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Un preciso e finalizzato riferimento è riservato
agli interventi protettivi alle creste dei muri: “un problema particolare dei monumenti archeologici è costituito dalle coperture dei muri rovinati, per le quali è anzitutto da mantenere la linea frastagliata del rudere, ed è stato sperimentato l’uso della stesura di uno strato di malta mista a cocciopesto che sembra dare i migliori risultati sia dal punto di vista estetico sia da quello della resistenza agli agenti atmosferici”.
A fronte di un dibattito molto ricco sul restauro con salti di qualità e alcune realizzazioni esemplari si rileva una minore attenzione per la conservazione dei ruderi, e in particolare quelli non riutilizzabili e quelli in corso di scavo. Proprio lo scavo, se non attento ai problemi conservativi, il più delle volte è l’occasione per l’attivazione di meccanismi di degrado e dissesto oppure per il peggioramento di azioni degenerative già attive. La sproporzionata fiducia nella tecnologia e nei “prodotti per il restauro” 10 che sempre più affollano le vetrine delle fiere dedicate, resine innanzitutto, e la spregiudicatezza di alcuni interventi (l’antico come pretesto) sembra essere causa di molti danni. È paradossale il fatto che mentre i termini del restauro si spostano verso i princìpi del minimo intervento, la reversibilità e la manutenzione sistematica (ma anche a fronte di pregevoli esempi che evidentemente riescono a fare scuola solo marginalmente) si può verificare come una buona parte degli interventi su contesti archeologici continui ad essere caratterizzata da operazioni che prediligono trasformazioni e vaste sostituzioni di parti. Queste vengono giustificate dalle “situazioni anomale” e necessità straordinarie” che dipendono da eventi calamitosi (per contrastare i quali si rendono disponibili quelle risorse importanti che invece non si riesce ad avere per opere di manutenzione), da uno stato di vulnerabilità sempre più diffuso e soglie di tollerabilità sempre più labili. Il restauro (e quello archeologico in particolare) presuppone conoscenze specifiche e personale adeguatamente addestrato (ad ogni livello: dal progettista/direttore dei lavori all’ultimo operatore) con tirocini personali svolti a diretto contatto dei manufatti e non soltanto su modelli teorici. Personale addestrato a non cadere nei rischi della routine, capace di sapersi adeguare alle anomalie e singolarità che si riscontrano a cantiere aperto e alle inevitabili emergenze che un intervento di restauro può comportare. Di fatto, il restauro risente anche de “l’incapacità degli artigiani, l’orgoglio e l’incompetenza degli architetti” (Breitling, 1975).
10 Con un sospetto abuso di pretestuose definizioni bio ed eco. Il mercato specializzato mette a disposizione una vasta scelta di prodotti per il restauro, alcuni dei quali molto buoni e affidabili, tanti altri inutili, altri ancora addirittura dannosi. In questa sede non è il caso di citare etichette e denominazioni commerciali ma è opportuno osservare che avere soluzioni che garantiscano soluzioni definitive non è possibile e che non esistono prodotti che possano risultare efficaci in tutte le situazioni, indipendentemente dalle situazioni che si possono avere. In tutti i casi è indispensabile fare test preventivi, da eseguirsi preferibilmente in situ maniera determinante dalle brusche variazioni ambientali a seguito dello scavo, con differenze locali negli esiti che dipendono anche dalle strategie di scavo (sull’applicazione dei metodi non dovrebbero esserci dubbi), dalla variabilità delle condizioni in cui i manufatti edili si troveranno a vivere in seguito e dalle possibilità di assicurare loro pratiche di manutenzione ordinaria. Rare sono le soluzioni mirate alla protezione delle creste durante le operazioni di scavo quando infiltrazioni dall’alto e variazioni delle spinte laterali, se non controllate, sono destinate a peggiorare con l’avanzare della profondità di scavo quando si possono avere erosioni concentrate o diffuse, spanciamenti e ribaltamenti, perdite di orizzontalità e infiltrazioni di acque. per un catalogo di interventi
Non sempre del tutto accettabili sono le procedure protettive temporanee da adottarsi nei periodi di interruzione dei cantieri e, ancor meno, quelle che dovrebbero proteggere le creste “a cantiere aperto” quando infiltrazioni dall’alto e variazioni dei sistemi delle spinte laterali sono destinate a peggiorare lo stato di conservazione.
Così come in un cantiere edile o stradale in aree a rischio archeologico si prevede che un archeologo faccia assistenza potendo richiedere maggiori attenzioni e saggi esplorativi strategici non si potrebbe pensare a un architetto o un restauratore che facciano assistenza durante uno scavo archeologico? Potrebbero essere utili per suggerire eventuali “soluzioni di prudenza e di sicurezza” in situazioni che, sottovalutate, potrebbero innescare pericolosi meccanismi degenerativi. È opportuno ricordare come nei cantieri archeologici non si trovano quasi mai attrezzature11 e personale addestrato per le condizioni di emergenza ricorrendo piuttosto a rimedi improvvisati e soluzioni legate soltanto alle disponibilità momentanee.
11 Utili in particolare per la protezione cautelativa delle creste: teli di plastica (contro la pioggia) e vecchie coperte o sacchi di juta (contro le inclemenze termiche), assi di legno e bancali, lamiere grecate e finanche bende gessate. Una attenzione particolare va dedicata ai geotessili nei quali si ripongono solitamente grandi aspettative ma che, al contrario, possono risultare di scarsa efficacia.
La boîte noire contient la vérité de ce qui s’est passé, mais somme-nous sûrs que l’enregistrement est transparent qu’il est lisible, qu’il n’est pas codé? (L.Olivier, 2022)
Le osservazioni sugli interventi realizzati, nella ampia variabilità tipologica e casistica di risultati, consentono di elaborare una lista, sia pure incompleta, di classi di protezione delle creste allo scopo di assicurare protezioni provvisorie con “superfici di sacrificio”1 provvisorie oppure protezioni a lunga scadenza. L’osservazione di soluzioni poste in opera da più o meno tempo e in condizioni più o meno simili, se non manomesse da interventi successivi, permette un collaudo sul campo con livelli di affidabilità che possono essere molto elevati e costituire uno degli elementi di valutazione per scelte successive. In ogni sito si riscontrano singolarità nei materiali impiegati, tipi e cause di degrado dei materiali e dissesto delle strutture correlate all’ambiente in cui si trovano ma anche alle modalità operative di ogni Amministrazione, Soprintendenze soprattutto, coinvolte e responsabili per territorio. In non pochi casi è possibile riconoscere la mano del Soprintendente e del direttore dei lavori ma anche dell’assistente di cantiere (personaggio talvolta determinante fino a un paio di decenni fa) e dell’impresa a cui sono stati appaltati i lavori. Non raramente le imprese possono influire sull’andamento e la riuscita dei lavori quando condizionano la scelta dei materiali, lavorazioni e relativi prezzi già in fase di progettazione e in corso d’opera proponendo tutti i sostituti di uguale efficacia e di più facile applicazione.
