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Un percorso sull’attualità della vicenda urbanistica italiana attraverso sei temi

Un percorso sull’attualità della vicenda urbanistica italiana attraverso sei temi1 Questo libro nasce da un’esperienza di ricerca e di didattica che da alcuni anni conduciamo in Marocco, principalmente presso la Scuola di Architettura, Design e Urbanistica (EMADU) dell’Université Euro-Méditerranéenne di Fès (UEMF), creata nel 2016 dall’iniziativa congiunta di UEMF e di Università di Firenze. In questi anni di esplorazione e pratica di un contesto geografico e culturale così diverso dal nostro, abbiamo avvertito l’esigenza di presentare la nostra personale ricostruzione della tradizione disciplinare italiana agli studenti e alle studentesse, ai colleghi e alle colleghe, e in generale alle figure di tecnici e di amministratori locali con i quali intratteniamo relazioni di scambio e cooperazione. Nel farlo, abbiamo operato uno sforzo di selezione particolarmente intenso, volto a identificare quelli che riconosciamo come elementi maggiormente caratterizzanti la progettazione e la pianificazione urbanistica e territoriale italiane, nel periodo compreso dal secondo dopoguerra a oggi. Il libro è quindi il frutto di un lavoro di sintesi che ha provato a evidenziare sei nuclei tematici, corrispondenti ad altrettanti capitoli in cui è possibile leggere il dipanarsi della vicenda urbanistica e territoriale italiana degli ultimi settant’anni. Il racconto di questa storia, che è andata di pari passo con la grande trasformazione dell’Italia da una caratterizzazione prevalentemente agricola e rurale a quella di paese industriale e urbanizzato, non è, com’è ovvio, neutrale. Non ha, inoltre, pretese di esaustività. Piuttosto, il contributo che il libro intende dare è quello di identificare, dal punto di vista di chi scrive, le principali matrici disciplinari italiane nell’ambito della pianificazione territoriale e urbanistica, per estrarne orientamenti e principi utili per il progetto contemporaneo. Tale finalità è tanto più importante quanto più ci rivolgiamo a un’area geografica, quella della sponda sud del Mediterraneo, che da circa vent’anni è al centro di un flusso di cambiamenti

1 Questo libro è il frutto di una riflessione e di un lavoro comuni. I capitoli “Il progetto della città pubblica”, “Il progetto per i centri storici”, “Il progetto di suolo” sono stati scritti da Massimo Carta, i capitoli “Il progetto patrimoniale”, “Il progetto del paesaggio” e “Il progetto della bioregione urbana” da Maria Rita Gisotti. L’introduzione e le conclusioni sono da attribuire a entrambi gli autori.

strutturali e spaziali particolarmente rapido e tumultuoso. Questi cambiamenti, se da un lato producono avanzamenti significativi in termini di modernizzazione, lotta alla povertà estrema, accesso ai servizi essenziali da parte della popolazione, dall’altro generano un arretramento rispetto all’urgenza di politiche globali di sostenibilità ambientale. Le esternalità negative prodotte localmente da questi cambiamenti sono poi all’origine di gravi ripercussioni. Tra le principali: ingenti processi di artificializzazione dei suoli; compromissione del patrimonio ambientale e paesaggistico con inquinamenti delle acque, dei suoli, dell’aria; spopolamento e abbandono delle aree rurali del paese, con conseguenti fenomeni di polarizzazione sulle aree metropolitane centrali; creazione di quartieri o di intere città “dormitorio”, marginalizzate e prive di servizi e attrezzature. Un elenco che potrebbe essere ulteriormente dettagliato nel riferimento ai singoli stati e alle singole regioni, e che, soprattutto nei suoi esiti spaziali, pur con le dovute differenze, pare ricalcare la traiettoria che ha compiuto l’Italia a partire dal boom economico degli anni ’50 e ’60 del Novecento, nel volgere verso lo sviluppo industriale e metropolitano. È fuori di dubbio che sussistono alcune differenze fondamentali alla base di questi processi di cambiamento osservati da prospettive temporali così distanti, prospettive che includono per quanto ci riguarda una sostanziale differenza di sensibilità e di conoscenze disciplinari (ad esempio riferite a problemi ambientali e di sostenibilità) nel quadro delle quali sono maturate prima le trasformazioni italiane e poi quelle in atto nel sud del Mediterraneo. Tra le differenze strutturali, emerge per primo il fatto che, nella congiuntura attuale, è molto maggiore rispetto al passato il peso delle élites finanziarie di scala globale che vedono nelle grandi opere di urbanizzazione e infrastrutturazione principalmente importanti opportunità per la produzione di reddito. La sponda sud del Mediterraneo non è estranea a queste tensioni, che inficiano la capacità di programmazione e l’efficacia della pianificazione territoriale e urbanistica nell’affrontare alcune problematiche cruciali. Il cambiamento cui si assiste oggi, ad esempio, in paesi come il Marocco, anche per l’influenza di questi fattori, risponde in modo ancora incompiuto a questioni centrali come il problema abitativo per le fasce della popolazione a reddito più basso, che è ancora persistente e lontano dall’essere definitivamente eradicato. La prima fase della grande trasformazione italiana (anni ‘50 e ‘60 del Novecento), sospinta dall’esigenza di ricostruzione postbellica e potendo contare anche sull’ingresso dell’Italia nella sfera di influenza statunitense (cospicui interventi urbanistici furono finanziati con le risorse del Piano Marshall), risultava invece ancora condizionata dalla presenza di un ambiente politico e culturale locale (la globalizzazione era lontana da venire) motivato a rispondere alla domanda abitativa, come pure a dotare il paese di un patrimonio di infrastrutture

