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Esaurita la fase emergenziale delle ricostruzioni
postbelliche tra le diverse occasioni di riflessione importante è il Secondo Congresso Internazionale degli Architetti e Tecnici dei Monumenti (Venezia 25-31 maggio 1964)7. Due anni dopo la rivista “Ulisse” dedicherà il fascicolo LVI al “futuro dell’archeologia”8.
Qualche anno più tardi viene diffusa la Carta Italiana del Restauro (1972), organizzata in una relazione introduttiva nella quale si riconosce preminente la mano di C.Brandi, e quattro allegati specifici sui restauri concepiti come strumenti operativi aggiornabili secondo le necessità. Il primo è dedicato proprio ai restauri archeologici. La Carta non riuscirà mai a diventare legge ma costituirà soltanto uno strumento di raccomandazione per le Soprintendenze che dal 1939 possono avvalersi del supporto dell’Istituto Centrale del Restauro. All’articolo 9 si legge: “L’uso di nuovi procedimenti di restauro e di nuovi materie, rispetto ai procedimenti e alle materie il cui uso è vigente o comunque ammesso, dovrà essere autorizzato dal Ministero della Pubblica Istruzione, su conforme e motivato parere dell’Istituto Centrale del Restauro, a cui spetterà anche di promuovere azioni preso il Ministero stesso per sconsigliare materie e metodi antiquati, nocivi e comunque non collaudati, suggerire nuovi metodi e l’uso di nuove materie, definire le ricerche alle quali si dovesse provvedere con una attrezzatura e con specialisti al di fuori dell’attrezzatura e dell’organico a sua disposizione”. Pur vietando (articolo 6) “completamenti in stile o analogici, anche in forme semplificate” all’articolo successivo suggerisce “aggiunte di parti accessorie in funzioni statiche o reintegrazione di piccole parti storicamente accertate attuate secondo i casi o determinando in modo chiaro periferia delle integrazioni oppure adottando materiale differenziato seppure accordato, chiaramente distinguibile…”. Nelle Istruzioni per la salvaguardia e restauro delle antichità vengono date ulteriori indicazioni proponendo l’impiego di materiali lapidei simili ma che si dovranno mantenere le parti restaurate su un piano leggermente più arretrato mentre per le cortine laterizie sarà opportuno scalpellare o rigare la superficie dei mattoni moderni”. In alternativa all’arretramento delle superfici di restauro moderno “si può utilmente praticare un solco che delimiti la parte restaurata o inserirvi una sottile lista di materiali diversi. Così pure può consigliarsi in molti casi un diversificato trattamento superficiale dei nuovi materiali mediante idonea scalpellatura delle superfici moderne”9 .
7 Nella Carta di Venezia l’articolo 4 osserva che “la conservazione dei monumenti impone innanzi tutto una manutenzione sistematica”; l’articolo 15 è dedicato ai lavori di scavo da eseguirsi secondo i princìpi sanciti dall’UNESCO nel 1956. “Gli elementi di integrazione dovranno essere sempre riconoscibili, e limitati a quel minimo che sarà necessario a garantire la conservazione del monumento e ristabilire la continuità delle sue forme”.
8 L.Vlad Borrelli ipotizza tre livelli di intervento di conservazione in situ: pronto intervento per limitare i danni da scavo, pratiche per assicurare il consolidamento dei materiali, il vero restauro, “ultimo stadio critico ed interpretativo, sia che esso si valga di integrazioni e rifacimento, sia che miri semplicemente alla trasmissione nel futuro del monumento nell’aspetto in cui è stato rinvenuto”. Una decina d’anni più tardi proporrà un restauro “preventivo”, una serie di provvidenze perché “vengano predisposte ancor prima di iniziare un qualsiasi approccio allo scavo”.
9 L’utensile comunemente usato è il malepeggio.