Il sito archeologico di Pompei, tra gli altri, scavato fin dalla metà del 1700 è stato sempre il campo di una vasta sperimentazione di metodi restaurativi e di materiali molti dei quali saranno poi adottati anche in altre aree. Non sempre i diversi interventi, da quelli di G. Fiorelli in poi, sono stati documentati ma in molti casi ne restano le realizzazioni: stuccature, risarciture, fissaggi di intonaci, rinzaffi, bauletti e murature di sacrificio posti a protezione delle creste. Questi possono rappresentare utili elementi di confronto e costituire suggerimenti per nuovi interventi. In particolare può essere interessante osservare i diversi tipi di malta impiegate, malte non cementizie all’inizio ricche di inclusi lavici e laterizi e quindi molto simili a quelle antiche, sostituite dagli anni venti, da malte cementizie e più recentemente da resine, talvolta coesistenti con malte di calce. Nell’ambito del “Progetto Pompei” si è stabilito il ricorso a materiali adeguatamente testati eliminando, quando possibile, malte di cemento e calcestruzzi, facendo piuttosto ricorso a malte naturali, calce spenta mista a sabbia2.
1 “…a protezione delle murature antiche, è stato individuato un accorgimento particolare: la creazione della superficie di sacrificio, ossia di un colmo moderno della superficie muraria, eseguito però rigidamente in sottosquadro, in maniera da non potersi confondere assolutamente con il passare degli anni, con l’originaria struttura antica. Sarà questa superficie moderna a disgregarsi per l’usura temporale e degli agenti atmosferici, e non quella antica. Il cemento […] è stato ormai bandito dal restauro. anche le sarciture e le stilature murarie si avvalgono delle malte ottenute col semplice ricorso della calce spenta mista a sabbia, come in antico” (Progetto Pompei 1988). Le altre soluzioni per le integrazioni e la protezione delle creste sono malte di pozzolana ventilata, pozzolana tufacea, calce idrata con additivi antiritiro, antigelo, antivegetazione.
Da poco tempo si è cominciato a ridimensionare il ruolo di interventi spinti oltre il necessario e ridurre le aspettative di interventi definitivi a vantaggio di un consapevole recupero di antiche tradizioni artigianali.
Una utile procedura preventiva a un intervento di restauro può essere costituita da ricognizioni mirate ad altri interventi eseguiti in precedenza sullo stesso monumento per registrarne i caratteri e i risultati. La valutazione di pregi e difetti può rivelarsi utile per la previsione di nuovi interventi che potrà giovarsi dei risultati positivi precedenti ed evitare il ripetersi di errori per un tempo sufficiente (durabilità).
2 Nel Documento di indirizzo alla progettazione per “Lavori di manutenzione straordinaria ciclica delle strutture archeologiche e architettoniche …” (categoria OG2) redatto dal Parco Archeologico di Ercolano (S.Marino) si legge: “Gli interventi previsti per le creste murarie sono divisibili in due grandi categorie, quelli di rifacimento semplice e quelli di rifacimento ‘armato’: le operazioni di armatura della parte sommitale del nucleo sono realizzate attraverso un parziale smontaggio della muratura e in particolare attraverso lo svuotamento del nucleo per alcune decine di centimetri in profondità, in base allo spessore della muratura e alla presenza di un nucleo murario originale integro. Tale operazione viene sempre effettuata in presenza dell’archeologo. La tipologia di armatura, in fibre di vetro, di inox o di basalto, deve essere definita di volta in volta per essere il più possibile compatibile con le caratteristiche della muratura esistente“. In Valle d’Aosta “… si esclude a priori l’uso del cemento ordinario e derivati (Cemento Portland, Cemento pozzolanico, Calinto) nonché di premiscelati di composizione ignota. All’impresa esecutiva si richiede di conseguenza l’uso di malta di calce idrata ed idraulica naturale (nome NHL) formulata a seguito di campionature da sottoporre all’approvazione della D.L. e D.S. e a regolari controlli di qualità” (Aver Guida, 2007).
Campionatura del sito/manufatto
La conoscenza globale di un sito e/o un manufatto e delle loro caratteristiche specifiche comporta la necessità di programmare strategie di ricerca che permettono di razionalizzare il lavoro svolto e di ottenere i necessari risultati finali. I ruderi architettonici possono rappresentare primarie classi documentarie solitamente autentiche capaci di diventare essi stessi fonte originale di informazione; possono essere assunti a campionatura significativa da cui emergono i dettagli di sistemi di più ampio respiro e complessità. Il processo di conoscenza di un sito/manufatto si può riassumere essenzialmente in tre fasi:
• la definizione dell’area d’indagine e l’assunzione analitica dei dati esistenti (storici, archeologici, geo-ambientali…);
• la raccolta e l’organizzazione dei dati attraverso ricognizione/sopralluogo (survey) e la campionatura (sampling);
• l’elaborazione e l’interpretazione dei dati raccolti con la conseguente definizione delle problematiche esistenti e delle maggiori cause di degrado e di trasformazione.