e attrezzature di base fino a quel momento molto esiguo (e anche a fornire lavoro poco qualificato a grandi masse di popolazioni rurali che si riversarono nelle città). Senza dilungarci oltre in questa non semplice comparazione, che ovviamente deve tenere conto dei contesti territoriali ma anche della maturità differente che nel tempo hanno assunto alcune riflessioni disciplinari, quello che interessa qui rimarcare è che, anche a prescindere da tali differenze basilari tra i due processi di trasformazione, il loro esiti spaziali mostrano talvolta notevoli similitudini. È dunque possibile fornire qualche elemento di riflessione per far sì che la “lezione italiana”, con tutti i suoi guasti ma anche con gli sforzi progettuali in essa contenuti, possa contribuire a prevenire la creazione di ulteriori fratture nel territorio e nelle città delle regioni della sponda sud del Mediterraneo? È possibile, approfittando dello sfasamento temporale tra i due processi in questione, fare tesoro dell’esperienza italiana in modo che la strada che alcune nazioni (tra le quali, con particolare vigore, il Marocco) hanno intrapreso verso la costruzione di una società più moderna, conduca anche a una società più giusta dal punto di vista delle opportunità diffuse, più sostenibile sul piano ambientale, più bella su quello paesaggistico, più rispettosa della propria storia? Un primo intento di questo libro è, quindi, di dare un piccolo contributo in questa direzione. Il libro ha però anche un secondo obiettivo, di tipo più “introspettivo”, dal punto di vista di chi scrive: attraverso il racconto delle matrici disciplinari italiane – delle loro realizzazioni come dei traguardi mancati o incompiuti – il volume intende proporre qualche riflessione critica sui filoni teorici e progettuali che riteniamo fondativi del nostro bagaglio scientifico e culturale, indicando la strada per possibili avanzamenti e approfondimenti. Nelle conclusioni di questo volume se ne proporrà una sintesi, a partire dalla trattazione più estesa presente in ognuno dei saggi che compongono il libro. I sei capitoli in cui si articola il volume sono, quindi, concepiti come progetti, intesi come approcci e come insiemi di pratiche guidati da un’intenzionalità e da una certa sistematicità, piuttosto che come realizzazioni isolate e occasionali. Senza pretese di esaustività, impossibile da perseguire soprattutto entro i limiti di un testo agile come questo, abbiamo selezionato i sei approcci anche per il loro carattere di maggiore generalità rispetto ad altri filoni di ricerca e prassi o a tematiche di carattere più settoriale, che possono in una certa misura essere ricompresi o quantomeno collegati ai sei progetti (a titolo esemplificativo, la dotazione di servizi e standard urbanistici, i dispositivi di controllo dell’espansione urbana, la protezione della natura, la pianificazione delle reti ecologiche). Inoltre, attraverso questa selezione, abbiamo inteso individuare e descrivere criticamente le sei matrici dell’urbanistica e della pianificazione italiane che, a nostro parere, attraverso una

