense Tel. 0523-594471 SARONNO (VA) c/o Centro Commerciale Bossi Via del Malnino, 5 - GERENZANO Tel. 02-09997330 SIRTORI (LC) - località BEVERA Via Delle Industrie, 17 (Provinciale Villasanta Oggiono) Tel. 039-9217591

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www.df-sportspecialist.it info@df-sportspecialist.it sede tel. 039 921551


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