Nel caso in cui non sia possibile estendere a tutto il territorio in esame una rilievo di buona affidabilità, si potrà ricorrere a indagini “a campione” capaci di rappresentare strategicamente porzioni significative dell’intera superficie (volume). La campionatura è il procedimento di individuazione di una parte da indagare rappresentativa di un più ampio ambito investigativo). I tipi di campionatura maggiormente utilizzati nella ricognizione/sopralluogo sono:
• la campionatura arbitraria, nella quale le zone da coprire sono scelte senza far ricorso a un criterio esplicito. Si utilizza soprattutto in condizioni di emergenza ma con risultati difficili da analizzare e inserire in un quadro organico;
• la campionatura ragionata in cui i criteri e le procedure che conducono alla scelta delle aree da coprire sono omogenei ed espliciti. Costantemente aggiornabile ed estensibile, si presta bene per indagini su siti e monumenti;
• la campionatura casuale, nella quale alcuni passaggi della scelta da coprire sono affidati al caso. La forma dei campioni può variare a seconda delle condizioni di lavoro e per adattarsi al meglio alle particolari situazioni morfologiche: per punti, linee, superfici. Il sistema più frequente è costituito dal cosiddetto transetto (rettangolo allungato isolato o in serie) detto anche sistema dei “fili del tram”. La restituzione dei dati provenienti dalla ricognizione e, più in generale, dalle indagini di superficie dovranno essere riportate sulle cartografie disponibili oppure potranno essere utilizzate per la stesura di nuove carte tematiche. L’organizzazione dei dati di rilievo in sequenze ordinate deve essere riferita a notizie storiche (archivi di carta) e indagini sviluppate direttamente sul campo (archivi del suolo) per poter definire nuove catene di correlazione e più aggiornati modelli di riferimento. Il confronto tra le condizioni presenti nello stesso sito/ monumento, in momenti diversi può fornire informazioni utili e livelli di conoscenza capaci di indicare quali possano essere state le trasformazioni che il manufatto ha subìto fino alla data del rilevamento e della redazione della carta e suggerire contemporaneamente realistiche ipotesi di sviluppo ulteriore.
Le attenzioni per le creste dei muri si attivano solitamente a scavo concluso quando, il più delle volte, possono essersi già avviati nuovi processi degenerativi. Più corretto ed efficace, invece, sarebbe intervenire all’inizio, quando le creste dei muri fuorescono appena dal terreno, in conseguenza delle caratteristiche dei materiali, degli apparecchi e, ovviamente, dello stato di conservazione. Un rilievo dettagliato della cresta, una pianta con sezioni trasversali dei colli, può dare preziose indicazioni su eventuali mobilità degli elementi di apparecchio (soprattutto quelli più piccoli e già disarticolati) e aree di infiltrazioni di acque. La sovrapposizione di una serie di aggiornamenti del rilievo consente di registrare, come in una sorta di cartone animato, le trasformazioni geometriche e materiali delle parti superiori dei muri e, non di meno, valutarne le vulnerabilità, intrinseche e indotte, e quindi i rischi che i muri potrebbero correre in futuro. La situazione tende a peggiorare con l’avanzare dello scavo quando vengono progressivamente meno le spinte che prima erano assicurate dal terreno. Ancora più delicata potrebbe essere la situazione se lo scavo avviene da un solo lato del muro quando la spinta del terreno non ancora scavato non può essere contrastata da quelle del terreno asportato.
Restauro e medicina
Alcune corrispondenze tra l’architetto-restauratore e il medico sono ormai riconosciute in maniera abbastanza estesa; la similitudine edificio/individuo è stata usata già da Vitruvio, Petrarca, Serlio, Ruskin. Cambia l’oggetto della cura ma metodiche, strumentazioni e procedure (soprattutto nella fase di accertamento diagnostico) sono le stesse. Fondamentali sono le indagini sulla storia delle malattie pregresse (anamnesi) e sulle diverse forme delle patologie (evidenti e nascoste) per arrivare a diagnosi affidabili (passando attraverso ipotesi diagnostiche) e definire terapie efficaci. Ma di quale medico si tratta? Il primo riferimento può essere con il medico di famiglia che conosce il suo paziente, ne conosce la famiglia e le singole storie sanitarie, che è capace di inserire le singole patologie in quadri conoscitivi più ampi, che accompagna per molti anni l’evoluzione sanitaria complessiva dei singoli componenti della famiglia riuscendo a definire eventuali patologie familiari e contenerne possibili sviluppi preoccupanti. Questa figura di medico può avere un immediato riferimento nell’architetto che ha in consegna un monumento; riesce a leggere e interpretare ogni manifestazione o anomalia, ne assicura la conservazione nel tempo riuscendo ad ”anticipare” le inevitabili crisi (pratica della manutenzione ordinaria e della prevenzione).
Un altro tipo di medico è quello che si occupa delle emergenze. Al medico dell’ambulanza o del pronto soccorso si chiede di risolvere in tempi ridotti situazioni complesse dovendo intervenire con efficacia contemporaneamente su più soggetti colpiti seguendo protocolli prestabiliti e assunzioni di responsabilità personali di grande delicatezza. Parte delle operazioni di restauro possono essere facilmente associate alle procedure che si attivano in un Pronto Soccorso soprattutto quando si è in presenza di situazioni che si evolvono continuamente e con grande velocità sotto l’incalzare degli eventi. La capacità di gestire ogni azione è fondamentale perché da ognuna può dipendere la riuscita o meno delle altre. Nel campo del restauro archeologico, però, il riferimento più realistico è con la medicina delle catastrofi. Il medico di guerra o il medico che interviene in occasioni di un cataclisma e l’architetto restauratore che interviene in un’area archeologica hanno in comune, tra l’altro, la necessità di dover intervenire su un numero molto ampio di soggetti, ognuno con le sue specificità, senza avere il tempo di assicurare accertamenti diagnostici adeguati e specifici interventi per tutti. Si sa per certo che non tutti, con buona probabilità, potranno ricevere gli stessi trattamenti terapeutici e che, per la legge dei grandi numeri, sarà probabile che alcuni soggetti possano non sopravvivere. Alle terapie immediate si devono associare le azioni capaci di ridurre i rischi di contagi e di una proliferazione incontrollata.
Le conoscenze di base e le abilità operative che si acquisiscono sul terreno sono fondamentali per riuscire a collocare i vari problemi nel giusto ordine e assegnare a ognuno la dovuta importanza in costante relazione a quadri complessivi che soltanto un occhio clinico addestrato (e un efficace supporto organizzativo) può assicurare. Si assiste spesso all’adozione di soluzioni “pesanti” (cemento armato e resine, soprattutto) nella errata convinzione che questi interventi possano risolvere, una volta per tutte, ogni problema. Gli accanimenti terapeutici rischiano di ridurre i manufatti originali a “copie” di se stessi con la perdita di ogni valore documentario immediato e futuro.
per una scelta di soluzioni
Un criterio generale per la scelta di soluzioni appropriate dovrebbe tener conto preliminarmente di alcuni fattori:
Valutazione della/e specificità della/e situazione/i
Attenzione deve essere posta alle particolarità che ciascuna area e ciascun monumento presentano pur a fronte di sostanziali omogeneità generali. Lo stesso muro potrebbe presentare differenze dello stato di conservazione in parti diversamente esposte oppure in parti rimesse in luce in tempi o condizioni diverse.