prospettiva ampia, possono più efficacemente fertilizzare il terreno degli studi e delle pratiche disciplinari della sponda meridionale del Mediterraneo, perché toccano i temi qui più cruciali e attuali. Anche in ragione di questa considerazione e dell’urgenza che abbiamo avvertito di proporre una riflessione utile e pertinente rispetto alle sollecitazioni provenienti da questo contesto, i sei progetti riguardano scale di lavoro diverse, da quella del progetto urbano a quella più specificatamente urbanistica, fino agli scenari di pianificazione d’area vasta e regionale. Il primo progetto che apre il volume è quello relativo alla costruzione della città “pubblica”, riferita alle questioni della casa, della costruzione dello spazio pubblico e della dotazione di servizi. Nonostante i limiti e le incompiutezze di questo filone di esperienze, attraverso l’intervento pubblico in Italia (soprattutto in una prima stagione più virtuosa e in alcuni contesti territoriali meglio attrezzati dal punto di vista della tradizione civica) si è fornita una risposta articolata a una domanda abitativa che era divenuta ormai ineludibile, nel contempo incoraggiando la crescita di una generazione di progettisti che poterono compiere sperimentazioni interessanti e fertili nel campo dell’architettura, del progetto urbano e dell’urbanistica. Si è inoltre realizzata un’armatura di servizi e attrezzature che ancora oggi rappresentano elementi strutturanti le città italiane, e sul cui recupero e riutilizzo pensiamo sia cruciale lavorare con strumenti adeguati. Negli anni della realizzazione di questo “progetto”, l’attore pubblico si è fatto garante della costruzione dell’interfaccia fisica del welfare, ovvero dell’esistenza tangibile per tutti i cittadini di una serie di dispositivi di sostegno, assistenza, coesione. Il progetto trattato nel secondo capitolo è quello per i centri storici, un altro dei temi fondativi e specifici dell’urbanistica italiana, affrontato in relazione a obiettivi che riguardano la loro tutela, modificazione e integrazione nel metabolismo della città nel suo complesso. Tra le chiavi interpretative proposte per leggere i caratteri peculiari dei centri storici italiani, il concetto di prossimità (tra le persone, tra monumentale e ordinario, tra edilizia specialistica e seriale, con il paesaggio addomesticato della campagna periurbana) sembra rivendicare una certa efficacia. L’affievolirsi di quel “attrito della distanza” provocato dalla globalizzazione ha in parte intaccato questa peculiarità dei centri storici, rendendoli soggetti a fenomeni di riduzione (della popolazione residente come del portato simbolico sempre meno stratificato e complesso), di separazione dal resto della città, di specializzazione funzionale, tuttavia non riuscendo ad obliterare la grande resilienza di un modello urbano millenario che ci consegna materiali progettuali eccezionali, la cui modificazione deve innestarsi nel solco di un’azione progettante secolare che abbiamo da alcuni anni bruscamente interrotto.