Valutazione del materiale e delle tecnologie utilizzate e rispetto di quelli originali
Il controllo delle soluzioni adottate su un monumento/sito in altre occasioni può costituire una sorta di prezioso collaudo a distanza di tempo. Una particolare attenzione deve essere posta all’uso più o meno recente di malte cementizie e al confronto tra campioni diversi. Il controllo di soluzioni messe in atto molto tempo prima, anche se a un primo collaudo non sono catalogabili tra le migliori ma ancora valide e il confronto con soluzioni ritenute tra le migliori, poste in opera da poco tempo e già ammalorate, può costituire una buona base di valutazione e fornire suggerimenti per i futuri interventi. Irrinunciabili risultano le indagini sulla storia degli interventi pregressi ma anche quelle delle “anomalie che proteggono” (F.Ferrigni 2005), di quelle soluzioni che, pur non ortodosse o finanche sbagliate, possono aver svolto comunque una inaspettata azione protettiva.
Valutazione della componente antropica
Spesso sottovalutata, può invece costituire una potente causa di deperimento direttamente (guerre, vandalismo, furto …) o indirettamente (abbandono, cattivo uso …). Strutture già naturalmente labili diventano ancor più vulnerabili quando vengono escluse da programmi di manutenzione ordinaria oppure quando sono soggette a un pesante riuso con una incontrollata sovraesposizione. È probabile che siano i monumenti classificati come “minori” (spesso sulla base di dubbie e pretestuose categorie di merito) a subìre i danni più pesanti per una generalizzata minore attenzione dei loro confronti e perché più facilmente vengono forzati a rispondere ad aspettative fortemente condizionate da interessi commerciali. Per altro verso, possono essere i monumenti più importanti che rischiano di subìre azioni degenerative (graffitismo, per esempio) quando non si tratti di vere azioni terroristiche proprio per il loro valore simbolico.
Protezione con tavoletta di malta arretrata sopra una integrazione di alcuni filari di cubilia.
La sopravvivenza del sito archeologico è legata alla costante azione di un sistema di pompaggio dell’acqua.
Valutazione del rispetto del minimo intervento e della reversibilità. Fare il minimo possibile e far in modo che sia al massimo reversibile è un principio relativamente recente che, pur riconosciuto da quasi tutti, nella realtà sembra ancora poco praticato.
Valutazione della riconoscibilità
Costituisce da sempre uno dei temi più presenti nelle discussioni sul restauro, con posizioni molto variabili, quando non opposte. Sul campo, in molti casi la scelta tra i diversi criteri di riconoscibilità può definire con buona approssimazione la ”scuola” di appartenenza dell’operatore.
Valutazione delle vie di smaltimento delle acque
L’acqua, presente sotto forme diverse, rappresenta, forse, la più forte e frequente causa di degrado/dissesto nelle aree archeologiche, sia per azioni dirette che indirette. Uno strumento di grande utilità per la gestione delle informazioni relative alla presenza di acqua e per la programmazione di opportuni interventi è costituito dalla cosiddetta tavola dell’acqua. Questa riassume in un solo elaborato grafico (con annesse documentazioni fotografiche e annotazioni scritte) tutti i fenomeni legati alle acque, la loro collocazione, la provenienza, la valutazione di una possibile soluzione naturale dei problemi (evaporazione, assorbimento locale, allontanamento…), la valutazione del potenziale di rischio. È evidente quanto importante possa risultare il confronto tra dati (rilievi e accertamenti diagnostici) raccolti in momenti diversi quando aumenti o riduzioni delle presenze possono offrire significative indicazioni dinamiche sulle possibili evoluzioni1
1 Tra i più rilevanti fenomeni legati alla presenza dell’acqua che possono innescare meccanismi dannosi: - infiltrazioni da acque meteoriche non raccolte (acqua in superfici ampie, acqua in rivoli concentrati, acque di infiltrazione a monte dei muri, acque di infiltrazione sulle creste dei muri, infiltrazioni immediate a causa di pioggia battente o ritardata -neve);
Valutazione dei limiti dell’intervento e dei processi di invecchiamento nel tempo
La pretesa affidabilità nel tempo sembra essere una delle più ricorrenti caratteristiche pubblicizzate nella merceologia dei prodotti per il restauro. Negli ultimi decenni si sono impiegati materiali ritenuti innovativi con troppo ottimismo e fiducia e che, invece, hanno dato risultati deludenti quando non controproducenti. Una valutazione affidabile degli esiti è resa ancora più difficile da una sovrastima di materiali e procedure che, di fatto, ha ritenuto inutile lasciare traccia documentale degli interventi eseguiti2
Valutazione dell’aggiornabilità dell’intervento
Il rifiuto del principio di intervento “definitivo” porta, ovviamente, all’adozione di metodologie manutentive, azioni (preferibilmente blande) ripetute nel tempo secondo un calendario prestabilito, almeno in linea di massima, o attraverso interventi urgenti in risposta di sopraggiunte condizioni di emergen-
- rischio da acque meteoriche canalizzate (canalizzazioni artificiali e cunette danneggiate, canalizzazioni naturali provocate da ruscellamenti precedenti, ruscellamenti superficiali, ruscellamenti nelle superfici verticali, ruscellamenti nelle superfici sub orizzontali) za. Avviene spesso che si intervenga solo quando le condizioni dei manufatti hanno raggiunto livelli di pericolosità avanzata. In tali casi frequentemente si ritiene genericamente inefficace il precedente intervento (del quale si sa poco o niente) preferendo utilizzare nuovi materiali e procedure. I nuovi interventi esigono spesso la rimozione dei resti delle precedenti soluzioni con il rischio di asportare anche elementi originali. Altre volte può succedere che i nuovi materiali entrino in conflitto con quelli precedenti creando condizioni di nuove e subdole vulnerabilità.
- acque di ristagno (avvallamento dei terreni o delle strutture a monte degli scavi, avvallamento dei terreni o delle strutture a valle degli scavi, avvallamenti tra strutture murarie, inefficienza dei sistemi di raccolta, canalizzazioni ostruite, tombini intasati, acque ritenute da terreni smossi o accumuli di materiali di risulta -foglie comprese-, acque ritenute da piante, ristagno a seguito di esondazioni, ristagno a seguito di risalita di acque di falda, ristagno a seguito di inondazione, perdita da collettori fognari, errori nelle azioni protettive a monte dei muri. In ogni caso è utile verificare quanto possa influire il peso delle acque di infiltrazione e il rischio di spinte, concentrate e/o diffuse. Un fenomeno da non sottovalutare è quello della forte essicazione di terreni nei periodi di siccità con fessurazioni sempre più profonde che faciliteranno successive inevitabili infiltrazioni in occasione di piogge.
- acque di cantiere. Si tratta di perdite locali da canalizzazioni (giunzioni difettose, tubi rotti) o contenitori presenti in cantiere, aree di deposito di acque già utilizzate per operazioni di pulizia dei reperti, flottage … che possono modificare le condizioni (colore, compattezza…) di piccole aree.
2 Fondamentale per la gestione di un restauro è la redazione di una scheda/rapporto che è destinata a seguire un intervento in ogni sua fase, allo stesso modo con cui la cartella clinica accompagna il decorso di una malattia. Tale scheda potrà servire come documentazione e giustificativo dell’intervento a cui si potrà fare utile riferimento anche in seguito.
Protezione provvisoria tramite teli di plastica ed elementi di legno staccati dalle creste per facilitare una circolazione d’aria ed evitare umidità di condensa.
Valutazione dei pregi e dei difetti per l’immediato e nel tempo
Il controllo dei risultati ottenuti in altre occasioni può costituire un collaudo utilizzabile come base per gli interventi successivi. Pregi e difetti delle procedure, dei materiali, delle lavorazioni, degli interventi di manutenzione vanno confrontati con dati noti e con altre fonti di informazione (fonti d’archivio, bibliografie specifiche, testimonianze dirette …).
In tal modo si potrà avere un quadro per ricostruire tutte le fasi di deposito/erosione e la storia delle vicende “sanitarie” che riguardano il sito e il manufatto. In particolare quelle che riguardano i processi degenerativi a cui questi sono stati soggetti sia in fase post-depo- sizionale sia quelli che si riferiscono alla variazione dello stato di salute (e i correttivi che di volta in volta sono stati messi in atto) dall’epoca del rinvenimento ad oggi.
Valutazione della estensibilità dell’intervento ad altri monumenti dell’area Le possibilità e opportunità che le soluzioni (ritenute valide) adottate in un monumento siano replicate su altri manufatti sono soggette a quelle condizioni che definiscono le “regole dell’arte e buon magistero”; regole basate sulla osservazione e la ripetizione delle esperienze, scambi di informazioni, adattamento a cambiamenti delle condizioni, collaudo nel tempo. Le condizioni di “compatibilità” richieste per un intervento corretto si ottengono incrociando le risposte alle diverse componenti del concetto di c.: familiarità con il concetto di c.; criteri di c. a livello operativo (necessità di competenze e abilità); consapevolezza degli specifici fattori tecnici e funzionali negli interventi di conservazione; conoscenza delle caratteristiche della c. chimica e fisica; verifica della c. tra materiali tradizionali e moderni (rischio di fenomeni di rigetto dei materiali originari); c. a livello estetico (importante ma non predominante); c. a livello socioculturale. Questo ultimo aspetto è rilevante perché potrebbe essere responsabile di non marginali conseguenze quando si tratta di una subdola forma di colonialismo culturale abilmente nascosto dietro interventi ritenuti neutrali. Colonialista è l’intervento di quelle missioni archeologiche e di restauro che operano in regioni diverse dalla propria al solo scopo di assicurarsi quell’addestramento che in casa propria non sarebbe possibile.
Valutazione della gestibilità
Le scelte dei criteri utilizzabili e i materiali necessari devono tener conto delle reali possibilità che siti e monumenti hanno per l’immediato e soprattutto per il futuro. Non è raro che un intervento, pur se corretto, nel giro di poco tempo denunci un grave stato di degrado dei materiali/dissesto delle strutture per mancanza di fondi destinati oppure più banalmente per riduzione di interesse.
Valutazione della economicità dell’intervento e valutazione strategica
La mancanza di risorse economiche viene portata come principale e condizionante causa di impedimento per scavi archeologici e interventi di restauro. Nella pratica si assiste, di fatto, a una non indifferente disponibilità economica che diventa ancora più consistente in quelle occasioni celebrative nelle quali scavi e restauri trovano il loro posto di rappresentanza. Il vero problema è la scarsa valutazione che di scavi e restauri si fa preferendo interventi utili per risposte immediate ai problemi che si presentano piuttosto che interventi strategici di più ampio respiro
Utile può essere una raccolta di soluzioni poste in opera in epoche e località diverse che sembrano aver dato buoni risultati, altre risultati accettabili e altre ancora esiti assolutamente inaccettabili. Nelle aree archeologiche di maggiore interesse è naturale trovare una ricca casistica di soluzioni non sempre di agevole riconoscimento e soprattutto di difficile datazione poiché frequenti sono i casi di integrazioni e sostituzioni soprattutto dalla metà del XX secolo.
La catena operatoria per il restauro
Il concetto di catena operatoria viene sviluppato agli inizi degli anni ’50 da studiosi francesi e inglesi di varia formazione allo scopo di definire una logica capace di rapportare, in una concatenazione di operazioni consequenziali, ogni singola azione alla “serie nella quale esso ha senso” (H.Balfet, 1991). Dalle prime formulazioni riferite prevalentemente all’antropologia il concetto di catena operatoria e dei conseguenti schemi operatori sono stati applicati ad altre discipline per le quali sia possibile individuare ogni piccola azione umana sulla materia, ottenuta con un solo gesto oppure con una concatenazione di più gesti uguali tra loro. L’associazione di più azioni tecniche formano delle sequenze che, raggruppate tra loro, definiscono le fasi, tappe logiche delle azioni tecniche identificabili senza ambiguità pur in presenza di alcune locali discordanze (varianti codificate, individuali, di situazione e contestuali). L’attenzione riservata agli attrezzi e utensili, per esempio, potrà facilitare la comprensione di attività umane, altrimenti di difficile interpretazione, nel quadro di quella che è stata efficacemente definita “archeologia del gesto” (S.De Beaune, 2000) che può rappresentare un valido strumento interpretativo anche per la storia delle costruzioni, delle trasformazioni e degli adattamenti successivi. Dalla traccia sul muro è possibile ricavare l’utensile che l’ha lasciata, da questo è possibile capire qual è stato il movimento (l’azione) che l’ha provocato e da questo è possibile ricavare informazioni sulle conoscenze e sull’abilità (la cultura) di chi è intervenuto.
Per altro verso, le stesse operazioni di scavo e di restauro, talvolta uniche e irrepetibili ma continuamente obbligate a confrontarsi con un numero crescente di scenari, rappresentano catene operatorie specializzate che devono essere tra loro correlate al fine di individuare e valorizzare i numerosi elementi di contatto nel tentativo di definire teoricamente, e sperimentare sul campo, una nuova catena operatoria comune (obiettivo, metodi e strategie, strumenti, verifica raggiungimento obiettivi, previsioni) nella quale siano presenti e rispettate le singole esigenze dei diversi ambiti disciplinari.