Il terzo capitolo del libro è dedicato al progetto di suolo, codificato da Bernardo Secchi come progetto per la messa in relazione e articolazione delle diverse componenti urbane e territoriali. Si deve principalmente al progetto di suolo di Secchi, alimentato da una robusta tradizione precedente di studi morfo-tipologici (segnatamente quella di Saverio Muratori), se in Italia si è condensato un “vasto insieme di pratiche” (come Secchi stesso scriveva) incentrato su una metodologia progettuale che partiva dalla decodificazione della struttura insediativa, dei suoi principi e delle sue regole, agiva incrementalmente grazie ad una sapiente raffinatezza delle soluzioni spaziali e delle tecniche costruttive che a quei codici si riferivano, approdando a un disegno urbano rigoroso, misurato, produttore di estetica contestuale. Anche il quarto progetto trattato nel libro (quello patrimoniale) affonda le radici in una concezione strutturale del territorio e del luogo, e ne setaccia la consistenza storica alla ricerca di principi e regole insediative da riattualizzare per il progetto della trasformazione. In quest’ottica il territorio, che è frutto di processi stratificati di co-evoluzione tra uomo e ambiente, ha una propria personalità che non ha solo un valore testimoniale ma ancora e soprattutto funzionale, garantendo un temperamento e un equilibrio tra la componente antropica e quella naturale. Il progetto patrimoniale approda, però, a una declinazione radicalmente politica dell’approccio progettuale, affidando all’autogoverno da parte delle comunità insediate un ruolo nodale nella gestione dei luoghi e nella rielaborazione delle regole di sapienza ambientale di cui sono depositari. Invarianti strutturali e figure territoriali sono identificate, nei piani in questione, anche all’interno di processi partecipativi che tendono verso la costruzione di scenari di sviluppo locale auto-sostenibile. Il quinto capitolo del libro è dedicato al progetto di paesaggio, inteso come insieme di strategie e indirizzi per il governo del territorio. Declinato in questo senso (ovvero come piano paesaggistico regionale) tale progetto rappresenta una specificità italiana, sostenuto anche da un contesto normativo che affida effettivamente allo strumento di scala regionale un ruolo di coordinamento di tutti gli altri piani e programmi che interessano il territorio. In questo senso i piani paesaggistici possono costituire un’importante opportunità per avviare politiche di governo del territorio multisettoriali ed integrate. A tal fine molti piani hanno adottato un approccio strutturale al paesaggio, cogliendo l’eredità di una tradizione di studi storico-geografici particolarmente fertile in Italia che ha concettualizzato il paesaggio come “forma del paese”, come scriveva Alberto Predieri. Entro questa interpretazione, aspetti estetici e funzionali dei luoghi tendono a integrarsi grazie a un operare umano che sa cogliere il senso del proprio limite nell’agire nel paesaggio. Il progetto della bioregione urbana è l’ultimo progetto trattato nel libro. Può essere interpretato come un’evoluzione dell’approccio patrimoniale, fondato sullo sviluppo locale

auto-sostenibile, riattualizzato rispetto all’aggravarsi delle grandi urgenze contemporanee (la crisi climatica, l’aumento dell’artificializzazione dei suoli, la pervasività dell’inquinamento, la produzione insostenibile di cibo). Nel solco di questa impostazione, modello insediativo e modello di sviluppo devono essere radicalmente revisionati, come affermava circa un secolo prima Patrick Geddes, il teorico nei confronti del quale il progetto bioregionalista urbano intrattiene, forse, il debito più grande. E come per Geddes (e, in seguito, per Mumford e per gli altri esponenti della Regional Planning Association of America), anche nell’ambito di questo approccio diventa fondamentale il riconoscimento delle relazioni co-evolutive che hanno condizionato lo specifico carattere di ogni luogo, il suo funzionamento ambientale, le sue forme insediative peculiari, l’utilizzo di determinate tecniche e materiali da costruzione, lo sviluppo di modalità di conduzione del territorio agro-forestale idonee a quel tipo di milieu. Solo a partire da questa consapevolezza è possibile invertire la rotta rispetto alle dinamiche attuali. Le esperienze di pianificazione e progettazione basate sulla bioregione urbana, presentate in questo capitolo, operano in questa direzione, proponendo un approccio teso alla reintegrazione di sistemi insediativi e agroforestali, alla ricomposizione dei saperi inerenti all’urbanistica e alla pianificazione all’interno della più ampia sfera delle scienze del territorio, all’identificazione di sistemi produttivi locali, all’assunzione degli obiettivi di equilibrio ambientale come “fondamenta materiali” della bioregione. Malgrado i sei progetti attingano a tradizioni culturali differenti, che hanno selezionato i contributi ritenuti più fertili dell’urbanistica e della pianificazione moderne e contemporanee (da alcune innovazioni del funzionalismo fino a quelle delle correnti culturalista e “umanista”), è possibile seguire qualche filo rosso che li attraversa: un concetto di patrimonio inteso non come un giacimento inerte ma come deposito vivente di idee per il progetto; un ruolo strutturante e multifunzionale dello spazio aperto non artificializzato, alla scala urbana e a quella territoriale/paesaggistica; la funzione ordinatrice dello spazio pubblico, telaio e tessuto connettivo delle città e dei territori; l’importanza di un approccio multidisciplinare ai problemi della città, del territorio, del paesaggio; la centralità dell’azione pubblica nel governo delle trasformazioni; il senso di un limite o, per dirla con Umberto Pasti, di un “orlo” tra cose antropiche e naturali che dà misura e dimensione al nostro mondo. Il libro tenta di rendere riconoscibili questi fili rossi, offrendoli come spunti di riflessione per la costruzione di una progettualità integrata, su entrambe le sponde del Mediterraneo.

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