Protezione stagionale del mosaico pavimentale e adozione di copertine a bauletto.
Costituiscono la più ricorrente soluzione tanto da identificarsi con la protezione stessa delle creste1. La soluzione più semplice e immediata è la spalmata con funzione di rinzaffo protettivo2. A un controllo sulla vasta casistica delle copertine disponibili appare evidente che queste sono per la maggior parte mal conservate, spesso però meno danneggiate delle murature che avrebbero dovuto proteggere. Spesso contengono cemento come legante principale e sono composte prevalentemente di malta3. L’utilizzo di malte di cemento viene sostituito
1 Per un primo riferimento alla situazione odierna si riportano la voce del Prezzario per la conservazione e il restauro dei beni culturali e paesaggistici della Calabria 2019, Cap. B – beni archeologici redatto dalla Segretariato Regionale per la Calabria: “B.01.314 Finitura della sommità delle murature ovvero cupping: stuccature sulle creste murarie, finalizzate sia alla sigillatura dei colli murari, sia alla loro protezione con uno strato di sacrificio in malta, la cui misura media di spessore sarà indicata dalla DL, e che sarà sistemato secondo l’andamento del muro antico, con formazione di scivoli per lo scorrimento delle acque piovane. Incluso: lavaggio e imbibizione delle superfici da trattare; stilature delle pendenze e verifica dell’efficienza delle stesse; saggi da sottoporre alla D.L. per la composizione della malta; lavorazione superficiale della stessa (spugnatura) e pulitura perfetta di eventuali residui dalle superfici circostanti. Incluso l’allettamento di elementi smossi e/o distaccati dalla sommità, tipo caementa o elementi di cortina…”, “B.01.409 Malta di cocciopesto modellata a ‘schiena d’asino’ per realizzazione di bauletto di malta a protezione delle creste murarie: composizione legante/inerte 1/3, (legante 50% calce idraulica e calce grassa) con inerti ricavati dalla triturazione di laterizi, per uno spessore di malta di 10 cm” e quelle redatte dalla Cooperativa Archeologia di Firenze: “Restauro di colmi di murature antiche già diserbate, eseguito con malta di cocciopesto modellata a “schiena d’asino”. La malta deve essere esente da cementi e ogni altra forma di clinker, o additivi, e deve essere composta da calce idraulica naturale conforme alla UNI EN 459-1 di classe NHL5 e soggetta a marcature CE secondo la normativa vigente: composizione legante/inerte 1/3, (legante 50% calce idraulica e calce grassa), inerti fini di granulometria da 1 a 3 mm (ricavati dalla triturazione di laterizi). Spessore massimo della malta 10 cm.”; “Esecuzione di ‘sguscio’ di malta da eseguirsi in corrispondenza delle aree di contatto tra opus caementicium e paramento murario, per la protezione dall’infiltrazione delle acque meteoriche. La malta da utilizzare, per lo strato di profondità deve essere composta da calce idraulica naturale conforme alla UNI EN 4591 di classe NHL5 e soggetta a marcature CE secondo la normativa vigente e inerti selezionati di granulometria da 1 a 3 mm. Lo strato di finitura deve essere eseguito con malta di grassello di calce e inerti selezionati di granulometria inferiore a 1 mm,. Occorre mettere in opera la malta fresca, così preparata mediante cazzuola, sino a realizzare la corretta sezione dello sguscio. È compresa la spugnatura dello strato finale”.
2 “…il muratore per dare il cemento sopra i monumenti…” è la rara annotazione nel giornale di scavo in via della Fortuna di P.Rosa (fine ’800). Poco prima una nota è riservata a generici lavori al Palazzo Reale per evitare infiltrazioni della pioggia. Il termine cemento va forse inteso come malta bastarda di calce e aggregati di frammenti lapidei con una piccola percentuale di cemento.
3 Sulla base delle esperienze fatte in Valle d’Aosta, Svizzera e Francia S.Pulga ha ipotizzato la formulazione di malte che tengono conto dei seguenti fattori: che tipo di sollecitazione la malta dovrà sostenere, che materiale dovrà legare e quali saranno gli spessori sostenibili. Le malte da impiegare su murature protette avranno la formulazione: sabbia lavata e vagliata (10 parti in volume), grassello di calce (4 parti in volume) con un rapporto inerte/legante 2,5:1. In un contesto molto umido la variante è: sabbia (10), grassello (3), calce idraulica (1) con lo stesso rapporto. Nel caso di muri all’esterno si può smagrire ulteriormente la malta: sabbia (12), grassello (2), calce idraulica (2) con un rapporto soprattutto a Ostia agli inizi del XX secolo da malte in cocciopesto 4 che, però, provocheranno contrarietà da parte di G.Boni a proposito degli interventi al Palatino (1893). Il cocciopesto verrà utilizzato da D.Vaglieri. Questa volta, seguendo maggiormente le superfici frastagliate dei muri, ne rispetterà maggiormente l’autenticità ma creerà non pochi problemi tecnici. A metà degli anni’20 si assiste a un deciso cambiamento che prevede in sostituzione delle malte in cocciopesto conglomerati di malta pozzolanica con elementi di tufo e laterizio. La tecnica esecutiva prevede una buona pulizia della cresta5 inerte/legante 3:1. Nel caso di copertine con laterizi in esterno la malta sarà così composta: sabbia (8), trito di laterizio (2), grassello (3), calce idraulica (1) con un rapporto inerte/legante 2,5:1. Il cocciopesto conferisce idraulicità alla malta pur conservandone le caratteristiche di permeabilità al vapore acqueo. Per copertine all’esterno che includono pietre calcaree si prevede: sabbia (10), grassello (1) e calce idraulica (3) con un rapporto 2,5:1. La componente idraulica è notevole per assicurare un buon ancoraggio al calcare. Nel caso di murature in esterno con prevalenti materiali silicei la formulazione è: sabbia (12), grassello (1), calce idraulica (2), cemento bianco (1) con un rapporto 3:1. L’aggiunta di cemento bianco al posto di una parte di calce serve ad aumentare la componente silico/alluminosa che favorisce l’ancoraggio alla pietra silicea. Per quanto riguarda lo spessore delle copertine per contenere i rischi di fessurazioni si avrà l’accortezza di non posare mani di malta spesse più di tre volte la granulometria massima tra quelle variabili dell’inerte. Questa procedura limita le fessure da ritiro e dona una buona elasticità alla malta.
Soluzioni diverse di copertine: cuscino piatto, bauletto e tavoletta. La scelta di nuove soluzioni non può non tener conto di quelle che (nel bene e nel male) sono state adottate in precedenza.
4 I primi utilizzi di tale malta pozzolanica e frammenti di laterizi antichi (tufo e laterizio a Ostia) vanno riferiti ai lavori (1900-1905) dell’arch. G.De Angelis riguardanti buona parte delle murature fino ad allora scavate. L’idraulicità della malta è assicurata dai frammenti fittili e alla pozzolana. L’applicazione del cocciopesto prevede anche il recupero della procedura antica e che consiste nella battitura della malta all’inizio del processo di presa con un fratazzo per migliorarne le prestazioni e la resistenza anche a trazione. L’eccessivo chiarore delle malte si pensa di contenerlo con tinteggiature che non daranno, però, i risultati sperati così come scarsi saranno gli esiti di patinature con terra messa in opera prima della presa delle malte.
5 Recentemente “Prima di qualsiasi intervento, i supporti saranno oggetto di interventi preliminari necessari alla creazione delle condizioni ottimali del supporto, ciò al fine di sviluppare una corretta aderenza tra supporto e e la successiva stesura di alcuni cm di malta destinata ad accogliere i caementa ben apparecchiati e fatti emergere tramite battitura della malta. Un eventuale secondo getto di malta può inglobare le scaglie lapidee e i fittili. La presenza di questi elementi ha una funzione certamente estetica per mimetizzare le vaste superfici grigie ma anche per contenere il craquelé, le fessure nei raccordi tra murature diverse, nelle riparazioni occasionali di copertine danneggiate oppure per realizzare scossaline. Un altro tipo di malta, utilizzato già nei primi anni del ‘900, è la cosiddetta pelle d’elefante, usata tra gli altri da A.Avena, formata da calce, asfalto e brecciolino tratto dallo stesso pietrame su cui è applicato.
Le copertine di malta possono avere diverse sezioni:
• Bauletto. La soluzione più ricorrente fino a tempi recenti è la schiena d’asino, alto mediamente una quindicina di cm e caratterizzata da una superficie lisciata6 atta all’allontanamento dell’acqua.
Talvolta il bauletto è semicilindrico e detto anche a cassa da morto malta. In particolare si procederà ad una pulitura manuale, con l’ausilio di cazzuola, pennelli e spazzole, con conseguente asportazione di parti di malta in fase di distacco, di elementi lapidei sconnessi, di polvere e della vegetazione infestante. Immediatamente prima dell’applicazione di formulati si inumidirà la superficie con acqua” (Pompei 2017). In alcuni casi potrebbe essere opportuno effettuare un preconsolidamento (selettivo o esteso). può avere la superficie lisciata ma spesso è resa ruvida da sassi7 e spezzoni di mattoni più o meno emergenti.
• Cuscino . Ha la sezione parabolica schiacciata con spessore di circa 10 cm.
6 “…dall’aspetto gelatinoso” secondo G.Boni.
L’adozione della stessa soluzione per tutto il rudere, pur se gradevole alla vista e di sufficiente affidabilità protettiva, potrebbe risultare negativa se non permette il riconoscimento delle diverse USM.
Il giunto di dilatazione in asfalto tra due tratti di copertina si è sciolto per il caldo.
Protezione della cresta tramite una spalmata di malta.
• Tavoletta. La sezione è approssimativamente rettangolare con uno sviluppo regolare lungo il muro ma talvolta adattato alle irregolarità presenti. Di norma l’estradosso è orizzontale o leggermente inclinato su un lato. Il suo impiego è frequente soprattutto negli anni ’60-70 spesso insieme a forti integrazioni dei colli.
• Capanna. La sezione è caratterizzata da due falde contrapposte di conglomerato oppure, più raramente, da una sola falda più o meno inclinata.
• Canaletta. È poco presente ma comunque utilizzata in regioni molto piovose. Ha una sezione concava in maniera da funzionare un po’ come vere canalette atte allo smaltimento delle acque.
I lati esterni delle copertine tradizionalmente arrivano al bordo del muro adeguandosi alle linee di frattura ma non di rado possono debordare in maniera da formare una sorta di gocciolatoio che protegge il collo del muro. In alcuni casi il gocciolatoio diventa un vero cordolo perimetrale. Altre volte le copertine vengono tenute arretrate di qualche centimetro rispetto ai bordi, soprattutto quando le creste coprono colli non originali ma ricostituiti e regolarizzati, formando in tal modo una sorta di scossalina la cui efficacia però non sempre risulta assicurata8. Il trattamento del nucleo interno presenta una casistica non ampia: getto di calcestruzzo indefinito con caementa casuali, allettamento di laterizi e pietrame a strati approssimativamente orizzontali solitamente regolati sugli apparecchi delle cortine, getto di calcestruzzo coperto da frammenti laterizi. La mancata predisposizione di giunti di dilatazione e la maggiore durezza di malte di cemento rispetto a quelle originarie talvolta possono causare fratture nelle copertine. Recentemente sono state adottate malte antiritiro che, però, per vaste superfici sviluppate in una direzione prevalente, com’è ricorrente in creste muraria, non riescono comunque ad evitare fessurazioni trasversali alla direzione del muro. Le malte possono essere rinforzate utilizzando frammenti di tela oppure reti di piccola maglia. La predisposizione di giunti di dilatazione, sigillati con paste elastiche (frequentemente asfalti o prodotti siliconici), può ridurre il rischio di fratturazioni. Talvolta si vedono lesioni nelle copertine malamente risarcite con malte di cemento che danno risultati scadenti a causa delle spinte anomale che si creano soprattutto nelle aree di nuova vulnerabilità9. Alle malte dei bauletti è possibile aggiungere biocidi a lento rilascio per ridurre i rischi di crescita e proliferazione di specie infestanti. Non è difficile osservare come, in molti casi, il danneggiamento delle copertine invece di funzionare come elemento di sacrificio a vantaggio degli originali, rischia di accelerare il degrado dei materiali e dissesto delle strutture, innescando meccanismi di rigetto più o meno concentrati proprio nelle parti che avrebbe dovuto proteggere10. Una ricca casistica di danneggiamenti alle copertine è legata alla mancata manutenzione (come se un intervento potesse risolvere in maniera definitiva i problemi) e all’uso di malte sintetiche. Pubblicizzate come specifiche per il restauro sono certamente efficaci in cantieri di nuova edilizia ma possono essere potenzialmente pericolose in quelli di scavo e di restauro.
7 Si vedono anche copertine realizzate con una malta a forte prevalenza di brecciolino.
8 Il vantaggio estetico è dato dal fatto che nei muri più alti toglie ai visitatori la vista delle sfrangiature che sui bordi si possono formare.
Diverse soluzioni di copertine: in particolare, tavoletta con bordi arretrati e a filo muro, canaletta. Gli interventi che possono proteggere le creste murarie, non di rado, possono risultare controproducenti perché, pur contribuendo a risolvere alcune esigenze, rischiano di attivare altri meccanismi degenerativi. L’errore più frequente è quello di credere che gli interventi possano essere definitive e che non abbiano bisogno di una accorta opera di manutenzione.
9 Spesso le copertine sono allettate senza una preventiva pulizia delle superfici dai resti delle malte antiche già ammalorate ed eventuali nuovi depositi. Le nuove stilature vanno ad ammorsarsi a materiali inaffidabili provocando frequenti fenomeni di downcycling (riciclaggio peggiorativo).
10 Lo strato di sacrificio, ovviamente, deve avere una durezza e una resistenza inferiori a quella del muro che deve proteggere. In non pochi casi si assiste a copertine che provocano direttamente o indirettamente danneggiamenti alle creste originali.
L’impiego di una cattiva malta non riesce a legare il pietrame. Il dissesto della copertina in malta di cemento coinvolge nel crollo parte della muratura antica.
Prove di allestimento di copertine di protezione in terra.
In alternativa all’impiego di malte, e in condizioni ambientali favorevoli, è possibile utilizzare impasti di terra, preferibilmente terra rossa e argilla che hanno buone capacità leganti e agglomeranti. Alla terra può essere aggiunto utilmente un trito di paglia con funzione di armatura e stabilizzata con leganti aerei e idraulici. La terra può essere allettata sulla cresta del muro e modellata secondo necessità (secondo la tecnica del Bauge e del Torchis) 1, assicurando una buona via di allontanamento delle acque meteoriche2. Con la terra cruda è possibile confezionare mattoni di dimensioni varie in relazione alle caratteristiche dei muri su cui andranno posizionati. Si possono realizzare mattoni, pressando l’argilla all’interno di casseforme della misura opportuna e lasciandoli essiccare al sole con la tecnica dell’Adobe, oppure con quella del Pisé.
Un intervento che segua i principi della bioarchitettura deve avere strategie di intervento in equilibrio con l’ambiente: materiali del luogo, utilizzo del minimo di energia, materiali non inquinanti posti in opera con interventi non invasivi e facilmente reversibili.
La durata solitamente non elevata di una malta di terra (terra, sabbia fine e acqua) può essere migliorata e allungata con periodiche bagnature e lisciature che migliorano la resistenza all’acqua oppure con la realizzazione di adeguate copertine protettive. Per un buon rinforzo delle creste di muri in terra cruda si può armare lo strato superiore con strisce di tessuti, stuoie, cordami e incannucciati. Le esperienze di cui si ha notizia anche in Europa e Italia sembrano confermare la bontà di malte di terra che sono dei naturali regolatori di umidità e temperatura ed evitano la formazione di muffe3
1 Tecniche usate comunemente per l’allestimento di pareti a graticcio e il riempimento di strutture in legno.
2 A Festos, dopo la guerra, la Scuola archeologica di Atene adotta il consueto sistema delle colature di cemento aggiungendo però una “aspersione della superficie di uno straterello di terra in modo da ridare l’immagine del muro com’era apparso dopo gli scavi”.
3 Copertine in terra possono essere utilizzate anche a protezione di murature in laterizio/lapideo. A mo’ d’esempio si cita un recente intervento: “… è stato steso uno strato di geotessile del peso di 500 g/mq. su questo è stato posizionato uno strato areante di risetta locale 0-3 e paglia sminuzzata […] il getto è stato eseguito in tre strati successivi (dallo strato di base verso lo strato di copertura: decresce la granulometria dell’aggregato, diminuisce fino ad annullarsi il contenuto in terra, aumenta il contenuto di cocciopesto e aumenta il tenore di legante) […]: strato di base […], strato di collegamento […] e strato di copertura […], posti in opera a distanza di circa 15 ore l’uno dall’altro, fresco su fresco, e dello spessore medio finito, dopo successive costipazioni, non inferiore a 50 mm. Sul conglomerato ancora umido, e comunque dopo il primo indurimento, è stata eseguita la battitura a umido con mazzapicchio di legno e occlusione di eventuali fessurazioni da ritiro, segnandola con spazzola di saggina o tamponandola con tela di juta ruvida. Infine, la superficie è stata riplasticizzata e levigata con spugna e acqua” (C.Megna, A.Saba, N.Sanna, D.Schirru, 2016).
Risarcitura di una lesione in un muro in adobe con boiacca di terra.
Sempre più frequentemente si ricorre a prodotti che per impregnazioni a pennello, pistole a spruzzo o percolazioni possono consolidare, o quanto meno proteggere, le superfici delle creste. I requisiti richiesti da tale prodotti sono: inerzia chimica nei confronti dei materiali, controllo e limitazione dell’azione delle acque liquide favorendo quella dell’acqua vaporizzata, controllo della cristallizzazione dei sali e dei fenomeni legati al gelo-disgelo e degli eventuali agenti inquinanti. Elementi determinanti sono costituiti dalla porosità dei materiali trattati e dalle caratteristiche dei prodotti diluenti o solventi, dalla capacità di questi a penetrare nei materiali senza cambiare colore e favorire scagliature nel tempo. Alcuni dei consolidanti tra i più impiegati sono prodotti fortemente invasivi e non reversibili ma in condizioni di estrema emergenza possono anche essere l’ultimo tentativo di salvezza prima della perdita del manufatto. Tali prodotti possono dare dei risultati che appaiono accettabili per l’immediato ma non sono controllabili nel medio e lungo periodo (insufficienza delle prove di invecchiamento artificiale) e i danni che possono fare non vanno sottovalutati.
È evidente che la scelta del prodotto (fosse anche una semplice cera, kerosene o miscele d’olio, e a maggior ragione resine artificiali) deve essere preceduta da una appropriata indagine e da una esauriente sperimentazione sul terreno.
Completamento della superficie di crollo di un muro in terra con mattoni cotti al sole.